UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI PADOVA
Sede amministrativa: Università degli Studi di Padova
Dipartimento Territorio e Sistemi Agro-Forestali
SCUOLA DI DOTTORATO DI RICERCA IN TERRITORIO, AMBIENTE, RISORSE E SALUTE
INDIRIZZO: ECOLOGIA
CICLO XX
IL BOSCO DI MESTRE: POSSIBILI SCENARI DI GESTIONE
SELVICOLTURALE DI UN BOSCO DI PIANURA
Direttore della Scuola : Ch.mo Prof. Vasco Boatto
Supervisore :Ch.mo Prof. Mario Pividori
Dottorando : Raffaele Bellio
data consegna tesi 31 gennaio 2008
2
Riassunto 5 Abstract 5 Premessa 6 1. Introduzione 7 1.1 Aspetti legislativi 7 1.2 Il contesto 8 1.3 Obiettivi ed ipotesi 9 1.4 L’approccio della cronosequenza 9 2. Materiali e metodi 10 2.1 Area di studio 10 2.2 Clima e suolo 11 2.3 Descrizione generale dei popolamenti 14 2.4 Modalità di realizzazione e gestione degli impianti 15 2.5 Caratteristiche dei moduli d’impianto 16 2.6 La vegetazione potenziale 18 2.7 Raccolta dei dati 18 2.8 Dati rilevati 19 2.9 Metodologia di rilevamento 20 2.10 Selezione delle aree campione 20 2.11 Obiettivi del campionamento 22 2.12 Analisi derivate 22 2.13 Analisi della distribuzione diametrica 22 2.14 Analisi dell’area basimetrica 25 2.15 Analisi delle relazioni ipsometriche 26 2.16 Analisi delle relazioni ipsodiametriche della chioma 27 2.17 Analisi della relazione diametro-età 29 2.18 Analisi della relazione altezza-età 30 2.19 Analisi dello stato fitosanitario 30 2.20 Analisi della rinnovazione naturale 31 2.21 Analisi della vegetazione erbacea 31 3. Risultati e discussione 33 3.1 Composizione 33 3.1.1 Composizione generale 33 3.1.2 Composizione per posizione sociale 34 3.1.3 Composizione per età 34 3.1.4 Composizione per stazione ed età 35 3.1.5 Composizione boschi relitti 36 3.2 Distribuzione diametrica 39 3.2.1 Distribuzione diametrica per posizione sociale 39 3.2.2 Distribuzione diametrica per posizione sociale e specie 41 3.2.3 Distribuzione diametrica per stazione ed età 44 3.2.4 Distribuzione diametrica tra stazioni 46 3.2.5 Analisi cronologica per specie e posizione sociale 49 3.2.6 Distribuzione diametrica dei querco-carpineti relitti 51 3.3 Area basimetrica 53 3.3.1 Distribuzione area basimetrica per specie 53 3.3.2 Distribuzione diametrica per posizione sociale e specie 55 3.3.3 Distribuzione dell’area basimetrica per stazione ed età 58 3.3.4 Distribuzione dell’area basimetrica tra stazioni 60 3.3.5 Distribuzione dell’area basimetrica dei querco-carpineti relitti 62 3.4 Relazioni ipsometriche 64
3
3.4.1 Relazioni ipsometriche del piano arboreo dominante 66 3.4.2 Relazioni ipsometriche del piano arboreo codominante 68 3.4.3 Relazioni ipsometriche del piano arboreo dominato 70 3.4.4 Relazioni ipsometriche generali del piano arboreo 72 3.4.5 Relazioni ipsometriche della farnia 74 3.4.6 Relazioni ipsometriche del carpino bianco 76 3.4.7 Relazioni ipsometriche dei boschi relitti 78 3.5 Struttura verticale 82 3.5.1 Diametro della chioma per posizione sociale 82 3.5.2 Diametro della chioma per specie e posizione sociale 85 3.5.3 Altezza di inserzione della chioma 87 3.5.4 Altezza di inserzione della chioma per specie e posizione sociale 89 3.5.5 Diametro della chioma per posizione sociale dei boschi relitti 90 3.5.6 Altezza di inserzione della chioma dei boschi relitti 93 3.6 Relazione diametro-età 94 3.7 Relazione altezza-età 97 3.8 Mortalità e problemi fitosanitari 99 3.8.1 Mortalità e problemi fitosanitari negli impianti 99 3.8.2 Mortalità e problemi fitosanitari nei boschi relitti 106 3.9 Rinnovazione naturale 109 3.9.1 Rinnovazione naturale a livello di transect 109 3.9.2 Analisi a livello di sub area 111 3.9.3 Rinnovazione naturale dei boschi relitti 117 3.9.4 Confronto tra rinnovazione degli impianti e dei boschi relitti 119 3.10 Vegetazione erbacea 121 3.11 Dinamica dei querco-carpineti 128 3.12 Problemi di gestione 130 3.13 Proposte di gestione selvicolturale per il Bosco di Mestre 132 3.13.1 Premessa 132 3.13.2 Modello di gestione 133 3.13.3 Diagramma selvicolturale 134 3.13.4 Ulteriori interventi gestionali 140 3.13.5 Conclusioni 141 4. Conclusioni generali 142 Bibliografia 144 Allegati 152
4
Ringraziamenti
Tornare a studiare sui banchi dell’Università di Padova a distanza di quasi vent’anni non è stata una cosa né semplice e neppure facile. Per questo, devo un ringraziamento particolare a mia moglie ed a mia figlia che mi hanno sostenuto moralmente e mi hanno spronato ad affrontare questa sfida con me stesso. Ringrazio inoltre i colleghi e gli operai forestali della Regione del Veneto – Servizio Forestale Regionale di Treviso per la fondamentale collaborazione prestata nella realizzazione dell’indagine. Desidero inoltre ringraziare il Prof. Lucio Montecchio per i suggerimenti e le informazioni relative agli aspetti fitopatologici trattati nella tesi e per l’amicizia che da sempre coltiviamo reciprocamente. Un grazie particolare anche al Prof. Mario Pividori, sia per i preziosi consigli che mi ha saputo dare come Supervisore sia per la collaborazione che si è creata e che mi auguro possa proseguire nel futuro.
5
Riassunto Secondo Pignatti, il Querco-Carpinetum boreoitalicum (1953) costituisce l’associazione forestale climax della Pianura Padana. Tale associazione è peraltro oggi ridotta a poche aree relitte che, nel Veneto, complessivamente non superano i 60 ettari, e che presentano delle gravi anomalie sia strutturali che funzionali. Questi boschi relitti, anche se frammentati in piccole superfici, rivestono una grande importanza naturalistica e pertanto vengono gestiti soprattutto come musei all’aperto, con l’adozione di tecniche selvicolturali tendenti al mantenimento ed alla conservazione del soprassuolo, anche attraverso l’ampliamento delle superfici adiacenti. Grazie alle politiche agricole comunitarie del set-aside che incentivavano l’imboschimento dei terreni agricoli, a partire dal 1988 nel Veneto sono stati messi a dimora varie centinaia di ettari di impianti con l’obiettivo di ripristinare le antiche foreste planiziali. Tuttavia questi imboschimenti, oltre a numerosi problemi derivanti soprattutto da errori di progettazione e da carenze culturali, soffrono anche della mancanza di modelli di gestione forestale. Attraverso un approccio sincronico, in 13 stazioni sono state indagate le relazioni esistenti tra l’età delle formazioni forestali e le principali variabili dendrometriche (diametro, altezza, dimensioni chioma, accrescimenti, ecc.), la rinnovazione naturale e la vegetazione erbacea. Tali relazioni sono state successivamente impiegate per definire un modello di sviluppo previsionale per il Bosco di Mestre, che con una superficie di oltre 1220 ettari in corso di realizzazione, dovrebbe diventare uno dei boschi periurbani più vasti a livello europeo. Parole chiave: Querco-Carpinetum boreoitalicum; imboschimento; boschi relitti; cronosequenza; variabili dendrometriche; rinnovazione naturale; vegetazione erbacea; modello di accrescimento; diagramma selvicolturale; Bosco di Mestre Abstract Pignatti thinks that Querco-Carpinetum boreoitalicum (1953) is the forest climax association of Pianura Padana. Nowadays these forests, located on a few patches in Veneto, that totally cover about 60 hectares, show serious problems in stands structure and functions. They are very important for the nature conservation even if they are fragmented in small stands. Foresters manage them as an open museum, adopting particular forestry tecnique to preserve and maintain the overstorey vegetation, even through new plantations near the ancient woods. By 1988, thanks to the CAP’s strategy of set-aside, hundreds hectares of agricultural land were converted to forest with the aim to restore the ancient plain forest. These new forests have a lot of problems caused by errors in the projecting phase and by cultural lacks so they need for a model for the management of the stands. The relationship between age and the most important tree variables (dbh, height, crown size, tree growth, etc.), natural regeneration and herbs vegetation, were studied by a chronosequence approach over 13 forest sites. These relationships were consequently used to develop a predictive stand growth model for the Mestre’s Wood that, with its 1220 hectares, will became one of the largest periurban forest in the EU. Keywords: Querco-Carpinetum boreoitalicum; plantations; ancient woods; chronosequence; tree variables; natural regeneration; herbs layer; growth model; stand model; Mestre’s wood
6
PREMESSA
In passato sono stati condotti diversi studi e ricerche, soprattutto di carattere storico, sui boschi
che un tempo ricoprivano la Pianura Padana. I querco-carpineti rappresentano infatti anche il
primo esempio di applicazione di precise norme di politica forestale dettate dalla Repubblica di
Venezia attraverso l’esercizio attivo della coltivazione del bosco inteso ad assicurarne la
produzione e la perpetuazione (Susmel, 1994).
Tali formazioni boscate sono peraltro oggi ridotte a poche superfici relitte che, nel Veneto,
complessivamente non superano i 60 ettari, e che presentano delle anomalie sia strutturali che
funzionali. Tali relitti derivano dalle estese foreste che fino ai primi anni del 1900 ricoprivano
ancora buona parte della pianura Padana.
Il fenomeno della conversione dei boschi in terreni coltivati ha subito un costante incremento
fino agli anni ’50. Nel Veneto, nel corso dell’ultimo conflitto mondiale i querceti planiziali
hanno subito pesanti interventi di taglio e quindi tali boschi hanno oggi all’incirca 60 - 80 anni e
derivano in buona parte da rinnovazione agamica.
A partire dal secondo dopoguerra, il fenomeno dell’abbandono della montagna e delle zone
meno produttive della collina ha portato all’espansione dei boschi esistenti, soprattutto nelle aree
marginali. In pianura, solamente a partire dagli anni ottanta, in cui prese avvio il movimento
ecologista, si è constatato un crescente interesse volto soprattutto alla tutela dei boschi esistenti
ed all’ampliamento delle loro superfici, soprattutto per iniziativa di soggetti pubblici intenzionati
a creare boschi urbani e periurbani.
Parallelamente, la politica europea del set-aside iniziata nel 1985, proseguita poi con il
regolamento (CEE) n. 2080/92 e con le varie edizioni dei Piani di Sviluppo Rurale, ha
determinato la riconversione di numerosi terreni agricoli in terreni a “bosco”, soprattutto da
parte degli imprenditori agricoli ma anche da parte di enti pubblici.
Tuttavia questi imboschimenti, realizzati più per gli incentivi offerti o per questioni di visibilità
“politica” che per altre motivazioni, oltre a numerosi problemi derivanti soprattutto da errori di
progettazione e da carenze culturali, soffrono anche della mancanza di modelli di gestione
forestale.
Lo studio intrapreso intende ridurre tale lacuna per quanto riguarda i boschi di pianura e
proporre una applicazione al costituendo Bosco di Mestre.
7
1. Introduzione
1.1 Aspetti legislativi
Il progetto del Bosco di Mestre si basa sull’idea di ricostruire parte delle foreste che
originariamente ricoprivano la nostra pianura, riferibili alla tipologia forestale del querco-
carpineto planiziale.
L’idea di un grande bosco per la città di Mestre è nata ed ha preso forma verso la fine degli anni
’80 del secolo scorso. Il bosco, con una estensione iniziale prevista di 1330 ettari, dovrebbe
diventare uno dei più grandi parchi urbani a livello europeo. Le motivazioni alla base di questa
scelta dell’Amministrazione comunale erano di ordine storico e ambientale. Infatti, fino a tempi
abbastanza recenti (prima guerra mondiale) esistevano numerosi boschi nella terraferma
veneziana, ereditati dalla gestione forestale della Serenissima; inoltre, la degradazione
dell’ambiente dovuta alla presenza sul territorio di infrastrutture ad elevato impatto (tangenziale,
polo chimico di Marghera, autostrade, ecc.) aveva indotto a considerare di prioritaria importanza
le azioni di ripristino di condizioni minime di qualità della vita delle popolazioni residenti,
sfruttando le capacità dei boschi di abbattimento degli inquinanti presenti nell'aria, nell'acqua e
nel suolo. Gli obiettivi inizialmente previsti, pur mantenendo una loro validità generale, sono
stati dinamicamente aggiornati in base alle necessità ed alle contingenze che nel frattempo sono
emerse.
In particolare, essi si possono così riassumere (Comune di Venezia, 2004):
• abbattere la CO2 e altri composti dannosi prodotti dall’area urbana e industriale e
migliorare la qualità dell’aria e del microclima;
• aumentare la connettività ecologica tra diversi biotopi e contribuire al ripopolamento
floro-faunistico di aree agricole;
• diminuire il rischio idraulico del territorio in caso di eventi di piena critici;
• ridurre il quantitativo di nutrienti e inquinanti sversati nella Laguna di Venezia;
• incrementare la produzione di biomassa legnosa utilizzabile a fini energetici;
• recupero della funzionalità ecosistemica del territorio;
• riqualificazione del paesaggio;
• creazione di spazi fruibili per trascorrere il tempo libero a contatto con la natura;
• ricerca scientifica e didattica;
• creazione di nuove opportunità economiche.
8
Nel 2005 è entrato in vigore il nuovo Piano Regolatore Generale, che prevede 1.200 ettari di
Bosco, in parte pubblico ed in parte privato, quest’ultimo reso conveniente da appositi incentivi
urbanistici.
A oggi, la superficie imboschita ammonta a oltre un centinaio di ettari, realizzati nel periodo tra
il 1990 ed il 2007, a fianco dei 2,90 ettari del querco-carpineto relitto di Carpenedo e sono in
corso di progettazione altri interventi sui terreni ancora a disposizione dell’Amministrazione
comunale.
1.2 Il contesto
La ricerca intrapresa nasce da una convenzione che l’Università degli Studi di Padova – Facoltà
di Agraria - Dipartimento Territorio e Sistemi Agro-forestali ha sottoscritto con il Comune di
Venezia – Direzione Centrale Sviluppo del Territorio e Mobilità, Trasformazioni Urbane
Progetti e Piani Ambientali, per lo studio degli aspetti economici ed ecologici relativi al Bosco
di Mestre. Il progetto di ripristino ecologico del bosco planiziale di Mestre ha coinvolto un
gruppo di lavoro eterogeneo composto dalle Università di Padova e di Venezia, dal Museo di
Storia Naturale di Venezia nonchè da tecnici incaricati della progettazione e della realizzazione
degli interventi.
Il Dipartimento TeSAF, incaricato dello studio preliminare degli aspetti ecologici e forestali, ha
proposto di individuare delle aree campione permanenti negli impianti ove effettuare un
monitoraggio periodico delle seguenti variabili:
• numero di piante ad ettaro sopravvissute, distinte per specie;
• copertura delle chiome e sua variazione nel tempo;
• incremento ipsometrico;
• incremento diametrico;
• vitalità delle chiome;
• ingresso di specie erbacee nemorali;
• variazioni di biodiversità;
• evoluzione del suolo.
Poiché i termini di scadenza della convenzione (31/12/2005), già prorogata di un anno, non
consentivano di effettuare un monitoraggio completo di tutti gli indicatori proposti, si è
concordato di rilevare in questa prima fase solamente i principali fattori di variabilità del
soprassuolo arboreo ed arbustivo delle aree del Bosco di Mestre. Tale metodologia di rilievo è
stata successivamente integrata anche per gli aspetti relativi alla rinnovazione naturale ed allo
strato erbaceo ed estesa anche al di fuori del contesto territoriale del comune di Venezia nello
studio degli altri popolamenti forestali oggetto dell’indagine.
9
1.3 Obiettivi ed ipotesi della ricerca
L’ipotesi della ricerca è che le specie arboree principali che costituiscono la tipologia forestale
del querco-carpineto planiziale (farnia e carpino bianco) abbiano gli stessi ritmi di sviluppo in
tutto il Veneto e quindi gli accrescimenti dipendano principalmente dall’età del popolamento.
Inoltre, l’ulteriore ipotesi da verificare è che gli schemi di impianto usati siano idonei al
raggiungimento dell’obiettivo della rinaturalizzazione del territorio.
I principali obiettivi della ricerca si posso così riassumere:
• descrivere scientificamente i popolamenti studiati (boschi naturali ed impianti artificiali)
e porre le basi per un monitoraggio di lunga durata;
• confrontare, su base cronologica, i boschi relitti con gli impianti, e stimare il grado di
rinaturalizzazione raggiunto dai principali componenti dell’ecosistema forestale (piano
erbaceo, arbustivo ed arboreo);
• definire la composizione ed il sesto d’impianto migliori per favorire nei tempi più rapidi
la rinaturalizzazione e l’instaurarsi di meccanismi omeostatici nei popolamenti artificiali;
• individuare un modello di gestione ottimale per gli impianti ai fini della
rinaturalizzazione.
1.4 L’approccio sincronico
Per raggiungere gli obiettivi della ricerca, ed in particolare per valutare la dinamica degli
accrescimenti nel tempo e il grado di rinaturalizzazione conseguito dagli impianti, è stato
adottato l’approccio sincronico o cronosequenza.
Tale tecnica, denominata anche sostituzione dello spazio al tempo (space-for-time substitution),
assume che i cambiamenti spaziali e temporali siano equivalenti.
Assieme al monitoraggio di lungo periodo su aree di saggio permanenti, la cronosequenza è
stata impiegata per studiare le successioni secondarie.
Questa tecnica ha conseguito significativi risultati nella comprensione della struttura e dei
meccanismi della successione delle piante (Foster and Tilman, 2000) sebbene essa abbia ben
riconosciute limitazioni.
In particolare, molti dei problemi nella valutazione della sostituzione dello spazio al posto del
tempo dipendono dal fatto che il tempo viene usato come un sostituto dello stato precedente del
sistema e dell’ambiente pregresso (Pickett, 1989). Inoltre, la correlazione tra l’abbondanza di
specie e gli attributi di una comunità con l’età della stazione non possono essere
indiscutibilmente attribuiti ai meccanismi della successione se ci sono altri fattori di disturbo,
come lo stato della stazione prima dell’abbandono, che può variare con l’età (Bakker et al.,
10
1996). In questo studio, la cronosequenza è stata impiegata per analizzare la struttura e le
funzioni dell’ecosistema bosco attraverso una successione secondaria costituita da impianti a
querco-carpineto planiziale, in base all’assunzione che le differenze nelle proprietà
dell’ecosistema nelle diverse stazioni siano dovute solamente alla differenza in termini
temporali, poiché il tipo di suolo, di clima, di vegetazione e di gestione sono simili in tutte le
stazioni (Foster and Tilmann, 2000; Knops and Tilman, 2000). Così, in assenza di stazioni di
riferimento indisturbate, il tasso di rinaturalizzazione nel lungo periodo può essere stimato dai
cambiamenti che avvengono negli ecosistemi nel corso del tempo (Hooker and Compton, 2003).
2. Materiali e metodi
2.1 Area di studio
La Fig. 1 individua lo localizzazione nel Veneto delle aree campione che sono state selezionate
per effettuare l’indagine mentre in Tab. 1 sono riportati in sintesi i parametri geografici
stazionali e i caratteri principali degli impianti e dei boschi relitti. Sono stati selezionati 10 siti
dove sono stati realizzati degli impianti a prevalenza di farnia e carpino bianco con età variabile
tra 7 e 18 anni e 3 siti che invece ospitano dei querco-carpineti relitti. Si tratta di stazioni ubicate
principalmente nella provincia di Venezia e di Treviso, su terreni della bassa pianura (fa
eccezione il sito di Novoledo, che si trova al confine tra alta e bassa pianura) situati
generalmente ad un’altitudine di pochi metri sul livello del mare.
Fig. 1 Localizzazione delle aree campione = impianti = boschi relitti
11
Tab. 1. Caratteri generali delle stazioni
Stazione Tipologia Comune e provincia Sup. (ha) Quota (m)
s.l.m.
Carpenedo Impianto Venezia (VE) 5.31 3.0-4.0
Foresto Impianto Cona (VE) 0.70 0.8-1.0
Gesia Impianto Cavarzere (VE) 0.80 0.8-1.0
Novoledo Impianto Villaverla (VI) 15.00 50.0-55.0
Osellino Impianto Venezia (VE) 8.10 0.5-1.7
Ottolenghi Impianto Venezia (VE) 25.00 1.5-2.0
Parauro Impianto Mirano (VE) 13.57 7.0-8.0
San Marco Impianto Cessalto (TV) 31.00 5.0-6.0
Bandiziol e Prassaccon Impianto
S. Stino di Livenza (VE) 116.50 0.6-3.0
Tartaro Impianto Legnago (VR) 18.98 5.0-6.0
Basalghelle Bosco relitto Mansuè (TV) 13.20 11.0-12.0
Carpenedo Bosco relitto Venezia (VE) 2.90 3.0-4.0
Olmè Bosco relitto Cessalto (TV) 25.50 1.9-4.2
2.2 Clima e suolo
Le formazioni a querco-carpineto planiziale sono localizzate in un’area a elevata uniformità
climatica (Allegato 1), dove la temperatura media è di circa 13 °C e la piovosità è compresa tra i
700 ed i 950 mm/anno, con l’unica eccezione di Novoledo che, come già detto, occupa una
posizione intermedia tra l’alta e bassa pianura.
In linea generale, dal confronto tra i dati climatici del periodo 1961-1990 e quelli del periodo
1991-2006, si può osservare una costante tendenza all’aumento delle temperature (da 12.8 °C a
13.2 °C) ed alla riduzione delle precipitazioni medie annuali (da 913 mm a 822 mm) come
indicato nelle Figg. 2 e 3.
10.5
11
11.5
12
12.5
13
13.5
14
Carpe
nedo
Fores
to S
uper
iore
Gesia
Novole
do
Osellin
o
Ottolen
ghi
Parau
ro
S. Mar
co
Bandiz
iol e
Pra
ssac
con
Tarta
ro
Basalg
helle
stazioni
tem
pera
ture
(C
°)
T media (1960-1990)
T media (1991-2006)
Fig. 2 Confronto fra temperature medie annue periodo 1960-1990 e 1991-2006
12
Dal punto di vista climatico, secondo ARPAV (2001), dal confronto dei dati meteorologici
relativi al periodo 1995-1999 con i dati medi del trentennio 1961-1990 rilevati dal Centro di
Teolo, risultano in atto le seguenti dinamiche:
• la precipitazione media annua è costante (notevolmente diminuita però nell’area prealpina);
• gli inverni degli ultimi anni sono decisamente meno piovosi e presentano un valore medio di
precipitazioni stagionali di 150 mm al di sotto della media del periodo;
• le temperature medie massime estive ed invernali sono più elevate;
• gli eventi pluviometrici intensi sono sempre più frequenti soprattutto nel periodo autunnale.
0
200
400
600
800
1000
1200
1400
Carpe
nedo
Fores
to S
uper
iore
Gesia
Novole
do
Osellin
o
Ottolen
ghi
Parau
ro
S. Mar
co
Bandiz
iol e
Pra
ssac
con
Tarta
ro
Basalg
helle
Stazioni
Pio
ggia
ann
ua (
mm
)
P media (1960-90)
P media (1991-2006)
Fig. 3 Confronto fra piovosità media annua periodo 1960-1990 e 1991-2006
Per quanto concerne il suolo (Tab. 3), l’indagine si è basata sui dati recentemente pubblicati
dalla Regione del Veneto ed ARPAV nonchè su alcune analisi specifiche realizzate in passato
sui querco-carpineti relitti. In particolare, i suoli che ospitano le formazioni a querco-carpineto
sono generalmente profondi, con tessitura tendenzialmente fine, a reazione alcalina,
moderatamente calcarei, con drenaggio mediocre, falda profonda e regime idrico udico.
In base alla classificazione fatta da ARPAV e Regione del Veneto, si possono distinguere le
seguenti tre “Province di suoli”:
AR (Novoledo): suoli dell’alta pianura recente, ghiaiosa e calcarea, costituite da conoidi e
terrazzi dei fiumi alpini e, secondariamente, piane alluvionali dei torrenti prealpini (Olocene) a
quote comprese tra 15 e 250 m.
BA (Carpenedo, Osellino, Ottolenghi, Parauro, San Marco, Prassaccon – parte, Basalghelle):
bassa pianura antica, a valle della linea delle risorgive, con modello deposizionale a dossi
sabbiosi e piane a depositi fini (Pleistocene) a quote comprese tra 0 e 40 m.
13
BR (Foresto Superiore, Gesia, Bandiziol e Prassaccon, Tartaro e Olmè): bassa pianura recente,
calcarea, a valle della linea delle risorgive, con modello deposizionale a dossi, sabbiosi, e piane
e depressioni, a depositi fini (Olocene) a quote comprese tra 0 e 50 m.
In base alla classificazione WRB (1998), i suoli appartenenti alle province AR e BA sono
classificabili all’interno della categoria Cambisols mentre quelli della provincia AR rientrano tra
i Calcisols. Nell’Allegato 2 sono riportate le descrizioni più particolareggiate delle singole unità
cartografiche.
Tab. 3 Unità cartografiche e principali caratteristiche dei suoli per stazione
Stazione Unità
cartografica Profondità suolo (cm) Tessitura (USDA) pH
Carbonati totali (%) Drenaggio
Profondità falda (cm)
Carpenedo BA2.1 100-150 FS molto fine, F, FL, L 7.9-8.4 1-5 mediocre 100-150
Foresto Superiore BR6.3 50-100 FSA, FA, FLA 7.4-7.8 1-5 mediocre 50-100
Gesia BR6.3 50-100 FSA, FA, FLA 7.4-7.8 1-5 mediocre 50-100
Novoledo AR2.4 >150 FSA, FA, FLA 7.9-8.4 5-10 buono 25-50
Osellino BA2.1 100-150 FS molto fine, F, FL, L 7.9-8.4 1-5 mediocre 100-150
Ottolenghi BA3.1 50-100 FSA, FA, FLA 7.9-8.4 5-10 lento 100-150
Parauro BA2.1 100-150 FS molto fine, F, FL, L 7.9-8.4 1-5 mediocre 100-150
San Marco BA3.3 50-100 A, AS, AL 7.9-8.4 10-25 lento >150
Bandiziol e Prassaccon BR3.4 100-150 FS molto fine, F, FL, L 7.9-8.4 25-40 mediocre 100-150
Prassaccon (parte) BA2.4 100-150 FS molto fine, F, FL, L 7.4-7.8 10-25 mediocre 100-150
Tartaro BR6.1 50-100 A, AS, AL 7.9-8.4 1-5 mediocre 100-150
Tartaro (parte) BR6.2 50-100 FS molto fine, F, FL, L 7.9-8.4 10-25 mediocre 100-150
Basalghelle BA3.2 100-150 FS molto fine, F, FL, L 7.9-8.4 5-10 mediocre 25-50
Carpenedo BA2.1 100-150 FS molto fine, F, FL, L 7.9-8.4 1-5 mediocre 100-150
Olmè BR2.5 100-150 FS molto fine, F, FL, L 7.9-8.4 >40 mediocre >150
(Fonte: Regione del Veneto – ARPAV, 2004)
La Tab. 4 riporta invece alcuni dati derivanti da analisi specifiche fatte nell’ambito di tesi di
laurea (Bonani S., 1980; Urbinati C., 1986; Rossi M., 1990) e di progettazione di interventi
forestali per i querco-carpineti relitti.
Tab. 4 Principali caratteristiche chimico-fisiche dei terreni dei querco-carpineti relitti
Stazione Orizzonte
Spessore orizzonte
(cm) C % N % S.O. % pH Sabbia % Limo % Argilla % Tessitura
Basalghelle O-A 0-5 4.1 0.315 11.2 6.25 n.d. n.d. n.d. -
Basalghelle A 5-20 1.5 0.125 5.7 6.25 n.d. n.d. n.d. FS
Basalghelle B 20-90 1.3 0.11 5.9 5.8 n.d. n.d. n.d. A
Carpenedo O-A 0-5 n.d. n.d. n.d. 7.6 n.d. n.d. n.d. -
Carpenedo A 5-20 n.d. n.d. n.d. 4.5-5.0 n.d. n.d. n.d. LSA
Carpenedo B 20-90 n.d. n.d. n.d. 4.5-5.0 n.d. n.d. n.d. AS
Olmè O-A 0-5 5.2 0.6 8.9 7.7 15.4 19.2 23.7 -
Olmè A 5-20 2.5 0.4 4.3 7.9 14.7 14.9 24.5 LA
Olmè B 20-50 1.1 0.2 1.8 8.1 9.3 17.3 16.7 A-SL
14
In linea generale, si tratta di suoli profondi appartenenti alla famiglia delle terre brune, a
tessitura variabile tra franco argillosa ed argillosa, generalmente ben dotati di sostanza organica
e pH variabile da alcalino ad acido, con un limitato orizzonte organico superficiale e con
orizzonti A e B ben sviluppati.
2.3 Descrizione generale dei popolamenti
Negli imboschimenti sono stati complessivamente rilevati, direttamente o da fonti
bibliografiche, n. 12417 soggetti arborei ed arbustivi. Per ridurre l’effetto margine, n. 1602
soggetti sono stati scartati in quanto costituivano le prime tre piante di bordo dei filari censiti. Al
fine di valutare le variazioni intercorse tra la messa a dimora e l’epoca del rilievo, sono inoltre
stati censiti anche i soggetti morti che complessivamente ammontano a 1327 unità. Il dataset
definitivo è quindi costituito da 10815 soggetti diversi (Tab. 5).
Per quanto riguarda i querco-carpineti relitti (Tab. 6), il dataset è composto da n. 5785 soggetti
arborei ed arbustivi rilevati direttamente o da dati di bibliografia, compresi n. 438 individui
morti. Nell’allegato 3 sono riportati i valori delle principali variabili oggetto di rilievo.
Tab. 5 Riepilogo generale del dataset imboschimenti
Descrizione n. % Soggetti arborei 6858 63% Soggetti arbustivi 2630 24% Soggetti morti 1327 12% Totale 10815 100%
Tab. 6 Riepilogo generale del dataset boschi relitti
Descrizione n. % Soggetti arborei 5288 91% Soggetti arbustivi 59 1% Soggetti morti 438 8% Totale 5785 100%
Tab. 7 Altri dati rilevati
Descrizione Metodologia n. rilievi Strato rinnovazione Transect 2*20 m. 80 (800 sub aree) Strato erbaceo Fitosociologico 74 Accrescimenti diametrici Carotine 170 Accrescimenti ipsodiametrici Analisi fusto 21 soggetti
(237 rotelle)
Per quanto concerne la rinnovazione naturale (Tab. 7), sono stati effettuati 80 transect di
dimensioni 2*20 metri ciascuno suddiviso in 10 sub aree di dimensioni 2*2 m.
I rilievi sono stati poi riaggregati in un dataset di 800 record che riportano le densità di
rinnovazione delle due specie arboree principali della formazione (farnia e carpino bianco) e
15
quelle della componente arborea ed arbustiva. Per quanto riguarda lo strato erbaceo, sono stati
effettuati 74 rilievi su aree campione di superficie variabile da 36 a 40 m2. Per l’analisi degli
accrescimenti ipsodiametrici della farnia, sono state prelevate 170 carotine a 1,3 m da terra ed
effettuata l’analisi del fusto su 21 soggetti dominanti. Complessivamente sono state misurate
237 rotelle legnose prelevate ad intervalli di 1 metro lungo il fusto e 0,5 m per il cimale. I rilievi
sono stati condotti nei popolamenti più rappresentativi del territorio in base alla superficie e, nel
caso degli impianti, sono stati scelti quelli con più classi di età. In alcuni casi limitati, per poter
completare la cronosequenza, sono stati campionati anche impianti su superfici inferiori ad un
ettaro. Tutti gli imboschimenti sono stati realizzati su terreni coltivati in precedenza a
seminativo. In molti casi, gli stessi terreni avevano ospitato un bosco fino ad epoche storiche
recenti (Bosco San Marco, Bosco Carpenedo, Bosco Bandiziol e Prassaccon). Nei querco-
carpineti relitti, la scelta è stata di fatto obbligata in quanto si tratta di formazioni di superficie
estremamente limitata (circa 60 ettari nel Veneto) localizzati in provincia di Venezia e Treviso.
Nella stazione di Basalghelle, sono stati realizzati esclusivamente rilievi su accrescimenti
ipsodiametrici della farnia.
2.4 Modalità di realizzazione e gestione degli impianti
Le operazioni preliminari all’impianto hanno generalmente seguito gli stessi schemi in tutte le
stazioni indagate, con qualche leggera variazione (es. uso di pacciamatura vegetale al posto del
film plastico). All’aratura del terreno segue una ripuntatura profonda per rompere la suola di
lavorazione formatasi dopo anni di coltivazione. Contemporaneamente viene anche distribuito il
fertilizzante (letame maturo) che viene interrato con l’aratura. Sul terreno preparato e livellato, è
stata quindi stesa una pacciamatura, generalmente costituita da un film plastico stabilizzato ai
raggi UVA, che può apportare notevoli vantaggi soprattutto per il contenimento delle specie
erbacee infestanti, il miglioramento del bilancio idrico del suolo ed il mantenimento della
struttura del terreno. Tutto questo permette di ridurre notevolmente le spese di gestione, in
particolare per quanto riguarda lo sfalcio delle infestanti ed il risarcimento delle piantine morte.
La pacciamatura plastica dovrebbe essere generalmente eliminata alla fine del terzo anno
quando i soggetti arborei ed arbustivi si sono ormai affermati sulla vegetazione erbacea. Per
l’impianto sono stati usati prevalentemente semenzali e trapianti di uno o due anni di età, altezza
dai 40 ai 100 cm, muniti di pane di terra o a radice nuda, posti a dimora sul film plastico con
l’uso di bastoni trapiantatori. Il materiale vivaistico utilizzato è stato prodotto principalmente da
vivai pubblici e, talvolta, da vivai privati. In alcuni casi particolari, sono stati impiegati in
numero limitato soggetti a pronto effetto per dare l’impressione di un bosco già parzialmente
sviluppato.
16
2.5 Caratteristiche dei moduli d’impianto
La Tab. 8 riassume le principali scelte progettuali effettuate preliminarmente all’esecuzione
dell’impianto.
Tab. 8 Caratteristiche generali del progetto d’impianto
Stazione Anno impianto Età al rilievo Disegno d'impianto
Distanza intrafilare
(m.)
Distanza interfilare
(m.)
Specie pronto effetto Pacciamatura
7 sinusoidale, a gruppi 2.0 4.0 no si
8 sinusoidale, a gruppi 1.8 3.7 no si
9 sinusoidale, a gruppi 1.7 3.3 no si
16 leggermente sinusoidale, a gruppi
2.4 3.9 no si
Carpenedo 1990 - 1998 1999
17 leggermente sinusoidale, a gruppi
2.3 3.9 no si
Foresto 1991 15 sinusoidale 1.5 4.0 no si
Gesia 1991 15 sinusoidale 1.5 4.0 no si
10 sinusoidale 1.0 2.5 no plastica e vegetale
Novoledo 1988 - 1991
18 sinusoidale 1.5 3.0 no vegetale
9 sinusoidale, a gruppi 2.3 3.2 si si
Osellino 1994
11 sinusoidale, a gruppi 2.1 3.2 si si
7 sinusoidale 2.5 3.0 no si
8 sinusoidale 2.3 3.1 no si
9 sinusoidale 2.1 3.2 no si Ottolenghi 1997-1999
10 sinusoidale 2.5 3.2 no si
Parauro 1992 12 sinusoidale, a file alterne alberi arbusti
1.7 3.1 no si anche sperimentale
9 sinusoidale 1.6 3.3 no si San Marco 1995 - 1997
11 sinusoidale 2.0 2.9 no vegetale
7 sinusoidale 1.7 3.5 no si
8 sinusoidale 1.9 3.2 no si
9 sinusoidale 1.4 3.1 no si
10 sinusoidale 1.9 3.5 no si
Bandiziol e Prassaccon
1995 - 1996 1997 - 1998
1999
11 sinusoidale 2.1 3.0 no si
Tartaro 1991 14 sinusoidale 1.2 3.0 no si
17
Trattandosi di imboschimenti a prevalente finalità naturalistica, per mascherare l’effetto di
artificialità assunto soprattutto nei primi anni è stato adottato un disegno d’impianto a filari
sinusoidali.
Le distanze interfilari impiegate hanno quasi sempre tenuto conto della necessità di una
meccanizzazione delle operazioni colturali e quindi si sono attestate a circa 3 m. (minimo 2,5 m
massimo 4 m) che corrisponde alla larghezza minima consigliata per il transito di un trattore
agricolo. Per la distanza intrafilare, la media adottata è intorno a 2 m., con un minimo di 1 m
fino ad un massimo di 2,5 m.
La consociazione più usata è stata quella a singolo albero, generalmente alterando sulla fila un
soggetto di specie arborea principale ad uno di specie arborea secondaria o arbustiva. Solamente
in pochissimi casi, le piante sono state consociate a gruppi oppure sono stati lasciati dei vuoti
intrafilare. Più frequentemente, soprattutto in prossimità del perimetro esterno dell’impianto,
sono state usate per una profondità di 10-15 m delle distanze intrafilari inferiori impiegando un
maggior numero di arbusti con l’intento di simulare il mantello boschivo.
La Fig. 4 fornisce un’esempio degli schemi usati nella realizzazione degli impianti.
Fig. 4 Disegni d’impianto usati al bosco San Marco (Cessalto); (a nord, impianto realizzato nel 1997; a sud, impianto realizzato nel 1995).
18
2.6 La vegetazione potenziale
Pignatti (1953) ritiene il Querco-Carpinetum boreoitalicum l’associazione forestale climax della
Pianura Padana.
Tale formazione, peraltro oggi molto limitata in termini di estensione, è dominata nel piano
arboreo da Quercus robur e Carpinus betulus con Acer campestre, Fraxinus oxycarpa e Ulmus
minor come specie secondarie (Del Favero et al., 2001b); possono essere presenti anche Prunus
avium, Acer pseudoplatanus e Fraxinus ornus (Del Favero et al., 2001b). Nella Pianura Padana
occidentale compaiono anche Fraxinus excelsior e Tilia cordata (Bracco et al., 2001; Del
Favero, 2004). In stazioni molto umide aumenta la presenza di Ulmus minor e si inseriscono
anche altre specie come Populus sp.pl., Salix alba ed Alnus glutinosa dando origine a cenosi di
transizione verso le formazioni boschive o arbustive più tipicamente igrofile proprie delle zone
umide (Bracco et al., 2001; Del Favero, 2004).
I querco-carpineti della pianura veneto-friulana sono stati molto studiati; essi conservano specie
erbacee relitte alpine o mediterranee e differiscono dai querco-carpineti della Pianura Padana
occidentale per una maggior presenza della flora alpina e soprattutto di quella orientale-
balcanica che li rende molto più simili ad analoghe formazioni slovene piuttosto che ai boschi
centroeuropei (Bracco et al., 2001). In base a queste considerazioni, è stata proposta la
definizione di un’associazione vegetale di gravitazione sudesteuropea, sicuramente valida per la
pianura veneta e friulana, cioè il querceto ad asparago selvatico, Asparago tenuifolii-Quercetum
roboris (Lausi 1966–Marincek 1994).
2.7 Raccolta dei dati
Si deve evidenziare che, pur esistendo numerosi studi e ricerche (Di Berenger A., 1859; Bonani
S., 1980; Rusalen C., 1984; Urbinati C., 1987; Rossi M., 1991; Stevanato M., 1991; Marin S.,
1994; Susmel L., 1994) sui querco-carpineti planiziali relitti del Veneto, ancora poco è stato
fatto per quanto riguarda i giovani impianti. In particolare, esistono degli studi, delle
sperimentazioni e dei monitoraggi che hanno interessato alcuni degli imboschimenti oggetto di
indagine, privi peraltro di un denominatore comune (Alzetta C., 1994; Pelleri F. et al., 2001;
Comune di Venezia, 2003; Centro Idrico Novoledo, 2005).
Le maggiori difficoltà della ricerca consistono da un lato, nella scarsa omogeneità tra i dati
raccolti e, dall’altro, nella variabilità degli imboschimenti.
Per quanto riguarda questi ultimi, si evidenziano i principali problemi che sono stati affrontati
nell’ambito della ricerca:
• età (da 7 a 18 anni)
19
• composizione (specie arboree ed arbustive, densità)
• modalità di realizzazione (disegno d’impianto, pacciamatura, lavorazione terreno, materiale
vivaistico, ecc.)
• modalità di gestione (sfalcio, diserbo, sostituzione fallanze, diradamento, ecc.)
• caratteri stazionali (fertilità, struttura, disponibilità idrica, caratteristiche del suolo, ecc)
Partendo da queste premesse è evidente che i risultati ottenuti sono in buona parte di tipo
descrittivo o quasi sperimentale e quindi sono condizionati preliminarmente da questi fattori di
variabilità in misura maggiore rispetto ad un approccio di tipo sperimentale. Lo studio ha inoltre
consentito di porre le basi per la costituzione di una rete di aree campione permanenti ove poter
effettuare, anche negli anni futuri, il monitoraggio delle diverse componenti indagate.
I rilievi in campo sono iniziati a partire da luglio 2005 e si sono conclusi a marzo 2007.
L’indagine si è articolata sui seguenti livelli:
• strato arboreo
• strato arbustivo
• strato erbaceo
• rinnovazione
• accrescimento della farnia
2.8 Dati rilevati
Per i diversi livelli di indagine, sono stati rilevati i seguenti attributi:
Strato arboreo ed arbustivo
• determinazione della specie botanica
• diametro a 1,3 m dei soggetti vivi, a partire da 1 cm; per i soggetti arbustivi o per alberi
policormici, è stato rilevato il diametro del pollone/fusto più grosso; viene indicata la
media dei due diametri incrociati misurati arrotondata al centimetro inferiore
• numero dei fusti (per ceppaie o soggetti arborei policormici, rilevato in base ai fusti
aventi un diametro >1 cm. a 1,3 metri)
• altezza dendrometrica (dalla base del fusto alla gemma apicale)
• diametro medio della chioma
• altezza di inserzione della chioma (altezza in metri da terra del ramo vivo più basso)
• posizione sociale
• posizione del soggetto rispetto ad un sistema di coordinate locali
• stato fitosanitario generale (localizzazione danno, descrizione sintomo e agente del
danno)
20
Strato della rinnovazione
• posizione riquadro nel transect
• determinazione della specie botanica
• numero di assi per specie botanica e classe di altezza
• specie botanica e copertura dello strato arboreo/arbustivo
• età stimata della rinnovazione
Strato erbaceo
• determinazione della specie botanica
• stima della copertura (metodo Pignatti)
Accrescimento della farnia
• carotaggio di 5 soggetti dominanti di farnia rappresentativi del complesso della
popolazione, scelti casualmente sulla superficie immediatamente circostante le diverse
aree campione. Ciascun albero campionato è caratterizzato anche dai parametri consueti
di rilievo dello strato arboreo.
2.9 Metodologia di rilevamento
E’ stata adottata la metodologia definita per la rete CONECOFOR (Petriccione e Isopi, 1996)
con alcune modifiche. In particolare, per quanto riguarda lo stato fitosanitario, poiché non
costituiva l’argomento principale d’interesse della ricerca, sono stati rilevati solamente i
parametri ritenuti indispensabili per definire la situazione del popolamento allo stato attuale.
Strato arboreo ed arbustivo
Impianti: aree campione permanenti costituite da un filare di piante di lunghezza di 100 m.
Boschi naturali: aree campione permanenti di superficie variabile da 0,04 ha a 1,00 ha.
Strato della rinnovazione
Transect di dimensioni 2x20 m suddivisi in sub aree di 2x2 m disposti sistematicamente
all’inizio ed a metà dell’area campione arboreo/arbustiva.
Strato erbaceo
Aree di superficie variabile (36-40 m2) disposte sistematicamente in corrispondenza dei transect
di rilievo della rinnovazione.
Accrescimento della farnia
Prelievo di n. 5 campioni dendroecologici a 1,3 m di altezza
2.10 Selezione delle aree campione
La scelta del tipo di aree campione è stata condizionata dalle seguenti considerazioni:
21
• la limitata superficie di alcuni impianti avrebbe potuto comportare casi di aree campione
poste al limite del popolamento con conseguenti problemi di sottostima degli attributi
studiati;
• possibilità di effettuare anche negli anni futuri delle ulteriori indagini sulle stesse unità di
campionamento (aree campione permanenti) al fine di poter studiare la dinamica dei
popolamenti;
• esistenza di un gradiente lungo i filari (le piante di margine crescono meno rispetto a
quelle interne) di cui tener conto nella stima degli attributi studiati;
• problemi nel corretto posizionamento delle aree campione;
• possibilità di rappresentare graficamente, tramite il software Stand Visualization System
(USDA, 2002), le diverse situazioni dei popolamenti;
• possibile applicazione di indici di competizione dipendenti dalla distanza.
La strategia di campionamento adottata è di tipo aleatorio, stratificato in base all’età ed alla
superficie del soprassuolo studiato.
Per i rilievi degli attributi dendrometrici degli impianti, si è deciso di adottare il metodo delle
aree campione convenzionali. In linea generale, in questo caso si può parlare di campionamento
a probabilità costante poiché tutti gli alberi della popolazione considerata hanno la stessa
probabilità di essere associati al punto di campionamento prescelto.
A fini campionari, un aspetto di particolare rilevanza riguarda l’ampiezza delle aree campione. Il
principio guida è che un’area campione sia sufficientemente grande da includere un numero
rappresentativo di elementi su cui viene condotto il rilevamento ma al tempo stesso
sufficientemente piccola da non richiedere troppo tempo per eseguire il rilievo.
In ciascuna stazione è stato effettuato un precampionamento su un’area di saggio per stimare la
varianza dei parametri dendrometrici oggetto di studio. Questi, una volta elaborati, hanno fornito
il coefficiente di variazione che è servito per determinare la numerosità del campione necessaria
per rientrare nell’errore campionario prefissato del 10%, considerato valore a cui attenersi per
rilievi ordinari.
Il dimensionamento numerico del campione è stato stimato sulla specie più rappresentativa del
querco – carpineto, ovvero la farnia, considerando tra i parametri dendrometrici oggetto di
rilievo quello con maggior variabilità (dbh) attraverso la seguente formula (Corona, 2001):
n = (t * CV/ε %)²
in cui:
n: numero minimo di unità campionarie
22
t: valore critico del t di Student per il livello di sicurezza statistica del 95%
CV= coefficiente di variazione
ε %= errore campionario percentuale massimo prefissato
2.11 Obiettivi del campionamento
I principali obiettivi del campionamento si possono così riassumere:
• Monitoraggio delle variazioni di accrescimento a scala individuale, di specie
componente, classe sociale e popolazione arborea ed arbustiva.
• Ricostruzione degli andamenti incrementali pregressi della specie arborea più
rappresentativa del complesso censito (farnia).
• Controllo della dinamica auxometrica e strutturale del popolamento in funzione della
mortalità naturale e di coltivazione, dei diversi ritmi di accrescimento per classe sociale e
dei caratteri bio-ecologici delle specie componenti.
• Censimento della presenza, diffusione e stato vegetativo della rinnovazione naturale.
• Valutazione della variazione della composizione dello strato erbaceo in funzione
dell’età.
2.12 Analisi derivate
Le elaborazioni dei dati raccolti hanno consentito di effettuare l’analisi delle distribuzioni di
frequenza per classi di diametro delle sub-popolazioni componenti (classi sociali), la
distribuzione di frequenza dell’area basimetrica, la costruzione della curva ipsometrica e della
relazione ipsodiametrica della chioma. Per rappresentare la struttura del popolamento è stato
utilizzato il software SVS Stand Visualization System (USDA, 2002). I rilievi dendroecologici
(carotine) e l’analisi del fusto sono invece stati utilizzati per testare le relazioni
dendroauxometriche ricavate dalle aree campione per la farnia. Dai dati raccolti è stato anche
possibile valutare lo stato fitosanitario generale del popolamento. I rilievi della rinnovazione
naturale e della vegetazione erbacea hanno consentito di effettuare ulteriori raffronti di carattere
cronologico ed ecologico tra i popolamenti studiati.
2.13 Analisi della distribuzione diametrica
In molti casi, durante la misurazione del diametro i forestali classificano gli alberi per poter
effettuare una migliore analisi a livello di particella. Una delle classificazioni più usate è quella
di Kraft basata sulla posizione dell’albero (dominanza) all’interno della struttura sociale della
particella in funzione dello sviluppo e dell’estensione della chioma. Kraft definì le classi di
piante come esemplificato nella Fig. 5.
23
Fig. 5 Schema illustrativo della classificazione di Kraft. 1) Fusti predominanti; 2) Fusti dominanti; 3) Fusti
scarsamente condominanti; 4) fusti dominati: a) interposti b) parzialmente sottoposti; 5) Fusti completamente
sottostanti: a) con chioma vivente b) con chioma morta o deperiente. (da Cappelli M., 1982).
Le classi sono spesso aggregate in gruppi più ampi (es. classi 1-3 costituiscono il piano
superiore o dominante) classe 4-5 il piano inferiore o dominato. Talvolta le classi 1-3 formano il
piano dominante, il 4 il codominante e il 5 il dominato (Assmann, 1961).
La struttura sociale descritta esiste principalmente nei boschi naturali coetanei. Essa è
fortemente condizionata dai tagli e dall’attività antropica, legata agli interventi di diradamento.
L’appartenenza ad una particolare classe sociale riflette la posizione dell’individuo all’interno
della particella e, attraverso questa, esprime la sua potenzialità di crescita (Oliver e Larson,
1996).
Perciò questa informazione aggiuntiva può essere usata, ad esempio, quando si pianifica un
intervento di diradamento, per scegliere e individuare gli alberi che promettono un
accrescimento maggiore nel futuro.
Spesso quando si tratta di modellizzare la crescita e lo sviluppo di un popolamento,
specialmente usando un approccio basato sul singolo albero, è utile impiegare la posizione
sociale dell’albero come una variabile aggiuntiva del modello ipsometrico (Goff e West, 1975;
Monserud e Ek, 1977, 1979; Ritchie e Hann, 1986), oppure come parte del modello per la
valutazione della mortalità o della competizione interspecifica (Keister e Tidwell, 1975;
Monserud, 1976), oppure come parte dell’equazione per il diradamento utilizzata nel modello
(Bruchwald, 1986, 1988b). La classificazione della chioma o della posizione sociale dell’albero
può anche essere convertita nel diametro delle piante. La distribuzione diametrica totale degli
alberi può essere suddivisa in sottodistribuzioni di ciascuna classe sociale (Lonnroth, 1925;
Assmann, 1970). In ogni caso, Assmann (1961), nella descrizione di una tipica struttura di un
24
popolamento in funzione della classe sociale e del piano di vegetazione ha notato che non è
raggiungibile una completa corrispondenza tra le classi della distribuzione diametrica e le classi
biologiche o sociali delle piante in quanto normalmente vi è una certa sovrapposizione nei
diametri tra le varie classi sociali. Questa sovrapposizione è in parte dovuta ad errori nella
classificazione e in parte causata dalla relazione stocastica tra le altezze delle piante e i diametri
e la variabilità nello spazio delle dimensioni delle piante nel popolamento. Assmann afferma
inoltre che la curva di distribuzione diametrica per classe sociale o per piano di vegetazione può
essere bene approssimata dalla distribuzione normale. Wroblewski (1993) ha descritto
dettagliatamente per il pino silvestre della Polonia i parametri delle diverse classi sociali delle
piante e le equazioni per determinare gli attributi della distribuzione nelle classi biosociali di
Kraft. Per almeno un secolo i forestali hanno tentato di descrivere la distribuzione diametrica
usando modelli teorici. Alcuni di questi modelli sono stati usati, tra l’altro, per scopi
selvicolturali (Meyer, 1952; Leak, 1964), per determinare lo stadio di sviluppo del popolamento,
(Goelz e Leduc, 2002), e per costruire tavole di cubatura e modelli di accrescimento (Lenhard e
Clutter, 1971; Bailey e Dell, 1973; Clutter et al., 1984; Borders et al., 1987; Shiver, 1988;
Borders e Patterson, 1990). La modellizzazione della distribuzione diametrica in popolamenti
puri coetanei è relativamente semplice ed è possibile effettuarla quasi con tutte le distribuzioni
teoriche (es. normale, beta, gamma, Weibull, ecc.). Maltamo (1997) ha modellizzato la
distribuzione di particelle miste di pino silvestre e di abete rosso. Egli ottenne risultati più
accurati usando dei parametri per ciascuna singola specie invece che modellizzare
complessivamente la distribuzione diametrica di tutta il popolamento.
Tab. 9 Classificazione sociale di Kraft e classificazione usata
Classificazione di Kraft Classificazione usata Fusti predominanti Fusti dominanti Fusti scarsamente condominanti
Fusti dominanti
Fusti dominati interposti e parzialmente sottoposti
Fusti codominanti
Fusti completamente sottostanti con chioma vivente o deperiente
Fusti dominati
L’obiettivo è quello di analizzare la struttura sociale del dataset degli impianti e dei boschi relitti
usando categorie più ampie basate sulla classificazione originale di Kraft (Tab. 9).
Per lo studio della distribuzione diametrica, non sono state considerate le specie ecologicamente
non coerenti ed a rapido accrescimento (pioppi) impiegati in alcune stazioni e la componente
arbustiva.
Al fine di definire delle curve di distribuzione diametrica con validità generale per ciascuna
specie e posizione sociale, sui dati di diametro ripartiti in classi di 2 cm è stata eseguita una
25
regressione non lineare (PROC NPAR1WAY SAS Institute Inc. Cary, NC, 2001) attraverso una
procedura bootstrap sui dati grezzi da cui sono stati estratti 1000 campioni con un tasso di
campionamento corrispondente al 50% della popolazione totale.
In caso di non convergenza della procedura, i risultati della regressione sono stati esclusi dalle
successive elaborazioni statistiche.
I valori dei parametri dell’equazione sono stati quindi mediati, calcolando i rispettivi limiti di
confidenza ed il valore di R2 di ciascuna funzione interpolatrice.
Per modellizzare la distribuzione diametrica dello strato arboreo per classi sociali, è stata usata
la funzione di Hoerl (Hoerl, 1954). Questa funzione è una generalizzazione della power function
e della funzione esponenziale. La stima dei parametri a, b e c è quasi senza errore e con
distribuzione normale e ha una varianza minima.
n = a*dbhb*cdbh
in cui:
n= numerosità della classe campionaria;
dbh= diametro del fusto a 1,3 m. (cm.)
a, b c= coefficienti da stimare con la regressione
Quando il parametro c=0, la funzione diventa la power function mentre quando il parametro b=0
la funzione diventa quella esponenziale.
I parametri a e b interagiscono fortemente nel controllo dell’incremento o del decremento della
curva, mentre la variazione del parametro c causa fortissime variazioni nella forma della curva.
2.14 Analisi dell’area basimetrica
L’area basimetrica è un importante indicatore della saturazione del biospazio da parte della
componente arborea ed è uno dei parametri fondamentali per il calcolo del volume legnoso
prodotto da un popolamento.
Un impianto ad alta densità è soggetto nel corso dell’accrescimento ad una mortalità dipendente
dalla densità (autodiradamento). Per una certa dimensione media, esiste un limite al numero di
piante che possono coesistere in un popolamento coetaneo su una determinata superficie. La
relazione che intercorre tra la dimensione media dell’albero (che aumenta nel tempo) ed il
numero di alberi che sopravvivono per unità di superficie (che tende a diminuire nel tempo) può
essere descritta attraverso una linea di densità limite. L’area basimetrica è un importante misura
di densità che considera contemporaneamente le dimensioni medie della pianta e il numero di
26
piante per unità di area. L’area basimetrica è usata per analizzare le relazioni esistenti tra la
densità e la crescita delle piante (Assmann, 1970). Inoltre, in associazione con il numero di
piante, l’area basimetrica può essere usata per definire il tipo e l’intensità dei diradamenti
(Gadow e Hui, 1999; Staupendahl, 1999).
Per lo studio della distribuzione dell’area basimetrica per classi diametriche si è fatto riferimento
all’analisi effettuata per la distribuzione diametrica.
2.15 Analisi delle relazioni ipsometriche
La previsione dell’altezza totale basata sul diametro a 1,3 m della pianta è uno dei dati
comunemente richiesti sia nella gestione pratica che nei lavori di ricerca in campo selvicolturale
(Meyer, 1940). La stima del volume delle piante e la descrizione del popolamento e del loro
sviluppo nel tempo, richiedono la definizione di accurate funzioni che leghino l’altezza al
diametro (Curtis, 1967). Molti modelli di accrescimento richiedono come variabili di base
l’impiego dei dati di diametro ed altezza, in cui le altezze di tutti o di parte dei soggetti siano
derivate da valori diametrici misurati (Burkhart e Tennent, 1977). Nel caso in cui non siano
disponibili valori attuali di crescita in altezza, le funzioni ipsometriche possono essere
indirettamente usate per predire la crescita in altezza (Larsen e Hann, 1987).
A fini gestionali, è molto importante avere informazioni attendibili sull’altezza dei giovani
popolamenti forestali in quanto la programmazione temporale di alcune operazioni
selvicolturali, come i diradamenti, dipende in primo luogo dall’altezza degli impianti.
La curva ipsometrica costituisce una rappresentazione statica della realtà di un popolamento che
varia in funzione dell’età e degli interventi selvicolturali. Nei popolamenti coetanei l’altezza
dominante viene impiegata, a parità di età, come indice di fertilità della stazione (site index).
Al fine di definire delle curve ipsometriche con validità generale per ciascuna specie e posizione
sociale, sui dati di diametro e altezza è stata eseguita una regressione non lineare (PROC
NPAR1WAY SAS Institute Inc. Cary, NC, 2001) attraverso una procedura bootstrap
analogamente a quanto effettuato per la distribuzione diametrica.
I valori dei parametri dell’equazione sono stati quindi mediati, calcolando i rispettivi limiti di
confidenza ed il valore di R2 di ciascuna funzione interpolatrice. Sono state testate tre funzioni
(Gompertz, Chapman-Richards e logistica) ampiamente usate per la modellizzazione della
relazione diametro-altezza.
Gompertz
h=1,3+a*e(-e(b-(c*dbh))
27
Chapman-Richards
h=1,3+a*(1-e(-b*dbh))c
Logistica
h=1,3+a/(1+e(b-k*dbh))
in cui:
h= altezza dendrometrica (m)
dbh= diametro a 1,3 m (cm).
a, b c= coefficienti da stimare con la regressione
2.16 Analisi delle relazioni ipsodiametriche della chioma
L’ampiezza della chioma e l’area di proiezione sul terreno (Condes e Sterba, 2005) sono misure
importanti per descrivere:
• l’efficienza nell’accrescimento (Badoux, 1949; Assmann, 1961; Sterba et al., 1993;
Larocque e Marshall, 1994; Ebert e Deuschle, 2000; Ebert e Eisele, 2001);
• la competizione a livello di popolamento (Krajicek et al., 1961; Stage, 1973; Wykoff et al.,
1982; Arney, 1985; Dahms, 1966; Strub et al., 1975; Smith et al., 1992; Monserud e Sterba,
1996);
• per l’impiego in modelli di accrescimento individuale su base spaziale (Bella, 1971;
Hasenauer et al., 1994; Hasenauer, 2000; Biging e Dobbertin, 1995; Pretzsch et al., 2002).
L’ampiezza della chioma degli alberi cresciuti in un popolamento è stata usata per misurare la
“competizione per la luce” in molti indici di competizione utilizzati nello sviluppo di modelli di
accrescimento su base individuale (Biging e Dobbertin, 1995; Pretzsch et al., 2002). Ci sono
molti studi che hanno sviluppato equazioni con l’obiettivo di prevedere queste misure attraverso
altre variabili facilmente misurabili come, ad es. il diametro, l’altezza, la larghezza della chioma
ed il rapporto di chioma.
In pratica, i modelli di sviluppo della chioma dovrebbero descrivere l’intera variabilità delle
condizioni, comprese tra popolamenti con poche piante fino a quelli con densità molto elevate,
non solo per ragioni teoriche ma soprattutto per sostenere alcuni trattamenti selvicolturali tipici.
28
Per il modello dell’ampiezza della chioma vengono spesso utilizzate come variabili dipendenti il
diametro a 1,3 m assieme all’altezza della pianta (Uzoh e Ritchie, 1996; Pretzsch et al., 2002).
Queste equazioni riescono a fornire il diametro della chioma con una accuratezza sufficiente a
coprire l’intero campo di variazione di valori dall’albero cresciuto isolato a quello cresciuto in
bosco per una determinata specie, soprattutto se viene inserito come parametro il rapporto tra
altezza e diametro.
Poiché l’obiettivo è quello di sviluppare delle equazioni dell’ampiezza di chioma per ciascuna
specie valide per un ampio spettro di tipologie strutturali, densità e condizioni di competizione,
le equazioni più indicate sono quelle che considerano il diametro della chioma come variabile
indipendente mentre il diametro a 1,3 m e l’altezza sono le variabili dipendenti. L’ipotesi di base
è che, nel lungo periodo, le condizioni strutturali della popolamento ed il livello di competizione
di un albero (classe di chioma) siano il riflesso di certe combinazioni di questi due parametri.
Al fine di definire delle relazioni con validità generale per ciascuna specie e posizione sociale,
sui dati di diametro del fusto, diametro della chioma ed altezza è stata eseguita una regressione
non lineare (PROC NPAR1WAY SAS Institute Inc. Cary, NC, 2001) attraverso una procedura
bootstrap analogamente a quanto effettuato per la distribuzione diametrica e la curva
ipsometrica.
I valori dei parametri dell’equazione sono stati quindi mediati, calcolando i rispettivi limiti di
confidenza ed il valore di R2 di ciascuna funzione interpolatrice.
Per il modello è stata usata la seguente equazione:
ln(dch)=a+b*ln(dbh) + c*ln(h)
in cui:
dch= diametro medio della chioma (m)
dbh= diametro del fusto a 1,3 m (cm)
h= altezza dendrometrica (m)
a, b c= coefficienti da stimare con la regressione
Per quanto concerne invece l’altezza di inserzione della chioma, è stata adottata la funzione di
Gompertz.
h_ins=a*e(-e(b-(c*dbh)
29
in cui:
h_ins= altezza di inserimento della chioma rispetto al suolo (m)
dbh= diametro a 1,3 m (cm)
a, b c= coefficienti da stimare con la regressione
2.17 Analisi della relazione diametro-età
Il tempo impiegato da un albero per raggiungere un certo diametro dipende da numerosi fattori
come specie, fertilità, localizzazione geografica, competizione, struttura del popolamento e
fattori ambientali difficilmente disaggregabili.
Lo studio delle relazioni diametro-età è basato sulla tecnica dell’analisi del fusto e sul prelievo
di campioni dendroecologici (rotelle e carotine) della pianta all’altezza di 1,3 m e la successiva
lettura degli anelli effettuata in laboratorio. Su ciascuna rotella è stato marcata la direzione del
nord geografico al fine di ricostruire in laboratorio le altre direzioni cardinali lungo le quali sono
stati letti gli anelli usando il dendrocronografo Aniol ed il software Catras. Sui dati medi di
raggio cumulato ed età di ciascuna rotella, è stata effettuata la regressione usando una procedura
bootstrap analoga a quella impiegata per le altre relazioni, utilizzando la funzione di Chapman-
Richards.
Rcum=a*(1-e(-b*t))c
in cui:
Rcum= valore del raggio (cm) all’età t
t= età misurata sull’anello legnoso (anni)
a, b c= coefficienti stimati con la regressione
2.18 Analisi della relazione altezza-età
Il tempo impiegato da un albero per raggiungere una certa altezza dipende da numerosi fattori
come specie, fertilità, localizzazione geografica, competizione, struttura del popolamento e
fattori ambientali. L’accrescimento in altezza degli individui cambia parzialmente la struttura del
popolamento e viceversa. Pertanto diventa molto difficile attribuire le differenze di altezza o nel
ritmo di accrescimento in altezza alla fertilità, alla competizione, alle caratteristiche genetiche,
alla dinamica del popolamento o ad altri fattori.
30
I modelli di relazione altezza-età stimano generalmente l’altezza di un popolamento in funzione
della fertilità stazionale e dell’età della pianta.
Tali modelli vengono interpolati attraverso un’ampia gamma di età, spesso variabile da uno fino
all’età massima raggiunta dalla specie. Mentre la regressione di un dataset con una ridotta
gamma di età può essere piuttosto scadente a causa della rigidità della funzione matematica
usata, di solito quando il campo di variazione dell’età è maggiore si ottengono risultati
soddisfacenti nell’equazione età-altezza.
Lo studio delle relazioni altezza-età è basato sulla tecnica dell’analisi del fusto che prevede la
raccolta di campioni (rotelle) del tronco ad altezze predeterminate, di solito ogni 1-2 m, e la
lettura degli anelli effettuata in laboratorio. Per effettuare la regressione, è stata usata una
procedura bootstrap sui dati di altezza cumulata ed età, impiegando la funzione di Chapman-
Richards.
h=a*(1-e(-b*t))c
h= altezza della pianta all’età t (m);
t= età della pianta misurata sulla rotella (anni)
a, b c= coefficienti da stimare con la regressione
2.19 Analisi dello stato fitosanitario
Nell’ambito dell’indagine, è parso opportuno valutare, ove possibile, anche se in maniera non
approfondita, lo stato generale di salute dei popolamenti studiati. Per fare ciò, sono state adattate
alle esigenze specifiche le codifiche e le procedure definite dalla rete CONECOFOR
(Petriccione e Isopi, 1996) per lo studio degli aspetti fitopatologici. Per valutare la mortalità
naturale, è stata adottata la seguente funzione allometrica:
Nt= N0*K-t
Nt = numero di soggetti vivi all’età t
N0 = numero di soggetti all’impianto
K= coefficiente di mortalità
t= età dell’impianto (anni)
La stima del coefficiente di mortalità K, è stata effettuata attraverso il calcolo della media della
mortalità rilevata in ciascun impianto.
31
2.20 Analisi della rinnovazione naturale
Per gli impianti, sono stati inclusi nella categoria rinnovazione naturale tutti gli individui arborei
ed arbustivi presenti negli interfilari, suddividendoli in classi di altezza (Tab. 10):
Tab. 10 Classificazione della rinnovazione naturale
Classe rinnovazione Limiti di altezza (m)
Plantule h< 0,1 m
Semenzali 0,1<h<0,5 m
Classe 1 0,5<h<1,0 m
Classe 2 1,0<h<2,0 m
Classe 3 2,0<h<3,0 m
Durante i rilievi sono state contate anche le plantule cioè gli esemplari ancora provvisti di
cotiledoni. Analisi più approfondite sono state svolte esclusivamente sulla rinnovazione delle
due specie arboree più importanti (Quercus robur e Carpinus betulus). Nelle elaborazioni
(riguardanti la distribuzione, le relazioni rispetto alla copertura di altre specie ecc…) le sub aree
di 4 m² sono state trattate come campioni distinti in modo da disporre di 10 dati per ogni transect
e quindi complessivamente di 800 campioni.
Per verificare le differenze esistenti tra le diverse variabili della rinnovazione naturale oggetto di
misurazione (composizione, densità, altezza) ed i parametri strutturali degli impianti (età,
copertura, disegno d’impianto, localizzazione, ecc.) è stata usata l’analisi della varianza (PROC
ANOVA e PROC GLM SAS Institute Inc. Cary, NC, 2001), applicando il test della mediana e
di Wilcoxon basato sulla distribuzione statistica del χ2.
2.21 Analisi della vegetazione erbacea
In genere, per l’analisi della vegetazione si ritengono sufficienti aree di 10-25 m² per i prati, 100
m² per boschi di conifere, leccete e vegetazioni pioniere e 150 m² per faggete e querceti
(Pignatti, 1995) ma che possono essere ampliati fino a 500 m².
Per quanto riguarda gli impianti, i rilievi sono stati condotti su aree quadrate di circa 36-40 m²,
ubicate in corrispondenza dei rilievi della rinnovazione naturale e delimitate da tre filari di
piante, mentre nei boschi sono state fatte delle aree campione di 150 m².
Il maggior difetto di rilievi eseguiti con dimensioni troppo esigue è proprio di non riuscire a
rappresentare specie poco diffuse.
Va comunque precisato che le liste delle entità botaniche presenti nei boschi sono raramente, se
non mai, complete, perfino quando derivano da ripetute visite nella stagione e che l’analisi dei
32
fattori che determinano il loro numero e distribuzione in una certa foresta è necessariamente
impreciso perché le condizioni stazionali possono variare radicalmente entro un singolo bosco.
I limiti di altezza per i vari strati di vegetazione sono stati fissati osservando le caratteristiche
degli impianti e dei boschi in esame, individuando i seguenti strati:
• strato erbaceo: 0-1 m
• strato rinnovazione: 0-3 m
• strato arbustivo: 3-5 m
• strato arboreo: > 5 m
La classificazione delle specie è stata effettuata secondo Zangheri (1976). La nomenclatura
adottata e l’attribuzione della forma biologica e del tipo corologico ad ogni specie segue quanto
riportato da Pignatti (1982).
I rilievi floristici sono stati eseguiti secondo il metodo fitosociologico di Braun-Blanquet
modificato da Pignatti (1953) valutando la percentuale di copertura di ogni specie in ogni strato
vegetale.
L’indagine svolta intende verificare l’esistenza di relazioni tra la composizione dello strato
erbaceo, età dell’impianto, copertura del suolo e condizioni ecologiche stazionali, facendo gli
opportuni confronti con i boschi relitti.
I dati stazionali sono stati ricavati indirettamente dalla vegetazione presente tramite l’utilizzo
degli indici ecologici di Ellenberg (1974). Come noto, gli indici riflettono il comportamento
ecologico di una certa specie e non le sue preferenze fisiologiche e sono stati messi a punto per il
Centro Europa.
Seguendo i suggerimenti di numerosi autori per il calcolo del valor medio stazionale di ogni
indice si è preferito adoperare una media aritmetica semplice, senza ponderazioni, basata solo
sui valori di presenza/assenza.
33
3. Risultati e discussione
3.1 Composizione
3.1.1 Composizione generale
Per quanto riguarda gli impianti, le Fig. 6 e 7 mostrano rispettivamente la composizione generale
delle specie arboree ed arbustive nel dataset esaminato. Le specie arboree (farnia e carpino
bianco) caratteristiche dell’associazione costituiscono circa il 52% del totale e riflettono in gran
parte il risultato dei criteri e della composizione adottati in fase di progettazione. Analoghe
considerazioni si possono fare anche per le specie arbustive, dove invece prevale il biancospino,
seguito dalle altre specie che invece sono ugualmente rappresentate (nocciolo, frangola,
prugnolo, pallon di maggio).
umi2%
tco3%
qro34%
fox10%
for4%
cbe18%
altre13%
agl4%
aca12%
Fig. 6 Composizione del dataset specie arboree (umi= Ulmus minor; tco= Tilia cordata; qro=Quercus robur; fox= Fraxinus oxycarpa; for= Fraxinus ornus; cbe= Carpinus betulus; altre= altre latifoglie; agl= Alnus glutinosa; aca= Acer campestre)
vop10%
psp11%
fal11%
csa8%
cmo20%
cav12%
altre28%
Fig. 7 Composizione del dataset specie arbustive (vop= Viburnum opulus; psp= Prunus spinosa; fal= Frangula alnus; csa= Cornus sanguinea; cmo=Crataegus monogyna; cav=Corylus avellana; altre= altre specie)
34
3.1.2 Composizione per posizione sociale
In base alla posizione sociale (Tab. 11), mediamente sono presenti circa 1005 soggetti arborei
per ettaro, di cui quasi tre quarti occupano il piano superiore e i rimanenti invece rappresentano
il piano dominato.
Tab. 11 Dati medi a ettaro per specie e posizione sociale dello strato arboreo Posizione sociale
Specie dominante codominante dominato densità ha-1 Quercus robur 201 78 76 355 Carpinus betulus 57 66 66 190 Acer campestre 23 40 60 123 Fraxinus oxycarpa 84 11 6 101 Fraxinusornus 1 8 33 42 Alnus glutinosa 25 8 6 40 Tilia cordata 6 4 16 26 Ulmus minor 19 2 1 22 Altre specie 62 22 22 106
Totale 480 240 285 1005 % 48% 24% 28% 100%
Lo strato dominante è costituito soprattutto da specie eliofile dotate di buoni ritmi di
accrescimento (farnia, frassino ossifillo, ontano nero, olmo campestre ed altre specie) che
rappresentano circa la metà del soprassuolo arboreo. Le specie arboree accessorie (acero
campestre, orniello e tiglio selvatico) sono invece fortemente rappresentate nel piano dominato
mentre il carpino bianco è equamente distribuito in tutti i piani di vegetazione.
Lo strato arbustivo è mediamente composto da 406 soggetti ha-1, rappresentati quasi
esclusivamente nel piano dominato (Tab. 12).
Tab. 12 Dati medi a ettaro dello strato arbustivo Specie Densità ha-1
Crataegus monogyna 82 Corylus avellana 47 Prunus spinosa 46 Frangula alnus 43 Viburnum opulus 40 Cornus sanguinea 33 Altre 114 Totale 406
3.1.3 Composizione per età
La composizione relativa alle diverse età (Fig. 8), soprattutto negli impianti piu vecchi (età>12
anni), è piuttosto variabile mentre tende a diventare omogenea per quelli più recenti. In media,
nella realizzazione degli impianti è stato usato un rapporto di 1:3 o 1:4 tra specie arboree ed
arbustive. Merita segnalare che in un caso è stata usata una percentuale di arbusti superiore alle
35
specie arboree, mentre in un’altro caso è stato fatto un impianto iniziale di sole specie arboree
successivamente integrato da alcuni soggetti arbustivi posti a dimora in sostituzione delle
fallanze.
0%
10%
20%
30%
40%
50%
60%
70%
80%
90%
100%
7 8 9 10 11 12 14 15 16 17 18 media
età (anni)
Com
posi
zion
e
arbusti
alberi
Fig. 8 Composizione degli impianti per età
3.1.4 Composizione per stazione ed età
Per quanto concerne la composizione per stazione (Fig. 9), si possono fare analoghe
considerazioni rispetto all’età. Solamente in tre stazioni (Foresto, Gesia e Tartaro) sono state
usate negli impianti delle percentuali di arbusti superiori o in quasi uguali ai soggetti arborei
mentre in tutti gli altri casi è stato adottato il rapporto 1:3 o 1:4.
0%
10%
20%
30%
40%
50%
60%
70%
80%
90%
Carpe
nedo
Fores
to
Gesia
Novole
do
Osellin
o
Ottolen
ghi
Parau
ro
San M
arco
Bandiz
iol
Tarta
ro
med
ia
stazione
Com
posi
zion
e %
arbusti
alberi
Fig. 9 Composizione degli impianti per stazione
Per maggior chiarezza, si è voluto anche riportare i dati della composizione attuale degli
impianti, considerando anche i soggetti morti a seguito della selezione naturale o delle prime
36
operazioni di diradamento effettuate negli impianti più vecchi. Dalla Tab. 13 si può evincere
come le differenze nella composizione arborea/arbustiva tendano a ridursi disaggregando i dati a
livello di stazione ed età.
Tab. 13 Composizione media impianti per stazione ed età
Stazione Età Soggetti arborei
Soggetti arbustivi
Soggetti morti Note
Carpenedo 7 76% 16% 9%
Carpenedo 8 57% 25% 18%
Carpenedo 9 54% 28% 18%
Carpenedo 16 85% 10% 5%
Carpenedo 17 87% 7% 6%
Foresto 15 45% 55% n.d.
Gesia 15 48% 52% n.d. diradato
Novoledo 10 56% 27% 17% diradato
Novoledo 18 45% 33% 22% diradato
Osellino 9 73% 21% 6%
Osellino 11 65% 20% 15%
Ottolenghi 7 55% 15% 30%
Ottolenghi 8 57% 16% 26%
Ottolenghi 9 68% 22% 10%
Ottolenghi 10 75% 13% 12%
Parauro 12 59% 23% 18% diradato
San Marco 9 62% 27% 11%
San Marco 11 91% 8% 1%
Bandiziol e Prassaccon 7 64% 28% 8%
Bandiziol e Prassaccon 8 68% 27% 5%
Bandiziol e Prassaccon 9 65% 26% 8%
Bandiziol e Prassaccon 10 71% 23% 7%
Bandiziol e Prassaccon 11 66% 22% 13%
Tartaro 14 35% 28% 37% diradato
Media 64% 24% 14%
Si può inoltre apprezzare come in alcuni casi l’azione della selezione naturale si esplichi in
misura diversa tra stazioni, soprattutto in funzione della densità d’impianto e delle indispensabili
operazioni di gestione selvicolturale.
3.1.5 Composizione boschi relitti
La composizione dei boschi relitti presenta profonde anomalie e notevoli differenze tra le due
stazioni oggetto di indagine (Figg. 10 e 11).
In particolare, a Carpenedo si riscontra un generale impoverimento delle specie che
costituiscono lo strato arboreo che risulta costituito per il 90% circa da due sole specie (farnia e
carpino bianco), mentre le altre latifoglie sono relegate ai margini a costituire il mantello della
piccola formazione boscata. Ad Olmè invece è in atto una dinamica molto intensa, sia a causa
degli interventi antropici sul soprassuolo, connessi alle operazioni di diradamento ed impianto,
37
talvolta anche di specie alloctone ecologicamente non coerenti con la tipologia forestale (es.
Juglans nigra, Fraxinus excelsior), sia per le note patologie a carico della farnia e dell’olmo
campestre che stanno portando alla regressione di queste specie tipiche del querco-carpineto.
A Olmè, il carpino bianco sembra essere una specie assolutamente marginale del popolamento,
rappresentando solamente il 3% delle specie arboree.
cbe50%
qro40%
altre10%
Fig. 10 Composizione delle specie arboree del bosco Carpenedo (qro=Quercus robur; cbe= Carpinus betulus; altre=
altre latifoglie)
aca34%
fox20%
qro16%
umi15%
rps4%
fex3%
altre8%
Fig. 11 Composizione delle specie arboree del bosco Olmè (aca= Acer campestre; fox= Fraxinus oxycarpa; qro=Quercus robur; umi= Ulmus minor; rps= Robinia pseudoacacia; fex= Fraxinus excelsior; altre= altre latifoglie)
Maggiori analogie si possono riscontrare nella composizione dello strato arbustivo dei due
boschi relitti. Alcune specie come acero campestre, olmo campestre, biancospino e nocciolo
(Figg. 12 e 13) tendono ad essere presenti in misura più o meno abbondante in entrambi i
popolamenti mentre altre specie (fusaggine, pallon di maggio, pero selvatico, melo selvatico e
ciliegio) tendono ad essere più esclusive.
38
aca23%
umi23%
pav15%
ppy8%
cmo23%
cav8%
Fig. 12 Composizione delle specie arbustive del bosco Carpenedo (aca= Acer campestre; umi= Ulmus minor; pav= Prunus avium; ppy=Pyrus pyraster; cmo=Crataegus monogyna; cav=Corylus avellana)
eeu33%
msy23%
aca18%
vop11%
umi10% cav
4%
altre1%
Fig. 13 Composizione delle specie arbustive del bosco Olmè (eeu= Euonymus europaeus; msy= Malus sylvestris aca=Acer Campestre; vop= Viburnum opulus; umi= Ulmus minor; cav=Corylus avellana; altre= altre specie)
39
3.2 Distribuzione diametrica
3.2.1 Distribuzione diametrica per posizione sociale
Considerando che il campo di variazione dei diametri degli impianti è molto ridotto ed al fine di
diminuire la varianza campionaria ed avere comunque sufficienti valori per effettuare le indagini
statistiche, si è deciso di adottare una soglia di 2 cm. per distinguere le classi diametriche
attribuendo a ciascuna il valore diametrico centrale (es. diametro 1-3 cm = classe dbh 2 cm).
La Tab. 14 riporta i risultati della regressione sui dati di frequenza per classe diametrica ottenuti
impiegando la funzione di Hoerl (Hoerl, 1954).
Tab. 14 Valori dei parametri della regressione, limiti di confidenza e coefficiente di determinazione su frequenza e classe diametrica degli impianti
specie pos. soc. n. q5_a q5_b q5_c q5_rsq a b c rsq q95_a q95_b q95_c q95_rsq
aca cd 1000 20.4557 1.6862 -1.0040 0.8785 30.5143 2.3832 -0.7759 0.9722 41.2139 3.1662 -0.5883 0.9959
aca dm 999 98.5542 1.0526 -1.2268 0.9616 126.1553 1.7039 -0.8746 0.9887 175.9158 2.5253 -0.6199 0.9988
aca do 1000 4.7247 1.6993 -1.0341 0.8158 8.7794 2.5173 -0.6773 0.9378 13.4893 3.7099 -0.4589 0.9851
aca tot 1000 122.9382 1.3297 -0.8340 0.9848 141.7291 1.6958 -0.6892 0.9950 165.2773 2.1003 -0.5621 0.9990
agl dm 700 2.0759 0.0000 -0.4770 0.0143 5.3105 0.0000 -0.1163 0.3440 10.7420 1.1217 0.0000 0.8966
agl do 1000 0.0000 3.6441 -1.2908 0.5270 0.0069 5.9693 -0.6157 0.7288 0.1518 14.5508 -0.3983 0.8813
agl tot 1000 0.0128 1.7066 -0.7413 0.5372 0.2443 4.0315 -0.5021 0.7488 3.6422 6.3957 -0.2606 0.8969
arb cd 1000 112.4330 1.8868 -0.7041 0.9705 131.2726 2.1353 -0.6348 0.9891 149.2260 2.4177 -0.5756 0.9981
arb dm 1000 587.1079 1.1451 -0.9605 0.9916 662.5495 1.4498 -0.8284 0.9967 754.4826 1.7610 -0.7023 0.9994
arb do 1000 28.6932 2.0881 -0.4326 0.9775 39.1138 2.3338 -0.3948 0.9868 50.4171 2.6364 -0.3626 0.9929
arb tot 1000 535.2845 0.8791 -0.3455 0.9931 564.8787 0.9617 -0.3257 0.9966 592.3651 1.0491 -0.3064 0.9988
cbe cd 1000 31.6493 1.7410 -0.8301 0.9351 40.7684 2.1848 -0.6778 0.9809 50.5316 2.7204 -0.5485 0.9973
cbe dm 1000 98.7428 1.0262 -1.1039 0.9485 126.9661 1.6286 -0.8116 0.9856 169.0644 2.3088 -0.5711 0.9987
cbe do 1000 12.0003 1.4014 -0.5551 0.8738 18.3475 1.8254 -0.4481 0.9555 24.1454 2.3589 -0.3605 0.9912
cbe tot 1000 137.8734 1.2336 -0.6113 0.9745 154.4278 1.4664 -0.5311 0.9922 172.1456 1.7297 -0.4616 0.9984
for tot 998 59.8185 0.0000 -0.6564 0.9233 71.5262 0.5058 -0.4450 0.9833 87.0600 1.0753 -0.3042 0.9989
fox cd 937 0.0308 1.6970 -1.9731 0.6503 0.7338 4.4634 -0.9184 0.9230 4.3383 9.8665 -0.3828 0.9920
fox do 1000 0.3895 3.1523 -0.7922 0.9008 1.4538 4.0774 -0.6293 0.9528 3.7370 5.3470 -0.5111 0.9816
fox tot 1000 3.1397 2.3298 -0.6367 0.9174 6.7667 2.9362 -0.5212 0.9577 11.6766 3.7767 -0.4346 0.9835
qro cd 1000 39.2501 1.7043 -0.7787 0.9554 50.3240 2.0874 -0.6601 0.9870 61.0118 2.5308 -0.5549 0.9979
qro dm 1000 196.0454 1.0120 -1.2949 0.9963 243.8340 1.6208 -0.9915 0.9994 330.3634 2.2835 -0.7410 0.9999
qro do 1000 9.8201 1.8287 -0.4231 0.9549 16.4081 2.1861 -0.3604 0.9750 23.5914 2.6776 -0.3132 0.9888
qro tot 1000 166.2482 0.6829 -0.3056 0.9852 181.3740 0.8234 -0.2769 0.9938 198.0873 0.9498 -0.2457 0.9975
tco tot 1000 15.4801 0.0000 -0.2351 0.6392 20.4844 0.0000 -0.1492 0.8297 26.6706 0.3416 -0.1037 0.9417
umi tot 1000 0.0000 2.6052 -1.8369 0.5770 0.0033 7.1690 -0.8407 0.8060 0.6351 17.0080 -0.3441 0.9349
Specie: aca= Acer campestre; agl= Alnus glutinosa; arb= arboree totale; cbe= Carpinus betulus; for= Fraxinus ornus; fox= Fraxinus oxycarpa; qro= Quercus robur; tco= Tilia cordata; umi= Ulmus minor; Pos. sociale: do= dominante; dm= dominato; cd=codominante; tot=totale.
Si può notare come la funzione di Hoerl sia dotata di una estrema flessibilità che la rende
ottimale per interpolare i dati della distribuzione diametrica producendo elevatissimi valori di
R2.
40
0
50
100
150
200
250
300
2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30 32 34 36 38
dbh (cm)
N h
a-1
totale
dominante
codominante
dominata
Fig. 14 Distribuzione diametrica generale per posizione sociale
La curva generale del dataset (Fig. 14) dimostra una classica distribuzione gaussiana con la
moda centrata sui valori di 4 cm di diametro ed una lunga coda rapidamente decrescente verso
destra. Questo picco corrisponde anche al valore massimo assunto dalla curva degli individui del
piano codominante. Anche la curva dello strato dominante tende ad avere una distribuzione
gaussiana con il massimo a 6-8 cm. di diametro mentre il piano dominato presenta una curva a J
inverso con un massimo a 2 cm.
Degno di nota è l’andamento analogo e parallelo delle curve del piano dominante e codominante
fino ad un diametro di 4 cm. che potrebbe rappresentare una soglia di differenziazione tra i piani.
La curva risente del fatto che i rilievi sono stati eseguiti per classi di età ponderandoli con la
superficie occupata dagli stessi.
In linea generale, si possono distinguere due gruppi di curve, che caratterizzano le specie in base
alla posizione sociale ed alla velocità di accrescimento:
1. distribuzione a J inverso, tipica degli individui del piano dominato e delle specie
che manifestano un accrescimento diametrico più lento (es. orniello e tiglio
selvatico);
2. distribuzione gaussiana, con una coda più o meno allungata verso destra, tipica dei
soggetti che occupano il piano dominante e codominante e che manifestano un
accrescimento diametrico più rapido.
41
3.2.2 Distribuzione diametrica per posizione sociale e specie
La curva della distribuzione diametrica per posizione sociale, oltre ad evidenziare i ritmi di
accrescimento, ben si presta a indicare le esigenze ecologiche delle diverse specie arboree.
In particolare, per quanto riguarda la farnia (Fig. 15) si può notare che fin dalle prime fasi di
sviluppo vi è una forte differenziazione tra gli accrescimenti dei soggetti appartenenti ai diversi
piani. La marcata eliofilia della specie e la rapidità di accrescimento consentono alla
maggioranza dei soggetti di farnia di svilupparsi nel piano dominante raggiungendo un massimo
in corrispondenza di 8 cm di diametro. I soggetti del piano codominante e dominato
raggiungono invece il massimo a valori di diametro rispettivamente pari a 4 cm e 2 cm,
manifestando così la scarsa tolleranza alla riduzione di luminosità e di spazio che tende a
comprometterne, talvolta in modo irreversibile, lo sviluppo.
0
10
20
30
40
50
60
70
80
90
2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30 32 34
dbh (cm)
N h
a-1
totale
dominante
codominante
dominata
Fig. 15 Distribuzione diametrica della farnia per posizione sociale
0
10
20
30
40
50
60
70
2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22
dbh (cm)
N h
a-1
totale
dominante
codominante
dominata
Fig. 16 Distribuzione diametrica del carpino bianco per posizione sociale
42
Al contrario, l’accentuata sciafilia del carpino bianco consente uno sviluppo normale anche ai
soggetti che occupano il piano codominante e dominato. La Fig. 16 dimostra infatti come non vi
sia una netta separazione tra i soggetti dei diversi piani né per quanto riguarda le frequenze né
per il diametro massimo.
Simili considerazioni si possono fare anche per l’acero campestre, specie ben adattata a tollerare
ridotti livelli di luminosità.
Per quanto riguarda le altre specie, il numero esiguo di soggetti e/o le loro diverse esigenze
ecologiche non hanno sempre consentito di effettuare delle regressioni per ciascuna posizione
sociale occupata.
Si possono identificare i comportamenti simili del frassino ossifillo, dell’olmo campestre e
dell’ontano nero, specie eliofile ed a rapido accrescimento, con un massimo della curva di
distribuzione diametrica a 10 cm.
Analogia di comportamento viene dimostrata anche tra orniello e tiglio selvatico, che
rappresentano le specie arboree caratterizzate dallo sviluppo iniziale più lento e con individui
presenti quasi esclusivamente nel piano dominato.
Le rappresentazioni grafiche relative a tali specie sono riportate nell’Allegato 4.
Passando ad esaminare la distribuzione diametrica in base alla loro posizione sociale, si può
osservare che l’andamento delle curve si presenta simile tra le diverse specie.
0
50
100
150
200
250
2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30 32 34 36 38
dbh (cm)
N/h
a
for
tco
agl
umi
aca
fox
cbe
qro
Fig. 17 Distribuzione diametrica totale per specie (for= Fraxinus ornus; tco= Tilia cordata; agl= Alnus glutinosa; umi= Ulmus minor; aca= Acer campestre; fox= Fraxinus oxycarpa; cbe= Carpinus betulus; qro= Quercus robur)
43
0
10
20
30
40
50
60
70
80
90
100
2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30 32 34 36 38
dbh (cm)
N/h
atotale
qro
cbe
fox
aca
umi
agl
Fig. 18 Distribuzione diametrica del piano dominante per specie (agl= Alnus glutinosa; umi= Ulmus minor; aca= Acer campestre; fox= Fraxinus oxycarpa; cbe= Carpinus betulus; qro= Quercus robur)
0
10
20
30
40
50
60
70
80
90
2 4 6 8 10 12 14 16 18 20
dbh (cm)
N/h
a
totale
qro
cbe
fox
aca
Fig. 19 Distribuzione diametrica del piano codominante per specie (aca= Acer campestre; fox= Fraxinus oxycarpa; cbe= Carpinus betulus; qro= Quercus robur)
0
20
40
60
80
100
120
2 4 6 8 10 12 14 16 18
dbh (cm)
N/h
a
totale
qro
cbe
aca
tco
for
Fig. 20 Distribuzione diametrica del piano dominato per specie (aca= Acer campestre; cbe= Carpinus betulus; qro= Quercus robur; tco= Tilia cordata; for= Fraxinus ornus)
44
La Fig. 17 consente di apprezzare il contributo delle singole specie nella distribuzione
diametrica media degli impianti. La farnia, il frassino ossifillo, l’olmo campestre e l’ontano
nero, vanno a costituire i soggetti più grossi del popolamento mentre le altre specie sono
fortemente rappresentate nelle classi diametriche inferiori. Le Figg. 18-20, consentono di fare
dei confronti tra specie aventi la medesima posizione sociale e confermano l’esistenza di
differenti velocità di accrescimento diametrico tra le specie arboree. Per il piano dominante,
farnia, frassino ossifillo, olmo campestre e ontano nero presentano un massimo centrato su
valori di 8-10 cm di diametro, mentre per le altre specie arboree secondarie (acero campestre,
carpino bianco) ed accessorie (tiglio selvatico ed orniello) tale valore si riduce rispettivamente a
6 cm ed a 2 cm. Per quanto riguarda il piano codominante (Fig. 19), la farnia dimostra un
rallentamento dell’accrescimento che la pone allo stesso livello dell’acero campestre e del
carpino bianco. Tale sintomo sembrerebbe confermare la “sofferenza” dei soggetti appartenenti
a queste specie soprattutto nei confronti dello spazio e dalla luce. Per quanto riguarda il frassino
ossifillo la scarsità degli individui presenti farebbe invece supporre che non vi sia una effettiva
separazione tra il piano dominante e codominante. Nel piano dominato (Fig. 20), l’analogia di
comportamento tra farnia, acero campestre e carpino bianco tende ad accentuarsi ancora di più,
arrivando quasi alla sovrapposizione delle curve delle distribuzioni diametriche. L’orniello ed il
tiglio selvatico continuano a presentare comportamenti differenziati che tenderebbero a
confermare uno sviluppo diametrico più “tardivo” rispetto alle altre specie arboree.
3.2.3 Distribuzione diametrica per stazione ed età
Al fine di evidenziare eventuali problemi di accrescimento a livello stazionale, sono stati posti a
confronto le distribuzioni diametriche per classe cronologica.
0
50
100
150
200
250
300
350
400
450
2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24
dbh (cm)
N h
a-1
età 7
età 8
età 9
età 16
età 17
Fig. 21 Confronto tra le distribuzioni diametriche per classe di età della stazione di Carpenedo
45
A Carpenedo (Fig. 21) gli impianti più vecchi hanno avuto dei problemi di accrescimento
segnalati dal relativamente più basso valore della media diametrica, centrata sugli 8 cm.
0
20
40
60
80
100
120
140
160
180
2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30 32 34 36 38
dbh (cm)
N/h
a foresto
gesia
Fig. 22 Confronto tra due stazioni coetanee sottoposte a diversa gestione selvicolturale
Nelle due stazioni di Foresto e Gesia (Fig. 22), le distribuzioni diametriche hanno un andamento
molto simile: la differenza principale è costituita dal fatto che a Gesia è stato fatto un leggero
diradamento a carico del piano dominato mentre a Foresto ha agito solamente la selezione
naturale.
0
100
200
300
400
500
600
4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30
dbh (cm)
N/h
a età 10
età 18
Fig. 23 Distribuzione diametrica stazione di Novoledo
A Novoledo invece (Fig. 23), si può notare la differenza tra la situazione all’età di 10 anni subito
prima del diradamento e quella attuale (età 18) alcuni anni dopo il taglio che è intervenuto sul
piano codominante lasciando inalterato il piano dominato.
46
0
100
200
300
400
500
600
700
800
2 4 6 8 10 12 14 16
dbh (cm)
N h
a-1età 7
età 8
età 9
età 10
età 11
Fig. 24 Confronto tra le distribuzioni diametriche per classe di età della stazione di Bandiziol e Prassaccon
Nella stazione di Bandiziol e Prassaccon (Fig. 24), le età scalari degli impianti e l’uniformità
della composizione consentono di percepire meglio la dinamica dello sviluppo cronologico della
curva di distribuzione diametrica: partendo dalle età più giovani, la curva tende a passare
velocemente da una forma a J inverso (età 7 e 8 anni) ad una forma gaussiana (età > 8 anni). La
curva si appiattisce e la moda tende a spostarsi verso destra, con una coda che progressivamente
si allunga verso i diametri maggiori. Le altre distribuzioni diametriche presentano caratteristiche
simili a quelle viste sopra e si è ritenuto superfluo riportarle nell’indagine.
3.2.4 Distribuzione diametrica tra stazioni
Per effettuare un confronto tra le curve di distribuzione diametrica per età tra le diverse stazioni,
la densità arborea della singola stazione è stata trasformata in valore percentuale. Malgrado la
differenza esistente nella composizione specifica che provoca una “coda” verso destra che ne
modifica la forma, possiamo notare che fino all’età di 8 anni (Figg. 25 e 26) non vi sono
sostanziali differenze nella distribuzione delle classi diametriche maggiori. Tale fenomeno
potrebbe essere attribuibile alla mancanza di un effetto di competizione tra i diversi soggetti,
fenomeno che inizierebbe a manifestarsi solamente ad una certa età corrispondente ad un certo
sviluppo delle piante. Ciò conferma l’ipotesi che nei primi anni dalla messa a dimora lo sviluppo
dei soggetti arborei non sia influenzato dalla densità dell’impianto e neppure dalle caratteristiche
della stazione. Solamente a partire dall’età di 9 anni, comincia ad emergere il fattore densità
d’impianto che peraltro sembra avere un effetto positivo sugli accrescimenti. In particolare,
sembra che maggiore sia la densità e maggiore sia l’accrescimento dello strato arboreo (Figg. 27
e 28). Se passiamo agli accrescimenti per specie ed età, sembra evidenziarsi anche un influsso
dei fattori stazionali (terreno, disponibilità idrica, ecc.), che determinano un accrescimento
47
maggiore nelle stazioni più fertili (Foresto, Gesia, Novoledo) rispetto a quelle meno favorevoli
alle piante.
0%
10%
20%
30%
40%
50%
60%
70%
2 4 6 8 10
dbh (cm)
Fre
quen
za Carpenedo
Ottolenghi
Bandiziol
Fig. 25 Confronto distribuzione diametrica per stazioni (età 7 anni)
0%
5%
10%
15%
20%
25%
30%
35%
40%
45%
50%
2 4 6 8 10 12 14 16
dbh (cm)
Fre
quen
za Carpenedo
Ottolenghi
Bandiziol
Fig. 26 Confronto distribuzione diametrica per stazioni (età 8 anni)
0%
5%
10%
15%
20%
25%
30%
35%
40%
2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30 32
dbh (cm)
Fre
quen
za
Osellino
Carpenedo
Ottolenghi
San Marco
Bandiz iol
Fig. 27 Confronto distribuzione diametrica per stazioni (età 9 anni)
48
0%
5%
10%
15%
20%
25%
30%
2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28
dbh (cm)
Fre
quen
za Ottolenghi
Novoledo
Bandiziol
Fig. 28 Confronto distribuzione diametrica per stazioni (età 10 anni)
0%
5%
10%
15%
20%
25%
30%
2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26
dbh (cm)
Fre
quen
za Osellino
San Marco
Bandiziol
Fig. 29 Confronto distribuzione diametrica per stazioni (età 11 anni)
In conclusione, si può notare come, pur essendoci delle differenze di crescita legate ai caratteri della stazione, queste tendano ad aumentare con il passare del tempo (Fig. 30).
0
5
10
15
20
25
0 5 10 15 20
età (anni)
dbh
med
io (
cm)
reale
stima
Fig. 30 Diametro medio per età dell’impianto
49
3.2.5 Analisi cronologica per specie e posizione sociale
Come osservato nei paragrafi precedenti, la curva della distribuzione diametrica tende nel tempo
ad abbassarsi ed a spostare il proprio massimo verso destra. Questo vale sia a livello di
popolamento che di singola specie arborea. Per poter avere una visione dinamica di questo
fenomeno, per ciascuna specie e posizione sociale è stata fatta una regressione sui dati di
diametro medio ed età. Dalle analisi effettuate, la funzione che ha dato i migliori risultati in
termini di significatività è stata quella della retta.
dbh=a+b*eta
dove:
dbh= diametro a 1,3 m;
eta= età della pianta (anni);
a, b= coefficiente da stimare con la regressione
La Tab. 15 riporta i valori dei coefficienti di regressione ed il coefficiente di determinazione R2
stimato per ciascuna specie in base alla posizione sociale occupata.
Tab. 15 Risultati della regressione tra diametro medio ed età per specie e posizione sociale degli impianti
Specie Pos. sociale n. a b R2
Arboreo generale cd 185 -2.3530 0.7658 0.52
Arboreo generale dm 172 -2.1348 0.5396 0.48
Arboreo generale do 204 -3.0781 1.1426 0.44
Acer campestre cd 23 -1.2098 0.5535 0.47
Acer campestre dm 23 -2.8044 0.6018 0.54
Acer campestre do 18 -3.8955 0.9681 0.68
Alnus glutinosa dm 13 -2.8731 0.6263 0.50
Alnus glutinosa do 11 -9.3451 1.7412 0.80
Carpinus betulus cd 23 -2.2346 0.6968 0.68
Carpinus betulus dm 24 -0.7707 0.4016 0.58
Carpinus betulus do 24 -2.7371 0.8934 0.73
Fraxinus ornus dm 19 -1.3932 0.4062 0.61
Fraxinus oxycarpa cd 18 -0.9478 0.6683 0.53
Fraxinus oxycarpa do 21 -4.3505 1.3932 0.52
Quercus robur cd 22 -3.3415 0.8732 0.62
Quercus robur dm 21 -1.3492 0.4248 0.58
Quercus robur do 24 -8.3479 1.7188 0.68
Tilia cordata dm 12 -3.7055 0.6445 0.76
Ulmus minor do 18 1.8287 0.8197 0.43 do= dominante; cd= codominante; dm= dominato
Nelle Figg. 31 e 32 si evidenziano graficamente le relazioni per farnia e carpino bianco. I valori
di R2 non sono mai molto elevati a causa del limitato numero di dati disponibili per la
50
regressione e della presenza di alcune stazione con valori outlayer: in particolare, Foresto, Gesia
e Tartaro (età 14 e 15 anni) presentano degli accrescimenti di gran lunga superiori alla media
delle altre stazioni, mentre Carpenedo (età 16 e 17 anni) tende sempre a costituire il limite di
accrescimento inferiore per ciascuna specie considerata. Di conseguenza, appare chiaro che
anche nel dataset studiato esistono differenti ritmi di accrescimento tra le stazioni che dipendono
probabilmente dalla diversa fertilità, dalle modalità di gestione e dalle provenienze impiegate.
0
5
10
15
20
25
30
0 5 10 15 20
età (anni)
dbh
(cm
)
qro cd r
qro cd p
qro dm r
qro dm p
qro do r
qro do p
Fig. 31 Regressione diametro-età per posizione sociale nella farnia (cd=codominante; dm=dominato; do=dominante; r= dati reali; p=dati interpolati)
0
2
4
6
8
10
12
14
16
0 5 10 15 20
età (anni)
dbh
(cm
)
cbe cd r
cbe cd p
cbe dm r
cbe dm p
cbe do r
cbe do p
Fig 32 Regressione diametro-età per posizione sociale nel carpino bianco (cd=codominante; dm=dominato; do=dominante; r= dati reali; p=dati interpolati)
51
3.2.6 Distribuzione diametrica dei querco-carpineti relitti
Per la stazione di Carpenedo, dal confronto tra la curva di distribuzione diametrica (Fig. 33) del
1985 (3 aree di saggio circolari di 1256 m2), del 2003 (censimento completo) e del 2005 (4 aree
di saggio di 400 m2) è stato possibile ricavare delle indicazioni sulle tendenze dinamiche in atto.
In particolare, sembra che il popolamento stia lentamente evolvendo verso una struttura più
irregolare. Se analizziamo la composizione, possiamo vedere che la classi diametriche inferiori
sono occupate quasi esclusivamente da carpino bianco, con una scarsa partecipazione di altre
latifoglie (olmo campestre, acero campestre, robinia, platano) che costituiscono il mantello
periferico del bosco. La farnia inizia a comparire solamente per valori di dbh>10 cm. ed è la
specie esclusiva che occupa il piano dominante del bosco.
0
100
200
300
400
500
600
5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60
dbh (cm)
N h
a-1
1985
2003
2005
Fig. 33 Evoluzione della curva di distribuzione diametrica del bosco Carpenedo
0
50
100
150
200
250
5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 65 70 75 80 85 90
dbh (cm)
N h
a-1
1985
2003
2006
Fig. 34 Evoluzione della curva di distribuzione diametrica del bosco Olmè
52
Anche per la stazione di Olmè, dal confronto tra la curva di distribuzione diametrica (Fig. 34)
del 1985 (6 aree di saggio di 1256 m2), 2003 (censimento completo) e del 2006 (area di saggio
permanente di 1 ha) si può notare come il soprassuolo stia lentamente assumendo una struttura
meno regolare. Dal punto di vista della composizione, le classi diametriche inferiori sono
occupate esclusivamente da acero campestre, carpino bianco ed altre latifoglie appartenenti
anche a specie arbustive (biancospino e nocciolo) che ormai hanno raggiunto il diametro soglia
di quelle arboree. Analogamente a quanto avviene a Carpenedo, la farnia è totalmente assente
per diametri inferiori a 17 cm mentre diventa, assieme all’olmo campestre ed al frassino
ossifillo, la specie che compone il piano dominante del popolamento.
Merita inoltre segnalare le ulteriori differenze che si riscontrano tra le due stazioni anche in
termini di variazione del numero di individui. Poiché le soglie di rilevamento non erano le
stesse, per il confronto sono stati considerati solamente i soggetti con diametro maggiore o
uguale alla classe diametrica di 20 cm.
Nell’arco di circa 20 anni (Tab. 16), a Carpenedo sono avvenute pochissime variazioni mentre
ad Olmè si è assistito ad una notevole riduzione del piano arboreo dovuta sia alla mortalità
naturale che agli interventi selvicolturali.
Tab. 16 Variazione del numero di soggetti a ettaro con dbh>20 cm
Anno rilievo Stazione 1985 2003-5
Carpenedo 387 346 Olmè 298 166
53
3.3 Area basimetrica
3.3.1 Distribuzione area basimetrica per specie
L’area basimetrica è un importante indicatore della saturazione del biospazio da parte della
componente arborea ed è uno dei parametri fondamentali per il calcolo del volume legnoso
prodotto da un popolamento.
Per lo studio della distribuzione dell’area basimetrica si è fatto riferimento all’analisi effettuata
per la distribuzione diametrica che eslude le specie ecologicamente non coerenti (pioppi)
impiegati in alcune stazioni in misura significativa (Osellino e Tartaro) e la componente
arbustiva che, nel caso di impianti molto giovani e con problemi di accrescimento (Carpenedo),
tende a far sottostimare i valori previsti dalla funzione di regressione (Tab. 17 e Fig. 35).
Tab. 17 Confronto tra valori reali e stimati di area basimetrica degli impianti
Stazione Età G reale (m2 ha-1) G stimata (m2 ha-1) Errore %
Carpenedo 7 1.6 0.9 -44%
Carpenedo 8 1.9 1.3 -35%
Carpenedo 9 1.8 1.7 -9%
Carpenedo 16 6.1 6.4 4%
Carpenedo 17 7.6 8.0 5%
Foresto 15 14.6 12.0 -17%
Gesia 15 14.6 15.4 6%
Novoledo 10 14.3 12.6 -12%
Novoledo 18 21.0 20.0 -5%
Osellino 9 6.4 3.8 -40%
Osellino 11 12.0 7.3 -39%
Ottolenghi 7 0.8 0.9 9%
Ottolenghi 8 1.3 1.5 16%
Ottolenghi 9 3.4 3.2 -5%
Ottolenghi 10 3.3 3.5 4%
Parauro 12 9.7 8.9 -8%
San Marco 9 5.7 5.6 -1%
San Marco 11 7.9 7.6 -3%
Bandiziol e Prassaccon 7 0.6 0.8 24%
Bandiziol e Prassaccon 8 2.0 2.1 7%
Bandiziol e Prassaccon 9 5.3 5.3 -1%
Bandiziol e Prassaccon 10 3.7 4.0 8%
Bandiziol e Prassaccon 11 4.3 4.5 4%
Tartaro 14 29.7 21.7 -27%
54
0.0
5.0
10.0
15.0
20.0
25.0
30.0
35.0
0 5 10 15 20
età (anni)
G (
m2 /
ha)
G reale
G stima
Fig. 35 Confronto tra area basimetrica reale e stimata per età
In linea generale, la curva dell’area basimetrica è sempre caratterizzata da una distribuzione che
si approssima molto a quella normale.
La farnia si conferma come specie predominante (Tab. 18 e Fig. 36) oltre che in termini di
numerosità degli individui anche in termini di area basimetrica mentre il carpino bianco, pur
essendo numericamente superiore, viene uguagliato in termini di area basimetrica dal frassino
ossifillo a causa dello sviluppo più lento.
Tab. 18 Area basimetrica media per specie arborea
Specie G (m2 ha-1) G (%) Quercus robur 2.22 42% Fraxinus oxycarpa 0.65 12% Carpinus betulus 0.63 12% Altre specie 0.61 11% Alnus glutinosa 0.46 9% Acer campestre 0.28 5% Tilia cordata 0.20 4% Ulmus minor 0.19 4% Fraxinus ornus 0.09 2% Totale 5.33 100%
55
0
0.1
0.2
0.3
0.4
0.5
0.6
0.7
0.8
2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30 32 34 36 38 40
dbh (cm)
G (
m2 h
a-1)
for
tco
umi
aca
agl
altre
cbe
fox
qro
Fig. 36 Distribuzione dell’area basimetrica per specie arborea (umi= Ulmus minor; tco= Tilia cordata; qro=Quercus robur; fox= Fraxinus oxycarpa; for= Fraxinus ornus; cbe= Carpinus betulus; altre= altre latifoglie; agl= Alnus glutinosa; aca= Acer campestre)
3.3.2 Distribuzione diametrica per posizione sociale e specie
A livello di posizione sociale (Tab. 19 e Fig. 37), si osserva come in media non vi sia ancora una
forte competizione tra i diversi piani di vegetazione: com’era prevedibile, il piano dominante,
con il 77% dell’area basimetrica, si conferma ulteriormente come preponderante rispetto alle
altre posizioni sociali che sono del tutto marginali.
Tab. 19 Area basimetrica media per specie arborea e posizione sociale degli impianti
Specie Posizione sociale G (m2 ha-1) G % totale 2.22 100% dominante 1.89 85% codominante 0.24 11%
Quercus robur
dominato 0.09 4% totale 0.65 100% dominante 0.60 93% Fraxinus oxycarpa
codominante 0.05 7% totale 0.63 100% dominante 0.32 50% codominante 0.20 32%
Carpinus betulus
dominato 0.11 17% Altre specie totale 0.61 100%
totale 0.46 100% dominante 0.36 100% Alnus glutinosa
dominato 0.09 100% totale 0.28 100% dominante 0.08 29% codominante 0.11 40%
Acer campestre
dominato 0.09 31% Tilia cordata totale 0.20 100% Ulmus minor totale 0.19 100% Fraxinus ornus totale 0.09 100%
totale 5.33 100% dominante 4.10 77% codominante 0.82 15%
Totale
dominato 0.40 8%
56
0
0.1
0.2
0.3
0.4
0.5
0.6
0.7
0.8
2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30 32 34 36 38 40
dbh (cm)
G (
m2 h
a-1)
dominato
codominante
dominante
Fig. 37 Distribuzione dell’area basimetrica per posizione sociale
La farnia, assieme al frassino ossifillo, all’ontano nero ed all’olmo campestre rappresenta la
specie principale del piano dominante (Fig. 38).
0
0.1
0.2
0.3
0.4
0.5
0.6
2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30 32 34 36 38 40
dbh (cm)
G (
m2 ha
-1)
umi
aca
agl
cbe
fox
qro
Fig. 38 Distribuzione dell’area basimetrica per specie nel piano dominante
Passando al piano codominante e dominato (Figg. 39 e 40), in termini di area basimetrica si può
notare come le specie arboree secondarie (carpino bianco e acero campestre) tendano a diventare
progressivamente più importanti rispetto alle specie principali farnia e frassino ossifillo, come
già osservato a proposito della composizione e della distribuzione diametrica.
57
0
0.05
0.1
0.15
0.2
0.25
0.3
2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22
dbh (cm)
G (
m2 ha
-1)
fox
aca
cbe
qro
altre
Fig. 39 Distribuzione dell’area basimetrica per specie nel piano codominante
0
0.02
0.04
0.06
0.08
0.1
0.12
0.14
2 4 6 8 10 12 14 16 18 20
dbh (cm)
G (
m2 ha
-1)
agl
tco
for
aca
cbe
qro
Fig. 40 Distribuzione dell’area basimetrica per specie nel piano dominato
Per quanto riguarda la ripartizione tra le diverse posizioni sociali all’interno della medesima
specie, si confermano le tendenze già osservate e commentate a livello della composizione e
della distribuzione diametrica.
0
0.05
0.1
0.15
0.2
0.25
0.3
0.35
2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30 32 34 36 38 40
dbh (cm)
G (
m2 ha
-1)
dominato
codominante
dominante
Fig. 41 Distribuzione dell’area basimetrica della farnia per posizione sociale
58
0
0.02
0.04
0.06
0.08
0.1
0.12
0.14
2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30
dbh (cm)
G (
m2
ha-1)
dominato
codominante
dominante
Fig. 42 Distribuzione dell’area basimetrica del carpino bianco per posizione sociale
Nelle Figg. 41 e 42 sono illustrati i rapporti tra posizioni sociali relativi all’area basimetrica per
le due specie principali del querco-carpineto.
3.3.3 Distribuzione dell’area basimetrica per stazione ed età
A Carpenedo (Fig. 43), la distribuzione dell’area basimetrica per età conferma i problemi di
sviluppo degli impianti più vecchi già evidenziati a livello di distribuzione diametrica. La Fig.
44 evidenzia una distribuzione bimodale in cui la prima moda rappresenta le specie arboree
secondarie (carpino bianco e acero campestre) mentre la seconda individua le specie principali
(farnia e frassino ossifillo) e quelle a più rapido accrescimento iniziale (ontano nero). Le
differenze rilevabili tra le curve sono costituite dalla diversa gestione selvicolturale a cui sono
stati sottoposti i due impianti (Gesia= diradamento basso; Foresto= nessun intervento).
0.00
0.20
0.40
0.60
0.80
1.00
1.20
1.40
1.60
1.80
2.00
2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24
dbh (cm)
G (
m2 /h
a)
età 7
età 8
età 9
età 16
età 17
Fig. 43 Distribuzione dell’area basimetrica per classe di età della stazione di Carpenedo
59
0.00
0.50
1.00
1.50
2.00
2.50
2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30 32 34 36 38
dbh (cm)
G (
m2/
ha)
foresto
gesia
Fig. 44 Distribuzione dell’area basimetrica tra due stazioni coetanee con diversa gestione selvicolturale
0.00
1.00
2.00
3.00
4.00
5.00
6.00
4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30
dbh (cm)
G (
m2 ha
-1)
età 10
età 18
Fig. 45 Distribuzione dell’area basimetrica per classe di età della stazione di Novoledo A Novoledo invece (Fig. 45), si può notare l’evoluzione della distribuzione dell’area basimetrica
prima e dopo l’intervento di diradamento che ha interessato in parte il piano codominante e
dominante.
0.00
0.20
0.40
0.60
0.80
1.00
1.20
1.40
1.60
2 4 6 8 10 12 14 16
dbh (cm)
G (
m2 /
ha)
età 7
età 8
età 9
età 10
età 11
Fig. 46 Distribuzione dell’area basimetrica per classe di età della stazione di Bandiziol e Prassaccon
60
Nella stazione di Bandiziol e Prassaccon (Fig. 46), dotata di maggiore uniformità nella
composizione e nella gestione degli impianti, si può apprezzare meglio lo sviluppo della
distribuzione dell’area basimetrica nel tempo.
Le altre distribuzioni dell’area basimetrica presentano caratteristiche simili a quelle viste sopra e
si è ritenuto superfluo riportarle nell’indagine.
3.3.4 Distribuzione dell’area basimetrica tra stazioni
Per effettuare un confronto tra le curve di distribuzione dell’area basimetrica per età tra le
diverse stazioni, la densità arborea della singola stazione è stata trasformata in valore
percentuale. Malgrado la differenza esistente nella composizione specifica che provoca una
“coda” verso destra che ne modifica la forma, possiamo notare che fino all’età di 8 anni (Figg.
47 e 48) non vi sono sostanziali differenze nella distribuzione dell’area basimetrica. Tale
fenomeno potrebbe essere attribuibile alla mancanza di un effetto di competizione tra i diversi
soggetti, fenomeno che inizierebbe a manifestarsi solamente ad una certa età corrispondente ad
un certo sviluppo delle piante. Ciò conferma l’ipotesi che nei primi anni dalla messa a dimora lo
sviluppo dei soggetti arborei non sia influenzato dalla densità dell’impianto e neppure dalle
caratteristiche della stazione. Solamente a partire dall’età di 9 anni, comincia ad emergere il
fattore densità d’impianto che peraltro parrebbe avere un effetto positivo sugli accrescimenti. In
particolare, sembra che maggiore è la densità e maggiore sia l’accrescimento dello strato arboreo
(Fig. 49 e 50).
Passando agli accrescimenti per specie ed età, sembra evidenziarsi anche un influsso dei fattori
stazionali (terreno, disponibilità idrica, ecc.), che determinano un accrescimento maggiore nelle
stazioni più fertili (Foresto, Gesia, Novoledo) rispetto a quelle meno favorevoli alle piante.
0%
5%
10%
15%
20%
25%
30%
35%
40%
45%
50%
2 4 6 8 10
dbh (cm)
Fre
quen
za Carpenedo
Ottolenghi
Bandiziol
Fig. 47 Confronto distribuzione area basimetrica per stazioni (età 7 anni)
61
0%
5%
10%
15%
20%
25%
30%
35%
2 4 6 8 10 12 14 16
dbh (cm)
Fre
quen
za Carpenedo
Ottolenghi
Bandiziol
Fig. 48 Confronto distribuzione area basimetrica per stazioni (età 8 anni)
0%
5%
10%
15%
20%
25%
30%
35%
40%
2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30 32
dbh (cm)
Fre
quen
za
Osellino
Carpenedo
Ottolenghi
San Marco
Bandiziol
Fig. 49 Confronto distribuzione area basimetrica per stazioni (età 9 anni)
0%
5%
10%
15%
20%
25%
30%
35%
2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28
dbh (cm)
Fre
quen
za Ottolenghi
Novoledo
Bandiziol
Fig. 50 Confronto distribuzione area basimetrica per stazioni (età 10 anni) In conclusione, analogamente a quanto avviene anche per il diametro medio, anche nell’area
basimetrica media le differenze tra le stazioni tendono ad accentuarsi con l’avanzare dell’età
(Fig. 51).
62
0
0.005
0.01
0.015
0.02
0.025
0.03
0.035
0 5 10 15 20
età (anni)
G m
edia
arb
orea
(m
2 )
reale
stima
Fig. 51 Area basimetrica media in funzione dell’età dell’impianto.
3.3.5 Distribuzione dell’area basimetrica dei querco-carpineti relitti
Per la distribuzione dell’area basimetrica dei boschi relitti, si possono fare delle considerazioni
analoghe a quelle fatte per la distribuzione diametrica. Per la stazione di Carpenedo (Fig. 52), le
tendenze dinamiche in atto sembrano indicare che il popolamento sta lentamente evolvendo
verso una struttura più irregolare, con un aumento dell’area basimetrica causato dall’abbandono
colturale in atto da circa 10 anni.
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60
dbh (cm)
G (
m2 ha
-1)
1985
2003
2005
Fig. 52 Evoluzione della curva di distribuzione dell’area basimetrica del bosco Carpenedo
63
0
0.5
1
1.5
2
2.5
3
3.5
4
4.5
5
5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 65 70 75 80 85 90
dbh (cm)
G (
m2 ha
-1 1985
2003
2006
Fig. 53 Evoluzione della curva di distribuzione diametrica del bosco Olmè Anche per la stazione di Olmè, il confronto tra la situazione del 1985 e del 2006 della curva di
distribuzione dell’area basimetrica segnala che il popolamento sta assumendo rapidamente una
struttura meno regolare. Merita inoltre segnalare le ulteriori differenze che si riscontrano tra le
due stazioni anche in termini di variazione dell’area basimetrica ad ettaro (Tab. 20). Mentre a
Carpenedo si segnala un leggero aumento dell’area basimetrica, a Olmè si assiste invece ad una
forte riduzione dovuta sia alla mortalità naturale ed ai conseguenti interventi selvicolturali che
prelevano sostanzialmente i soggetti morti o fortemente deperienti.
Tab. 20 Variazione dell’area basimetrica (m2 ha-1) per dbh>20 cm
Anno rilievo Stazione 1985 2003-5
Carpenedo 21.0 25.9 Olmè 18.4 14.2
64
3.4 Relazioni ipsometriche
Per modellizzare le relazioni ipsometriche, sono state impiegate diverse funzioni matematiche
ampiamente usate in campo forestale. Tra queste, quelle che hanno dato i migliori risultati
(Tabb. 21-22-23), in base al valore di R2, ai limiti di confidenza calcolati con una probabilità
statistica del 95% ed alla convergenza della regressione, sono state la Gompertz e la Chapman-
Richards, anche se con delle piccolissime differenze. La prima sembra essere leggermente più
efficiente nella stima degli alberi che si trovano in posizione sociale dominante, mentre la
seconda appare più idonea alla stima dello strato codominante e dominato. L’equazione logistica
invece è apparsa quella che aveva i maggiori problemi di convergenza durante la regressione
non lineare ed è stata la più efficiente in un solo caso, quello dell’olmo campestre.
Anche in questo caso, sono state indagate le relazioni esistenti tra diametro ed altezza tra le
diverse specie in base alla rispettiva posizione sociale occupata.
Tab. 21 Risultati della regressione sui dati di diametro ed altezza con funzione di Gompertz degli impianti
specie pos
sociale n q5_a q5_b q5_c q5_rsq a b c rsq q95_a q95_b q95_c q95_rsq
aca cd 1000 6.067 0.416 0.211 0.386 6.670 0.687 0.328 0.485 7.538 0.995 0.457 0.591
aca dm 1000 4.161 0.421 0.105 0.437 5.390 0.576 0.272 0.525 9.775 0.988 0.597 0.610
aca do 996 7.840 0.519 0.021 0.551 10.823 0.739 0.152 0.648 199.730 1.439 0.365 0.748
agl dm 165 3.533 0.423 0.122 0.354 4.545 0.766 0.344 0.572 8.340 2.064 1.106 0.761
agl do 558 8.492 0.427 0.086 0.092 11.277 0.645 0.154 0.638 14.140 20.113 10.000 0.773
arb cd 1000 8.024 0.564 0.053 0.507 11.388 0.647 0.125 0.550 31.032 0.948 0.223 0.591
arb dm 1000 4.323 0.525 0.173 0.480 4.918 0.679 0.361 0.529 6.997 0.938 0.541 0.569
arb do 1000 13.882 0.613 0.057 0.695 16.816 0.655 0.081 0.716 20.964 0.735 0.118 0.736
cbe cd 1000 6.753 0.566 0.098 0.475 7.658 0.731 0.269 0.551 14.517 0.939 0.360 0.638
cbe dm 1000 4.266 0.371 0.113 0.374 5.053 0.531 0.320 0.453 8.951 0.846 0.545 0.538
cbe do 1000 8.205 0.603 0.143 0.602 10.131 0.715 0.186 0.666 11.814 0.872 0.287 0.732
for dm 1000 3.522 1.213 0.677 0.530 3.765 1.583 0.887 0.610 4.060 2.114 1.117 0.698
fox cd 784 5.326 0.753 0.244 0.319 6.108 1.357 0.493 0.519 8.540 2.491 0.915 0.684
fox do 1000 11.099 0.646 0.133 0.622 11.298 0.755 0.151 0.679 11.568 0.900 0.174 0.727
qro cd 990 9.179 0.744 0.033 0.604 17.470 0.918 0.101 0.680 157.760 1.489 0.197 0.748
qro dm 1000 4.053 0.849 0.066 0.511 5.486 1.029 0.370 0.590 37.536 1.304 0.658 0.651
qro do 1000 12.491 0.789 0.123 0.783 13.299 0.858 0.142 0.805 14.329 0.931 0.160 0.826
tco dm 709 3.462 0.522 0.019 0.366 6.310 1.086 0.196 0.492 2493.464 2.033 0.864 0.632
umi do 682 7.757 0.847 0.098 0.023 13.348 1.214 0.165 0.614 16.723 20.314 10.000 0.721
Specie: aca= Acer campestre; agl= Alnus glutinosa; arb= arboree totale; cbe= Carpinus betulus; for= Fraxinus ornus; fox= Fraxinus oxycarpa; qro= Quercus robur; tco= Tilia cordata; umi= Ulmus minor; Pos. sociale: do= dominante; dm= dominata; cd=codominante; tot=totale.
65
Tab. 22 Risultati regressione sui dati di diametro ed altezza con funzione di Chapman-Richards degli impianti
specie pos
sociale n q5_a q5_b q5_c q5_rsq a b c rsq q95_a q95_b q95_c q95_rsq
aca cd 1000 6.230 0.082 0.649 0.385 7.025 0.220 1.070 0.483 8.995 0.374 1.770 0.586
aca dm 851 4.295 0.001 0.522 0.480 6.205 0.120 0.726 0.552 67.298 0.443 1.501 0.626
aca do 722 7.892 0.016 0.631 0.544 10.788 0.111 0.947 0.645 25.943 0.327 2.109 0.744
agl dm 119 3.428 0.005 0.506 0.357 4.604 0.284 1.188 0.586 24.203 1.026 5.263 0.756
agl do 788 10.427 0.027 0.647 0.503 12.146 0.095 0.990 0.630 18.771 0.189 1.792 0.745
arb cd 450 8.514 0.005 0.626 0.522 12.731 0.052 0.747 0.559 49.191 0.146 1.007 0.597
arb dm 927 4.606 0.001 0.575 0.502 6.169 0.131 0.782 0.538 64.513 0.353 1.307 0.574
arb do 840 15.608 0.004 0.637 0.708 25.103 0.020 0.719 0.727 60.702 0.063 0.968 0.745
cbe cd 800 6.955 0.002 0.635 0.469 8.077 0.176 1.086 0.544 70.911 0.282 1.555 0.629
cbe dm 914 4.456 0.000 0.491 0.382 6.326 0.111 0.658 0.461 83.469 0.384 1.228 0.548
cbe do 971 8.625 0.032 0.728 0.598 12.124 0.087 0.922 0.664 19.253 0.199 1.350 0.727
for dm 1000 3.525 0.560 2.191 0.519 3.770 0.826 3.809 0.598 4.106 1.146 8.896 0.687
fox cd 974 5.401 0.164 1.153 0.330 6.136 0.461 3.139 0.503 8.586 0.803 9.700 0.672
fox do 1000 11.399 0.085 0.997 0.628 11.685 0.107 1.194 0.676 12.224 0.130 1.432 0.722
qro cd 406 8.433 0.010 0.775 0.598 14.181 0.068 1.002 0.661 40.201 0.159 1.305 0.714
qro dm 592 4.062 0.139 0.992 0.543 5.289 0.288 1.390 0.601 7.172 0.563 2.342 0.656
qro do 1000 12.904 0.069 1.062 0.777 14.059 0.096 1.272 0.799 16.104 0.120 1.488 0.820
tco dm 265 3.296 0.022 0.582 0.365 4.178 0.345 1.192 0.522 12.640 0.979 4.191 0.658
umi do 888 11.235 0.044 1.045 0.505 14.404 0.120 1.988 0.612 21.449 0.231 4.429 0.713
Specie: aca= Acer campestre; agl= Alnus glutinosa; arb= arboree totale; cbe= Carpinus betulus; for= Fraxinus ornus; fox= Fraxinus oxycarpa; qro= Quercus robur; tco= Tilia cordata; umi= Ulmus minor; Pos. sociale: do= dominante; dm= dominata; cd=codominante; tot=totale. Tab. 23 Risultati regressione sui dati di diametro ed altezza con funzione logistica degli impianti
specie pos
sociale n q5_a q5_b q5_c q5_rsq a b c rsq q95_a q95_b q95_c q95_rsq
aca cd 889 3.763 0.000 0.282 0.030 4.214 0.000 0.746 0.176 7.213 1.013 1.244 0.445
aca dm 785 2.463 0.000 0.169 0.021 4.878 1.114 0.289 0.441 9.159 1.929 2.975 0.553
aca do 827 5.857 0.000 0.074 0.328 10.905 1.444 0.188 0.643 86.950 3.263 0.476 0.744
agl dm 955 4.026 1.513 0.115 0.385 1029.923 6.856 0.172 0.609 4059.568 8.791 0.879 0.806
agl do 989 10.001 0.959 0.119 0.489 11.007 1.230 0.196 0.623 13.523 1.676 0.287 0.746
arb cd 1000 7.565 1.214 0.121 0.478 10.486 1.399 0.195 0.538 19.929 1.945 0.320 0.581
arb dm 573 2.319 0.000 0.195 0.015 4.406 1.222 0.472 0.438 8.220 61.427 50.229 0.528
arb do 1000 13.150 1.363 0.089 0.673 15.310 1.443 0.129 0.705 19.259 1.552 0.175 0.730
cbe cd 536 4.811 0.000 0.126 0.310 8.107 1.439 0.319 0.545 23.084 2.104 0.514 0.634
cbe dm 977 2.952 0.000 0.183 0.191 4.430 0.978 0.533 0.354 8.449 1.590 1.038 0.506
cbe do 987 7.810 1.281 0.217 0.595 9.478 1.496 0.278 0.664 10.905 1.736 0.423 0.731
for dm 351 3.477 2.223 0.947 0.551 3.766 2.866 1.232 0.637 4.030 3.599 1.539 0.720
fox cd 833 4.322 0.000 0.319 0.125 5.892 2.170 0.655 0.485 7.580 3.488 1.014 0.686
fox do 1000 10.864 1.330 0.180 0.630 11.045 1.495 0.205 0.679 11.234 1.701 0.235 0.726
qro cd 995 8.911 1.589 0.126 0.595 14.200 1.950 0.196 0.675 39.161 2.867 0.289 0.744
qro dm 966 3.790 1.678 0.178 0.456 5.084 2.121 0.594 0.576 21.070 2.660 0.965 0.643
qro do 1000 12.122 1.626 0.183 0.782 12.784 1.721 0.205 0.804 13.595 1.819 0.227 0.826
tco dm 819 3.664 1.406 0.113 0.367 228.607 5.030 0.140 0.486 1998.740 7.409 0.973 0.629
umi do 930 10.535 1.707 0.149 0.509 12.447 2.381 0.261 0.623 15.237 3.243 0.375 0.728
Specie: aca= Acer campestre; agl= Alnus glutinosa; arb= arboree totale; cbe= Carpinus betulus; for= Fraxinus ornus; fox= Fraxinus oxycarpa; qro= Quercus robur; tco= Tilia cordata; umi= Ulmus minor; Pos. sociale: do= dominante; dm= dominata; cd=codominante; tot=totale.
Si è deciso pertanto di impiegare l’equazione di Gompertz che complessivamente si è dimostrata
quella più valida nell’interpolazione dei dati e quindi si farà riferimento ad essa nel proseguo
dell’indagine.
66
3.4.1 Relazioni ipsometriche del piano arboreo dominante
La curva ipsometrica dello strato dominante degli impianti (Fig. 54) denota un primo tratto di
crescita molto simile e senza particolari differenze tra le diverse specie arboree esaminate. In
questo piano, il tiglio selvatico e l’orniello, a causa del lento accrescimento iniziale, sono
rappresentati solamente da un esiguo numero di individui per cui non è stato possibile tracciarne
la curva ipsometrica.
Questa fase iniziale è caratterizzata da un accrescimento dei soggetti che dipende soprattutto dai
fattori stazionali e dalla manutenzione in quanto non si è ancora innescata la competizione per lo
spazio e la luce.
0
2
4
6
8
10
12
14
16
18
1 3 5 7 9 11 13 15 17 19 21 23 25 27 29 31 33 35 37 39
dbh (cm)
h (m
)
arb
umi
qro
fox
aca
cbe
agl
Fig. 54 Curva ipsometrica per specie del piano dominante (aca= Acer campestre; agl= Alnus glutinosa; arb= arboree totale; cbe= Carpinus betulus; fox= Fraxinus oxycarpa; qro= Quercus robur; umi= Ulmus minor)
Il grafico indica che la differenziazione tra le specie arboree principali (farnia, olmo campestre e
frassino ossifillo) ed accessorie (acero campestre, carpino bianco, ontano nero) avviene ad un
diametro di circa 11-12 cm ed un’altezza variabile tra 8 e 10 m., corrispondente ad una età
media compresa tra 10 e 15 anni in funzione della velocità di accrescimento. A titolo di
confronto è stata introdotta anche la curva ipsometrica complessiva del piano arboreo dominante
che rappresenta pertanto la media di tutte le specie arboree, con esclusione del genere Populus e
delle altre specie non coerenti con la composizione del querco-carpineto. Tale curva risulta
fortemente influenzata soprattutto dalla farnia che rappresenta la specie maggiormente
rappresentata negli impianti indagati. I dati riportati nella Tab. 24 indicano chiaramente che le
67
specie arboree principali sono anche quelle che dimostrano un più rapido accrescimento e che, di
conseguenza, raggiungono il diametro soglia ad una età media inferiore rispetto alle specie
arboree secondarie ad accrescimento più lento.
Tab. 24 Valori medi e limiti di confidenza per specie e posizione sociale dominante con dbh cm 11-12
specie pos.
sociale n q5_eta q5_h Q5_d_ch q5_h_ins età h d_ch h_ins q95_eta q95_h q95_d_ch q95_h_ins
arb do 358 9 7.0 3.0 0.0 11 9.5 5.0 1.0 17 12.0 6.0 5.0
umi do 24 8 7.0 4.0 0.0 10 9.0 5.0 0.5 14 14.0 8.0 2.0
qro do 153 9 7.5 3.0 0.0 10 9.6 5.0 1.0 17 11.5 6.0 5.0
fox do 52 9 7.0 3.0 0.0 10 10.0 5.0 1.0 17 12.0 6.0 3.0
aca do 11 11 7.9 4.0 0.2 15 8.0 5.0 0.8 17 10.0 5.0 2.0
cbe do 23 9 6.5 3.5 0.0 14 8.6 5.0 0.0 17 11.0 6.0 1.5
agl do 41 9 7.9 4.0 0.0 15 8.6 4.0 4.0 15 13.0 7.0 8.0 Specie: aca= Acer campestre; agl= Alnus glutinosa; arb= arboree totale; cbe= Carpinus betulus; fox= Fraxinus oxycarpa; qro= Quercus robur; umi= Ulmus minor; h= altezza; d_ch= diametro chioma; h_ins= altezza inserzione
A tale proposito, si deve osservare che il frassino ossifillo, nella prima fase di crescita, non
dimostra un ritmo di accrescimento così elevato come la farnia e l’olmo campestre tanto che si
sarebbe portati a classificarlo tra le specie arboree secondarie. Un altro dato interessante che
conferma l’inizio della competizione è il valore del diametro medio della chioma che si attesta
per tutte le specie intorno a 5 m: se si considerano i valori medi del sesto d’impianto e si
confrontano con le dimensioni delle chiome, si comprende come queste ultime, dopo una prima
fase di crescita libera, siano ormai parzialmente sovrapposte e compenetrate e quindi inizino a
scarseggiare la luce e lo spazio. Un ulteriore elemento è dato dall’altezza media di inserimento
della chioma sul fusto, pari a circa un metro, che rivela l’inizio del fenomeno di autopotatura dei
rami più bassi per carenza di illuminazione. Il valore di tale fattore rispecchia anche il trend che
varia in base alla maggiore o minore esigenza di luce, passando da 4 m per l’ontano nero (specie
eliofila) a zero per il carpino bianco (specie sciafila). Passando ad esaminare la curva
dell’incremento corrente in altezza (Fig. 55), si nota che essa raggiunge il suo valore massimo a
7-8 cm di diametro per le specie arboree principali (olmo campestre e farnia), mentre per le
specie arboree secondarie (acero campestre, carpino bianco e ontano nero) e frassino ossifillo il
valore si attesta su 5-6 cm. Per quanto concerne il valore medio di incremento dello strato
arboreo, la curva ha un andamento molto meno accentuato rispetto alle singole specie con un
valore massimo a 9 cm di diametro ed un accrescimento ancora sostenuto anche per diametri
maggiori.
68
0
0.1
0.2
0.3
0.4
0.5
0.6
0.7
0.8
0.9
1 3 5 7 9 11 13 15 17 19 21 23 25 27 29 31 33 35 37 39
dbh (cm)
Ih (
m)
arb
umi
qro
fox
aca
cbe
agl
Fig. 55 Curva dell’incremento corrente in altezza per le specie del piano dominante (aca= Acer campestre; agl= Alnus glutinosa; arb= arboree totale; cbe= Carpinus betulus; fox= Fraxinus oxycarpa; qro= Quercus robur; umi= Ulmus minor)
3.4.2 Relazioni ipsometriche del piano arboreo codominante
La curva ipsometrica dello piano codominante (Fig. 56) degli impianti denota un primo tratto di
crescita molto simile e senza particolari differenze tra le diverse specie arboree esaminate,
analogamente a quanto visto per il piano dominante. Anche in questo caso, si può affermare che
la fase iniziale è caratterizzata da un accrescimento dei soggetti che dipende soprattutto dai
fattori stazionali in quanto non si è ancora innescata la competizione per lo spazio e la luce.
0
2
4
6
8
10
12
14
16
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21
dbh (cm)
h (m
)
arb
qro
fox
aca
cbe
Fig. 56 Curva ipsometrica per specie del piano codominante (aca= Acer campestre; arb= arboree totale; cbe= Carpinus betulus; fox= Fraxinus oxycarpa; qro= Quercus robur)
69
Non è stato possibile effettuare la regressione per l’olmo campestre, per il tiglio selvatico,
l’ontano nero e l’orniello a causa del ridotto numero di soggetti rappresentati.
La principale differenza osservabile tra i due piani è che le diverse specie sembrano non
rispettare il medesimo ordine di accrescimento. In particolare, la farnia sembra prevalere sul
piano arboreo totale: questo comportamento tende a confermare l’ipotesi che per tale specie
esista un'unica posizione sociale dominante-codominante. Un ulteriore giustificazione
dell’andamento della curva del piano arboreo codominante è dovuta al fatto che la stessa è
influenzata dalle specie arboree secondarie dotate di accrescimenti più lenti. Si può inoltre
osservare una vicarianza tra frassino ossifillo, che diventa la specie ad accrescimento più lento, e
carpino bianco, che invece assume un ritmo di crescita più sostenuto.
Tab. 25 Valori medi e limiti di confidenza per specie e posizione sociale codominante con dbh cm 8-9 specie n q5_eta q5_h q5_d_ch q5_h_ins eta h d_ch h_ins q95_eta q95_h q95_d_ch q95_h_ins
qro 39 9 5 2 0 11 7 4 1 17 10 5 5 arb 123 9 5 2 0 12 7 4 0 17 10 6 4 cbe 34 9 5 4 0 12 7.5 5 0 18 13.5 7 3 aca 9 9 5 4 0 12 7 5 0.5 17 9 6 3 fox 7 10 4.5 2 0 16 8 3 2 17 8.5 6 3.5
Specie: aca= Acer campestre; arb= arboree totale; cbe= Carpinus betulus; fox= Fraxinus oxycarpa; qro= Quercus robur; h= altezza; d_ch= diametro chioma; h_ins= altezza inserzione I risultati dell’analisi della media (Tab. 25) indicano come in questo caso, rispetto al piano
dominante, la differenziazione tra le specie arboree avvenga ad un diametro di circa 8-9 cm ed
un’altezza variabile tra 7 e 8 m, corrispondente ad una età media compresa tra 11 e 16 anni in
funzione della velocità di accrescimento. Rispetto al piano dominante, i soggetti dimostrano un
accrescimento diametrico della chioma inferiore, ad eccezione delle specie più sciafile che
invece riescono a svilupparsi anche in condizioni di luminosità ridotta. Anche per quanto
riguarda l’altezza di inserimento della chioma sul fusto, si può notare un trend legato
all’esigenza di luce: fa eccezione il frassino ossifillo che manifesta una certa sofferenza a
permanere in questo piano come dimostrato dal basso numero di soggetti della stessa specie che
lo occupano.
70
0
0.2
0.4
0.6
0.8
1
1.2
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20
dbh (cm)
Ih (
m)
qroaca
foxarbcbe
Fig. 57 Curva dell’incremento corrente in altezza per le specie del piano codominante (aca= Acer campestre; arb= arboree totale; cbe= Carpinus betulus; fox= Fraxinus oxycarpa; qro= Quercus robur)
Rispetto alla curva dell’incremento corrente (Fig. 57), si possono distinguere due diversi
raggruppamenti: il primo, costituito da carpino bianco, acero campestre e frassino ossifillo in cui
il massimo incremento in altezza corrisponde ad un diametro di 3 cm ed un secondo gruppo,
costituito dalla farnia con massimo a 9 cm. Dal punto di vista ecologico, il rapido declino del
frassino ossifillo fa presupporre per la specie un temperamento eliofilo simile a quello della
farnia, come peraltro confermato dalla pressochè totale assenza di individui della stessa specie
nel piano dominato.
3.4.3 Relazioni ipsometriche del piano arboreo dominato
La curva ipsometrica dello piano dominato (Fig. 58) denota un andamento molto simile per tutte
le diverse specie arboree esaminate. L’analisi del dataset mostra come i soggetti compresi nel
piano dominato siano prevalentemente individui che hanno avuto nei primi anni di vita dei
problema di accrescimento, dovuti a svariate cause (attecchimento, ristagno idrico, attacchi di
funghi e insetti, ecc.) oppure appartenenti a specie con scarsa dominanza apicale e forte tendenza
policormica o pollonifera (ontano nero e tiglio selvatico) che ne condizionano lo sviluppo in
altezza. Si nota la mancanza della curva dell’olmo campestre e del frassino ossifillo, che
conferma il temperamento eliofilo delle due specie arboree.
71
0
1
2
3
4
5
6
7
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18
dbh (cm)
h (m
)
qro
aca
cbe
arb
for
tco
agl
Fig. 58 Curva ipsometrica per specie del piano dominato (aca= Acer campestre; arb= arboree totale; cbe= Carpinus betulus; qro= Quercus robur; for= Fraxinus ornus; tco= Tilia cordata; agl= Alnus glutinosa)
Il massimo di incremento corrente ipsometrico (Fig. 59 e Tab 26) si ha con diametri molto bassi,
compresi tra 2 e 3 cm ed un’altezza variabile tra 3,5 e 3,8 m a cui corrisponde un’età di 9-10
anni.
0
0.2
0.4
0.6
0.8
1
1.2
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16
dbh (cm)
Ih (
m)
qro
aca
arb
cbe
for
tco
agl
Fig. 59 Curva dell’incremento corrente in altezza per le specie del piano dominato (aca= Acer campestre; arb= arboree totale; cbe= Carpinus betulus; qro= Quercus robur; for= Fraxinus ornus; tco= Tilia cordata; agl= Alnus glutinosa)
Fa eccezione il tiglio selvatico che invece sembra avere l’accrescimento ipsometrico più
contenuto ed un massimo a 5-6 cm di diametro all’età di 11 anni.
72
Un’altra eccezione è rappresentata dall’orniello che, al contrario, sembra avere un forte
accrescimento iniziale con un massimo a 1-2 cm di diametro seguito da un rapidissimo
decremento.
Questo dato sembra confermare che nei soggetti del piano dominato il massimo incremento in
altezza avviene a diametri relativamente minori rispetto ai soggetti del piano codominante e
dominante.
Tab. 26 Valori medi e limiti di confidenza per specie e posizione sociale dominata con dbh cm 2-3
specie n q5_eta q5_h q5_d_ch q5_h_ins eta h d_ch h_ins q95_eta q95_h q95_d_ch q95_h_ins
qro 215 7 2.0 1.0 0.0 9 3.5 2.0 0.0 16 5.0 4.0 2.0
arb 765 7 2.0 1.0 0.0 9 3.5 2.0 0.0 16 5.0 4.0 1.0
cbe 168 7 2.5 1.0 0.0 9 3.8 2.5 0.0 15 5.0 5.0 0.0
aca 163 8 2.5 1.0 0.0 10 3.5 2.0 0.0 16 5.0 4.0 0.0
agl 11 7 2.0 1.0 0.0 9 3.5 1.3 0.0 14 4.4 1.5 0.0
for 98 7 2.0 0.7 0.0 9 3.0 1.0 0.0 17 5.0 2.0 1.0
tco 38 9 1.5 1.0 0.0 10 3.1 2.0 0.0 15 5.0 4.0 0.5 Specie: aca= Acer campestre; arb= arboree totale; cbe= Carpinus betulus; qro= Quercus robur; for= Fraxinus ornus; tco= Tilia cordata; agl= Alnus glutinosa; h= altezza; d_ch= diametro chioma; h_ins= altezza inserzione
Si tratta comunque di soggetti con uno sviluppo molto modesto, con chioma stretta e inserita
fino al livello del terreno in cui non è visibile alcun fenomeno di autopotatura dei rami.
Dal punto di vista ecologico, il rapido declino della farnia e dell’ontano nero fa presupporre un
futuro ormai segnato per questo gruppo di soggetti che, nell’arco di qualche anno, andranno a
costituire la necromassa del popolamento. Al contrario, il carpino bianco e l’acero campestre,
grazie alla maggior sciafilia, potranno continuare a permanere ed a svilupparsi nel piano
dominato.
3.4.4 Relazioni ipsometriche generali del piano arboreo
Le curve ipsometriche generali del piano arboreo (Fig. 60) hanno un andamento parallelo fino ad
un diametro di 6 cm, dove inizia il rapido declino del piano dominato mentre gli altri due
continuano con lo stesso andamento fino a circa 13 – 14 cm, soglia limite a cui avviene la
differenziazione.
Il piano dominato sembrerebbe essere costituito da individui che presentano un accrescimento
iniziale in diametro ed altezza decisamente inferiore rispetto agli altri. Tale accrescimento
ridotto tende a protrarsi anche nel futuro destinandoli o a permanere nello stesso piano, qualora
siano in grado di sopportare bassi livelli di luminosità, o a soccombere alla concorrenza degli
altri piani.
73
0
2
4
6
8
10
12
14
16
18
1 3 5 7 9 11 13 15 17 19 21 23 25 27 29 31 33 35 37 39
dbh (cm)
h (m
) dominante
codominante
dominato
Fig. 60 Curva ipsometrica generale del piano arboreo per posizione sociale Tab. 26 Valori medi e limiti di confidenza del piano dominato nello strato arboreo per dbh 6 cm
Pos. sociale n. q5_eta q5_h q5_d_ch q5_h_ins eta h d_ch h_ins
q95_eta
q95_h
q95_d_ch
q95_h_ins
do 321 8 4.5 2 0 9 6 3.5 0 12 9 5 1
cd 202 9 4.5 2 0 10 6 3.5 0 16 8 5 4
dm 91 9 3.2 1.5 0 12 5 3 0 17 7 6 4 Pos. Sociale: do= dominante; cd= codominante; dm= dominata; h= altezza; d_ch= diametro chioma; h_ins= altezza inserzione
I dati della Tab. 26 indicano che tra il piano dominante e codominante esistono generalmente
solo delle differenze legate all’età media, mentre il piano dominato è nettamente differenziato in
tutti i valori dei parametri arborei dimostrando un rallentamento nella crescita.
Tab. 27 Medi e limiti di confidenza del piano codominante nello strato arboreo per dbh 13-14 cm Pos.
sociale n. q5_eta q5_h q5_d_c
h q5_h_ins eta h d_ch h_ins q95_et
a q95_h
q95_d_ch
q95_h_ins
do 222 9 7.5 4 0 11 10.5 5 1 17 13 7 5
cd 9 11 7 4 1 14 9 5 2 18 14 6 7
dm 3 14 7 4 0 14 8 5 0 18 11 6 3.5 Pos. Sociale: do= dominante; cd= codominante; dm= dominata; h= altezza; d_ch= diametro chioma; h_ins= altezza inserzione
Le analisi dei valori medi del dataset (Tab. 27) riportano come in corrispondenza di un diametro
di 13-14 cm sembra avvenire la differenziazione tra il piano codominante e dominante: in
particolare, i dati della tabella indicano una netta differenziazione sia in termini di età che di
altezza tra gli individui dei due piani. La numerosità dei diversi piani sembra peraltro indicare
che la selezione naturale non sta ancora agendo in maniera incisiva, e quindi la composizione
74
iniziale degli impianti sembra mantenersi abbastanza inalterata nel tempo, creando la necessità
di un intervento selvicolturale per consentire un armonico sviluppo del popolamento.
0
0.1
0.2
0.3
0.4
0.5
0.6
0.7
1 3 5 7 9 11 13 15 17 19 21 23 25 27 29 31 33 35 37 39
dbh (cm)
Ih (
m) codominante
dominante
dominato
Fig. 61 Curva dell’incremento corrente in altezza del piano arboreo per posizione sociale
Si conferma la tendenza generale che gli individui del piano dominato (Fig. 61) sono quelli che
si caratterizzano per il diametro più basso (dbh = 2-3 cm) a cui avviene il massimo
accrescimento ipsometrico seguito poi da un rapido declino della curva dell’incremento corrente.
Al contrario, i soggetti del piano dominante tendono ad avere un ritmo di crescita in altezza che
segue quello diametrico. Ad un dbh = 9 cm avviene il massimo accrescimento ipsometrico,
seguito da una riduzione graduale della curva dell’incremento corrente.
Per il piano codominante, la curva ha il massimo incremento corrente per un diametro di 5-6 cm,
in posizione intermedia tra gli altri due piani.
3.4.5 Relazioni ipsometriche della farnia
La curva ipsometrica della farnia (Fig. 62) sembrerebbe indicare una apparente incongruenza in
quanto il piano dominante, dopo un primo tratto praticamente coincidente, diventa molto simile
al piano codominante, venendone talvolta addirittura superato per diametri maggiori di 17 cm.
Tale comportamento potrebbe essere dovuto al temperamento fortemente eliofilo della farnia,
che la spinge a crescere in altezza alla ricerca della luce, soprattutto nel caso di impianti ad
elevata densità. Qualora il soggetto di farnia venga superato in altezza dalle piante vicine, inizia
una fase di deperimento che dopo breve tempo lo porta a soccombere alla concorrenza. Il piano
dominato è infatti costituito da soggetti molto deperienti ed il cui sviluppo è fortemente
compromesso per la carenza di luminosità.
75
A livello ecologico, considerando l’analogia esistente tra le curve dello strato dominante e
codominante della farnia, si ritiene opportuno interpretarle come un’unica curva.
0
2
4
6
8
10
12
14
16
1 3 5 7 9 11 13 15 17 19 21 23 25 27 29 31 33
dbh (cm)
h (m
) codominante
dominante
dominato
Fig. 62 Curva ipsometrica generale della farnia per posizione sociale
La differenziazione tra i due piani dominante-codominante e dominato, inizia quando i soggetti
di farnia arrivano ad un diametro di circa 5-6 cm che corrisponde ad un’altezza di compresa tra 5
e 6 metri: qui comincia la fase di competizione che, come evidenziato sopra, porta rapidamente i
soggetti perdenti alla morte.
In termini cronologici, le farnie dominanti raggiungono il diametro soglia all’età media di 9 anni
mentre quelle codominanti e dominate lo raggiungono l’anno successivo. I soggetti dominanti e
codominanti presentano una chioma maggiormente sviluppata rispetto a quelli del piano
dominato che, oltretutto, manifestano anche precoci segni di autopotatura dei rami come sintomo
di sofferenza per la mancanza di luce. La percentuale di individui che vanno a costituire i diversi
piani conferma come la farnia sia una specie a temperamento eliofilo, dotata di accrescimenti
elevati rispetto alle specie secondarie (carpino bianco e acero campestre) che la fanno pertanto
rientrare tra le specie arboree principali.
Nel corso dei rilievi, si è notato che nel primo periodo successivo all’impianto, i soggetti
presentano generalmente un aspetto cespuglioso e dei ridotti accrescimenti in altezza, senza una
evidente differenziazione di un apice della chioma; poi, dopo 4-5 anni, un ramo prende il
sopravvento sugli altri e diventa l’asse principale, mantenendo tale funzione anche nel futuro
sviluppo della pianta.
76
Passando ad esaminare la curva dell’incremento corrente in altezza (Fig. 63), si può notare una
netta differenziazione tra i piani dominante-codominante e dominato. Nel primo caso,
l’incremento corrente in altezza raggiunge il suo massimo in corrispondenza di un diametro
medio compreso tra 6 e 9 cm mentre per lo strato dominato il massimo scende a 3-4 cm a
conferma che gli individui della specie risentono precocemente degli effetti dell’aduggiamento
da parte di soggetti concorrenti.
I dati relativi ai valori medi ed ai limiti di confidenza per posizione totale (Tab. 28)
sembrerebbero indicare che se a 10 anni il soggetto non ha raggiunto almeno il diametro minimo
di 6 cm ben difficilmente riuscirà ad avere qualche possibilità di sopravvivenza come dimostra il
basso numero di soggetti dominati della specie in rapporto a quelli delle altre classi sociali.
Tab. 28 Valori medi e limiti di confidenza per posizione sociale della farnia per dbh = 5-6 cm
pos. sociale n q5_eta q5_h q5_d_ch q5_h_ins eta h d_ch h_ins q95_eta q95_h q95_d_ch q95_h_ins
do 215 8 4.5 2 0 9 6 3.5 0 11 7.5 5 0.5
cd 145 8 4.5 1.5 0 10 5.5 3.5 0 11 7.5 5 4
dm 59 9 3 1.5 0 10 5 3 1 17 7 5 4 Pos. Sociale: do= dominante; cd= codominante; dm= dominata h= altezza; d_ch= diametro chioma; h_ins= altezza inserzione
0
0.1
0.2
0.3
0.4
0.5
0.6
0.7
0.8
1 3 5 7 9 11 13 15 17 19 21 23 25 27 29 31 33
dbh (cm)
Ih (
m) codominante
dominante
dominato
Fig. 63 Curva dell’incremento corrente in altezza della farnia per posizione sociale
In termini percentuali, si può ipotizzare che complessivamente circa il 22% delle farnie, che
costituiscono il piano dominato, siano destinate a morire entro i primi anni di età a causa della
concorrenza esercitata dai piani arborei superiori.
77
3.4.6 Relazioni ipsometriche del carpino bianco
Mentre le curve ipsometriche (Fig. 64) dei piani dominante e codominante si sovrappongono
esattamente fino ad un diametro di 5-6 cm, quella del piano dominato sembra invece
differenziarsi da subito.
In particolare, tale piano sembrerebbe essere costituito da individui, spesso policormici, che
presentano un accrescimento iniziale in diametro ed altezza decisamente inferiore rispetto agli
altri. Tale accrescimento tende a mantenersi anche nel futuro destinando i soggetti a permanere
ed a svilupparsi nello stesso piano grazie alla maggior plasticità della specie ed alla capacità di
sopportare bassi livelli di luminosità.
0
2
4
6
8
10
12
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21
dbh (cm)
h (m
) dominante
codominante
dominato
Fig. 64 Curva ipsometrica generale del carpino bianco per posizione sociale
Tab. 29 Valori medi e limiti di confidenza per posizione sociale del carpino bianco per dbh = 5-6 cm
Pos.sociale n q5_eta q5_h q5_d_ch q5_h_ins eta h d_ch h_ins q95_eta q95_h q95_d_ch q95_h_ins
do 86 8 4.5 1.5 0 10 6.0 3.5 0 12 9 5 0
cd 122 9 4.5 2.0 0 10 6.0 3.5 0 12 8 5 0.5
dm 65 9 2.4 2.0 0 11 5.5 4.0 0 17 7 6 2 Pos. Sociale: do= dominante; cd= codominante; dm= dominata; h= altezza; d_ch= diametro chioma; h_ins= altezza inserzione
La differenziazione inizia quando i soggetti raggiungono un diametro soglia di 5-6 cm ed
un’altezza di circa 5,5-6 m, a cui corrisponde una età variabile tra i 10 e gli 11 anni (Tab. 29).
Si tratta di individui con chioma normalmente sviluppata ed inserita sino al livello del suolo.
Solamente nel piano dominato, i soggetti presentano una chioma leggermente più ampia
probabilmente per compensare la riduzione di luminosità. La percentuale di individui che vanno
78
a costituire i diversi piani conferma che il carpino bianco è una specie a temperamento sciafilo e
dotata di accrescimenti più modesti rispetto alle specie principali (farnia e olmo campestre) che
la fanno pertanto rientrare nelle specie arboree secondarie.
0
0.2
0.4
0.6
0.8
1
1.2
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21
dbh (cm)
Ih (
m) dominante
codominante
dominato
Fig. 65 Curva dell’incremento corrente in altezza del carpino bianco per posizione sociale
La curva dell’incremento corrente in altezza (Fig. 65), pur dimostrando una netta
differenziazione tra i diversi strati sociali, presenta un picco massimo unico in corrispondenza di
un diametro di 2 cm e quindi decresce progressivamente con un ritmo più sostenuto per gli
individui del piano codominante e dominato. Tra le specie considerate, il carpino bianco è quella
che presenta il più alto incremento corrente in altezza in termini di valore assoluto. Per l’analisi
delle curve ipsometriche relative alle altre specie arboree analizzate per posizione sociale, si
rinvia all’Allegato 5.
3.4.7 Relazioni ipsometriche dei boschi relitti
Dall’analisi preliminare delle relazioni diametro-altezza dei boschi relitti, è emersa una certa
analogia tra i due popolamenti studiati soprattutto per quanto attiene l’altezza dominante. Inoltre
la diversità di composizione e la netta ripartizione di quasi tutte le specie in due piani
(dominante e dominato) non ha permesso di fare delle indagini specifiche per effettuare i
successivi confronti tra stazioni. Per tale motivo, le elaborazioni sono state fatte sull’intero
dataset dei due boschi in esame ed i risultati sono riportati nella Tab. 30. La prima osservazione
da fare è che le equazioni di Gompertz e Chapman-Richards utilizzate per la regressione non
hanno dato risultati soddisfacenti, probabilmente a causa della limitatezza dei valori di altezza
per i diametri più bassi. La funzione logistica si è rivelata in questo caso l’equazione migliore in
79
quanto dotata di maggiore flessibilità rispetto alle altre. I valori di R2 sono quasi tutti piuttosto
bassi, soprattutto se riferiti alle singole posizioni sociali. In particolare, il piano codominante
presenta i valori di convergenza della regressione e di R2 più bassi, e può essere ecologicamente
interpretabile come una assenza di questo strato oppure da errori nell’attribuzione della
posizione sociale.
Tab. 30 Risultati della regressione sui dati di diametro ed altezza con funzione logistica dei boschi relitti
specie pos.
sociale n. q5_a q5_b q5_k q5_rsq a b k rsq q95_a q95_b q95_k q95_rsq
arb totale 999 29.256 1.884 0.101 0.590 29.668 1.985 0.107 0.608 30.134 2.091 0.113 0.626
arb cd 151 18.131 0.000 0.118 0.000 19.103 0.313 0.147 0.151 19.485 16.575 1.744 0.188
arb do 932 29.739 0.000 0.053 0.179 30.366 0.000 0.060 0.210 31.174 0.000 0.066 0.244
arb dm 1000 12.852 0.680 0.161 0.091 13.177 1.276 0.219 0.147 13.666 1.995 0.284 0.205
cbe totale 910 20.789 0.887 0.047 0.499 25.701 1.106 0.073 0.700 32.304 2.297 0.113 0.776
aca totale 1000 22.045 1.086 0.077 0.323 23.431 1.326 0.099 0.367 25.315 1.610 0.122 0.409
qro totale 1000 28.923 0.074 0.038 0.249 30.107 0.623 0.069 0.310 33.185 1.377 0.103 0.370
umi totale 730 23.630 1.685 0.097 0.017 28.758 1.994 0.114 0.564 29.815 45.969 6.030 0.616
fox totale 999 30.628 1.078 0.087 0.429 31.338 1.495 0.107 0.487 32.255 1.923 0.127 0.537
Specie: cbe= Carpinus betulus; aca= Acer campestre; umi= Ulmus minor; fox= Fraxinus oxycarpa; qro= Quercus robur; arb= arboree totale. Pos. Sociale= do= dominante; cd= codominante; dm= dominata.
La Figura 66 mostra come il piano dominante sia costituito esclusivamente da tre specie arboree:
• frassino ossifillo, che raggiunge i valori di altezza maggiori nel popolamento;
• olmo campestre e farnia, con analoghi accrescimenti ipsometrici.
Merita segnalare che l’unica specie del piano dominante numericamente ben rappresentata in
entrambi i boschi relitti è la farnia, mentre tutte le altre sono quasi esclusive del bosco Olmè.
0
5
10
15
20
25
30
35
1 4 7 10 13 16 19 22 25 28 31 34 37 40 43 46 49 52 55 58 61 64 67 70 73 76 79
dbh (cm)
h (m
)
cbe
aca
umi
fox
qro
arb
Fig. 66 Curva ipsometrica delle specie arboree dei boschi relitti (cbe= Carpinus betulus; aca= Acer campestre; umi= Ulmus minor; fox= Fraxinus oxycarpa; qro= Quercus robur; arb= arboree totale;)
80
Il carpino bianco (a Carpenedo) e l’acero campestre (a Olmè) occupano invece il piano
dominato, riuscendo talvolta localmente a penetrare nei livello superiore grazie alla capacità di
accrescimento anche in condizioni di scarsa luminosità.
0
0.1
0.2
0.3
0.4
0.5
0.6
0.7
0.8
0.91 4 7 10 13 16 19 22 25 28 31 34 37 40 43 46 49 52 55 58 61 64 67 70 73 76 79
dbh (cm)
Ih (
m)
cbe
aca
umi
fox
qro
arb
Fig. 67 Curva dell’incremento corrente in altezza per specie arborea boschi relitti (cbe= Carpinus betulus; aca= Acer campestre; umi= Ulmus minor; fox= Fraxinus oxycarpa; qro= Quercus robur; arb= arboree totale;)
Le specie che dimostrano il maggiore incremento ipsometrico corrente assoluto (Fig. 67) sono il
frassino ossifillo e l’olmo campestre mentre tutte le altre specie tendono ad avere incrementi
relativamente inferiori. La culminazione dell’incremento in altezza tende a verificarsi per tutte le
specie ad un diametro compreso tra 14 e 19 cm. Se facciamo un confronto con gli impianti,
vediamo che gli incrementi delle singole specie sono molto simili e assolutamente paragonabili
tra loro. La Fig. 68 rappresenta invece i rapporti esistenti tra le diverse posizioni sociali nei
boschi in esame.
0
5
10
15
20
25
30
35
1 5 9 13 17 21 25 29 33 37 41 45 49 53 57 61 65 69 73 77
dbh (cm)
h (m
)
totale
dominante
dominato
codominante
Fig. 68 Curva ipsometrica delle specie arboree per posizione sociale
81
Ritenendo “fittizio” il piano codominante per le considerazioni svolte in precedenza, si può
osservare la netta suddivisione esistente tra il piano dominante ed il piano dominato come
peraltro indicato anche da alcuni autori (Susmel, 1994; Del Favero, 2004).
Se confrontiamo la curva dell’incremento corrente in altezza per posizione sociale (Fig. 69) con
quella degli impianti, possiamo notare l’esistenza di un analogo trend nelle relazioni
ipsometriche tra gli individui appartenenti al medesimo piano di vegetazione.
0
0.1
0.2
0.3
0.4
0.5
0.6
0.7
0.8
0.9
1 5 9 13 17 21 25 29 33 37 41 45 49 53 57 61 65 69 73 77
dbh (cm)
Ih (
m)
totale
dominante
dominato
codominante
Fig. 69 Curva dell’incremento corrente in altezza per posizione sociale
82
3.5 Struttura verticale
3.5.1 Diametro della chioma per posizione sociale
L’ampiezza della chioma è una importante misura di alcuni fattori chiave nella gestione forestale
(Pretzsch et al., 2002). Su base individuale, essa aiuta a descrivere la competizione esistente fra
soggetti arborei ed essendo correlata alla dimensione dei rami, indirettamente esprime anche la
qualità del legname prodotto (Van Laar, 1973), e quindi il valore economico di una pianta. Su
base di popolamento, serve ad esprimere il grado di copertura delle chiome, che d’altra parte è
sia un indicatore della competizione generale esistente sia un’importante misura della qualità
dell’habitat forestale.
In analogia con la linea di indagine precedente, nell’ambito della ricerca si è ritenuto di
analizzare anche le relazioni esistenti tra il diametro del fusto e il diametro della chioma a livello
di posizione sociale e specie arborea.
La Tab. 31 riporta i risultati dell’analisi di regressione effettuata seguendo una procedura
bootstrap analoga a quella impiegata per la distribuzione diametrica e la curva ipsometrica.
Tab. 31 Risultati della regressione sul diametro della chioma per specie e posizione sociale degli impianti
specie pos. soc.
n. q5_a q5_b q5_c q5_rsq a b c rsq q95_a q95_b q95_c q95_rsq
aca cd 1000 -0.300 0.339 0.127 0.929 -0.097 0.456 0.316 0.941 0.132 0.590 0.494 0.952
aca dm 1000 -0.330 0.158 0.218 0.898 -0.111 0.310 0.491 0.916 0.123 0.506 0.730 0.931
aca do 1000 -0.136 0.127 0.080 0.927 0.156 0.299 0.320 0.942 0.435 0.475 0.545 0.955
agl dm 905 -1.367 0.297 -0.719 0.488 -0.429 0.507 0.079 0.877 0.672 1.119 1.021 0.966
agl do 1000 -1.345 0.178 0.084 0.957 -0.634 0.483 0.423 0.976 -0.038 0.832 0.777 0.988
arb cd 1000 -0.038 0.416 0.053 0.922 0.063 0.486 0.152 0.929 0.162 0.554 0.255 0.935
arb dm 1000 -0.271 0.370 0.230 0.860 -0.170 0.431 0.340 0.872 -0.069 0.500 0.448 0.885
arb do 1000 0.114 0.401 0.040 0.958 0.232 0.449 0.101 0.962 0.341 0.501 0.163 0.965
cbe cd 1000 -0.554 0.345 0.223 0.933 -0.332 0.485 0.413 0.945 -0.125 0.617 0.643 0.955
cbe dm 1000 -0.358 0.348 0.150 0.900 -0.073 0.470 0.372 0.917 0.160 0.592 0.636 0.932
cbe do 1000 -0.491 0.318 0.189 0.937 -0.272 0.465 0.363 0.947 -0.052 0.588 0.571 0.955
for dm 1000 -0.895 0.221 0.396 0.737 -0.752 0.364 0.567 0.814 -0.619 0.494 0.730 0.865
fox cd 1000 -0.441 0.375 -0.975 0.867 0.223 0.821 -0.389 0.912 0.877 1.157 0.133 0.940
fox do 1000 -0.034 0.492 -0.181 0.935 0.153 0.589 -0.044 0.943 0.347 0.685 0.084 0.950
qro cd 1000 0.201 0.410 -0.307 0.913 0.358 0.568 -0.096 0.930 0.531 0.723 0.108 0.943
qro dm 1000 0.064 0.353 -0.287 0.776 0.237 0.491 -0.046 0.814 0.427 0.656 0.152 0.850
qro do 1000 0.129 0.371 0.048 0.968 0.227 0.439 0.133 0.973 0.319 0.500 0.233 0.977
tco dm 1000 -1.023 -0.162 0.603 0.794 -0.619 0.077 0.952 0.865 -0.284 0.312 1.366 0.911
umi do 1000 -0.097 0.246 0.048 0.966 0.136 0.432 0.193 0.977 0.427 0.588 0.358 0.985
Specie: aca= Acer campestre; agl= Alnus glutinosa; arb= arboree totale; cbe= Carpinus betulus; for= Fraxinus ornus; fox= Fraxinus oxycarpa; qro= Quercus robur; tco= Tilia cordata; umi= Ulmus minor; Pos. sociale: do= dominante; dm= dominata; cd=codominante.
In linea generale, i valori di R2, i limiti di confidenza ed il numero di convergenze indicano che
la funzione utilizzata sembra interpolare molto efficacemente la relazione studiata. Poiché il
valore del diametro della chioma viene espresso in funzione delle due variabili diametro fusto ed
altezza dendrometrica, per rappresentare graficamente le equazioni delle diverse specie sono
state usate le coppie di valori derivanti dalla curva ipsometrica.
83
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
1 3 5 7 9 11 13 15 17 19 21 23 25 27 29 31 33 35 37 39
dbh (cm)
dch
(m)
arb
qro
cbe
aca
agl
fox
umi
Fig. 70 Relazione diametro fusto-diametro chioma per specie del piano dominante (aca= Acer campestre; agl= Alnus glutinosa; arb= arboree totale; cbe= Carpinus betulus; fox= Fraxinus oxycarpa; qro= Quercus robur; umi= Ulmus minor)
Ad un diametro del fusto di 11-12 cm, corrispondente al livello di differenziazione ipsometrico
tra le specie arboree principali ed accessorie, le chiome dei soggetti dominanti raggiungono un
diametro medio compreso tra 4 e 5,3 m. Se consideriamo i sesti d’impianto utilizzati, al
raggiungimento di questo diametro del fusto le chiome hanno ormai cominciato a compenetrarsi
in modo più o meno consistente soprattutto qualora nella progettazione siano state privilegiate le
specie arboree rispetto alle arbustive. Appare chiaro che la chiusura della copertura delle chiome
è funzione del sesto d’impianto e delle specie impiegate. In linea generale, si può affermare che
con i sesti d’impianto impiegati la copertura tende a chiudersi piuttosto precocemente e
comunque entro i primi 10-12 anni. Per quanto riguarda lo strato dominante (Fig. 70), tutte le
specie presentano un accrescimento analogo della chioma, anche se con qualche leggera
differenza. Infatti, a parità di diametro, la massima variazione riscontrata tra le specie
nell’ampiezza della chioma è di circa un metro. Le specie eliofile (farnia ed olmo campestre)
sono anche quelle dotate di chioma più ampia e di accrescimenti iniziali superiori alla media. Il
carpino bianco, dopo una crescita iniziale simile alle altre specie, a partire da un diametro del
fusto di circa 8 cm diventa la specie che si accresce più velocemente. L’acero campestre sembra
essere l’unica specie che, dopo un buon accrescimento iniziale, tende a rallentare ed a declinare
lo sviluppo della chioma.
Questo comportamento è probabilmente dovuto al fatto che nella fase iniziale la luminosità
avvantaggia maggiormente le specie eliofile. Le specie sciafile o mesofile prendono il
sopravvento quando lo strato arboreo tende a saturare lo spazio ed esse diventano più efficienti
nell’utilizzo della radiazione solare.
84
0
1
2
3
4
5
6
7
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20
dbh (cm)
dch
(m)
arb
qro
cbe
aca
fox
Fig. 71 Relazione diametro fusto-diametro chioma per specie del piano codominante (aca= Acer campestre; arb= arboree totale; cbe= Carpinus betulus; fox= Fraxinus oxycarpa; qro= Quercus robur)
Passando allo strato codominante (Fig. 71), si può notare che le specie sciafile o mesofile come
il carpino bianco e l’acero campestre sono quelle con la chioma più sviluppata. Al contrario, le
specie eliofile (farnia e frassino ossifillo) manifestano la chioma più ridotta probabilmente a
causa della scarsità di luminosità che tende a sfavorirle nei confronti delle specie più
ombrivaghe e tolleranti l’ombreggiamento.
0
1
2
3
4
5
6
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16
dbh (cm)
dch
(m)
arb
qro
cbe
aca
agl
for
tco
Fig. 72 Relazione diametro fusto-diametro chioma per specie del piano dominato (aca= Acer campestre; arb= arboree totale; cbe= Carpinus betulus; for= Fraxinus ornus; qro= Quercus robur; agl= Alnus glutinosa; tco= Tilia cordata)
Nel piano dominato (Fig. 73), si conferma in maniera ancora più accentuata la situazione già
osservata nel piano codominante. A fronte di uno sviluppo della chioma ridotto e stentato delle
85
specie eliofile, le specie sciafile o mesofile continuano a svilupparsi grazie alla maggiore
efficienza nello sfruttamento della radiazione solare.
3.5.2 Diametro della chioma per specie e posizione sociale
L’indagine è poi proseguita anche nell’analisi delle relazioni esistenti tra le diverse posizioni
sociali all’interno di ciascuna specie arborea.
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
1 4 7 10 13 16 19 22 25 28 31 34 37 40
dbh (cm)
dch
(m) dominante
codominante
dominato
Fig. 74 Relazione diametro fusto-diametro chioma dello strato arboreo per posizione sociale
Le specie che compongono lo strato arboreo tendono a sviluppare la chioma in modo
complementare tra di loro in misura quasi uguale tra i diversi piani sociali (Fig. 74).
Solamente per il piano dominato, a partire da un diametro di circa 10-12 cm, si inizia ad
osservare qualche segno di riduzione della chioma, probabilmente a causa del declino di qualche
soggetto appartenente a specie eliofile. L’assenza di differenziazione tra i piani è confermata
anche dal punto di vista dello sviluppo verticale della struttura dei popolamenti studiati, che
generalmente si presenta biplana.
86
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
1 3 5 7 9 11 13 15 17 19 21 23 25 27 29 31 33
dbh (cm)
dch
(m) dominante
codominante
dominato
Fig. 75 Relazione diametro fusto-diametro chioma della farnia per posizione sociale
La farnia invece (Fig. 75) conferma una rapida differenziazione tra le diverse posizioni sociali
che si riflette profondamente nello sviluppo della chioma, soprattutto tra individui dello strato
dominante e dominato.
Questa differenziazione si manifesta fin dalle fasi iniziali dell’impianto e tende ad accelerare con
l’avanzare del tempo e l’aumentare della copertura arborea.
0
1
2
3
4
5
6
7
8
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21
dbh (cm)
dch
(m) dominante
codominante
dominato
Fig. 76 Relazione diametro fusto-diametro chioma del carpino bianco per posizione sociale
Al contrario, il carpino bianco (Fig. 76) conferma la sua sciafilia e la sua capacità di sfruttare al
massimo la radiazione luminosa all’aumentare della copertura: la strategia della specie, in
87
risposta alla riduzione di luminosità, si manifesta nell’ampliamento delle dimensioni della
chioma.
L’analisi è stata condotta anche per le altre specie arboree ed i risultati sono riportati
nell’Allegato 6.
3.5.3 Altezza di inserzione della chioma
Parallelamente allo sviluppo della copertura arborea, si assiste ad una progressiva riduzione
della quantità di radiazione luminosa in grado di raggiungere le parti inferiori della chioma, che
tende pertanto ad un progressivo disseccamento. La velocità del fenomeno di autopotatura dei
rami è connessa alle loro esigenze ecologiche ed è direttamente proporzionale all’eliofilia della
specie.
La Tab. 32 riporta i risultati della regressione sui dati di diametro e altezza di inserzione della
chioma sul fusto ed i valori del coefficiente di determinazione. Tra tutte le funzioni studiate,
ques’ultima relazione è quella che ha prodotto i valori più bassi di R2.
Tab. 32 Risultati della regressione tra diametro e altezza di inserzione della chioma degli impianti specie pos.
sociale n q5_a q5_b q5_c q5_rsq a b c rsq q95_a q95_b q95_c q95_rsq
aca cd 451 1.067 2.330 0.128 0.122 1.767 7.455 0.821 0.433 108.036 17.283 2.496 0.829 aca dm 421 0.056 2.465 0.378 0.011 0.468 6.034 1.394 0.086 272.611 12.315 2.759 0.545 aca do 464 1.070 1.973 0.041 0.199 2.660 2.837 0.275 0.535 591.077 17.080 1.690 0.797 agl do 95 2.245 2.064 0.433 0.234 3.062 5.822 0.937 0.392 4.206 17.980 5.055 0.598 arb cd 968 2.202 1.736 0.079 0.151 4.334 2.077 0.196 0.234 19.228 2.875 0.358 0.329 arb dm 957 0.802 1.323 0.106 0.080 1.472 1.656 0.338 0.118 10.698 2.536 0.738 0.165 arb do 1000 2.413 1.792 0.148 0.249 3.040 2.328 0.221 0.289 3.923 2.958 0.304 0.329 cbe cd 282 0.447 2.205 0.048 0.036 1.850 4.182 0.398 0.187 1648.102 16.801 2.504 0.485 cbe dm 331 0.269 2.175 0.131 0.064 0.587 8.133 1.950 0.141 884.212 15.393 3.933 0.468 cbe do 281 0.056 2.261 0.150 0.028 1.152 6.254 0.529 0.203 1513.640 14.416 1.478 0.744 for dm 624 0.482 1.275 0.067 0.066 1.369 2.109 0.448 0.164 150.370 7.215 2.168 0.382 fox cd 552 1.373 1.282 0.047 0.148 2.499 2.566 0.468 0.330 587.717 13.774 2.197 0.594 fox do 389 1.124 1.387 0.020 0.117 4.190 1.736 0.102 0.189 924.911 7.652 1.065 0.292 qro cd 946 2.307 1.827 0.097 0.292 4.040 2.598 0.326 0.405 18.872 5.094 0.705 0.539 qro dm 915 1.250 1.161 0.044 0.131 4.163 1.462 0.249 0.214 156.452 3.744 1.459 0.322 qro do 1000 3.885 1.963 0.153 0.396 4.641 2.535 0.224 0.457 5.626 3.273 0.304 0.516 umi do 337 0.798 1.376 0.019 0.068 1.312 3.603 0.409 0.153 182.790 15.421 1.678 0.295
Specie: aca= Acer campestre; agl= Alnus glutinosa; arb= arboree totale; cbe= Carpinus betulus; for= Fraxinus ornus; fox= Fraxinus oxycarpa; qro= Quercus robur; tco= Tilia cordata; umi= Ulmus minor; Pos. sociale: do= dominante; dm= dominata; cd=codominante; tot=totale.
Se prendiamo in esame le funzioni interpolatrici, possiamo notare in tutte le specie un
andamento analogo, più o meno accentuato a seconda delle esigenze ecologiche soprattutto nei
riguardi della luce.
88
0
0.5
1
1.5
2
2.5
3
3.5
4
4.5
5
1 3 5 7 9 11 13 15 17 19 21 23 25 27 29 31 33 35 37 39
dbh (cm)
H in
serz
ione
(m
)qro
cbe
fox
umi
arb
agl
aca
Fig. 76 Relazione diametro fusto-altezza di inserzione chioma per specie del piano dominante (aca= Acer campestre; agl= Alnus glutinosa; arb= arboree totale; cbe= Carpinus betulus; fox= Fraxinus oxycarpa; qro= Quercus robur; umi= Ulmus minor)
Per quanto concerne il piano dominante (Fig. 76), possiamo notare che l’inizio dei fenomeni di
autopotatura si inizia a percepire (0,2-0,5 m di altezza) per quasi tutte le specie quando gli
individui raggiungono un diametro del fusto di 8 cm. Fa eccezione in carpino bianco che, grazie
alla sua sciafilia, mantiene i rami verdi fino a diametri superiori a 10 cm.
Il disseccamento della parte bassa della chioma procede con velocità diverse: in linea generale è
maggiore per le specie eliofile mentre è di minore intensità per le specie mesofile o sciafile.
0
0.5
1
1.5
2
2.5
3
3.5
4
4.5
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20
dbh (cm)
H in
serz
ione
(m
) qro
cbe
fox
aca
arb
Fig. 77 Relazione diametro fusto-altezza di inserzione chioma per specie del piano codominante (aca= Acer campestre; arb= arboree totale; cbe= Carpinus betulus; fox= Fraxinus oxycarpa; qro= Quercus robur)
La tendenza vista per i soggetti del piano dominante tende ad accentuarsi per quelli del piano
codominante (Fig. 77) e dominato (Fig. 78): si individuano i due gruppi di specie sciafile o
89
mesofile (carpino bianco e acero campestre) che tendono a mantenere la chioma verde anche per
diametri maggiori mentre le specie eliofile (farnia e frassino ossifillo) manifestano un
disseccamento precoce della parte basale.
0
0.5
1
1.5
2
2.5
3
3.5
4
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16
dbh (cm)
H in
serz
ione
(m
)
qro
cbe
aca
arb
for
Fig. 78 Relazione diametro fusto-altezza di inserzione chioma per specie del piano dominato (aca= Acer campestre; arb= arboree totale; cbe= Carpinus betulus; for= Fraxinus ornus; qro= Quercus robur)
3.5.4 Altezza di inserzione della chioma per specie e posizione sociale
Passando all’analisi per specie in base alla posizione sociale, emerge un comportamento analogo
tra tutte le specie a prescindere dalle differenti esigenze ecologiche (Figg. 79-80 e 81): gli
individui del piano dominante sono i soggetti che possiedono la chioma più sviluppata come
estensione verticale e che risentono in misura minore dei fenomeni di autopotatura.
0
0.5
1
1.5
2
2.5
3
3.5
4
1 4 7 10 13 16 19 22 25 28 31 34 37 40
dbh (cm)
H in
serz
ione
(m
)
dominante
codominante
dominato
Fig. 79 Relazione diametro fusto-altezza di inserzione chioma dello strato arboreo per posizione sociale
90
0
0.5
1
1.5
2
2.5
3
3.5
4
4.5
5
1 3 5 7 9 11 13 15 17 19 21 23 25 27 29 31 33
dbh (cm)
H in
serz
ione
(m
)
dominante
codominante
dominato
Fig. 80 Relazione diametro fusto-altezza di inserzione chioma della farnia per posizione sociale
0
0.2
0.4
0.6
0.8
1
1.2
1.4
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21
dbh (cm)
H in
serz
ione
(m
)
dominante
codominante
dominato
Fig. 81 Relazione diametro fusto-altezza di inserzione chioma della farnia per posizione sociale
L’analisi è stata condotta anche per le altre specie arboree ma, considerando i bassi valori di R2,
si è ritenuto superfluo riportarne i grafici.
3.5.5 Diametro della chioma per posizione sociale dei boschi relitti
La Tab. 33 propone i risultati dell’analisi di regressione per le specie arboree e per le posizioni
sociali dei querco-carpineti relitti, effettuata seguendo una procedura bootstrap analoga a quella
impiegata per la distribuzione diametrica e la curva ipsometrica.
91
Tab. 33 Risultati della regressione sul diametro della chioma per specie e posizione sociale dei boschi relitti
Specie Pos. sociale
n. q5_a q5_b q5_c q5_rsq a b c rsq q95_a q95_b q95_c q95_rsq
aca totale 83 -1.017 0.740 0.000 0.951 -0.721 0.828 0.000 0.962 -0.480 0.932 0.000 0.978 arb totale 1 0.000 0.572 0.000 0.986 0.000 0.572 0.000 0.986 0.000 0.572 0.000 0.986 arb do 1 0.000 0.577 0.000 0.992 0.000 0.577 0.000 0.992 0.000 0.577 0.000 0.992 arb cd 1 0 0.597 0.000 0.976 0.000 0.597 0.000 0.976 0.000 0.597 0.000 0.976 arb dm 155 0.001 0.209 0.016 0.950 0.139 0.363 0.153 0.961 0.468 0.501 0.335 0.971 cbe totale 261 -1.272 0.774 0.000 0.975 -0.765 0.910 0.000 0.984 -0.400 1.058 0.000 0.989 fox totale 11 -2.345 0.578 0.000 0.990 -1.801 1.086 0.000 0.994 0.000 1.236 0.000 0.996 qro totale 1 0.000 0.545 0.000 0.987 0.000 0.545 0.000 0.987 0.000 0.545 0.000 0.987 umi totale 229 -2.440 0.709 0.000 0.986 -1.161 0.893 0.000 0.992 -0.599 1.233 0.000 0.997
Specie: aca= Acer campestre; arb= arboree totale; cbe= Carpinus betulus; fox= Fraxinus oxycarpa; qro= Quercus robur; umi= Ulmus minor. Pos. Sociale= do= dominante; cd= codominante; dm= dominato
Merita segnalare come in questo caso la regressione abbia sempre stimato uguale a zero il
coefficiente c della funzione, ad eccezione del piano arboreo dominato. Dal punto di vista
geometrico, ciò comporta che quasi tutte le curve tendano ad assumere un andamento rettilineo
(Fig. 82) ed a essere dipendenti solamente dal diametro del fusto e non dall’altezza della pianta,
come riportato anche da alcuni autori (Gering L. R., May D. M., 1995; Hemery G. E. et al.,
2005).
0
2
4
6
8
10
12
14
1 4 7 10 13 16 19 22 25 28 31 34 37 40 43 46 49 52 55 58 61
dbh (cm)
dch
(m)
qro
cbe
aca
fox
umi
arb
Fig. 82 Diametro della chioma per specie (aca= Acer campestre; arb= arboree totale; cbe= Carpinus betulus; fox= Fraxinus oxycarpa; qro= Quercus robur; umi= Ulmus minor)
Se si confrontano le relazioni esistenti negli impianti con quelle dei boschi relitti, si può notare
una forte similitudine negli andamenti. In particolare, in entrambe le situazioni, il carpino bianco
è la specie che manifesta la chioma più ampia in relazione alla dimensione del fusto.
Se si esaminano i rapporti esistenti tra le diverse posizioni sociali (Fig. 83), si nota un trend di
accrescimento molto simile ove i soggetti del piano codominante sembrerebbero avere le chiome
leggermente più sviluppate di quelli degli altri piani. Il medesimo trend è peraltro riscontrabile
anche negli impianti.
92
0
2
4
6
8
10
12
1 5 9 13 17 21 25 29 33 37 41 45 49 53 57 61
dbh (cm)
dch
(m)
totale
dominante
dominato
codominante
Fig. 83 Diametro della chioma per posizione sociale
Nella Fig. 84, è stato riportato anche il rilievo planimetrico dell’area campione permanente di un
ettaro realizzata ad Olmè. Oltre allo sviluppo della copertura delle chiome è anche visibile la
distribuzione delle specie sull’area, che presenta delle grosse lacune nel piano dominante.
Fig. 84 Rilievo planimetrico dell’area campione permanente di un ettaro ad Olmè (aca= Acer campestre; cav= Corylus avellana; cbe= Carpinus betulus; cmo= Crataegus monogyna; fox= Fraxinus oxycarpa; jni= Juglans nigra; pal= Populus alba; pni= Populus nigra; qro= Quercus robur; rps= Robinia pseudoacacia; uca= Ulmus minor)
N
93
In particolare, si può notare che alcune specie eliofile (pioppi, nocciolo, biancospino, robinia ) si
localizzano esclusivamente sul bordo dell’area in corrispondenza dei margini del bosco o della
viabilità interna di servizio ove possono beneficiare di un maggior grado di illuminazione. Il
frassino ossifillo e l’acero campestre tendono ad essere distribuiti più omogeneamente sulla
superficie mentre l’olmo campestre e la farnia sono rappresentati ormai da pochi individui
viventi fortemente compromessi da punto di vista fitosanitario. Il carpino bianco, specie che a
Carpenedo costituisce quasi completamente il piano arboreo dominato, è numericamente poco
significativo e sembra non mostrare una forte capacità di espansione forse a causa della
pressione dell’invadente piano arbustivo.
3.5.6 Altezza di inserzione della chioma dei boschi relitti
Come già visto per gli impianti, la relazione tra diametro del fusto ed altezza di inserzione della
chioma (Tab. 34) è quella che fornisce i valori più bassi del coefficiente di determinazione ed i
maggiori problemi di convergenza della regressione.
In particolare, è stata usata l’equazione logistica in quanto la funzione di Gompertz mal si
adattava all’interpolazione dei dati.
Ulteriori problemi sono anche sorti per la farnia che, a causa dei noti problemi legati alla
sindrome da deperimento, tende al disseccamento dei rami principali ed all’emissione di rami
epicormici dal fusto.
Tab. 34 Risultati della regressione sul diametro della chioma per specie e posizione sociale dei boschi relitti
Specie Pos.
sociale n. q5_a q5_b q5_k q5_rsq a b k rsq q95_a q95_b q95_k q95_rsq
aca totale 678 4.433 0.750 0.096 0.033 5.007 4.284 0.399 0.119 6.025 19.379 1.675 0.248
arb totale 994 10.375 2.845 0.160 0.402 11.099 3.515 0.203 0.477 11.825 4.205 0.245 0.546
arb do 146 10.714 1.668 0.163 0.014 11.331 5.151 0.294 0.069 12.104 162.313 9.330 0.158
arb dm 988 4.338 2.048 0.070 0.160 5.501 3.819 0.300 0.263 267.060 9.604 0.867 0.390
arb cd 2 6.367 12.322 0.800 0.138 6.559 12.604 0.849 0.157 6.751 12.887 0.899 0.177
cbe totale 963 2.279 0.157 0.032 0.068 24.133 4.274 0.062 0.400 4580.134 8.568 0.648 0.703
fox totale 447 10.594 0.000 0.014 0.023 11.582 1.910 0.158 0.085 50.685 82.513 5.952 0.231
qro totale 15 12.404 0.141 0.080 0.005 13.185 5.464 0.275 0.087 15.504 227.151 9.930 0.359
umi totale 834 7.696 1.536 0.046 0.149 9.263 24.403 1.935 0.517 16.485 102.998 8.031 0.835
Specie: aca= Acer campestre; arb= arboree totale; cbe= Carpinus betulus; fox= Fraxinus oxycarpa; qro= Quercus robur; umi= Ulmus minor Dal punto di vista ecologico, il carpino bianco, seguito dall’acero campestre, si conferma come
la specie più resistente alla riduzione di luminosità che si manifesta a livello del piano dominato
(Fig. 85).
94
0
2
4
6
8
10
12
14
1 4 7 10 13 16 19 22 25 28 31 34 37 40 43 46 49 52 55 58 61
dbh (cm)
h in
serz
ione
(m
) qro
aca
cbe
fox
umi
arb
Fig. 85 Altezza di inserzione della chioma per specie arborea (aca= Acer campestre; arb= arboree totale; cbe= Carpinus betulus; fox= Fraxinus oxycarpa; qro= Quercus robur; umi= Ulmus minor)
I rapporti tra i diversi piani di vegetazione arborea (Fig. 86), sembrano confermare la presenza
“fittizia” di un piano codominante, il quale sarebbe invece assimilabile alla posizione sociale
dominata come già descritto in precedenza a proposito della relazione ipsometrica. Non
sembrerebbero peraltro emergere differenze significative tra il piano dominante e quello
dominato come invece appare nel caso degli impianti.
0
2
4
6
8
10
12
1 5 9 13 17 21 25 29 33 37 41 45 49 53 57 61
dbh (cm)
h in
serz
ione
(m
)
totale
dominante
dominato
codominante
Fig. 86 Altezza di inserzione della chioma per posizione sociale
3.6 Relazione diametro-età
Sui dati di accrescimento radiale cumulato derivati dall’analisi dendrocronologica delle carotine
e delle rotelle delle piante di farnia abbattute, è stata fatta una regressione non lineare con
procedura bootstrap attraverso la funzione di Chapman-Richards. Una piccola parte dei dati
95
elaborati derivano da tesi di laurea (Marin, 1994) e da indagini specifiche (Pelleri, 2001
Mezzalira, 2004) che comprendono anche altre specie arboree (frassino ossifillo e ontano nero)
che però non sono state oggetto di elaborazione in questo contesto. La Tab. 35 indica i valori dei
parametri delle funzioni di regressione ed i limiti di confidenza della stima.
Tab. 35 Valori dei parametri di regressione della relazione età-raggio per la farnia
Descrizione n. q5_a q5_b q5_c q5_rsq a b c rsq q95_a q95_b q95_c q95_rsq
impianti fert. 1 32 14.944 0.028 1.432 0.626 34.162 0.042 1.780 0.669 48.103 0.122 2.485 0.714
impianti fert. 2 1000 6.832 0.105 2.530 0.611 8.613 0.159 3.331 0.655 12.261 0.217 4.438 0.698
boschi relitti 1000 18.085 0.032 1.436 0.760 19.318 0.039 1.616 0.779 20.942 0.047 1.833 0.797 fert. 1= stazioni di fertilità 1; fert. 2 = stazioni di fertilità 2)
Dall’analisi del dataset è emerso come nelle stazioni oggetto dei rilievi vi siano almeno due
velocità distinte di accrescimento della farnia:
1. stazione di Novoledo, Tartaro e Bandiziol e Prassaccon - parte, dove gli accrescimenti della
farnia sono più sostenuti (fertilità 1);
2. altre stazioni (Carpenedo, Osellino, Ottolenghi, Bandiziol e Prassaccon – parte e San Marco)
dove gli accrescimenti sono invece più ridotti (fertilità 2).
Come già visto in precedenza, le località del gruppo 1 si differenziano dalle altre anche per le
caratteristiche del suolo e, probabilmente, per la fertilità delle stesse che si manifesta in una
crescita diametrica diversa.
0
2
4
6
8
10
12
14
16
18
20
1 5 9 13 17 21 25 29 33 37 41 45 49 53 57 61 65 69 73 77
età (anni)
ragg
io (
cm)
boschi relitti
impianti fert. 1
impianti fert. 2
Fig. 87 Relazione tra età e incremento radiale della farnia (fert. 1= stazioni di fertilità 1; fert. 2 = stazioni di fertilità
2)
La Fig. 87 riporta le curve di incremento radiale degli impianti e dei boschi relitti in base a tale
differenziazione. Si può osservare come gli impianti realizzati nei terreni più fertili (fert. 1)
sembrino dimostrare gli accrescimenti più elevati in assoluto, mentre gli altri (fert. 2)
manifestino un leggero ritardo nello sviluppo rispetto ai boschi.
96
Tale comportamento può essere imputabile al fatto che i soggetti campionati nei boschi relitti
sono, in gran parte, di origine agamica, in quanto derivanti dai tagli irrazionali prodotti
soprattutto nel corso dell’ultima guerra mondiale. E’ noto infatti che il ritmo di accrescimento
ipsodiametrico dei polloni è superiore rispetto ai soggetti derivanti da seme e che questo tende a
culminare precocemente. Merita inoltre citare il particolare comportamento osservato per la
farnia negli impianti che, nei primi anni, tende a sviluppare un robusto apparato radicale e solo
successivamente anche la chioma. E’ abbastanza comune infatti trovare negli impianti di 5-6
anni ancora molti soggetti con un portamento cespuglioso che non raggiungono ancora il
diametro minimo di 1 cm usato come soglia di cavallettamento. A partire da questa età, un apice
della chioma assume la dominanza e si assiste ad un accelerazione esponenziale della crescita
ipsodiametrica tanto che i soggetti sono in grado di superare, al 6° anno, lo sviluppo delle piante
cresciute in bosco. Non è escluso inoltre che, nel caso degli impianti, la qualità del materiale
vivaistico utilizzato possa averne rallentato lo sviluppo iniziale. Si sa per certo che, in alcune
situazioni (Osellino, San Marco) sono stati usati soggetti a pronto effetto che, come noto, hanno
maggiori problemi di attecchimento dovuti allo stress da trapianto ed è inoltre nota la difficoltà
di trapianto dei semenzali di farnia a causa del rapido sviluppo dell’apparato radicale fittonante.
La giovane età degli imboschimenti non consente peraltro di dare delle indicazioni che possano
confermare anche per il futuro i livelli di crescita osservati nei primi anni. In ogni caso, la
riduzione di pendenza delle curve sembra confermare quanto si osserva in natura e cioè quanto
maggiore è la velocità di accrescimento e tanto minore è la durata dello stesso. In particolare,
l’andamento parallelo delle curve sembrerebbe indicare che gli impianti di fertilità 2 abbiano
degli incrementi radiali simili a quelli dei boschi.
0
0.1
0.2
0.3
0.4
0.5
0.6
0.7
0.8
1 5 9 13 17 21 25 29 33 37 41 45 49 53 57 61 65 69 73 77
età (anni)
IC r
aggi
o (c
m)
boschi relitti
impianti fert. 1
impianti fert. 2
Fig. 88 Relazione tra età ed incremento corrente radiale della farnia (fert. 1= stazioni di fertilità 1; fert. 2 = stazioni
di fertilità 2)
97
La curva dell’incremento corrente radiale (Fig. 88) presenta un massimo per gli impianti di
fertilità 1 corrispondente ad un’età di 13-14, analoga a quella che si riscontra per i boschi relitti.
Nel caso degli imboschimenti di fertilità 2, il culmine dell’incremento radiale avviene invece ad
una età più precoce (circa 8 anni) e quindi si riduce velocemente a valori inferiori a quelli dei
boschi. Per questi ultimi, si può inoltre osservare che l’incremento radiale raggiunge al massimo
la metà di quello degli impianti di maggior fertilità. Superata la soglia dei 65-70 anni, le farnie
sembrano subire un progressivo ma inesorabile rallentamento nella crescita radiale,
probabilmente ascrivibile al cosiddetto deperimento della quercia.
3.7 Relazione altezza-età
Analoghe considerazioni si possono fare per la farnia anche per quanto riguarda lo sviluppo in
altezza rispetto all’età anche se, in questo caso, le curve sono molto più prossime tra loro (Fig.
89, Tab 36). Non è stato purtroppo possibile effettuare l’analisi di regressione sugli
accrescimenti ipsometrici della farnia relativa alle stazioni di fertilità 1 in quanto non erano
disponibili dati derivanti da analisi del fusto. Il massimo incremento in altezza si verifica a circa
6-7 anni sia per gli impianti che per i boschi relitti. Mentre negli impianti si può notare
l’esistenza di una buona sincronizzazione temporale tra incremento radiale e ipsometrico, nel
caso dei boschi sembra che la farnia tenda prima ad accrescersi in diametro e successivamente a
svilupparsi in altezza. Questo fatto tende a confermare l’ipotesi che i soggetti studiati dei boschi
relitti siano derivati da rinnovazione agamica piuttosto che da seme.
0
5
10
15
20
25
30
35
1 5 9 13 17 21 25 29 33 37 41 45 49 53 57 61 65 69 73 77
età (anni)
alte
zza
(m)
impianti
boschi relitti
Fig. 89 Relazione tra altezza ed età della farnia
L’equazione di Chapman-Richards usata per la regressione è sostanzialmente corretta per i
valori più bassi mentre, per le età più avanzate, tende a sovrastimare gli accrescimenti.
98
Tab. 36 valori dei parametri di regressione della relazione età-altezza per la farnia Descrizione n. q5_a q5_b q5_c q5_rsq a b c rsq q95_a q95_b q95_c q95_rsq
impianti fert. 2 920 8.556 0.054 1.402 0.773 12.328 0.159 2.242 0.845 24.791 0.311 4.293 0.897
boschi relitti 976 34.354 0.017 1.078 0.946 39.249 0.023 1.170 0.954 46.373 0.029 1.289 0.961
Anche in questo caso, a partire dai 65-70 anni i soggetti mostrano un rallentamento nella crescita
ipsometrica annua (Fig. 90) che tende ad accentuarsi con l’invecchiamento delle piante.
0
0.1
0.2
0.3
0.4
0.5
0.6
0.7
0.8
0.9
1
1 6 11 16 21 26 31 36 41 46 51 56 61 66 71 76
impianti
boschi relitti
Fig. 90 Relazione tra incremento corrente in altezza ed età della farnia
99
3.8 Mortalità e problemi fitosanitari
3.8.1 Mortalità e problemi fitosanitari negli impianti
Nell’ambito dell’indagine si è ritenuto di ampliare il rilievo anche agli aspetti fitosanitari con
l’obiettivo di poter disporre almeno di un quadro generale della salute dei popolamenti studiati.
Uno dei principali aspetti che si è cercato di valutare riguarda il tasso di mortalità degli impianti,
fenomeno che peraltro dipende da numerosi fattori:
1. progettazione ed esecuzione (scelta delle specie, densità e disegno d’impianto, messa a
dimora piantine, uso di pacciamatura, ecc.)
2. grado di manutenzione (sfalcio infestanti, sostituzione fallanze, attrezzature usate, ecc.)
3. presenza di problemi della stazione (ristagno idrico, profondità della falda, tessitura del
suolo, ecc.)
4. eventi climatici estremi (siccità, gelate, vento, ecc.)
5. attacchi parassitari
6. interventi colturali
7. competizione per la luce, lo spazio e le sostanze nutritive
8. predazione da parte della selvaggina
E’ chiaro che solamente un monitoraggio di lunga durata effettuato su aree campione permanenti
potrebbe dare delle risposte attendibili su ciascuno di questi fattori. I soggetti censiti come morti
negli impianti sono complessivamente 1327, pari a circa il 12% dell’intero dataset. Tale quantità
comprende sia i soggetti morti effettivamente rilevati sia gli spazi vuoti che teoricamente
avrebbero dovuto essere occupati in base al disegno d’impianto. Ipotizzando che tutti gli
impianti siano stati gestiti in maniera ordinaria, partendo dalla densità iniziale e dal numero di
soggetti morti rilevato in ciascuna area campione è stata quantificata la mortalità media annua in
base all’età del popolamento.
Dall’analisi sono stati esclusi tutti gli impianti in cui erano stati effettuati degli interventi
selvicolturali in quanto era impossibile distinguere la selezione naturale da quella antropica.
Si può osservare (Fig. 91) come in media muoiano dai 10 ai 20 soggetti ha-1anno-1.
Nel grafico sono anche stati inseriti degli impianti che si possono considerare come outlayer per
l’eccessiva mortalità (superiore a 40 soggetti ha-1anno-1) probabilmente dovuta ad anomalie
stazionali e ad errori di manutenzione oppure per la mortalità troppo bassa (età 16 e 17 anni)
causato da un intervento di rinfoltimento tardivo (dopo 8 anni dall’impianto iniziale) che ha
falsato il dato.
100
0.0
10.0
20.0
30.0
40.0
50.0
60.0
0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20
età (anni)
Sog
getti
mor
ti (N
/ha)
Fig. 91 Mortalità media annua degli impianti in funzione dell’età
0.00%
0.50%
1.00%
1.50%
2.00%
2.50%
3.00%
3.50%
4.00%
4.50%
0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20
età (anni)
mor
talit
à an
nua
%
Fig. 92 Mortalità media annua percentuale degli impianti in funzione dell’età
In termini percentuali (Fig. 92), si tratta comunque di una mortalità estremamente bassa,
compresa tra 0,5% e 1,5% che indica l’assenza o una limitatissima competizione tra i soggetti
arborei ed arbustivi.
0.00%
0.50%
1.00%
1.50%
2.00%
2.50%
3.00%
3.50%
4.00%
4.50%
0 500 1000 1500 2000 2500 3000 3500 4000 4500
densità iniziale (N/ha)
mor
talit
à an
nua
%
Fig. 93 Mortalità media annua percentuale degli impianti in funzione della densità iniziale
101
Se confrontiamo la mortalità in termini di densità iniziale dell’impianto (Fig. 93), possiamo
notare una scarsa correlazione tra le variabili. Questo conferma quanto già visto in precedenza e
cioè che, data la giovane età dei popolamenti, non è ancora iniziata una vera e propria lotta per la
sopravvivenza. L’interpretazione è in linea con la teoria della densità limite del popolamento
(Reineke, 1933) secondo cui le piante tendono ad accrescersi con una bassa mortalità finchè non
viene raggiunto la densità limite, superata la quale inizia ad agire con forza la selezione naturale.
Questa teoria è confermata dai dati rilevati a distanza di circa due anni sulle medesime piante
nella stazione di Osellino. I dati di Tab. 37 indicano che dal momento dell’impianto fino all’età
di 9 anni, la mortalità media annua era contenuta nei limiti degli impianti di tale età. Nei rilievi
condotti nel 2005, quando le chiome delle piante avevano ormai raggiunto una copertura totale
del suolo, la mortalità ha invece subito una brusca accelerazione.
Tab. 37 Variazione della mortalità nella stazione di Osellino
Periodo n. vivi n. morti Mortalità media annua
1994-2003 490 49 1.1% 2003-2005 451 26 2.9%
Per tale stazione è stato anche possibile disaggregare la mortalità del periodo 2003-2005 a livello
di specie (Tab. 38). Come prevedibile, la mortalità ha colpito quasi esclusivamente specie
arboree ed arbustive a temperamento fortemente eliofilo che sono quelle più sensibili alla
competizione per la radiazione luminosa. Un dato da tenere in debita considerazione nella
progettazione degli interventi è quello relativo alla farnia: gli individui morti appartengono al
piano dominato e non sono riusciti a vincere la competizione iniziale per la luce con soggetti
arborei vicini.
Tab. 38 Mortalità 2003-05 stazione Osellino per specie legnosa Specie n. morti
Quercus robur 20 Crataegus monogyna 2 Prunus spinosa 1 Rosa canina 1 Salix alba 1 Salix viminalis 1 Totale 26
102
0
500
1000
1500
2000
2500
1 7 13 19 25 31 37 43 49 55 61 67 73 79
età (anni)
N/h
a
carpenedo 7
carpenedo 8
carpenedo 9
osellino 9
osellino 11
ottolenghi 7
ottolenghi 8
ottolenghi 9
ottolenghi 10
san marco 9
san marco 11
bandiziol 7
bandiziol 8
bandiziol 9
bandiziol 10
Fig. 94 Curva di mortalità per stazione ed età degli impianti
Nella Fig. 89, è stata invece riportata la curva di mortalità media per gli impianti calcolata con la
funzione allometrica in base alla densità iniziale ed al tasso di decremento medio annuo
verificatosi a partire dalla messa a dimora delle piantine fino al momento del rilievo. Per poter
correttamente computare la mortalità riferita alla composizione media del dataset, alla
componente arborea media (n. 1005 soggetti ha-1) è stata aggiunta anche la componente media
arbustiva (n. 406 soggetti ha-1). E’ chiaro che si tratta di una semplificazione in quanto la curva
presuppone che la mortalità sia costante nel tempo mentre in effetti, ciò non si verifica. Per le
considerazioni fatte in precedenza, è prevedibile che la curva, dopo il primo tratto a mortalità
piuttosto bassa, ben rappresentato dal grafico, subisca un forte abbassamento a seguito della
competizione che si innesca tra le piante a partire dai 10-12 anni di età. Per la determinazione
della mortalità naturale, si potrebbero anche utilizzare altri metodi, basati ad esempio sulla
spaziatura relativa (Wilson, 1951) in cui il numero di piante vive viene legato all’altezza
dominante oppure all’indice di densità del popolamento di Reineke (1933) in cui viene usato il
diametro medio. Il vero problema (Valclay, 1994), è che tutti questi metodi indicano il numero
degli alberi sopravvissuti ma non individuano quali alberi muoiano e, di conseguenza, è
necessario fare delle ipotesi aggiuntive al modello. Alcuni autori ipotizzano che siano le piante
più piccole quelle che muoiono per prime, ma questo non è necessariamente corretto, soprattutto
nel caso di studio in cui vi sono specie arboree con valenze ecologiche molto diverse. Dalle
osservazioni effettuate in campo, qualora possibile, si è proceduto all’identificazione della
specie a cui apparteneva il soggetto morto. Come si può vedere (Tab. 39), anche in questo caso i
dati confermano quanto già emerso per la stazione di Osellino. Le specie più sensibili alla
mortalità negli impianti sono quelle a temperamento eliofilo oppure quelle che hanno comunque
dimostrato una particolare sensibilità ai problemi fitopatologici.
103
Tab. 39 Mortalità del dataset per specie negli impianti Specie N. morti
Quercus robur 47 Sambucus nigra 17 Alnus glutinosa 8 Crataegus monogyna 8 Acer campestre 5 Rosa canina 4 Salix alba 4 Ligustrum vulgaris 3 Prunus spinosa 3 Viburnum lantana 3 Salix viminalis 2 Frangula alnus 1 Viburnum opulus 1
Totale 106
In ogni caso, l’incidenza della mortalità naturale sembrerebbe del tutto insufficiente a garantire
la crescita ottimale dei soggetti messi a dimora. Per quanto concerne lo stato fitosanitario, nelle
Tab. 40 e 41 sono riportati per le principali specie arboree ed arbustive e gli eventuali problemi
rilevati.
Tab. 40 Incidenza dei problemi fitopatologici per specie arborea negli impianti
Specie n. totale n. soggetti con problemi
Frequenza %
Acer campestre 823 65 8% Alnus glutinosa 260 18 7% Carpinus betulus 1267 41 3% Fraxinus ornus 304 17 6% Fraxinus oxycarpa 669 100 15% Quercus robur 2352 454 19% Tilia cordata 179 31 17% Ulmus minor 146 20 14% Altre specie 858 88 10% Totale 6858 834 12% Tab. 41 Incidenza dei problemi fitopatologici per specie arbustiva negli impianti
Specie n. totale n. soggetti con problemi
Frequenza %
Cornus sanguinea 216 5 2% Corylus avellana 305 15 5% Crataegus monogyna 532 7 1% Frangula alnus 281 14 5% Prunus spinosa 299 0 0% Viburnum opulus 260 4 2% Altre specie 737 40 5% Totale 2630 85 3%
104
Le specie arboree sono interessate da problemi fitosanitari con una frequenza di gran lunga
superiore rispetto alle arbustive. Tra queste, la farnia si rivela come la specie più sensibile
mentre il carpino bianco è, all’opposto, quella più resistente.
Nella maggior parte dei casi, i danni rilevati sono di lieve entità in quanto localizzati a livello
dell’apparato fogliare e raramente si sono osservati attacchi a livello degli organi permanenti
(rami, tronco e radici) che, in limitatissimi casi, possono aver prodotto la morte (Tab. 42 e 43).
Tab. 42 Localizzazione del danno nelle specie arboree degli impianti
Localizzazione del danno Specie
Foglie Rami e gemme
Tronco e radici Totale
Acer campestre 63 2 65 Alnus glutinosa 4 2 12 18 Carpinus betulus 40 1 41 Fraxinus ornus 9 7 1 17 Fraxinus oxycarpa 99 1 100 Quercus robur 434 14 6 454 Tilia cordata 31 31 Ulmus minor 19 1 20 Altre specie 72 4 12 88 Totale 771 30 33 834 % sul totale 92% 4% 4% 100% Tab 43 Localizzazione del danno nelle specie arbustive degli impianti
Localizzazione del danno Specie
Foglie Rami e gemme
Tronco e radici Totale
Cornus sanguinea 5 5 Corylus avellana 15 15 Crataegus monogyna 4 3 7 Frangula alnus 4 10 14 Prunus spinosa 0 Viburnum opulus 4 4 Altre specie 27 3 10 40 Totale 59 3 23 85 % sul totale 69% 4% 27% 100%
Per quanto riguarda i sintomi riscontrati (Tab. 44), si evidenziano al primo posto i segni di
presenza di funghi seguiti dagli insetti responsabili di erosioni e deformazioni fogliari, talvolta
presenti contemporaneamente sul medesimo soggetto attaccato.
In parecchi casi, soprattutto nei rilievi effettuati nei mesi estivi sugli impianti più giovani, è stata
rilevata una filloptosi anticipata a causa della perdurante siccità. Tali sintomi sono stati registrati
nella categoria “altro”.
105
Tab 44 Riepilogo dei sintomi riscontrati negli impianti
Sintomo n. Incidenza % erosioni fogliari 109 11.9% decolorazioni fogliari 24 2.6% Microfillia 0 0.0% segni di insetti 121 13.2% segni di funghi 255 27.7% necrosi 65 7.1% rottura o piegamento 6 0.7% deformazioni 32 3.5% flussi di linfa 3 0.3% lesioni corticali 7 0.8% ferite 10 1.1% altro 163 17.7% erosioni fogliari+funghi 68 7.4% erosioni fogliari+deformazioni 14 1.5% altri sintomi associati 42 4.6% Totale 919 100.0%
Funghi ed insetti, anche in associazione tra loro, sono gli agenti responsabili in ugual misura dei
danni rilevati (Tab. 45) sulle piante. Anche i fattori abiotici (siccità, vento) hanno un certo
rilievo mentre tutte le altre cause sono del tutto irrilevanti o addirittura assenti.
Tab. 45 Riepilogo degli agenti del danno negli impianti
Agente del danno n. Incidenza % pascolo e selvatici 3 0.3% insetti 293 31.9% funghi 281 30.6% fattori abiotici 171 18.6% fattori antropici 5 0.5% fuoco 0 0.0% inquinamento atmosferico 0 0.0% altro 47 5.1% insetti+funghi associati 102 11.1% altri attacchi associati 17 1.8% Totale 919 100%
Tra le specie fungine responsabili dei problemi fitosanitari, l’oidio è la malattia che più
frequentemente si rileva sulla farnia, sull’acero campestre e sul biancospino e che provoca i
maggiori danni, soprattutto di ordine estetico. Altre manifestazioni fungine, riconducibili a
ruggini ed a ticchiolature, sono comunemente osservate su farnia, tiglio cordato, sanguinello e
frangola.
Tra gli insetti, quelli più frequentemente associati alla farnia appartengono al genere Caliroa e
Periclista, della famiglia dei Tentrenidi. Si tratta di fillofagi presenti soprattutto sulle piante più
giovani, le cui larve si alimentano con il parenchima fogliare provocando il disseccamento della
106
chioma con limitate ripercussioni sull’accrescimento. Sempre su farnia, sono presenti anche
afidi galligeni spesso associati agli insetti e funghi precedentemente descritti.
Sul frassino ossifillo, soprattutto nelle stazioni di San Marco e Bandiziol-Prassaccon, sono
segnalati il curculionide Stereonychus (=Cionus) fraxini ed il cecidomide Dasyneura fraxini
specie responsabili, rispettivamente, di erosioni della pagina fogliare e di deformazioni del
rachide fogliare. Tali insetti sono presenti da anni nel vicino bosco Olmè dove provocano
intense defoliazioni che portano ad uno stress delle piante attaccate costrette alla riemissione
delle foglie in pieno periodo estivo (Fig. 95). Un altro insetto con una certa diffusione sull’acero
campestre è Heterarthrus aceri, la cui larva minatrice provoca il parziale disseccamento del
lembo fogliare. Altre patologie di un certo rilievo sono il giallume dell’ontano, una fitoplasmosi
che provoca ingiallimento, foglie di ridotte dimensioni, arrossamenti autunnali precoci e caduta
anticipata delle foglie, degenerazione progressiva delle branche e proliferazione di germogli
ascellari e Xanthogaleruca (=Galerucella) luteola, coleottero comunemente presente
esclusivamente sugli olmi dove provoca la scheletrizzazione delle foglie.
3.8.2 Mortalità e problemi fitosanitari nei boschi relitti
Carpenedo
Dal confronto tra i dati del 2003 e quelli del 2005 (Tab. 46), sembra emergere un generale
degrado della vitalità delle piante, sia a carico della farnia ma anche del carpino bianco. Pur con
i limiti impliciti in una codificazione soggettiva dello stato fitosanitario adottata nei rilievi, le
piante fortemente deperienti o addirittura morte (17%) appaiono di molto superiori rispetto a
quanto rilevato nel 2003 (6%). Di particolare evidenza è un tasso di mortalità del carpino bianco
simile a quello della farnia.
Tab. 46 Variazione dello stato fitosanitario per specie a Carpenedo Condizione fitosanitaria 2005 Condizione fitosanitaria 2003
Specie buona discreta mediocre pessimo morto totale normale precario morto Totale
Quercus robur 21% 41% 19% 0% 19% 100% 83% 12% 5% 100%
Carpinus betulus 53% 16% 13% 1% 16% 100% 91% 2% 7% 100%
Altre specie 80% 20% 0% 0% 0% 100% 92% 8% 0% 100%
Totale 42% 27% 14% 1% 16% 100% 89% 5% 6% 100%
La differenza riscontrata potrebbe essere in parte giustificata dalla diversa epoca di effettuazione
dei rilievi. Infatti, nel 2003 il rilievo è stato fatto in primavera e quindi non erano stimabili con
precisione i danni alla chioma a causa dell’incompleta emissione dell’apparato fogliare. E’
inoltre probabile che l’anomalia climatica del 2003 (forte siccità primaverile-estiva) possa aver
avuto un ruolo importante nell’accelerare il deperimento dei soggetti fino a causarne la morte. Il
107
carpino presenta evidenti sintomi di sofferenza (disseccamento cima e rami, fessurazione e
cancri corticali, Fig. 96), che sembrano diffondersi a macchia d’olio anche su superficie
discretamente ampie (150-300 m2) e che portano alla morte i soggetti colpiti. Se è ben noto il
fenomeno del deperimento della farnia, meno nota è invece tale patologia a carico del carpino
bianco. Dai primi rilievi eseguiti, sono stati isolate le due specie fungine Citospora spp. e
Phomopsis spp. (Montecchio L. 2005, comunicazione personale) che potrebbero essere
responsabili di tale deperimento.
Fig. 95 Forti defoliazioni di Fraxinus oxycarpa a Olmè Fig. 96 Cancri corticali su Carpinus betulus a
Carpenedo
Olmè
La Tab. 47 illustra i risultati emersi dal confronto tra i dati riportati all’ettaro della particella b
(superficie totale 2,45 ha) raccolti nel censimento eseguito dal Servizio Forestale Regionale di
Treviso nel 2003 ed i rilievi eseguiti nel 2006 sull’area campione permanente di un ettaro
predisposta nella stessa particella. Pur con i limiti derivanti dalla non omogeneità della
distribuzione delle diverse specie arboree sulla particella, i risultati dimostrano una buona
congruenza tra i due rilievi, soprattutto nel numero dei soggetti vivi con dbh>17 cm.
108
Tab. 47: Variazione dello stato fitosanitario per specie a Olmè (dati ad ettaro)
Condizione fitosanitaria 2006 Condizione fitosanitaria 2003 Specie n. vive n. morte n. totale n. vive n. morte n. totale
Acer campestre 53 8 61 49 3 52 Corylus avellana 3 3 2 2 Carpinus betulus 8 8 4 4 Crataegus monogyna 1 1 0 0 Fraxinus oxycarpa 96 1 97 71 1 72 Juglans nigra 8 8 9 9 Populus alba 4 4 8 8 Populus nigra 1 1 0 0 Quercus robur 16 4 20 14 6 20 Robinia pseudoacacia 11 4 15 11 2 13 Ulmus minor 15 41 56 42 4 46 Morus alba 3 3 3 3 Totale 216 61 277 214 16 230 Totale % 78% 22% 100% 93% 7% 100%
Il censimento del 2003 sembrerebbe peraltro aver fortemente sottostimato il livello degli
individui morti. Il problema potrebbe derivare sia dall’omessa imputazione di alcuni individui
morti (es. piante stroncate) sia da problemi locali di mortalità che tendono a concentrarsi
maggiormente su alcune aree o su alcune specie (es. olmo). La variazione del tasso di mortalità è
comunque molto forte e paragonabile a quanto sta avvenendo a Carpenedo. I dati della Tab. 47
sembrano confermare il “passaggio a fustaia” di specie mesofile (acero campestre) o comunque
in grado di tollerare una certa copertura, almeno in fase giovanile (frassino ossifillo), che
tendono a sostituire le specie arboree principali (farnia e soprattutto, olmo campestre) in fase di
rapido declino a causa dei noti problemi fitopatologici.
109
3.9 Rinnovazione naturale
L’analisi della rinnovazione naturale è stata condotta a due livelli:
• transect
- composizione
- classe di altezza
• sub area
- classe di superficie
- posizione
- copertura dello strato arboreo
- età impianto
- classe di altezza
Uno degli obiettivi che si dovrebbe porre il selvicoltore nella progettazione di un imboschimento
con finalità di ricostituzione boschiva dovrebbe essere la velocità con cui si intende
rinaturalizzare un territorio. Tale velocità è comunque collegata alla rinnovazione naturale che
quindi andrebbe favorita fin dall’impianto attraverso adeguate tecniche gestionali. Si è voluto
pertanto verificare se esistano per le specie caratteristiche del querco-carpineto planiziale (farnia
e carpino bianco) e per l’insieme delle specie arboree ed arbustive, delle differenze legate al
sesto d’impianto. Considerando che i disegni d’impianto usati si differenziano sia per le distanze
intrafilare che tra filari, è stata utilizzata come variabile la superficie media unitaria disponibile
per ciascuna pianta, calcolata in base alla densità d’impianto. I dati rilevati sono stati riordinati
costituendo delle classi in base alla superficie media unitaria disponibile per ciascuna pianta
(Tab. 48) calcolata in base al sesto ed al disegno d’impianto.
Tab. 48 Riclassificazione dei rilievi in base alla superficie media unitaria
Classe di superficie Superficie media unitaria (m2) 1 3.3< sup <5.5 2 5.6< sup <7.7 3 7.8< sup <9.9
3.9.1 Rinnovazione naturale a livello di transect
Al fine di poter fare dei confronti, è stata effettuata una trasformazione in percentuale dei dati di
presenza della rinnovazione. La Tab. 49 riporta i valori di frequenza con cui si rinvengono le
diverse specie arboree ed arbustive nella rinnovazione naturale degli impianti. Come possiamo
vedere, le specie arboree del querco-carpineto sono le meglio rappresentate e tra le più diffuse a
livello complessivo di rinnovazione.
110
Tab. 49 Composizione della rinnovazione nei transects degli impianti
Specie arboree Presenza Specie arbustive Presenza Quercus robur 81% Crataegus monogyna 91% Acer campestre 79% Prunus spinosa 86% Ulmus minor 63% Cornus sanguinea 74% Fraxinus oxycarpa 54% Rosa canina 51% Carpinus betulus 44% Frangula alnus 49% Fraxinus ornus 16% Ligustrum vulgaris 41% Prunus avium 14% Euonimus europaeus 41% Malus sylvestris 7% Corylus avellana 41% Populus nigra 6% Rhamnus cathartica 37% Pyrus pyraster 4% Viburnum opulus 23% Juglans regia 4% Ligustrum japonica 13% Fraxinus excelsior 4% Prunus laurocerasus 10% Populus alba 4% Viburnum lantana 10% Morus alba 3% Sambucus nigra 9% Quercus cerris 3% Cornus mas 7% Acer pseudoplatanus 3% Laurus nobilis 6% Prunus mahaleb 3% Vitis sylvestris 3% Celtis australis 1% Trachicarpus fortunei 1% Alnus glutinosa 1% Eleagnus angustifolia 1% Ulmus laevis 1% Parthenocyssus quinquefolia 1% Prunus insititia 1%
Tra le specie arbustive, possiamo notare che le specie più diffuse sono quelle legate a
meccanismi di disseminazione zoocora e di riproduzione agamica. Anche in questo caso, le
specie sono ecologicamente coerenti con la flora arbustiva del querco-carpineto anche se vi è
una presenza più cospicua di specie alloctone che tendono a diffondersi soprattutto negli
impianti più vecchi e ubicati in prossimità di aree urbane e periurbane.
0%
20%
40%
60%
80%
100%
120%
h<0.1 0.1<h<0.5 0.5<h<1.0 1.0<h<2.0 2.0<h<3.0
classe di altezza
% tr
anse
cts
sp. arboree
sp. arbustive
totale
Fig. 97 Presenza della rinnovazione nei transect per classi di altezza
111
Per quanto riguarda lo stadio di sviluppo della rinnovazione, possiamo vedere dalla Fig. 97 che
in quasi tutti i transect vi è la presenza sia di plantule che di semenzali di altezza inferiore a
mezzo metro in misura simile tra specie arboree e specie arbustive mentre la presenza di
rinnovazione affrancata per classi superiore a 0,5 m tende a diminuire con l’aumentare
dell’altezza.
In particolare, possiamo notare che le specie arbustive sono quelle che si insediano per prime
negli impianti e rappresentano la maggior parte della rinnovazione appartenente alle classi di
altezza superiori a 0,5 m.
Degno di nota è il fatto che la maggior parte dei soggetti che costituiscono la rinnovazione
affrancata è di origine agamica ed è rappresentata da polloni radicali di prugnolo, sanguinello,
olmo campestre e pioppo bianco.
3.9.2 Analisi a livello di sub area
Per effettuare questa analisi, poiché la distribuzione della densità della rinnovazione delle
diverse specie non è normale, si è cercato di operare una trasformazione dei dati che non ha
conseguito alcun miglioramento dei risultati.
E’ stato pertanto applicato un test di Levene, attraverso una procedura ANOVA, per verificare se
le varianze tra i gruppi fossero omogenee e, qualora fosse verificato tale requisito, è stato
applicato il test non parametrico della mediana e di Wilcoxon.
Come possiamo vedere dalla Fig. 98, le curve della densità della rinnovazione naturale in base
alla classe di superficie media unitaria d’impianto hanno un andamento di tipo esponenziale e
sono molto simili tra loro.
0%
5%
10%
15%
20%
25%
30%
35%
0.5
2.5
4.5
6.5
8.5
10.5
12.5
14.5
16.5
18.5
20.5
24.5
densità (N/m 2)
% n
elle
sub
are
e
3.3<sup<5.5
5.6<sup<7.7
7.8<sup<9.9
Fig. 98 Distribuzione della rinnovazione per classe di superficie unitaria
112
0%
20%
40%
60%
80%
100%
120%
0.5
2.5
4.5
6.5
8.5
10.5
12.5
14.5
16.5
18.5
20.5
24.5
densità (N/m 2)
% p
lot 3.3<sup<5.5
5.6<sup<7.7
7.8<sup<9.9
Fig. 99 Frequenza cumulata della rinnovazione per classe di superficie unitaria
Se si considera la curva della frequenza cumulata (Fig. 99), si può notare che, oltre a non esserci
alcuna differenza tra le classi di superficie, la densità della rinnovazione è piuttosto bassa a
conferma del fatto che gli impianti sono molto giovani ed i soggetti arborei ed arbustivi stanno
iniziando a fruttificare. Infatti nel 80% delle sub aree si possono rinvenire al massimo 7
soggetti/m2 derivanti da rinnovazione naturale mentre densità più elevate tendono a diventare
abbastanza rare e legate a particolari circostanze (aree di bordo, presenza di radure,
caratteristiche ecologiche della specie che si rinnova, rinnovazione agamica, ecc.). Il test della
mediana (chi-square= 2.0631; pr= 0.3565) conferma che non vi è alcuna differenza dei valori
delle densità globali della rinnovazione tra le diverse classi di superficie.
Tab. 50 Risultati test della mediana/Wilcoxon per superficie vs classe di densità
Specie chi-sq p>chi-sq significativitàCarpinus betulus 10.255 0.006 ** Quercus robur 4.528 0.104 n.s. Totale arboree 10.589 0.005 ** Totale arbustive 32.250 <0.0001 ***
Se scendiamo invece a livello di singola specie o gruppo di specie, possiamo vedere che i test
statistici indicano (Tab. 50) come invece vi sia una influenza altamente o molto significativa
della superficie sulla rinnovazione naturale del carpino bianco e delle specie arbustive ed
arboree mentre sembra mancare per quanto riguarda la farnia che tenderebbe invece a rinnovarsi
indifferentemente dal sesto d’impianto.
113
Il risultato complessivo che emerge è che nessuno tra i disegni d’impianto usati sembra essere
migliore degli altri nel favorire la quantità di rinnovazione naturale. Il disegno d’impianto
sembra invece avere una certa influenza sulla rinnovazione delle singole specie, ad eccezione
della farnia che invece tende ad essere ubiquitaria.
0%
5%
10%
15%
20%
25%
0.5
2.5
4.5
6.5
8.5
10.5
12.5
14.5
16.5
18.5
20.5
23.5
25.5
densità (N/m2)
% n
elle
sub
are
e
interno
margine
Fig. 100 Distribuzione della rinnovazione per posizione nell’impianto
Analoghe considerazioni si possono fare confrontanda la rinnovazione presente al margine e
quella localizzata all’interno dell’impianto (Fig. 100 e Tab. 51). Anche se ci si poteva aspettare
un valore superiore per la localizzazione di margine, si può ipotizzare che, trattandosi in gran
parte di impianti molto giovani, non vi sia una reale differenza nelle condizioni ecologiche tale
da modificare in maniera evidente il grado di rinnovazione.
Tab. 51 Risultati test della mediana per posizione vs classe di densità
Specie chi-sq p>chi-sq significatività Carpinus betulus 0.021 0.885 n.s. Quercus robur 1.164 0.281 n.s. Totale arboree n.d. n.d. - Totale arbustive 2.903 0.088 n.s.
E’ stato verificato anche se esistono delle differenze tra le densità della rinnovazione delle
diverse specie in base alla posizione (margine o interna all’impianto).
Fatta eccezione per il gruppo di specie arboree, in cui non si è potuto effettuare l’analisi a causa
della varianza non omogenea tra i gruppi, il test della mediana indica che non vi sono differenze
significative tra le due posizioni per nessuna specie o gruppo di specie studiate confermando
quanto osservato a livello generale.
114
Tab. 52 Risultati test di Wilcoxon per livello di copertura del piano arboreo vs classe di densità
Specie chi-sq p>chi-sq significatività Carpinus betulus 16.619 0.120 n.s. Quercus robur 14.296 0.282 n.s. Totale arboree n.d. n.d. - Totale arbustive 46.324 <.0001 ***
Sono stati effettuati anche dei test per verificare l’esistenza di differenze tra la copertura dello
strato arboreo ed arbustivo e la densità di rinnovazione tra le varie specie o gruppi di specie. Il
test di Wilcoxon (Tab. 52) dimostra che farnia e carpino bianco tendono a rinnovarsi
indipendentemente dal grado di copertura mentre per le specie arbustive sono segnalate
differenze altamente significative della rinnovazione tra i diversi gradi di copertura. Per le specie
arboree, non è stato possibile condurre il test in quanto la varianza tra le classi di copertura si è
rivelata non omogenea.
0.00%
1.00%
2.00%
3.00%
4.00%
5.00%
6.00%
0.5
2.5
4.5
6.5
8.5
10.5
12.5
14.5
16.5
18.5
20.5
23.5
25.5
densità (N/mq)
% n
elle
sub
are
e
età 8
età 9
età 10
età 11
età 12
età 13
età 15
età 16
età 18
Fig. 101 Distribuzione della rinnovazione per età dell’impianto
L’indagine è stata inoltre ampliata anche alla ricerca dell’esistenza di rapporti all’interno della
stessa specie tra la densità della rinnovazione e l’età dell’impianto. Non è stato tuttavia possibile
effettuare i test statistici in quanto la varianza non è omogenea tra le classi studiate.
La Fig. 101 mostra invece come sembri non esserci una variazione reale nella rinnovazione tra le
diverse età degli impianti.
Per le specie principali del querco-carpineto, l’analisi è stata approfondita a livello di classe di
altezza. E’ noto infatti che la rinnovazione di farnia è molto sensibile ai fattori ambientali e le
115
numerosissime plantule che si sviluppano anche nel sottobosco al massimo dopo due anni sono
destinate a soccombere per numerose cause, ancora non del tutto note, ma che sicuramente
comprendono la carenza di luce. E’ pertanto molto importante analizzare la rinnovazione di
questa specie nell’ottica delle classi di altezza per verificare l’esistenza di rinnovazione
affermata.
0%
5%
10%
15%
20%
25%
0.5 1.5 2.5 3.5 4.5 5.5 6.5
densità (N/m2)
pres
enza
%
cbe<0.1 m
0.1<cbe<0.5 m
0.5<cbe<1.0 m
qro<0.1 m
0.1<qro<0.5 m
0.5<qro<1 m
Fig. 102 Distribuzione della rinnovazione di farnia (qro) e carpino bianco (cbe) per classe di altezza
La farnia è una specie che si rinnova con più facilità rispetto al carpino bianco ed è quella che si
ritrova più frequentemente nelle sub aree (Fig. 102). Tuttavia, considerata la giovane età degli
impianti, il livello di sviluppo della rinnovazione è assai modesto e solamente in alcuni casi
particolari è stata osservata della rinnovazione che si può dire affermata.
E’ questo il caso di un impianto eseguito nel 1998 a Carpenedo localizzato in prossimità del
querco-carpineto relitto esistente. La lavorazione del terreno localizzata sulle file ha portato alla
luce lo strato minerale che ha consentito l’insediamento di una rigogliosa rinnovazione di farnia
(Fig. 102), soprattutto lungo i filari ed in prossimità delle vecchie siepi perimetrali che hanno
contribuito alla dispersione del seme.
Un altro caso che merita attenzione è quello osservato sempre a Carpenedo nell’impianto
realizzato nel 1990 per gruppi monospecifici. In particolare si è notata la vicarianza della
rinnovazione di farnia che tende a svilupparsi sotto la copertura leggera del frassino ossifillo e
dell’orniello. Poiché i semenzali sono giovani (età massima 2-3 anni) non è ancora del tutto
superata la fase critica iniziale e quindi sarebbe opportuno continuare con il monitoraggio anche
per gli anni futuri per verificare la reale portata del fenomeno.
116
Fig. 102 Carpenedo - impianto 1998 (area di 4 m * 4 m) in rosso, rinnovazione di farnia (43 esemplari, h max= 0.7 m - h min= 0.1 m), in azzurro, rinnovazione di carpino bianco (276 esemplari, h max= 0.7 m - h min= 0,05 m).
Le specie che tendono ad insediarsi per prime sono quelle arbustive legate alla disseminazione
zoocora. I nuclei di rinnovazione sono fortemente legati allo sviluppo dei soggetti posti a dimora
ed alla copertura del suolo esercitata dalle chiome. In particolare, si osserva che i soggetti
arborei a rapido accrescimento (pioppi, olmi, salici, frassini), costituendo i posatoi preferiti
dall’avifauna, tendono a diventare i nuclei di espansione della rinnovazione naturale.
I soggetti messi a dimora negli impianti iniziano a fruttificare molto precocemente, talvolta
anche a 6-7 anni per le specie arboree ed a 3-4 anni per le specie arbustive. Spesso però fino a
questa età (e talora anche successivamente), i proprietari eseguono annualmente lo sfalcio degli
interfilari con le prevedibili conseguenze sulla prerinnovazione che tende ad insediarsi.
Peraltro si ricorre sempre più spesso ad interventi di trinciatura dello strato erbaceo senza
asportazione dei residui; questa operazione, oltre ad eliminare eventuali semenzali presenti negli
interfilari, mette a disposizione ingenti sostanze nutritive prontamente disponibili alle specie
infestanti con il conseguente abnorme sviluppo dello strato erbaceo. In tali condizioni, i
semenzali di farnia che annualmente germinano, anche qualora non venissero sfalciati,
riuscirebbero a sopravvivere solamente per uno-due anni e poi sarebbero destinati a soccombere
a causa della concorrenza dello strato erbaceo. In tale situazione, riescono a svilupparsi
solamente arbusti appartenenti a specie molto rustiche (biancospino, spin cervino, prugnolo) che
sopportano il taglio oppure specie arboree dotate di polloni radicali (pioppo bianco, olmo
campestre).
117
3.9.3 Rinnovazione naturale dei boschi relitti
Molti studi sono stati fatti sulla rinnovazione dei boschi relitti, in particolare per quanto riguarda
la farnia (Susmel L., 1994; Rusalen C.,1984; Stevanato M., 1990; Urbinati C., 1986; Gallina M.,
1994; Mason F., 2004). La conclusione di tutte queste ricerche è comune: la farnia non riesce a
rinnovarsi naturalmente nei boschi relitti. Le cause che sono state di volta in volta indicate sono
molteplici: la scarsità di luce presente nel sottobosco, il disseccamento estivo degli orizzonti
superficiali, l’azione di patogeni, le anomalie nella struttura del terreno, ecc.
Ancora oggi le cause del fenomeno non sono completamente conosciute e sono in corso ulteriori
ricerche (es. bosco Olmè) per verificare quale sia il ruolo svolto dalle micorrize nel meccanismo
di rinnovazione della farnia.
Si deve inoltre evidenziare che le indagini sono state condotte in due boschi relitti (Carpenedo e
Olmè) profondamente diversi dal punto di vista della composizione, della struttura, ecc. e su un
limitato numero di transect che comunque si possono ritenere rappresentativi della situazione
reale.
Tab. 53 Composizione della rinnovazione per specie nei transect dei boschi relitti Specie Presenza Specie Presenza
Ulmus minor 80% Euonimus europaeus 100% Acer campestre 50% Ligustrum vulgaris 70% Malus sylvestris 50% Corylus avellana 60% Quercus robur 50% Crataegus monogyna 60% Carpinus betulus 40% Prunus spinosa 60% Prunus avium 40% Sambucus nigra 50% Fraxinus ornus 30% Viburnum opulus 40% Juglans regia 20% Prunus laurocerasus 20% Pyrus pyraster 20% Cornus sanguinea 10% Fraxinus oxycarpa 10% Frangula alnus 10% Laurus nobilis 10% Rosa canina 10%
Dal confronto con gli impianti, si può notare nei boschi una forte riduzione del numero di specie
sia arboree che arbustive presenti nella rinnovazione.
Nei boschi relitti (Tab. 53) inoltre sono maggiormente rappresentate specie a temperamento
sciafilo (Euonimus europaeus, Ligustrum vulgaris) soprattutto nella componente arbustiva
oppure dotate di capacità pollonifera (Ulmus minor). Le specie a temperamento eliofilo tendono
a rinnovarsi esclusivamente nelle radure oppure ai margini del bosco.
118
0%
20%
40%
60%
80%
100%
120%
h<0.1 0.1<h<0.5 0.5<h<1.0 1.0<h<2.0 2.0<h<3.0
classe di altezza
% tr
anse
cts
sp. arboree
sp. arbustive
totale
Fig. 103 Presenza della rinnovazione nei transect per classi di altezza Per quanto concerne la struttura della rinnovazione, la Fig. 103 mostra che nei boschi relitti
possiamo trovare una quantità superiore di rinnovazione affermata rispetto agli impianti, con una
netta prevalenza nella composizione delle specie arbustive rispetto alle arboree. Le anomalie
nella struttura dei querco-carpineti relitti si ripercuotono ovviamente anche sul piano della
rinnovazione. In particolare, nel bosco Olmè manca del tutto la rinnovazione della farnia e del
carpino bianco e, di conseguenza, per tali specie non è stato possibile eseguire alcun confronto
statistico. Per quanto riguarda invece le specie arbustive, la varianza tra i campioni non è
omogenea tra le stazioni mentre, per le specie arboree, il test di Wilcoxon segnala che non vi
sono differenze statistiche nella densità di rinnovazione (chi-sq= 0.7967, pr= 0.3721).
Tab. 54 Risultati test di Wilcoxon per densità vs posizione transect
Specie chi-sq p>chi-sq Significatività Carpinus betulus n.d. n.d. - Quercus robur n.d. n.d. - Totale arboree 4.212 0.040 * Totale arbustive 27.601 <.0001 ***
Per la posizione del transect (margine del bosco o interno), il test di Wilcoxon (Tab. 54) segnala
delle differenze significative e altamente significative rispettivamente nella densità delle specie
arboree e delle specie arbustive.
Tab. 55 Risultati test di Wilcoxon per livello di copertura del piano arboreo vs classe di densità
Specie chi-sq p>chi-sq significatività Carpinus betulus 1.395 0.925 n.s. Quercus robur 4.315 0.505 n.s. Totale arboree 8.423 0.393 n.s. Totale arbustive 10.548 0.308 n.s.
119
La densità della rinnovazione delle diverse specie non sembra essere influenzata dalla copertura
delle chiome (Tab. 55).
0%
2%
4%
6%
8%
10%
0.5 1.5 2.5 3.5 4.5 5.5 6.5
densità (N/m2)
pres
enza
%
cbe<0.1 m
0.1<cbe<0.5 m
0.5<cbe<1.0 m
qro<0.1 m
0.1<qro<0.5 m
Fig. 104 Distribuzione della rinnovazione di farnia (qro) e carpino bianco (cbe) per classe di altezza
Come già detto in precedenza, nei rilievi effettuati nel bosco Olmè manca del tutto sia la
rinnovazione di farnia che di carpino bianco e quindi la Fig. 104 rappresenta la situazione
solamente del bosco Carpenedo. Si conferma la difficoltà già registrata da altri autori della
rinnovazione di farnia, composta esclusivamente da plantule e da rari semenzali di 2-3 anni,
comunque privi di futuro.Il carpino bianco sembra invece essere presente con un numero
maggiore di individui più sviluppati che lentamente tendono ad affrancarsi.
3.9.4 Confronto tra rinnovazione degli impianti e dei boschi relitti
Per verificare il grado di convergenza tra impianti e boschi relitti, sono stati fatti dei confronti
statistici tra i parametri comuni oggetto di rilevazione.
Tab. 56 Risultati test della mediana per classe di densità della rinnovazione tra boschi relitti e impianti
Specie chi-sq p>chi-sq significatività Carpinus betulus 7.158 0.008 ** Quercus robur n.d. n.d. - Totale arboree n.d. n.d. - Totale arbustive n.d. n.d. - Totale rinnovazione 0.476 0.4902 n.s.
I risultati indicati nella Tab. 56 sembrano indicare che non esistano differenze significative nella
densità della rinnovazione complessiva presente nei boschi relitti e negli impianti mentre
esistono invece delle differenze significative nella rinnovazione del carpino bianco.
120
Tab. 57 Risultati test di Wilcoxon per classe di densità della rinnovazione vs copertura tra boschi relitti e impianti
Specie chi-sq p>chi-sq significatività Carpinus betulus 17.725 0.0882 n.s. Quercus robur 15.984 0.192 n.s. Totale arboree n.d. n.d. - Totale arbustive 42.315 0.0001 *** Totale rinnovazione n.d. n.d. -
Farnia e carpino bianco tendono a rinnovarsi in maniera analoga sia negli impianti che nei
boschi relitti indipendentemente dalla copertura esercitata dallo strato arboreo (Tab. 57) mentre,
per le specie arbustive, vi sono delle differenze altamente significative tra i due gruppi.
Tab. 58 Risultati test della mediana e di Wilcoxon per classe di densità ed altezza della rinnovazione tra boschi relitti e impianti
Specie Classe di altezza Chi-square Pr>chi-sq Significatività Carpinus betulus plantule 6.5655 0.0104 * Carpinus betulus h<0.5 m 3.7745 0.0520 n.s. Quercus robur h<0.5 m 2.348 0.1254 n.s. Specie arboree plantule 1.5025 0.2203 n.s. Specie arboree h<0.5 m 0.1583 0.6907 n.s. Specie arboree 0.5<h<1 m 4.4041 0.0359 * Specie arboree h>2 m 1.0591 0.3034 n.s. Specie arbustive plantule 14.0516 0.0002 *** Specie arbustive h<0.5 m 0.8283 0.3628 n.s. Specie arbustive 0.5<h<1 m 1.6076 0.2048 n.s. Specie arbustive 1<h<2 m 5.795 0.0161 *
La Tab. 58 indica che, in linea generale, non vi sono differenze significative tra la rinnovazione
rilevata nei boschi e quella negli impianti come già visto sopra.
Solamente nel caso delle plantule di specie arbustive si registrano differenze altamente
significative che, come visto in precedenza, sono legate soprattutto ad ambienti aperti e luminosi
che si possono più facilmente rinvenire negli impianti rispetto ai boschi relitti.
Altre differenze significative sono indicate per le plantule di carpino bianco, le specie arboree di
classe 1 e le specie arbustive di classe 2.
121
3.10 Vegetazione erbacea
Come noto, l’imboschimento di terreni (Kirby, 1993) provoca notevoli variazioni
nell’ecosistema e nei suoi componenti, in particolare per quanto riguarda:
• struttura
• suolo
• flora e fauna
• microclima locale, ecc.
Relativamente allo strato erbaceo, nei nuovi impianti il movimento del suolo è profondo
(aratura) e ciò comporta lo sviluppo delle numerose specie ruderali che normalmente occupano i
margini delle coltivazioni.
Quando la copertura arborea si chiude, la maggior parte delle specie erbacee competitive tende
ad essere espulsa dall’impianto anche se alcune specie riescono comunque a sopravvivere.
Gli studi effettuati in Europa (De Keersmaekera et al., 2004) dimostrano che un elevato numero
di specie nemorali sono associate con le foreste antiche e tale fenomeno indica che la
vegetazione forestale è fortemente determinata dalla storia nell’uso del suolo. Molti studi si sono
focalizzati sulla scarsa capacità di diffusione delle specie nemorali e sui meccanismi di
colonizzazione nelle successioni secondarie (Matlack, 1994; Brunet e von Oheimb, 1998;
Bossuyt et al., 1999b).
La qualità dell’habitat delle giovani foreste può condizionare le capacità di colonizzazione delle
specie nemorali. A seguito dell’imboschimento, le caratteristiche di molti suoli agricoli tendono
a modificarsi gradualmente spostandosi verso quelle dei suoli forestali (Goovaerts et al., 1990;
Muys et al., 1992; Catt, 1994; Bossuyt et al., 1999a; Verheyen et al., 1999). Peraltro, anche dopo
un lungo periodo di tempo, si possono osservare differenze persistenti tra i suoli dei boschi
primari e quelli delle successioni secondarie. In genere, i suoli agricoli imboschiti possiedono un
livello di nutrienti più elevato, soprattutto nel fosforo (Koerner et al., 1997; Wilson et al., 1997;
Honnay et al., 1999) che potrebbe essere una delle cause della difficoltà di insediamento delle
specie nemorali negli impianti attraverso l’aumento dell’esclusione competitiva.
Generalmente, l’insediamento nel nuovo impianto di specie tipiche del sottobosco è limitata a
quelle più efficienti nella dispersione dei semi a lunga distanza come, ad esempio, il rovo.
Come dimostrato da vari autori (Corbit et al.,1999; Sitzia, 2004; Zinato, 2005) le siepi, anche di
età inferiore ai 50-60 anni, svolgono un ruolo estremamente importante come habitat di specie
nemorali e come corridoi ecologici, soprattutto per le specie epi- ed endozoocore.
Peraltro, a fronte dell’estrema rarefazione dei boschi di pianura, la maggior parte delle siepi del
territorio può ricondursi alla categoria delle siepi isolate, che in genere ospitano solo la metà
delle specie nemorali rilevate nelle siepi relitte adiacenti alle formazioni boscate.
122
Date queste premesse, è evidente che nei giovani impianti, per arrivare ad una certa stabilità
nella composizione floristica, dovranno passare parecchi cicli colturali.
Le specie tipiche della precedente vegetazione tendono gradualmente a ridursi nel corso del
tempo ma in modo piuttosto lento attraverso cicli successivi di coltivazione a bosco. In modo
analogo avviene l’incremento di specie tipiche del sottobosco.
Fig. 105 Composizione dello strato erbaceo degli impianti
0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80%
Poa annua
Galium aparine
Galium verum
Vicia sativa
Galium mollugo
Hypericum perforatum
Medicago sativa
Avena fatua
Geranium molle
Sonchus oleraceus
Trifolium pratense
Geranium dissectum
Torilis arvensis
Prunella vulgaris
Artemisia vulgaris
Bromus sterilis
Festuca ovina
Centaurea nigra
Picris echioides
Bromus erectus
Oxalis fontana
Pulicaria disenterica
Ranunculus acris
Plantago lanceolata
Cichorium intybus
Hedera helix
Aster squamatus
Aster salignus
Ranunculus repens
Arrhenaterum elatius
Cirsium arvense
Lotus corniculatus
Medicago lupulina
Verbena officinalis
Silene italica
Potentilla reptans
Trifolium repens
Dactylis glomerata
Rumex sanguineus
Daucus carota
Erigeron annuus
Convolvolus arvensis
Taraxacum officinale
Poa pratensis
Presenza %
0% 5% 10%
Vicia villosa
Melilotus alba
Stachys arvensis
Lactuca saligna
Alopecurus myosuroides
Chenopodium album
Setaria glauca
Tussilago farfara
Carex hirta
Brachipodium pinnatum
Carex mucronata
Holcus lanatus
Epilobium hirsutum
Eupatorium cannabinum
Mentha longifolia
Oenanthe aquatica
Peucedanum oreoselinum
Stachys palustris
Lychnis flos-cuculi
Peucedanum palustre
Lonicera japonica
Anagallis arvensis
Crepis vesicaria
Bromus mollis
Cardamine hirsuta
Conyza canadensis
Ajuga reptans
Iris pseudoacorus
Equisetum palustre
Dipsacus fullonum
Galium glaucum
Lolium perenne
Calystegia sepium
Ranunculus bulbosus
Agrimonia eupatoria
Cerastium glomeratum
Veronica arvensis
Carex repens
Carex riparia
Agropyron repens
Cirsium vulgare
Plantago major
Vicia cracca
Scrophularia nodosa
Presenza %
123
Fig. 105 (continua) Composizione dello strato erbaceo degli impianti
Fig. 106 Composizione dello strato erbaceo dei boschi relitti
0% 1% 2%
Glecoma hederacea
Helianthus tuberosus
Armoracia rusticana
Cynodon dactylon
Centaurium erythraea
Carex distans
Poa bulbosa
Poa trivialis
Phleum pratense
Bellis perennis
Viola hirta
Apium nodiflorum
Salvia pratensis
Linaria vulgaris
Doricnium pentaphyllum
Galega officinalis
Inula salicina
Peucedanum venetum
Picris hieracioides
Humulus lupulus
Parthenocissus quinquefolia
Polygonum aviculare
Presenza %
0% 20% 40% 60% 80% 100% 120%
Lamium orvala
Carex pendula
Ranunculus lanuginosus
Euphorbia dulcis
Asperula taurina
Lonicera caprifolium
Glecoma hederacea
Viola reichenbachiana
Ornithogalum pyrenaicum
Ranunculus ficaria
Leucojum vernum
Veratrum album
Primula acaulis
Pulmonaria officinalis
Polygonatum multiflorum
Arum maculatum
Anemone nemorosa
Hedera helix
Vinca minor
Presenza %
Confrontando la composizione dello strato erbaceo tra impianti (Fig. 105) e boschi relitti (Fig.
106) possiamo notare che l’unica specie in comune è rappresentata da Hedera helix L.
La flora dei boschi relitti è formata esclusivamente da specie nemorali mentre quella degli
impianti è costituita prevalentemente da specie ruderali e nitrofile legate alle precedenti pratiche
di coltivazione agricola.
Il livello di emerobia, cioè il rapporto tra specie alloctone ed autoctone è piuttosto basso (8
entità esotiche contro 102 autoctone) e segnala un territorio complessivamente ben conservato
dal punto di vista della componente erbacea.
In base alla concezione di Raunkiaer, le forme biologiche erano utilizzate come indici
bioclimatici. In tale ottica, dall’analisi delle forme biologiche (Tab. 59) si può desumere che il
fattore climatico, in particolare la temperatura, risulta prevalente nella distribuzione di queste
forme biologiche: in generale le fanerofite sono prevalenti nei territori con temperature elevate
(equatore o aree planiziali) e diminuiscono notevolmente passando dall’equatore al polo o con
l’altitudine, dove sono sostituite da camefite ed emicriptofite. Queste ultime sono nettamente
124
dominanti nelle aree a clima temperato o temperato-freddo, mentre le terofite sono
climaticamente legate ad aree con temperature elevate e fenomeni di aridità. Geofite e idrofite
non sembrano invece legate ad un clima particolare.
L’utilizzo delle forme biologiche consente allo stesso tempo la caratterizzazione del paesaggio:
la fisionomia è definita sulla base della predominanza di una forma sulle altre. Inoltre, la
possibilità di costruire lo spettro biologico consente confronti tra territori distinti, sia a livello di
paesaggio, che di comunità, permettendo di differenziarli sia a scala spaziale che temporale.
La struttura del paesaggio dell’area in esame è quella tipica di un clima temperato-freddo che
nel tempo è stata sottoposta a deforestazione, bonifiche ed intenso sfruttamento agricolo.
Tutto ciò è confermato dalla bassa percentuale delle forme arboree (fanerofite) tenendo conto
che alcune di quelle presenti derivano da coltivazione (specie ornamentali). L’elevata
percentuale di terofite indica un disturbo cui è sottoposta l’area. Essendo le piante meglio
adattate alla disseminazione, risultano più competitive nei terreni aperti. Questa categoria
include piante ruderali che presentano la tendenza ad un ciclo vitale breve, annuale o biennale, e
specializzazione legata allo sfruttamento di habitat (coltivi, ex coltivi, bordi di strade) con
caratteristiche variabili nel tempo. Un’altra caratteristica è la capacità di crescita molto rapida
che facilita il completamento del ciclo vitale e la veloce produzione di semi. In molte specie
ruderali infatti, la fioritura avviene già ai primi stadi di sviluppo della pianta e, molto spesso,
nella stessa infiorescenza troviamo fiori ancora in boccio e altri che stanno già disseminando:
dove il disturbo ripetuto causa una elevata mortalità, la selezione naturale favorisce le specie in
grado di maturare velocemente i semi.
Come si può desumere dalla Tab. 59, la dominanza di specie erbacee (emicriptofite, terofite e
geofite) e il sottodimensionamento di forme legnose (camefite e fanerofite) confermano la
presenza di un paesaggio con struttura e fisionomia semplificata.
Tab.59 Distribuzione delle forme biologiche
Impianti Boschi relitti Forma biologica n. % n. %
Emicriptofite 60 55% 6 32% Terofite 29 26% 0 0% Geofite 12 11% 9 47% Camefite 5 5% 2 11% Fanerofite 4 4% 2 11% totale 110 100% 19 100%
Al contrario, per i boschi la totale assenza di terofite indica l’assenza di disturbo antropico
mentre la predominanza di geofite, assieme alle forme legnose, confermano il carattere di
elevata stabilità della flora nell’ecosistema.
125
Per gli impianti, la forte domesticazione del territorio è confermata dall’analisi dello spettro
corologico (Tab. 60). Mancano elementi di pregio quali, ad esempio, entità endemiche o specie
al limite dell’areale ed i popolamenti sono dominati da specie ad ampia distribuzione geografica.
Al contrario, nei boschi dominano le specie dell’area geografica nord-orientale e balcanica, che
indicano il raggiungimento di un elevato grado di omeostasi della componente erbacea.
Tab. 60 Confronto tra spettro corologico degli impianti e dei boschi relitti
Impianti Boschi relitti Distribuzione n. % n. %
510 PALEOTEMP. 22 20% 520 EURASIAT. 19 17% 4 21% 310 EURIMEDIT. 13 12% 2 11% 810 CIRCUMBOR. 12 11% 2 11% 540 EUROP.-CAUCAS. 8 7% 3 16% 980 AVV. NATURALIZZ. 8 7% 940 SUBCOSMOP. 7 6% 820 EUROSIB. 4 4% 1 5% 950 COSMOPOL. 4 4% 530 S-EUROP.-SUDSIB. 2 2% 1 5% 930 EURIMEDIT.-TURAN. 2 2% 320 N-EURIMEDIT. 1 1% 1 5% 536 SE-EUROP.-PONTICA 1 1% 550 EUROP. 1 1% 551 E-EUROP. 1 1% 610 EUROP.(SUBATL.) 1 1% 611 SW-EUROP. (SUBATL.) 1 1% 651 EURIMEDIT.-SUBATL. 1 1% 720 OROF. SE-EUROP. 1 1% 1 5% 613 W-EUROP. (ATL.) 1 1% 480 NE-MEDIT.-MONT. 1 5% 560 CENTRO-EUROP. 3 16% Totale 110 100% 19 100%
Dal punto di vista fitosociologico, la comunità prevalente negli impianti è il Dauco - Picridetum
hieracioidis Gors 1966.
Si tratta di una comunità ruderale e nitrofila che colonizza terreni scoperti, rimossi ed
eutrofizzati. Come tutte le comunità sinantropiche, deve la sua origine ad un'intensa azione
umana protratta nel tempo e si distingue da altri tipi, che pure sono a determinismo antropico
quali boschi cedui, siepi, prati e pascoli, per l'intensità con la quale sono state esercitate le azioni
modificatrici, che hanno finito per impartire alla vegetazione reale, fisionomia, struttura, assetto,
composizione floristica che non hanno ormai quasi nulla in comune con l’originaria vegetazione
potenziale.
Le comunità appartenenti alla Classe Artemisietea sono estremamente polimorfe: il carattere che
le accomuna è la nitrofilia dei biotopi colonizzati. Grazie all'abbondanza di nutrienti si formano
126
comunità dominate da emicriptofite di grandi dimensioni, spesso stolonifere e policormiche.
Esse svolgono un ruolo considerevole nella circolazione dell'azoto poiché assumono i nutrienti
disponibili in grandi quantità, li elaborano, e li restituiscono al terreno, con le loro parti morte, in
forma assimilabile da parte di altre specie. Alcune di esse (ad esempio le specie del genere
Rumex) sono in grado di sopportare nei propri tessuti concentrazioni di nitrati che per altre
piante sarebbero tossiche, di sottrarle in questo modo al dilavamento da parte della pioggia,
restituendole poi al terreno e contribuendo, quindi, al mantenimento del carattere nitrofilo del
biotopo. Le comunità che si organizzano negli habitat secondari, e in particolare quelle degli
Artemisietea, a causa di ricorrenti disturbi, presentano spesso tratti aperti che vengono invasi da
neofite, comportandosi da comunità "insature". Da alcuni decenni, infatti, queste comunità
subiscono l'ingresso di molte neofite (esotiche) che sono entrate, più o meno stabilmente, a far
parte della loro composizione specifica; tra le più comuni possiamo citare Helianthus tuberosus,
Conyza canadensis, Erigeron annuus, ecc.. Queste cenosi hanno anche un certo carattere di
insularità, in quanto la colonizzazione degli habitat sconvolti è in qualche modo paragonabile a
quella di isole di recente formazione. In entrambi i casi, l'anemocoria è la strategia di più
generale adozione per la diffusione dei semi, prodotti generalmente in grande quantità.
Nel caso dei boschi relitti invece, la componente floristica, sebbene talvolta impoverita come a
Carpenedo (Caniglia, 1974), rispecchia in maniera fedele l’associazione del Querco-carpinetum
boreoitalicum Pignatti 1953 che, secondo tale autore, rappresenta l’associazione climax della
zona. I cambiamenti ambientali nei valori di luce, umidità, nutrienti, pH, ecc. derivanti
dall’imboschimento possono essere descritti attraverso gli indici di Ellemberg che impiegano le
specie vegetali come indicatori ecologici.
0.00
1.00
2.00
3.00
4.00
5.00
6.00
7.00
8.00
7 8 9 10 11 13 17 60
età (anni)
Val
ori I
ndic
e di
Elle
mbe
rg L
T
C
U
R
N
Fig. 107 Confronto indici di Ellemberg tra impianti e boschi relitti (L= luminosità; T= temperatura; C = continentalità U = umidità R = reazione N = azoto)
127
Tab. 61. Variazione degli indici di Ellemberg con l’età
Età L T C U R N 7 7.10 6.06 5.04 4.83 6.37 5.02 8 7.12 6.30 5.11 4.72 6.06 5.09 9 7.06 5.94 5.07 5.09 6.38 5.48 10 6.91 6.44 5.00 4.95 6.00 5.56 11 7.21 6.20 4.97 5.34 6.42 5.91 13 6.65 6.17 5.08 4.56 6.00 5.62 17 6.70 5.94 4.68 5.05 5.94 5.17 60 4.61 5.29 4.68 5.50 6.31 5.71
(L= luminosità; T= temperatura; C = continentalità U = umidità R = reazione N = azoto)
Come possiamo vedere nella Fig. 107 e nella Tab. 61, gli indici di Ellemberg che segnalano
delle differenze tra impianti e boschi sono quelli di luminosità (L) e di temperatura (T): in
particolare, il primo indica una riduzione di luminosità negli impianti con l’avanzare dell’età e
quindi dell’aumento della copertura anche se le differenze tra gli imboschimenti più giovani e
quelli più vecchi sono comunque molto contenute. Il secondo indica per i boschi condizioni di
vegetazione tipica di collina/bassa montagna mentre per gli impianti una vegetazione intermedia
della Pianura Padana.
Tutti gli altri indici (C = continentalità U = umidità R = reazione N = azoto) sembrano indicare
una certa uniformità nei diversi fattori ecologici tra impianti e boschi relitti.
Tab. 62 Numero medio di specie per rilievo
Età n. specie/rilievo 7 15.33 8 15.50 9 14.05 10 10.75 11 10.25 13 6.50 17 8.75 60 7.45
Fino all’età di 10-11 anni (Tab. 62), la copertura degli individui arborei, accompagnata dalla
loro ordinata disposizione in file, non riesce a determinare una modificazione marcata delle
condizioni ecologiche al suolo tali da portare a sostanziali variazioni del popolamento vegetale.
In ogni caso, come confermato dalla letteratura (Kirby, 1993) si assiste ad una progressiva
riduzione del numero di specie erbacee presenti con l’aumentare della copertura e dell’età degli
impianti anche se l’ingresso di specie nemorali è legato alla presenza di vecchie siepi o boschi
relitti.
128
3.11 Dinamica dei querco-carpineti
Secondo Del Favero, (2004), i querco-carpineti costituiscono nella maggior parte dei casi dei
sistemi forestali di tipo A cioè costituite da una specie leader che si svilupperebbe in formazioni
pure se fosse nel proprio optimum. In questo caso, la specie leader è rappresentata dal carpino
bianco che forma gruppi con il seguente funzionamento (Tab. 63):
Tab. 63 Dinamica del querco-carpineto
Fasi Descrizione
Rinnovazione
Inizia sotto la copertura dei soggetti del vecchio ciclo; lunga tolleranza alla carenza di luce; distribuzione multiplana, copertura regolare colma (limitate e brevi diminuzioni di copertura in occasione delle morti); tessitura fine
Competizione
Media durata, spesso ancora sotto la protezione del vecchio ciclo; distribuzione multiplana, copertura regolare colma e tessitura fine
Stabilizzazione
Media o lunga durata (la durata cresce al diminuire della quota); forte impoverimento degli strati arboreo, arbustivo ed erbaceo; si conclude con il raggiungimento dei massimi livelli di biomassa; distribuzione monoplana per frequente fusione dei gruppi (soprattutto alle quote inferiori), copertura regolare colma; tessitura tendente al grossolano
Decadenza
Lunga durata (soprattutto alle quote elevate); presenza contemporanea con le fasi di rinnovazione e di competizione del nuovo ciclo; morte per vecchiaia individuale o di pochi soggetti; dimensioni gap 200-800 mq; distribuzione multiplana, copertura regolare colma (diminuisce in occasione delle morti; tessitura fine
Il mosaico silvatico presenta una tessitura generalmente fine in quanto i gruppi sono piccoli (da
200 a 800 m2) in quanto la morte interessa singoli o piccoli insiemi di alberi e non vi sono
fenomeni perturbativi.I fenomeni di fusione fisionomica tra gruppi sono particolrmente
pronunciati dove vi sono condizioni termiche più favorevoli. La scarsità di perturbazioni che
interessano questi sistemi è dovuta, per quelle di natura abiotica, alle favorevoli condizioni
stazionali mentre quelle di natura biotica (epidemie, infestazioni, ecc.) sono ben tollerate grazie
alla elevata resistenza dovuta a fattori di carattere genetico ed al vigore vegetativo dovuto alla
mancanza di stress. Nei giovani querco-carpineti planiziali la struttura verticale è
prevalentemente biplana, a copertura regolare scarsa, con un piano dominante a prevalenza di
farnia e uno dominato a carpino bianco. Con l’avanzare dell’età, il carpino bianco tende a
colmare gli spazi liberi dei piani superiori lasciando sguarnito il piano inferiore che, a causa
della carenza di luce, s’impoverisce della vegetazione arbustiva ed erbacea. I processi di
degradazione e mineralizzazione della sostanza organica tendono a rallentare e si forma uno
strato più o meno spesso di sostanza organica solo parzialmente decomposta. Il seme di quercia
129
germina facilmente ma già uno o due anni dopo la sopravvivenza delle piantine è pressochè
nulla, soprattutto a causa della carenza di luce e per altri motivi non ancora del tutto noti. La
rinnovazione della farnia è assente anche ai margini del bosco e nelle aperture del soprassuolo
createsi a seguito di schianti come invece avviene, anche se con qualche difficoltà, in altri
querco-carpineti. In particolare, a seguito delle aperture del soprassuolo si insedia una fitta
vegetazione di specie nitrofile che impediscono l’insediamento della rinnovazione. Dopo un
certo numero di anni, esaurita la fertilità della lettiera accumulata negli strati superficiali del
suolo, si insedia lentamente una rinnovazione di carpino bianco mentre manca completamente
quella di farnia. Nel contempo, sulle farnie che hanno raggiunto i 60-70 anni di età si nota un
progressivo disseccamento della chioma e la comparsa di marciumi radicali, che conducono ad
una regressione quantitativa della farnia ed a un progressivo cambiamento di composizione
verso il carpineto puro. Ciò è causato dalla maggior efficienza del carpino rispetto alla farnia in
termini di accrescimento della chioma (modello di Troll contro modello di Rahu).
La quantità di argilla che condiziona i movimenti dell’acqua nel suolo crea delle diverse
situazioni edafiche che favoriscono localmente la composizione arborea del querco-carpineto.
La microvariabilità stazionale che condiziona la disponibilità del fattore acqua è alla base della
dinamica dei querco-carpineti. In particolare, nei boschi del Friuli Venezia Giulia, Veneto e
Lombardia (escluso Bosco Fontana), all’aumentare della quantità d’acqua nel suolo la farnia si
accompagna con il carpino bianco nei terreni più aridi, olmo (frassino ossifillo) oppure c’è la
totale sostituzione con ontano nero nei terreni con maggiore quantità di acqua nel suolo. Quindi
considerare i querco-carpineti planiziali come l’unica o assolutamente prevalente vegetazione,
anche solo potenziale, della Pianura Padana, come spesso avviene, è certamente una comoda
semplificazione mentre la variabilità delle condizioni, soprattutto edafiche, induce a
riconsiderare questa ipotesi affermata da parte di eminenti autori (Beguinot, Pignatti, Tomaselli,
Chiesura, Caniglia, Zanetti, Susmel).
Questa teoria è sostenuta anche da Johnson et al. (2002), secondo i quali la quercia non avrebbe
il ruolo di specie climax ma sarebbe solamente una specie intermedia tra quelle pioniere e quelle
climax. La sua presenza sarebbe stata favorita dall’uomo fin da epoche primitive ed il suo
mantenimento negli attuali boschi sarebbe collegabile alla sua resistenza ai danni da incendio,
alla longevità e alla capacità di rigenerazione agamica.
La tendenza naturale dei querco-carpineti planiziali sarebbe di evolvere verso formazioni pure a
carpino ove la farnia e le altre specie sono solamente marginali. L’attuale diffusione “massiccia”
della farnia sarebbe legata a fenomeni di coltivazione che l’avrebbero favorita rispetto al
carpino. Di conseguenza, pensare di mantenere la quercia come specie predominante e non
come secondaria in tali popolamenti potrebbe significare dover continuare ad intervenire con
130
interventi più agronomici (lavorazione del terreno, semina o impianto di semenzali, ripuliture,
ecc.) che selvicolturali. La farnia infatti si insedia naturalmente sul suolo smosso, dove vengono
riportati alla luce gli orizzonti più profondi e quindi è legata a utilizzazioni forestali, a
lavorazioni agricole del terreno (es. trattamento dei querceti francesi), semina artificiale ed a
successivi interventi di ripulitura. Inoltre la farnia ha una scarsa stabilità meccanica e viene
facilmente sradicata dal vento a causa dell’apparato radicale piuttosto superficiale.
Anche nei sistemi naturali (Tab. 64), la farnia è una specie numericamente “secondaria” rispetto
alle altre presenti con un numero di circa 70 soggetti a ettaro, simile alla norma di matricinatura
adottata nei cedui composti del Friuli.
Tab. 64 Parametri dendrometrici di un querco-carpineto “vergine” della foresta di Bolintin, nella piana di Vlasia in Romania
Specie Parametri dendrometrici Farnia Frassino Tiglio
cordato Carpino bianco
Totale
Numero alberi ha-1 (senza soglia di rilevamento)
70 10 245 135 460
Diametro medio (cm) 71 55 27 17 Diametro massimo (cm) 94 64 48 24 Altezza media (m) 32,5 29,4 25,2 22,2 Altezza massima (m) 36 36 30,5 27 Area basimetrica (m2 ha-1) 28 2,4 14,5 3,1 48 Massa (m3 ha-1) 465 37 186 37 725
Non bisognerebbe pertanto farsi troppi problemi sulla scarsa rinnovazione della farnia nei
querco-carpineti planiziali. In ogni caso, il mantenimento della farnia nel querco-carpineto
planiziale è legato a precisi interventi di carattere selvicolturale.
3.12 Problemi di gestione
Se si escludono le siepi relitte, è evidente che ormai la superficie forestale vera e propria
rappresenta una percentuale infinitesima di tutto il territorio planiziale veneto: il bosco oggi è
solo un misero ricordo del passato circondato dalle bonifiche agrarie e dalle monocolture
cerealicole. Ciò nonostante i boschi e le siepi rimasti conservano ancora peculiarità floristiche di
grande rilievo e rivestono anche per la fauna locale un’enorme importanza ecologica.
Disboscamento, alterazione del sottobosco, inquinamento dell’aria, del suolo e delle falde,
drenaggi, alterazione dell’assetto idrico, antropizzazione, coltivazioni industriali ed espansione
urbana minacciano spesso la sopravvivenza delle aree forestali (Del Favero et al., 2001). D’altra
parte, l’isolamento dei singoli popolamenti e le loro limitate estensioni non sono fattori di
rischio trascurabili, soprattutto se si ragiona in termini di lungo periodo. Di fatto, tutti i boschi
planiziali veneti presentano una superficie inferiore alla MDA (Minimum Dynamic Area), cioè
131
alla superficie minima che consenta al bosco la sopravvivenza e la perpetuazione nel futuro. Ciò
significa anche che essi non sono in grado di riparare totalmente gli effetti di un eventuale
fattore naturale di disturbo, in genere rappresentato dal vento (trombe d’aria). Per i querco-
carpineti planiziali si ritiene che l’MDA sia compresa tra i 100 e i 200 ha (Bracco et al., 2001):
nel contesto territoriale in questione, si può quindi affermare che i rischi di estinzioni locali a
seguito di perturbazioni sono molto alti (Bracco et al., 2001; Del Favero, 2004). Va poi
sottolineato che, nei casi più estremi, isolamento e limitata estensione possono determinare
fenomeni di “depressione da inbreeding” con conseguente successiva estinzione di popolazioni
locali a seguito di una eccessiva riduzione del numero di individui della stessa specie.
Un’ultima considerazione associata alla limitata estensione dei boschi planiziali riguarda il
cosiddetto “effetto margine”. Come è ben risaputo, la fascia marginale (ecotono) di una qualsiasi
cenosi forestale presenta caratteristiche bio-fisiche diverse da quelle presenti all’interno del
bosco; essa è una fascia di transizione tra esterno ed interno, con ampiezza media di circa 30 m
(Bracco et al., 2001), che agisce come un filtro tra la cenosi forestale e le aree limitrofe
limitando così anche l’impatto di eventuali fenomeni perturbatori esterni (es. fertilizzanti,
diserbanti ed antiparassitari utilizzati sulle coltivazioni limitrofe, inquinanti, rumore, vento) sulla
stabilità ecologica del bosco (Forman, 1995). In corrispondenza della fascia di ecotono, si
sviluppa il cosiddetto “mantello”, caratterizzato dalla presenza di molti arbusti ed, in generale,
da un’elevata densità di specie floristiche, le stesse specie che costituiscono le formazioni
forestali lineari (siepi), assimilabili appunto al margine di un bosco; all’interno di quest’ultimo si
ritrovano invece entità floristiche caratterizzate da spiccata sciafilia ed estremamente esigenti in
termini di microclima. Le ridotte dimensioni dei boschi planiziali veneti rendono l’effetto
margine molto importante limitando notevolmente la parte forestale interna e con essa anche la
presenza delle specie nemorali che, relitti di antiche migrazioni floristiche, rappresentano
proprio per la loro rarità le peculiarità floristiche di maggior valore. La limitata superficie non
consente neppure il sostentamento di popolazioni faunistiche di mammiferi e, qualora fossero
presenti, dovrebbero essere esclusi per i problemi gestionali che comportano al bosco ed ai
frequentatori (danni alla vegetazione, alla rinnovazione, acari e zecche, ecc.). Si ricorda infine
che tutti i boschi oggi presenti nella pianura veneta sono stati da sempre sfruttati dall’uomo con
alterne vicissitudini. Nel corso della storia quindi, essi hanno subito tagli più o meno frequenti e
irrazionali, talvolta totali (come durante le due guerre mondiali), con conseguenze inevitabili
sulla composizione floristica e sulla struttura che sono oggi molto lontane da quelle delle
formazioni naturali primarie (Zanetti, 1985). Attualmente, la maggior parte di questi boschi
viene lasciata all’evoluzione naturale e conservata a scopo naturalistico; in genere si tratta quindi
di cedui invecchiati avviati verso una conversione più o meno guidata a fustaie. D’altra parte, da
132
alcuni anni nei querco-carpineti si stanno manifestando diversi fenomeni di deperimento
soprattutto a carico della farnia che mostra grossi problemi di rinnovazione e senescenza precoce
degli individui adulti (Del Favero, 2004; Bracco et al., 2001). Accanto a diverse motivazioni più
o meno importanti, come la diffusione di funghi parassiti, i ristagni idrici, l’abbassamento delle
falde (ed i conseguenti stress idrici estivi) o l’inquinamento da fitofarmaci proveniente dai campi
agricoli limitrofi, vari studiosi hanno evidenziato come l’assenza di luce dovuta alla forte
copertura e ai mancati tagli periodici (effettuati in passato con la ceduazione del carpino)
impedisca l’affermazione delle plantule di farnia che per di più faticano a svilupparsi su una
lettiera costituita da residui della stessa specie. Accanto alla progressiva scomparsa della farnia,
và invece affermandosi la presenza del carpino bianco che si rinnova abbondantemente e senza
difficoltà (Del Favero, 2004).
3.13 Proposte di gestione selvicolturale per il bosco di Mestre
3.13.1 Premessa
L’obiettivo principale che ci si è posti nel delineare le indicazioni per la futura gestione
selvicolturale del bosco di Mestre è stato quello di massimizzare la stabilità ecologica degli
impianti artificiali nel minor tempo possibile. Esistono però altri obiettivi da raggiungere che
potrebbero essere più o meno in conflitto con questo (es. funzione culturale-ricreativa, funzione
produttiva, ecc.). Tali funzioni rappresentano dei “servizi”che saranno in un prossimo futuro
sempre più richiesti dalla popolazione, soprattutto quella che vive nei centri urbani: si pensi ad
esempio, alla funzione dei boschi di termoregolazione del clima locale, soprattutto nel periodo
estivo (emergenza caldo, siccità, black-out elettrici, ecc.). Il bosco nel suo complesso avrà molte
caratteristiche che lo avvicinano ad un parco urbano (sentieri, piste ciclabili, percorsi vita,
infrastrutture di servizio, tabellazione, centri studio, aree umide, ecc.) e quindi il modello di
gestione dovrà tener conto, soprattutto in alcune aree più frequentate dal pubblico, delle finalità
ricreative e sociali piuttosto che delle finalità produttive. E’ indispensabile spiegare agli
Amministratori ed ai cittadini, perché è necessario gestire (cioè tagliare) il bosco, al fine di
prevenire pericolosi fenomeni di contestazione che potrebbero derivare dalle utilizzazioni
boschive. Tra i problemi sociali derivanti dalla creazione del bosco, si devono inoltre
considerare anche un possibile aumento della microcriminalità, atti di vandalismo,
vagabondaggio, discariche abusive, prostituzione, ecc. che imporranno all’Amministrazione
comunale un aumento della sorveglianza al fine di garantire la sicurezza dei cittadini. In tale
contesto, è necessario evidenziare che una produzione legnosa di qualità potrebbe parzialmente
compensare i costi “sociali” che derivano dagli interventi di manutenzione ambientale necessari
133
alla fruizione del bosco da parte del pubblico. Il bosco potrà inoltre produrre legna da ardere che
potrà essere utilizzata in centrali a biomassa, contribuendo a ridurre le emissioni di gas ad effetto
serra come previsto dal protocollo di Kyoto. Sarà necessario definire uno specifico piano di
gestione che preveda una zonizzazione con aree “wilderness” dove lasciare il bosco
all’evoluzione naturale e vietare o limitare l’accesso al pubblico.
3.13.2 Modello di gestione
Per quanto riguarda i residui lembi di querco-carpineto del Veneto, la destinazione a “museo
naturalistico” crea molti problemi in relazione alla stabilità della composizione ulteriormente
aggravata dalla limitata estensione delle superfici. L’abbandono all’evoluzione naturale
porterebbe ad una drastica riduzione della farnia come ampiamente dimostrato dai tentativi
effettuati finora per mantenerla che hanno dato scarsi risultati. Se si decide per questa soluzione,
si dovranno adottare degli interventi più simili al giardinaggio (rinnovazione artificiale e
successive cure colturali pluriennali) che alla selvicoltura (Del Favero, 2004). L’alternativa
potrebbe essere quella di mantenere costanti nel tempo le condizioni di primitività del suolo e di
giovinezza del soprassuolo, allevando un popolamento più rado come proposto da vari autori
(Klepac, Susmel, Boudru, Galoux, Ciancio) per le diverse forme di governo del bosco. Si
potrebbe creare una fustaia disetanea mista a prevalenza di quercia, formata da pochi alberi
grossi in cui la rinnovazione dovrebbe comunque essere assistita attraverso cure colturali che
riducano la concorrenza esercitata dalle specie nitrofile sulle giovini piantine. Secondo Susmel,
per una fustaia normale disetanea, il numero delle piante a ettaro con diametro superiore a 17,5
cm dovrebbe essere compreso tra 150 e 250, area basimetrica tra 10 e 15 m2 e massa tra 130 a
250 m3ha-1, di gran lunga inferiori a quelli che si ritrovano nei boschi relitti esistenti (Del
Favero, 2004). Se per i boschi relitti è da escludere a priori l’adozione di simili modelli a causa
delle forti pressioni derivanti dall’opinione pubblica per la conservazione integrale dei siti, per
gli impianti da realizzare in futuro potrebbe anche rappresentare una soluzione gestionale che
richiederebbe comunque degli interventi antropici. Nel caso del bosco di Mestre, poiché sono
già stati realizzati impianti aventi un certo grado di sviluppo e interessanti una estensione di oltre
un centinaio di ettari, si ritiene di proporre un modello che si rifà concettualmente ai principi
della selvicoltura di qualità, generalmente applicata in Francia e in Svizzera nelle fustaie di
farnia e rovere per la produzione di legname di pregio (Bouchon e Trencia, 1990; Courraud,
1990; Ningre, 1990; Schutz, 1993; Sevrin, 1997). Si è deciso inoltre di adottare un turno più
breve rispetto a quello impiegato oltralpe in considerazione dei problemi di deperimento
attualmente in atto sia ad Olmè che a Basalghelle. In Pianura Padana, la farnia si trova verso il
limite meridionale del proprio areale come confermato dagli elevati accrescimenti diametrici
134
(circa 1 cm anno-1), praticamente due volte e mezza rispetto agli accrescimenti dei querceti
francesi. Poiché vi una diretta correlazione tra velocità di accrescimento e longevità, dal punto di
vista biologico si ritiene difficilmente proponibile un ciclo colturale plurisecolare, come invece
avviene nei paesi d’oltralpe. Si deve inoltre tener conto dei gravi fenomeni di deperimento della
quercia che si manifestano nei relitti di boschi planiziali, ulteriormente acuiti, nel caso del bosco
di Mestre, dal diffuso inquinamento ambientale persistente derivante dalle zone industriali e dal
traffico veicolare. I cambiamenti climatici in atto, pur necessitando di ulteriori conferme,
possono comportare sulla vegetazione arborea i seguenti effetti:
• allungamento del periodo vegetativo e “disorientamento” stagionale (parziale emissione di
foglie in autunno, prolungata attività del cambio con produzione di legno, ritardata chiusura
delle gemme e conseguenti possibili danni da gelate) delle specie arboree;
• aumento della sensibilità delle piante ai patogeni sia per aumento della popolazione delle
specie dell’entomofauna parassite sia per le condizioni invernali più favorevoli che consentono
la sopravvivenza ad un maggior numero di insetti;
• sradicamento delle piante in caso di eventi meteorologici intensi;
• creazione di condizioni che favoriscono il fenomeno del deperimento della quercia.
Per tali motivazioni, si ritiene prudente adottare un turno di 80 anni per la programmazione degli
interventi selvicolturali.
3.13.3 Diagramma selvicolturale
I risultati delle indagini cronologiche sviluppate in precedenza sul dataset per le diverse variabili
dendrometriche sulla farnia sono stati utilizzati per fare delle ipotesi sugli interventi
selvicolturali da proporre per la gestione del Bosco di Mestre. I dati iniziali del modello relativi
alla densità ed alla mortalità sono stati calcolati sui valori medi di questi fattori. Inoltre,
ipotizzando interventi colturali ravvicinati nel tempo, si può ritenere che la mortalità sia
omogenea e costante nel tempo, soprattutto per le specie arboree principali. Un’ulteriore ipotesi
è che i soggetti di tutte le specie arboree abbiano i medesimi accrescimenti in diametro, altezza e
diametro della chioma determinati per la farnia in posizione sociale dominante. Inoltre,
considerando che gli accrescimenti in diametro ed altezza sono molto simili tra impianti e boschi
relitti, ai fini selvicolturali si è considerata la curva di sviluppo cronologico dei boschi.
Per l’interpretazione grafica del modello con SVS, è stata utilizzata la distanza media tra i
soggetti arborei, ipotizzando così che la mortalità influisca facendo aumentare progressivamente
la distanza intrafilare delle specie arboree.
135
0
100
200
300
400
500
600
0 5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 65 70 75 80
età (anni)
N/h
a
qro
cbe
arb
abs
0
5
10
15
20
25
30
35
40
0 5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 65 70 75 80
età (anni)
dbh
(cm
)
qro
Fig. 108 Curva di mortalità per specie legnosa ed età (qro= Quercus robur; cbe= Carpinus betulus; arb= altre arboree abs= arbusti)
Fig. 109 Relazione tra diametro ed età (qro= Quercus robur)
0.0
5.0
10.0
15.0
20.0
25.0
30.0
35.0
0 5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 65 70 75 80
età (anni)
alte
zza
(m)
qro
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
0 4 8 12 16 20 24 28 32 36 40 44 48 52 56 60 64 68 72 76 80
età (anni)
diam
etro
chi
oma
(m)
qro
Fig. 110 Relazione tra altezza ed età (qro= Quercus robur) Fig. 111 Relazione tra diametro chioma (dch) ed età
136
Tab. 65 Modello alsometrico del Bosco di Mestre (dati riferiti all’ettaro)
Anno n. qro n. cbe n. arb n. tot arb n. abs n. morte n. totale dbh (cm) h (m) dch (m) d (m) sup (m2) d_arb (m)
5 336 182 450 969 266 127 1235 2.4 2.9 2.3 2.4 8.1 3.0
10 305 165 408 878 241 243 1119 6.2 6.1 3.6 2.6 8.9 3.3
15 276 150 370 796 219 347 1015 10.4 9.2 4.6 2.9 9.9 3.7
20 250 136 335 721 198 443 919 14.4 12.1 5.4 3.2 10.9 4.0
25 227 123 304 653 180 529 833 18.0 14.8 6.0 3.5 12.0 4.5
30 206 111 275 592 163 607 755 21.2 17.2 6.5 3.9 13.2 4.9
35 186 101 250 537 148 678 684 24.0 19.4 6.9 4.3 14.6 5.4
40 169 91 226 486 134 742 620 26.4 21.5 7.3 4.7 16.1 6.0
45 153 83 205 441 121 800 562 28.5 23.3 7.5 5.2 17.8 6.6
50 139 75 186 399 110 853 509 30.2 24.9 7.8 5.7 19.6 7.3
55 126 68 168 362 100 900 462 31.6 26.4 8.0 6.3 21.7 8.1
60 114 62 153 328 90 944 418 32.8 27.8 8.1 7.0 23.9 8.9
65 103 56 138 297 82 983 379 33.8 29.0 8.2 7.7 26.4 9.8
70 94 51 125 269 74 1018 344 34.7 30.1 8.3 8.5 29.1 10.8
75 85 46 114 244 67 1051 311 35.4 31.0 8.4 9.4 32.1 11.9
80 77 42 103 221 61 1080 282 35.9 31.9 8.5 10.3 35.4 13.2 n. qro= n. soggetti di Quercus robur; n. cbe= n. soggetti Carpinus betulus; n. arb= n. soggetti altre specie arboree;
n. abs= n. soggetti arbustivi; d= distanza intrafilare; sup= superficie media per soggetto vivente; d_arb= distanza media intrafilare tra i soggetti arborei
137
35 anni 30 anni 25 anni 20 anni 15 anni 10 anni 5 anni
Fig. 112 Rappresentazione schematica tridimensionale dello sviluppo cronologico del Bosco di Mestre
35 anni 30 anni 25 anni 20 anni 15 anni 10 anni 5 anni
Fig. 113 Rappresentazione schematica planimetrica dello sviluppo cronologico del Bosco di Mestre
Come si può vedere (Figg. 112-113-114 e 115, Tab. 65), all’età di 10 anni le chiome dei soggetti
iniziano a toccarsi e ciò tende ad innescare i fenomeni di competizione per la luce e lo spazio
come confermato anche dai risultati ottenuti su altri impianti anche se con un'altra densità
d’impianto e con condizioni stazionali più favorevoli all’accrescimento della farnia (Buresti et
al., 1998; Pelleri et al., 2001).
A 15 anni, le chiome sono già parzialmente compenetrate e la copertura è quasi colma. La
competizione per la luce e lo spazio tende ad aumentare fortemente ed inizia la fase di
eliminazione dei soggetti più deboli e sottomessi. In questa fase, sono soprattutto gli individui
del piano dominato appartenenti alle specie eliofile ad essere interessati dalla mortalità come
confermato dai dati relativi alla farnia nel Bosco Osellino riportati nel capitolo 3.8.
Se si vuole assicurare una crescita ottimale, risulta pertanto necessario effettuare a questa età un
primo intervento di diradamento di tipo medio a carico del piano codominante tendente a
favorire i soggetti di specie arboree coerenti con il querco-carpineto, eliminando le specie a
rapido accrescimento (pioppi e salici) che hanno esaurito la funzione scenica iniziale attraverso
la cercinatura in modo da favorire la creazione di legno morto atto ad aumentare la biodiversità.
138
La scelta del tipo di diradamento si è ispirata soprattutto ai seguenti motivazioni ecologico-
colturali non tralasciando tuttavia le motivazioni economiche (Pelleri et al., 2001):
Criteri ecologico-colturali: il tipo di diradamento dovrebbe consentire di regolare la
composizione degli individui, la mescolanza delle specie e di mantenere un elevato grado di
biodiversità favorendo la conservazione delle specie secondarie. La liberazione della chioma
delle piante d'élite consente di ottenere localmente un sufficiente livello d'illuminazione del
suolo che può favorire l'insediamento della rinnovazione delle specie arboree ed arbustive,
conferendo una struttura più articolata al popolamento e un più elevato valore naturalistico agli
impianti.
Criteri economici: il metodo è finalizzato a produrre legname di pregio a costi più bassi
aspettando che i soggetti d'élite si differenzino in modo naturale, limitando gli interventi diffusi
su tutto il soprassuolo e concentrando l'attenzione su una porzione limitata del popolamento
(Bastien e Wilhelm, 2000). La selezione precoce delle piante "d'avvenire" consentirà di
modulare gli interventi a vantaggio di questi individui, su cui si concentrerà la produzione
lasciando indisturbata la restante porzione del soprassuolo. Tali piante saranno oggetto di idonee
cure colturali (es. potature) finalizzate alla produzione di legname di pregio.
Gli impianti, pur concepiti con una prioritaria finalità naturalistica, possono in quest’ottica
offrire anche delle interessanti prospettive di tipo economico e interventi analoghi avranno
maggiori possibilità di sviluppo sul territorio laddove si dimostri la loro sostenibilità economica,
legata alle produzioni legnose oltre che agli incentivi pubblici per la forestazione (Mezzalira,
2005). Dal punto di vista pratico, si potrebbero adottare due diverse modalità d'intervento
(Pelleri, 2001):
a) un diradamento selettivo (libero) concentrato intorno a 100 piante d'avvenire ad ettaro, densità
che può essere considerata prossima a quella definitiva. I soggetti dovrebbero essere individuati
prevalentemente tra le specie arboree principali del querco-carpineto (farnia, frassino ossifillo,
olmo campestre) appartenenti al piano dominante. Al fine di mantenere una giusta mescolanza,
andrebbero individuati anche alcuni soggetti di altre specie arboree secondarie (carpino bianco,
acero campestre, tiglio selvatico, orniello) sempre nel piano dominante-codominante.
L'intervento andrebbe concentrato attorno a questi individui eliminando le più immediate
concorrenti (2-3 per pianta scelta) e lasciando indisturbato il resto dell’impianto. Il piano
dominato verrebbe preservato il più possibile allo scopo di conservare una composizione e una
struttura articolata dell'impianto, cercando di favorire la costituzione di un popolamento
accessorio in grado di controllare l'emissione dei rami epicormici e di accompagnare i fusti delle
piante d'avvenire. Con l'intervento si potrebbero anche creare o allargare le eventuali radure
esistenti al fine di favorire l’insediamento della rinnovazione naturale.
139
b) un diradamento selettivo più diffuso con individuazione di circa 250 piante d'avvenire ad
ettaro, da ridurre progressivamente con i successivi diradamenti. In questo secondo caso,
l’eliminazione delle più immediate concorrenti (1-2 per pianta scelta) consentirebbe di regolare
meglio la mescolanza delle specie e la composizione futura del soprassuolo e di rinviare in una
fase successiva, la scelta definitiva delle piante d'élite. Rispetto al precedente, questo intervento
ha anche il vantaggio di poter essere meglio distribuito sull’intera area.
E’ opportuno che il grado di intensità dei diradamenti non sia troppo forte per prevenire, da un
lato, fenomeni di discesa della chioma nella farnia e dall’altro, problemi di instabilità delle
piante a fronte di eventi atmosferici estremi.
80 anni 70 anni 60 anni 55 anni 50 anni 45 anni 40 anni
Fig. 114 Rappresentazione schematica tridimensionale dello sviluppo cronologico del Bosco di Mestre
80 anni 70 anni 60 anni 55 anni 50 anni 45 anni 40 anni
Fig. 115 Rappresentazione schematica planimetrica dello sviluppo cronologico del Bosco di Mestre
140
Grazie alla forte reattività ed alla giovane età degli impianti, entro pochi anni le chiome dei
soggetti rimanenti tenderanno a chiudersi e sarà quindi opportuno intervenire nuovamente all’età
di circa 25 anni, quando la concorrenza ritornerà a incidere sulla sopravvivenza delle piante.
A questa età, i soggetti del piano dominante si saranno differenziati e si potrà fare la scelta
definitiva delle piante d’élite favorendo quelle che presentano gli accrescimenti ipsodiametrici
maggiori, ramificazione regolare, buon stato fitosanitario.
Questo tipo di diradamenti potrà proseguire con cadenza decennale fino all’età di 50-60 anni,
portando gradualmente la densità del piano dominante verso quella finale di circa 100
soggetti/ettaro. A questo punto potranno iniziare i tagli di rinnovazione del soprassuolo: il forte
taglio di sementazione (eliminazione > 50% della copertura) dovrà garantire il rilascio di un
adeguato numero di soggetti portaseme in grado di assicurare la disseminazione su tutta la
superficie interessata. Si suggerisce l’adozione della tecnica dei tagli successivi a orlo, cercando
di orientare le strisce in direzione est-ovest per aumentare l’illuminazione del suolo e favorire la
rinnovazione della farnia.
Sempre a tale scopo, è opportuno iniziare i tagli a partire dal confine tra una particella giunta a
maturità ed un neoimpianto e procedere alla lavorazione superficiale del terreno. In tal modo si
potrebbe sfruttare la situazione di “grande buca” dove si verrebbe a creare un microclima più
favorevole alla rinnovazione della quercia rispetto al carpino. Per il triennio successivo, dovrà
essere garantita la ripulitura della tagliata dallo strato erbaceo ponendo particolare attenzione al
rispetto della rinnovazione di farnia in fase di insediamento.
Dopo 5-10 anni, si potrà procedere al taglio di sgombero delle piante rimaste ed eseguire il
nuovo taglio di sementazione sull’orlo più interno della particella.
3.13.4 Ulteriori interventi gestionali
Al fine di conseguire nel più breve tempo possibile gli obiettivi di rinaturalizzazione delle aree
imboschite, sono inoltre ipotizzabili i seguenti ulteriori interventi:
• ridurre l’isolamento dei querco-carpineti relitti attraverso l’ampliamento delle superfici;
• creazione di corridoi biologici;
• incrementare il volume legnoso concentrando la massa sui vecchi soggetti di farnia;
• apporto di specie erbacee, di terriccio, humus e di legno morto da boschi esistenti per
ricostituire la biodiversità negli impianti;
• favorire la conservazione del legno morto;
• attuare una gestione particolare della vegetazione lungo strade e piste forestali;
141
• favorire artificialmente la rinnovazione della farnia;
• creare un inventario standardizzato da estendere anche ai filari e alle alberature campestri
• implementare un sistema di monitoraggio degli impianti e dei boschi relitti di lungo
periodo
• valorizzare al pubblico le specie dell’entomofauna facendole conoscere e adottando
particolari tecniche di gestione (mantenimento di superfici a ceduo, ecc.).
E’ molto importante inoltre coinvolgere nella gestione forestale i soggetti del mondo
dell’associazionismo che operano nel settore naturalistico-ambientale al fine di concertare
specifiche modalità di intervento selvicolturale che siano ampiamente condivise dall’opinione
pubblica.
Infatti il Bosco di Mestre è nato, oltre che dalla lungimiranza politica degli amministratori
comunali, anche grazie alla forte spinta della cittadinanza, che continua a sostenere il progetto
attraverso l’azione dell’Associazione appositamente costituita.
Per il futuro, sarebbe opportuno che la Regione del Veneto attui una modifica alla normativa
della LR 13/2003 che consenta l’accesso ai contributi anche ai soggetti privati in modo da
incentivare la realizzazione del Bosco di Mestre. Una ulteriore spinta verso l’imboschimento dei
terreni e la realizzazione di siepi, boschetti e fasce tampone ed altre azioni di tipo agroambientale
potrà inoltre essere data attraverso il nuovo Programma di Sviluppo Rurale 2006-2013, in corso
di attuazione da parte della Regione del Veneto. In tale ambito, l’Amministrazione comunale
avrebbe titolo e potrebbe impegnarsi a presentare un apposito Piano Integrato di Area
coordinando le domande dei singoli agricoltori e privati in modo da creare quella rete ecologica
necessaria all’ampliamento ed al consolidamento di quanto già realizzato. Questo permetterebbe
di sfruttare appieno le risorse pubbliche concentrando l’azione in determinati ambiti territoriali
incentivando e valorizzando le attività rurali che ruotano attorno al Bosco di Mestre.
3.13.5 Conclusioni
La densità, il rapido sviluppo ed il precoce instaurarsi della competizione che si riscontrano in
tutti gli impianti oggetto di studio, caratterizzati da una composizione e una struttura articolata
con mescolanza di numerose specie aventi diverse esigenze ecologiche, evidenziano come sia
necessario fin dai primi anni guidare l’evoluzione del soprassuolo mediante i diradamenti al fine
di avvicinarsi ad una composizione ottimale per una cenosi planiziale, correggendo eventuali
valutazioni erronee effettuate in fase di progettazione.
Il precoce insediamento della rinnovazione delle specie arboree e arbustive, presente anche in
142
soprassuoli molto giovani, sembra creare buoni presupposti per una rapida rinaturalizzazione di
questi impianti che potrebbe essere stimolata mediante l'applicazione di idonee tecniche
colturali, in primis evitando lo sfalcio indiscriminato della vegetazione erbacea. Va fatto
comunque uno sforzo anche nella progettazione degli impianti, evitando l’uso di specie
ecologicamente non coerenti con la stazione e la tipologia forestale, adottando sesti più ampi e
consociazioni per gruppi monospecifici.
Il forte dinamismo e la notevole capacità di colonizzazione, evidenziata dalla componente
arbustiva, rende sicuramente più economico, ma ugualmente valido, l'impianto degli arbusti
secondo filari o gruppi ed in percentuali più ridotte di quanto effettuato finora.
E' necessario ricordare che questi impianti sono un insieme artificiale di alberi ed arbusti, che
non possono essere considerati un vero bosco, pur presentando una composizione e, dopo pochi
decenni, anche una struttura articolata che si ispira a quella riscontrabile nelle foreste planiziali.
Per ricostituire un bosco sono necessari tempi molto lunghi indispensabili per arricchire la
biocenosi della miriade di componenti minori (funghi, batteri, invertebrati, erbe ecc) ora assenti
e difficilmente introducibili in modo artificiale, ma componenti fondamentali di un ecosistema
forestale. A tale proposito tuttavia, in alcune aree di studio (Novoledo, Bandiziol e Prassaccon)
sono state sperimentate tecniche di introduzione di piote erbose prelevate da sottoboschi naturali
che funzionano da nuclei di espansione della flora nemorale e di tutto il complesso di
microrganismi tipico dei suoli forestaIi (Manfron, 1998). Tali interventi, i cui risultati dovranno
essere verificati e monitorati, indicano una strada percorribile per accelerare per quanto possibile
lo svolgimento dei processi naturali. (Pelleri, 2001).
3.14 Conclusioni generali
L’indagine ha consentito di descrivere scientificamente i popolamenti studiati (boschi naturali ed
impianti artificiali) e di porre le basi per un monitoraggio di lunga durata, confrontando, su base
cronologica, i querco-carpineti relitti con gli impianti, e stimare il grado di rinaturalizzazione
raggiunto dai principali componenti dell’ecosistema forestale (piano erbaceo, arbustivo ed
arboreo).
Lo studio ha permesso di verificare la parziale correttezza dell’ipotesi iniziale della ricerca e cioè
che le specie arboree principali che costituiscono la tipologia forestale del querco-carpineto
planiziale (farnia e carpino bianco) abbiano gli stessi ritmi di sviluppo in tutto il Veneto. Come
confermato dai risultati, fino all’età di circa 9-10 anni non vi sono differenze di accrescimento
tra le diverse stazioni per le specie esaminate e quindi gli accrescimenti dipendono
principalmente dall’età del popolamento. Dopo tale età, i fenomeni di competizione legati alla
stazione (caratteri del suolo, disponibilità idrica, fertilità, ecc.) ed alle caratteristiche
143
dell’impianto (densità, composizione, disegno, sesto, ecc.) tendono ad influenzare
significativamente gli accrescimenti. In particolare, per la farnia sono stati individuati nel
territorio studiato due gruppi di stazioni caratterizzate da distinti ritmi di accrescimento
ipsodiametrico.
L’indagine ha inoltre confermato che gli schemi usati negli impianti, pur consentendo
generalmente la rinnovazione delle specie arbustive, raramente invece favoriscono
l’insediamento delle specie arboree. In particolare, per quanto riguarda la farnia, solamente in un
caso molto particolare è stata riscontrata una azione positiva dello schema di impianto, in
abbinamento alle tecniche colturali, che ha permesso l’affermazione della rinnovazione. Si
suggerisce pertanto l’introduzione di nuovi schemi d’impianto e diverse modalità di gestione
della vegetazione erbacea che siano idonei al raggiungimento dell’obiettivo della
rinaturalizzazione del territorio.
I risultati dell’indagine hanno permesso di sviluppare un diagramma selvicolturale (Oldemann,
1990) che è stato impiegato per definire i criteri di gestione selvicolturale per il Bosco di Mestre.
144
Bibliografia siti web http://www.comune.venezia.it/boscodimestre http://www.portaleinterwood.net/interwood http://www.earthgoogle.com
Alzetta C. (a cura di), 1994. Atti della giornata di studio sugli imboschimenti a prioritaria funzione ambientale di terreni di pianura. Regione Veneto-Azienda Regionale Foreste.
Arney, J.D., 1985. A modelling strategy for the growth projection of managed stands. Can. J. For. Res. 15 (3), 511–518.
ARPAV, 2001. Rapporto sugli indicatori ambientali del Veneto. Ed. Promodis Italia Editrice, Brescia
Assmann, E., 1961. Waldertragskunde. BLV Bayerischen Landwirtschaftsverlag GmbH, Munchen.
Assmann, E., 1970. The principles of forest Yield Study, Studies in the Organic Production, Structure, Increment and Yield of Forest Stands, first English ed. Pergamon Press Ltd.
Azienda Regionale Foreste del Veneto, 1997. Bosco di Mestre: secondo stralcio esecutivo. Venezia.
Badoux, E., 1949. L’allure de l’accroissement dans la foret jardinee. Mitt. schweiz. Anstalt forst. Versuchsw XXVI (1), 9–58.
Bailey, R.L., Dell, T.R., 1973. Qualifying diameter distributions with the Weibull function. For. Sci. 19, 97–104.
Bakker J.P., Olff H.,Willems J.H., Zobel M., 1996. Why do we need permanent plots in the study of long-term vegetation dynamics ? Journal of Vegetation Science, 7: 147-156.
Bary-Lenger A.- Nebout JP., 1993. Le chêne. Editions Du Perron.
Bella, I.E., 1971. A new competition model for individual trees. For. Sci. 17 (3), 364–372.
Biging, G.S., Dobbertin, M., 1995. Evaluation of competition indices in individual tree growth models. For. Sci. 41 (2), 360–377.
Bonani S., 1980. Aspetti selvicolturali del bosco Olmè di Cessalto (TV). Atti dell’Istituto di Ecologia e Selvicoltura dell’Università degli Studi di Padova
Borders, B.E., Patterson, W.D., 1990. Projecting stand tables: a comparison of the Weibull diameter distribution method, a percentile-based projection method and a basal area growth
Borders, B.E., Souter, R.A., Bailey, R.L., Ware, K.D., 1987. Percentile- based distributions characterize forest stand tables. For. Sci. 33, 570–576.
Bossuyt, B., Deckers, J., Hermy, M., 1999a. A field methodologyfor assessing man-made disturbance in forest soils developed in loess. Soil Use Manage. 15, 14–20.
Bossuyt, B., Hermy, M., Deckers, J., 1999b. Migration of herbaceous plant species across ancient-recent forest ecotones in central Belgium. J. Ecol. 87, 628–638.
145
Bracco F., S. Marchiori, F. Mason e A. Zanetti, 2001. Le foreste della Pianura Padana. Quaderni Habitat-Ministero dell’Ambiente.
Bruchwald, A., 1986. Simulation growth model MDI-1 for Scots pine. Ann. Warsaw Agric. Univ. – SGGW-AR, For. Wood Technol. 34, 47–52.
Bruchwald, A., 1988b. Thinning algorithms. Ann. Warsaw Agric. Univ. – SGGW-AR, For. Wood Technol. 36, 21–28.
Brunet, J., von Oheimb, G., 1998. Migration of vascular plants to secondary woodlands in southern Sweden. J. Ecol. 86, 429–438.
Buresti E., De Meo I., Pelleri F., 1998. Criteri e risultati di un diradamento in un impianto di arboricoltura da legno di farnia (Quercus robur L.). Ann. Ist. Sper. Selv. XXIX
Burkhart H.E., Parker R.C., Strub M.R., Oderwald R.G., 1972. Yield of old-field loblolly pine plantations. School of forestry and Wildlife Resources, Virgina Polytechnic Institute and state university, Blacksburg Publ. FWS-3-72
Burkhart, H.E., Tennent, R.B., 1977. Site index equations of radiata pine in New Zealand. N. Z. J. For. Sci. 7, 408–416.
Caniglia G.,. 1981. Il Bosco di Carpenedo. Venezia: Lav. Soc. Ven. Sc. Nat., 6: 151-158.
Cappelli M., 1982- Elementi di selvicoltura generale. Edagricole, Bologna
Catt, J.A., 1994. Long-term consequences of using artificial and organic fertilisers: the Rothamsted experiments. In: Foster, S., Smout, T.C. (Eds.), The History of Soils and Field Systems. Scottish Cultural Press, Aberdeen, pp. 119–134.
Centro Idrico Novoledo, 2005. Piano di Gestione Decennale dell'area dei pozzi di Novoledo. Prima parte: rilievi ed analisi. Paulownia Italia
Clutter, J.L., Harms, W.R., Brister, G.H., Rheney, J.W., 1984. Stand Structure and Yields of Site-Prepared Loblolly Pine Plantations in the Lower Coastal Plain of the Carolinas, Georgia, and North Florida. GTR SE-27. USDA Forest Service Southeastern Forest Experiment Station, Asheville, NC.
Comune di Venezia-Ufficio del Bosco di Mestre e Consorzio di Bonifica Dese-Sile, 2004. Bosco di Mestre – Piano guida aree Querini. A cura di De Luce V., Orlando M.
Comune di Venezia-Ufficio del Bosco di Mestre, 2005. Valutazione della convenienza economica delle aziende agricole che ricadono nella zona E5 del P.R.G. (“Bosco di Mestre”) a realizzare azioni di riqualificazione paesaggistico-ambientale-Rapporto intermedio di ricerca. Università degli Studi di Padova- Dip. TESAF Tempesta T. et alii
Comune di Venezia-Ufficio Suolo e Verde Pubblico, 2003. Bosco di Mestre – Bosco Carpenedo – Censimento ed interventi di riqualificazione. Studio Tecnico Forestale Maurizio Novello
Comune di Venezia-Ufficio Suolo e Verde Pubblico, 2003. Bosco di Mestre – Bosco Osellino – Censimento ed interventi di riqualificazione. Studio Tecnico Forestale Maurizio Novello
Condes S., Sterba H., 2005. Derivation of compatible crown width equations for some important tree species of Spain. Forest Ecology and Management 204 217 (2005) 203–218
Consorzio Venezia Disinquinamento, 1993. Progetto esecutivo per il bosco di Mestre, primo stralcio operativo San Giuliano.
146
Corbit M., P.L. Marks e S. Gardescu,. 1999. Hedgerows as habitat corridors for forest herbs in central New York, USA. Journal of Ecology, 87: 220-232.
Curtis, R., 1967. Height–diameter and height–diameter–age equations for second-growth Douglas-fir. For. Sci. 13 (4), 365–375.
Dahms, W.G., 1966. Relationship of Lodgepole pine volume increment to crown competition factor, basal area and site index. For. Sci. 12 (1), 74–82.
De Keersmaekera L., Martensb L., Verheyenc K., Hermyc M., De Schrijverd A., Lustd N., 2004. Impact of soil fertility and insolation on diversity of herbaceous woodland species colonizing afforestations in Muizen forest (Belgium). Forest Ecology and Management 188 (2004) 291–304
Del Favero R., 2004. I boschi delle regioni alpine italiane – Tipologia, funzionamento, selvicoltura. CLEUP
Del Favero R., G. Carraro, M. Dissegna, C. Giaggio, D. Savio, S. Zen, E. Abramo, O. Andrich e C. Lasen,. 2001a. Sintesi del Sistema Informativo Forestale del Veneto – CD Rom. Regione del Veneto e Accademia Italiana di Scienze Forestali,
Del Favero R., G. Carraro, M. Dissegna, C. Giaggio, D. Savio, S. Zen, E. Abramo, O. Andrich, P. Corona, M. Cassol, C. Lasen, M. Marchetti e O. Ciancio, 2001b. Biodiversità e indicatori nei tipi forestali del Veneto. Regione del Veneto e Accademia Italiana di Scienze Forestali
Di Berenger A., 1863. Studii di archeologia forestale. Ristampa a cura dell’Accademia italiana di Scienze Forestali e della Direzione Generale dell’Economia Montana e delle Foreste, Firenze 1965
Duplat P., Tran-Ha M.,. 1997. Modelling the dominant height growth of sessile oak (Quercus petraea Liebl.) in France. Inter-regional variability and effect of the recent period (1959–1993). Ann. For. Sci. 54, 611–634, 1997
Ebert, H.-P., Deuschle, R., 2000. Die Baumkrone als Maßstab fur den Zuwachs von Fichte. Forst Holz 55 (14), 452–454.
Ebert, H.-P., Eisele, M., 2001. Die Baumkrone als Maßstab fur den Zuwachs von Kiefer. Forst Holz 56 (7), 226–231.
Ellemberg H., 1974. Zeigerwerte der Gefässpflanzen Mitteleuropas. Scripta Geobot. 9. Göttingen, 1974. 2. Aufl. (1979). 3. Aufl. (1992) in ELLENBERG H. et al., Scripta Geobot. 18: 9-166. Fennica 30, 269.
Forman R. T. T., 1995. Land Mosaics. The ecology of landscapes and regions Cambridge University Press.
Foster B. L., Tilman D., 2000. Dynamic and static views of succession: testing the descriptive power of the chronosequence approach. Plant Ecology, 146 (1): 1-10.
Gadow, K.V., Hui, G.Y., 1999. Modelling Forest Development. Kluwer Academic Publishers, Dordrecht, 213 p
Gering L. R., May D. M., The relationship of diameter at breast height and crown diameter for four species groups in Hardin County, Tennessee. Southern Journal of Applied Forestry, vol 19, n. 4 1995
Goelz, J.C.G., Leduc, D.J., 2002. A Model Describing Growth and Development of Longleaf Pine Plantations: Consequences of Observed Stand Structures of Structure of the Model. Gen. Tech. Rep. SRS-48. U.S. Department of Agriculture, Forest Service, Southern Research Station, Asheville, NC, pp. 438–442.
147
Goff, F.G.,West, D., 1975. Canopy-understory interaction effects on forest population structure. For. Sci. 21, 98–108.
Goovaerts, P., Frankart, R., Gerard, G., 1990. Effet de la succession de differentes affections sur les proprietes chimiques de pedons en Fagne de Chimay (Belgique). Pedologie 15, 179– 194.
Hasenauer, H., 2000. Die simultanen Eigenschaften von Waldwachstumsmodellen. Parey Buchverlag, Berlin, 131 pp.
Hasenauer, H., Moser, M., Eckmullner, O., 1994. MOSES—a computer simulation program for modelling stand response. In: Pinto da Costa, M.E., Preuhsler, T. (Eds.), Mixed Stands, Research Plots, Measurement and Results, Models. Inst. Superior de Agronomia, Univ. Technica de Lisboa, Lisboa Codex, Portugal.
Hemery G. E., Savill P. S., Pryor S. N. 2005. Applications of the crown diameter-stem diameter relationship for different species of broadleaved trees. Forest Ecology and Management 215 (2005) 285-294
Hoerl, A.E. 1954. Fitting curves to data. Chemical business handbook. J.H. Perry (editor). McGraw-Hill, New York, N.Y.
Honnay, O., Hermy, M., Coppin, P., 1999. Impact of habitat quality on forest plant species colonization. For. Ecol. Manage. 115, 157–170.
Hooker T.D., Compton J.E. 2003. Forest ecosystem carbon and nitrogen accumulation during the first century after agricultural abandonment. Ecological Applications, 13 (2): 299-313.
Johnson P.S., Shifley S. e Rogers R. 2002. The ecology and silviculture of oaks CABI Publishing
Keister, T.D., Tidwell, G.R., 1975. Competition ratio dynamics for improved mortality estimates in simulated growth of forest stands. For. Sci. 21, 46–51.
Kirby K. J., 1993. The effects of plantation management on wildlife in Great Britain: lessons from ancient woodland for the development of afforestation sites. in Ecological effects of afforestation CAB International
Knops J. M. H., Tilman D. 2000. Dynamics of soil nitrogen and carbon accumulation for 61 years after agricultural abandonment. Ecology, 81 (1): 88-98.
Koerner, W., Dupouey, J.L., Dambrine, E., Benoit, M., 1997. Influence of past land use on the vegetation and soils of present day forest in the Vosges Mountains, France. J. Ecol. 85, 351–358.
Krajicek, J., Brinkman, K., Gingrich, S., 1961. Crown competition—a measure of density. For. Sci. 7, 35–42.
La Greca M. (a cura di), 1982. Quaderni sulla struttura delle zoocenosi terrestri, 4. I boschi primari della Pianura Padano-Veneta. CNR Roma
Larocque, G.R., Marshall, P.L., 1994. Crown development in red pine stands. II. Relationships with stem growth. Can. J. For. Res. 24 (4), 775–784.
Larsen, D.R., Hann, D.W., 1987. Height-diameter Equations for Seventeen Tree Species in Southwest Oregon. Forest Research Laboratory, Oregon State University, Corvallis, USA. Research Bulletin 49.
Leak, W.B., 1964. An expression of diameter distribution for unbalanced, uneven-aged stands and forests. For. Sci. 10, 39–50.
148
Lenhard, J.D., Clutter, J.L., 1971. Cubic-foot yield tables for oldfield loblolly pine plantations in the Georgia Piedmont. GA For. Res. Counc. Rep. 22 (Series 3), 13.
Lonnroth, E., 1925. Untersuchungen uber die innere Struktur und Entwicklung gleichaltiger naturnormaler Kiefernbestande basiert auf Material aus der Sudhalfte Finnlands. Acta Forestalia
Maltamo, M., 1997. Comparing basal area diameter distributions estimated by tree species and for the entire growing stock in a mixed stand. Silva Fenn. 31 (1), 53–65.
Marin S., 1994. La farnia nel bosco Olmè di Cessalto (TV). (tesi di laurea in Scienze Forestali) Padova
Mason F. 2004. Dinamica di una foresta della Pianura Padana - Bosco della Fontana Ed. Arcari.
Matlack,G.R., 1994. Plant species migration in amixed-history forest landscape in eastern North America. Ecology 75, 1491–1502.
Meyer H.A. 1940. A mathematical expression for height curves. Journal of Forestry, 38: 415-420.
Meyer,W.H., 1930. Diameter distribution series in even-aged forest stands. Yale Univ. Sch. For. Bull. 28, 105.
Monserud, R.A., 1976. Simulation of forest tree mortality. For. Sci. 12, 438–444.
Monserud, R.A., Ek, A.R., 1977. Prediction of understory tree height growth in northern hardwood stands. For. Sci. 23, 391–400.
Monserud, R.A., Ek, A.R., 1979. Performance and comparison of stand growth models based on individual tree and diameter-class growth. Can. J. For. Res. 9, 231–244.
Monserud, R.A., Sterba, H., 1996. A basal area increment model for individual trees growing in even- and uneven-aged forest stands in Austria. For. Ecol. Manage. 80, 57–80.
Muys, B., Lust, N., Granval, Ph., 1992. Effects of grassland afforestation with different tree species on earthworm communities, litter decomposition and nutrient status. Soil Biol. Biochem. 24, 1459–1466.
Oldeman R.A.A. 1990 Forests: Elements of sylvology. Springer Berlin Heidelberg New York, 624 pp.
Oliver, C.D., Larson, B.C., 1996. Forest Stand Dynamics. Wiley, 520 p.
Pelleri F., Fiorentin R., Mezzalira G., 2001. Gli imboschimenti a prioritaria finalita' naturalistica dell'area di Villaverla (VI) criteri di realizzazione e modalita' di gestione. Sherwood, n. 65/2001
Petriccione B. , Isopi R., 1996. The Italian National Integrated Network for Forest Ecosystems Monitoring (CONECOFOR). In: Proceedings of the 17th International Meeting for Specialists in Air Pollution Effects on Forest Ecosystems. Sept. 14-19, 1996, Florence, Italy.
Pickett T.A., 1989. Space-for-time substitution as an alternative to long-term studies. In: Likens G.E. (ed.) Long-term studies in ecology. Wiley, Chichester.
Pignatti S., 1982. Flora d’Italia.Bologna Edagricole
Pignatti S., 1953. Introduzione allo studio fitosociologico della pianura veneta orientale con particolare riguardo alla vegetazione litoranea. Arch. Bot. 28 (4): 265-329; 29 (1): 1-25, 65-98, 129-174.
Pignatti S., 1995 Ecologia Vegetale. Torino UTET
Pretzsch, H., Biber, P., Dursky, J. 2002. The single tree-based stand simulator SILVA: Construction,
149
application and evaluation. Forest Ecology and Management 162 (1), 3–21.
Regione del Veneto – ARPAV, 2004. Carta dei suoli del Veneto in scala 1:250.000 – CD-ROM
Reineke, L.H. 1933. Perfecting a stand density index for even-aged stands. J. Agric. Res. 46:627–638.
Ritchie, M.W., Hann, D.W., 1986. Development of a tree height growth model for Douglas-fir. For. Ecol. Manage. 15, 135–145.
Rossi M., 1990. Analisi comparata di alcuni residui boschi nella pianura veneta orientale. (tesi di laurea in Scienze Forestali), Padova.
Rusalen C., 1984. Il bosco Olmè di Cessalto (TV) problemi protezionistici e selvicolturali. (tesi di laurea in Scienze Forestali) Padova.
Shiver, B.D., 1988. Sample sizes and estimation methods for the Weibull distribution for unthinned slash pine plantations diameter distributions. For. Sci. 34 (3), 809–814.
Sitzia T.,. 2004. Il ruolo delle siepi nelle reti ecologiche di specie vascolari: analisi dei fattori determinanti e valutazione dell’efficacia. Tesi di Dottorato in Ecologia Forestale, XVII Ciclo; Università degli Studi di Padova
Smith,W.R., Farrar Jr., R.M., Murphy, P.A., 1992. Crown and basal area relationships of open-grown southern pines for modeling competition and growth. Can. J. For. Res. 22 (3), 341–347.
Stage, A.R., 1973. Prognosis model for stand development. USDA For. Serv. Res. Paper INT-137.
Staupendahl, K., 1999. Modelling thinnings based on the ratio of relative removal rates. Growth and Yield Modelling of Tree Plantations in South and East Africa. University of Joensuu, 183 p.
Sterba, H., Andrae, F., Pambudhi, F., 1993. Crown efficiency of oak standards as effected by mistletoe and coppice removal. For. Ecol. Manage. 62, 39–49.
Stevanato M., 1990. Alcune osservazioni sulla natalità, il deperimento e la mortalità postatale della farnia al Bosco di Carpenedo. (tesi di laurea in Scienze Forestali), Padova.
Strub, M.R., Vasey, R.B., Burkhart, H.E., 1975. Comparison of diameter growth and crown competition factor in loblolly pine plantations. For. Sci. 21 (4), 427–431.
Susmel L., 1980. Normalizzazione delle foreste alpine. Ed. Liviana.
Susmel L., 1994. I rovereti di pianura della Serenissima. CLEUP.
Urbinati C., 1986. Indagine sulla struttura ecologica del Bosco di Carpenedo. (tesi di laurea in Scienze Forestali), Padova.
USDA Forest Service Pacific Northwest Research Station, 2002. Stand Visualization System ver 3.36.
Uzoh, F., Ritchie, M., 1996. Crown area equations for 13 species of trees and shrubs in Northern California and Southwestern Oregon. USDA For. Serv. Res. Paper PSW-RP-227-Web.
Van Laar, A., 1973. Needle-Biomass, Growth and Growth Distribution of Pinus radiata in South Africa in Relation to Pruning and Thinning. Forschungsberichte der Forstl. Forschungsanstalt Munchen, vol. 9, 168 pp.
Vanclay, J. K. 1994. Modelling Forest Growth and Yield. Applications to Mixed Tropical Forests. CAB International, Wallingford UK.
150
Verheyen, K., Bossuyt, B., Hermy, M., Tack, G., 1999. The land use history (1278–1990) of a mixed hardwood forest in central Belgium and its relationship with chemical soil characteristics. J. Biogeogr. 26, 1115–1128.
Wilson, B.R., Moffat, A.J., Nortcliff, S., 1997. The nature of three ancient woodland soils in southern England. J. Biogeogr. 24, 633–646.
Wilson, F.G. 1951. Control of stocking in even-aged stands of conifers. J. For.49:692–695.
Wroblewski, L., 1993. Attributes of diameter distributions in Kraft biosocial classes in Scots pine stands. Ann. Warsaw Agric. Univ. – SGGW, For. Wood Technol. 44, 7–12.
Wykoff, W.R., Crookston, N.L., Stage, A.R., 1982. User’s guide to the stand prognosis model. USDA For. Serv. Gen. Technol. Re. INT-133.
Zanetti M., 1985. Boschi e alberi della pianura veneta orientale. Portogruaro (VE) Nuova Dimensione s.r.l.
Zangheri P., 1976. Flora Italica. CEDAM Padova
Zasada M., Cieszewski C.J., 2005. A finite mixture distribution approach for characterizing tree diameter distributions by natural social class in pure even-aged Scots pine stands in Poland. Forest Ecology and Management 204 (2005) 145–158)
Zinato T. 2004. Le specie erbacee nemorali nelle reti ecologiche della pianura veneta (tesi di laurea in Scienze Forestali ed Ambientali) Padova.
151
Allegato 1 Principali caratteri climatici Dati 1960-1990 Dati 1991-2006 Riferimenti (periodo, stazione)
Stazione T° media annua
T° media max
T° media min
P media annua (mm)
N° gg P P max (mm)
P min (mm)
T° media annua
T° media max
T° media min
P media annua (mm)
n° gg P P max (mm)
P min (mm)
T° (Annali Idr.)
P (Annali Idr.)
P (ARPAV)
T° (ARPAV)
Carpenedo 13.1 14.4 11.3 877 84.5 1174 539 13.2 13.9 12.7 794 74.3 1154 518 1961-1990 Mestre
1961-1990 Mestre
1992-2006 Treporti
1992-2006 Treporti
Foresto Superiore
11.7 12.9 8.8 725 77.1 897 471 13.6 12.9 8.8 678 77.1 897 471 1964-1990 Legnaro
1961-1990 Conetta
1998-2006 Rovigo
1998-2006 Rovigo
Gesia 11.7 12.9 8.8 725 77.1 897 471 13.6 12.9 8.8 678 77.1 897 471 1964-1990 Legnaro
1961-1990 Conetta
1998-2006 Rovigo
1998-2006 Rovigo
Novoledo 12.8 13.8 12.1 1260 90.1 1642 582 13.4 15.4 12.6 1147 88 1791 804 1961-1990 Vicenza
1961-1990 Isola vicentina
1992-2006 Malo
1992-2006 Malo
Osellino 12.9 14.4 11.3 877 84.5 1174 539 13.2 13.9 12.7 794 74.3 1154 518 1961-1990 Mestre
1961-1990 Mestre
1992-2006 Treporti
1992-2006 Treporti
Ottolenghi 12.9 14.4 11.3 877 84.5 1174 539 13.2 13.9 12.7 794 74.3 1154 518 1961-1990 Mestre
1961-1990 Mestre
1992-2006 Treporti
1992-2006 Treporti
Parauro 12.9 14.4 11.3 851 81.3 1080 651 13.2 13.9 12.7 794 74.3 1154 518 1961-1990 Mestre
1961-1990 Gambarare
1992-2006 Treporti
1992-2006 Treporti
S. Marco 13.2 14.3 11.5 988 87.5 1390 705 12.9 13.7 12.1 812.2 78 1165 613 1961-1990 Portogruaro
1961-1990 Concordia Sagittaria
1992-2006 Eraclea
1992-2006 Eraclea
Bandiziol e Prassaccon 13.2 14.3 11.5 1062 92.2 1517 707 12.9 13.7 12.1 812.2 78 1165 613 1961-1990
Portogruaro1961-1990 Portogruaro
1992-2006 Eraclea
1992-2006 Eraclea
Tartaro 12.9 14.5 11.9 728 80.1 961 506 13.5 14.6 12.2 804 76 1129 520 1961-1990 Cologna Veneta
1961-1990 Cologna Veneta
1991-2006 Lonigo
1991-2006 Lonigo
Basalghelle 13.0 14 12.4 1004 81.5 1511 736 13.1 13.7 12.3 943 83 1196 686 1961-1990 Treviso
1941-1996 Oderzo
1992-2006 Breda di Piave
1992-2006 Breda di Piave
Olmè 13.2 14.3 11.5 988 87.5 1390 705 12.9 13.7 12.1 812.2 78 1165 613 1961-1990 Portogruaro
1961-1990 Concordia Sagittaria
1992-2006 Eraclea
1992-2006 Eraclea
152
Allegato 2 Descrizione dei suoli BA2.1 (Carpenedo, Osellino, Parauro) Pianura modale del Brenta e dell’Astico, di origine fluvioglaciale, pianeggiante (0.1-0.2% di pendenza). Materiale parentale: limi fortemente calcarei. Quote: 0-40 m. Uso del suolo: seminativi (mais, soia). Regime idrico: udico. Suoli a profilo Ap-Bw-Bk-Ckg, profondi, tessitura media, reazione alcalina, scarsamente calcarei, estremamente calcarei in profondità, drenaggio mediocre, con accumulo di carbonati in profondità, falda profonda. WRB (1998): Gleyic Calcisols; USDA (1998): Oxyacquic Eutrudept fine-silty, mixed, mesic. BR6.3 (Foresto e Gesia) Aree palustri nella pianura alluvionale di Po e Adige, ad accumulo di sostanza organica in superficie, a deposizioni fini, con pochi canali, pianeggianti (<0.2% di pendenza). Materiale parentale: argille e limi, molto calcarei. Quote: da –2 a +2 m. Uso del suolo: seminativi (mais, soia). Regime idrico: acquico Suoli a profilo Ap-Bg-Oa-Cg, moderatamente profondi, a contenuto di sostanza organica moderatamente alto in superficie, tessitura moderatamente fine, reazione subalcalina, non salini, molto salini in profondità, scarsamente calcarei, con orizzonti organici in profondità, acidi, drenaggio lento, falda moderatamente profonda. WRB (1998): Gleyi-Fluvic Cambisols (Mollic); USDA (1998): Cumulic Humaquept fine-silty, mixed, non acid, mesic. AR2.4 (Novoledo) Depressioni di interconoide con depositi fini derivanti da rocce di origine vulcanica (basalti), non o scarsamente calcarei, pogginati su depositi ghiaiosi dei fiumi alpini, dolcemente inclinate (0.5-2% di pendenza). Materiale parentale: limi e argille, non o scarsamente calcarei. Quote: 45-160 m. Uso del suolo: seminativi (mais), e prati. Regime idrico: udico. Suoli a profilo Ap-Bw-C, molto profondi, tessitura moderatamente fine, reazione alcalina, moderatamente calcarei, drenaggio buono, discreta tendenza a fessurare durante la stagione estiva. WRB (1998): Fluvi-Vertic Cambisols (Hiperneutri); USDA (1998): Vertic Eutrudept fine-loamy, mixed, mesic. BA3.1 (Ottolenghi) Aree depresse nella painura alluvionale del Brenta e dall’Astico, pianeggianti (0.1-0.2% di pendenza). Materiale parentale: limi e argille, fortemente calcarei. Quote: 0-10 m. Uso del suolo: seminativi (mais, soia). Regime idrico: udico. Suoli a profilo Ap-Bw-BCkg-Ckg, moderatamente profondi, tessitura moderatamente fine, reazione alcalina, moderatamente calcarei, fortemente calcarei nel substrato, drenaggio lento, con accumulo di carbonati in profondità, falda profonda. WRB (1998): Gleyic Calcisols; USDA (1998); Acquic Eutrudept fine, mixed, mesic. BA3.3 (San Marco) Aree depresse nella pianura alluvionale del Piave, pianeggianti (<0.2 di pendenza). Materiale parentale: limi e argille, estremamente calcarei. Quote: da -1 a +17 m. Uso del suolo: vigneti e seminativi (mais, soia). Regime idrico: udico. Suoli a profilo Ap-Bw-Bk-Cg, moderatamente profondi, tessitura da moderatamente fine a fine, reazione alcalina, molto calcarei, estremamente calcarei in profondità, drenaggio lento, con accumulo di carbonati in profondità e driscreta tendenza a fessurare durante la stagione estiva, falda molto profonda. WRB (1998): Gleyi-Vertic Calcisols; USDA (1998): Vertic Eutrudept fine, mixed, mesic. BR3.4 (Bandiziol e Prassaccon) Piana di divagazione a meandri del Piave, pianeggiante (<0.2% di pendenza). Materiale parentale: limi e sabbie fortemente calcarei. Quote: 1-18 m. Uso del suolo: seminativi (mais, soia) e vigneti. Regime idrico: udico. Suoli a profilo Ap-Bk-Cg, profondi, tessitura media, reazione alcalina, fortemente calcarei, drenaggio mediocre, con concrezioni di carbonato di calcio in profondità, falda profonda. WRB
153
(1998): Hypercalcic Cambisols; USDA (1998): Oxyacquic Eutrudept coarse-silty, carbonatic, mesic. BA2.4 (Prassaccon-parte) Pianura modale del Tagliamento con incisioni fluviali, pianeggiante (<0.2% di pendenza). Materiale parentale: limi e argille, estremamente calcarei. Quote: 0-12 m. Uso del suolo: seminativi (soia, mais) e vigneto. Regime idrico: udico. Suoli a profilo Ap-Bk-Ckg, profondi, tessitura media, reazione subalcalina, molto calcarei, fortemente calcarei in profondità, drenaggio mediocre, con accumulo di carbonati in profondità, falda profonda. WRB (1998): Gleyic Calcisols; USDA (1998); Oxyacquic Eutrudept fine-silty, mixed, mesic. BR6.1 (Tartaro) Aree palustri nella pianura alluvionale di Po e Adige, ad accumulo di sostanza organica in superficie, a deposizioni fini, con pochi canali, pianeggianti (<0.2% di pendenza). Materiale parentale: argille e limi, molto calcarei. Quote: 1-14 m. uso del suolo: seminativi (mais, soia, frumento). Regime idrico: acquico. Suoli a profilo Ap-Bg-Ab-Cg, moderatamente profondi, a contenuto di sostanza organica molto alto, tessitura fine, reazione alcalina, scrasamente calcarei, drenaggio lento, falda profonda. WRB (1998): Gleyi-Fluvic Cambisols (Mollic); USDA (1998): Fluventic Eutrudept fine-loamy, carbonatic, mesic. BR6.2 (Tartaro parte) Aree palustri bonificate nella pianura alluvionale di Po e Adige, ad accumulo di sostanza organica in superficie, a deposizioni grossolane, con numerosi canali, pianeggianti (<0.2% di pendenza). Materiale parentale: limi, sabbie nei canali di rotta, molto calcarei. Quote: da –1 a +10 m. Uso del suolo: seminativi (mais, soia). Regime idrico: acquico Suoli a profilo Ap-Bg-Cg, moderatamente profondi, a moderato contenuto di sostanza organica in superficie, tessitura media, reazione alcalina, molto calcarei, drenaggio lento, falda profonda. WRB (1998): Gleyi-Fluvic Cambisols (Mollic, Calcaric); USDA (1998): Cumulic Endoaquol coarse-silty, mixed, calcareous, mesic. BA3.2 (Basalghelle) Aree depresse nella pianura alluvionale del Piave, pianeggianti (<0.2 di pendenza). Materiale parentale: limi e argille, estremamente calcarei. Quote: 4-43 m. Uso del suolo: vigneti e seminativi (mais, soia). Regime idrico: udico. Suoli a profilo Ap-Bw-Ck-Ckg, profondi, tessitura da moderatamente fine a fine, reazione alcalina, moderatamente calcarei, estremamente calcarei in profondità, drenaggio mediocre, con accumulo di carbonati in profondità e driscreta tendenza a fessurare durante la stagione estiva. WRB (1998): Hypercalcic-Vertic Calcisols; USDA (1998): Vertic Eutrudept fine, mixed, mesic. BR2.5 (Olmè) Dossi fluviali del Piave, Sile e Livenza, pianeggianti (<0.2% di pendenza). Materiale parentale: sabbie e limi, estremamente calcarei. Quote: 0-20 m. uso del suolo: seminativi (mais, soia) e vigneti. Regime idrico: udico. Suoli a profilo Ap-Bw-Cg, profondi, tessitura media, reazione alcalina, estremamente calcarei, drenaggio mediocre, falda profonda. WRB (1998): Hypercalcari-Fluvic Cambisols; USDA (1998): Oxyacquic Eutrudept fine-silty, carbonatic, mesic.
154
Allegato 3 Riepilogo dati per stazione ed età stazione eta n. densita_ini densita_att dbh_arb n_poll_arb h_arb d_ch_arb h_ins_arb dbh_abs n_poll_abs h_abs d_ch_abs h_ins_abs
Carpenedo 7 4 1244 1138 3.5 n.d. 4.7 2.2 0.1 2.2 n.d. 3.2 2.4 0.1
Carpenedo 8 11 1541 1347 4.1 1.7 4.3 2.5 0.0 2.1 5.7 2.8 2.1 0.0
Carpenedo 9 9 1771 1564 3.9 1.8 4.0 2.6 0.0 1.9 3.8 2.7 1.5 0.0
Carpenedo 16 5 1079 1028 8.2 1.6 7.5 3.1 1.1 4.4 3.6 5.2 2.4 0.1
Carpenedo 17 8 1090 1049 8.9 1.6 7.9 3.5 1.1 3.6 4.4 5.0 2.5 0.1
Foresto 15 8 1669 1669 12.5 2.8 7.7 n.d. n.d. 9.2 6.7 6.3 n.d. n.d.
Gesia 15 5 1670 1670 13.6 1.8 8.1 n.d. n.d. n.d. 3.8 n.d. n.d. n.d.
Novoledo 10 13 4000 3326 7.6 2.1 7.5 n.d. n.d. 4.4 2.1 5.5 n.d. n.d.
Novoledo 18 2 2217 1733 14.2 1.0 14.2 5.9 5.0 5.9 1.0 7.2 5.1 1.0
Osellino 9 20 1359 1280 6.8 1.6 5.9 n.d. n.d. 3.0 6.2 3.6 n.d. n.d.
Osellino 11 9 1483 1278 9.9 n.d. 9.0 4.4 2.5 3.5 n.d. 4.5 3.7 0.2
Ottolenghi 7 3 1311 922 3.0 1.4 4.2 2.7 0.0 2.2 4.3 2.5 1.9 0.0
Ottolenghi 8 9 1378 1012 4.0 1.3 4.6 2.9 0.0 1.8 3.8 2.6 1.5 0.0
Ottolenghi 9 14 1480 1328 5.2 1.7 4.9 3.1 0.1 2.9 4.4 2.8 2.2 0.0
Ottolenghi 10 21 1288 1134 5.4 1.8 5.0 2.9 0.1 2.1 5.2 3.0 2.1 0.0
Parauro 12 12 1906 1559 8.4 1.0 9.4 4.4 0.9 2.4 1.0 4.5 2.9 0.2
San Marco 9 6 1932 1729 6.6 1.6 5.6 3.5 0.2 2.7 3.9 3.7 2.6 0.0
San Marco 11 8 1724 1703 7.0 1.3 6.5 3.6 0.5 3.0 4.3 3.9 2.9 0.1
Bandiziol e Prassaccon 7 6 1705 1571 2.2 1.5 2.9 1.8 0.0 1.0 4.2 1.8 1.2 0.0
Bandiziol e Prassaccon 8 8 1696 1621 3.6 1.4 3.9 2.6 0.1 1.5 4.4 2.4 1.9 0.2
Bandiziol e Prassaccon 9 4 2194 2015 6.0 1.7 5.8 3.3 0.2 2.2 3.8 3.2 1.8 0.0
Bandiziol e Prassaccon 10 6 1495 1395 5.8 1.4 5.5 3.6 0.3 2.3 3.8 3.3 2.8 0.0
Bandiziol e Prassaccon 11 2 1600 1417 6.1 1.3 5.9 4.5 0.4 2.5 5.4 3.8 3.1 0.0
Legenda: n.= numero aree campione, densita_ini= densità iniziale impianto, densita_att= densità soggetti vivi al momento del rilievo, dbh_arb=diametro medio strato arboreo (cm), n_poll_arb=numero medio di polloni per soggetto arboreo, h_arb=altezza dendrometrica media strato arboreo (m), d_ch_arb=diametro medio della chioma dello strato arboreo (m), h_ins_arb=altezza media di inserzione dal terreno del primo ramo vivo dello strato arboreo (m), dbh_abs=diametro medio dello strato arbustivo (cm), n_poll_abs=numero medio di polloni per soggetto arbustivo, h_abs=altezza dendrometrica media dello strato arbustivo (cm), d_ch_abs=diametro medio della chioma dello strato arbustivo (m), h_ins_abs=altezza media di inserzione da terra del primo ramo vivo dello strato arbustivo (m).
155
Allegato 3 Riepilogo dati per stazione Carpenedo Foresto Gesia Novoledo Osellino
MAX MEAN MIN N STD MAX MEAN MIN N STD MAX MEAN MIN N STD MAX MEAN MIN N STD MAX MEAN MIN N STD
n 1891 1891 1891 1891 1891 534 534 534 534 534 334 334 334 334 334 1433 1433 1433 1433 1433 1297 1297 1297 1297 1297
dbh (cm) 24 5 1 1477 4 34 12 2 247 6 38 14 3 158 7 30 7 2 1017 4 51 7 1 1166 6
n. polloni 20 2 0 1360 2 21 6 1 396 4 16 3 1 334 2 3 1 1 155 1 35 3 1 812 3
h (m) 14.0 5.0 0.5 1639 2.7 12.4 7.6 1.3 247 3.0 12.4 8.1 1.5 158 3.1 20.0 7.4 2.0 1017 2.8 24.0 6.2 1.0 1169 3.6
dch (m) 8.0 2.6 0.0 1639 1.5 n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. 12.0 5.5 2.0 104 1.8 10.0 4.3 0.5 357 1.9
hins (m) 6.0 0.3 0.0 1588 0.9 n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. 12.0 3.3 0.0 104 3.2 8.0 1.8 0.0 342 1.9
interd (m) 7.0 2.0 0.5 1891 0.8 1.5 1.5 1.0 534 0.0 1.5 1.5 1.5 334 0.0 2.6 1.0 0.2 1433 0.2 4.1 2.2 1.5 1297 0.3
sup. disp. (m2) 41.3 8.4 3.0 1586 3.56 6.0 6.0 6.0 534 0.0 6.0 6.0 6.0 334 0.0 15.0 6.0 2.4 1097 1.8 16.8 7.8 5.4 1122 1.7
ind. hegyi 44.0 5.7 0.2 1210 5.9 20.3 3.3 0.4 108 3.2 18.2 4.3 0.2 70 3.5 43.3 8.3 0.2 871 7.7 102.9 7.5 0.1 1030 9.9
età (anni) 17 11 7 1891 4 15 15 15 534 0 15 15 15 334 0 18 11 10 1433 2 11 10 9 1297 1
sn 400 135 44 1477 63 72 64 36 247 10 72 62 33 158 10 300 113 65 1017 25 400 113 37 1166 48
Allegato 3 Riepilogo dati per stazione Ottolenghi Parauro San Marco Bandiziol e Prassaccon Tartaro
MAX MEAN MIN N STD MAX MEAN MIN N STD MAX MEAN MIN N STD MAX MEAN MIN N STD MAX MEAN MIN N STD
n 2026 2026 2026 2026 2026 709 709 709 709 709 782 782 782 782 782 1475 1475 1475 1475 1475 334 334 334 334 334
dbh (cm) 28 5 1 1491 3 34 7 1 578 6 24 6 1 734 4 17 4 1 1296 3 46 14 2 159 8
n. polloni 21 2 0 1632 2 1 1 1 428 0 15 2 0 735 2 20 2 0 1371 2 n.d. n.d. n.d. n.d. n.d.
h (m) 14.0 4.5 0.0 1716 2.1 20.0 8.1 1.0 580 3.8 15.0 5.7 1.0 735 2.1 12.0 4.0 0.0 1370 1.9 20.0 7.6 1.0 174 4.2
dch (m) 8.0 2.8 0.0 1711 1.5 12.0 4.1 0.5 580 1.8 8.0 3.4 0.2 735 1.4 7.0 2.6 0.0 1371 1.4 10.0 5.2 1.0 129 2.3
hins (m) 4.0 0.1 0.0 1702 0.2 8.0 0.6 0.0 570 1.2 5.0 0.3 0.0 723 0.6 10.0 0.1 0.0 1358 0.4 7.0 2.1 0.0 126 1.7
interd (m) 4.0 2.3 0.1 2026 0.7 2.4 1.7 1.2 709 0.6 4.0 1.8 0.5 782 0.4 6.0 1.8 0.0 1475 0.8 1.2 1.2 1.2 334 0.0
sup. disp. (m2) 33.6 8.7 4.0 1699 3.8 18.6 6.4 3.7 570 2.5 10.5 5.9 2.2 723 1.1 17.5 6.4 2.3 1279 2.3 12.6 5.3 2.4 165 2.4
ind. hegyi 72.0 7.7 0.2 1129 8.4 67.2 8.1 0.2 494 9.6 75.0 8.2 0.1 653 9.9 100.0 7.1 0.1 1130 8.5 26.8 4.2 0.3 90 4.8
età (anni) 10 9 7 2026 1 12 12 12 709 0 11 10 9 782 1 11 9 7 1475 1 14 14 14 334 0
sn 450 134 30 1491 64 500 158 44 578 71 360 116 44 734 56 460 149 46 1295 74 160 66 17 155 21
156
Allegato 3 Riepilogo dati medi per specie arborea
specie Quercus robur Carpinus betulus Acer campestre Fraxinus oxycarpa Fraxinus ornus
% 22% 12% 8% 6% 3%
n. 2352 1267 823 669 304
MAX MEAN MIN N STD MAX MEAN MIN N STD MAX MEAN MIN N STD MAX MEAN MIN N STD MAX MEAN MIN N STD
dbh (cm) 33 7 1 2297 5.1 21 5 1 1227 2.8 23 4 1 795 2.8 38 9 1 653 5.5 12 3 1 271 2.2
n. polloni 11 1 0 1767 0.7 10 2 0 939 1.0 6 2 1 660 1.1 4 1 1 553 0.6 6 2 1 259 1.2
h (m) 20.0 6.4 0.5 2335 3.2 16.0 5.3 0.5 1243 2.1 15.0 4.8 1.0 812 2.0 15.0 7.2 2.0 654 2.5 12.0 3.8 0.5 304 2.0
dch (m) 12.0 3.4 0.0 1643 1.7 7.0 3.1 0.2 913 1.5 6.0 2.9 0.0 670 1.4 8.0 3.6 0.0 524 1.4 5.0 1.5 0.0 290 0.9
hins (m) 12.0 0.8 0.0 1643 1.6 10.0 0.1 0.0 913 0.6 8.0 0.1 0.0 670 0.5 6.0 0.7 0.0 524 1.1 5.0 0.3 0.0 290 0.7
interd (m) 5.0 2.0 0.0 2352 0.8 4.5 1.9 0.0 1267 0.7 4.0 2.0 0.0 823 0.7 6.0 2.1 0.0 669 0.8 4.0 2.1 0.0 304 0.7
sup. disp. (m2) 24.0 7.6 0.0 2296 2.8 41.3 7.7 0.0 1242 3.2 33.6 7.7 0.0 811 3.1 26.4 8.1 0.0 648 3.3 16.8 8.4 0.0 298 2.8
ind. hegyi 87.6 5.7 0.1 1889 6.6 57.0 6.9 0.2 1012 6.3 69.3 7.7 0.2 616 7.6 51.0 3.8 0.1 503 4.2 67.2 9.8 0.5 228 9.7
età (anni) 18 10 7 2352 3 18 10 7 1267 3 18 11 7 823 3 17 11 7 669 3 17 11 7 304 4
Sn 400.0 112.3 36.8 2297 45.7 400.0 130.7 43.8 1227 58.5 400.0 132.9 41.7 795 55.7 400.0 96.9 32.6 653 38.2 400.0 143.0 45.5 271 59.9
Allegato 3 Riepilogo dati medi per specie arborea
specie Alnus glutinosa Tilia cordata Ulmus campestris Altre
% 2% 2% 1% 8%
n. 260 179 146 858
MAX MEAN MIN N STD MAX MEAN MIN N STD MAX MEAN MIN N STD MAX MEAN MIN N STD
dbh (cm) 21 9 1 257 4.3 19 6 1 170 4.5 32 9 1 146 4.8 51 9 1 840 7.6
n. polloni 5 2 1 163 1.2 7 2 1 144 1.4 2 1 1 139 0.4 12 2 1 670 1.5
h (m) 16.0 7.6 1.0 260 2.8 12.0 5.2 0.5 178 2.9 17.0 7.6 2.3 145 3.3 24.0 7.8 1.0 851 4.2
dch (m) 8.0 3.0 0.2 77 1.9 6.0 2.4 0.1 115 1.5 10.0 4.4 1.0 144 1.7 12.0 3.9 0.4 715 2.0
hins (m) 8.0 1.6 0.0 77 2.0 6.0 0.1 0.0 115 0.6 6.0 0.5 0.0 144 0.9 10.0 0.7 0.0 715 1.4
interd (m) 5.0 1.7 1.0 260 0.7 3.0 1.9 1.0 179 0.6 4.5 2.0 0.0 146 0.8 4.0 1.9 0.5 855 0.6
sup. disp. (m2) 19.2 6.7 2.4 255 2.2 14.4 6.7 0.0 179 2.1 31.4 8.2 0.0 143 4.8 24.0 7.3 2.3 840 2.9
ind. hegyi 47.8 5.5 0.4 159 7.5 47.6 10.1 0.5 117 9.0 14.3 2.6 0.1 114 2.3 58.4 4.3 0.1 693 5.7
età (anni) 17 12 7 260 3 15 12 7 179 3 17 10 7 146 2 18 10 7 858 1.8
sn 350.0 95.3 40.0 257 43.6 400.0 120.0 45.0 170 70.7 280.0 93.1 46.4 145 39.0 400.0 105.7 22.2 840 46.9
157
Allegato 3 Riepilogo dati medi per specie arbustiva specie Crataegus monogyna Corylus avellana Prunus spinosa Frangula alnus
% 5% 3% 3% 3%
n. 532 305 299 281
MAX MEAN MIN N STD MAX MEAN MIN N STD MAX MEAN MIN N STD MAX MEAN MIN N STD
dbh (cm) 18 5 1 474 2.4 7 2 1 138 1.3 12 3 1 175 1.9 7 3 1 219 1.3
n. polloni 6 2 1 296 1.2 35 10 1 266 4.5 20 3 1 252 2.2 10 3 1 184 2.1
h (m) 14.0 5.3 1.2 479 1.9 10.0 3.6 0.5 163 1.7 8.0 3.6 1.0 196 1.4 7.0 4.1 1.0 231 1.1
dch (m) 8.0 3.5 0.5 234 1.4 7.0 2.6 0.5 147 1.6 6.0 2.9 0.4 168 1.4 4.0 1.9 0.2 171 0.9
hins (m) 20.0 0.3 0.0 234 1.4 0.0 0.0 0.0 147 0.0 2.0 0.0 0.0 168 0.2 3.0 0.2 0.0 171 0.5
interd (m) 6.0 1.4 0.2 526 0.6 7.0 1.5 1.0 302 0.5 5.0 1.6 1.0 298 0.5 4.0 1.5 1.0 281 0.6
sup. disp. (m2) 19.5 6.0 2.9 510 1.8 20.0 5.8 2.9 291 1.9 19.2 6.3 2.2 296 2.3 19.2 6.5 2.9 277 2.7
ind. hegyi 75.6 8.8 0.4 414 7.9 65.0 9.7 0.8 119 9.8 67.0 10.2 0.6 144 10.2 65.1 11.4 0.3 195 10.4
età (anni) 18 11 7 532 3 15 12 7 305 3 17 11 7 299 3 17 11 7 281 3
sn 400.0 125.1 16.7 474 43.5 460.0 217.7 50.0 138 84.3 400.0 146.7 50.0 174 68.4 500.0 176.5 40.0 217 75.8
Allegato 3 Riepilogo dati medi per specie arbustiva
specie Viburnum opulus Cornus sanguinea Altre
% 2% 2% 7%
n. 260 216 737
MAX MEAN MIN N STD MAX MEAN MIN N STD MAX MEAN MIN N STD
dbh (cm) 7 2 1 133 1.2 8 2 1 75 1.2 24 2 1 447 2.1
n. polloni 18 6 1 163 3.5 30 6 1 177 4.5 21 4 1 584 3.9
h (m) 6.0 3.0 1.0 158 1.1 7.0 3.1 1.0 111 1.2 11 2.7 0.5 674 1.4
dch (m) 6.0 2.5 0.5 123 1.2 8.0 2.9 0.3 85 1.4 10 1.9 0.1 594 1.4
hins (m) 1.0 0.0 0.0 123 0.1 2.0 0.0 0.0 85 0.2 2 0.0 0 594 0.1
interd (m) 2.3 1.4 1.0 258 0.4 4.0 1.6 1.0 215 0.5 4 1.5 1 729 0.5
sup. disp. (m2) 10.8 5.7 3 252 1.5 16.8 6.1 2.4 212 1.9 24.8 5.9 2.4 712 2.7
ind. hegyi 102.9 12.5 0.9 117 12.5 54.0 13.2 1.7 70 9.8 100 15.5 0.48 391 14.7
età (anni) 15 11 7 260 3 17 12 7 216 3 17 9.5 7 737 2
sn 400.0 176.7 42.9 133 71.0 400.0 209.4 50.0 75 92.4 500 192.1 36.84 446 86.1
158
Allegato 4 Distribuzione diametrica delle altre specie arboree per posizione sociale
0
5
10
15
20
25
30
35
40
45
50
2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22
dbh (cm)
N h
a-1
totale
dominante
codominante
dominato
Distribuzione diametrica acero campestre per posizione sociale
0
5
10
15
20
25
2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30 32 34
dbh (cm)
N h
a-1
totale
dominante
codominante
Distribuzione diametrica frassino ossifillo per posizione sociale
0
1
2
3
4
5
6
7
8
2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22
dbh (cm)
N h
a-1
totale
dominante
dominato
Distribuzione diametrica ontano nero per posizione sociale
159
0
1
2
3
4
5
2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30 32
dbh (cm)
N h
a-1
dominante
Distribuzione diametrica olmo campestre in posizione sociale dominante
0
2
4
6
8
10
12
14
16
18
20
2 4 6 8 10 12 14 16 18 20
dbh (cm)
N h
a-1 tco
for
Distribuzione diametrica tiglio selvatico (tco) e orniello (for) in posizione sociale dominata
160
Allegato 5 Curve ipsometriche altre specie arboree
0
2
4
6
8
10
12
14
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23
dbh (cm)
h (m
) dominante
codominante
dominato
Curva ipsometrica acero campestre per posizione sociale
0
0.1
0.2
0.3
0.4
0.5
0.6
0.7
0.8
0.9
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23
dbh (cm)
Ih (
m) dominante
codominante
dominato
Curva incremento corrente in altezza acero campestre per posizione sociale
161
0
2
4
6
8
10
12
14
1 3 5 7 9 11 13 15 17 19 21 23 25 27 29 31 33 35 37
dbh (cm)
h (m
) dominante
codominante
Curva ipsometrica frassino ossifillo per posizione sociale
0
0.2
0.4
0.6
0.8
1
1.2
1 3 5 7 9 11 13 15 17 19 21 23 25 27 29 31 33 35 37
dbh (cm)
Ih (
m) codominante
dominante
Curva incremento corrente in altezza frassino ossifillo per posizione sociale
162
0
2
4
6
8
10
12
14
16
1 3 5 7 9 11 13 15 17 19 21 23 25 27 29 31
dbh (cm)
h (m
)
dominante
Curva ipsometrica olmo campestre in posizione sociale dominante
0
0.1
0.2
0.3
0.4
0.5
0.6
0.7
0.8
0.9
1 3 5 7 9 11 13 15 17 19 21 23 25 27 29 31
dbh (cm)
Ih (
m)
dominante
Curva incremento corrente in altezza olmo campestre in posizione sociale dominante
163
0
2
4
6
8
10
12
14
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21
dbh (cm)
h (m
) dominante
dominato
Curva ipsometrica ontano nero per posizione sociale
0
0.1
0.2
0.3
0.4
0.5
0.6
0.7
2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21
dbh (cm)
Ih (
m) dominante
dominato
Curva incremento corrente in altezza ontano nero per posizione sociale
164
0
1
2
3
4
5
6
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
dbh (cm)
h (m
) for
tco
Curva ipsometrica orniello (for) e tiglio selvatico (tco) in posizione sociale dominata
0
0.2
0.4
0.6
0.8
1
1.2
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
dbh (cm)
Ih (
m) for
tco
Curva incremento corrente in altezza orniello (for) e tiglio selvatico (tco) in posizione sociale dominata
165
Allegato 6 Relazione diametro fusto-diametro chioma
0
1
2
3
4
5
6
7
1 3 5 7 9 11 13 15 17 19 21 23
dbh (cm)
dch
(m) dominante
codominante
dominato
Relazione diametro fusto-diametro chioma dell’acero campestre per posizione sociale
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
1 4 7 10 13 16 19 22 25 28 31 34 37
dbh (cm)
dch
(m)
dominante
codominante
Relazione diametro fusto-diametro chioma del frassino ossifillo per posizione sociale
166
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
1 3 5 7 9 11 13 15 17 19 21 23 25 27 29 31
dbh (cm)
dch
(m)
dominante
Relazione diametro fusto-diametro chioma dell’olmo campestre in posizione sociale dominante
0
1
2
3
4
5
6
7
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21
dbh (cm)
dch
(m)
dominante
dominato
Relazione diametro fusto-diametro chioma dell’ontano nero per posizione sociale
0
0.5
1
1.5
2
2.5
3
3.5
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
dbh (cm)
dch
(m)
for
tco
Relazione diametro fusto-diametro chioma del’orniello (for) e del tiglio selvatico (tco) in posizione sociale dominata