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I ‘SENSI’ DELLE ‘SCRITTURE’
I QUATTRO sensi delle Scritture
Il problema dei ‘sensi’ delle scritture, ampiamente diffuso negli esegeti medievali,
viene affrontato con chiarezza da Dante Alighieri in un’opera filosofica incompiuta
(solo 4 trattati sui 15 previsti), in volgare: il Convivio (<1304-1307>).
In una pagina famosa del Conv. II, 1, prima di commentare la canzone/vivanda Voi
che ’ntendendo il terzo ciel movete, Dante indica e definisce i quattro sensi delle
scritture: Letterale, Allegorico, Morale e Anagogico.
Lettura BRANO 1 da Convivio.
1. il senso letterale corrisponde alla lettera del testo;
2. il senso allegorico è “una veritade ascosa sotto bella menzogna” (= invenzione
poetica), definizione che implica però il riconoscimento della diversità tra senso
allegorico usato dai poeti (piano di partenza fittizio, favole, il mito) e quello usato
dai teologi (veritiero e attendibile, tipo l’Antico Testamento, la Divina Commedia, in
quanto un testo sacro non può essere mai concepito mai come “bella menzogna”);
3. il senso morale corrisponde al significato etico e didascalico della scrittura,
insegnamento che si poteva trarre dalla lettura, applicabile ai comportamenti;
4. il senso anagogico (dal greco anagogé, "elevazione“) o spirituale, è da riconoscere
nel profondo significato spirituale della scrittura («sovrasenzo» = strumento di
penetrazione di verità superiori).
Dante riprenderà il suo discorso sui quattro sensi delle scritture anche nella famosa
Lettera a Cangrande Della Scala (Signore di Verona) del 1316.
L'Epistola XIII si divide in due parti: la prima (1-13) nella quale è contenuta la
dedica del Paradiso, la seconda (14-89) nella quale è introdotto un commento
della Commedia.
È nella seconda parte che l'autore riprende un concetto che trova il suo più diretto
precedente nel brano del Convivio sopra indicato (II,1): la differenza tra senso
letterale e senso allegorico (tripartito in allegorico propriamente detto, morale e
anagogico), fondamentale nella lettura della Commedia.
Lettura BRANO 2.
In questa Epistola per spiegare tale concetto, Dante fa un esempio molto chiaro e
sicuramente di facile comprensione per la gente del suo tempo che aveva ben presente le
vicende narrate nella Bibbia (Antico Testamento, Salmo 113):
All'uscita di Israele dall'Egitto, della casa di Giacobbe da una nazione barbara, la Giudea diventò il
suo santuario, Israele il suo dominio.
SENSO LETTERALE (con riferimento alla storia degli Ebrei):
Gli Ebrei uscirono dall’Egitto ove erano schiavi grazie a Mosè, che li condusse verso la terra
promessa (evento storicamente accaduto nel XIII sec. a.Cr.);
SENSO ALLEGORICO (con riferimento alla storia cristiana):
Gli uomini sono redenti dal peccato originale da Cristo.
SENSO MORALE (come deve essere il comportamento degli uomini in vita):
L'anima si converte dal peccato alla virtù con l'aiuto della grazia di Dio.
SENSO ANAGOGICO o SPIRITUALE (sovrasenso, ciò che accade dopo la morte):
Dopo la morte, l'anima beata si libera dalla schiavitù del corpo verso la pace della gloria
eterna in Dio.
Che cos’è l’ALLEGORIA?
Dante, Epistola XIII:
"allegoria" deriva dal greco "alleon" che è reso in latino con "alienum" ossia "diverso".
Una figura retorica mediante la quale si attribuisce ad un discorso un significato ‘altro’,
quindi diverso da quello letterale.
Il termine deriva da ALLEI=ALTRIMENTI e AGOREUO=parlo, ed equivale a «dire altro da
ciò che si vuole significare».
Nell’allegoria il rapporto tra SIGNIFICATO e SIGNIFICANTE è arbitrario e intenzionale,
mentre nel SIMBOLO (dal lat. symbŏlum ‘contrassegno’, dal gr. sýmbolon, der.
di symbállō ‘metto insieme’) il rapporto è convenzionale.
Nell’allegoria il significato NON può essere decodificato in maniera intuitiva e immediata,
ma necessità di un’elaborazione intellettuale. L’allegoria è sempre ‘relativa’ nel senso che
è suscettibile di una discussione critica e di diverse letture/interpretazioni.
Per es. Inf. 1, v. 101 e sgg.
Molti son li animali a cui s'ammoglia [lupa/cupidigia],
e più saranno ancora, infin che 'l veltro
verrà, che la farà morir con doglia.
Questi non ciberà terra né peltro,
ma sapïenza, amore e virtute,
e sua nazion sarà tra feltro e feltro.
Il VELTRO (lett. cane da caccia) dantesco è un’ALLEGORIA (il suo significato non intuitivo e
oggetto di discussione critica: Enrico VII, Cangrande, chi è?), mentre la COLOMBA CON
UN RAMOSCELLO DI ULIVO NEL BECCO è convenzionalmente SIMBOLO della PACE
(almeno per noi occidentali che condividiamo un medesimo codice culturale di
riferimento!).
ALLEGORIA DEI POETI e ALLEGORIA DEI TEOLOGI
Si tratta di un argomento introdotto, anch’esso, da Dante in Convivio II, 1, e approfondito in
particolare da uno studioso americano Charles Singleton (1909-1985), noto per il suo volume
Poesia della Divina Commedia uscito negli anni Cinquanta in 2 voll. in America, mentre in Italia
nel 1978.
Nel Convivio Dante riconosce due tipi di ALLEGORIA: dei TEOLOGI e dei POETI e subito
chiarisce che nel suo trattato filosofico (Convivio) farà ricorso all’ALLEGORIA dei POETI.
Nella Divina Commedia Dante farà ricorso, invece, all’ALLEGORIA dei TEOLOGI.
Scrive Singleton a tale proposito: «se riteniamo che l’allegoria della Divina Commedia sia
quella dei POETI allora dovremmo considerarla una costruzione in cui bisogna aspettarsi che il
senso letterale produca sempre altro senso, poiché il letterale è solo una FICTIO [creazione
della fantasia] escogitata per esprimere SOLO un secondo significato. […] Se invece riteniamo
che l’allegoria della Divina Commedia sia quella dei TEOLOGI, allora dovremmo aspettarci di
trovare nel poema un primo significato letterale presentato come significato NON FITTIZIO MA
VERO, poiché le parole che danno quel significato indicano eventi che sono visti come
storicamente veri».
ALLEGORIA DEI POETI
Il senso letterale dei fatti di cui si parla
è immaginario, frutto di fantasia (fictio)
ed è giustificato solo dal significato
allegorico al quale rinviano.
CONVIVIO
ALLEGORIA DEI TEOLOGI
I fatti hanno valore storico anche per
quel che riguarda il senso letterale,
oltre ad avere un significato
trascendente di cui il primo è FIGURA*.
DIVINA COMMEDIA
* Il termine FIGURA ci introduce, ora, ad un altro discorso: quello su Erich
Auerbach e la sua «interpretazione figurale» della Divina Commedia (1938) che,
come vedremo, è pertanto fortemente legata (e dipendente) al concetto dell’
ALLEGORIA DEI TEOLOGI .
L'INTERPRETAZIONE FIGURALEDELLA DIVINA COMMEDIA
FIGURA DI ERICH AUERBACH
in STUDI SU DANTE, prefazione di Dante Della Terza, Feltrinelli,
Milano, 2005, pp. VII-XIX e pp. 176-226.
Già nel saggio del 1929, Dante, poeta del mondo terreno, Erich Auerbach (filologo e
critico tedesco, 1892-1957) aveva mostrato che nella Divina Commedia Dante volle:
«presentare tutto il mondo terreno-storico [...] già sottoposto al giudizio finale di Dio e
quindi già collocato nel luogo che gli compete nell'ordine divino, già giudicato, e non in
modo tale che nelle singole figure, nella loro sorte escatologica finale, il carattere
terreno fosse soppresso o anche soltanto indebolito, ma in modo da mantenere il
grado più intenso del loro essere individuale terreno storico, e da identificarlo con la
sorte eterna».
Mancava in quel primo tentativo «la precisa base storica» che il critico venne
acquisendo negli anni successivi con l'interpretazione figurale della realtà, nel saggio
Figura, pubblicato nella rivista “Archivum Romanicum” XXII, 1938.
Secondo l'interpretazione figurale «la vita terrena è bensì assolutamente reale, della
realtà di ogni carne in cui è penetrato il logos, ma con tutta la sua realtà è soltanto
umbra e figura di ciò che è autentico, futuro, definitivo e vero, di ciò che, svelando e
conservando la figura, conterrà la realtà vera.
Il REALISMO FIGURALE
Nell’alto Medioevo e in particolare in Dante è forte la concezione del realismo
figurale, in base al quale il MONDO ULTRATERRENO è la realizzazione del disegno
divino, di cui gli avvenimenti e i personaggi terreni sono figure in attesa di attuazione.
La concezione figurale ha sempre pertanto un rapporto diretto e intenso con la realtà
terrena.
Auerbach ha cercato di dare una spiegazione a quel «prepotente realismo» della
Divina Commedia che caratterizza anche l’Aldilà. È partito dall’osservare che
all’epoca di Dante, nell’alto Medioevo, i fatti storici narrati nelle Sacre Scritture erano
interpretati come ANTICIPAZIONE di altri fatti che avevano in particolare significato
nella storia della salvezza.
Ogni fatto e personaggio della Divina Commedia NON ha un significato SOLO per se
stesso, ma anche un altro di cui è FIGURA, mentre l’altro è ADEMPIMENTO del primo e
in qualche modo lo comprende.
L’interpretazione figurale è quella che intende stabilire un legame tra 2 avvenimenti o
persone: nella Divina Commedia la realtà terrena è in potenza, quella celeste è in atto.
Questo vale anche soprattutto per le anime dei defunti che solo nell’Aldilà si
realizzano pienamente, mentre nel mondo furono solo figura di questa realizzazione,
per cui la provvisorietà umana ha bisogno di essere completata nell’ambito divino.
Per es. Catone l’Uticense: tutore in vita della libertà politica (figura), nell’Aldilà tutore
della libertà dal peccato, è il custode del purgatorio (Adempimento).
Figura, cit., pp. 220-221.
In questo modo ogni accadimento terreno non è visto come una realtà definitiva,
autosufficiente […] ma viene considerato innanzi tutto nell'immediato nesso verticale con un
ordinamento divino di cui esso fa parte e che in un tempo futuro sarà anch'esso un
accadimento reale; e così il fatto terreno è ‘profezia’ o 'figura' di una parte della realtà
immediatamente e completamente divina che si attuerà in futuro. Ma questa realtà non è
soltanto futura, essa è eternamente presente nell'occhio di Dio e nell’Aldilà, dove dunque
esiste in ogni tempo, o anche fuori del tempo, la realtà vera e svelata».
La realtà viene considerata nel suo rapporto trascendentale con l'ordine voluto da Dio,
che nel futuro si realizzerà e che Dante acquisisce nell’Aldilà come realtà vera e svelata.
Beatrice, [ad esempio] in cui il giovane Dante aveva visto quasi la 'rivelazione incarnata', la
sua prima guida morale, sarà in Paradiso la guida reale che gli svelerà l'ordine rivelato, le
verità delle figure terrene. La realtà della Beatrice terrena è indubbiamente tratta
dall'esperienza personale di Dante; e tuttavia la Beatrice celeste non è affatto un'astratta
allegoria senza vita, la teologia o l'ordine soprannaturale: «essa è figura o incarnazione
della Rivelazione, che la grazia divina manda per amore all'uomo per salvarlo, e che diventa
per lui guida alla visio Dei».
Analogamente Virgilio è figura del poeta-guida: il Virgilio storico, nella pienezza della
sua romanità, è considerato da Dante poeta e uomo perfetto, `prefigurazione' di quel
Virgilio, abitatore del Limbo, che Dante incontrerà e che si 'svelerà' a lui nella sua
'verità' totale: come il poeta latino aveva fatto discendere Enea nell'oltretomba
affinché conoscesse il destino del mondo romano, così ora Virgilio è chiamato da Dio
(attraverso Beatrice) ad una funzione non meno importante: essere guida di Dante
nell'itinerario oltremondano. (Figura, cit., pp. 221-223)
«Virgilio è chiamato a mostrargli e a spiegargli il vero ordinamento terreno, le cui
leggi giungono ad esecuzione nell’Aldilà, la cui sostanza è adempiuta nell’Aldilà -
anche nella direzione del loro fine, della comunità celeste dei beati che egli ha
presagito nel suo poema, - ma non fino nell'interno del regno di Dio, perché il senso
del suo presentimento non gli è stato rivelato durante la sua vita terrena e, senza
questa illuminazione, egli è morto da infedele» (si trova pertanto nel Limbo).
Dunque anche Virgilio, riconferma Auerbach, non è astratta allegoria di una virtù (non
è il veltro pura allegoria), ma figura di una realtà più compiuta che la Commedia
rivela.