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Bruno Casciarri
(Treviso 17 giugno 2011)
GLI STRUMENTI DERIVATI NELLE PROCEDURE
CONCORSUALI
I) QUADRO NORMATIVO
- disciplina nella legge fallimentare
- interventi del legislatore finanziario
II) DERIVATO E DICHARAZIONE DI INSOLVENZA
II.1- derivati con termine ancora in essere
II.2- derivati con termine scaduto
i. in tutto o in parte ineseguiti (l’insinuazione al
passivo e le eccezioni del Curatore; la casistica;
la clausola compromissoria)
ii. prestazione completamente eseguita:
1. l’azione in via ordinaria
2. la revocatoria dei derivati OTC con
contraente non intermediario:
a. art. 67 I comma nr. 1 LF
b. art. 67 II comma LF
c. le esenzioni ex art. 67 III comma lett.
a) e b)
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III) DERIVATO E CONCORDATO PREVENTIVO
I) QUADRO NORMATIVO
Qual è in rapporto tra la normativa fallimentare e gli strumenti finanziari?
La legge fallimentare italiana detta una disciplina scarna e poco
appariscente.
Il tutto parte dal Legislatore del 1942, che costruisce un mirabile fortilizio
a difesa della par conditio creditorum: basti pensare alla posizione di
terzietà del Curatore, al divieto di azioni esecutive individuali (art. 51), al
concorso dei creditori per crediti anteriori da accertare mediante verifica
(52) o a quello strumento di riequilibrio dato dalla revocatoria
fallimentare.
La legge fallimentare fonda un sistema assai efficace ed è una costruzione
teorica affascinante.
Risente, naturalmente, della realtà economica dell’epoca (paese alle soglie
dell’industrializzazione e con un’economia agricola): l’economia
finanziaria ha scarso rilievo.
Di qui l’unica norma in tema: l’art. 76 LF, che disciplina il contratto di
borsa a termine.
Art. 76 LF.- contratto di borsa a termine - : “ il contratto di borsa a
termine, se il termine scade dopo la dichiarazione di fallimento, è risolto
[si scioglie] alla data della dichiarazione di fallimento. La differenza tra il
prezzo contrattuale e il valore delle cose o dei titoli alla data del
fallimento è versata nel fallimento se il fallito risulta in credito o è
ammessa al passivo nel caso contrario”
Il contratto di borsa a termine è il contratto in cui le prestazione di ambedue i
contraenti sono differite alla scadenza di un dato termine che assolve a una
funzione caratteristica ed essenziale, mettendo in bilico l’operazione tra il
prezzo pattuito e quello che effettivamente risulterà alla scadenza
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Il contratto di borsa a termine rientra in una nozione allargata di derivato, se si
considera genericamente che in entrambi – contr. di borsa a termine e derivato
– la regolamentazione economica dell’accordo è data da un differenziale.
Ma nel contratto di borsa a termine il differenziale è un effetto del contratto,
che ad oggetto la compravendita di un titolo a un tempo dato e a un prezzo
prefissato.
Nel derivato l’oggetto del contratto è proprio il differenziale dato dalla
comparazione di due prezzi\valori: le parti quindi comprano non un bene ma un
differenziale di valore.
LIQUIDAZIONE DIFFERENZIALE nella prospettiva dell’art. 76 LF
[ esempio: Tizio trasferirà a Caio l’azione alfa al prezzo di 100 con termine a
mesi 6; medio tempore fallisce Caio e a quella data l’azione vale 85; il
contratto si scioglie, non vi è trasferimento del titolo che rimane a Tizio, la
regolamentazione economica voluta dal Legislatore comporta che la
Procedura Fall. di Caio deve versare la differenza di 15 (ergo, Tizio ha diritto
di insinuarsi al passivo in chirografo per 15);
se il titolo vale 113, il Fallimento è in credito di 13, che Tizio è tenuto a
versare].
Già in questo è ravvisabile una piccola smagliatura del sistema perché pur
risolvendosi – sciogliendosi il contratto, un suo elemento importante, il
prezzo di riferimento, rimane fermo ed è opponibile al Curatore.
Due problemi:
I) problema della disciplina dei contratti con termine scaduto, ai quali non
poteva applicarsi l’art. 76 limitato agli scambi con termine non scaduto.
La regola generale dell’art. 72 LF relativa ai contratti pendenti comportava
che il Curatore potesse scegliere se sciogliersi o meno.
Problema del cherry picking.
Di qui la testi dell’estensione analogica dell’art. 76 LF anche ai contratti
con termine scaduto;
II) estensione ai contratti derivati diversi dal contratto di borsa a termine.
Le difficoltà derivavano anche dal fatto che la ratio dell’art. 76 è quella di
protezione del fallito (della massa dei creditori) con una sorta di
liquidazione ex lege della posizione e non dell’equilibrio dei mercati e dei
contraenti in bonis.
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La situazione si complica quando all’inizio degli anni ’90 fanno capolino i
derivati.
A quel tempo l’ordinamento non recava una disciplina dei derivati.
Questo determinava un’evidente diffidenza da parte della giurisprudenza,
che facendo leva sul carattere aleatorio e speculativo li aveva assimilati al
gioco e alla scommessa, ritenendoli assoggettati alla c.d. eccezione di
gioco.
Il Tribunale di Milano con due decisioni risalenti al 1993 e 1994
(pubblicate su Banca Borsa e tit. di credito del 1995, II, 79 ) aveva ritenuto
che il derivato stipulato con finalità meramente speculative non
corrispondeva a una causa meritevole di tutela e non poteva giustificare
ragioni di credito, dovendo essere assimilato a una scommessa non
azionabile.
Ambiguità non risolta neppure dalla L. 1/91, che, all’art. 23, escludeva
dall’applicabilità dell’art. 1933 cc, le “negoziazioni di contratti uniformi a
termine su strumenti finanziari collegati a valori mobiliari quotati nei
mercati regolamentati”
Proprio quest’ultimo inciso alimentava il dubbio che il legislatore avesse
inteso escludere l’eccezione di gioco solo per i contratti ammessi alla
negoziazione nel mercato regolamentato.
La questione, però, è superata definitivamente dall’introduzione del c.d.
Decreto Eurosim del 23\7\1996 nr. 415 e dal successivo D.Lvo 24-2-
1998, n. 58 (TUF), che, con l’art. 23, esclude l’applicazione dell’art. 1933
cc agli strumenti finanziari derivati resi “nell’ambito della prestazione dei
servizi di investimento”, per come definiti dall’art. 1, comma 5.
Tale norma abbraccia sostanzialmente tutta la gamma degli strumenti più
diffusi (standardizzati o OTC, anche quelli che hanno come parametro le
variabili climatiche – lett. J ) e in più stabilisce che il catalogo può essere
ampliato sulla base di un decreto del Ministero dell’Economia ( che è
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intervenuto nel 2007 inserendo i derivati per il trasferimento del rischio di
credito, CDS).
In conclusione oggi nessuno dubita che agli strumenti derivati non si
applichi l’eccezione di gioco e scommessa di cui all’art. 1933 cc.
CHE COSA SI E’ VERIFICATO SUL VERSANTE DELLA
DISCIPLINA FALLIMENTARE, dove si scontrano due opposte esigenze:
a- quella più propriamente concorsuale e per così dire tradizionale della tutela della par condicio creditorum, con la tendenza a
ridistribuire su tutti gli operatori economici il peso derivante
dall’insolvenza, anche con interventi assai incisivi quali la
revocatoria;
b- quella degli operatori economici e finanziari, che per favorire la
diffusione degli scambi e la logica di sviluppo del mercato
chiedono la stabilizzazione degli effetti delle operazioni finanziarie (cfr. Bankruptcy Code)
Sono due filosofie che non hanno trovato una composizione, perché – in
una sorta di sdoppiamento – il Legislatore Fallimentare anche con le
recenti riforme, ha continuato ad “ignorare” il problema, procedendo solo
a un leggero maquillage dell’art. 76 LF - la norma sui contratti di borsa a
termine - stabilendo che i contratti in parola a seguito del fallimento non si
risolvono (come previsto della formulazione originaria del 1942) ma più
correttamente si sciolgono.
Più attento e attivo è stato certamente il Legislatore “Finanziario”,
perché fin dal 1998 con il TUF si è preoccupato di stabilire la sorte dei
contratti derivati in caso di fallimento dell’investitore.
L’art. 203 TUF stabilisce, infatti, che – “…..l’art. 76 LF si applica agli
strumenti finanziari derivati e a quelli analoghi individuati (con
regolamento adottato dal Ministro dell’Economia e delle Finanze..), alle
operazioni a termine su valute, nonché alle operazioni di prestito titoli, di
pronti contro termine e di riporto. Ai fini del presente articolo sono
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ricompresi tutti i contratti conclusi, ancorchè non ancora eseguiti in
tutto o in parte, entro la data di dichiarazione del fallimento.
Per l’applicazione dell’art. 76 LF agli strumenti finanziari di cui al
comma I, può farsi riferimento anche al costo di sostituzione dei
medesimi, calcolato secondo i valori di mercato alla data di dichiarazione
di fallimento …”
Portata estensiva dell’art. 203 TUF:
- applicazione dell’art. 76 LF non solo ai contratti di borsa a termine
ma a tutti gli strumenti derivati;
- estensione non solo agli strumenti finanziari il cui termine scade
dopo la dichiarazione di fallimento, ma anche quelli non ancora
eseguiti in tutto o in parte (così escludendo l’applicazione dell’art. 72
LF – rapporti pendenti - );
- anche costo di sostituzione (per quegli strumenti in cui non è
possibile applicare la liquidazione differenziale, ma è necessario fare
riferimento al costo di ricostituzione della posizione (ad es. opzione).
Ma gli interventi più incisivi e capaci di sovvertire i pilastri fondamentali
della disciplina concorsuale – ma stranamente poco conosciuti e applicati –
sono dati dal:
D.Lvo 12\4\2001 nr. 210 – attuazione della direttiva 98/26/CE
sulla definitività degli ordini immessi in un sistema di
pagamento o di regolamento titoli (per gli scambi regolati in
un sistema : ergo derivati uniformi) Gli ordini, i pagamenti, la compensazione e i trasferimenti sono
sempre opponibili ai terzi e agli organi delle procedure di
insolvenza; nessuna azione, neppure quella di nullità, può
pregiudicare la definitività degli ordini ( anche quelli successivi
alla dichiarazione di fallimento purchè l’intermediario dimostri di
non esserne stato a conoscenza).
L’art. 72 TUF disciplina una sorta di procedura speciale di
insolvenza, definita “insolvenza di mercato” e che può
identificarsi in una fase di crisi anticipata (che può precedere
l’insolvenza vera e propria), finalizzata a prevenire il fallimento
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dei soggetti partecipanti a un sistema e a tutelare anticipatamente
il ceto creditorio (sempre però per gli scambi organizzati in un
sistema: ergo derivati uniformi).
L’insolvenza di mercato, basata su elementi rivelatori di gravi
inadempimenti, è dichiarata dalla Consob; per i derivati consegue
presuntivamente (juris ed de jure) dal mancato versamento dei
margini di garanzia o dei differenziali e comporta l’immediata
liquidazione dei contratti dell’insolvente (sullo schema dell’art. 76
LF).
Questa speciale procedura di liquidazione è demandata a un
Commissario nominato dalla Consob, che rilascia ai creditori dei
certificati di credito che hanno valore di titoli esecutivi ex art. 474
CPC.
D.Lvo 21\5\2004 nr. 170 “Attuazione della direttiva 2002/47/CE
in materia di garanzia finanziaria”.
Tale direttiva ha lo scopo di creare un quadro uniforme per le
garanzie in titoli e contanti relative a obbligazioni nascenti da contratti di natura finanziaria, in quanto diano diritto a
pagamenti in contanti o alla consegna di strumenti finanziari ( non
solo a derivati uniformi ma anche a quelli OTC).
Cosa vuol dire: che il Legislatore ha voluto creare regime efficaci e
semplici per la costituzione di garanzie in funzione di contratti finanziari,
tra i quali quelli in derivati, con una particolare attenzione alle procedure
concorsuali, nel senso di escludere espressamente questi contratti dal
campo di applicazione delle leggi sull’insolvenza.
Il contratto di garanzia finanziaria è ex art. 1 lett. d, il contratto di pegno, il
contratto di cessione di credito o di trasferimento della proprietà di attività
finanziaria in funzione di garanzia, e qualsiasi altro contratto di garanzia
reale.
Perché è importante:
in caso di insolvenza dell’investitore, l’intermediario può valersi della
garanzia con tutta una serie di norme speciali che lo mettono al riparo
dall’applicazione delle norme generali sul fallimento.
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Prima del D.Lvo 170\2004 la tenuta della garanzia (COLLATERAL=
copertura dall’esposizione in derivati) non era per nulla sicura.
Anche l’adozione del modello contrattuale standardizzato a livello
internazionale c.d. ISDA poneva seri problemi in caso di fallimento
(compensazione, patto commissorio, tipicità delle garanzie).
L’ISDA (International Swaps and Derivatives Association) è l’associazione
che ha predisposto i due modelli contrattuali generalmente utilizzati dagli
operatori: Credit Support Annex nella versione di diritto inglese (contratto UK)
e nella versione New York Law (contratto US); il primo è quello adottato in
Europa).
Tali problemi non venivano superati neppure dalla scelta dei contraenti
secondo le norme di diritto internazionale privato (cfr. Convenzione di Roma
19\6\1980) della legge inglese quale regolatrice del contratto, infatti:
1) le norme fallimentari in quanto imperative e non derogabili dovevano
trovare applicazione e prevalere comunque sulla disciplina del contratto
ISDA (versione 2002);
2) se la garanzia era costituta su depositi di intermediari residenti in Italia,
ex art. 51 L. 218\1995 la garanzia viene regolata dalla legge del luogo
dove è tenuta, e, quindi, dalla legge italiana.
Prima del D.Lvo 170\2004 la preoccupazione degli operatori finanziari - che la
“posizione netta”, ovvero il risultato della liquidazione delle operazioni aperte
a seguito del fallimento, non subisse gli effetti propri delle singole legislazioni
interne concorsuali (ad es. con esclusione della compensazione) – rimaneva
irrisolta.
Ora lo scenario è radicalmente mutato: in particolare:
- art. 1: nozione aperta di contratto reale di garanzia finanziaria: viene introdotto il principio di atipicità delle garanzie, contro
l’assunto del codice civile del numerus clausus (pegno, ipoteca e
privilegio) e contro il dogma dell’inderogabilità da parte
dell’autonomia privata della par condicio creditorum;
- art. 3: basta la forma scritta ad probationem (anche in forma
elettronica o supporto durevole), sono esclusi ulteriori requisiti per
l’opponibilità a terzi (cfr. data certa).
- art. 4: pegno:
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Normalmente, rigido formalismo del pegno a pena di
nullità\inefficacia\inopponibilità alla Procedura Fallimentare: atto
scritto, data certa, spossessamento, rigida individuazione della
cosa data in pegno, iscrizione del vincolo sul libro vincoli tenuto
dagli intermediari autorizzati per conto di Banca d’Italia o per
conto di Montetitoli ed accensione di conti particolari a seguito
dell’entrata in vigore del decreto sulla dematerializzazione), da
ripetersi ogni qualvolta si intendeva liberare alcuni titoli dati in
pegno per sostituirli con altri o, più frequentemente, si intenda
integrare il pegno con altro Collateral.
Ora, in forza dell’art. 4 D.Lvo 170\2004: il creditore escute il
pegno costituito da attività finanziarie, trattiene il corrispettivo, e
deve solo informare gli organi della procedura (deroga evidente
alla disciplina degli artt. 53 e 54 LF che prevedono la possibilità di
una vendita diretta solo dopo l’ammissione al passivo e su
autorizzazione del GD, che determina le modalità della vendita);
- art. 7: CLAUSOLA CLOSE –OUT NETTING = la clausola di
interruzione dei rapporti e pagamento del saldo netto.
E’ definita dall’art. 1 lett .f come “: la clausola di un contratto
di garanzia finanziaria (o di un contratto che comprende un
contratto garanzia finanziaria oppure, in mancanza di previsione
contrattuale, una norma di legge), in base alla quale, in caso di
evento che determini l’escussione della garanzia:
1) le obbligazioni diventano immediatamente esigibili e
vengono convertite nell’obbligazione di versare un
importo pari al loro valore corrente stimato;
2) viene calcolato il debito di ciascuna parte nei
confronti dell’altra con riguardo alle singole
obbligazioni e determinata la somma netta globale
risultante dal saldo
La clausola close – out netting è valida ed ha effetto in conformità a quanto dalla stessa previsto anche in caso di
apertura di procedura di liquidazione (= fallimento) e di
risanamento (=concordato prev.). (Anomalia: l’art. 203 TUF non appare estensibile al concordato preventivo, mentre la
clausola close out netting lo è )
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- art. 9 : effetti del fallimento sulle garanzie finanziarie.
La garanzia rimane efficace anche se conclusa il giorno stesso
del fallimento (si vuole escludere il c.d. effetto ora zero); la
sostituzione della garanzia non comporta costituzione di nuova
garanzia ma si considera effettuata dalla data della garanzia
originaria e contestualmente al credito garantito.
AI CONTRATTI DI GARANZIA FINANZIARIA E ALLE GARANZIE FINANZIARIE NON SI APPLICA L’ART.
203 TUF NE’ L’ART. 76 LF., salvi gli effetti degli accordi
tra le parti
ERGO: il derivato si scioglie ex art. 76 LF mentre la
garanzia finanziaria che accede all’operazione rimane valida ed efficace.
Se è presente la clausola Close-out netting è in ogni caso
garantito il meccanismo della compensazione
Il saldo a debito per l’investitore poi fallito derivante dallo
scioglimento del derivato si compensa in ogni caso con il
ricavato dell’escussione deformalizzata della garanzia (ad
es. pegno su titoli).
- art. 8 : bilanciamento a favore della Procedura e dell’obbligato
in genere: criterio della ragionevolezza commerciale nelle
condizioni di realizzo e criteri di valutazione.
Il comma III ( art. 8) prevede che il Curatore nel termine di
mesi 6 dall’apertura della procedura possa far valere la
violazione della ragionevolezza nelle condizioni di realizzo e
criteri di valutazione, qualora la determinazione sia intervenuta
entro l’anno che precede il Fallimento (cfr. stima del derivato,
mark to market e costo di sostituzione).
Problema: il Curatore può agire anche se al derivato non accede
una garanzia finanziaria ?
Dato testuale: art. 2 “… il presente decreto di applica ai
contratti di garanzia finanziaria…”
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L’art. 8 si preoccupa, però, non solo della garanzia ma anche
delle obbligazioni garantite, che hanno una loro autonomia
concettuale e giuridica.
II) DERIVATO E DICHIARAZIONE DI INSOLVENZA
alla dichiarazione di insolvenza che cosa accade:
bisogna distinguere tra termine che scade dopo la dichiarazione di
fallimento e termine che, invece, è scaduto prima.
II.1- contratti in cui il termine è ancora in essere;
II.2- contratti il cui termine finale è scaduto
Per II.1- TERMINE ANCORA IN ESSERE:
art. 203 TUF: l’art. 76 LF si applica agli strumenti finanziari
derivati e a quelli analoghi.
Analisi dell’art. 76 LF:
- riforma: non più risoluzione (effetto ex tunc) ma scioglimento
(effetto ex nunc);
- ratio: 1) cristallizzazione della posizione del fallito
2) neutralizzazione del rischio di oscillazione del
derivato
(cfr. art. 34 LF. – “Curatore investitore finanziario ? su
proposta del Curatore il Comitato dei Creditori può autorizzare
che le somme riscosse vengano investite con strumenti diversi
dal deposito in c\c “purchè sia garantita l’integrità del capitale”.
Ex art. 76 non è ammessa in nessun caso la prosecuzione del
rapporto: la logica è quella di una liquidazione ex lege, una
sorta di scadenza anticipata, che non travolge quanto
avvenuto prima (ad es. le precedenti scadenze del derivato
non vengono meno).
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L’anticipata chiusura è un rischio che grava in egual
misura su entrambi i contraenti.
Risultato finale: alla data del Fall., la Procedura può essere
creditrice e, quindi agire per il pagamento; o vi può essere una
perdita, nel qual caso il credito della Banca\Intermediario deve
essere oggetto di insinuazione al passivo, nell’ambito del
procedimento di verifica dei crediti ex art. 52 LF.
L’INSINUAZIONE AL PASSIVO
A fronte della domanda di insinuazione al passivo (domanda non
eludibile neppure con la riassunzione di causa passiva per il debitore
poi insolvente pendente prima del Fall. e interrotta ex art. 43 LF), che
cosa può\deve fare il Curatore, quali strumenti ha a disposizione ?
Per paralizzare la pretesa del creditore che si insinua con una vera e
propria domanda giudiziale ex art. 93 LF, il Curatore deve eccepire i
fatti estintivi, modificativi o impeditivi del diritto fatto valere o
l’inefficacia del titolo su cui si fonda il credito o la prelazione.
Il GD, infatti, decide sulla domanda del creditore e nei limiti delle
conclusioni formulate, avuto riguardo alle eccezioni del Curatore e a
quelle rilevabili d’ufficio (ergo gli è preclusa l’iniziativa ufficiosa a
differenza dell’originario impianto della LF del 1942).
Il primo baluardo è costituito dall’eccezione relativa alla mancanza di
data certa dei contratti ex art. 2704 CC., agendo il Curatore nella
formazione dello stato passivo nell’interesse della massa e quale
terzo rispetto ai creditori che si insinuano e terzo rispetto allo stesso
fallito; tale principio vale anche in caso di opposizione ex art. 98 LF
(se invece il Curatore agisce per il recupero di un credito utendo
juribus del fallito non può valersi della data certa in quanto parte e
non terzo).
Molto dipende dalle modalità utilizzate dagli intermediari per dare
certezza ai rapporti (da ultimo anche utilizzo della marca temporale;
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diffuso l’annullo postale; NB: inserimento in bilancio delle passività
del derivato ?).
E’ importante evidenziare che i contratti di investimento devono
rivestire la forma scritta ad sustantiam a pena di nullità ex art. 23 I
e III comma TUF (e art. 117 TUB per i contratti bancari): la forma
scritta è necessaria sia per il contratto quadro sia per i singoli
contratti di swap – non potendo quest’ultimi essere assimilati a
semplici ordini come in tema di acquisto di titoli od obbligazioni
uniformi o trattati sul mercato regolamentato.
Ciò comporta che il contratto non solo come fatto storico ma nei
suoi contenuti specifici è assoggettato alla disciplina della data certa:
ergo non è possibile provare l’anteriorità del negozio con ricorso ad
elementi esterni (cfr. Cass.9\5\2001 nr. 6465 in tema di conto
corrente; 9\7\2004 nr. 12684; Tribunale Pescara 18\4\2008 est.
Filocamo e Tribunale Vigevano 23\3\2010 est. Cordova entrambe su
ricorsi ex art. 98 LF ).
La Cassazione con sentenza 2151\2010 ha stabilito che l’eccezione di
mancanza di data certa è rilevabile d’ufficio attenendo a un elemento
strutturale della fattispecie, ricostruita come opponibilità del credito
ANTE FALLIMENTO alla massa dei creditori.
Il Curatore può, in ipotesi, anche eccepire che la dichiarazione di
operatore qualificato su cui si regge tutto l’impianto della
negoziazione del derivato è invalida o inefficace (v. art. 31 Reg.
Consob 11522; Cass- su SRL- 12138\2009) o può utilizzare tutta
quella gamma di obiezioni eccezioni che vedono impegnate le parti
nelle cause ordinarie.
Altre due questioni rilevanti sono la quantificazione e prova della
pretesa (con interferenze con il principio di trasparenza che grava
sull’intermediario):
1- calcolo degli oneri occulti o impliciti;
2- calcolo del mark to market
Notizia del 21\4\2011 dal Sole 24 ore: con la sentenza 5118\2011
il Trib. Milano ha condannato UniCredit nella controversia con il
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Comune di Ortona (Chieti) in relazione a tre Collar Swap (profili
degli oneri occulti, del MTM e dei profili informativi).
Entrambi gli aspetti presuppongono la previa analisi della
determinatezza o determinabilità delle relative clausole
contrattuali: in base all’art. 1346 CC. e all’interpretazione della
Corte di Cassazione, non è ammissibile rimettere all’arbitrio di
una delle parti la determinazione-specificazione del concreto
contenuto di una clausola.
Ne consegue ex art. 1346 CC, la possibile nullità delle clausole
che rimettono di fatto all’intermediario o genericamente agli usi
del mercato la quantificazione del valore del MTM, senza alcuna
oggettivazione (parametri di riferimento) o possibilità di controllo.
Per i costi le conseguenze sono apparentemente semplici:
eliminazione – non opponibilità dei costi (così ad esempio in
materia di contratti bancari e di ricostruzione dei saldi di conto
corrente). Il problema, però, è molto più complesso per l’incorporazione dei costi nel
meccanismo (pay off) di funzionamento del derivato e del conseguente
squilibrio dell’alea ….. grado di sbilanciamento ex ante del contratto:
contratto che potenzialmente induce delle perdite più probabili rispetto ai
guadagni. Questo aspetto è particolarmente sensibile in caso di
rinegoziazione e di up front (riverbero sulla causa: nullità dell’intera
operazione ?).
Per il Mark to Market l’eventuale nullità si risolve in prima battuta
nel rigetto della pretesa della Banca di insinuarsi, perché la
domanda non è provata (è quello che ha fatto il Trib. Venezia, ma
anche Firenze).
In caso di opposizione ex art. 98 LF dovrà essere disposta una
CTU per accertare il valore corretto del MTM (è quello che ha
fatto il Trib. Forlì 11\7\2008, infra).
Questi aspetti sono stati considerati anche dal Legislatore:
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- l’art. 203 TUF parla di “valore di mercato”, ma il richiamo è una
mera tautologia: il valore di mercato si stima in base al valore di
mercato.
- ancora: l’art. 2427 bis comma 3 nr. 1 lett. a) CC. che per il fair
value del derivato prescrive che nella nota integrativa del bilancio,
là dove non sia possibile individuare facilmente un mercato attivo,
la stima si fondi “secondo modelli e tecniche di valutazione
generalmente accettati”.
- l’art. 8 D.Lvo 170\2004 (bilanciamento a favore della Procedura
e dell’obbligato in genere: criterio della ragionevolezza
commerciale nelle condizioni di realizzo e criteri di valutazione)
Il comma III prevede che il Curatore nel termine di mesi 6
dall’apertura della procedura possa far valere la violazione della
ragionevolezza nelle condizioni di realizzo e criteri di valutazione, qualora la determinazione sia intervenuta entro
l’anno che precede il Fallimento.
Di fronte a queste eccezioni cosa fa il GD? – quali sono i limiti
della sua cognizione, quali poteri istruttori ?
Il GD si trova a mal partito: progetto di stato passivo 15 gg. prima
\ eventuali osservazioni del creditore fino a 5 giorni prima \
deduzioni e documenti fino all’udienza; atti di istruzione solo
compatibilmente con le esigenze di speditezza del procedimento (e
rinvio a non oltre 8 giorni).
Valvola dell’opposizione ex art. 98 LF dove non vi sono i limiti di
cui sopra (possibilità di esperire CTU).
CASISTICA:
( sentenza Tribunale di Forlì 11\7\2008, che ha deciso l’opposizione di una banca che
si era vista rigettare l’istanza di ammissione al passivo di una procedura di
liquidazione coatta amministrativa in relazione a un contratto IRS.
L’opposizione è stata accolta sulla base di questi enunciati:
1) il contratto IRS non è nullo, pur ipotizzando una componente speculativa non è
assimilabile alla scommessa ex art. 1933cc (difetto di azione); finalità meritevole
di tutela e compatibilità con lo scopo mutualistico della Cooperativa poi
dichiarata fallita;
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2) riconosciuta la validità ed efficacia della dichiarazione di operatore qualificato, il
Trib. ha escluso la violazione degli obblighi informativi, essendo la banca
sollevata dagli obblighi che generalmente gravano sull’intermediario;
3) la CTU aveva confermato il valore dello SWAP al momento dello scioglimento
del contratto.
Quindi, ammissione al passivo in chirografo (condanna della Procedura a rifondere i
4\5 delle spese).
Sentenza Trib. Firenze 7\6\2006 (su Atlantic CSM Swap):
1) questione del conto corrente e delle passività da swap;
2) non è fondata l’eccezione ex art. 1933 CC.
3) non è fondata l’eccezione di operatore qualificato;
4) rigetto della domanda perché fondata su la risoluzione anticipata del
contratto e perché non provata la quantificazione.
Sentenza Trib. Bergamo 4\5\2006:
1) rigetto dell’opposizione sul presupposto dell’estraneità del derivato
speculativo – e non di copertura- all’oggetto sociale (con riferimento
all’abrogato art.2384 bis CC) della società poi fallita e per la mancanza
di poteri in capo al legale rappresentate (ex art. 1398 CC.)
Provvedimento del GD di Venezia (24\12\2009) di non ammissione al passivo
“attesa la nullità\annullabilità per errore essenziale \dolo e la risolvibilità dei vari negozi
per gravi inadempienze della banca. …” , provvedimento oggetto di opposizione.
Dati comuni ai casi prima citati: - difficoltà del Curatore di opporsi in maniera articolata;
- eccezioni principali: legittimità del derivato; inefficacia della
dichiarazione di operatore qualificato; verifica sul calcolo del
mark to market;
- sommarietà dell’accertamento in sede di ammissione al passivo;
- partita che si gioca in sede di opposizione.
PROBLEMA DELLA CLAUSOLA COMPROMISSORIA: molti contratti ( ad es. Unicredit) hanno la clausola compromissoria: quid?
Se il differenziale è a favore dell’intermediario, è pacifico che l’unico
mezzo per far valere il credito è l’insinuazione al passivo ex art. 52 LF:
non residua alcuno spazio per l’applicazione della clausola
compromissoria.
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Se la liquidazione differenziale è a favore del fallimento, la questione è
risolta dall’art. 83 bis LF che recita “ se il contratto in cui è contenuta una
clausola compromissoria è sciolto[ nel nostro caso si scioglie ex lege] a
norma delle disposizioni della sezione IV – quella sui rapporti giuridici
pendenti -, il procedimento arbitrale non può essere proseguito “ e, a
rigore, deve ritenersi non può essere iniziato.
II.2- CONTRATTO CON TERMINE SCADUTO:
II.2.1: IN TUTTO O IN PARTE INESEGUITO: prima dell’art. 203 TUF: si applicava la regola generale
dell’art. 72 II LF: l’esecuzione rimaneva sospesa fino a quando
il Curatore – autorizzato dal GD - non dichiarava di subentrare
o di sciogliersi.
ORA, dopo l’art. 203 TUF e per i contratti con termine scaduto
ma non ancora in tutto o in parte eseguiti, non è più in facoltà
del Curatore di scegliere, perché il contratto si scioglie
automaticamente ed inderogabilmente ex art. 76 LF.
II.2.2: PRESTAZIONE COMPLETAMENTE ESEGUITA (ad es. la società poi fallita aveva già pagato il debito derivante
dall’acquisto di swaps: non può applicarsi l’art. 76, ma neppure l’art.
72 LF. ): azioni latamente recuperatorie, azione revocatoria ed
eventuale azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore
ex art. 146 comma II lett. b LF.
QUID SE LE PERDITE DEL DERIVATO SONO GIA’ STATE
ESTINTE MEDIANTE PAGAMENTO ?
II.2.ii.1. Il Curatore deve agire IN VIA ORDINARIA (non può
giocare sulla difensiva utilizzando il “catenaccio” come nella
verifica del passivo); ha il vantaggio peraltro di poter studiare il
caso senza i limiti stringenti della verifica.
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Utendo juribus del fallito – e non come terzo – potrà far valere o
l’invalidità del contratto quadro e\o dei singoli acquisiti di prodotti
finanziari e, quindi, chiedere la restituzione delle somme versate
sullo schema della ripetizione dell’indebito quale conseguenza del
venir meno del titolo (risoluzione, annullabilità, nullità etc.).
II.2.ii.2 : POTRA’ AGIRE PER LA REVOCATORIA DEI
PAGAMENTI ;
DUE PRINCIPI CARDINE:
I) L’art. 67 LF si applica solo al fallimento del contraente
non intermediario;
II) La revocatoria è esperibile solo per i derivati OTC (non uniformi)
L’art. 67 LF si applica solo al fallimento del contraente non intermediario, perché l’art. 56 TUF rende applicabili agli
intermediari le disposizioni sulla liquidazione coatta
amministrativa e alcune disposizioni del testo unico bancario (art.
83 TUB), che non richiamano l’art. 67 LF (rimane invece
esperibile la revocatoria ordinaria).
Per i derivati uniformi (quelli trattati nel mercato regolamentato e con l’ausilio della cassa di compensazione che
assicura il buon fine dei contratti) non vi è possibilità di
revocatoria: l’art. 2 del D.Lvo 12\4\2001 nr. 210 – attuazione
della direttiva 98/26/CE ha sancito il principio della
definitività degli ordini immessi in un sistema di pagamento o
di regolamento titoli.
Gli ordini, i pagamenti, la compensazione e i trasferimenti
sono sempre opponibili ai terzi e agli organi delle procedure di insolvenza; nessuna azione, neppure quella di nullità, può
pregiudicare la definitività degli ordini.
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In conclusione, l’azione revocatoria fallimentare può venire in
considerazione solo con riferimento ai derivati OVER THE
COUNTER E CON RIFERIMENTO AL CONTRAENTE
NON INTERMEDIARIO.
II.2.ii.2.a REVOCATORIA EX ART. 67 I COMMA NR. 1 LF
L’orientamento dominante, considerato il carattere aleatorio del
derivato, esclude la revocatoria ex art. 67 comma I nr. 1 (quando
le prestazioni del fallito sorpassano di oltre un quarto – prima
della riforma “notevolmente” - ciò che è stato a lui dato o
promesso): si ritiene, infatti, che non siano quantificabili i termini
dello scambio in una prospettiva comparativa.
Teoria Girino: lo squilibrio contrattuale può emergere in caso di
rinegoziazione con up front, quando la Banca si avvantaggia
imponendo condizioni particolarmente svantaggiose per il cliente
e avendo l’up front un valore preciso (problema dell’alea
unilaterale e della causa del negozio….).
Il punto 4.1) secondo capoverso dell'allegato 3, parte B del regolamento intermediari dell'agosto 2002 che stabilisce il contenuto del 'Documento sui rischi generali' (pag. 60 del PDF, pag. 59 del documento, relativa agli swap) e così recita:
“Alla stipula del contratto, il valore di uno swaps è sempre nullo ma esso può
assumere rapidamente un valore negativo (o positivo) a seconda di come si muove il
parametro a cui è collegato il contratto”.
Cosa vuole significare questa disposizione, ha una portata precettiva ?
Vuol significare che i tassi attualizzati a favore del cliente e quelli attualizzati a
favore della banca si devono elidere ?
ma dove si colloca allora il margine della Banca per la componente rischio e per i
costi ?
Forse queste considerazioni hanno determinato la marcia indietro della Consob che
non ha ripetuto il punto 4.1 nel Regolamento Intermediari del 2007 nr. 16190.
Qualche spunto di riflessione si può trarre: anche nella prospettiva
iniziale vi può essere uno squilibrio rilevante basato sulla
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comparazione dei flussi attesi, in cui il risultato non è zero ma una
certa quantità a favore dell’intermediario (ad es. scambio fisso
contro variabile: i modelli indicano che il flusso atteso per il
variabile è 1000- a favore del cliente- il flusso atteso per il fisso è
1400 – a favore della Banca-).
Nell’esempio nel momento iniziale per rispettare la posizione di
parità la Banca dovrebbe versare al cliente 400; così non avviene e
alla prima scadenza probabilmente l’intermediario avrà un
risultato positivo.
Nella prospettiva della revocatoria si potrebbe pesare lo squilibrio
iniziale e nell’esempio concludere che le prestazioni del fallito
sorpassano del 40% quello che è stato dato o promesso.
Obiezione: la Banca ha diritto a un margine; si tratta di contratti
aleatori, che il CC. esclude espressamente dal campo di
applicazione della disciplina dell’eccessiva onerosità sopravvenuta
(art. 1469 CC) e della rescissione per lesione (art. 1448 CC.).
Ma a ben vendere l’alea di questi contratti è il possibile
scostamento dai flussi previsti sulla base di modelli matematici:
nella prospettiva ex ante posso valutare, soppesare il rischio
sotteso alle due posizioni.
Ci si deve, poi, chiedere se il termine di un anno (o di sei mesi per
il comma II) debba riferirsi ai pagamenti periodici o alla data del
contratto.
Riterrei più corretta la prima prospettiva perché ciò che incide
sulla par conditio creditorum non è tanto il contratto in sé (che
stabilisce solo quali obbligazioni sorgeranno) ma il pagamento che
di volta in volta viene effettuato.
E’ quello che si verifica con il contratto di conto corrente in cui
oggetto di revocatoria sono le rimesse con funzione solutoria.
A supporto dell’altra tesi si potrebbe richiamare la giurisprudenza della Suprema Corte
che in tema di pactum de compensando ha stabilito che il termine si riferisce al contratto
e che le singole operazioni sono irrilevanti, in quanto meri atti esecutivi privi di
autonomia. E’ infatti il factum che ha effetto estintivo e satisfattorio (Sez. 1, Sentenza
n. 2973 del 10/02/2006 (Rv. 588806)
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II.2.ii.2.b REVOCATORIA EX ART. 67 II COMMA LF
E’ invece esperibile l’azione revocatoria fallimentare prevista
dall’art. 67 comma II LF in relazione ai contratti derivati conclusi
ed esauriti nei sei mesi anteriori alla dichiarazione di insolvenza,
quando il Curatore prova che l’altra parte conosceva lo stato di
insolvenza del debitore.
Per i contratti in tutto o in parte non eseguiti vale lo scioglimento
ex art. 76 LF e 203 TUF, prospettiva comunque compatibile con la
revocatoria dei pagamenti precedentemente intervenuti (salvo il
rispetto dei termini).
II.2.ii.2.c ESENZIONI ex art. 67 III comma LF:
- lett. a) “pagamenti di beni e servizi effettuati nell’esercizio
dell’attività di impresa nei termini d’uso”: si può ritenere il
pagamento del derivato quale acquisto di bene o servizio tipico
dell’attività di impresa nei termini d’uso ?
La risposta più immediata è quella che esclude la copertura
dell’esenzione: il derivato non è bene o servizio tipico.
Qualche distinguo potrebbe essere operato per il derivato
uniforme (o anche OTC ?) con finalità di copertura nei limiti
indicati dalla Consob (provvedimento del 31\7\1992 – pubblicato
nella Gazzetta Ufficiale dell’8\8\1992, derivato che presenta
un’elevata correlazione tecnico-finanziaria con l’attività/passività
coperta dal derivato: scadenza, tasso di interesse, nozionale;
l’intento esplicito dell’azienda di porre in essere tale copertura):
qui potrebbe operare l’esenzione.
Nessun dubbio invece per il derivato speculativo, che si pone
certamente fuori del campo dell’esenzione.
Ci si può chiedere, infine, se la disciplina della revocatoria delle
rimesse in conto corrente abbia una qualche attinenza con i
derivati (o se addirittura valga l’esenzione di cui alla lett. b.: “…le
rimesse purchè non abbiano ridotto in maniera consistente e
durevole l’esposizione debitoria del fallito…”).
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Non è infrequente, infatti, che la Banca regoli le poste in dare e
avere sul conto corrente, addebitando i differenziali negativi e
accreditando quelli positivi per il cliente (anche nell’up front,
troviamo un addebito pari al saldo negativo del contratto chiuso e
un accredito pari all’up front sempre sul conto corrente del
cliente).
Certamente la revocatoria relativa ai pagamenti sul derivato ha
una sua autonomia concettuale: alle scadenze periodiche il saldo
(poniamo a credito della Banca) costituisce debito scaduto ed
esigibile che dovrebbe essere estinto per cassa.
Confluendo sul conto corrente il credito della Banca si trasforma
in una posta passiva del conto corrente, con la conseguenza che le
successive rimesse non sono destinate ad estinguere l’esposizione
ricollegabile all’uno piuttosto che all’altro addebito (Cass. Sez. I
nr. 7955 del 17\7\1991 : “…il collegamento di un mutuo bancario con
un conto corrente bancario, con la previsione che le somme mutuate
debbano essere restituite mediante accrediti su detto conto, comporta che
la Banca al fine di ottenere la condanna del cliente al pagamento del debito
che assuma rimasto inadempiuto, non può limitarsi a produrre il contratto
di finanziamento, dovendo dimostrare il quantum delle proprie spettanze
tramite le risultanze del conto…”)
Può verificarsi:
a. che l’addebito sia su conto semplicemente passivo (entro il
fido) e, quindi, il debito non è più esigibile e l’operazione si
traduce in una dilazione: l’eventuale versamento su conto
passivo è assoggettato al requisito di consistente e durevole
riduzione dell’esposizione per essere revocabile;
b. che l’addebito sia su conto scoperto (oltre i limiti di fido) è
allora il debito è esigibile per effetto dell’esigibilità del saldo
di conto corrente e – secondo una certa dottrina : Guglielmucci
– in caso di rimessa senza i limiti dell’art. 67 III comma LF;
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c. che per volontà delle parti (desumibile in via indiziaria) la
rimessa sia destinata non a ridurre l’esposizione ma ad
estinguere un determinato addebito (in ipotesi rata del mutuo o
saldo del derivato): in questo caso abbiamo un’operazione c.d.
bilanciata, revocabile ex art. 67 II comma e non come rimessa
in conto corrente [rovesciamento di prospettiva rispetto alla
vecchia revocatoria: prima le partite bilanciate servivano ad
escludere la revocabilità nella logica del saldo disponibile, ora
invece servono per affermarla]
d. in ogni caso il limite dell’art. 70 III LF (differenza tra
l’ammontare massimo raggiunto dalle pretese e l’ammontare
residuo al momento del fallimento) deve tener conto
dell’esposizione complessiva e quindi con riferimento a tutti i
rapporti.
III) DERIVATO E CONCORDATO PREVENTIVO
L’art. 169 LF in tema di norme applicabili al Concordato preventivo non
richiama il disposto dell’art. 76 II comma LF, quindi, la presentazione del
ricorso per concordato, l’ammissione alla procedura e l’omologa non
determinano di per sé la scadenza anticipata dei contratti pendenti (anzi la
prospettiva del Legislatore della riforma è quella della prosecuzione
dell’attività di impresa: ex art. 167 LF il debitore conserva
l’amministrazione dei suoi beni e l’esercizio dell’impresa, sotto la
vigilanza del Commissario)
Per i derivati uniformi trattati nei mercati regolamentati e per i soggetti
partecipanti al sistema, il ricorso al CP comporta la presunzione prevista
dall’art. 80 Reg. congiunto Consob – Banca d’Italia 22\2\2008 relativa
all’insolvenza di mercato e, quindi, la conseguente anticipata liquidazione
dei contratti.
Diverso il discorso per i derivati OTC, che non si sciolgono ex lege.
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A rigore l’esecuzione del contratto – se considerato quale normale attività
di impresa – potrebbe proseguire ad opera della società in concordato,
senza la necessità dell’autorizzazione del GD (v. art. 167 II comma LF).
Il debito pregresso (ante ricorso) di natura chirografaria è assoggettato alla
falcidia concordataria, mentre la prosecuzione del contratto comporterebbe
il pagamento integrale del debito maturato successivamente.
Vi sono evidenti problemi che minano la stessa tenuta del concordato: è
difficile ammettere che la procedura possa farsi carico di una posta incerta,
che rende la prospettiva di soddisfazione dei creditori indeterminata.
Lo stesso intermediario non ha interesse a proseguire un contratto aleatorio
con un soggetto “in crisi”, tanto più che non è ammessa la compensabilità
tra il credito dell’intermediario ante procedura con l’eventuale somma che
lo stesso fosse costretto a corrispondere per un differenziale positivo a
favore del Cliente post procedura.
Di qui le clausole contrattuali variamente denominate che stabiliscono la
risoluzione\scioglimento del contratto in caso di assoggettamento del
Cliente a una procedura concorsuale, con liquidazione della posizione
nella prospettiva del MTM.
In un caso di CP presentato al Trib. TV nel 2010 i ricorrenti si erano
“dimenticati” il derivato e avevano inserito solo il valore del MTM tra le
passività chirografarie.
Il Tribunale utilizzando lo strumento dell’art. 162 I comma LF aveva
chiesto un’integrazione al piano nel senso di prevedere e documentare lo
scioglimento del derivato (sollecitazione poi accolta).
Il D.Lvo 170\2004 detta una speciale disciplina anche con riferimento alle
procedure di risanamento tra cui il CP (art. 1 lett. s): è garantita dall’art. 7
l’operatività della clausola close-out netting anche nel corso del
concordato (ergo piena compensabilità) con diritto di escutere la garanzia
anche in caso di apertura di una procedura concorsuale minore.