-
1
CORSO di laurea Scienze dell’Educazione
(D.M. 270- nuovo ordinamento)
DISPENSA
Corso di
LETTERATURA PER L’INFANZIA
(6 cfu)
a cura della docente
Silvia Blezza Picherle
RACCOLTA ANTOLOGICA DI SAGGI E ARTICOLI
Anno Accademico 2012 - 2013
N.B. Il primo saggio di questa dispensa non sarà oggetto d’esame.
-
2
Tratto da: S. Blezza Picherle, Letteratura per l’infanzia. Ambiti, caratteristiche,
tematiche, Libreria Editrice Universitaria, Verona 2003 (passim). BlezzaPicherle©
Letteratura per l'infanzia: definizione, ambiti, caratteristiche
1. Diverse denominazioni
In Italia la “Letteratura per l’infanzia”, intesa come disciplina autonoma e ambito narrativo
specifico, nel corso degli anni è stata denominata in modi diversi dagli studiosi e dagli
esperti del settore.
a) In un primo periodo, che va all’incirca dal 1900 al 1960, le due dizioni più utilizzate
sono quelle di "letteratura infantile " 1oppure "letteratura per l'infanzia"
2 .
Giovanni Bitelli nel 1946 rileva però come la terminologia “letteratura infantile” risulti
inesatta e arbitraria, poiché con il termine "infanzia" si definisce una fascia d'età che arriva
fino ai sei anni. «Ora non si può parlare di una letteratura esclusivamente e limitatamente
infantile, quando si è risaputo che i libri per l’infanzia si riducono a semplici albi figurati,
espressivi fin che si vuole dal punto di vista artistico, ma lontani da qualsiasi elaborazione
letteraria» (Bitelli, 1946, 105). Egli quindi ritiene più esatta la dizione “letteratura per la
fanciullezza e l’adolescenza”. Sebbene poi, per adeguarsi all’uso comune, continui ad usare
"l’imprecisa” espressione di “letteratura infantile”.
Anche secondo Enzo Petrini l’aggettivazione “infantile” assume un significato limitativo,
in quanto fa pensare a una letteratura indirizzata solo ai bambini più piccoli (fino ai 7-8
anni), mentre in realtà essa interessa anche la fascia adolescenziale. Inoltre lo stesso termine
racchiude in sé una valutazione dispregiativa, nel senso che una letteratura considerata
"infantile" potrebbe essere interpretata come una narrativa semplice, se non addirittura
semplicistica o banale (Petrini, 1958).
Pure l’espressione "per l'infanzia" o "per l'infanzia e la fanciullezza" ha suscitato alcune
perplessità, in quanto la preposizione "per" parrebbe escludere molte opere non scritte
espressamente per i bambini. Ci si riferisce, ad esempio, a molti grandi "classici", che i
ragazzi hanno letto con tanto piacere fino a farne una "loro letteratura" (Lugli, 1982; Eynard
- Aglì, 1976).
Antonio Lugli, al fine di fugare ogni immagine strumentale di tale narrativa, propone la
dicitura "letteratura dell'infanzia", proprio per sottolineare il diritto del giovane lettore di
scegliere le proprie letture, al di là di ogni imposizione degli adulti.
b) In un secondo periodo, collocato tra il 1960 e il 1987 circa, si inizia ad usare sempre più
frequentemente l’espressione "Letteratura giovanile" 3. E’ stato Enzo Petrini - come egli
stesso ha ricordato in un’intervista - a proporre per la prima volta in Italia nel 1953 questa
aggettivazione, su suggerimento di Jean Cappe 4. «Sì, l’inventore della denominazione di
1 Preferiscono usare l’aggettivazione “infantile” gli studiosi Giorgio Gabrielli (1912), Vincenzina Battistelli (1923),
Olindo Giacobbe (1927), Giovanni Calò (1935), Luigi Santucci (1942), Maria Tibaldi Chiesa (1944), Lina Passerella
(1944), Giovanni Bitelli (1946). 2 Preferiscono la denominazione "letteratura per l'infanzia" Giuseppe Fanciulli (1934), Armando Michieli (1938),
Ottavia Bonafin (1938), Antonio Cibaldi (1955), Vincenzina Battistelli (1959), Mario Valeri (1961). 3 E. Petrini (1958), A.M. Bernardinis (1971), G. V. Paolozzi (1974), Mario Valeri (1981), T. Bressan (1984), A. Nobile (1990)
scelgono la denominazione “letteratura giovanile”. 4 Jean Cappe, scrittrice belga, autrice di albi illustrati e di opere per adolescenti, quasi tutti di ispirazione religiosa, oltre
a numerose riduzioni di opere classiche e importanti opere pedagogiche. Fondatrice del "Conseil de Littérature de
Jeunesse", importante istituzione belga che organizzava conferenze, esposizioni, "ore del racconto", sia nelle scuole che
-
3
“letteratura giovanile”, su suggerimento di Jean Cappe, fui io e noi di "Schedario"
cominciammo ad usarla per primi.5 Prima tale denominazione non c’era, non esisteva.
Eppure ci furono delle resistenze nell’accettare tale termine, soprattutto da parte di coloro
che continuavano a bamboleggiare sull’infanzia. Per essi tale denominazione era ambigua
poiché poteva far pensare che si parlasse di letteratura scritta da giovani o di letteratura
adolescenziale».
Secondo Anna Maria Bernardinis, però, l'aggettivazione "giovanile" porta con sé una serie
di ambiguità, dato che essa, includendo anche l'età infantile, è utilizzata in riferimento
all'intero arco dell'età evolutiva" (Bernardinis, 1987, 695). Tale uso, anche se non proprio
preciso, è comunque giustificato da espressioni simili che vengono utilizzate negli altri
paesi europei. 6
Negli stessi anni si continua ad adottare anche la denominazione di "Letteratura per
l’infanzia", tanto che Antonio Faeti, nel 1977, intitola proprio così il suo significativo
volume, che ha segnato una svolta nel panorama critico italiano.
Per anni quindi le due dizioni, Letteratura per l'infanzia e Letteratura giovanile,
coesistono, per quanto la più usata sia quella di "Letteratura giovanile".
c) In un terzo periodo, che inizia nel 1987 ed arriva sino ad oggi, la dicitura più adoperata è
invece quella di "Letteratura per l'infanzia”. Tale dizione però non soddisfa, poiché a
livello di significato sembra non includere una vastissima parte della produzione editoriale
contemporanea, rivolta agli adolescenti e ai "giovani adulti". Antonio Faeti, ad esempio,
sostiene che l'espressione «Storia della Letteratura per l'infanzia, ovvero quella usata
prevalentemente per le cattedre universitarie, andrebbe completata con l'aggiunta di "e
l'adolescenza", il che forse, a suo dire, porrebbe poi nuovi, ma inevitabili problemi di
qualificazione e di differenziazione (Faeti, 1995, XI).
Qualcuno preferisce adottare tuttora la denominazione "Letteratura giovanile", ritenendo
in tal modo di evitare l’ambiguità contenuta nel termine "infanzia". Secondo Angelo Nobile
l'espressione "letteratura giovanile", pur non esente da obiezioni, è confortata sia dall'uso di
similari coinemi impostisi ormai nelle principali lingue europee, sia dal fatto che «il termine
giovanile ingloba più propriamente anche quelle opere narrative non espressamente e
intenzionalmente destinate all'età evolutiva, ma oggetto di appropriazione da parte
dell'infanzia» (Nobile, 1990, 55).
Non sembra però di poter condividere il pensiero di Orsetta Innocenti, la quale parla di
"confusione terminologica" diffusa tra gli stessi studiosi del campo, i quali, a suo dire,
alternano le diverse dizioni (letteratura giovanile, per l'infanzia, per ragazzi) senza una reale
percezione dello slittamento del significato che questo scarto comporta (Innocenti, 2000, 9).
In realtà tutti gli studiosi e gli esperti del settore sono perfettamente consapevoli di questa
imprecisione, tanto che usano di volta in volta denominazioni diverse, proprio per superare
la parzialità di entrambe le dizioni, quella di "Letteratura per l'infanzia" e di "Letteratura
giovanile".
Indubbiamente la Letteratura per l'infanzia, all'inizio della sua storia e nella sua prima fase
di sviluppo, era pensata soprattutto per i bambini di età scolare, quel vasto pubblico che, con
in altri ambienti. Si interessò delle problematiche relative alla Letteratura per l'infanzia, e in particolare all'arte del
raccontare ai fanciulli. J. Cappe, Experiènces dans l'art de raconter des histoires, Paris, 1952. 5 "Schedario" prima rivista critica in Italia sulla Letteratura giovanile, fondata da Enzo Petrini nel 1953. Si trattava di un
bollettino bimestrale a cura della "Sezione di letteratura Giovanile" del Centro Didattico Nazionale di Studi e
Documentazione di Firenze. 6 Littérature de jeunesse in francese, Jugend Literatur in tedesco, Juvenile Literature in inglese hanno sostituito le più
pertinenti ma prolisse definizioni di Littérature enfantine et de jeunesse o Littérature pour les enfants et les adolescents,
Kinder und Jugendliteratur, Children's and Young People Literature (Bernardinis, 1987, 695).
-
4
l'avvento dell'obbligo scolastico, era diventato per la prima volta lettore a tutti gli effetti.
Allora l'adolescenza era considerata una rapida fase di passaggio verso l'età adulta, la quale
rappresentava, a sua volta, una meta da raggiungere quanto prima, anche per quanto
riguarda le libere letture.
Con lo sviluppo della società industrializzata e tecnologica, il periodo adolescenziale si
amplia e si differenzia in tante fasi intermedie (preadolescenza, adolescenza, giovani adulti),
ognuna delle quali assume connotazioni e caratteristiche molto peculiari. Di conseguenza
anche la produzione rivolta all'adolescenza, si espande e si specializza, richiedendo quindi
una maggiore specificazione, anche a livello di denominazione della disciplina. Inoltre
l'ampliamento e la diversificazione della produzione per i lettori di età prescolare (zero -
cinque anni) verificatasi in questi ultimi anni, inducono l'esigenza di una maggiore
precisione terminologica.
Il cambiamento di dizioni succedutosi nel tempo attesta la travagliata ricerca di una chiara
fondazione epistemologica di tale disciplina, la quale continua ad essere oggetto in Italia di
un vivace dibattito critico.
3. Le attuali definizioni
Operando una selezione tra i molti contributi critici, analizziamo soltanto alcune definizioni
che hanno fornito un significativo apporto al dibattito critico dal 1970 circa ad oggi.
Appare senz'altro riduttiva, e quindi superata, l'idea di una letteratura per l'infanzia che
comprenda soltanto le opere scritte espressamente per i lettori in età evolutiva. Si tratta
infatti di una posizione adultocentrica, la quale parte dal presupposto - smentito peraltro
dalle ricerche psicopedagogiche- che gli adulti sono in grado di conoscere pienamente i
bisogni profondi e gli interessi dei bambini e dei ragazzi.
Sembrano significative invece le definizioni proposte negli anni ‘70 da Aldo Cibaldi e Anna
Maria Bernardinis, i quali, seppure da prospettive disciplinari diverse, dimostrano di
concordare sugli elementi di fondo. Secondo Aldo Cibaldi:
«La Letteratura per l’infanzia è un edificio a tre piani che comprende:
1) opere della grande letteratura ridotte o adattate ai limiti dell’età; 2) racconti e poesie di estrazione colta e di estrazione popolare originariamente destinate all’adulto, ma
diventate di dominio del fanciullo;
3) opere scritte di proposito per l’infanzia: a) poesie e racconti concepiti come fatti creativi; b) opere di relazione e di varia divulgazione » (Cibaldi, 1970, 34)
In tale ambito letterario sono quindi comprese sia opere scritte intenzionalmente per
l'infanzia e la gioventù, sia libri - di estrazione colta o popolare - destinati in origine agli
adulti. Nel corso degli anni i bambini e i giovani si sono "appropriati" di alcune opere per
adulti, perché esse sembravano soddisfare in modo unico e peculiare alcuni loro bisogni
profondi. Si pensi, ad esempio, a Robinson Crusoe (1719) di Daniel De Foe, a I viaggi di
Gulliver (1726) di Jonathan Swift, a L'Isola del Tesoro (1883) di Robert Louis Stevenson,
alle opere di Charles Dickens (1812 - 1870)7 o ancora a quelle di Jack London (1876 -
1916)8. Nessuno di questi autori aveva pensato di scrivere per i ragazzi e invece questi
romanzi sono divenuti poi dei classici per l'infanzia e la gioventù. La stessa
"appropriazione" è avvenuta oggi, da parte dei ragazzi, con opere come It di Stephen King,
7 Charles Dickens (1812 - 1870) scrisse, tra le molte opere, Le avventure di Oliver Twist (1838), David Copperfield
(1849 - 1850), Il Canto di Natale. 8 Jack London (1876 - 1916) nato John Chaney, firmò la sua sterminata produzione sempre con il nome del suo padrino:
John London. Tra le sue opere principali si ricordano Il Richiamo della Foresta (1903), Zanna Bianca (1906).
-
5
Il giovane Holden (1951) di Jerome David Salinger, Il gabbiano Jonathan Livingstone
(1973) di Richard Bach, Siddharta (1922) di Herman Hesse9.
La letteratura per l'infanzia, secondo Cibaldi, comprende, oltre a diverse tipologie di testi
narrativi in prosa e in versi, anche opere di divulgazione, cioè testi che si prefiggono di
trasmettere ad un pubblico in età evolutiva i fondamenti della conoscenza storico-geografica
e scientifico-tecnologica.
A sua volta Anna Maria Bernardinis ritiene che:
«E’ Letteratura giovanile tutto ciò che è stato ed è ascoltato e letto dai bambini e dai giovani (…); tutto ciò che è stato narrato ed espresso per essere ascoltato e letto dal bambino e dal giovane in quanto interlocutore
attivo, con esclusione di ciò che è stato ed è proposto, utilizzando le forme della letteratura, per finalità
diverse da quelle del dialogo culturale libero e creativo, che non è letteratura e tanto meno è letteratura
giovanile» (Bernardinis, 1987).
Entrambi gli studiosi escludono da quest'ambito letterario tutte le opere che, utilizzando il
rivestimento letterario, perseguono finalità diverse dal «dialogo culturale libero e creativo»,
cioè che si prefiggono di insegnare qualcosa di utile ai lettori. Anche il Cibaldi, con
l'espressione «poesie e racconti concepiti come fatti creativi», intende ribadire l'estraneità
delle composizioni didascaliche dalla letteratura per bambini e ragazzi. E' chiaro il
riferimento alla produzione del passato, la quale era ricca di fiabe, favole, racconti e
romanzi a carattere istruttivo-didascalico.
In ambedue le definizioni, ma soprattutto in quella di Anna Maria Bernardinis, il bambino e
il giovane vengono considerati non come soggetti in stato di passività, da istruire e da
educare, bensì come interlocutori attivi. In tale caso la letteratura per l'infanzia si rifà ad una
rappresentazione del lettore in età evolutiva che ha una sua dignità di persona, libera di
scegliere le proprie letture e capace di collaborare in modo attivo alla costruzione del
significato del testo (Barthes, 1975; Eco, 1979; Iser, 1987).
Il cambiamento socio-culturale avvenuto negli anni '50 - '60, con l'emergente importanza
comunicativa dei linguaggi audiovisuali, influisce in modo significativo anche sulla
letteratura per l'infanzia. Gli studi semiotici di Umberto Eco e il contributo di alcuni
pedagogisti, tra cui Giovanni Genovesi, permettono la rivalutazione del fumetto e
l'individuazione dei valori educativi impliciti nella sua lettura10
. A sua volta Antonio Faeti,
dopo aver percorso l'iter storico del fumetto in Italia e avere analizzato i motivi
dell'avversione degli studiosi verso di esso, lo rivaluta e lo fa rientrare a pieno titolo
nell'ambito della letteratura per l'infanzia e per la gioventù (Faeti, 1977).
Gradualmente si inizia a pensare in modo diverso al libro per bambini e per ragazzi, che
viene collocato all'interno del circuito dei media, ai quali - secondo A. Faeti - «oggi va
attribuita una parte così rilevante nel processo di evoluzione e di ridefinizione strutturale di
simile libro» (Faeti, 1977,1).
Tale "ambito" letterario si apre così ai nuovi linguaggi narrativi, cioè a quello filmico,
televisivo, del fumetto, mentre l'illustrazione diventa un settore sempre più importante per la
carica espressivo-comunicativa che assume (Valeri, 1967).
La narrativa per ragazzi, sotto l'influsso dell'evoluzione culturale e tecnologica, subisce
quindi una profonda metamorfosi, che vede la nascita di nuove scritture e di nuove strutture
narrative, nonché di nuove "forme libro" e di innovativi ed originali rapporti tra il testo e
l'immagine.
9 Cfr. Antonio Faeti (1998), La casa sull'albero. Orrore, mistero, paura, infanzie di Stephen King, Einaudi Ragazzi, EL,
Trieste. Oggi il tempo della lettura è anticipato, per cui il libro di King viene letto già a 10 - 12 anni. 10
U. Eco (1965), Apocalittici e integrati. Comunicazioni di massa e teorie della cultura di massa, Bompiani, Milano;
G. Genovesi (1977), Educazione alla lettura, Le Monnier, Firenze.
-
6
Attualmente la Letteratura per l'infanzia comprende una produzione vasta ed eterogenea,
rivolta ad un pubblico infantile, adolescenziale e di "giovani adulti" (young adults). Alcuni
studiosi ne parlano come di un "genere" letterario; in realtà tale termine è usato
impropriamente visto che in essa sono comprese opere assai diverse fra loro, provenienti da
filoni letterari molteplici (Tronci, 1996, 2). Altri critici invece usano altre denominazioni,
quali "forma letteraria" oppure "espressione letteraria", intendendo così sottolineare come
tale narrativa costituisca un'espressione letteraria a pieno titolo, seppure caratterizzata da
una sua specificità strutturale e stilistica dipendente dall'età del destinatario (Jan, 1967;
Doderer, 1977).
Di quest'ambito fanno parte in prima istanza le opere di narrativa in prosa ( fiaba, favola,
racconti e romanzi di generi diversi), in versi, in versione teatrale (testi teatrali per ragazzi)
e a "fumetti". Oggi sono sempre più diffuse le narrazioni "illustrate" - albi e libri illustrati -
che si rivolgono in prevalenza ai bambini di età prescolare e dei primi anni della scuola
elementare. Gli albi sono libri costituiti da sole immagini o in cui l'immagine ha una netta
prevalenza sul testo scritto, sotto l'aspetto sia quantitativo sia di significato. Si può parlare di
libro illustrato, invece, quando l'immagine è accompagnata da un testo scritto più corposo e
ricco. Attualmente anche in Italia, proprio come avviene già da tempo all'estero, gli albi e i
libri illustrati sono diventati dei prodotti così artisticamente raffinati e polisemici da essere
ritenuti adatti alla lettura anche di un pubblico adulto.
Rientrano nell'ambito della letteratura per l'infanzia - nonostante la denominazione sembri
escluderlo - pure i libri di divulgazione, i quali si prefiggono di diffondere il sapere storico,
geografico, scientifico e tecnologico tra i bambini, anche piccolissimi, e tra i giovani. Uno
dei motivi per cui tale tipologia di testi è inserita in questo settore è dovuto al fatto che nel
passato la divulgazione si esprimeva in forma narrativa; infatti le informazioni venivano
veicolate attraverso storie e racconti di impianto realistico ma anche fantastico. In molti
casi, però, questa divulgazione "narrata" risultava troppo ambigua e poco "scientifica", a
causa di un'equivoca commistione tra fantasia e realtà. Infatti la scienza, assumendo una
connotazione fantastica, finiva per confondersi con il racconto, mentre il linguaggio non
sempre era confacente all'oggettività richiesta dal sapere scientifico, seppur adattato ai
bambini.
Oggi questo settore divulgativo appare molto cambiato sotto il profilo grafico-strutturale e
linguistico-concettuale, in quanto si propone un accostamento al mondo del sapere più
oggettivo e, quando adotta la narrazione, lo fa in modi e forme che non tradiscono in alcun
modo la correttezza scientifica. Questa produzione viene ritenuta ancora di pertinenza della
letteratura per l'infanzia, alla quale però si richiede un raccordo con altre discipline, quelle
storico-scientifico-antropologiche.
Recuperando i contributi teorici sopra presentati, analizzando attentamente la produzione
contemporanea e pensando al destinatario delle opere di "letteratura per l'infanzia", cioè al
bambino e al ragazzo, si propone questo quadro di sintesi. Letteratura per l’infanzia
Produzione rivolta ad un pubblico di bambini, ragazzi, adolescenti e "giovani adulti" (young adults), di un'età compresa tra gli zero e i 16/18 anni.
a) opere destinate ai bambini e ai ragazzi, pensate e scritte intenzionalmente per loro fiabe, favole, novelle, racconti, romanzi di vario genere narrazioni in versi (conte, ninne-nanne, cantilene, filastrocche, poesie) opere di divulgazione storico-geografico-scientifico-tecnologica illustrazione e libri illustrati testi teatrali
-
7
narrazione a fumetti, audiovisuale e multimediale B) tutti gli scritti che vengono consumati da bambini e ragazzi, senza che siano prodotti
apposta per loro, o che vengono accolti dai lettori giovani, anche se sono scritti per adulti fiabe, favole, racconti e romanzi "classici" per adulti ridotti e adattati per l’età
evolutiva (Robinson Crusoe di Daniel De Foe, I Viaggi di Gulliver di Jonathan Swift, ecc.)
racconti e romanzi contemporanei (It di Stephen King, Il giovane Holden di Jerome David Salinger, Il gabbiano Jonathan Livingstone di Richard Bach, Siddharta di Herman Hesse, ecc.)
C) libri (romanzi, racconti, autobiografie) scritti da giovani scrittori per i giovani ad es. Marina Iraso (1999), Mi hanno lasciata indietro, ill. di Pia Valetinis; Marina Iraso (2000), La città sotto la sabbia, ill. di Pia Valentinis; Sara Boero (2001), L'estate del non ritorno, ill. di Nicoletta Ceccoli; Enrico Brizzi con Jack Frusciante uscito dal gruppo
D) Libri crossover, scritti in modo che siano fruibili sia dai giovani che dagli adulti
Dall'analisi della tabella emerge una nuova realtà narrativa caratteristica dei nostri tempi che
vede l'affermazione di giovanissimi scrittori, i quali rivelano un'originalità e una tecnica
narrativa inconsuete. Essi interpretano "dal di dentro" il mondo giovanile contemporaneo
del quale fanno parte, raccontando dal loro punto di vista la realtà che li circonda, in tutti i
suoi aspetti positivi e negativi; soprattutto essi svelano i loro misteriosi mondi interiori,
complessi e sfaccettati, conflittuali e continuamente mutanti. Questi giovani scrittori
rivelano uno stile maturo e pensato, nel quale si ritrova sia un ritmo narrativo coinvolgente
sia espressioni tipicamente giovanili, usate però senza alcuna forzatura. Riferendosi a
quest'ultimo tipo di produzione Orsetta Innocenti utilizza la dizione "letteratura giovanile",
la quale sembra effettivamente la più idonea a definire queste scritture giovanili (Innocenti,
2000).
Stiamo quindi assistendo ad una dilatazione e ad un cambiamento d'orizzonte della
Letteratura per l'infanzia, la quale ingloba al suo interno tipologie di scritti molto
differenziati tra loro, che hanno in comune solo il destinatario, cioè il lettore non adulto.
Questa notevole eterogeneità ha sollevato dubbi e perplessità, poiché ciò sarebbe all'origine
di equivoci e di fraintendimenti che riguardano sia l'identità di tale narrativa sia i criteri
interpretativi da utilizzare per la ricerca e la valutazione dei libri. Non a caso, quindi, questa
letteratura è stata definita come "letteratura senza tempo", oppure ancora «un oggetto
misterioso e cangiante, un insieme assai variegato di testi, non troppo omogeneo e
nemmeno chiaramente delimitabile, un complesso universo composto anche di elementi
extraletterari» (Tronci, 1996; Innocenti, 2000).
In effetti la Letteratura per l'infanzia e per l'adolescenza (o letteratura giovanile) ha questa
complessa identità, che le deriva anche dalla necessità di dover soddisfare i bisogni
esistenziali di peculiari destinatari, quali il bambino e il ragazzo.
-
8
La fiaba: contenuti, stile, adattamenti, valore educativo di Silvia Blezza Picherle
** Tutti i testi presentati di seguito sono già stati pubblicati in volumi e saggi e le indicazioni
bibliografiche si trovano a conclusione di ogni paragrafo. Per qualsiasi uso se ne voglia fare, si ricordi
che i testi sono protetti dal copyright.
1. Dagli adulti ai bambini11
La letteratura per bambini e per ragazzi, come complesso di opere scritte di proposito per
essi, conta più di due secoli di vita. Essa nasce nella modernità, quando si fa slittare verso
l’infanzia testi ormai improponibili e non più idonei per gli adulti, quando si recuperano in
forme colte elementi della narrativa popolare (i racconti delle fate nel Seicento francese) e
quando emerge nella società un intento di controllo sull’infanzia (Cambi, 1996).
Il discorso della letteratura giovanile si usa farlo cominciare proprio con Gianbattista
Basile, il quale pubblica una raccolta di fiabe in dialetto napoletano, Lo cunto de li cunti
overo lo trattenimento de’ peccerille, che verrà edita nel 1674 a Napoli con il titolo di
Pentamerone. Però, nonostante il titolo, l'opera è rivolta agli adulti. Tra le fiabe del volume
ne troviamo alcune molto note, come Cenerentola, il Gatto con gli stivali, La bella
addormentata nel bosco.
Il vero atto di nascita della Letteratura per l'infanzia lo si colloca invece nel 1697 con
Charles Perrault (1697 - 1703), il quale dà alle stampe una raccolta di fiabe, Contes de ma
mère l'Oye (I racconti di mamma l'Oca), scritte per le giovanette dell'epoca. Nel volumetto
erano raccolte La Bella Addormentata nel bosco, Cappuccetto Rosso, Barbablù, Il gatto con
gli stivali, Le fate, Cenerentola o La pantofolina di vetro, Righetto del Ciuffo, Pollicino.
Alla fine del Seicento le fiabe diventano genere di letteratura di moda tra gli adulti alla
corte di Parigi. La fortuna del “fatismo” (fiabe di fate) è dovuta proprio alle dame francesi,
alle donne intellettuali che tra il Seicento e il Settecento trovarono congeniale un genere che
era stato quasi sempre di tradizione femminile. Tale letteratura non era stata comunque
pensata per ragazzi.
Il Basile e il Perrault, senza alcuna intenzione di rivolgersi ai ragazzi o di creare una
"letteratura" ad essi rivolta, diedero il felice esempio di un possibile innesto o trapianto di
temi narrativi popolari, nati nell’oralità, nella letteratura.
La fiaba classica è stata originariamente una narrazione trasmessa in forma orale, rivolta
agli adulti, sebbene l’uditorio, colto o popolare che fosse, era composto anche da bambini e
da ragazzi. Con l’Illuminismo e con il trionfo della dea Ragione, i racconti fiabistici
appaiono frivoli e vengono “passati” ai bambini. Per cui, con gli opportuni “adattamenti”,
divenuti veri e propri stravolgimenti, diventano di fatto letteratura per l’infanzia. Nel
leggere e proporre fiabe ai bambini e ai ragazzi non dobbiamo mai dimenticare la loro
origine, comprendendo che la presenza in esse di tante tematiche pesante, scabrose e
orrorifiche, è dovuta al loro primo destinatario, l’adulto.
1.2 Tipologia di fiabe12
Con il termine fiaba si intendono vari tipi di composizioni scritte:
- La fiaba popolare è quella di estrazione etnico-popolare che intende trascrivere il più
fedelmente possibile la narrazione orale, così come viene proposta dalla viva voce dei
"contafiabe". Tra queste ricordiamo, ad esempio, le raccolte del Pitré, del Nerucci, ecc.
11
Tratto da: S. Blezza Picherle, Letteratura per l’infanzia. Ambiti, caratteristiche, tematiche, Libreria Editrice Universitaria, Verona 2003. 12
Tratto da: S. Blezza Picherle, Leggere nella scuola materna, La Scuola, Brescia 1996, pp. 198-200.
-
9
- La fiaba classica è quella di origine popolare in cui gli autori, pur dichiarando
espressamente di voler rimanere fedeli alla versione originale orale, di fatto nella
trascrizione scritta operano abbastanza liberamente. Essi, infatti, modificano il testo orale,
concedendosi quelle libertà dovute all'influsso della cultura del loro tempo ed alle loro
personali idee e valutazioni. Tra queste ricordiamo, ad esempio, le raccolte dei F.lli Grimm,
di G.F. Straparola, di G.B. Basile, di Afanasiev, di I. Calvino.
- La fiaba d'arte, d'autore o letteraria è quella che presenta tematiche nuove e non legate al
passato oppure, pur traendo motivi e temi dalla tradizione popolare orale, li rielabora poi in
un linguaggio letterario artisticamente raffinato e personale. Si tratta spesso di racconti nati
proprio come testi scritti ed in tutti i casi con una struttura ed un linguaggio che si
discostano fortemente dall'oralità. Tra queste si ricordano, ad esempio, le raccolte di H. C.
Andersen, di C. Perrault, di Hoffmann, di Hauff, ecc.
- Per fiaba moderna e/o contemporanea si intende ogni racconto fiabesco, che è
un'invenzione nuova ed originale dell'autore, sia per il contenuto sia per la struttura ed il
linguaggio. Essa, comparsa nell'800 con H. C. Andersen, è una composizione nata
volutamente ed esclusivamente per lo scritto e quindi adatta particolarmente ad essere letta
piuttosto che raccontata. Per G. Rodari la fiaba contemporanea è quella che «tenterà
d'inserire nella dimensione fiabesca cose, persone, problemi del nostro tempo: o che
semplicemente userà il linguaggio fiabesco per parlare, con i bambini di oggi, delle cose di
oggi: o che, muovendosi su la stessa linea, tenterà di rinnovare il linguaggio fiabesco» (in
M. Argilli, 1995). Tra gli autori di fiabe contemporanee troviamo, ad esempio, G. Rodari,
M. Argilli, L. Tumiati, S. Marianelli, R. Piumini, ecc.
- H. C. Andersen, ad esempio, è stato l’inventore della fiaba moderna e le sue sono
considerate fiabe d’arte o artistiche, proprio per l’originalità e la raffinatezza dello stile. C.
Perrault scrive fiabe “classiche” nei contenuti ma il suo stile prezioso e letterario fa sì che le
sue fiabe siano considerate d’arte o artistiche.
1.3 Una rappresentazione della vita13
a) Un mondo fantastico e meraviglioso
La fiaba classica di origine popolare è un racconto in prosa che si caratterizza per la sua
connotazione fantastica, cioè per l’essere imperniata sul “meraviglioso”. Essa ha
solitamente come protagonisti gli esseri umani, a differenza della favola, composizione per
lo più in versi, dove invece i personaggi principali sono animali che incarnano i vizi e i
difetti degli uomini.
Nel mondo fiabesco accadono avvenimenti straordinari, inseriti però in realtà consuete e
conosciute, come animali ed oggetti che prendono vita e parlano, oppure uomini che
comprendono la lingua degli animali, e così via. E straordinari sono anche molti personaggi,
come maghi, fate, streghe, orchi, draghi, gnomi, folletti, che spesso assommano in sé
caratteristiche umane e bestiali. Ricordiamo, ad esempio, rifacendosi alle fiabe venete,
l’Orco, un uomo enorme nero che aspettava i passanti sulla strada a gambe larghe, o il
Salbanelo-Massariol, spiritello dispettoso che scombina i piani e complica la vita
quotidiana, o ancora le Anguane, fate protettrici, creature dell’acqua con le vesti come onde
e i capelli simili ad alghe verdi (Coltro, 1987).
13
Tratto da: S. Blezza Picherle, La fiaba classica di origine popolare: narrazione e metafora dell’esistenza, in M.
Gecchele (a cura di), Il Veneto e la cultura contadina e popolare fra passato e presente, CentroStudiCampostrini,
Verona 2008, pp. 37 – 52.
-
10
Nelle fiabe non mancano altri aspetti fantastici e prodigiosi, cioè le formule e i doni
magici, che permettono all’eroe di superare le prove più dure e più ardue del suo viaggio
esistenziale. In particolare gli “oggetti segnale” o “doni magici” (la focaccia, la scodella, la
scarpina, la bacchetta, la lampada, l’anello, ecc.) indicano subito che si produrrà qualche
inatteso cambiamento e qualche strana trasformazione (Solinas Donghi, 1976). Secondo
Lüthi questi doni non sono considerati come dei mezzi finalizzati a soddisfare i bisogni
dell’eroe-protagonista o ad aiutarlo a sollevarsi dalle difficoltà economiche, bensì
costituiscono delle occasioni, stimoli o aiuti che il destino gli fa trovare o elargisce affinché
si compia l'avventura (Lüthi, 1982). Nonostante queste fantastiche straordinarietà, per Roger
Caillois il fiabesco è un universo meraviglioso dove gli incantesimi e le magie sono
considerati tanto naturali da non stupire il lettore (Caillois, 1985).
La specificità del racconto fiabesco è data però non solo dai contenuti tematici, ma anche,
come sostiene J.R.R. Tolkien, dall’atmosfera. Per lui la fiaba è
un reame che contiene molte altre cose accanto a elfi e fate, oltre a gnomi, streghe, trolls, giganti e draghi: racchiude i
mari, il sole, la luna, il cielo, e la terra e tutte le cose che sono in essa, alberi e uccelli, acque e sassi, pane e vino, e noi
stessi, uomini mortali, quando siamo vittime di un incantesimo (Tolkien, Albero e foglia, 1976, pp. 14 – 15).
Con queste parole lo scrittore intende dire che non è il solo contenuto a rendere la fiaba
specifica nel suo genere, quanto piuttosto il suo aspetto qualitativo, cioè l'atmosfera di
magia e di meraviglia che vi domina.
b) Rappresentare l’esistenza
La fiaba però, ed in questo concordano scrittori e studiosi di diversa estrazione disciplinare,
nonostante la sua dimensione fantastica, è fortemente correlata alla vita vera, così
problematica, difficile e conflittuale nella sua essenza.
M. Lüthi sottolinea come la fiaba popolare europea, a differenza della leggenda, non
intenda interpretare, spiegare, abbellire o trasfigurare il mondo. Essa quindi non intende
mostrarci come le cose dovrebbero andare nel mondo, quanto piuttosto come esse stanno in
realtà. La sua tipica caratteristica consiste quindi nel riuscire a rappresentarle in modo
trasparente e chiaro, mentre nella vita esse appaiono intricate e complesse. La fiaba «non è
la poesia di come dovrebbe essere il mondo, nel senso che ce ne mostra uno solamente
possibile, un mondo che - contrariamente a quello reale - è così come dovrebbe essere, e sul
quale si misura il mondo reale (...); non simula innanzi ai nostri occhi un bel mondo nel
quale, per alcuni attimi, possiamo ristorarci lo spirito, dimenticando ogni altra cosa (...). La
fiaba intende piuttosto contemplare ed esprimere con le parole come le cose stanno in realtà
in questo mondo (...), non ci mostra un mondo in ordine, ci mostra il mondo in ordine. (...)
Anche agli orrori e le brutture della vita (morti, atrocità, prove) trovano una loro
collocazione, cosicché tutto risulti in ordine» (Lüthi, 1982, pp. 110 – 111). Bruno
Bettelheim, che ha analizzato alcuni racconti fiabeschi con criteri psicoanalitici, ritiene che
la fiaba pone gli adulti ed i bambini di fronte ai principali problemi esistenziali, cioè
l'amore, la gelosia, l'abbandono, la separazione, il bisogno di essere amato, la paura di non
essere considerato, la vecchiaia, la morte, e lo fa in un modo chiaro, essenziale e conciso
(Bettelheim, 1982). Ed il messaggio che essa può trasmettere, ai grandi ma soprattutto ai
piccoli, è «che la lotta contro le gravi difficoltà della vita è inevitabile, è una parte
intrinseca dell'esistenza umana, che soltanto chi non si ritrae intimorito ma affronta
risolutamente avversità inaspettate e spesso immeritate può superare tutti gli ostacoli e alla
fine uscire vittorioso (...); che una vita gratificante e positiva è alla portata di ciascuno
nonostante le avversità, ma soltanto se non si cerca di evitare le rischiose lotte senza le quali
nessuno può mai raggiungere una vera identità» (Bettelheim, 1982, pp. 13-14).
-
11
Pure lo scrittore Italo Calvino, nell’introduzione alla sua raccolta di Fiabe Italiane, ritiene
che le fiabe sono vere, in quanto forniscono in forma simbolica una spiegazione generale
della vita (Calvino, 2002, p. XXII). Infatti esse costituiscono una sorte di «catalogo dei
destini che possono darsi ad un uomo e ad una donna» nel corso della loro esistenza, «dalla
nascita che sovente porta con sé un auspicio o una condanna, al distacco dalla casa, alle
prove per diventare adulto e poi maturo, per confermarsi come essere umano» (Calvino,
2002, p. XV). Nei racconti fiabeschi, sottolinea Calvino, si ritrovano tutti i grandi problemi
e le difficoltà esistenziali che gli esseri umani hanno incontrato ed incontreranno nel loro
cammino terreno. A livello più generale essi raccontano «la drastica divisione dei viventi in
re e poveri, ma la loro parità sostanziale, nonché la persecuzione dell’innocente e il suo
riscatto come termini di una dialettica interna ad ogni vita»(Calvino, 2002, p. XV). In essi si
narra anche l’eterna lotta tra il bene e il male, tra la bontà e la cattiveria, tra la vita e la
morte, tra la fortuna e le avversità, nonché il continuo conflitto umano tra il
condizionamento e la libertà, mettendo in rilievo «la comune sorte (degli uomini) di
soggiacere a incantesimi, cioè di essere determinati da forze complesse e sconosciute, e lo
sforzo compiuto per liberarsi e autodeterminarsi, inteso come dovere elementare, insieme a
quello di liberare gli altri, anzi il non potersi liberare da soli, il liberarsi liberando» (Calvino,
2002, p. XV). In questa narrazione di origine popolare si trova racchiusa inoltre tutta la
filosofia di vita della povera gente, che si svolge, come sottolinea Dino Coltro, «tra due
estremi contrapposti: la paura della morte, della fame, della miseria, del proprio “essere
uomini” dentro un destino prefissato e la speranza nella vita eterna, nella buona sorte,
cercata nella fortuna, assicurata dal lavoro, confermata dal guadagno, senza rifiutare le
prove, la fatica, il dolore» (Coltro, 1987, p. 37).
La fiaba, pur nella sua essenzialità ed asciuttezza, ci pone di fronte alle grandi passioni
che connotano l’animo umano, molte delle quali negative (la paura, la solitudine, il dolore,
l’invidia, la gelosia, la cattiveria, l’odio, ecc.,), perché creano sofferenza interiore ed
originano pesanti conflittualità interpersonali. Non mancano però i sentimenti positivi e
gioiosi come «l’amore incontrato prima di conoscerlo e poi subito sofferto come bene
perduto; la fedeltà a un impegno e la purezza di cuore come virtù basilari che portano alla
salvezza e al trionfo; la bellezza come segno di grazia, ma che può essere nascosta sotto
spoglie d’umile bruttezza come un corpo di rana» (Calvino, 2002, p. XV).
Alla luce di quanto detto sopra, possiamo considerare la fiaba come un autentico racconto
d’avventura, non solo a livello della struttura e dell’intreccio14
, ma anche per quanto
riguarda i significati esistenziali che racchiude in sé. Essa infatti trasmette l’idea che la vita
è un lungo viaggio avventuroso, irto di pericoli ed insidie, di ostacoli e tranelli, in cui
l’uomo deve scegliere secondo ragione e cuore, imparando a cogliere le migliori
opportunità. Tutto ciò al fine di costruire la propria esistenza nel modo più libero possibile,
oltre i condizionamenti che oggettivamente vincolano gli uomini, soprattutto quelli più
poveri e sprovveduti.
c) Il legame con il contesto socio-culturale
La fiaba di origine popolare può essere definita “vera” non solo perché fornisce una
rappresentazione ed una spiegazione della vita, ma per il suo essere un documento storico,
14
Max Lüthi ritiene che la fiaba popolare europea abbia la struttura tipica del “racconto di avventura”, perché imperniata
sull’azione e sul succedersi degli avvenimenti. Per questo «pone i suoi eroi in luoghi lontani e pericolosi e non si fissa
sul tesoro, sul regno o sulla sposa che alla fine vengono conquistati, bensì sull’avventura in sé». Per cui tutti i
personaggi vanno considerati all’interno di questa linea dell’azione, tanto che il protagonista, di solito sopravvalutato
nel suo ruolo principale, è soltanto una figura al servizio dell’azione (M. Lüthi, La fiaba popolare europea. Forma e
natura, Mursia, Milano 1979, pp. 108 – 110).
-
12
in quanto ricca di informazioni sulla realtà sociale ed economica di ben precisi luoghi e
periodi storici. «La storia – scrive Giorgio Cusatelli – spesso invade la fiaba in modo
drammatico, mettendo a nudo, a conferma della datazione medioevale della maggior parte
dei testi, la condizione della servitù della gleba, e più in generale, le strutture economiche
del mondo feudale» (Cusatelli, 1994, p. 8). Ad esempio, continua lo studioso, la carestia
descritta all’inizio del Pollicino15
di Perrault (1697) ricorda quella vera e ben più
drammatica di Angers del 1683, mentre la povertà e la miseria di cui parlano molte fiabe
(Hansel e Gretel, ad esempio) non fa che rispecchiare la triste realtà esistenziale dei
contadini e dei poveri artigiani. Anche i cibi citati nei più famosi racconti fiabeschi di
origine popolare documentano la realtà storico-economica del periodo medioevale, in cui
prevale l’attività agricola, l’allevamento su base familiare, la caccia ed in misura minore la
pesca. La presenza nel testo di cibi ed animali particolari, come le patate ed i tacchini ad
esempio, consentono inoltre di descrivere l’ambiente geografico con maggiore precisione
(Cusatelli, 1994, pp. 19-32).
Molti dei racconti fiabeschi più noti, attraverso le migrazioni dei popoli e il viaggiare
itinerante dei contastorie, hanno attraversato i diversi paesi europei, sino ad approdare in
altri continenti. Ecco perché possiamo trovare fiabe molto simili alle nostre europee, per il
contenuto e la struttura, in India o nei paesi asiatici e africani. Secondo S. Thompson, la
«grande somiglianza di contenuto tra i racconti di popoli diversi testimonia la sorprendente
e sconcertante disseminazione in tutte le parti del mondo degli stessi tipi di fiaba e degli
stessi motivi narrativi» (Thompson, 1967, p. 21). Però, in questo lungo cammino, il testo
fiabesco si modifica gradualmente, nel senso che si carica della vita del luogo in cui viene
narrato, riflettendo quindi le abitudini, i costumi, le tradizioni di un preciso ambiente
geografico e sociale. Secondo Lella Gandini non cambiano le strutture, i personaggi o le
vicende, bensì l’elaborazione degli “ingredienti” e le caratteristiche dello sfondo ambientale,
compreso il linguaggio. «La regione o il luogo dove vengono narrate se ne appropriano e le
trasformano facendole diventare parte della propria cultura. E’ così che le fiabe diventano
regionali e mantengono attraverso il tempo un sapore e dei saperi distinti» (Gandini, 1999,
p. 68).
La fiaba dunque, sia essa originaria del posto o proveniente da realtà lontane, «è soggetta
ad assorbire qualcosa del luogo in cui è narrata, un paesaggio, un costume, una moralità, o
solo un vaghissimo accenno o sapore di quel paese» (Calvino, 2002, p. XXI). Ed anche la
trasposizione scritta, seppure affievolisca i toni dell’espressione orale, «non arriverà mai a
cancellare il suo carattere nativo, perché riflette il modo di parlare, di vivere, di lavorare
della gente di una particolare zona geografica» (Coltro, 1987, p. 29).
Le fiabe venete ad esempio, secondo Giorgio Saviane, riflettono «la forza della montagna
e la malinconia della pianura, connotati di una popolazione incline a essere riservata e
insieme impulsiva, concreta ed anche un po’ matta» (Coltro, 1987, pp. 5-6). In queste
narrazioni fiabesche il popolo veneto appare in tutta la sua complessa identità, cioè
conservatore e ribelle, duro e forte, coraggioso e tenace, disposto a sacrificarsi per
migliorare la vita, profondamente religioso, con un forte senso dei legami familiari.
Secondo Coltro nelle fiabe venete è fortemente presente innanzitutto la povertà, la miseria,
la disoccupazione che quelle genti hanno sempre dovuto patire. Si tratta di una «povertà
dura, anche se non disperata», in quanto i contadini veneti alla miseria si rassegnano, magari
scherzandoci su, o combattendola con l’astuzia o con l’ausilio di poteri o oggetti magici
(Coltro, 1987, pp. 31, 21). Allora il viaggio, l’”andare per il mondo”, non assume solo un
15
«Capitò un’annata assai brutta, e la carestia si fece tanto sentire che quei poveri sposi decisero di disfarsi dei loro
figlioli».
-
13
valore iniziatico ma diventa anche un preciso richiamo al cammino d’emigrazione
intrapreso per sopravvivere o migliorare le condizioni di vita, un viaggio che ha lo scopo di
incontrare la fortuna, cioè una vita migliore (Coltro, 2002, pp. 40, 42).
Si tratta di fiabe, continua Coltro, nelle quali si ritrovano tutte le credenze popolari, anche
quelle più antiche, ed in cui si rispecchia il profondo senso religioso delle genti venete, da
quello più arcaico e pagano a quello cristiano, nonché il loro pensiero morale e la filosofia
di vita. Il popolo contadino crede che ognuno sia segnato, fin dalla nascita, dal destino e
che soltanto qualcuno riesce ad incontrare la fortuna ed a sciogliere i legami della sorte,
magari attraverso i doni magici, ma più spesso attraverso prove durissime (Coltro, 1987,
pp., 37, 38). Predomina quindi un profondo senso di “fatalismo”, nel momento in cui ci si
affida alla divina Provvidenza, accettando il destino che il buon Dio ha assegnato a
ciascuno. In questa prospettiva culturale, secondo Coltro, la rassegnazione appare una virtù
che acquista il sapore di un sacrificio, sebbene ad essa si reagisca spesso, allontanandosi da
casa per sfidare la sorte e cercare la fortuna.
1.4 Caratteristiche formali della fiaba classica di origine popolare16
Le fiabe classiche non sono una pura e semplice traduzione o trasposizione letterale
dall'orale allo scritto. Si tratta piuttosto di una trascrizione letteraria, che comporta
necessariamente un “prosciugamento dell'oralità”, in quanto molti elementi della narrazione
orale o vengono perduti o vengono modificati (Lavinio, 1993). Gli autori, ad esempio,
cambiano i tempi verbali oppure procedono ad integrazioni ed aggiunte (aggettivi, pronomi)
per arricchire letterariamente il testo. Anche i F.lli Grimm, nonostante si fossero dichiarati
fedeli trascrittori della “voce narrante popolare”, non riprodussero fedelmente l'oralità;
infatti essi rielaborarono i testi secondo criteri stilistici propri, effettuando cambiamenti,
tagli e censure (Pisanty, 1993). Pure I. Calvino con le sue Fiabe Italiane ha lavorato in
modo simile ai Grimm in quanto, se da una parte ha cercato di rimanere fedele alla
narrazione orale, dall'altra ha conferito all'intera raccolta un'omogeneità in cui si
evidenziano il suo gusto ed il suo stile personali.
Le fiabe classiche di origine popolare, nonostante i cambiamenti e le modifiche che
presentano rispetto alla versione originale dei narratori orali, conservano ancora, seppur in
diversa proporzione nei vari autori, molti elementi caratteristici e tipici della fabulazione
orale. Tra i tanti, ad esempio, ne ricordiamo alcuni.
- Le formule fisse di apertura e di chiusura, tra le quali, ad esempio, le seguenti molto
conosciute: «C'era una volta»; «Nei tempi antichi c'era un re»; «In un paese molto molto
lontano una volta»; «E così vissero felici e contenti»; «Larga la foglia, stretta la via, dite la
vostra che ho detto la mia». In particolare le formule iniziali consentono al lettore di
riconoscere immediatamente il genere e di attivare quindi lo schema mentale adatto per
avviare l'interpretazione (Pisanty, 1993).
- Le ripetizioni e riprese di parole o di versicoli all'interno della narrazione stessa. Si
ricordi, ad esempio, la classica espressione: «E cammina, cammina, cammina», oppure i
seguenti versi famosi: «Raperonzolo, t'affaccia, lascia perder la tua treccia!», «Dal muro,
specchietto, favella: nel regno chi è la più bella?». Tali ripetizioni servivano al narratore per
molteplici scopi: per riempire le pause mentre cercava un'altra idea, per favorire la
memorizzazione, per consentire al destinatario di orientarsi con una certa facilità all'interno
della fiaba (Pisanty, 1993).
16
Tratto da: S. Blezza Picherle, Leggere nella scuola materna, La Scuola, Brescia 1996, pp. 199 – 201.
-
14
- Il dialogo che nei testi orali è un mezzo importante cui viene affidata la ritmicità del
racconto. Il “dialogato” serve soprattutto per restituire allo scritto la dimensione
"drammatico-teatrale" che caratterizza e rende molto tipico ed originale il racconto orale di
ogni singolo narratore (Lavinio, 1993).
In particolare V. Propp, che ha studiato una serie di fiabe popolari russe di magia, ha
rinvenuto una profonda analogia tra di esse per quanto riguarda la loro struttura
morfologica. Egli sostiene infatti che la fiaba «è un racconto costituito da una serie limitata
di movimenti e sequenze narrative ordinate secondo un rigoroso sviluppo sintagmatico». Lo
schema compositivo della fiaba è dato infatti dall'avvicendarsi di varie funzioni, cioè dei
vari atti/azioni che un personaggio può compiere (ad esempio, allontanamento, infrazione,
delazione, danneggiamento, partenza, lotta, ritorno, ecc.). In questo caso l'identità dei
personaggi è variabile, in quanto ad esempio, la funzione del «divieto» può essere sostenuto
indifferentemente dalla mamma di Cappuccetto Rosso o da Barbablù o da altri ancora. Le
funzioni elencate dal Propp sono trentuno, ma in ogni fiaba ne compare solo un numero
minore. Ciò che conta infatti non è la quantità delle stesse, quanto l'ordine in cui si
presentano nel racconto. Ad esempio, l'allontanamento avviene sempre e solo all'inizio della
fiaba e mai in un altro punto della stessa. Perciò le fiabe prese in esame dal Propp
presentano tutte più o meno la successione di uno stesso schema: succede un avvenimento
che arreca un danno o crea un problema (una disgrazia, un furto, un rapimento, un
assassinio, una trasgressione); entra in azione un eroe, che affronta le difficoltà e le prove,
anche con l'aiuto di mezzi magici; la situazione si risolve positivamente con la vittoria del
protagonista, che viene premiato in contrapposizione con l'antagonista che viene invece
punito.
Secondo Beatrice Solinas Donghi la fiaba è un racconto di avventure con dei precisi
congegni narrativi che procede «in un succedersi di aspettative realizzate e di sorprese
prevedibili come rime; di tensione e risoluzione, sistole e diastole». M. Lüthi rileva come
nello sviluppo della trama, si nota che la fiaba è, per la sua specifica struttura, un racconto
di avventura, imperniato sull'azione e sul succedersi degli avvenimenti. Per questo motivo
essa «pone i suoi eroi di fronte a grandi compiti, li invia incontro a lontani pericoli, e, in
fondo, il suo interesse non si fissa sul tesoro, sul regno o sulla sposa che alla fine vengono
conquistati, bensì sull'avventura in se stessa». Anche i doni magici che l'eroe riceve non
sono considerati come dei mezzi per soddisfare i suoi bisogni o per sollevarsi dalle difficoltà
economiche, bensì come occasioni, stimoli o aiuti che il destino gli fa trovare o elargisce
affinché si compia l'avventura. In tal senso quindi anche i personaggi vanno considerati
all'interno di questa avventura e secondo la precisa linea dell'azione che vi si sviluppa. Per
cui, secondo Lühti, il protagonista, che in genere viene sopravvalutato per il suo ruolo
prestigioso, in realtà sarebbe da considerare a livello paritetico rispetto alle altre figure
secondarie, perché, proprio come loro, serve solo per sostenere l'azione avventurosa. Infatti,
all'interno dell'azione narrativa fiabesca, anche i personaggi secondari mantengono una loro
autonomia, perché rappresentano importanti possibilità esistenziali. Inoltre la fiaba
(soprattutto quella popolare di origine europea) è a tutti gli effetti un racconto di avventura,
anche perché non si sofferma a descrivere né gli uomini né gli animali né gli ambienti. Ai
personaggi, rileva ancora M. Lüthi, manca infatti lo spessore corporeo e la profondità
psichica, nel senso che non si descrivono i cambiamenti del corpo o le malattie, né
tantomeno di parla di emozioni, sentimenti o qualità che si esprimono invece soprattutto
attraverso le azioni.
La fiaba classica, secondo B. Solinas Donghi, come ogni altro racconto letterario, per
poter funzionare come "meccanismo", deve servirsi di particolari congegni narrativi. Si
-
15
tratta di trovate ed espedienti, correlati all'immaginazione e alla fantasia, che, inseriti
all'interno della narrazione, aprono la strada all'avventura e consentono lo svolgersi
insperato degli avvenimenti. Sono vere e proprie “molle” del racconto, le quali fanno
scattare determinati sviluppi ed eventi. C'è, ad esempio, tutta la categoria dei divieti (la
stanza segreta), stringenti ed autorevoli, che però "devono" essere trasgrediti. Oppure vi
sono i famosi oggetti segnale o i doni magici (la focaccia, la scodella, la scarpina, la
bacchetta magica, la lampada, l'anello), i quali indicano subito che si produrrà qualche
cambiamento inatteso e trasformazione strana. Altri esempi di simili trovate narrative sono i
seguenti: il ballo; la cenere e la sporcizia come travestimento, simboli della caduta in basso
e preludi di un riscatto finale; la morte o la scomparsa della madre, che lascia i figli in balia
a difficoltà ed ingiustizie; la reclusione della fanciulla nella torre, come premessa per
l'incontro con un innamorato, che trova il modo di rompere la clausura; la fuga magica,
accompagnata dalle varie trasformazioni degli inseguitori e dagli imprevedibili ostacoli da
superare.
1.5 Tra conformismo e sovversività17
La fiaba viene vista di solito come un racconto finalizzato alla conservazione delle
tradizioni ed alla creazione di un modo di vivere conformistico, dove si accetta lo status
quo. Ecco perché, sia nelle fiabe europee che in quelle regionali italiane, vengono esaltati gli
atteggiamenti acquiescenti del popolo, in particolare la rassegnazione di fronte
all’ingiustizia sociale, confidando in un compenso oltremondano più che in un’eguaglianza
terrena. Eppure il racconto fiabesco, lungi dall’assumere una mera funzione conformativa e
consolatoria, è sempre stato, soprattutto nelle narrazioni orali e nelle migliori e più fedeli
trascrizioni, il “luogo” della trasgressività.
Secondo la studiosa Alison Lurie le fiabe popolari sono dei testi sovversivi, in quanto
molto spesso, sebbene in forma mascherata, difendono i diritti della popolazione più debole
(i poveri, le donne, i bambini) contro il sistema vigente e l’ordine costituito (Lurie, 1993,
pp. 25-34). Si tratta di un aspetto importante e significativo, presente soltanto nelle
trascrizioni che sono rimaste fedeli alla versione orale, nella quale i contastorie, fossero essi
dei poveri contadini o delle donne, si prendevano la rivincita nei confronti del potere
opprimente e dell’emarginazione sociale. Per quanto va sottolineato che questa tensione
sovversiva non si trasforma in agire, in quanto, secondo Lombardi Satriani, «la denuncia e
la protesta si svolgono nella sfera dell’immaginario e la rabbia si scarica nella protesta di
tipo fantastico, ritornando alla vita quotidiana sgombri dal malessere accumulato» Coltro,
1987, p. 26.
Anche nelle fiabe venete l’ordine vigente non è accettato passivamente, in quanto «non
sempre il povero accetta una disuguaglianza “sfuggita di mano al Padreterno”», cosicché
non è raro scoprire nei testi uno spirito sovversivo che capovolge i ruoli della società reale
(Coltro, 1987, p. 43). L’uomo vuole quindi spezzare le catene del destino o cercando il
“dono magico” o allontanandosi da casa, al fine di sfuggire alle condizioni di miseria cui
sembra condannato. Ma la disuguaglianza sociale e lo strapotere dei ricchi si combatte
soprattutto con l’astuzia, che diventa l’arma di difesa contro i soprusi e le ingiustizie, capace
di capovolgere una realtà predestinata e “sofferta” (Coltro, 1987, pp. 39, 42).
17
Tratto da: S. Blezza Picherle, La fiaba classica di origine popolare: narrazione e metafora dell’esistenza, in M.
Gecchele (a cura di), Il Veneto e la cultura contadina e popolare fra passato e presente, CentroStudiCampostrini,
Verona 2008, pp. 37 – 52.
-
16
L’aspetto indubbiamente più trasgressivo delle fiabe popolari è rappresentato dal ruolo
forte ed intraprendente che in essa rivestono le donne. Già Italo Calvino notava come una
vecchia narratrice siciliana, l’analfabeta Agatuzza Messia, «facesse muovere personaggi
femminili attivi, intraprendenti, coraggiosi», apertamente contrastanti con l’idea di donna
passiva e chiusa, tipica della Sicilia (Calvino, 2002, p. XXIX). Aspetto questo che si ritrova
in molte fiabe classiche, non solo di origine europea, dove le donne sono altrettanto abili ed
attive degli uomini. Basti pensare, scrive la Lurie, al fatto che è stata Gretel e non Hansel a
sconfiggere la strega, mentre l’eroe o l’eroina sono per lo più soccorsi da una fata-madrina o
saggia donna, ed a creare guai è sempre una strega o una perfida matrigna (Lurie, 1993, p.
27). Sono stati i successivi adattamenti che hanno modificato i tratti femminili, in modo che
il personaggio rispondesse ad un modello ideale di donna.
Oggi troviamo sul mercato nuove edizioni di fiabe europee ed extraeuropee, spesso
magnificamente illustrate, nelle quali si scopre un'interessante rappresentazione della figura
femminile, inedita rispetto a quella delle fiabe tradizionali. In esse compaiono delle vere e
proprie eroine, forti ed intraprendenti, che non accettano la sottomissione al padre o al
signorotto di turno, ma trovano il coraggio di affrontare prove ardue pur di ottenere la
libertà.
Queste figure decise e dinamiche, spesso vincenti, dimostrano una viva intelligenza e una
fine astuzia, oppure una pensosa saggezza, non disgiunte quasi mai dalla bellezza e dal
fascino.
- Giovane donna preferisce il caldo o il freddo? –
Lei capì che quella domanda era molto importante, e che doveva pensare attentamente alla risposta.
- Caldo o freddo - pensava. - E' facile rispondere: il caldo… perché il freddo può far morire, mentre il caldo dà la vita…
Però, se penso bene a quello che ho passato, lassù nel mondo caldo… Chura è stato trattato male e punito: solo io gli
voglio bene… Il Mondo di Sotto fa paura a tutti, ma qui ho incontrato più gentilezza che in quello lassù, dove brilla il
sole -.
Alla fine guardò i vecchi negli occhi, e disse: - Il freddo. - (…) Sei stata saggia, Marwe, - dissero i tre vecchi, e a turno
misero le mani nel vaso, e la caricarono di altri tesori.
(B. Doherty, Storie di meraviglia (1997), ill. J. Wijngaard, EL, Trieste 2000, pp. 25, 26).
Le protagoniste di molte fiabe, pur conservando i loro intimi tratti femminili, si
trasformano in veri e propri cavalieri che lottano contro nemici terribili e insidiosi, non solo
con la volontà ma anche con una grande forza fisica. Sono donne che non aspettano di
essere salvate, ma diventano loro stesse le salvatrici, perché combattono contro le magie e
gli incantesimi malefici. Esse però, a differenza degli uomini, non sono spinte dalla volontà
di potere o dal desiderio della vittoria, bensì dall'amore, dalla passione e dal senso di
giustizia. Riescono inoltre a contrastare e a raggirare lo strapotere dei nobili ricchi e potenti
con l'astuzia, la saggezza, la lungimiranza, come pure con il possesso di poteri magici.
Gran parte di queste eroine rivelano il coraggio della sovversione nel momento in cui
rifiutano di accettare quelle abitudini che, seppure consolidate nella tradizione, risultano
lesive della loro dignità. Come accade ad una bella ragazza, abitatrice misteriosa di un lago,
che trova il coraggio di abbandonare il marito dopo essere stata ingiustamente percossa,
nonostante egli le avesse promesso che mai l’avrebbe fatto.
- Mi vuoi sposare? –
Lei pensò per qualche tempo, chinata sull’acqua, e poi gli disse: - Sarò la tua sposa fino a quando mi colpirai tre volte
senza ragione. (…) La donna che il giovane aveva scelto era una buona moglie, affettuosa e lavoratrice. Teneva la casa
ben pulita e lo aiutava nella fattoria. Passarono gli anni, e diventarono ricchi. Nacquero tre figli: chi avrebbe potuto
essere più felice?
(B Doherty, Storie di meraviglia, (1997), ill. J. Wijngaard, EL, Trieste 2000, pp. 10 – 15 passim).
-
17
Ma il marito la colpisce una volta, due volte, e sempre per futili motivi, cosicché, dopo
averlo inutilmente messo in guardia, la terza volta decide di andarsene per sempre, lasciando
costernato e solo per tutta la vita.
Allora lei lasciò andare il cavallo e guardò il marito, diventando pallida come la luna. Poi si voltò e scappò via come un
puledro selvatico, e mentre correva chiamava gli animali (…). E quando lei arrivò al lago ci corse dentro, e tutti gli
animali la seguirono, e scomparvero assieme a lei nelle acque profonde.
L’uomo era rimasto immbile, a guardare, e non poteva credere di essere rimasto solo. E ogni giorno tornava triste a
sedere sulla riva del lago, guardando per ore e ore l’acqua, in attesa di rivedere la moglie. Qualche volta, alla fine dei
pomeriggi d’estate, gli sembrava di vedere nell’argento quieto della superficie la sua faccia che lo guardava, ma forse
era solo un suo pensiero.
Lei non tornò più a fargli compagnia, in quella casa solitaria vicino al lago silenzioso, in mezzo alle montagne brune.
(B Doherty, Storie di meraviglia, (1997), ill. J. Wijngaard, EL, Trieste 2000, pp. 14, 15).
Come si è visto, i personaggi femminili più autentici della fiabe popolari sono dotati di
forza fisica e psicologica, di astuzia e saggezza, di coraggio e intraprendenza, tutte doti
squisitamente femminili che i compilatori di fiabe hanno per lo più omesso, probabilmente
per trasmettere un’immagine ideale di donna che fosse rispondente alle aspettative sociali.
1.6 Modalità di rielaborazione18
Gran parte dei compilatori di fiabe hanno operato “silenziosamente” gravi omissioni e
deformazioni, considerando quasi necessaria l’eliminazione di alcuni elementi considerati
immorali e inadatti ai bambini: le parti che si riferiscono al sesso e alla morte; le descrizioni
ritenute brutali o crudeli; le battute e le espressioni considerate troppo grossolane. Così la
produzione per bambini è spesso il frutto di rifacimenti e di alterazioni profonde della
versione integrale del testo fiabesco (Salviati,1981).
Queste operazioni di riduzione e di adattamento, che modificano profondamente il testo a
livello strutturale e linguistico, sono ormai una consuetudine "negativa" nella letteratura per
ragazzi. Ciò accade perché si pensa - erroneamente - che la letteratura per ragazzi possa
essere manipolata in tutti i modi per "scopi educativi". Spesso la fiaba diventa un’imitazione
sciocca e leziosa: si eliminano alcune parti; si immettono elementi (episodi, personaggi,
ambienti) che non sono presenti nel racconto originale; si trasformano le caratteristiche
fisiche e psicologiche dei personaggi; si riscrive la fiaba con parole diverse immiserendola e
impoverendola; si cristallizza il testo in un linguaggio stereotipato e banale; si modificano i
dialoghi e le frasi; si eliminano temi, motivi o elementi venuti da un lontano passato; si fa
assumere al racconto un tono paternalistico (Salviati, 1981; Blezza Picherle, 1996; Denti,
1999; Tolkien, 2000; Cassini, 2002).
In una ricerca Carla Ida Salviati ha approfondito lo studio degli interventi testuali nelle
fiabe evidenziano i diversi tipi: la riduzione, la correzione, l’attenuazione, la censura e
l’aggiunta (Salviati, 1981).
a) Riduzioni e adattamenti
L’intervento di riduzione altera il testo originale tendendo a riassumere ciò che l’autore ha
detto in modo più ampio, oppure opera anche dei veri e propri tagli realizzando lacune più o
meno rilevanti sul piano narrativo. Chi si accinge a ridurre un testo si pone la discriminante
della lunghezza, cui spesso è legato per esigenze editoriali. Talvolta il riduttore rischia però
di produrre un testo pesante, in cui viene meno l’agilità e la scorrevolezza della versione
integrale (Salviati, 1981; Cassini, 2002). È inoltre difficile verificare se la riduzione è
dovuta ad esigenze editoriali oppure ad una precisa idea pedagogica che mira a celare 18
Tratto da: S. Blezza Picherle, Letteratura per l’infanzia. Ambiti, caratteristiche, tematiche, Libreria Editrice Universitaria, Verona 2003, pp. 68-75.
-
18
volutamente determinati contenuti. In realtà la riduzione può essere valida (anzi è necessaria
per i lettori più piccoli) solo nei casi in cui stempera ed attenua gli episodi e le descrizioni
particolarmente paurosi, angoscianti, orrorifici, truculenti o macabri, purché non rovini o
non snaturi la fiaba stessa (Blezza Picherle, 1996).
La correzione consiste nell’alterazione del testo originale qualora esso manifesti delle
incongruenze sul piano narrativo e logico. È curioso come molti curatori sentano il "dovere"
di correggere tutto ciò che nel racconto fiabesco pare incongruente con la logica del
quotidiano. Con una attenta lettura comparata è possibile individuare molti esempi in cui i
curatori hanno corretto con meticolosità alcuni episodi o espressioni ritenuti incongruenti.
Biancaneve dei F.lli Grimm dorme nel «settimo letto», mentre nelle versioni riadattate di
dice che «si coricò sui lettini». In una versione della fiaba I tre capelli d’oro del diavolo dei
F.lli Grimm la «scatola che, gettata in un profondo corso d’acqua non va a fondo», diventa
una «cassa che essendo di legno rimase a galla» (Salviati, 1981).
Altro intervento è l’attenuazione, cioè la sostituzione di uno o più termini, evidentemente
ritenuti troppo coloriti e pesanti, e quindi poco adatti ad una lettura infantile. Talvolta i
nuovi termini appaiono meno vivaci e più vaghi, mentre spesso se ne adottano altri di
significato molto diverso dall'originale, il che altera profondamente il testo originale. Tale
tipo di intervento va dalla pura e semplice trascuratezza fino ai più gravi controsensi,
insinuanti e pericolosi (Salviati, 1981; Denti, 1984). Allora in Cenerentola di Charles
Perrault il termine «Culdicenere» è spesso eliminato; in altre fiabe «gattabuia» diventa
prigione; «porco» diventa «maialino»; «cavallo sauro» diventa «cavallo rosso»;
«mammella» diventa «seno»; «gracchiare» diventa «dire»; «montone» diventa «cinghiale»;
«casa» diventa «abitazione», ecc.
b) Censure
La censura è un intervento che può essere interpretato alla luce della precisa e cosciente
volontà di agire sui contenuti, al fine di modificare ed alterare il messaggio. Spesso
l’attenzione dei censori è rivolta ai contenuti piuttosto che alla globalità della narrazione, la
quale è la prima a farne le spese. La censura, che trasforma i contenuti ritenuti immorali in
modo che il bambino non sappia, andrebbe evitata come principio di base e, solo in casi
veramente limitati ed eccezionali, si può dimostrare necessaria per alcuni brevi passaggi
(Salviati, 1981).
Un primo tipo di censura riguarda la sfera religiosa. Quando capita in qualche fiaba di
imbattersi in divinità che non sono le solite fate, ma si allude a Dio e agli Dei, allora in
molte edizioni per bambini sono censurate. Il termine «Dio» allude a un concetto di divinità
che, nella nostra cultura, appartiene eminentemente alla sfera religiosa: l’intervento censorio
può dunque trovare una spiegazione nell’intento di mantenere perfettamente scisse, anche
nei richiami più lontani, la dimensione del sacro e quella del profano. Nelle versioni
censurate si assiste a curiose metamorfosi anche nel titolo: una famosa fiaba dei F.lli
Grimm, I tre capelli d’oro del diavolo, diventa I tre capelli d’oro dell’orco o I tre capelli
d’oro (Salviati, 1981).
Oggetto di censura sono alcuni comportamenti all’interno della famiglia, perfettamente
plausibili sul piano reale ma considerati anticonformisti dai riduttori. L’intento dei curatori
può trovare spiegazione nella volontà di rappresentare sempre la famiglia, ossia il rapporto
fra i due coniugi, tra genitori e figli, tra fratelli, secondo i più tranquilli e idilliaci dettami di
fedeltà, di equilibrata coabitazione, di rispetto e di amore. Forse si teme che la semplice
allusione, pur in un contesto fantastico, ad una realtà meno idealizzata, possa insinuare il
temuto veleno della disgregazione familiare (Salviati, 1981).
-
19
Le fiabe oggi pubblicate, dalle versioni più edulcorate e meno vicino alla versione
integrale a quelle rese popolari da Walt Disney, hanno censurato lo spirito di iniziativa
femminile. La donna nella fiaba popolare è altrettanto abile e attiva degli uomini, a tutte le
età e in tutte le classi sociali: è Gretel a sconfiggere la strega; l’eroe è per lo più soccorso da
una fata-madrina o da una saggia donna, oppure è messo nei guai da una strega o da una
perfida matrigna; innumerevoli sono le donne dotate di poteri sovrannaturali. Ma la figura
femminile, che è spesso il personaggio principale di molte fiabe (Biancaneve, Cenerentola,
Le Fate, Cappuccetto Rosso, Barbablù, La bella addormentata nel bosco, Pelle d’asino),
viene modificata nei suoi tratti per meglio corrispondere al classico modello della donna di
casa, gentile, obbediente, passiva, in attesa del suo principe azzurro (Lurie, 1993).
Il tema pauroso, cruento ed orrorifico è una costante nella fiaba popolare sotto forma di
trasformazioni, mutilazioni e rapimenti che giungono all’improvviso, non essendo preceduti
da un crescendo di tensione o da una premeditazione. Ebbene i racconti fiabeschi più carichi
di descrizioni cruente ed orrorifiche sono stati eliminati da una autentica autocensura da
parte dei curatori. Le case editrici offrono ai bambini un numero limitato di fiabe classiche,
ristampando innumerevoli volte Biancaneve , Cenerentola, Pollicino (con le censure per
particolari riferimenti al sangue e al delitto), mentre sono poco o nulla diffuse moltissime
altre, tra cui quelle che contengono elementi particolarmente paurosi (Salviati, 1981).
In alcune versioni si censurano gli spargimenti di sangue e la morte dei malvagi. In La
bella addormentata nel bosco di C. Perrault l'orchessa, che dovrebbe essere divorata dalle
bestiacce, si pente e diventa buona; in Le fate di C. Perrault la sorella della protagonista non
«se ne andò a morire in fondo a un bosco» ma «fece del suo meglio per modificare il suo
tremendo carattere». In altre versioni, meno edulcorate, gli antagonisti fanno sempre una
brutta fine, ma questa viene addolcita in modo che non appaia mai crudele, quanto piuttosto
giusta, talmente giusta che, talvolta, l’esecuzione viene più fatalmente sostituita da una
morte naturale.
In Biancaneve dei F.lli Grimm la matrigna non «dovette calzare le scarpe roventi e ballare,
finché cadde a terra, morta», ma «per l'angoscia e lo spavento, morì subito. Questo le evitò
il castigo che era stato preparato per lei: delle pantofole di ferro incandescenti con le quali
sarebbe stata costretta a ballare».
c) Integrazioni
Molto spesso gli autori, dopo aver abbondantemente tagliato e ridotto la versione originale
delle fiabe, inseriscono poi personaggi, episodi e frasi inesistenti nel testo integrale.
Le aggiunte esplicative di solito spiegano le relazioni tra i personaggi e chiariscono o
completano tutto ciò che l’autore ha detto in forma concisa, essenziale, oppure sfumata. Con
tale tipo di aggiunta il curatore si dilunga in dettagli, attributi ed elementi, cercando di
semplificare e rendere più chiare possibili le situazioni. Facendo ciò, però, nella versione
viene meno l'essenza stilistico-formale della fiaba, che non indugia nella descrizione di
personaggi e di situazioni ed usa pochi ed esssenziali aggettivi.
Gli interventi di tal tipo individuati nelle letture comparate non sono pochi. In Biancaneve
dei F.lli Grimm il curatore, non soddisfatto del semplice «specchio magico», scrive che «ha
il potere di rispondere a qualsiasi domanda» o che «è parlante». In Cappuccetto Rosso di C.
Perrault la tentazione del lupo frenata dal fatto che «lì nella foresta c'erano alcuni
taglialegna», non risulta essere abbastanza chiara, così il curatore spiega che «sicuramente
le grida della bambina avrebbero richiamato la loro attenzione e l'astuto lupo non aveva
alcuna intenzione di correre rischi» (Salviati, 1981).
Le aggiunte rafforzative tendono a rafforzare i sentimenti positivi o negativi nei confronti
di un personaggio, facendo trasparire il tentativo di incanalare, su binari quanto più
-
20
consueti, le emozioni del lettore. Nelle letture comparate si nota come talvolta tale aggiunta
consista semplicemente in un aggettivo positivo o negativo. In Le fate di C. Perrault si
definisce la vedova come «antipatica e orgogliosa», mentre in una versione rielaborata,
molti sono gli aggettivi a lei riferiti, come «antipatica, superba, aria arcigna, severa e cattiva,
tono severo, molto seccata».
Talvolta l'aggiunta consiste in periodi, anche lunghi, che travisano il contenuto della fiaba.
In Le fate di Perrault la battuta della protagonista, «Ahimè, signore! Mia madre mi ha
cacciata di casa» diventa «La mamma mi ha picchiata ingiustamente e io sono fuggita di
casa».
Le aggiunte moraleggianti si prefiggono di smussare con linee sapienti e tutt’altro che
casuali una materia mille volte riproposta ai bambini e mille volte guardata con sospetto
(Salviati, 1981). Il livello narrativo, però, ne esce appesantito dal didascalismo pedante e
ripetitivo: la banalizzazione del racconto raggiunge i massimi esiti quando esso viene
rimpinguato da descrizioni, osservazioni e aggiunte che tendono ad attribuire un’atmosfera
bamboleggiante e sdolcinata alla fiaba infantilizzandola e rallentandone il ritmo narrativo
(Salviati,1981). I curatori inventano interi periodi, a volte anche episodi, per far apprendere
le buone maniere, l’amore incondizionato per i genitori, la bontà, il perdono, il pentimento.
Un altro tipo di integrazione può riguardare il cambiamento dei vocaboli. Così, ad
esempio, si sostituisce il termine «padre» e «madre» con quelli di «papà» e «mamma»,
determinando nel lettore una maggiore vicinanza e un più forte legame affettivo nei
confronti di tali figure. Si eccede anche nell’utilizzo di un linguaggio "infantilistico", ossia
nell’uso di diminutivi e vezzeggiativi, per cui spesso nella fiaba la casa diventa casupola e
casetta; la vecchia diventa vecchina; il buco diventa buchino, ecc. Tale linguaggio, che
rimpicciolisce e deforma le dimensioni degli oggetti offrendo una rappresentazione del
mondo irreale e falsata, rivela un’idea d’infanzia e di letteratura per l’infanzia estremamente
riduttiva e semplicistica (Blezza Picherle, 2002).
Le fiabe sono tra le opere classiche quelle che hanno subito e subiscono maggiori
alterazioni in fase di traduzione e di riscrittura per i bambini. Trincerandosi dietro
l'anonimato dei curatori, molte case editrici pubblicano opere con un testo notevolmente
travisato. I diversi interventi di manomissione fanno perdere la letterarietà del testo
fiabesco, e quindi anche il valore della fiaba come opera d'arte, di cui aveva parlato Bruno
Bettelheim. Si propongono invece tante fiabe in versioni brevi e svilite, che non consentono
al bambino di cogliere appieno il fascino di tali racconti.
Le fiabe, accuratamente selezionate in modo da essere adeguate all'età del bambino,
dovrebbero essere proposte in versione integrale proprio il loro valore artistico, oppure si
dovrebbero scegliere quelle versioni adattate che, pur nella loro riduzione, rimangono fedeli
il più possibile all'originale. Ovviamente qui si passa dal piano letterario a quello
pedagogico-didatico che implica la capacità, da parte dell’educatore, di saper scegliere le
versioni migliori adatte alle diverse età dei bambini e dei ragazzi, spostando verso
l’adolescenza la lettura di fiabe, anche in versione illustrata, dai contenuti molto forti (ad
esempio Barbablù in alcune versioni) o dalla scrittura molto raffinata (ad esempio la
Cenerentola di Perrault tradotta da Andrea Molesini e illustrata da Roberta Innocenti)
(Blezza Picherle, 1996, 2010).
-
21
1.5 Le molteplici funzioni educative della fiaba classica19
Il genere letterario della fiaba classica e popolare è stato ampiamente studiato, secondo
metodologie pertinenti a diverse discipline (letteratura, etnografia, psicoanalisi, semiologia,
critica letteraria, pedagogia, sociologia, ecc,). Ai fini di un’educazione alla lettura
attraverso la Letteratura per l’infanzia ci sembra interessante evidenziare le molteplici
funzioni educative che la fiaba può assumere, guardata da diversi punti prospettici
disciplinari.
La fiaba, da sempre presente nelle tradizioni popolari e nella narrazione orale, è entrata
profondamente in crisi negli anni '70, quando è stata messa al bando da vari studiosi, perché
considerata antieducativa ed antipedagogica. La si accusava innanzitutto di abituare il
bambino a vivere in un mondo fantastico, che poteva rappresentare per lui quasi un'evasione
dalla realtà. In tal modo, quindi, egli non aveva la possibilità d'imparare a capire e ad
affrontare con decisione la vita vera. Un'altra critica (che ogni tanto emerge ancor oggi) era
rivolta all'eccessivo potenziale ansiogeno in essa presente, che avrebbe potuto provocare
danni molto profondi nella psiche dei bambini.
Sarà soprattutto con gli studi psicoanalitici, ed in particolare con il volume Il mondo
incantato di Bruno Bettelheim (1976), che la fiaba classica di origine popolare verrà
rivalutata ed acquisterà grande rilevanza per il suo valore formativo ed educativo.
Attualmente, infatti, ad essa si assegnano compiti e funzioni importanti per l'integrale
sviluppo della personalità, a livello intellettuale, linguistico ed emotivo-affettivo. Anzi
spesso nutro una certa perplessità per l’eccessivo numero di possibilità formative che molti
genitori, docenti, operatori culturali e studiosi assegnano a tali composizioni fiabesche.
E’ importante invece raccontare e leggere fiabe classiche ai bambini e ai ragazzi poiché
esse soddisfano, sotto la veste del meraviglioso e attraverso la forma narrativa, bisogni
interiori profondi che sono comuni ai bambini ed agli adulti. Ci si riferisce, ad esempio, ai
bisogni di conoscere il mondo e la vita e di conoscere anche se stessi. Le principali funzioni
educative della fiaba sono – senza alcuna pretesa di esaustività – le seguenti:
A) Conoscenza del mondo e della vita
Il racconto fiabesco classico infatti, pur essendo sorto in realtà storiche di stampo contadino
e artigianale, è imperniato sul meraviglioso. Ma sotto questa veste "meravigliosa" la fiaba
classica in realtà fornisce in forma simbolica una rappresentazione generale della vita.
Piace perciò ai bambini e ai ragazzi che sono proprio alla ricerca di iniziali risposte ai vari
quesiti esistenziali. Si ricordi che Calvino ha definito le fiabe come il « catalogo dei destini
che possono darsi a un uomo e a una donna», mentre Max Lüthi ritiene che esse la realtà
esistenziale nella sua veridicità. Pure Bruno Bettelheim, trattando l'argomento secondo
l'ottica psicoanalitica, concorda con quanto detto finora da letterati e critici. Egli sostiene
infatti che le fiabe classiche di origine popolare pongono i bambini di fronte ai principali
problemi esistenziali (l'amore, la gelosia, l'abbandono, la separazione, il bisogno di essere
amato, la paura di non essere considerato, la vecchiaia, la morte, ecc.) in un modo chiaro,
essenziale e conciso. ed è la semplicità e la linearità della trama che rende possibile tutto
ciò. Per cui, sempre secondo Bettelheim, i racconti fiabeschi suggeriscono e comunicano al
bambino in forma simbolica ma semplice il seguente messaggio: «che la lotta contro le
gravi difficoltà della vita è inevitabile, è una parte intrinseca dell'esistenza umana, che
soltanto chi non si ritrae intimorito ma affronta risolutamente avversità inaspettate e spesso
immeritate può superare tutti gli ostacoli e alla fine uscire vittorioso (...); che una vita
19
Tratto da: S. Blezza Picherle, Leggere nella scuola materna, La Scuola, Brescia 1996, pp. 134 – 145.
-
22
gratificante e positiva è alla portata di ciascuno nonostante le avversità, ma soltanto se non
si cerca di evitare le rischiose lotte senza le quali nessuno può mai raggiungere una vera
identità» (Bettelheim, 1982). Tale accessibilità ai problemi umani universali è possibile
principalmente perché i personaggi vengono delineati in modo netto e preciso. Ad esempio,
il bene ed il male che sono onnipresenti nella vita, si incarnano in essi in modo unico e non
ambivalente. Per cui ad ogni personaggio si abbina una ed una sola qualità: se un fratello è
stupido, l'altro è intelligente; se una sorella è virtuosa, le altre sono pigre e spregevoli; se un
genitore è buono, l'altro è malvagio. In questo modo, secondo l'interpretazione di
Bettelheim, affiancando ed opponendo i diversi caratteri, il bambino riesce a comprendere
ed a differenziare i caratteri degli uomini ed i diversi valori che guidano l'esistenza.
La fiaba, quindi, diverte e piace al bambino e al ragazzo proprio perché soddisfa il suo
bisogno di conoscere la vita così com'è: con il bene ed il male, i lati positivi e negativi ed
anche con quel lato oscuro che è nascosto in ogni uomo o bambino (aggressività, asocialità,
egoismo, ira, ansia, distruttività,ecc.).
B) Conoscenza di se stesso
Ma, seguendo la lettura psicoanalitica di Bettelheim, bisogna riconoscere che la fiaba
consente al bambino e al ragazzo di imparare a conoscere soprattutto se stesso: chiarisce
gradualmente i suoi processi interiori, i suoi sentimenti, i suoi conflitti, i suoi desideri. Sono
i personaggi della fiaba, con i loro caratteri unidimensionali (o tutto coraggio o tutto paura,
o felice o disgraziato, o intelligente o stupido, ecc.) che personificano ed illustrano tali
emozioni e sentimenti. Per cui il lettore, identificandosi di volta in volta in uno di essi,
impara ad esteriorizzare il suo mondo interiore e quindi a conoscerlo meglio. Secondo
Bettelheim tale narrazione, infatti, mediante immagini semplici e dirette, aiuta il bambino e
il ragazzo a separare ed identifica