UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI “FEDERICO II”
FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI
Corso di Laurea in Fisica
Tesi di Laurea Triennale
La Costante di Hubble
Relatore Candidato
Prof. Paolo Scudellaro Ilena De Rubertis
matr. 567/189
ANNO ACCADEMICO 2008/2009
INTRODUZIONE
I
Fino alla fine dell’Ottocento il problema cosmologico ha riguardato solo le stelle ed i
pianeti.
Rispetto alle cosmologie antiche è cruciale, oggi, il confronto con le osservazioni ed i loro
dati. Attraverso la crescita tecnologica, questi hanno portato ad allargare l’ambito da
considerare fino agli estremi oggi noti.
Nel 1929, Hubble affermò l’esistenza di una relazione lineare tra il redshift (lo “spostamento
verso il rosso”) della luce emessa dalle galassie (allora dette ‘nebulose’) e la loro distanza,
relazione che coincide con la legge empirica qualora il redshift z sia direttamente
proporzionale alla velocità V di recessione. Il legame tra V e z è lineare solamente per
z molto più piccolo di 1, mentre per z maggiori dipende dal particolare modello di universo
in espansione scelto.
La legge empirica di Hubble è stata la prima importante conferma osservativa della
soluzione cosmologica di Friedmann delle equazioni di Einstein. L’importanza storica della
legge di Hubble sta nell’aver eliminato i modelli statici di universo (Einstein, de Sitter,
Minkowski) che erano largamente favoriti prima della scoperta dell’espansione
dell’Universo. (La conseguenza più famosa di questo pregiudizio fu, del resto, l’introduzione
da parte di Einstein di una costante cosmologica nelle sue equazioni, proprio allo scopo di
rendere statico l’universo che esse predicevano.) I modelli cosmologici moderni sono basati
sulla teoria della Relatività Generale, utilizzata per descrivere l’universo su grandi scale
Introduzione
II
tramite la metrica spazio‐temporale di Robertson‐Walker, che soddisfa alle caratteristiche di
omogeneità ed isotropia ottenute dai dati osservativi, rispettando, quindi, il Principio
Cosmologico.
Alla base di ogni considerazione sull’Universo, si trova oggi il Modello Cosmologico
Standard, che si basa sulle equazioni di campo di Einstein e sul Principio Cosmologico. Nel
Modello Cosmologico Standard, l’espansione dell’universo è descritta dalla variazione nel
tempo di un parametro, il fattore di scala, che esprime appunto il modo in cui varia la
distanza fisica tra due punti dell’Universo (e che è lo stesso per ogni coppia di galassie). Il
modo in cui tale fattore di scala dipende dal tempo è scritto nelle equazioni di Friedmann per
un Universo in espansione.
Nei diversi modelli cosmologici la costante di Hubble è costante solo in un dato istante
cosmologico. Questo valore, però, cambia nel tempo. La sua variazione nel tempo è indicata
dal parametro di Hubble al tempo t , indicato con ( )tH ; intendiamo con costante di Hubble
0H il valore attuale.
L’evoluzione di H è dovuta agli effetti della forza gravitazionale della materia (visibile e
oscura) presente nell’universo, che tende a rallentare l’espansione, e della cosiddetta energia
oscura, che invece tende ad accelerarla; la costante cosmologica è la forma particolare più
semplice di energia oscura. Misure condotte in anni recenti, a partire dal 1998, sembrano
indicare che l’espansione dell’universo stia in questo momento accelerando.
Per determinare in modo accurato la costante di Hubble è, comunque, essenziale considerare
galassie distanti in modo che i dati non siano dominati dalle velocità peculiari. Questa tesi si
propone di descrivere sommariamente, tra l’altro, alcune misure di distanza in modo da
poter ricavare un valore accurato di 0H , che sia legato ad una serie di parametri cosmologici
che descrivono il nostro universo.
La principale difficoltà nella misura della costante di Hubble è una determinazione accurata
delle distanze da galassie, in quanto essa richiede l’uso di una scala delle distanze, affetta da
errori dovuti ad inevitabili incertezze osservative. Il problema diventa più acuto per galassie
distanti, in quanto la densità proiettata delle stelle diventa maggiore.
Non esiste un metodo diretto per ottenere una stima sicura delle distanze. Ne vengono
utilizzati due basilari: la parallasse e la candela standard. Bisogna, quindi, effettuare una
calibratura senza la quale possiamo solo misurare distanze relative e non assolute. Di solito,
Introduzione
III
si usa una serie di candele standard, la più vicina delle quali calibrata con il metodo della
parallasse. Pertanto, ogni misura nella scala della distanze implica una calibratura e
introduce errori.
Studi di supernovae a redshift cosmologici hanno dimostrato che supernovae distanti sono
più deboli di quelle attese assumendo il modello di Eistein‐de Sitter, per il quale 1=Ωm e
0=ΩΛ . Nella tesi vengono discussi, del resto, diversi metodi che consentono di determinare
la costante di Hubble: metodi locali, metodi che usano lenti gravitazionali oppure l’effetto
Sunyaev‐Zel’dovich, ma soprattutto le misure delle relazioni Periodo‐Luminosità e Periodo‐
Luminosità‐Colore di Cefeidi nelle Nubi di Magellano, nonché misure attraverso la relazione
di Tully‐Fisher, oppure il Piano Fondamentale e le relazioni D ‐σ .
Ogni metodo contiene una propria percentuale di errore.
La combinazione di tutti i metodi, dando un peso maggiore al metodo delle Supernovae di
Tipo Ia, porta ad un valore 110 70 −−≈ MpckmsH .
Nella tesi, dopo una breve introduzione storica, viene introdotto il Modello Cosmologico
Standard e, poi, il problema della misura delle distanze, commentando ‐ senza alcun
tentativo di essere esaustivi ‐ come i vari metodi conducano a valori di 0H che in gran parte
sono vicini tra loro, pur conservando errori ed incertezze specifici dell’ambito in cui sono
stimati.
CAPITOLO 1
L’importanza delle distanze in cosmologia
1
1.1 Alle origini del discorso cosmologico
Tutte le culture, da sempre, si sono interrogate sull’essenza dell’uomo e sulla sua
posizione nell’Universo. Contemplando il cielo punteggiato di stelle, si sono preoccupate di
costruirne una chiave di lettura che rendesse anche conto del futuro umano, di come siano
distribuiti gli spazi destinati all’Essere e quelli destinati al Divenire. È in sostanza ciò che si è
venuto a ripresentare, in forme più o meno evolute, in tutte le costruzioni cosmologiche
sviluppate fino ai nostri giorni.
In India si è sviluppata la cosmologia vedica, contenuta nelle più antiche scritture che ci
siano note. Essa si concentra ampiamente sugli aspetti statici dell’Essere. L’Induismo, infatti,
amplia il concetto di Essere nel Brahman, entità suprema primordiale personale che include
sia l’Essere che il non‐Essere. Originariamente, del resto, è a partire dal Brahman che si
stabilisce una relazione, ancora indistinta, tra luce, azione e gravità quali agenti del reale.
Lo scopo della descrizione vedica delle articolazioni dell’Essere è proprio il confronto con lo
spazio. Successivamente, e in tutt’altra cultura, tale spazio viene ancora riservato dal libro
della Genesi all’articolazione dell’Essere. Qui, dopo la creazione del caos primordiale, è il
verbo che agisce e crea la luce, fino a fare risaltare la centralità dell’uomo sulla scena cosmica,
L’importanza delle distanze in cosmologia
2
insieme al dominio di una sequenza temporale segnata dai giorni. Tutto avviene ormai nel
tempo, è “divenire”.
Così, al tempo ciclico della cosmologia vedica si viene a contrapporre il tempo lineare della
cosmologia giudaica. Poi nel corso dello sviluppo della cultura ellenica, la storia del pensiero
cosmologico compie un primo significativo passo in avanti, essenziale a focalizzare il
processo che porta alla cosmologia moderna. Il quinto secolo avanti Cristo, in effetti, è stato
un periodo di rivoluzioni ideologiche su tutto il pianeta, con la venuta del Buddha in India,
di Confucio e Lao‐Tse in Cina, di Zarathustra in Mesopotamia. Nel mondo ellenico è stato il
secolo di Pitagora. A lui e alla sua scuola sono state accreditate molte acquisizioni di
matematica, mostrando anche come le punte più avanzate del pensiero logico e scientifico
potessero diventare strumento di elaborazione cosmologica. Ogni numero viene associato ad
una divinità, capace di agire e costruire nel mondo. Ad esempio l’Uno, emblema dell’unità
dell’essere, è assolutezza stessa dell’Essere, come Brahman, ed è destinato ad articolarsi nelle
molteplicità senza tuttavia esserne corrotto; esso viene anche visto come il fuoco primordiale.
Il Due è la madre Terra, la sostanza primordiale. Il Tre si riconduce alla divinità solare e al
suo ruolo maschile. E così via, in una progressione che costituisce e costruisce l’esistente.
Due secoli più tardi, Aristarco da Samo ha rinunciato all’Uno inconoscibile e introdotto per
primo il sistema eliocentrico.
L’importanza delle distanze in cosmologia
3
1.2 Le galassie
In sostanza, nell’avvicendarsi di essere e divenire, fino alla fine dell’Ottocento il
problema cosmologico ha riguardato solo le stelle e i pianeti. La scoperta dell’esplosione di
supernovae nelle nebulose (una supernova può raggiungere una luminosità di Θ≈ L910 ,
oltre un miliardo di volte la luminosità del Sole) e l’osservazione di un’anticorrelazione tra il
piano della via Lattea e la distribuzione di queste nebulose introducono, quindi, nuovi
ingredienti. Va riconosciuto ad Hubble il merito di aver sdoganato le galassie, riconosciute
finalmente come elementi fondanti di un Universo su cui si può finalmente speculare a
partire, questa volta, da misure ‘cosmologiche’.
Negli anni Ottanta, tra l’altro, si è discusso molto del fatto che la distribuzione della materia
cosmica potesse essere un frattale. Nessun dato, all’epoca di Hubble, poteva del resto
escluderlo. Ma, se la distribuzione fosse sul serio tale, non esisterebbe alcuna scala di
isotropia e omogeneità, e il lavoro dei relativisti per la soluzione di importanti e difficili
problemi di fisica‐matematica non avrebbe mai trovato aderenza alla realtà fisica, cosa che
invece poi si è verificata.
Si può, così, porre negli anni Venti la data di partenza della cosmologia scientifica. È in
quell’epoca che viene certificata la natura extra‐galattica delle galassie, i veri e propri mattoni
su cui comincia ad edificarsi la cosmologia. Per questa scoperta, Edwin Hubble ha ben
meritato tutti i riconoscimenti che gli furono allora tributati e che, oggi, sono testimoniati dal
nome del primo telescopio spaziale.
Rispetto alle cosmologie antiche, è diventato ormai cruciale il confronto con le osservazioni e
i loro dati. Il procedimento della cosmologia è attualmente simile in gran parte a quello di
tanti altri ambiti di indagine della fisica, giungendo forse a prospettare che è il divenire del
mondo la base concreta del suo stesso essere, così riuscendo almeno in parte a risolvere i
dubbi antichi.
1.3 La nascita della cosmologia scientifica moderna
L’importanza delle distanze in cosmologia
4
Nel 1924 ebbe luogo la 33a Riunione della American Astronomical Society. Ad essa non
partecipò Edwin P. Hubble, ma vi venne comunque letta la sua famosa comunicazione sul
risultato di un programma di osservazioni con il nuovo telescopio da 100 pollici di Mount
Wilson. Esse dimostravano che M31 nella costellazione di Andromeda era in realtà un
sistema stellare esterno alla Via Lattea e ad essa simile.
Hubble, infatti, aveva identificato in M31 delle stelle cefeidi che egli usava come indicatori di
distanza. Le cefeidi sono delle stelle variabili sulla scala dei giorni e, grazie alla fotometria
svolta in collaborazione con Humason, Hubble aveva ricavato i periodi P di quelle presenti
in Andromeda, deducendone le luminosità L . Dal confronto tra L e la luminosità apparente
l (ovvero quella rilevabile dal punto d’osservazione) di ciascuna cefeide, ossia tramite la
legge 24 dLlπ
= , è facile ricavare la distanza d . Hubble valutò, così, la distanza di M31 in 250
Kpc a fronte di un raggio della Via Lattea di 10 Kpc (il parsec, pc, è l’unità di distanza più
comunemente usata in astronomia e vale 3.26 anni‐luce circa m161009.3 ⋅ ). Nonostante la
distanza di M31 sia, in effetti, considerata oggi 3 volte maggiore, usando i dati corretti sulle
cefeidi, già le distanze fornite da Hubble collocavano definitivamente M31 al di fuori della
Via Lattea.
Questa scoperta segna, dunque, la nascita dell’astronomia extragalattica. Il suo primo dato
significativo riguarda proprio la nostra stessa galassia, la Via Lattea (Milky Way), per la quale
si misura una luminosità totale e si stima una massa mwM tra 1110 e ΘM1210 (un intervallo
non dovuto a difficoltà sperimentali, ma alla progressiva scoperta di nuove componenti
oscure). Le unità ΘL e ΘM sono la luminosità intrinseca e la massa del Sole, rispettivamente
di sec/104 33 erg⋅ e grammi33102 ⋅ .
Ma la vera astronomia extragalattica si interessa di ciò che è esterno alla Via Lattea, delle
galassie simili (o non) alla Via Lattea che si osservano in ogni direzione e a profondità
diverse. La distanza media galassia‐galassia, ggλ , è di 3 con un’incertezza sperimentale
inevitabile e la necessità di operare una scelta sulla massa minima degli oggetti cui attribuire
la qualifica di “galassia”. Si noti che la distanza di M31 dalla Via Lattea è inferiore al Mpc e
le nubi di Magellano sono ancora più vicine. Invero, le galassie tendono a presentarsi in
gruppi legati gravitazionalmente; alcuni sono semplici sistemi binari, mentre altri sono più
L’importanza delle distanze in cosmologia
5
consistenti, come il Gruppo Locale in cui si trovano la Via Lattea e M31, fino a giungere ad
ammassi di migliaia di galassie, come Abell 1689.
Per aggregazione progressiva, il gas forma le stelle, le stelle formano le galassie, le galassie
formano gruppi e ammassi. Si tratta sempre di sistemi gravitazionalmente legati, seppure in
condizioni dinamiche assai difformi. Su scale di distanza maggiori; oltre i 10 Mpc,
riscontriamo associazioni di oggetti come i superammassi e tutta una rete cosmica di
filamenti e superfici. Tra i filamenti risaltano dei grandi vuoti, di raggio fino a 30 ‐ 40 Mpc.
D’altra parte, al crescere della scala delle masse, cala sempre più il contrasto di densità tra i
sistemi aggregati e gli spazi circostanti. Si va da un contrasto di densità di 20 ordini di
grandezza per le stelle ad uno di 7 per le galassie e 2 per gli ammassi, fino ad 1/5 circa per i
superammassi. Ciò rende legittimo pensare che, su scale di masse e distanze ancora
maggiori, si approssimi l’omogeneità, in concordanza coi risultati forniti dai radiotelescopi,
ad esempio, e coi dati sul fondo cosmico a microonde (CMB, cosmic microwave background),
rilevato per la prima volta da Arnold A. Penzias & Robert W. Wilson nel 1965, che
testimoniano di una isotropia superiore a 1:105.
Ad Edwin Hubble si accredita anche la scoperta dell’espansione dell’Universo, il moto
d’insieme delle galassie che va, appunto, sotto il nome di ‘flusso di Hubble’. Fu Hubble,
infatti, a suggerire, nel 1929, che valesse la celebre “legge di Hubble”:
dHv 0= (1.1)
Fig.1: relazione velocità‐distanza tra nebulose extragalattiche.
L’importanza delle distanze in cosmologia
6
dove d è la distanza delle galassie osservate e v la loro velocità di allontanamento, fornendo
per 0H un valore di ~ 500 (km/s)/Mpc, tale dunque che la velocità di allontanamento
crescesse linearmente con la distanza di 500 km/s per ogni Mpc in più.
Anche se la legge dHv 0= si è rivelata corretta, il valore di 0H fornito da Hubble è oggi
considerato errato, nonostante dimostrasse che i dati ne avevano permesso la stima. Essa si
basava sulla misura dei redshift delle righe spettrali di una ventina di galassie, entro 5 – 6
Mpc, oltre i quali il telescopio di Mount Wilson e le tecniche spettroscopiche dell’epoca non
permettevano di andare. Poiché, però, a queste distanze i dati sono dominati dalle velocità
peculiari, in effetti il ‘flusso di Hubble’ non si può ancora veramente vedere. In ogni caso, nel
suo articolo del 1929 [1] dopo aver affermato l’esistenza di una rozza relazione lineare tra
velocità e distanza, Hubble riesce perfino a prevedere l’uso dei suoi dati numerici nelle
discussioni riguardanti la curvatura dello spazio, riferendosi così nettamente alla Relatività
Generale e al contributo che alle teorie cosmologiche relativistiche poteva venire dalle
osservazioni. In ciò attestando la consapevolezza della nascita di una metodologia scientifica
che, in seguito, è stata pienamente sviluppata e, ancor oggi, fornisce supporto alla ricerca
extragalattica.
CAPITOLO 2
Elementi di cosmologia teorica
7
2.1 La cosmologia moderna
La cosmologia descrive l’Universo come un unico sistema fisico, studiandone la
struttura a larga scala e l’evoluzione. Alla base di ogni considerazione sull’Universo oggi si
trova il Modello Cosmologico Standard, che si propone di descriverne l’evoluzione dalle sue
fasi iniziali fino al tempo attuale. Esso si basa su due elementi fondamentali: le equazioni di
campo di Einstein, che descrivono il comportamento di un qualsiasi sistema fisico sotto
l’effetto della gravità, e il cosiddetto Principio Cosmologico in base al quale l’Universo è una
singola entità dinamica e termodinamica, omogenea ovunque ed isotropa intorno ad ogni
suo punto.
L’Universo attuale, soprattutto se lo osserviamo su distanze “piccole”, è però tutt’altro che
omogeneo ed isotropo: sono ben evidenti distribuzioni di materia dense, come ad esempio le
galassie, circondate da un mezzo intergalattico molto meno denso. Così è anche per le stelle
all’interno delle galassie. Se però osserviamo porzioni molto ampie, in media la distribuzione
di materia ci appare uniformemente distribuita ovunque.
Come già detto, il primo trentennio del Novecento segna l’inizio della cosmologia moderna e
si assiste al passaggio dai modelli cosmologici mitico‐religiosi‐descrittivi a quelli fisico‐
Elementi di cosmologia teorica
8
matematici‐osservativi grazie ai lavori di Einstein, Hubble, Friedmann e molti altri. Einstein
applica per primo la Relatività Generale al problema cosmologico, mentre Hubble, come
visto precedentemente, dimostra che le galassie sono sistemi esterni alla Via Lattea ed in
recessione da noi; da parte sua, Friedmann trova una soluzione delle equazioni di Einstein
confrontabili con il principio cosmologico, ma in espansione.
In fisica, generalmente, vengono introdotti dei principi spesso basati su idee di simmetria che
riducono il numero di gradi di libertà da considerare. I primi cosmologi hanno costruito
modelli semplificati per descrivere alcuni aspetti dell’Universo. Prima della scoperta
dell’espansione dell’Universo, ad esempio, è stato proposto un modello cosmologico statico.
Nel Modello Cosmologico Standard, l’espansione dell’Universo è descritta dalla variazione
nel tempo di un parametro, il fattore di scala, che esprime appunto come varia nel tempo la
distanza fisica tra due punti dell’Universo ed è lo stesso per ogni coppia di galassie.
Risolvere la dinamica cosmologica vuol dire, in effetti, ricavare l’evoluzione temporale di
questo fattore di scala dalle equazioni di Einstein. Tali equazioni collegano la distribuzione
di energia, e quindi di massa, alle proprietà geometriche (curvatura) dello spazio‐tempo.
2.2 L’Universo statico
Lo stesso Einstein modificò le equazioni di campo con l’aggiunta di un termine
cosmologico, al fine di rendere statiche le soluzioni. Si possono studiare tali modelli
cosmologici statici utilizzando la metrica ( ) ( ) 222222 Ω−−= drdredtceds rr λν , (2.1)
dove il primo termine indica che la sfera può evolvere nel tempo, il secondo, che la sfera può
avere un raggio. Einstein ipotizzò che l’Universo fosse una sfera stazionaria, usando gli
esponenziali per evitare l’annullamento del tempo e dello spazio.
Considerando la condizione di conservazione dell’energia, si ricava
( ) 021 2 =++
drdpc
drdp νρ . (2.2)
Si suppone che non ci siano in media gradienti di pressione, per cui
( ) 02 =+drdpc νρ . (2.3)
Risolvere questa equazione significa determinare il tipo di Universo:
Elementi di cosmologia teorica
9
0=drdν
, universo di Einstein; (2.4)
( ) 02 =+ pcρ , universo di De Sitter; (2.5)
0=drdν
e ( ) 02 =+ pcρ , universo di Minkowski. (2.6)
Consideriamo, anzitutto, l’Universo di Einstein.
La (2.4) implica tcos=ν . Assumendo 0=ν , possiamo effettuare la sincronizzazione degli
orologi cosmici. Il modello ottenuto è statico ma non stabile. Si ricava dall’equazione:
⎟⎠⎞
⎜⎝⎛ −Λ= p
cG
R 42
81 π, (2.7)
( )pcc
GE 34 2
4 +=Λ≡Λ ρπ. (2.8)
Inserendo la (2.8) nella (2.7), si ottiene per il raggio caratteristico R la seguente espressione
( )pcc
GR
+= 242
41 ρπ > 0. (2.9)
La costante cosmologica ha, quindi, l’effetto di bilanciare la forza gravitazionale che, da sola,
provocherebbe il collasso dell’Universo. EΛ può essere valutata assumendo che l’Universo
sia un “gas di galassie”, in modo da poter trascurare la pressione rispetto alle altre
grandezze, quindi, in questo caso:
204
4 cc
GE ρπ=Λ , (2.10)
dove con 0ρ si è indicato il valore presente di ρ . Sostituendo i valori numerici si ottiene:
25710 −−≈Λ cmE , (2.11)
da cui in termini di lunghezze:
MpccmRE
428 101031≈⋅≈
Λ≈ . (2.12)
Consideriamo, ora, l’Universo di Minkowski. Esso si ottiene imponendo che, oltre la
condizione (2.4) e conseguentemente ( ) 1=reν , si abbia anche:
( ) 02 =+ pcρ , 02 =cρ , 0=p . (2.13)
In questo modo la (2.9) diventa:
( ) 041 242 =+= pc
cG
Rρπ
(2.14)
Elementi di cosmologia teorica
10
e ciò implica che:
∞→R . (2.15)
Si vede che:
⎟⎟⎠
⎞⎜⎜⎝
⎛−=−
2
2
1Rre λ , (2.16)
da cui:
11 2
2
→−== −
Rree λν . (2.17)
Otteniamo, quindi, un universo piatto e vuoto, del tipo di Minkowski.
Consideriamo, infine, l’Universo di De Sitter, per il quale:
02 =cρ , 0=p (2.18)
Esso risulta interessante in quanto dall’ipotesi di un universo vuoto ( 02 =cρ e 0=p ), senza
assumere la staticità, con 0=dtdν
, risulta l’espansione dell’universo. Dalla (2.17) ricaviamo:
pc −=2ρ ⇒ 02 =cρ , 0=p . (2.19)
Dalle equazioni di Einstein, si ha:
2
2
1Rree −== −λν , (2.20)
dove:
31
2
Λ=
R. (2.21)
Ne segue:
Λ=
3R . (2.22)
Anche in questo caso il raggio dell’universo va come ( ) 21−Λ . Il ruolo della costante
cosmologica è, dunque, quello di definire un raggio.
Con questi risultati è possibile riscrivere la metrica di De Sitter come:
( )2222
222 Ω+−= drdredtcds Rct
, (2.23)
e si avrà, dunque, un’espansione esponenziale con un fattore di scala che dipende dal tempo:
( )ct
eta 3Λ
= . (2.24)
Elementi di cosmologia teorica
11
(Si tratta di una soluzione diventata, poi, di fondamentale importanza per i modelli
inflazionari.)
In sintesi, i tre tipi sono:
1. universo di Einstein, EΛ≡Λ , 21−
Λ≡ EEa ; curvatura positiva;
2. universo di De Sitter, ( )⎥⎥
⎦
⎤
⎢⎢
⎣
⎡⎟⎠⎞
⎜⎝⎛ Λ=== cttapc
21
2
3exp,0,0ρ ; vuoto in espansione;
3. universo di Minkowski, 1,0,02 ==== −λνρ eepc ; piatto e vuoto.
2.3 La metrica di Robertson‐Walker (e il modello di Einstein‐de Sitter)
La Teoria della Relatività Generale viene utilizzata per descrivere l’Universo su grandi
scale costruendo una metrica spazio‐temporale che soddisfi alle caratteristiche di omogeneità
ed isotropia ottenute dai dati osservativi. Per poter scrivere le equazioni di Einstein per un
Universo in accordo con la legge di Hubble, vengono trascurati i moti locali delle galassie
rispetto al moto complessivo di espansione. Pertanto si utilizzano coordinate comobili, le
quali seguono il moto complessivo che anima la materia dell’universo, in modo tale che
l’espansione risulti non come un cambiamento della posizione relativa delle galassie, ma
come un cambiamento della parte spaziale della metrica. Consideriamo, inoltre, l’Universo
come un fluido continuo. Assegniamo ad ogni elemento del fluido le tre coordinate spaziali αx ( )3,2,1=α , dette coordinate comobili. Ogni punto dello spazio‐tempo può pertanto essere
definito dalle coordinate αx ,corrispondenti all’elemento del fluido che sta passando per il
punto. In tal modo le coordinate degli elementi fluidi non cambiano nel tempo.
L’universo appare diverso a diverse distanze dall’osservatore comovente, in quanto la
visione locale dell’Universo alle varie distanze è influenzata dal ritardo temporale della
ricezione dei fotoni che viaggiano alla velocità della luce finita. Occorre, del resto, definire un
tempo cosmico o universale, cui tutti gli osservatori possano riferirsi. Assumiamo, a tal fine,
che al tempo 0=t tutte le componenti materiali dell’Universo, le galassie, si siano
sincronizzate su un tempo che chiamiamo appunto tempo cosmico t . Successivamente le
diverse componenti materiali si sono evolute in modo indipendente, ciascuna con un tempo
proprio τ , misurato da un orologio a riposo con la materia circostante. In ciascun punto il
tempo proprio τ coincide con il tempo cosmico t , ma non con il tempo di un osservatore
Elementi di cosmologia teorica
12
lontano a causa dei ritardi nella trasmissione dei segnali. Tuttavia la sincronizzazione iniziale
permette, sulla base della legge di evoluzione cosmologica data dal modello utilizzato, di
ricavare i ritardi degli osservatori lontani e ricondurre gli eventi al tempo cosmologico.
Si può pertanto descrivere l’evoluzione dell’Universo utilizzando un sistema di riferimento
basato su coordinate comoventi con la materia rispetto alla quale gli osservatori siano a riposo e
utilizzando il tempo proprio come tempo cosmico. Le proprietà geometriche dello spazio‐
tempo vengono descritte da una metrica e la metrica spazio‐temporale più generale che
descrive un universo che rispetti il Principio Cosmologico è quella di Robertson‐Walker:
( ) ( ) ( )⎥⎦
⎤⎢⎣
⎡++
−−= 2222
2
2222 sin
1ϕϑϑ ddr
krdrtacdtds , (2.25)
dove abbiamo usato le coordinate sferiche polari ( )ϕϑ,,r quali coordinate comoventi ( r è,
per convenzione, adimensionale). L’elemento 2ds separa due punti che hanno coordinate
( )ϕϑ,,, rtx = , dove t è il tempo proprio, mentre ( )ta è una funzione che ha le dimensioni di
una lunghezza ed è chiamata fattore di scala cosmico o parametro di espansione. Il parametro di
curvatura k è una costante che può assumere valori 1, 0, o ‐1. In particolare, per un fluido
perfetto omogeneo ed isotropo con densità di energia 2cρ e pressione p , le soluzioni delle
equazioni di Einstein sono le equazioni di Friedman:
( ) 222.
831 kcaGa −=Λ+− ρπ , (2.26)
Λ+⎟⎠⎞
⎜⎝⎛ +−=
3133
34
2
..
cpG
aa ρπ , (2.27)
dove, in base alla (3.1), ( )taa = è proprio il fattore di scala dell’Universo, k è la costante di
curvatura uguale a ‐1, 0 o 1, rispettivamente per una geometria negativamente curva,
spazialmente piatta o positivamente curva, 2cρ è la densità di massa‐energia dell’Universo e
p è la pressione, mentre con i punti rappresentiamo le derivate rispetto al tempo proprio
cosmologico. Λ è la costante cosmologica, inizialmente introdotta da Einstein per rendere
statiche le soluzioni cosmologiche e considerata da lui stesso “il più grande errore della sua
vita” dopo la scoperta dell’espansione cosmologica da parte di Hubble. Negli ultimi anni,
invece, (grazie alla proposta dei modelli inflazionari e l’introduzione dell’energia oscura) la
Elementi di cosmologia teorica
13
costante cosmologica è diventata un ingrediente fondamentale per la cosmologia moderna,
poiché è un termine che fornisce un’accelerazione.
Inoltre, bisogna considerare l’equazione per la conservazione dell’energia (tensore energia‐
impulso della materia che, per un fluido perfetto, si riduce agli elementi della diagonale
principale)
( ) 03 2
.
2.
=+⎟⎟⎟
⎠
⎞
⎜⎜⎜
⎝
⎛+ pc
aac ρρ , (2.28)
e la condizione (equazione di stato) di fluido perfetto: 2cp γρ= , (2.29)
con 10 ≤≤ γ , intervallo di Zeldovic, intervallo per il quale il nostro fluido è definibile come
fluido perfetto standard.
Le equazioni (2.26), (2.27), (2.28), (2.29) rappresentano le equazioni del modello cosmologico
standard.
Analizziamo alcune soluzioni delle equazioni cosmologiche. (Assumiamo 12 =c .) Ottenere
informazioni su ⎭⎬⎫
⎩⎨⎧
00
.,,, paa ρ e, indipendentemente, su { }γ,,kΛ significa assegnare un
modello cosmologico.
Gli universi di Einstein‐de Sitter sono semplici modelli cosmologici in cui si assume che:
1. la metrica dello spazio‐tempo sia di Friedmann‐Robertson‐Walker;
2. la materia sia un fluido perfetto;
3. la costante cosmologica sia nulla ( )0=Λ ;
4. i modelli siano spazialmente piatti ( )0=k .
Risolvere le equazioni in tal caso significa trovare ( ) ⎟⎠⎞
⎜⎝⎛ Λ= γρ ,,,,,; 0
.
0 0 kaatata e
( ) ⎟⎠⎞
⎜⎝⎛ Λ= γρρρ ,,,,,; 0
.
0 0 kaatt .
Dall’equazione per la conservazione dell’energia (2.28) e moltiplicando per il volume
comobile 3a , otteniamo: ( )13
0
0
+
⎟⎠⎞
⎜⎝⎛=
γ
ρρ
aa
. (2.30)
Elementi di cosmologia teorica
14
Sostituendo nella (2.26), con 0=Λ , e 0=k , si ricava:
( )132.
0+= γaak , (2.31)
e, quindi,
( )ta
dtd cos
123
=⎥⎦
⎤⎢⎣
⎡ +γ. (2.32)
Integrando questa equazione, si ha:
( )bcta +=
+123γ
. (2.33)
Assumendo 0=b , in modo che si abbia 0=a per ,0=t si ricava infine:
( )132
00
+
⎟⎟⎠
⎞⎜⎜⎝
⎛=
γ
tt
aa
(2.34)
che diventa:
( ) ⎟⎟⎠
⎞⎜⎜⎝
⎛+∝ 13
2
)( γtta . (2.35)
Si ha, così: ( )13)( +−∝ γρ at , (2.36)
e dalla seconda equazione di Friedmann possiamo, poi, ricavare la curvatura, definendo la
densità critica:
2.
83
⎟⎟⎟
⎠
⎞
⎜⎜⎜
⎝
⎛≡
aa
Gc πρ . (2.37)
Lo spazio è chiuso ( )1=k , aperto ( )1−=k o piatto ( )0=k se il parametro di densità:
( )c
tρρ
=Ω (2.38)
è maggiore, minore od uguale ad uno.
Definendo la densità adimensionale di energia relativa alla costante cosmologica al tempo
corrente come 203H
Λ≡ΩΛ , così come quella della curvatura, 2
0
2
Hkc
k ≡Ω e della materia
ordinaria c
m ρρ
≡Ω ⎟⎟⎠
⎞⎜⎜⎝
⎛≡
GH
c πρ
83 2
0 , si può (con la prima) considerare la presenza di ‘energia
Elementi di cosmologia teorica
15
oscura’ nell’Universo. Essa, nell’espansione, diventa prima o poi dominante sugli altri
termini.
La prima equazione di Friedmann può scriversi sinteticamente come:
1=Ω+Ω+Ω Λ km . (2.39)
A seconda dei momenti nella storia evolutiva dell’Universo, uno dei tre termini viene a
dominare sugli altri due.
0=Ω k implica un Universo piatto, nel quale la densità di energia della materia insieme a
quella relativa alla costante cosmologica è uguale alla densità critica. Il fatto che una
maggiore o minore densità di materia‐energia incurvi di più o di meno lo spazio‐tempo, vuol
dire che la possibilità di avere un Universo spazialmente aperto o chiuso dipende proprio
dalla densità di materia‐energia. Se la densità è al di sopra di un certo valore critico, le forze
attrattive delle varie parti dell’Universo tenderanno a fermare la recessione delle galassie,
fino a generare un processo di contrazione cosmica contrario all’espansione. Se la densità è al
di sotto o uguale ad un certo valore critico, la forza attrattiva è insufficiente e l’espansione
continuerà per sempre. Tale valore critico della densità è stato già introdotto per definire mΩ
ed è direttamente desumibile dalla prima equazione di Friedman per 0=Λ e 0=k , al
tempo presente. Esso è dell’ordine di 322910 −− grcmh (dove sMpckmH
h 10
100−≡ ),
corrispondente a circa 3 atomi di idrogeno per un volume di mille litri di spazio.
2.4 La costante di Hubble
Consideriamo la metrica di Robertson‐Walker. Ponendo 0=dt introduciamo la
distanza propria, pd , di un punto P da un altro punto 0P necessario per definire l’origine
di un insieme di coordinate polari ϕϑ,,r , vale a dire la distanza (misurata da osservatori)
che collega P a 0P al tempo t , ottenuta ponendo 0== ϕϑ dd
( ) ( )rafkr
adrdr
p =−
= ∫0
2/1'
'
2
1, (2.40)
Elementi di cosmologia teorica
16
dove la funzione ( )rf è, rispettivamente,
( ) rrf 1sin −= (2.40a)
( ) rrf = , ( )0=k (2.40b)
( ) rrf 1sinh −= (2.40c)
La distanza propria al tempo t si può relazionare a quella del tempo presente 0t
( ) ( ) ( )tdaa
rfatd pp0
00 == , (2.41)
dove 0a rappresenta il valore di ( )ta in 0tt = . Possiamo definire, invece di una coordinata
comobile r , una coordinata comobile radiale di P , definendo una distanza comovente
( )rfadc 0≡ (2.42)
In questo caso la relazione tra coordinate comobili e coordinate proprie diventa:
pc daa
d 0= (2.43)
La distanza propria pd di una sorgente può cambiare nel tempo a causa della dipendenza
temporale del parametro di espansione a . In questo caso una sorgente in P ha una velocità
radiale, velocità propria, rispetto all’origine data da:
( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( )tdta
arftatdtddtdtv pppp
...
===≡ (2.44)
L’equazione (2.44) è la legge di Hubble e la quantità:
( ) ( )( )tatatH
.
= (2.45)
è il parametro di Hubble (in quanto non costante nel tempo). Il valore di questo parametro
valutato al tempo presente ( ) 00 HtH ≡ , è la ‘costante di Hubble’ e non è conosciuto in modo
accurato. Attualmente, si ritiene che abbia un valore intorno a: 11
0 65 −−≅ MpckmsH . (2.46)
L’equazione (2.44) si può, infatti, anche ricavare in un altro modo. Consideriamo un
triangolo definito da tre punti spaziali O, O’ e P. Assumiamo che questi punti siano
abbastanza vicini gli uni agli altri, in modo da poter trascurare effetti di curvatura
relativistici spazio‐temporali. Se l’Universo evolve in modo omogeneo ed isotropo, il
triangolo OO’P deve essere sempre simile al triangolo originale. Questo significa che la
Elementi di cosmologia teorica
17
lunghezza di tutti i lati deve essere moltiplicata per lo stesso fattore di scala 0a
a. Di
conseguenza la distanza tra due punti deve essere moltiplicata per lo stesso fattore. Abbiamo
quindi
00
laal = , (2.47)
dove 0l ed l sono le lunghezze del segmento di linea che congiunge due punti ai tempi 0t e
t , rispettivamente. Dalla (2.47) si ricava, così, la legge di Hubble (2.44).
Una proprietà della legge di Hubble, implicita nel precedente ragionamento, consiste nel
poter trattare ogni posizione spaziale come l’origine del sistema di coordinate. Riferendoci
nuovamente al triangolo OO’P, abbiamo infatti
Hrvvvpop =+= '' , (2.48)
così che:
( ) '' HrdrHv
p=−= , (2.49)
che rappresenta la legge di Hubble, espressa nel punto O’.
Dalla definizione del parametro di Hubble (2.45) e considerando la (2.35), ricaviamo
( )( )γ
γ
γ++
−
+= 13
31.
132 ta (2.50)
Pertanto la (2.45) diventa:
( )tHγ+
=13
2. (2.51)
Il parametro di Hubble ( )tH misura la velocità di espansione in ogni istante di tempo t , per
ogni modello che rispetti il Principio Cosmologico. Quindi la sua variazione nel tempo
dipende dal contenuto energetico dell’Universo.
La (2.51) consente di ricavare il valore attuale del parametro di Hubble, ossia la costante di
Hubble
( ) 00 13
2t
Hγ+
= . (2.52)
Otteniamo, quindi, il “tempo di Hubble”:
Elementi di cosmologia teorica
18
( )1
00 132 −
+= Ht
γ, (2.51)
che dipende dal tipo di fluido considerato tramite .γ
Poichè il rapporto tra .a ed a è dato dall’equazione (2.51) per la densità ρ si ottiene
l’espressione:
( )( ) 2216
1tG
tγπ
ρ+
= (2.52)
In breve, i modelli di Einstein‐de Sitter sono assegnati dalle soluzioni:
( )132
00
+
⎟⎟⎠
⎞⎜⎜⎝
⎛=
γ
tt
aa
, ( )13
0
0
+
⎟⎠⎞
⎜⎝⎛=
γ
ρρ
aa
, ( )( )
213
0
1γ+
−+= ztt
, ( )tHγ+
=13
2, ( )
100 13
2 −
+= Ht
γ,
( )( ) 2216
1tG
tγπ
ρ+
= , 231 γ+
=q . (2.53)
Distinguiamo tre principali casi caratterizzati dal valore di γ :
1. 0=γ (polvere);
2. 31
=γ (radiazione);
3. 1=γ (stiff‐matter).
Nel caso 1. l’universo è dominato da polvere con pressione nulla, vale a dire materia non
relativistica (barioni). La soluzione è data da:
32
ta ≈ , 3−≈ aρ , ( ) 23
0 1 −+= ztt , t
H32
= , 100 3
2 −= Ht , ( ) 261Gt
tπ
ρ = , 21
=q (2.53)
Nel caso 2. l’universo è dominato da materia relativistica (fotoni o neutrini). La soluzione è
data da:
21
ta ≈ , 4−≈ aρ , ( ) 20 1 −+= ztt ,
tH
21
= , 100 2
1 −= Ht , ( ) 2323Gt
tπ
ρ = , 1=q (2.54)
Nel caso 3. l’universo è dominato da un fluido rigidissimo come potrebbe essere accaduto in
epoche primordiali. La soluzione è data da:
31
ta ≈ , 6−≈ aρ , ( ) 30 1 −+= ztt ,
tH
31
= , 100 3
1 −= Ht , ( ) 2241Gt
tπ
ρ = , 2=q (2.55)
Utilizzando l’equazione (2.34) e le sue espressioni derivate ricaviamo un’espressione per il
“parametro di decelerazione” definito come:
Elementi di cosmologia teorica
19
2.
..
a
aaq −≡231
20
..γ+
=−=aH
a. (2.56)
Il fattore di scala cosmico si può espandere in una serie di potenze per tempi t vicini a 0t :
( ) ( ) ( ) ⎥⎦⎤
⎢⎣⎡ +−−−+= ...
211 2
02
00000 ttHqttHata , (2.57)
dove ( )00 tqq = . Il parametro di Hubble ha le dimensioni di un inverso di un tempo; q ,
invece, è adimensionale.
Introduciamo il redshift, una nuova variabile collegata al parametro di espansione a e
osservabile direttamente. Infatti, gli Universi statici sono contraddetti proprio dall’evidenza
osservativa del redshift delle galassie.
Definiamo il redshift di una sorgente luminosa, ad esempio di una galassia distante, nel
seguente modo:
e
ezλλλ −
= 0 , (2.58)
dove 0λ è la lunghezza d’onda di radiazione dalla sorgente osservata ad O, preso come
origine del sistema di coordinate, al tempo 0t ed emesso dalla sorgente al tempo precedente
et . La sorgente si muove con l’espansione dell’universo e si trova ad una distanza comovente
r . La lunghezza d’onda di radiazione emessa dalla sorgente è eλ . La radiazione viaggia
lungo una geodetica dalla sorgente all’osservatore in modo tale che 02 =ds e, quindi:
( ) ( )( )rf
kr
drta
cdt rt
te
=−
= ∫∫0 2
121
0
. (2.59)
( )rf non cambia in quanto r è una coordinata comobile e sia sorgente che osservatore si
muovono con l’espansione cosmologica: 0tte → , 00 tttt ee δδ +→+ . Sottolineiamo che etδ
potrebbe essere diverso da 0tδ ma, per tδ piccoli, si trova:
( ) ( )0
0
tat
tat
e
e δδ= . (2.60)
Se, in particolare, e
tν
δ 1= e
00
1ν
δ =t , avendo indicato con eν e 0ν le frequenze della luce
emessa e osservata, rispettivamente, avremo:
Elementi di cosmologia teorica
20
00aae νν = , (2.61)
o, in modo equivalente,
0
0
λλaa
e
= . (2.61)
Ricaviamo, dall’equazione (2.61):
aa
z 01 =+ . (2.62)
Mettendo il redshift, così definito nell’equazione (2.57) otteniamo
( ) ( ) ...211 2
020000 +−⎟
⎠⎞
⎜⎝⎛ ++−= ttHqttHz (2.63)
da cui:
⎥⎦
⎤⎢⎣
⎡+⎟
⎠⎞
⎜⎝⎛ +−=− ...
2111 2
00
0 zqzH
tt . (2.63)
Adesso, si può dare l’espressione di r in funzione di z . Ricordando che, per un raggio
luminoso vale la (2.62), possiamo usare le equazioni (2.62) e (2.63), ed avere
( ) ( ) ⎥⎦⎤
⎢⎣⎡ +−+−= ...
21 2
0000
ttHttacr . (2.65)
Sostituendo l’equazione (2.63) nella equazione (2.65) otteniamo infine
( ) ⎥⎦⎤
⎢⎣⎡ ++−= ...1
21 2
000
zqzHacz . (2.66)
CAPITOLO 3
Misure della costante di Hubble
21
3.1 La misura delle distanze in cosmologia
Le distanze delle nebulose extragalattiche dipendono dall’applicazione dei criteri di
luminosità assoluta a stelle i cui tipi possano essere riconosciuti. Queste includono, tra le
altre, variabili Cefeidi, novae e stelle blu. I valori numerici dipendono dal punto zero della
relazione periodo‐luminosità per le Cefeidi. Questo metodo è ristretto a poche nebulose la
cui risoluzione risulta buona considerando gli strumenti esistenti. Le luminosità apparenti
delle stelle più luminose in tali nebulose forniscono stime delle distanze di tutti i sistemi
extragalattici nei quali anche poche stelle possano essere rivelate. Le luminosità apparenti
principali delle nebulose stesse offrono stime ragionevoli delle distanze principali.
I dati nell’articolo originale di Hubble [1] indicavano una correlazione lineare tra distanze e
velocità. Sarebbero stati necessari nuovi dati su oggetti più distanti per ridurre, però, gli
effetti del moto peculiare. Le velocità radiali di 46 nebulose extragalattiche erano utilizzabili,
anche se le distanze individuali erano stimate solo per 24. Le 22 nebulose per le quali le
distanze non risultavano utilizzabili furono trattate in due modi. La distanza principale del
gruppo derivata dalle magnitudini apparenti è paragonata con la principale delle velocità
Misura della costante di Hubble
22
corrette per il moto solare, mentre le distanze furono calcolate da queste ultime, ricavando
così la magnitudine assoluta dalla magnitudine apparente.
Nel dopoguerra, con l’utilizzo dei telescopi da 4 metri, l’analisi del flusso di Hubble fu spinta
oltre i 10 Mpc, grazie al lavoro dei gruppi guidati da de Vaucouleurs e da Sandage &
Tammann. Il valore di 0H , al finire degli anni Cinquanta, era sceso sotto i 100 (km/s)/Mpc,
con Sandage & Tammann che lo portavano fino a 50‐55 (km/s)/Mpc. Questa fu la vera
scoperta del flusso di Hubble. Per parametrizzare la costante di proporzionalità della legge
di Hubble, si pone ( )MpcskmhH 1000 = , dove h è il parametro di Hubble adimensionale. I
dati più recenti danno 03.072.0 ±≈h , un valore cui si arriva convolvendo i risultati di
diverse tecniche, per esempio usando i dati sullo spettro della anisotropie della CMB (la
radiazione di fondo a 2.73 K). Ma il modo principale resta comunque l’utilizzo di dati sul
moto delle galassie più lontane, perché le velocità di allontanamento effettivamente
osservate ϑcos0 pvdHv += siano poco inquinate dal rumore dovuto alle velocità peculiari
pv di cui conta la proiezione nella direzione di vista, con ϑ l’angolo tra pv e tale direzione).
La velocità peculiare della Via Lattea, per esempio, è circa un millesimo delle velocità della
luce c, quindi ~300 km/s; si tratta di un valore abbastanza tipico e si può notare che dH 0
raggiunge un valore ~300 km /s a una distanza ( )Mpchdh 3≈ . Per 71.0≈h è Mpcdh 5≈ ,
sicché un segnale significativo sul flusso di Hubble si ha oltre i 10 Mpc, mentre non vi è
nessun segnale del genere sotto i 5 Mpc.
A conferma dell’impossibilità di confrontare l’equazione dHv 0= con i dati di Hubble, sta il
valore allora fornito per H₀: sia pure rinormalizzandolo in modo da scontare l’errore sulla
distanza delle stelle cefeidi, che Hubble e Humanson usarono come indicatori di distanza, si
ottiene ~ 170 (km/s)/Mpc. Se quel valore fosse vero, l’età del cosmo sarebbe di 6 miliardi di
anni; cosa assurda,visto che in esso vi sono sicuramente stelle più vecchie di 10 miliardi di
anni.
A distanza di ottant’anni, disponiamo oggi di campioni statisticamente ben selezionati, che
includono galassie fino a distanze anche maggiori di 1 Gigaparsec, mille volte più lontane di
quelle viste da Hubble allora. Oltre a confermare la coerenza del flusso di Hubble, l’analisi di
questi campioni permette di confermare le ipotesi su cui si basano i modelli relativistici. (In
Misura della costante di Hubble
23
primis, è confermato che, salendo di scala, ci si approssima sempre più a un regime di
isotropia e omogeneità.)
A questo proposito, va citato l’articolo di Hubble del 1931 [2], nel quale sono discussi i
metodi per determinare le distanze di nebulose extragalattiche e la magnitudine assoluta
media è riesaminata sulle basi sia della revisione di Shapley del punto zero della curva
periodo‐luminosità per le Cefeidi che di osservazioni più ampie di stelle coinvolte nelle
nebulose.
3.2 Definizioni di distanza
Il sistema di coordinate comobili che abbiamo adottato precedentemente si riferisce
alla distanza propria pd negli spazi descritti dalla metrica di Robertson‐Walker. Non
possiamo misurare in modo diretto, però, tale distanza propria pd per gli oggetti astronomici
in modo diretto. Oggetti distanti sono osservati solo attraverso la luce che emettono in un
tempo finito e le misure vengono fatte solo lungo l’insieme di traiettorie luminose che ci
giungono dal passato, il cono luce passato.
Imtroduciamo, quindi, alcuni tipi di distanza che sono di solito direttamente misurabili.
Consideriamo, anzitutto, la distanza di luminosità Ld
21
4⎟⎠⎞
⎜⎝⎛≡
lLd L π
, (3.1)
dove L indica la potenza emessa da una sorgente da un punto P che si trova ad una
distanza r , al tempo t ; l rappresenta la potenza ricevuta per unità di area (il flusso) al
tempo 0t da un osservatore posto in un altro punto 0P . L’area di una superficie sferica
centrata in P e passante attraverso 0P al tempo 0t è 22
04 raπ e i fotoni emessi dalla sorgente
arrivano su questa superficie redshifttati dall’espansione dell’Universo di un fattore 0a
a.
Troviamo, quindi: 2
022
04 ⎟⎟⎠
⎞⎜⎜⎝
⎛=
aa
raLl
π, (3.2)
Misura della costante di Hubble
24
dalla quale ricaviamo:
aradL
20= . (3.3)
Da quest’ultima equazione si ottiene:
( ) ⎥⎦⎤
⎢⎣⎡ +−+= ...1
21 2
00
zqzHcd L , (3.4)
in contrasto con la definizione di distanza propria data precedentemente, che ha la forma
rad p 0= , con ( )rf data dalle equazioni (2.40) del cap. 2.
Definiamo, ora, la distanza diametro angolare Ad . Indicando con ( )tDP il diametro proprio
di una sorgente posta nella coordinata r al tempo t , sia ϑΔ l’angolo sotteso da PD
ϑΔ= arDp . (3.5)
Definiamo la distanza Ad :
arD
d PA =
Δ=
ϑ. (3.6)
In accordo con il Principio Cosmologico, se i corpi celesti sono distribuiti in modo omogeneo
ed isotropo su larga scala, è interessante considerare la relazione m‐z tra magnitudine
apparente m di una sorgente ed il suo redshift z , relazione importante in quanto fornisce
anche un modo per determinare il parametro di decelerazione 0q .
Dalla (3.4), infatti, otteniamo:
( )[ ]...1144 022
20
2 +−+== zqzc
LHdLl
L ππ. (3.7)
Di solito gli astronomi utilizzano non tanto la luminosità assoluta L e il flusso apparente l
ma quantità collegate a queste: la magnitudine assoluta M e la magnitudine apparente m .
La scala delle magnitudini è definita in modo logaritmico, prendendo un fattore 100 nel
flusso ricevuto per considerare una differenza di 5 magnitudini. Il punto zero può essere
fissato in diversi modi; per ragioni storiche, viene considerata la Polare, al fine di ottenere
una magnitudine di 2.12 nella luce visibile. Si intende, per magnitudine assoluta, la
magnitudine apparente che avrebbe una sorgente se fosse posta ad una distanza di 10 parsec.
La relazione tra distanza luminosa di una sorgente, la sua magnitudine apparente m e la sua
magnitudine assoluta M è data, quindi, dal modulo di distanza
( )pcdMm Llog55 +−=− . (3.8)
Misura della costante di Hubble
25
Usando l’equazione (3.7) troviamo:
( ) ...1086.1log5log525 0010 +−++−≅− zqczHMm (3.9)
con 0H in kms‐1Mpc‐1 e c in kms‐1.
Ricordiamo che 1 Mpc = 106 pc e che i logaritmi sono, spesso, definiti in base 10. Il
comportamento di ( )zm è sensibile al valore di 0q solo per z > 0.1. In realtà, però, ci sono
molti altri fattori che intervengono in questo tipo di analisi. L’equazione (3.9) nel regime in
cui possa considerarsi accurata, vale per z > maxz ~ 0.2 e fornisce una stima di 0H insieme
alla forte conferma della validità della legge di Hubble e, quindi, del Principio Cosmologico.
3.3 Fenomenologia e misura
Le prime determinazioni di distanza includono quelle delle galassie NGC 6822, M33 e
M31 e la stima della costante di Hubble negli ultimi 20 anni è risultata compresa in un
intervallo tra 70 e 75 km s ‐1 Mpc‐1.
Hubble, oltre a determinare le distanze, considerò anche i redshift delle linee spettrali nello
spettro delle galassie (misurati precedentemente da Slipher). In effetti, egli determinò una
relazione lineare tra distanza e velocità di recessione delle galassie, proprio tramite
l’esistenza di una relazione tra distanza e redshift.
Mentre le velocità di recessione si misurano osservando un oggetto con delle righe di
emissione tramite uno spettrografo che evidenzi l’eventuale effetto Doppler, la misura delle
distanze è, invece, più complicata, nel senso che occorre una candela standard, vale a dire un
oggetto di luminosità conosciuta, oppure una riga standard, vale a dire un oggetto che
emetta ad una lunghezza d’onda conosciuta, per potere usare la sua luminosità apparente o
dimensione angolare per calcolarne la distanza.
Originariamente, Hubble usò le Cefeidi, particolari stelle variabili, per determinare le
distanze. Esse sono stelle giganti blu. Il nome di questa classe di stelle deriva da δ Cephei, la
prima variabile di questo tipo osservata nella nostra galassia. Successive osservazioni hanno,
poi, individuato stelle Cefeidi in altre galassie, in primis nelle due nubi di Magellano, le più
prossime a noi. La proprietà importante che definisce le Cefeidi è il tipo di pulsazioni, con la
loro forma caratteristica, con una ripida crescita seguita da una graduale caduta, e un
periodo direttamente proporzionale alla luminosità. Tale relazione periodo‐luminosità è
Misura della costante di Hubble
26
stata scoperta da Leavitt studiando un modello di variabili Cefeidi nella Grande Nube di
Magellano (LMC).
3.4 Metodi locali e Cefeidi
In linea di principio, una misura della costante di Hubble può essere fatta tramite un
singolo oggetto il cui spettro riveli la sua velocità di recessione e la cui distanza o luminosità
sia accuratamente conosciuta. In pratica, l’oggetto deve essere abbastanza lontano affinché il
contributo dominante al moto sia la velocità associata all’espansione generale dell’Universo
(il flusso di Hubble), che aumenta linearmente con la distanza, al contrario di altre velocità
che derivano dall’ interazione gravitazionale con la materia vicina.
Sfortunatamente, non ci sono oggetti la cui luminosità possa essere determinata in modo non
ambiguo se osservata a distanze di decine di Mpc. Infatti, si utilizzano le misure di distanza
di oggetti vicini per calibrare la luminosità degli oggetti più distanti. In questo modo, però,
gli errori si propagano negli errori nella scala di distanza e, di conseguenza, nella costante di
Hubble. L’intervallo di stime recenti per quest’ultima, così, va dai 60 ai 75 km s‐1 Mpc‐1.
L’effetto di parallasse, d’altra parte, fornisce una misura attendibile di distanza solo per stelle
vicine. Il moto della terra attorno al sole produce, infatti, un cambiamento apparente nella
posizione di stelle vicine (rispetto a stelle che sono a distanze molto più grandi e appaiono
fisse). Lo spostamento ha un periodo di un anno e un’ampiezza angolare nel cielo fornito dal
rapporto tra la distanza Terra‐Sole e la distanza della stella. La definizione del parsec, in
effetti, è la distanza che dà una parallasse di un arco secondo, ed è equivalente a 3.26 anni‐
luce, o a 3.09 · 1016 m. (Il campo delle misure di parallasse è stato recentemente rivoluzionato
dal satellite Hipparco, che ha misurato migliaia di distanze di parallasse stellare, includendo
le osservazioni di 223 Cefeidi Galattiche, 26 delle quali sono significative.)
Poiché alcune stelle relativamente vicine si trovano in ammassi aperti, contenenti poche
centinaia di stelle, esse possono essere riportate su un diagramma di Hertzsprung‐Russell,
che fornisce la loro temperatura, dedotta dal colore tramite la legge di Wien in funzione della
luminosità apparente. Questi diagrammi rivelano una sequenza caratteristica, la sequenza
principale, che ordina dalle rosse deboli alle blu luminose. Questa sequenza corrisponde alla
fase principale dell’evoluzione stellare e in essa le stelle si trovano per la maggior parte della
Misura della costante di Hubble
27
loro vita, quando stanno bruciando costantemente idrogeno. Dato che, in alcuni ammassi
vicini, abbiamo stelle considerabili sostanzialmente tutte alla stessa distanza e per le quali gli
effetti di parallasse possono dare la distanza assoluta, la sequenza principale può essere
calibrata in modo da predire la luminosità assoluta della stella della sequenza principale di
un dato colore. Applicando questo anche ad altri ammassi, se ne può così ottenere la
distanza assoluta.
Inoltre, è possibile determinare la distanza di oggetti molto vicini, appena fuori della nostra
stessa galassia, come le Nubi di Magellano Piccola (SMC) e Grande (LMC), usando vari
calibratori, tra cui variabili Mira, stelle RR Lyrae e stelle variabili Cefeidi. Di queste, le
Cefeidi sono le più intrinsecamente luminose ed, effettivamente, possono essere viste sia in
LMC sia in galassie molto più distanti. Senza di loro, la connessione tra LMC e galassie
esterne sarebbe difficile. Oggi, grazie ad Hubble Space Telescope (HST) le Cefeidi presenti in
tali galassie possono essere identificate in modo molto attendibile. Quelle rivelate con il
telescopio spaziale HST, in ogni caso, non permettono misure dell’espansione dell’Universo,
in quanto non sono abbastanza distanti perché la velocità dominante sia quella del flusso di
Hubble.
Infine, le distanze misurate con le Cefeidi servono a calibrare altri indicatori. Il più
importante tra questi in cosmologia è dato dalle supernovae di tipo Ia (SNe), che possono
essere osservate a grandi distanze, permettendo un paragone tra redshift e distanza, da cui
ricavare il valore della costante di Hubble. Le SNe di tipo Ia sono prodotte da sistemi binari
nei quali una stella gigante perde massa verso una nana bianca. Sebbene la luminosità
assoluta di un’esplosione che così viene a determinarsi non sia costante, le supernovae di
tipo Ia hanno curve di luce simili tra loro.
Indicatori alternativi che possono essere usati al posto delle SNe Ia per la determinazione di
0H si basano sulla correlazione di alcune proprietà di galassie facilmente osservabili con la
loro luminosità. Ad esempio, la velocità di rotazione v di taglio delle galassie a spirale va con
la luminosità L come
L α v4 , (3.10)
relazione di Tully‐Fisher. In modo equivalente, per le galassie ellittiche esiste una
relazione,nota come relazione di Faber‐Jackson, tra la dispersione di velocità centrale σ e la
magnitudine totale BL ,
Misura della costante di Hubble
28
BL α σ 4 . (3.11)
Altre proprietà misurabili di galassie ellittiche che si correlano bene con la luminosità
possono essere poste, inoltre, sul cosiddetto “piano fondamentale”. Esso collega tre
proprietà: la luminosità, il raggio effettivo er , vale a dire il raggio entro il quale è emessa
metà della luce della galassia, e la dispersione di velocità stellare centrale. Se si
rappresentano le galassie ellittiche in uno spazio a tre dimensioni in base alla loro luminosità
L , alla dispersione di velocità centrale 0σ e alla brillanza superficiale eΣ , si scopre che esse
non si distribuiscono su tutto il volume ma definiscono un piano particolare, detto appunto
piano fondamentale, la cui importanza deriva proprio dal fornire un collegamento diretto tra
i parametri fisici fondamentali delle galassie:
120
1
2−
−
Σ⎟⎠⎞
⎜⎝⎛⎟⎠⎞
⎜⎝⎛= ee L
Mcr σπ
(3.12)
dove er e 0σ sono misurabili.
(Le stelle nelle galassie più vicine presentano maggiore irregolarità nella distribuzione della
luminosità superficiale.)
3.5 Problemi di misura
La distanza di LMC è probabilmente la meglio conosciuta e dà la parte meno
controversa della scala della distanza. Calibrazioni indipendenti, che usano variabili RR
Lyrae, Cefeidi e ammassi aperti, risultano consistenti con una distanza di ~ 50 kpc per LMC.
Mentre tutti i singoli metodi hanno errori sistematici, il loro accordo entro gli errori fa
comunque pensare ad una misura corretta. (Inoltre, è stata fatta una misura indipendente
usando la supernova di tipo 2 1987A in LMC.)
La distanza da LMC più adottata è tra 18.50 e 18.54 in unità di modulo di distanza e
corrisponde, come già detto, ad una distanza di 50‐51 kpc. Il probabile errore in 0H di ~ 2% è
ben al di sotto del livello degli errori sistematici (in altre parti della scala di distanza).
Se la relazione periodo‐luminosità fosse perfettamente lineare e universale, vale a dire se
potessimo applicarla in tutte le galassie e in tutti gli ambienti, il problema di trasferire la
distanza LMC verso galassie esterne sarebbe semplice. Problemi che coinvolgono la fisica e la
Misura della costante di Hubble
29
fenomenologia delle Cefeidi, in effetti, costituiscono una parte cospicua di errore e
rappresentano la prima sorgente di differenze nei valori derivati di 0H .
La differenza tra luminosità delle Cefeidi LMC e Galattiche può raggiungere 0.3
magnitudini, corrispondenti ad una differenza del 15% nelle distanze dedotte. Almeno una
parte di questa differenza è quasi certamente dovuta ad effetti di metallicità. (Il termine
“metalli” si riferisce ad ogni elemento più pesante dell’elio.)
Uno dei metodi più promettenti per determinare direttamente le distanze è fornito dalle
stelle binarie separate ad eclisse. Nelle stelle binarie vicine, dove le componenti possono
essere risolte, una stima della distanza permette infatti la determinazione della separazione
angolare, il periodo e l’ampiezza della velocità radiale; in stelle binarie ad eclisse più distanti,
ossia in altre galassie, la separazione angolare non può essere misurata direttamente, ma se
potessimo ottenere la luminosità superficiale stellare (ad esempio, dallo studio delle linee
spettrali), insieme alla conoscenza del raggio stellare e del flusso osservato ricevuto da ogni
stella, potremmo ottenere una determinazione di distanza. (Questo metodo è stato usato per
ricavare la distanza da M33 di 964 ± kpc.) Un altro metodo che coinvolge le rotazioni di stelle
attorno al centro di una galassia distante è il metodo della parallasse rotazionale, dove
vengono osservati sia il moto proprio, corrispondente alla rotazione circolare, sia la velocità
radiale di stelle nella galassia.
Va sottolineato che analisi indipendenti degli stessi dati, ottenuti anche con lo stesso metodo,
danno spesso valori differenti.
Considerando la fotometria, si assume che la differenza tra LMC e le relazioni P‐L (periodo‐
luminosità) galattiche sia dovuta interamente alla metallicità.
Sebbene la correzione di metalliticità dipendente dal periodo sia un effetto determinante,
comunque, ci sono altre differenze che rendono 0H diverso di pochi percento nelle varie
misure.
Si tenga, poi, conto che è più difficile vedere Cefeidi deboli. Sono state viste, infatti, solo
cefeidi più luminose e di breve periodo; quindi dalla relazione P‐L nelle galassie distanti
risulta una sottostima delle distanze. Trascurando i bias si ottengono differenze di diversi
percento, ma è difficile quantificare questo fattore.
In sintesi, misure di distanze locali convergono entro il 15%, una prova del fattore 2 di
incertezza che ha prevalso fino agli ultimi anni Ottanta. (Sono possibili altre prove che
Misura della costante di Hubble
30
coinvolgono, però, errori sistematici significativi e, in particolare, richiedono un accordo
generale sulla fisica degli effetti di metallicità sulle relazioni P‐L delle Cefeidi.)
Attualmente, l’assunzione di un Universo spazialmente piatto comporta 11
0 373 −−±= MpcKmsH . Assumendo un Universo non esattamente piatto, otteniamo una
degenerazione in 0H , nel senso che ogni sua decrescita di 1120 −− MpcKms aumenta la
densità totale dell’Universo di 0.1 in unità di densità critica. Studi di supernovae a redshift
cosmologici hanno dimostrato che esse sono più deboli di quanto atteso considerando
corretto il modello spazialmente piatto di Einstein‐de Sitter, per il quale 1=Ωm e 0=ΩΛ .
Se consideriamo l’Universo non esattamente piatto, viene raggiunta una misura (con un
errore del 5%) di 117.43.40 6.71 −−+
−= MpcKmsH .
3.6 Relazioni Periodo‐Luminosità e Periodo‐Luminosità‐Colore delle Cefeidi nelle Nubi di Magellano
Nel 1912 Leavitt annunciò la scoperta della relazione P‐L ed essa è ancora dibattuta.
Sebbene determinata facilmente attraverso i periodi delle Cefeidi, è difficile accertare la
luminosità di Cefeidi Galattiche, a causa della loro distanza dalla Terra e del loro alto
arrossamento. Inoltre, il punto zero della relazione P‐L dipende dalla metalliticità.
L’HST ha scoperto molte Cefeidi che possono essere usate per completare la calibratura delle
relazioni P‐L e P‐L‐C. Un uso più importante di queste consiste, come già detto, nel
determinare la costante di Hubble 0H , il cui valore deve essere ancora rifinito. Le Nubi di
Magellano hanno vantaggi su altri oggetti per quanto riguarda la calibratura delle relazioni
P‐L‐C e P‐L delle Cefeidi. Sono state rivelate Cefeidi adatte ad analizzare le calibrature delle
Cefeidi anche nella nostra galassia ma, purtroppo, sono ancora poche. D’altro canto, le Nubi
di Magellano sono vicine e contengono Cefeidi. Esse sono omogenee nella loro composizione
chimica, permettendo errori piccoli dovuti alla metallicità.
Un altro gruppo di calibratori è costituito dalle giganti rosse, che sono abbondanti vicino al
Sole (la loro calibratura può essere verificata con misure di parallasse con il satellite
Hipparco). Sono abbastanza luminose da essere viste più da lontano e sono presenti in
grande quantità in LMC e SMC. La loro magnitudine di banda I è inoltre largamente
Misura della costante di Hubble
31
indipendente dall’età. Nelle Nubi di Magellano possono avere distribuzioni spaziali diverse
rispetto alle Cefeidi; possono esistere, quindi, errori sistematici. A loro volta questi ultimi
implicano errori nelle distanze di galassie e, di conseguenza, un errore risultante in 0H .
Le Cefeidi nella nostra galassia non possono essere usate per calibrare le relazioni in quanto
lontane dal Sole. Vengono allora usati altri metodi con stelle binarie che si eclissano, metodo
che usa le stelle RR Lyr, metodo che usa gruppi di stelle rosse, comunque considerando le
Nubi di Magellano le più adatte per la calibratura. È stata effettuata la media dei risultati
ricavati da tutti questi metodi, ottenendo un valore del modulo di distanza da LMC pari a
18.22 ± 0.05 mag.
3.7 Metodo della lente gravitazionale
Le lenti gravitazionali possono essere usate per determinare la costante di Hubble. Si
sfrutta il fatto che la luce viene deviata dall’azione di un campo gravitazionale, così che
l’osservatore nota effetti di distorsione o ingrandimento delle immagini che riceve. L’uso
principale delle lenti gravitazionali consiste nel determinare le distribuzioni di massa nella
galassia lente, dal momento che posizione e luminosità delle immagini portano informazioni
sul potenziale gravitazionale della lente. Il lensing gravitazionale ha il vantaggio che questi
effetti sono indipendenti dal tipo di materia, luminosa o oscura. In questo modo possono
essere provati gli effetti di materia barionica o non barionica.
Redsdal è stato il primo a notare che, se la sorgente è variabile, è possibile misurare una
distanza assoluta nel sistema e, quindi, la costante di Hubble. Consideriamo le traiettorie
luminose dalla sorgente all’osservatore corrispondenti a immagini individuali lensate; il
tempo impiegato dalla radiazione sarà diverso per ognuna. La luminosità, quindi,
raggiungerà l’osservatore a tempi diversi corrispondenti a traiettorie luminose diverse. Una
misura del tempo di ritardo τ corrisponde a misurare la differenza tra tali tempi. Se i
redshift di sorgente e lente sono noti, possiamo ricavare 0H .
Molti ritardi temporali sono stati misurati a lunghezze d’onda radio, dall’esame di quei
sistemi nei quali un quasar fosse una sorgente ad immagini multiple. Di recente, hanno
dominato ritardi otticamente misurati, dovuti all’utilizzo di un piccolo telescopio ottico in un
luogo con un buon seeing per un monitoring fotometrico. Del resto, ritardi radio temporali
richiedono grandi quantità di tempo su interferometri (long‐baseline) che non esistono in
Misura della costante di Hubble
32
gran numero. Il problema con il ritardo temporale delle lenti sta nella forma del potenziale
gravitazionale espresso dalle lenti. In aggiunta, tutta la materia lungo la linea di vista
contribuisce al potenziale che determina il lensing in quanto, avendo ad esempio uno strato
di distribuzione di massa uniforme in una regione, non interessano tanto le posizioni delle
immagini e i flussi, che pure formano restrizioni sul potenziale del lensing, quanto i tempi di
ritardo.
Nonostante le difficoltà per ottenere modelli di massa dalle lenti, la misura di 0H è
migliorata in diversi modi. Alcune lenti hanno più costrizioni sul modello di massa di altre.
Inoltre, è possibile usare le dispersioni di velocità stellare misurate nella galassia lente. Tali
misure, però, non sono molto usate, sebbene i modelli di massa nelle galassie forniscano un
valore di z di ~ 0.5, tipico delle galassie che fungono da lente. La combinazione di
informazioni sul lensing e la dinamica stellare forniscono una misura che è in principio una
costrizione diretta sulla massa. Il metodo ha grandi barre di errore dovute in parte alle
dipendenze sulla forma delle orbite stellari ma anche perché queste misure sono difficili,
visto che ogni galassia richiede circa una notte di buon seeing. Dobke e King hanno così
ottenuto il valore 110 872 −−±= MpckmsH , mentre analisi più recenti portano ad
110 366 −−±= MpckmsH .
In conclusione, il lensing ha cominciato a rendere un contributo utile ad 0H , sebbene barre
di errore siano probabilmente ancora simili a quelle dei metodi locali o CMB diversi anni fa.
3.8 Misura della costante di Hubble attraverso la relazione di Tully‐Fisher (TF)
Molta cosmologia moderna si basa su una misura accurata delle distanze da sorgenti
extragalattiche. Esse sono determinate usando una scala di distanza extragalattica EGL
(extragalactic distance ladder), calibrata dalla distanza da stelle variabili Cefeidi in LMC.
Questa stima della distanza è incerta e introduce, così, errori nelle determinazioni di distanze
extragalattiche. Possiamo esaminare le Cefeidi in galassie a spirale distanti tramite la
relazione di Tully‐Fisher, che mette in relazione la velocità rotazionale massima di una
galassia a spirale con la sua luminosità. Questa relazione viene usata soprattutto
Misura della costante di Hubble
33
nell’infrarosso, dove la relazione è indipendente dalla morfologia. Questo dà la possibilità di
determinare la costante di Hubble in modo accurato. Uno scopo determinante dello Space
Telescope Key Project è stato proprio quello di studiare più accuratamente suddetta
relazione, con l’analisi di tre galassie per mezzo di telescopi terrestri, senza usare galassie
con un angolo di inclinazione troppo alto o basso.
Una parte del progetto riguarda i dati fotometrici. Le correzioni vanno riportate a tre
sorgenti primarie: estinzione galattica, estinzione interna e correzione k . L’estinzione interna
è ancora dibattuta a causa di incertezze nel sistema di classificazione morfologica. Per questo
motivo sono state usate le correzioni derivate da Tully ed altri, in quanto non dipendenti
dalla morfologia. Va comunque tenuto presente che la luce viaggia attraverso più polvere e
gas in una grande galassia, nel qual caso è necessaria più correzione per l’estinzione.
La più grande sorgente di errore nella relazione TF riguarda, invece, l’angolo di inclinazione
della galassia, angolo determinato da un’analisi fotometrica. Le ampiezze delle linee devono
essere corrette anche per il redshift.
Una delle indagini più complete è stata fatta da Giovanelli (1997), basandosi sulla fotometria
e sulle ampiezze delle linee radio. Questo esame riguarda 2000 galassie a spirale negli
ammassi, lontane abbastanza da avere velocità di recessione di oltre 10.000kms‐1. Prendendo
in media 15 ammassi di galassie si trova per 0H un valore di 73 ± 2 (random) ± 9
(sistematico), attraverso l’esame della banda I, ottenendo un valore per la costante di Hubble
abbastanza vicino a quello accettato. Un esame della banda H consente di ottenere un valore
della costante di Hubble di 67 ± 3 (random) ± 10 (sistematico), valore molto diverso dal
precedente. Al fine di spiegare queste differenze nel valore di 0H è stata esaminata la
relazione tra due misure di ampiezze di linea e la fotometria e poi la distribuzione di colore.
Poiché 0H non è sensibile alle diverse scale di distanza, si è analizzato il problema da un
punto di vista fotometrico.
La principale sorgente di errore è la differenza sistematica nella banda H dovuta ai diametri
delle isofote, con una distribuzione di colore che gioca un ruolo importante. Sfortunatamente
questi problemi non sono risolti se manca un insieme consistente di magnitudini nella banda
H, difficile essendo il cielo più luminoso di 100 volte nella band H che in I. Questo va
sottratto ai profili di luminosità superficiale nelle parti più esterne della galassia. Pertanto
Misura della costante di Hubble
34
l’errore sistematico trovato è la causa di una sovrastima della distanza, ponendo così limiti
alla precisione di misure di 0H dallo studio di Tully‐Fisher.
3.9 L’uso del Piano Fondamentale e le relazioni nD e σ
La distanza delle galassie negli ammassi Leo I, Virgo e Fornax è calcolata usando il
piano fondamentale (FP) e le relazioni nD e σ . Queste ultime costituiscono indicatori di
distanza secondari. Il piano fondamentale stabilisce una relazione tra raggio, luminosità ed
energia cinetica media delle stelle nelle galassie ellittiche. La relazione tra luminosità L e
distribuzione della velocità delle stelle in una galassia σ è stata scoperta da Faber e Jackson
nel 1976. Questo ha permesso di usare galassie early‐type per misurare ammassi più distanti,
calibrando la relazione FP usando galassie early‐type vicine che sono state studiate
precedentemente, con distanze accurate ottenute da Cefeidi, ed estrapolando la relazione per
galassie massive ad ammassi distanti. Il valore della costante di Hubble può essere derivato
da queste distanze.
Queste stime devono essere paragonate a quelle provenienti da altri metodi per trovare il
valore più accurato di 0H , aspettandosi che il flusso di Hubble domini le irregolarità della
velocità locale. Al fine di stabilire una relazione tra misura angolare e distanza metrica per
galassie in ammassi chiusi, sono state usate relazioni periodo‐luminosità di variabili Cefeidi.
Usando la fotometria, il Piano Fondamentale e le relazioni nD e σ sono calibrati usando
galassie locali, calibrazione poi estesa agli ammassi Leo I, Virgo e Fornax per stabilire le
distanze di galassie in questi ammassi e derivare un valorre di 0H = 78 ± 5± 9 Kms‐1Mpc‐1.
Nel 1987 Dressler introdusse la luminosità superficiale. nD rappresenta il diametro di metà
luminosità definito in modo tale che metà della luminosità totale di una galassia si trovi al
suo interno. La relazione nD ‐σ usa la grandezza della galassia e la luminosità superficiale,
insieme ad altri parametri usati per definire la relazione di Faber‐Jackson. Allo scopo di
utilizzare le relazioni FP e nD ‐σ come indicatori di distanza, devono essere fatte due
importanti assunzioni: i rapporti LM corrispondono a parametri di struttura nello stesso
modo dappertutto e le galassie early‐type hanno una popolazione stellare simile per una
galassia di massa data. I calcoli si basano su dati fotometrici e spettroscopici, tenendo conto
Misura della costante di Hubble
35
che le misure spettroscopiche di σ dipendono sia dalla distribuzione delle orbite che dalla
luce.
La distanza può essere calcolata direttamente dal punto zero del Piano Fondamentale (log re)
e dal piano fondamentale angolare ( eϑlog , dove eϑ è l’ampiezza angolare). Sono state
effettuate correzioni sulla metalliticità nelle relazioni P‐L delle Cefeidi, per la campionatura
dei bias che derivano dall’osservazione delle stelle più luminose nella galassie e per la
coincidenza spaziale di galassie ellittiche e a spirale. Il valore finale adottato per la costante
di Hubble è 110 9473 −−±±= MpckmsH . Errori sistematici derivano dall’incertezza nella
distanza delle Nubi di Magellano e piccole incertezze nei calcoli del piano fondamentale,
trovando un’incertezza totale di 11 %.
3.10 Una ricalibratura dalle Distanze delle Cefeidi alle Supernovae di Typo Ia
Hubble Space Telescope Key Project, sulla scala delle distanze extragalattiche, ha
inizialmente consentito di derivare distanze basate sulle Cefeidi da 7 supernovae di tipo Ia.
Queste ultime sono caratterizzate da una luminosità significativa e da precisione di circa l’8%
nelle misure di distanza sia nel vicino che nel lontano Universo.
Si pensa che le supernovae di tipo Ia si formino da esplosioni termonucleari di una nana
bianca che brucia nel suo nucleo elementi del gruppo del ferro (Ni, Co, Fe). Questa natura
esplosiva è un risultato di materia instabile sottoposta ad una alta compressione
gravitazionale i cui elettroni sono quasi relativistici. Le supernovae SNe Ia non sono più
considerate candele standard di luminosità costante, ma con una evidente dispersione della
luminosità del picco recentemente scoperto.
Nel 1999 Philips e altri hanno scoperto una relazione tra magnitudine assoluta delle
supernovae di tipo Ia e l’andamento della luminosità. Il valore di 0H viene calcolato per le
bande B, V ed I. Le supernovae di tipo Ia costituiscono lo strumento più attendibile per
calcolare le distanze extragalattiche ed, infine, per determinare la costante di Hubble
fornendo un valore pari a 0H = 68 ± 2 (random) ± 5 (sistematico) kms‐1Mpc‐1, un risultato
Misura della costante di Hubble
36
consistente con quelli basati sulla relazione di Tully‐Fisher e con le fluttuazioni di luminosità
superficiale.
Nel 1998, l’assunzione di un valore noto di 720 ≈H ha portato a scoprire, tramite le SNe Ia,
un’accelerazione cosmica, spiegabile solo con l’introduzione di energia oscura (la cui forma
più semplice è data dalla costante cosmologica Λ ) nell’Universo.
3.11 Costante di Hubble determinata con l’effetto Sunyaev‐Zel’dovich
L’effetto Sunyaev‐Zel’dovich (SZE) fu scoperto analizzando gli effetti delle interazioni
tra elettroni caldi in un mezzo intracluster (ICM) con fotoni appartenenti alla CMB (Sunyaev
& Zel’dovich 1969, 1972). Gli ammassi di galassie, infatti, contengono gas caldi ( K7106 ⋅≈ )
intrappolati nelle loro buche di potenziale, molto più calde della radiazione CMB ( K3≈ ).
Una misura della costante di Hubble può essere ottenuta paragonando i dati riguardanti
l’emissione di raggi x di un ammasso di galassie con l’effetto termico. Siccome i fotoni dalla
CMB passano attraverso il caldo ICM, in un ammasso di galassie, alcuni di loro interagiscono
con gli elettroni di alta energia e vengono diffusi in diverse direzioni. L’energia dal gas caldo
IC viene trasferita alla radiazione CMB e una frazione dei fotoni sono spostati dal lato di
Rayleigh‐Jeans (basse frequenze) al lato di Wien (alte frequenze) dello spettro di Planck.
Questo processo è conosciuto come comptonizzazione. I fotoni, a causa dell’omogeneità e
dell’isotropia generale di CMB, passano attraverso il gas dell’ammasso guadagnando
energia. Di conseguenza lo spettro della CMB viene distorto ed essendo osservato come
spettro di un corpo nero perfetto, si possono misurarne le variazioni, sebbene i rivelatori non
possano percepire la piccola scala. Sunyaev e Zel’dovich interpretarono questa distorsione
spettrale come un cambiamento relativo nella temperatura CMB.
È necessaria la risoluzione della distanza diametro angolare Ad in termini di quantità
osservabili per determinare la distanza dall’ammasso e fare delle assunzioni su di esso al fine
di determinare la distanza lungo la linea di vista dall’ammasso. Si assume infatti che il gas
sia uniforme e, in equilibrio idrodinamico, distribuito in modo sferico per evitare
complicazioni riguardanti l’anisotropia.
Misura della costante di Hubble
37
Dal momento che gli ammassi di galassie utilizzati possono essere a redshift alti ( z ~ 0.55), la
geometria dell’universo stesso può influenzare le osservazioni e, quindi, il valore dedotto
dipende dal modello cosmologico. Osservazioni Chandra di tre ammassi hanno consentito di
trovare un valore di 0H pari a 69 ± 8 Kms‐1Mpc‐1 per MΩ =0.3 e ΛΩ =0.7, valori molto vicini a
quello di Hubble Key Project.
3.12 Unione dei vincoli sulla costante di Hubble
Uno dei traguardi principali di Hubble Space Telescope è stato quello di determinare la
costante di Hubble con un’accuratezza inferiore al 10%. Osservando le Cefeidi in diverse
galassie vicine devono essere considerati i moti su larga scala dovuti a fattori diversi dal
flusso di Hubble. I vari moti che riguardano le velocità osservate di galassie includono la
rotazione della nostra stessa galassia, il movimento della nostra galassia rispetto al centro del
Gruppo Locale, la velocità del Gruppo Locale rispetto all’ambiente di microonde cosmico
(CMB), l’inclusione del Gruppo Locale nel nucleo del superammasso locale e altri movimenti
su larga scala.
Per compensare queste velocità, devono essere fatte diverse modifiche alle velocità
osservate, correggendole mediante un modello lineare multi attrattore, che corregge i
movimenti dovuti alla nostra velocità verso ogni attrattore. Ne discende l’utilizzo della
seguente equazione per determinare la velocità degli oggetti caratteristici dell’espansione
dell’universo:
...,,,,cos +++++= ShapinGAinVirgoinLGcHmic VVVVVV , (3.13)
dove HV è la velocità eliocentrica osservata, LGcV , è la correzione per la velocità della Via
Lattea attraverso il centro del Gruppo Locale e ognuna delle componenti inV si riferisce alle
velocità di caduta della galassia verso uno specifico attrattore.
Ogni tecnica usata per determinare le distanze contiene, comunque, una percentuale di
errore. Per calcolare la propagazione degli errori nelle stime delle distanze, è stato proposto
un codice di simulazione per ricreare Key Project al computer. Alla fine, vengono combinati
Misura della costante di Hubble
38
tutti i metodi, dando un peso maggiore al metodo delle supernovae di tipo Ia, determinando
un valore finale per 0H pari a 71 ± 6 Kms‐1Mpc‐1.
Va notato, tra l’altro, che le distanze ottenute con variabili Cefeidi potrebbero essere intaccate
da valori di metalllicità, fornendo un valore diverso per la costante di Hubble pari ad 11
0 668 −−±= MpckmsH . La più importante incertezza nelle osservazioni rimane, in ogni
caso, quella della distanza dalla Grande Nube di Magellano (LMC). La distanza adottata è
normalmente di 50 Kpc (m‐M = 18.50 ± 0.13mag) e costituisce, da sola, il 6.5% di incertezza
nelle misure. Un altro errore da notare riguarda, naturalmente gli strumenti usati.
CONCLUSIONE
39
Molto succintamente, si può affermare che questo lavoro di tesi ha percorso alcuni dei
punti salienti della cosmologia negli ultimi 80 anni. La nascita della astronomia
extragalattica, con le misure di Hubble della distanza di M31 quale oggetto necessariamente
al di fuori della Via Lattea, discende dall’amplificazione improvvisa di un campo d’indagine
già allora ritenuto vastissimo.
A questo, sempre con Hubble e la sua scoperta di una relazione tra le velocità di
recessione delle galassie e le loro distanze, va aggiunta l’introduzione di un’espansione in
cosmologia fino ad allora negata. Per comprendere l’importanza di ciò, basti ricordare che
Hubble ha fatto gran parte delle sue più importanti scoperte dal 1929 al 1931, mentre
Friedmann aveva scritto e risolto le sue equazioni per un Universo in espansione già nel
1921. Ma nessuno, e tanto meno Einstein, aveva badato a modelli allora puramente teorici, in
un’epoca in cui l’Universo era ritenuto statico.
Lo sviluppo tecnologico che da allora ad oggi continua ad accompagnare le ricerche
astronomiche e cosmologiche non mancheranno, inevitabilmente, di sorprenderci ancora e
richiederci nuovi modelli e mentalità aperta per interpretare dati non sempre prevedibili.
BIBLIOGRAFIA
40
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[11] Springer, Chow (2008)
[12] Weiberg, Gravitation and Cosmology, United States of America, (1972)
INDICE
41
Introduzione………………………………………………………………………….I
Capitolo 1: L’importanza della distanze in cosmologia…………………..……1
1.1: Alle origini del discorso cosmologico………………………..…..1
1.2: Le galassie………………………………………………………..….3
1.3: La nascita della cosmologia scientifica moderna……………..…3
Capitolo 2: Elementi di cosmologia teorica…………………………………......7
2.1: La cosmologia moderna…………………………………….……..7
2.2: L’Universo statico……………………………………………..……8
2.3: La metrica di Robertson‐Walker (e il modello di Einstein‐de
Sitter)…………………………………………………………..……11
2.4: La costante di Hubble……………………………………..………15
Capitolo 3: Misure della costante di Hubble……………………………….....21
3.1: La misura delle distanze in cosmologia………………….…….21
3.2: Definizioni di distanza………………………………….……….23
3.3: Fenomenologia e misura………………………………………..25
3.4: Metodi locali e Cefeidi………………………………….………..26
3.5: Problemi di misura……………………………………………....28
Misura della costante di Hubble
42
3.6: Relazioni Periodo‐Luminosità e Periodo‐Luminosità‐Colore
delle Cefeidi nelle Nubi di Magellano………………………….30
3.7: Metodo delle lenti gravitazionali………………………….…....31
3.8: Misura della costante di Hubble attraverso la relazione di
Tully‐Fisher (TF)………………………………………………...32
3.9: L’uso del Piano Fondamentale e le rlazioni nD e σ …………34
3.10: Una ricalibratura dalle distanze delle Cefeidi alle Supernovae
di tipo Ia………………………………………………………….35
3.11: Costante di Hubble determinata con Sunyaev‐Zel’dovich…36
3.12: Unione dei vincoli sulla costante di Hubble…………………37
Conclusioni……………………………………………………………39
Bibliografia……………………………………………………………40
Indice…………………………………………………………………..41