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LA MAPPA DELLA PRIMAVERA
EDIZIONE 2007
RAPPORTO FINALE Relazione tecnica a cura di: Università degli Studi di Roma “La Sapienza” Dipartimento di Biologia vegetale Laboratorio di Tecnologie Informatiche per la Vegetazione e l'Ambiente
Con il patrocinio di: ANCI UPI UNCEM
Un’iniziativa per:
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INDICE
1. PERDITA DI BIODIVERSITÀ E COUNTDOWN 2010 5
2. IL PROGETTO “MAPPA DELLA PRIMAVERA” 11
3. LE OSSERVAZIONI FENOLOGICHE 21
4. I CAMBIAMENTI FENOLOGICI IN ATTO 27
5. RISULTATI E CONSIDERAZIONI 37
5.1 La specie vegetale come protagonista 39
5.2 Un esempio di osservazione integrata: due parchi-tre specie 58
5.3 Le prime tendenze a livello nazionale 60
6. PROSPETTIVE DI RICERCA 65
7. BIBLIOGRAFIA 67
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1. PERDITA DI BIODIVERSITÀ E COUNTDOWN 2010
Gli ultimi 30 anni del II Millennio sono stati caratterizzati da una considerevole
perdita di biodiversità, si è stimato, infatti, che la quantità di specie esistenti si è ridotta
di circa il 40%. In alcuni ecosistemi marini, in particolare nella regione caraibica, la
copertura delle scogliere coralline si è ridotta di quasi l’80% e circa il 35% del patrimonio
mondiale di foreste di mangrovie del pianeta è scomparso in poco meno di venti anni.
Attualmente si tagliano circa 36 milioni di ettari di foreste primarie all’anno: una
superficie pari a 4 volte l’Austria.
Come rilevato dal Millenium Ecosystem Assessment, nel Marzo del 2005, le attività
antropiche hanno portato il pianeta sulla soglia di una profonda e massiva possibilità di
una estinzione di specie di grande portata, che supera di molto, dalle 100 alle mille volte,
il livello naturale dei processi evolutivi. Questi dati, da allora, sono stati ripetutamente
confermati dalla IUCN che attraverso la diramazione delle statistiche riguardanti le
specie inserite appositamente in una Lista Rossa (Red List) ha individuato circa 16.000
specie minacciate a rischio di estinzione seria o imminente. Questa lista comprende: il
23% dei Mammiferi, il 12% degli Uccelli, il 31% degli Anfibi, il 42% delle Tartarughe e
Testuggini, il 25% delle Conifere e il 52% delle Cycadacee.
Tutto ciò, oltre che un evidente impoverimento delle risorse primarie del pianeta, ha
di fatto posto il mondo moderno di fronte alla improcrastinabile necessità di intervenire
nel mantenimento degli habitat naturali con costi enormi che si aggirano sui 60 trilioni di
dollari.
E’ in questa direzione, dunque, che va vista l’iniziativa “CountDown 2010”, ossia il
tentativo di intervenire risolutamente sulla perdita di biodiversità arrestandone gli effetti
negativi dovuti alle attività antropiche e ai cambiamenti climatici.
Il Countdown 2010 si basa su precedenti accordi internazionali come quello firmato
a Gotheborg nel giugno del 2001 durante il Consiglio Europeo dove si decise di porre in
atto azioni concrete per ridurre o bloccare la perdita di biodiversità entro il 2010. Questa
azione fu sostanzialmente rafforzata e rilanciata in altre assise internazionali a cominciare
dal World Summit on Sustainable Development a Johannesburg nel Settembre del 2002,
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dove fu redatto un Piano di Azione per raggiungere tale scopo. Successivamente, nei due
incontri internazionali della Convenzione sulla Biodiversità (CBD) di The Hague nel
2002, e di Kuala Lampur nel 2004, si procedette verso la formalizzazione di numerose
decisioni tese ad aumentare le attività che i membri contraenti avrebbero dovuto
prendere per facilitare il raggiungimento dell’obiettivo e gettare le basi per un
Programma di Lavoro della Convenzione stessa per gli anni successivi. Durante il
Convegno di Malahide del maggio del 2004 fu elaborato un documento che affronta
argomenti come: Conservazione e Sostenibilità (I-IV), Agricoltura (V), Foreste (VI),
Pesca (VII), Politiche regionali e Pianificazione territoriale (VIII), Energia, Trasporti e
Industrie di Costruzione e di Estrazione (IX), Turismo (X), Sviluppo e Cooperazione
economica (XI), Commercio Internazionale (XII). E’ proprio durante questo Convegno
che l’iniziativa della IUCN fu denominata per la prima volta“CountDown 2010” e fu
lanciata come una azione primaria da sostenere a livello planetario al fine di raggiungere
l’obiettivo dell’interruzione della perdita di biodiversità entro il 2010. L’Italia aderì
all’iniziativa durante il successivo incontro della CBD, a Montecatini nel giugno del
2005.
La necessità di coinvolgere i vari livelli istituzionali degli stati partecipanti e dei
governi stessi fu sentita per dare seguito al bisogno reale di coinvolgere la società civile
nel difficile compito di ridurre quella perdita di biodiversità registrata negli ultimi anni
imputabile per la maggior parte proprio alle attività antropiche. La varietà degli
ecosistemi che convivono sul nostro territorio e nei nostri mari è un patrimonio che
necessita di essere salvaguardato e monitorato, soprattutto nella parte in cui esso
rappresenta il bacino di riproduzione di biodiversità planetaria.
A livello continentale, attraverso la risoluzione di Kiev e la strategia Pan-europea,
l’Europa ha codificato le azioni da mettere in atto allo scopo di raggiungere gli obiettivi
fissati da raggiungere nel 2010. La Comunità Europea ha adottato nel luglio 2002 il VI
Programma Ambientale di Azione della UE “Ambiente 2010: il nostro futuro, le nostre scelte”,
che aderisce pienamente ai criteri e alle priorità pianificate all’interno del Count Down
2010.
Allo scopo di salvaguardare la propria biodiversità, l’Unione Europea aveva già
richiesto agli stati membri di individuare un sistema coordinato e coerente di aree, al fine
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di costruire una rete ecologica a livello europeo capace di garantire uno stato di
conservazione soddisfacente delle specie e degli habitat naturali e seminaturali più
minacciati e tipici, non solo nelle aree che compongono la rete, ma in tutto il territorio
comunitario. Il risultato di tale attività è rappresentato dai seguenti strumenti normativi
dell’Unione Europea:
-la direttiva 79/409/CEE, meglio nota come Direttiva Uccelli che ha come scopo la
protezione degli uccelli selvatici e dei loro habitat all’interno degli stati membri;
-la Direttiva 92/43/CEE, nota come Direttiva Habitat, finalizzata alla salvaguardia
della biodiversità, che ha esteso la protezione a tutte le altre specie animali e vegetali ed
agli habitat naturali e seminaturali.
Queste Direttive Comunitarie si basano sul principio di sussidiarietà, ovvero,
attraverso di esse, l’Unione Europea ha definito gli obiettivi per la cui attuazione gli stati
membri sono stati chiamati all’individuazione dei singoli siti ed alla loro conservazione e
corretta gestione.
In linea di massima la quasi totalità delle minacce, circa il 99% secondo stime recenti,
deriva direttamente o indirettamente dalle attività antropiche. Sono gli esseri umani ad
essere diventati senza dubbio la prima causa di estinzione di altre specie del pianeta. La
perdita degli habitat o la loro degradazione rappresentano una delle principali cause di
minaccia, per esempio, negli ambienti naturali umidi la perdita o la degradazione
dell’habitat colpisce duramente le specie che ci vivono, in particolare gli uccelli, i
mammiferi e gli anfibi. Altro motivo di degradazione o di perdita degli habitat può
essere ricondotto a volte alla introduzione delle specie aliene, in grado di modificare i
parametri ambientali di un’area impedendone successivamente il mantenimento di specie
non più in grado di affrontare il cambiamento. L’eccessivo sfruttamento delle risorse
naturali costituisce un altro fattore di disgregazione degli habitat: direttamente in quanto
attraverso il prelevamento e la distribuzione delle risorse naturali di estrazione oltre a
modificare radicalmente l’habitat di estrazione si generano tutta una serie di problemi a
catena legati allo smaltimento delle scorie, al trasporto dei materiali e allo stoccaggio per
la successiva lavorazione, indirettamente in quanto l’utilizzo di sostanza chimiche per
incrementare la produzione agricola contribuisce a modificare alcuni habitat, tra i quali
risultano sovraesposti in particolare quelli umidi o di nicchia. L’inquinamento è un altro
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fattore che genera sostanziali modifiche ad alcune famiglie di habitat, ed è ormai
opinione unanime che una delle più serie minacce che dovremo affrontare nel prossimo
millennio sarà quello dei cambiamenti climatici, provocato almeno in parte
dall’inquinamento antropico, e degli effetti che essi produrranno sulle singole specie e
comunità viventi.
L’obiettivo del CountDown 2010 è ormai prossimo alla data prefissata. Il consenso
sulle iniziative da intraprendere per salvaguardare la biodiversità è ormai pressoché
globale e si possono così riassumere:
-le specie e gli ecosistemi necessitano di spazio per potersi sviluppare e di centri di
rifugio per poter sopravvivere quando le condizioni climatiche mutano.
-senza biodiversità l’agricoltura non sarebbe possibile. Le attività agricole non
devono cannibalizzare la sopravvivenza delle specie, occorre dunque aumentare il livello
di cultivar utilizzate e diminuire l’uso di pesticidi e fertilizzanti, fonte di primaria
aggressione agli habitat naturali delle specie. La pratica della bio-agricoltura offre esempi
lampanti per una agricoltura sostenibile.
-il 75% delle risorse provenienti dal mercato della pesca sono sovraesposte ad una
massiccia cattura. Specie molto utilizzate nell’alimentazione come il merluzzo, le cernie e
l’halibut sono già sotto minaccia e se non saranno prese precauzioni riguardo le attività
di ripopolamento entro pochi decenni queste specie rischiano l’estinzione completa.
-le infrastrutture civili e l’urbanizzazione distruggono gli habitat delle piante e degli
animali. Se l’urbanizzazione continuerà ad ignorare le esigenze naturali provocando
frammentazione, non sarà più possibile il contenimento degli inquinanti e il loro
smaltimento.
-il cambiamento climatico deve essere considerato come la vera sfida del
ventunesimo secolo. Al modificarsi delle condizioni climatiche, infatti, gli ecosistemi e
gli habitat subiranno anch’essi un notevole cambiamento e in previsione di questo
occorre mitigare la frammentazione e consentire alle specie l’adattamento necessario che
non può avvenire in tempi brevi.
-Spostando una specie dal suo habitat naturale l’effetto che ne deriva è la mancata
sopravvivenza della specie stessa. Nel migliore dei casi le cosiddette specie aliene
invasive che hanno sostituito le specie autoctone nei loro habitat naturali hanno
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contribuito alla perdita di biodiversità modificando radicalmente gli habitat iniziali,
occorre dunque limitare la diffusione delle specie aliene e controllarla con interventi
antropici mirati al mantenimento degli habitat naturali.
Alla luce di tutto questo, sono state previste tutta una serie di iniziative con lo scopo
di sviluppare una rete di indicatori utili per il monitoraggio delle aree naturali e per il
mantenimento degli habitat. Inoltre, sono in studio progetti scientifici tesi
all’applicazione di principi ed attività sostenibili.
In termini politico-internazionali, in accordo con l’obiettivo adottato dal
CountDown 2010 della diminuzione della perdita di Biodiversità, queste iniziative
rappresentano un radicale cambiamento delle impostazioni di sviluppo rispetto alle
precedenti iniziative. Per la prima volta si è riusciti a definire in ambito internazionale un
livello di intervento generale che offre specifiche misure di conservazione che
definiscono le possibilità di mantenimento della biodiversità.
Dopo circa quindici anni dalla formalizzazione della CBD il guadagno oggettivo
raggiunto in termini di riduzione della perdita di biodiversità è quello di aver
positivamente coinvolto nel progetto di difesa sia i livelli amministrativi nazionali che
quelli regionali. In questo senso la UE ha fornito il maggior contributo in termini di
cooperazione internazionale e di stesura di protocolli di intesa sui cui documenti si è
iniziato a lavorare.
Sono 14 i paesi che in Europa hanno formalmente aderito al CountDown 2010. Un
piccolo organismo definito Secretariat è stato investito della responsabilità per la
gestione e il coordinamento mirato alla decentralizzazione del sistema. E’ compito del
Secretariat quello di coinvolgere il maggior numero possibile di associazioni, enti locali,
istituzioni e movimenti di ogni genere attraverso molte azioni tra le quali la diffusione
delle informazioni e l’organizzazione di work-shop e di convegni a scopo divulgativo e
scientifico.
Il Focal Point italiano è stato individuato nel Ministero dell'Ambiente e della Tutela
del Territorio e del Mare e al momento sono 23 i partenrs italiani che hanno aderito tra i
quali Legambiente.
In questa ottica si è proceduto anche alla definizione e alla realizzazione di progetti
legati in un certo senso all’iniziativa CountDown 2010, sia per via diretta che per via
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indiretta. Esempi di progetti italiani realizzati o da realizzare nell’ambito del Countdown
2010 sono:
-“Mappa della Primavera”, un progetto che ha previsto e realizzato un monitoraggio
delle fioriture di specie vegetali nelle principali aree protette del paese. Patrocinato e
finanziato dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e
realizzato da Legambiente, Federparchi e Coldiretti in collaborazione con il
Dipartimento di Biologia Vegetale dell’Università Sapienza di Roma. E’ uno studio sulle
principali fenofasi di alcune specie vegetali, considerate come possibili indicatori per
l’analisi del cambiamento climatico e per la definizione del livello di conservazione degli
habitat di alcune specie. Il progetto coinvolge scuole di ogni ordine e grado e focalizza
l'attenzione sul rapporto tra i cambiamenti climatici e i loro effetti sulla biodiversità,
argomento questo al quale il CountDown 2010 riserva una notevole dose di interesse;
- “Enea” della Lega Navale Italiana, anch’essa sotto il Countdown 2010, vedrà una
flotta di barche a vela navigare sulla rotta da Roma a Troia, seguendo i passi dell'eroe
Troiano Enea, considerato il fondatore leggendario della civilizzazione romana. I
marinai della Lega Navale Italiana diffonderanno il messaggio del Countdown 2010 e
metteranno in risalto il destino della biodiversità pan-europea ad ognuna delle loro tappe
costiere;
-“La forestazione in ambiti agricoli come opportunità per nuove imprenditorialità”, a cura del
Dipartimento di Ecologia del Territorio, Università di Pavia, progetto nel quale si
suggerisce di lavorare nella direzione del CountDown 2010 anche nel settore agricolo
modificando il ruolo dell’agricoltore e dandogli responsabilità agro-ambientali in senso
generale sotto forma di incentivazione al mantenimento e alla conservazione degli
habitat e degli ecosistemi autoctoni.
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2. IL PROGETTO “MAPPA DELLA PRIMAVERA”
Il progetto “La Mappa della Primavera”, patrocinato e finanziato dal Ministero
dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, è stato realizzato grazie alla
collaborazione di soggetti con caratteristiche diverse ma con obiettivi comuni:
Federparchi, Legambiente e Coldiretti.
L’obiettivo principale del progetto è capire meglio quali possono essere gli effetti
dei cambiamenti climatici sulla biodiversità A questo proposito l’iniziativa si colloca
pienamente all’interno di Countdown 2010, la campagna promossa dall’Ufficio europeo
della IUCN con il quale si richiede a tutti i governi europei, alle organizzazioni
governative e non, ai privati, agli istituti di ricerca, di intraprendere delle iniziative che
permettano di arrestare, entro il 2010, il declino della biodiversità.
E’ noto fin dall’antichità che le piante sono molto sensibili al clima e ne rivelano le
variazioni: se da un lato la distribuzione territoriale dei tipi vegetazionali indica la
presenza di zone o fasce bioclimatiche, dall’altro il ritmo fenologico di singole specie è
strettamente dipendente dall’andamento meteorologico stagionale.
Ne deriva che potenziali cambiamenti climatici in futuro determineranno modifiche
sulla distribuzione delle specie selvatiche più sensibili e spostamenti temporali nella
comparsa delle fenofasi dei vegetali, con probabili conseguenze sulla produttività delle
colture e in generale sul paesaggio vegetale. Poiché appunto le piante rispondono in
modo evidente alle variazioni del tempo meteorologico e del clima, si può pensare
anche di utilizzarle come sensori, soprattutto termici.
“La Mappa della Primavera” è una campagna di monitoraggio che registra lo sviluppo
di particolari organi, quali la foglia, il fiore, e il frutto, di diverse specie vegetali
all’interno delle aree naturali protette italiane, attraverso l’osservazione e registrazione
delle principali fenofasi. Lo sviluppo di questi organi viene determinata dalla durata del
giorno e dall’andamento delle temperature; una medesima specie non reagisce ovunque
contemporaneamente, ma presenta sviluppi ritardati o anticipati in rapporto al clima:
generalmente, ad esempio, una determinata specie fiorirà prima nelle sue aree di
distribuzione più meridionali e a basse altitudini dove le temperature sono maggiori
rispetto alle quote più elevate. Prendendo alcune specie come piante-guida si possono
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avere quindi utili informazioni sulle condizioni climatiche di una determinata regione,
desumendole dall’anticipo o dal ritardo in cui avviene la fioritura. Data la stretta
relazione esistente tra il clima e la fioritura, “La Mappa della Primavera” rappresenta,
quindi, un “test” interessante per comprendere meglio le evidenti anomalie climatiche
registrate negli ultimi anni ed i loro effetti sulle piante. A questo proposito la scelta delle
aree di monitoraggio è basata sulla divisione in tre regioni biogeografiche, elaborata
dall’Unione Europea:
- la Regione Biogeografia Alpina che comprende l’intera fascia alpina e parte
dell’Appennino Centrale.
- la Regione Biogeografia Continentale che comprende la Pianura Padana,
l’Appennino Tosco-Emiliano e il medio Adriatico;
- la Regione Biogeografia Mediterranea che comprende tutta l’area Tirrenica, le
isole, l’area Ionica e il basso Adriatico;
Inoltre, le aree naturali protette per l’attività di monitoraggio sono state individuate
sulla base della rappresentatività delle tre Regioni Biogeografiche (RB) e in modo tale da
contenere o coincidere con i Siti di Interesse Comunitario (SIC) e le Zone di Protezione
Speciale (ZPS) di Rete Natura 2000. In un primo momento erano state selezionate 20
aree naturali protette, poi portate a 21, per complessive 62 stazioni di osservazione
fenologica. Di seguito si riporta l’elenco completo di tali aree suddivise nelle tre RB:
REGIONE BIOGEOGRAFICA ALPINA:
- Parco nazionale dello Stelvio
- Parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga
- Parco naturale dell’Adamello Brenta
- Parco regionale Dolomiti Friulane
- Parco regionale Orsiera Rocciavrè
- Riserva naturale Monte Genzana Alto Gizio
REGIONE BIOGEOGRAFICA CONTINENTALE:
- Parco nazionale delle Foreste Casentinesi
- Parco nazionale dell’Appennino Tosco-Emiliano
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- Parco regionale della Valle del Ticino Lombardo
- Parco naturale del Conero
REGIONE BIOGEOGRAFICA MEDITERRANEA:
- Parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano
- Parco nazionale del Vesuvio
- Parco nazionale delle Cinque Terre
- Parco nazionale della Sila
- Parco regionale dei Nebrodi
- Parco regionale delle Chiese rupestri del Materano
- Parco regionale di Gallipoli Cognato e Piccole Dolomiti Lucane
- Parco regionale della Maremma
- Parco regionale di Migliarino San Rossore
- Riserva naturale di Monte Mario
- Parco regionale del Lago Trasimeno
L’attività di monitoraggio, durante il primo anno, ha visto adottare una scala
fenologica basata su sei classi, che vanno dalla fase immediatamente precedente alla
fioritura, fase 1, a quella dove questo processo si è completamente esaurito, fase 6. La
rete allestita era composta da 20 stazioni di rilevamento distribuite abbastanza
regolarmente su tutto il territorio nazionale ad eccezione della Sardegna.
Nel rapporto finale del Novembre 2005, sono state prodotte le prime mappe della
primavera per quelle specie ad ampia distribuzione nazionale, e le prime elaborazioni
grafiche relative ai dati raccolti in questo periodo, e che riguardavano la durata ed epoca
di fioritura delle seguenti 12 specie naturali e 6 di interesse agrario: Cercis siliquastrum, Erica
arborea, Fagus sylvatica, Laburnum anagyroides, Laurus nobilis, Myrtus communis, Picea excelsa,
Pinus pinea, Prunus spinosa, Quercus ilex, Sambucus nigra, Spartium junceum, Castanea sativa,
Malus sylvestris, Olea europea, Prunus avium, Prunus domestica, Prunus persica.
Nell’area protetta dove la specie è stata individuata in più stazioni è stata calcolata la
fenofase media. Le rilevazioni sono state effettuate ogni 5 giorni, mentre nei grafici e
nelle mappe finali sono state riportate le fenofasi relative a periodi di riferimento di 15
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giorni, per facilitare la comprensione dell’informazione.
Le mappe evidenziano come le diverse condizioni ambientali delle stazioni di
rilevamento influiscono sullo sviluppo delle piante. Per cui le varie fenofasi di una specie
non si presentano contemporaneamente in tutte le stazioni. Nel Sambucus nigra per
esempio l’apice della fioritura (codice 4) la troviamo nel Parco nazionale del Gran Sasso
e nel Parco regionale di Gallipoli Cognato alla data del 15 maggio e successivamente
nelle altre aree protette. Nel Parco nazionale dell’Appennino Tosco Emiliano, del
Vesuvio e nel Parco regionale dei Nebrodi, la stessa fenofase la ritroviamo solo il 30
giugno. Questo dimostra come la fioritura sia strettamente legata alle condizioni
climatiche locali e come le variazioni di queste condizioni siano facilmente controllabili
monitorando periodicamente le specie. Le rilevazioni sulle specie sono cominciate a
febbraio e sono proseguite per tutto il periodo di fioritura, concludendosi a luglio.
Mentre i grafici mostrano per ogni specie e per ogni area la fenofase (ordinate) in
relazione al periodo di rilevamento (ascisse).
A titolo di esempio si riporta la situazione del 2005 relativa al Parco nazionale dello
Stelvio, con il grafico fenologico del sambuco:
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Stazione Specie rilevate N°
Esemplari Valdisotto, loc. S. Antonio Morignone Picea excelsa 5 (1140 m s.l.m.) Sambucus nigra 5 Val Furva, loc. Uzza Prunus spinosa 5 (1185 m s.l.m.) Sambucus nigra 5 Val Furva, loc. Scè Picea excelsa 5 (1355 m s.l.m.) Sambucus nigra 5 TOTALE 30
Durante il secondo anno di attività, la campagna di osservazione del 2006, è stato
svolto il monitoraggio di una nuova lista di specie prettamente naturali attraverso una
nuova scheda di rilevamento e uno studio per verificare se esistevano le condizioni per
nuovi e ulteriori sviluppi del progetto.
Infatti, in base all’analisi dei dati della precedente campagna venivano escluse alcune
specie che avevano evidenziato alcuni problemi negli standard di valutazione e di
classificazione fenofasica. Il nuovo elenco delle specie monitorate nel 2006, che sarebbe
rimasto invariato anche per il 2007, è il seguente: Castanea sativa, Cercis siliquastrum, Cornus
sanguinea, Erica arborea, Myrtus communis, Olea europea, Sambucus nigra, Sorbus aucuparia,
Spartium junceum.
Per quanto riguarda le possibili e nuove potenzialità del progetto, lo studio
commissionato mise in luce la possibilità di ottenere serie storiche di dati fenologici al
fine di una comparazione temporale tra di loro e con i dati meteorologici, con
l’ambizione di poter arrivare a serie storiche importanti in modo tale da rendere possibile
l’individuazione di possibili relazioni, statisticamente significative, tra le due tipologie di
dati in modo tale da consentire così l’elaborazione di modelli revisionali applicati agli
effetti dei cambiamenti climatici. La messa a punto di un modello previsionale richiede
inizialmente l’acquisizione di ulteriori informazioni ambientali che vadano a supportare
statisticamente le relazioni tra dati fenologici e quelli climatici, e possibilmente la
disposizione di una rete di osservazione fenologica che abbia una maggiore lunghezza
temporale e una densità di distribuzione maggiore rispetto a quella attuale. Inoltre, per
meglio indagare l’influenza del clima sui processi fisiologici, specialmente per quanto
riguarda la presenza di soglie termiche, al di sotto delle quali le reazioni biochimiche
diventano trascurabili, sarebbe stato opportuno, oltre che interessante per motivi di
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interdisciplinarietà con altri settori della ricerca, eseguire il monitoraggio anche ad altri
aspetti fenologici, come la comparsa e la caduta delle foglie, e ciclo completo della
fruttificazione, in modo da estendere il periodo dell’anno da mettere sotto osservazione.
Per questi motivi la scheda 2006 del rilevatore fu implementata in modo da accogliere
nuovi dati riguardanti la stazione di campionamento: posizione geografica (coordinate x e
y), quota topografica (DEM), esposizione, pendenza, e caratteristiche pedologiche.
Inoltre la scheda fu predisposta per accogliere i dati riguardanti la foliazione e la
fruttificazione. In fondo viene riportata la struttura della scheda di rilevamento che venne
proposta per la campagna 2006.
Alla fine del secondo anno di attività, oltre alle elaborazioni cartografiche e grafiche
simili a quelle del primo anno, dopo un accurato studio preliminare sui dati raccolti e
sulle caratteristiche geografiche delle stazioni fenologiche e di quelle termometriche, sono
stati individuati alcuni parchi pilota utilizzati per produrre due nuove tipologie di grafici.
'Parco Naturale Orsiera Rocciavrè' stazione di "Villar Focchiardo"
66
4.74.1
2.51.9
11
11
1
1
50
75
100
125
150
175
200
225
250
0.0 5.0 10.0 15.0 20.0 25.0 30.0
Temp.media stazione 'Pietrastretta' (°C)
DO
Y
fioritura Castanea sativa
Fig.1. Correlazione climatica della fioritura de Castanea sativa nella stazione “Villar Focchiardo”.
Nella prima tipologia si misero in correlazione i dati delle temperature medie con
alcune serie di dati fenologici relative alla campagna di osservazione del 2006 (stazione
climatica di Pietrastretta (558 m) della Rete Regionale del Piemonte, con la stazione
fenologica di “Villar Focchiardo” (1010 m) nel ‘Parco Naturale Orsiera Rocciavrè’
(figura1), distanti l’una dall’altra poco meno di 15 Km, la specie monitorata è stata
Castanea sativa; e stazione climatica di Matera (302 m) della Rete Regionale della Basilicata,
con le seguenti stazioni fenologiche: “gravina di Picciano” (223 m) con l’osservazione del
fiore di Sambucus nigra e distante 3,7 Km; “gravina di Matera” (200 m) con l’osservazione
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del fiore di Mirtus communis e distante 14,7 Km; “Altopiano Murgico” (418 m) con
l’osservazione del fiore di Spartium junceum e distante 12 Km; tutte nel ‘Parco
Archeologico Storico Naturale delle Chiese rupestri del Materano’).
Nella seconda tipologia di elaborazione si mise a confronto l’andamento della
fioritura del biennio 2005-06 di tre stazioni fenologiche, prese come campione per il
Nord, il Centro, ed il Sud d’Italia (il Parco Lombardo del Ticino con Sambucus nigra, la
Riserva Naturale di Monte Mario con Spartium junceum, e il Parco Regionale dei Nebrodi
con Erica arborea (figura 2)
'Parco Regionale dei Nebrodi'
50
75
100
125
150
175
200
1 2 3 4 5 6
fase fioritura Erica arborea
DO
Y
stagione 2006 stagione 2005
Fig.2. Confronto tra la campagna del 2005 e quella del 2006 della fioritura de Erica arborea nel PR Nebrodi
Infine, l’ultima campagna di osservazione, quella del 2007, ha consentito, oltre che
le “tradizionali” elaborazioni cartografiche, relative alle mappe nazionali della
primavera, e grafiche, simili a quelle dei primi due anni, anche un più esteso e
approfondito studio comparativo dei dati fenologici dell’attività triennale e di
correlazione con le temperature medie. Infatti, quello che era stato verificato in una fase
pilota nel 2006 è stato perfezionato e riproposto per quasi tutte le specie esaminate. Per
i dettagli di queste elaborazioni si rimanda al Capitolo 5: “Risultati e considerazioni”.
Nello stesso capitolo vengono riportati gli esiti positivi del tentativo di porre in
correlazione per la prima volta a livello nazionale l’inizio della fioritura, il giorno
dell’anno dove è stata osservata per la prima volta la fenofase 3, dapprima con la
temperatura media in °C dei tre mesi precedenti il fenomeno registrata in prossimità
della stazione fenologica e poi con la latitudine della stessa, alla ricerca di eventuali
trend comportamentali. Data l’indispensabile necessità di disporre di un buon numero
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di stazioni da cui trarre i dati di rilevamento, è stato possibile eseguire queste due ultime
interessanti osservazioni “solo” su Sambucus nigra e Spartium junceum.
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Scheda di rilevazione utilizzata a partire dalla campagna di monitoraggio 2006
Dati Generali:
Data del rilievo: Rilevatore: Specie rilevata:
Dati Stazionari:
Coordinate X: Coordinate y: Altitudine:
Esposizione: Pendenza %: Pietrosità affiorante%:
Dati Fenologici:
Foglie:
Fenofase Stato della fogliazione
1a Gemme in riposo invernale
2a Rigonfiamento delle gemme
3a Apertura delle gemme (punte verdi)
4a Orecchiette di topo
5a Foglie giovani
6a Foglie mature
7a Inizio caduta foglie
Fiore:
Fenofase Stato della fioritura
1b Fase precedente alla fioritura. Assenza di boccioli, senza fiori aperti e senza fiori appassiti:assenza di amenti.
2b Boccioli poco sviluppati o rigonfi e prossimi alla schiusura. Amenti poco sviluppati o immaturi.
3b Boccioli rigonfi e fiori aperti. Amenti immaturi e amenti maturi Che liberano polline)
4b Apice della fioritura. Presenza di soli fiori aperti, o insieme a: boccioli, fiori sfioriti, e fiori appassiti. Amenti perlopiù maturi.
5b Presenza contemporanea di fiori aperti e fiori appassiti. Presenza di amenti impollinanti insieme a quelli esauriti.
6b Fine della fioritura. Presenza di soli fiori appassiti. Presenza di soli amenti esauriti.
Frutto:
1c Comparsa delle gemme fiorali.
2c Calici visibili.
3c Inizio fioritura.
4c Piena fioritura.
5c Inizio caduta dei petali.
6c Fine caduta dei petali.
7c Allegagione.
8c Accrescimento dei frutti.
9c Frutti completamente sviluppati.
10c Frutti completamente maturi.
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3. LE OSSERVAZIONI FENOLOGICHE
Nel corso degli anni sono state molte le definizioni adottate per la fenologia.
Definita inizialmente come la scienza che si occupava di studiare la ciclicità degli eventi
naturali ricorrenti in relazione all’andamento climatico (Schnelle, 1955),
successivamente, nel 1974, l’International Biological Program ne propose una
definizione più ampia, includendo nelle forze che intervengono nel determinare questa
ricorrenza tutti i fattori biotici e abiotici, e lo studio delle relazioni che esistono tra gli
eventi dello stesso tipo e fra tipi diversi (Lieth, 1974). In particolare, nell’ambito della
Biologia Vegetale, gli eventi osservati sono riferibili allo sviluppo di una determinata
struttura o organo, e con una ricorrenza a carattere stagionale (Rathcke & Lacey, 1985).
Le osservazioni e i calendari fenologici sono usati in agricoltura e in altre attività umane
da migliaia di anni, mentre serie storiche importanti di osservazione possono essere
trovate in molti documenti. Esistono, infatti, importanti archivi storici, come quello che
ci proviene per esempio dal Giappone, con dati registrati risalenti fin dai primi anni del
1800 (Lauscher, 1978), o quella ancora prima dall’ Europa, cominciata agli inizi del 1700
(Sparks & Carey, 1995). Più recentemente, nel corso degli ultimi quindici anni, la
fenologia ha ritrovato nuovo impulso e interesse da parte della comunità scientifica, ma
anche da parte dell’opinione pubblica, dapprima per applicazioni in studi sulle
dinamiche stagionali della vegetazione (Myneni et al., 1997; Schwartz,1999; Luncht et al.,
2002), e sull’elaborazione di modelli fenologici in grado di utilizzare i dati raccolti per
predirre capacità e produttività in determinate regioni agricole (Beaubien & Freeland,
2000), e in seguito come fonte di robusti indicatori delle variazioni climatiche a medio e
lungo periodo, come proposto anche dalla European Topic Centre on Air and Climate
Change (ETC-ACC) dell’Agenzia Europea sull’Ambiente (EEA). E questo lo si deve
soprattutto alle caratteristiche peculiari di queste osservazioni. Le banche dati che oggi
sono a disposizione in moltissimi paesi contemplano, infatti, molti eventi fenologici e
coprono un ampio range di specie. Inoltre, queste banche dati sono facilmente ed
economicamente implementabili perché non richiedono l’ausilio di alcuna
strumentazione particolare. Un’ulteriore caratteristica risiede proprio nel tipo di
argomento trattato: il dato fenologico ha una forma che è facilmente divulgabile e che
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riscuote immediato interesse da parte dell’opinione pubblica. Ma la peculiarità che
probabilmente ha contribuito maggiormente a calamitare questo interesse è aver
dimostrato una forte correlazione tra l’avvento e la lunghezza dell’evento fenologico
con le condizioni meteorologiche stagionali, specialmente per quanto riguarda
l’andamento delle temperature (White et al., 1997; Fitter & Fitter, 2002; Penuelas et al.,
2002; Schwartz et al., 2002; White & Nemani, 2003; Badek et al., 2004; Chuine et al.,
2004).
Un altro vantaggio che si ha dall’utilizzo di questi indicatori biologici per rilevare il
clima rispetto alle rilevazioni strumentali risiede nel limitato numero di stazioni
meteorologiche disponibili sul territorio nelle applicazioni di cartografia climatica a scala
di dettaglio, e quindi nella necessità di modelli di interpolazione spaziale, che possono
essere fonte di errori nelle stime. Infittire la rete delle stazioni meteorologiche comporta
una serie di spese di investimento, di manutenzione e di controllo delle stazioni
installate, che rendono proibitivo il monitoraggio a elevato dettaglio. Poiché nei climi
temperati la superficie terrestre è completamente coperta da piante, la rete dei potenziali
sensori biologici si può infittire a piacere, senza costi aggiuntivi che non siano quelli
degli osservatori che effettuano i rilievi.
Inoltre, è bene sottolineare che gli studi che nascono con l’obiettivo di scoprire
l’esistenza di eventuali trend all’interno di serie storiche di dati, anche per osservazioni
fenologiche quindi, devono fare attenzione che la lunghezza della serie stessa non sia
inferiore ad un certa soglia limite, al di sotto della quale potrebbe non avere senso
cercare il trend. E’ stato visto, infatti, come sia più facile mettere in evidenza
cambiamenti in serie di dati lunghe almeno 20 anni. Un buon esempio dell’influenza
che la lunghezza temporale dei dati registrati può avere sui risultati finali è stato dato da
uno studio che ha analizzato per lo stesso sito più serie di dati aventi lunghezza diversa,
compresa nel periodo 1951 – 1998, e iniziate tutte nel 1951 (Scheifinger et al., 2002).
Solamente quelle serie che finivano negli anni ’90 rivelavano importanti pendenze nella
retta di regressione lineare.
E’ certamente nota la longevità del data set della Marsham family di Norfolk nel
Regno Unito. La registrazione degli eventi primaverili è iniziata nel lontano 1736 per
continuare interrottamente fino al 1958. Uno dei fenomeni riportati riguarda la data di
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inizio fioritura di Anemone nemorosa. L’analisi di regressione suggerisce che la risposta
all’incremento per ogni °C della temperatura è l’anticipo della fioritura di 7 giorni
(Sparks and Carey, 1995). Questa specie cresce un po’ dappertutto in Europa e
potrebbe candidarsi come un importante indicatore a livello continentale.
Avere a disposizione un sufficiente numero di dati, anche relativi ad un solo anno
di osservazione è fondamentale se si vuole mettere in evidenza un particolare
comportamento. Come nel caso dei dati raccolti dal professor Ihne di Dormstadt nel
1882, dove con l’aiuto dei colleghi europei riuscì ad evidenziare il trend legato alla
latitudine nei tre mesi di fioritura di Pyrus communis distribuiti lungo il continente
Europeo. Tale trend suggerì che la fioritura è ritardata di 4 giorni per ogni grado di
latitudine (Ihne, 1883 – 1941).
Per quanto riguarda osservazioni di sistemi produttivi (boschi, orticoltura,
viticoltura e agricoltura in genere), le registrazioni sono compatibili solo se i sistemi da
confrontare sono uniformi per quanto riguarda sia le cultivar allevate che le tecniche di
coltivazione. La figura 3 riporta l’archivio di 141 anni relativo al tempo di raccolta del
grano in relazione alla temperatura media di Maggio – Giugno in Sussex, nel Regno
Unito (Russell, 1921). Anche qui la relazione con il riscaldamento è evidente: 8 giorni di
anticipo per °C.
24
Inoltre, si è visto come importanti cambiamenti siano stati messi in evidenza in
relazione a modesti riscaldamenti. In questi casi, probabilmente le temperature estreme,
minime e massime, piuttosto che la media, potrebbero spiegare meglio l’entità del
cambiamento fenologico osservato. Come potrebbe essere importante anche disporre
di dati sulla temperatura del suolo, oppure sul grado di urbanizzazione dell’area
attraverso dati sulla concentrazione della CO2 atmosferica e ozono.
Vista l’esigenza di avere a disposizione quantità di informazione sulla vegetazione e
sull’ambiente circostante, sia in termini spaziali che temporali, negli ultimi anni sta
divenendo sempre più comune utilizzare i dati che provengono dalle riprese satellitari
anche per applicazioni fenologiche tradizionali.
Dopo il lancio dei primi sistemi operativi di osservazione della Terra degli anni ’70,
le immagini satellitari sono state utilizzate per mettere a punto vari indici della
vegetazione in grado di quantificare la variazione spaziale e temporale dell’attività
vegetativa, e quindi utilizzati per monitorare i cicli fenologici di ecosistemi diversi.
Per esempio, analisi condotte in base all’Indice della Differenza Normalizzata della
Vegetazione (NDVI) hanno fornito (Reed et al., 1994; Slayaback et al., 2003) e
forniscono indicazioni sulla ciclicità stagionale del grado di verde della vegetazione così
come appare dallo spazio, in modo da ricavare dati sulla durata della stagione di crescita
della vegetazione. L’NDVI coglie la differenza esistente tra la radiazione emessa dalla
superficie nella banda del rosso con quella dell’infrarosso vicino, la quale indica
l’abbondanza e l’energia assorbita dai pigmenti fogliari come la clorofilla. L’NDVI è,
quindi, un parametro biofisico, fornisce una indicazione sulla “brillantezza del verde”,
non è una misura diretta del tipo di copertura del suolo, ma è in grado di individuare i
differenti tipi di copertura. Comunque, alcune differenze non correlate alla variabilità
dell’ecosistema studiato, ma associate al dato satellitare (come ad esempio le piccole
oscillazioni del satellite, le diverse sensibilità dei sensori nei diversi satelliti, gli errori
causati dalle diverse calibrazioni, gli effetti di rifrazione dell’atmosfera), possono
apportare dei piccoli errori nell’elaborazione dell’NDVI che possono essere interpretati
invece come variazioni effettive dell’indice (Zhou et al., 2001).
Un altro indice, l’Indice di superficie fogliare (LAI), ha consentito a Lucht e colleghi
(2002) di elaborare un modello basato sui dati satellitari, che ha permesso di scoprire
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come la temperatura sia il fattore principale che governa le variazioni fenologiche
nell’Emisfero Boreale, evidenziando un trend ben preciso. Un ulteriore aspetto
interessante di questo studio emerse quando fu investigato l’effetto provocato
dall’eruzione del vulcano Pinatubo, nelle Filippine, nel giugno del 1991. L’eruzione
provocò un raffreddamento a scala globale di circa 0.5 °C a causa delle particelle
eruttate nell’atmosfera. Bene, il fenomeno provocò la sospensione per un paio di anni
di quel trend che stava caratterizzando il periodo di osservazione, e la cosa fu
evidenziata dalla momentanea diminuzione del LAI.
Comunque, a prescindere dal tipo di parametri utilizzati nel realizzare i vari indici,
questa metodologia offre due importanti vantaggi. Il primo è che i dati disponibili sono
riferiti ad un periodo ininterrotto superiore ai 20 anni riguardanti l’intera superficie del
globo terrestre. Il secondo è che rende possibile realizzare modelli fenologici, laddove
mancano dati misurati sul campo, che una volta testati, calibrati e validati su serie
climatiche riferite agli ultimi 25 anni, possono essere utilizzati per elaborare scenari
basati sugli effetti dei possibili cambiamenti climatici futuri qualora siano presenti dei
trend (Botta et al., 2000).
Le osservazioni da terra e le osservazioni dallo spazio differiscono sicuramente per
alcune importanti caratteristiche. Innanzitutto quelle che vengono effettuate a terra si
riferiscono alla singola pianta, in ambienti più o meno limitati e possono essere messe
in relazione al più a variazioni climatiche locali. Per questo, generalmente, non danno
informazioni su pattern riferibili a sistemi integrati, intesi come associazione di più
specie vegetali, piuttosto invece alle singole specie. Le osservazioni effettuate dallo
spazio, invece, e che giungono a noi sotto forma di immagini satellitari, forniscono
l’informazione sotto forma di valori mediati riferibili a singole porzioni di superficie
rappresentate dal singolo pixel che compone l’immagine. Questa informazione
enfatizza l’elemento vegetale dominante e può essere espressa sotto forma di vari indici.
Inoltre, i due tipi di osservazione rilevano caratteristiche qualitativamente differenti.
Macroscopiche quelle rilevate da terra, correlate con l’attività fotosintetica quelle
osservate dallo spazio. Infatti, in quest’ultimo caso, le applicazioni degli indici
vegetazionali (in particolare L’NDVI)si basano sui valori di riflettanza delle superfici
vegetali nell’infrarosso vicino e nel rosso lontano. Alta riflettanza nella regione
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dell’infrarosso si ha per tessuti con alto contenuto di acqua, e alta assorbenza (bassa
riflettanza) nel rosso per tessuti con alto contenuto di clorofilla.
In realtà, oggi si tende ad utilizzare l’informazione che arriva da entrambi i metodi,
e combinare insieme le peculiarità di ognuna per cercare di capire al meglio le relazioni
esistenti tra le manifestazioni fenologiche e l’ambiente.
Per esempio, in alcuni casi si utilizzano le osservazioni da terra, i cui valori sono
riferibili a punti discreti nel territorio, per i test di validazione di monitoraggi elaborati
attraverso gli indici, come l’NDVI per la lunghezza del periodo vegetativo, derivati dalle
osservazioni satellitari. Operazione resa ormai indispensabile specialmente nei casi dove
l’indice è stato utilizzato prima di essere stato tarato su reali osservazioni da terra.
In altri casi le due informazioni si utilizzano insieme, quando i dati provenienti da
locali osservazioni da terra vengono spazializzati ed estesi sull’intera superficie con
l’ausilio delle osservazioni satellitari. In pratica la trasmissione che proviene dallo
spazio, e che copre l’intera superficie, viene interpretata sulla base dello sviluppo
fenologico di singole piante che fanno parte di quella copertura vegetale.
Certamente l’elaborazione del processo è articolata in varie fasi, e non tutto è risolto
al meglio. Il procedimento necessita, infatti, dapprima di analizzare le varie fonti che
possono generare cambiamenti nell’assorbanza (rottura delle gemme, sviluppo delle
foglie e dei germogli, fioritura, senescenza), poi di valutare la relazione che esiste tra la
radiazione assorbita e il livello di attività fotosintetica dello stesso periodo e codificarla
correttamente all’interno di modelli predittivi, infine è necessario scomporre il segnale
che arriva dallo spazio.
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4. I CAMBIAMENTI FENOLOGICI IN ATTO
Le alterazioni dei fenomeni biologici dovuti all’aumento delle temperature possono
essere molteplici e la correlazione che esiste tra l’evento fenologico e la temperatura
dell’aria è probabilmente da ricercare nelle dinamiche delle reazioni chimiche che
governano questo mondo. La velocità con cui queste reazioni avvengono sono
dipendenti dalla temperatura e generalmente diventano più veloci con l’innalzamento
della stessa (con un andamento non lineare e ovviamente entro certi limiti). Nei sistemi
viventi questo è ancora più vero specialmente per le reazioni catalizzate da enzimi. In
molti casi, temperature più calde velocizzano lo sviluppo delle piante per via delle
reazioni implicate nei processi fotosintetici e respiratori (Saxe et al., 2001).
Certamente altri fattori ambientali, oltre alla temperatura, possono apportare
importanti alterazioni. I cambiamenti meteorologici e climatici oltre a determinare
modificazioni sui comportamenti delle specie animali, sui loro ritmi biologici, sulle rotte
migratorie, sulle loro abitudini e necessità alimentari, sono in grado di alterare anche gli
habitat e soprattutto la morfologia, la fisiologia e la distribuzione delle specie vegetali,
nonché il sincronismo tra le interazioni temporali delle specie viventi in generale.
La sensibilità delle specie vegetali a questi cambiamenti è molto alta. Nella flora dei
climi temperati, caratterizzati da una forte stagionalità, il comportamento fenologico
delle varie migliaia di specie che la compongono è riconducibile ad un numero limitato
di strategie. Sono ben conosciuti i diversi tipi di stimoli che determinano l’avvio della
fioritura, come la lunghezza del giorno (brevidiurne, longidiurne, neutrodiurne) e il
freddo invernale (chilling requirements). E se da una parte è vero che i vari gruppi di
specie non rispondono allo stesso modo allo stesso cambiamento ambientale, ci sono
piante ad esempio che vegetano bene anche con temperature ambientali di pochi gradi e
altre che per crescere e svilupparsi richiedono temperature più alte (soglie termiche), è
altrettanto vero che in molti casi sono state osservate elevate correlazioni tra piante che
presentano determinate fenofasi (es: filiazione e fioritura) in uno stesso periodo
stagionale (Zanotti e Puppi, 2001).
Comunque, gli effetti delle variazioni della temperatura sullo sviluppo delle piante
sono tra quelli più studiati e accertati. L’attuale incremento delle temperature, sia a scala
28
regionale che globale, è oggi ben documentato (IPCC, 2001) ed accettato ormai da tutto
il mondo scientifico. A questo proposito si inseriscono qua di seguito due mappe
relative all’indice di aridità di De Martonne che fanno parte di una più completa
elaborazione cartografica climatica relativa ai principali fattori climatici e indici
bioclimatici caratteristici dell’area Mediterranea riferita al clima attuale, trentennio 1961-
90 (fig.4) ed a scenari futuri relativi al trentennio 2070-2100 (Attorre et al., 2007) (fig.5).
Fig.4: Indice di Aridità di De Martonne relativa al trentennio 1961-90.
29
Fig.4: Indice di Aridità di De Martonne relativa al trentennio 2070-2100.
I timori che derivano dal credere che potranno esserci delle ripercussioni sulla
produttività delle piante, sulla competizione tra le specie vegetali, e sulle interazioni con
gli organismi eterotrofi, sono sicuramente ben motivati. Oltre a questi effetti diretti sulla
biosfera, c’è anche tutta una serie di altri impatti che potrebbe avere ricadute negative
sulle risorse che vengono sistematicamente estratte dall’ecosistema per il sostentamento
del fabbisogno umano. Studi mirati hanno dimostrato, per esempio, l’implicazione
fenologica sul: bilanciamento degli ecosistemi terrestri (Keeling et al., 1996), sullo
slittamento di zone agricole (Fisher et al., 2002); sui meccanismi di feedback vegetativi
30
negli strati atmosferici (Scwartz & Crawford, 2001); sulle modalità di competizione tra le
specie vegetali (Rathcke & Lacey, 1985); sul controllo delle pesti e altre malattie
(Penfound et al., 1945), e sulla prevenzione dei disturbi allergici provocati dai pollini
(Tradl-Hoffman et al., 2003).
Il più importante effetto della temperatura è senz’altro quello provocato sulla
lunghezza della stagione di crescita. Questi cambiamenti sono stati studiati e dimostrati
da molti lavori effettuati sulla base di dati fenologici, satellitari e climatici. La
caratteristica principale emersa è che nei casi più pronunciati la stagione vegetativa si è
allungata negli ultimi decenni anche di 10-20 giorni, e che questa tendenza è stata messa
in relazione con il cambiamento climatico in corso.
Alle medie e alte latitudini l’avvento di fasi fenologiche primaverili, come la
germogliazione, il dispiegamento fogliare, e la fioritura, sono regolate principalmente
dalle temperature, tanto che un cospicuo numero di studi ha trovato buone correlazioni
tra le fenofasi primaverili e la temperatura dell’aria (Menzel & Fabian, 1999;
Wielgolaski, 1999; Abu-Asab et al., 2001; Chmielewski & Rötzer, 2002; Fitter & Fitter,
2002; Sparks & Menzel, 2002; Chmielewski et al., 2004), mentre è ancora poco chiaro il
segnale climatico che controlla la fenologia autunnale (Whalter et al., 2002),
probabilmente perché i cambiamenti ambientali sono meno pronunciati e governati da
più pattern ambientali.
La grande quantità di dati disponibili ha portato l’Europa ad avere una posizione
preminente negli studi di questo genere condotti a scala locale. In Estonia, per esempio,
l’inizio della primavera ha mostrato un avanzamento di circa 8 giorni negli ultimi 80
anni, con una rapidità doppia dei secondi 40 anni rispetto ai primi, e con differenze
anche spaziali dovute all’influenza del mar Baltico tanto da favorire l’inizio della
primavera nelle zone costiere rispetto a quelle più interne (Ahas, 1999). Identici risultati
sono stati conseguiti in Germania (Menzel et al., 2001) analizzando dati riferibili ad un
periodo di 45 anni (1951-1996), dove indicatori specifici hanno evidenziato
l’avanzamento primaverile in 8-10 giorni, mentre meno netto è risultato il
prolungamento autunnale registrato in 1,3 - 4,5 giorni, con un andamento non lineare,
ma esponenziale anche qui, con gli ultimi 23 anni più marcati (1974 - 1996). L’inizio
della fioritura è stato l’indicatore utilizzato, invece, in Inghilterra utilizzando dati
31
osservati su 385 specie durante sei decadi, mostrando in media 4,5 giorni di anticipo a
partire dagli anni ’80 dopo quattro decadi di modeste variazioni (Fitter e Fitter, 2002).
Vista l’importanza che sta assumendo la fenologia applicata ai cambiamenti
climatici, importanti banche dati sono ormai studiate anche in altri parti del mondo. In
un periodo di 61 anni (1936 - 1945 e 1976 - 1998), sono state studiate 55 fenofasi nel
Wisconsin meridionale (Bradley et al., 1999), nell’America Settentrionale, con una media
di 7,3 giorni di anticipo per le 55 fenofasi, ma con la caratteristica che l’avanzamento è
risultato più marcato per quelle fasi che avvengono all’inizio della primavera. Ad
Edmonton in Alberta, Canada, la fioritura di Populus tremuloides è anticipata di 8 giorni
negli ultimi 10 anni, e di ben 24 nell’ultimo secolo (Beaubien e Freeland, 2000). Delle
100 specie osservate in 30 anni in Washington, DC, si è visto come 89 hanno mostrato
una media di 4,5 giorni di anticipo sul tempo della prima fioritura (le altre 11 hanno
subito un ritardo), e il fenomeno era correlato con l’incremento locale della temperatura
minima (Abu – Asab et al., 2001). Mentre negli USA Occidentali si è visto come su
osservazioni degli ultimi 50 anni sulla fioritura del lillà e della lonicera giapponese la
comparsa dei primi fiori è anticipata di 5 – 10 giorni e solo negli ultimi 30 anni (Cayan et
al.,2001). Ed è in 2 - 8 giorni l’anticipo registrato, invece, nel Nord-Est americano per
quanto riguarda il lillà, il melo domestico e la vite vinifera da dati provenienti da 72
località nel periodo 1965 - 2001 utilizzano come indicatori la prima fioritura e la
comparsa delle prime foglioline (Wolfe et al., 2005).
In linea con gli studi Europei e Americani è il lavoro condotto in Seoul, Corea,
dove 80 anni di osservazioni (1922 - 2004) sulla prima fioritura di due arbusti (Forsythia
coreana e Rhododendron mucronulatum) e di tre specie arboree (Prunus yedoensis, Prunus persica
e Robinia pseudoacacia) hanno mostrato un generale anticipo, più marcato per le specie a
fioritura precoce, come le prime quattro, di circa 16 giorni, e meno spinto per l’acacia
con circa 4 giorni, associato ad un incremento della temperatura dell’aria di circa 2 °C
registrato nello stesso periodo.
Risulta interessante riportare, infine, quello che è emerso in regioni ad alte latitudini
e altitudini. Per esempio, nella penisola di Kola, nella taiga della Russia Settentrionale,
la lunghezza della stagione vegetativa è decresciuta durante il periodo analizzato (1930 -
1998) a causa del ritardo primaverile di circa 16 giorni e all’anticipo del periodo
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autunno-invernale di circa 13 giorni (Kozlov e Berlina, 2002). Simili osservazioni sono
state fatte in Colorado Rocky Mountain, USA, dove non è stato trovato alcun
significante cambiamento nell’inizio della stagione di crescita nel periodo 1975 - 1999.
Anche qui l’inizio della primavera è controllato dallo scioglimento della neve invernale,
e malgrado le primavere siano più calde rispetto al passato, l’inizio dello scioglimento
non è cambiato, forse dovuto all’incremento delle precipitazioni nevose invernali
(Inouye et al., 2000).
In conclusione, risulta evidente che studiare le caratteristiche del trend esistente tra
la variabilità interannuale di una fenofase e i cambiamenti climatici è reso sicuramente
molto più complicato dalla concomitante presenza di effetti dovuti per esempio ai
cambiamenti di altre variabili ambientali, come: le circolazioni locali e globali, i livelli di
CO2 (Houghton et al., 2001), i cicli solari, e le oscillazioni di tipo el El Niño Meridionale
e dell’Atlantico del Nord (Jones et al., 1997; D’Orrico et al., 2002; Stenseth et al., 2002;
Menzel et al., 2005), o regolati da altri sistemi piuttosto che quelli climatici, come quelli
genetici, o legati al fotoperiodo (Bradley et al., 1999).
In questi lavori si è visto come la temperatura, in particolare quella dei mesi che
precedono il fenomeno vegetativo considerato, può essere vista come un indicatore del
cambiamento fenologico. Emerge anche, come la risposta registrata sia stata differente,
e che questa differenza è dovuta a diversi fattori come: la variabilità del taxa esaminato,
l’area di studio, la lunghezza della serie storica di osservazione, e la collocazione
temporale della serie dei dati. In ogni caso questi studi hanno registrato, perlomeno alle
medie latitudini dell’emisfero settentrionale, un anticipo dell’avvento delle fenofasi
primaverili, e che questi cambiamenti sono stati più profondi per gli eventi fenologici
propri delle primissime fasi dell’inizio della stagione vegetativa ( per esempio: rottura
delle gemme, prima fioritura), e dove è stato possibile utilizzare anche dati riguardanti
fenofasi autunnali, pochi casi in verità vista l’incertezza legata alle osservazioni di questa
stagione, si è visto che l’anticipo primaverile è accompagnato da un ritardo dell’inizio
autunnale con conseguente allungamento della stagione vegetativa in tutte e due le
estremità. A questi cambiamenti sono associati gli incrementi delle temperature
invernali e inizio primavera che sono stati più pronunciati rispetto agli altri periodi
dell’anno (Sparks e Menzel, 2002; Fitter e Fitter, 2002), e che le piante legnose si sono
33
dimostrate meno sensibili ai cambiamenti climatici rispetto a quelle erbacee (Post e
Stenseth, 1999; Arft et al. 1999). Inoltre, le regioni che sono interessate da un
raffreddamento climatico (Folland e Karl, 2001), in netto contrasto con la generale
tendenza al surriscaldamento degli ultimi decenni, non hanno evidenziato alcun anticipo
fenologico, ma ritardi nell’avvento della stagione vegetativa. Tra queste regioni, oltre a
quelle già ricordate sopra, citiamo: i Balcani (Menzel, 2000), gli Urali (Ahas et al., 2002),
Virginia e Nord Carolina (Fitzjarrald et al., 2001).
I cambiamenti fenologici registrati non riguardano solo il prolungamento e
l’anticipo della stagione di crescita, ma hanno coinvolto anche la distribuzione e
l’abbondanza della specie (Peñuelas e Filella, 2001; Chuine e Beaubien, 2001; Walther,
2002).
In Spagna, nella parte Nord – Orientale, uno lavoro basato su dati storici, carte
della vegetazione e aerofotografie, ha dimostrato che Fagus sylvatica è stata spostata nel
margine inferiore del suo areale dall’avanzata di Quercus ilex, e a sua volta sta
estendendosi lungo il margine superiore a discapito di altre specie come Calluna vulgaris.
Questo spostamento verso quote più elevate delle fasce di vegetazione è da mettere in
relazione, secondo gli autori di questo studio, con l’incremento di 1,2 - 1,4 °C della
temperatura registrato negli ultimi 50 anni, con particolare incremento negli ultimi 30
anni (Peñuelas e Boada, 2003).
In linea con questo risultato si pone anche lo studio condotto nelle foreste della
Svizzera utilizzando anche qui a partire da dati storici. Nella fascia bassa dell’areale di
Fagus sylvatica è stato segnalato l’aumento dell’abbondanza di specie più termofile
(Walther, 1997; Carraro et al., 1999; Meduna et al., 1999; Beguin, 2001), e
contemporaneamente la tendenza delle specie montane a ritirarsi nella parte bassa della
loro distribuzione (Walther, 1997; Carraro et al., 1999; Walther e Grundmann, 2001).
In uno studio condotto in Australia due decenni fa, sono state evidenziate le fasi
iniziali della sostituzione di una specie, in questo caso Nothofagus moorei, con altre. Nella
zona temperata fresca della foresta pluviale Australiana, in particolare nel New South
Wales, è stato osservato, infatti, come Nothofagus moorei non sia più in grado di
rigenerarsi, favorendo l’intrusione di elementi propri della vegetazione temperato –
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calda e sub – tropicale di latitudini più basse, come Ceratopetalum apetalum (Read & Hill,
1985).
Del tutto particolare è invece quello che sta avvenendo nella regione compresa fra
la parte meridionale della Svizzera e quella Settentrionale dell’Italia dove un nuovo tipo
di bosco temperato – caldo sta stabilizzandosi a causa dei mutamenti delle condizioni
climatiche. Da un punto di vista bioclimatico questa area è posizionata nella zona di
transizione tra la vegetazione delle latifoglie decidue e quella delle latifoglie sempreverdi
(Klötzli, 1988; Klötzli et al., 1996). Un modesto cambiamento climatico è stato
sufficiente ad aprire una nuova nicchia ecologica idonea a specie temperato – calde, ma
per ragioni storiche, vivono nell’area solo poche specie indigene con queste
caratteristiche, le uniche che sono state in grado di ritornare dopo l’ultimo glaciale (Mai,
1995, Grabherr, 1997), e recenti monitoraggi hanno messo in luce come siano le specie
esotiche, impiegate storicamente per scopo ornamentale nelle ville e nei parchi (Schöter,
1936; Schmid, 1956; Walther, 1999, 2001), che si stanno diffondendo e naturalizzando
in queste aree (Klötzli et al., 1996; Walther, 1997, 2000, 2003; Carraio et al., 1999).
La stabilizzazione di elementi esotici termofili all’interno della flora nativa viene
riportato anche in Spagna, con la comparsa di specie tropicali e subtropicali provenienti
dal Sud America e dal Sud Africa (Sobrino et al., 2001), e nelle coste occidentali
dell’Irlanda, con la diffusione di Gunnera tinctoria dal Sud America ((Pilcher & Hall,
2001). Mentre in Europa, la parte settentrionale dell’areale delle specie latifoglie
sempreverdi sta spostandosi verso Nord, come ad esempio Ilex aquifolium che sta
cercando di stabilizzarsi nel Sud della Scandinavia (Berger & Walther, 2003).
Oltre a questi esempi, dove il cambiamento è indotto dalla variazione della
temperatura, vengono riportati studi dove sono le precipitazioni ad essere indicate
come le principali responsabili di mutamenti distributivi. Come il caso del deserto del
Chihuahuan, nel Sud – Est dell’Arizona, caratterizzato da praterie-arbusteti, dove il
numero e la copertura delle specie arbustive è cresciuto a partire dagli anni ’70, ed è
stato associato all’incremento delle precipitazioni invernali (Brown et al., 1997).
Esempio opposto, invece, è fornito dallo studio condotto nel New Mexico
Settentrionale dove l’avvento di aridità ha indotto l’avanzata di Pinus edulis e Juniperus
monosperma a discapito di Pinus ponderosa (Allen e Breshears, 1998).
35
Certamente si può aggiungere che in particolari ambienti, caratterizzati da più
delicati equilibri, sono probabilmente coinvolte interazioni specifiche tra più di un
fattore climatico. Come nelle cloud forests delle montagne tropicali, dove il recente
surriscaldamento ha alterato l’abbondanza e la frequenza delle nebbie durante la
stagione asciutta, con ripercussioni già evidenti sulle specie animali, che essendo mobili
sono più pronte a seguire i cambiamenti ambientali. Le popolazioni di uccelli, rettili e
anfibi tipiche di quegli ambienti, anticipando probabilmente le risposte vegetali, sono
crollate parimenti all’incremento di specie non tolleranti la nebbia, provenienti dalla
cintura montana adiacente più bassa (Pound et al., 1999; Condit et al., 1996; Markham,
1998; Nadkarni e Solano, 2002).
Infine, è bene sottolineare i possibili effetti che questi spostamenti possono causare
a lungo termine sui cambiamenti genetici attraverso il susseguirsi delle generazioni e
indurre, quindi, una risposta evolutiva a seguito dei cambiamenti climatici (Réale et al.,
2003; Bradshaw & Holzapfel, 2001; Pulido et al., 2001).
A seguito dell’importanza dimostrata di questa stretta interazione tra la temperatura
e lo sviluppo di particolari organi vegetali, negli ultimi anni sono stati elaborati alcuni
semplici modelli empirici basati sulle interazioni esistenti tra la temperatura e le risposte
fenologiche. La maggior parte di questi modelli interpretativi, che hanno mostrato una
buona predittività, sono basati sul metodo delle sommatorie termiche o gradi-giorno.
Normalmente nel calcolo delle sommatorie vengono utilizzate le temperature medie
giornaliere che superano una certa soglia termica. Nella pratica la semplicità di questi
modelli e la loro buona predittività consentono di utilizzare le piante come sensori
meteorologici nei confronti dell’andamento termico.
36
37
5. RISULTATI E CONSIDERAZIONI
In questo capitolo vengono presentate le tipologie di analisi più sofisticate: grafiche,
tabellari e cartografiche, elaborate sui dati fenologici più importanti e completi del
triennio 2005-07.
Alcune delle elaborazioni discusse rappresentano il normale proseguimento
dell’iniziativa pilota messa a punto durante il Report del 2006 dove fu delineato un
protocollo operativo per procedere ai confronti fenologici del biennio 2005-06 e per
eseguire le comparazioni termometriche con alcune stazioni meteorologiche riguardanti
l’andamento climatico del 2006. I buoni risultati raggiunti hanno consentito non solo la
ripresa di tale protocollo, ma anche la possibilità di estendere ambedue le tipologie di
elaborazione al triennio completo e per un numero più consistente di coppie di stazioni
fenologiche-meteorologiche.
Inoltre, sono stati affrontati con successo i primi tentativi di individuazione di
eventuali trend a livello nazionale utilizzando le due specie vegetali più monitorate nel
progetto “Mappa della Primavera”, vale a dire Sambucus nigra e Spartium junceum.
La mappa di figura 5 riporta le 23 aree protette contemplate dal programma di
monitoraggio, riportate in elenco, con le 60 stazioni fenologiche dove sono ubicati gli
esemplari vegetali oggetto delle osservazioni.
01-Parco regionale Orsiera Rocciavrè 02-Parco regionale della Valle del Ticino Lombardo 03-Parco nazionale dello Stelvio 04-Parco naturale dell’Adamello Brenta 05-Parco regionale Dolomiti Friulane 06-Parco regionale Delta del Po 07-Parco nazionale dell’Appennino Tosco-Emiliano 08-Parco nazionale delle Cinque Terre 09-Parco regionale di Migliarino San Rossore 10-Parco nazionale delle Foreste Casentinesi 11-Parco naturale del Conero
12-Parco regionale della Maremma 13-Riserva naturale di Monte Mario 14-Parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga 15-Riserva naturale Monte Genzana Alto Gizio 16-Parco nazionale del Vesuvio 17-Parco regionale Gallipoli Cognato-Piccole Dolomiti Lucane 18-Parco regionale delle Chiese rupestri del Materano 19-Parco nazionale della Sila 20-Parco regionale dei Nebrodi 21-Parco regionale del Lago Trasimeno 22-Parco nazionale dell’Alta Murgia 23-Parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano
38
Fig.5: Carta delle stazioni di osservazione fenologica del progetto “Mappa della Primavera”
39
5.1. La specie vegetale come protagonista
Questa prima sezione si apre con una semplice scheda informativa per ciascuna
specie vegetale esaminata, contenente alcune note di idoneità ambientale e la mappa
dell’areale di distribuzione attuale.
La mappa di figura 5 sarà utile per la localizzazione geografica di tutti gli elaborati, e
delle relative considerazioni di seguito riportate e suddivise per le 6 specie vegetali che
meglio si sono prestate alle analisi.
La prima tipologia di grafici che segue alla scheda è relativa al confronto triennale
dello sviluppo del fiore secondo le 6 fenofasi, riportate in ascisse, con il giorno dell’anno
(DOY) dell’osservazione in ordinata, secondo il seguente schema che riporta il DOY,
metodo internazionale, al giorno del mese:
15-mar 31-mar 15-apr 30-apr 15-mag 31-mag 15-giu 30-giu 15-lug 31-lug 15-ago 31-ago 15-set74 90 105 120 135 151 166 181 196 212 225 243 258
Dall’andamento temporale delle tre serie, una per ciascun anno e riportate con colori
differenti, si possono desumere i relativi anticipi, o ritardi, delle tre stagioni fenologiche
osservate. Il quadro generale non mostra sempre una tendenza chiara e univoca, anzi,
spesso l’andamento delle serie nei grafici rivela un differente comportamento non solo
per ogni singola specie, a conferma della specifica sensibilità alle oscillazioni
termometriche, ma spesso anche lungo la stagione. Comunque, più in dettaglio si può
evidenziare come il castagno, l’erica, il sambuco e la ginestra hanno mostrato una
risposta più definita rispetto alle altre due specie, il mirto e l’albero di giuda. Ad esempio,
il castagno mostra per il 2005 un leggero anticipo stagionale, specialmente per le ultime
fasi fenologiche, nelle aree protette dell’Appennino Tosco-Emiliano e delle Cinque
Terre. Andamento contraddittorio, invece per la fioritura dell’erica, che si sviluppa in
anticipo per il 2005 nel nord, nello stesso parco dell’Appennino Tosco-Emiliano,
mentre nei Nebrodi al sud, è la stagione 2007 che anticipa tutte le altre. Ancora
contraddittoria, anche se più distinta, è l’osservazione del sambuco nei parchi di
Adamello-Brenta e Ticino Lombardo dove è la stagione 2005 ad essere in anticipo sulle
40
altre, mentre nel parco del Conero le ultime fenofasi fiorali di questa specie sono in
anticipo nella stagione 2007.
La seconda tipologia di grafici riportata in questa prima sezione riguarda la
correlazione con la temperatura media e richiede una più attenta lettura in quanto, oltre
ai valori di Doy nelle ordinata e dei valori di °C nelle ascisse, relativi alla temperatura
media registrata nello stesso periodo dell’osservazione fenologica, vengono riportati
lungo ciascuna curva, e dello stesso colore della curva, anche i valori delle fenofasi
registrate: in questa maniera è possibile seguire lo sviluppo fiorale della specie
considerata contemporaneamente per i tre anni sulla base della temperatura media di
quel particolare periodo dell’anno.
Infine, viene riportata una piccola mappa per ogni evento analizzato, per la
localizzazione della stazione fenologica e della stazione meteorologica abbinata, e la
tabella sottostante dove sono indicate le distanze in km tra le due tipologie di stazioni.
N AREA PROTETTA STAZIONE
FENOLOGICA distanza km STAZIONE
METEOROLOGICA
2 PR Valle del Ticino 1 Monte San Giacomo 4 Somma Lombardo 4 PR Adamello Brenta 2 Val Genova 19 Ponte di Legno 8 PN Cinque Terre Schiappacasse 8 Vernazze 8 PN Cinque Terre Torre Guardiola 6 Vernazze 9 PR Migliarino San Rossore 3 Lamone 3 S.Piero al Grado 13 RN Monte Mario 1 stazione 3 Collegio Romano 13 RN Monte Mario 2 stazione 5 Collegio Romano 17 PR Gallipoli-Cognato 2 Bosco di Gallipoli 7 Albano di Lucania 18 PR Chiese Rupestri del Materano 2 gravina di Matera 11 Matera 19 PN Sila 1 Ariamacina 13 Monte Scuro
41
Castanea sativa
'Parco nazionale delle Foreste Casentinesi'
100
125
150
175
200
225
250
275
1 2 3 4 5 6
fioritura Castanea sativa
DOY
stagione 2005 stagione 2006 stagione 2007
42
'Parco Nazionale Cinque Terre' stazione di "Schiappacasse"
osservazioni della fenofase fiorale di Castanea sativa
125
150
175
200
225
250
1 2 3 4 5 6
fioritura Castanea sativa
Gio
rno
dell'
anno
(DO
Y)
stagione 2005 stagione 2006 stagione 2007
43
Cercis siliquastrum
'Parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga'
50
75
100
125
150
175
200
1 2 3 4 5 6
fioritura Cercis siliquastrum
DOY
stagione 2005 stagione 2006 stagione 2007
44
'Riserva naturale di Monte Mario' stazione 1
osservazioni della fenofase fiorale di Cercis siliquastrum
50
75
100
125
150
175
1 2 3 4 5 6
fioritura Cercis siliquastrum
Gio
rno
dell'
anno
(DO
Y)
stagione 2005 stagione 2006 stagione 2007
45
'PR delle Chiese rupestri del Materano' staz. "Gravina di Matera"
osservazioni della fenofase fiorale di Cercis siliquastrum
50
75
100
125
150
175
1 2 3 4 5 6
fioritura Cercis siliquastrum
Gio
rno
dell'
anno
(DO
Y)
stagione 2005 stagione 2006 stagione 2007
46
Erica arborea
'Parco regionale dei Nebrodi'
50
75
100
125
150
175
200
1 2 3 4 5 6
fioritura Erica arborea
DO
Y
stagione 2005 stagione 2006 stagione 2007
47
'Riserva naturale di Monte Mario' stazione 2
osservazioni della fenofase fiorale di Erica arborea
50
75
100
125
150
175
1 2 3 4 5 6
fioritura Erica arborea
Gio
rno
dell'
anno
(DO
Y)
stagione 2005 stagione 2006 stagione 2007
48
Myrtus communis
49
'Parco regionale di Migliarino San Rossore' stazione "Lamone"osservazioni della fenofase fiorale di Myrtus communis
100
125
150
175
200
225
250
1 2 3 4 5 6
fioritura Myrtus communis
Gio
rno
dell'
anno
(DO
Y)
stagione 2005 stagione 2006 stagione 2007
'PR delle Chiese rupestri del Materano' staz. "Gravina di Matera"osservazioni della fenofase fiorale di Myrtus communis
100
125
150
175
200
225
250
1 2 3 4 5 6
fioritura Myrtus communis
Gio
rno
dell'
anno
(DO
Y)
stagione 2005 stagione 2006 stagione 2007
50
Sambucus nigra
'Parco naturale del Conero'
50
75
100
125
150
175
200
225
1 2 3 4 5 6
fioritura Sambucus nigra
DO
Y
stagione 2005 stagione 2006 stagione 2007
51
'Parco Regionale della Valle del Ticino Lombardo' stazione di
"Monte S.Giacomo"osservazioni della fenofase fiorale di Sambucus nigra
50
75
100
125
150
175
200
225
1 2 3 4 5 6
fioritura Sambucus nigra
Gio
rno
dell'
anno
(DO
Y)
stagione 2005 stagione 2006 stagione 2007
52
'Parco naturale dell’Adamello Brenta' stazione di "Val Genova"
osservazioni della fenofase fiorale di Sambucus nigra
75
100
125
150
175
200
225
1 2 3 4 5 6
fioritura Sambucus nigra
Gio
rno
dell'
anno
(DO
Y)
stagione 2005 stagione 2006 stagione 2007
53
'Parco nazionale della Sila' stazione di "Lago di Ariamacina"
osservazioni della fenofase fiorale di Sambucus nigra
100
125
150
175
200
225
1 2 3 4 5 6
fioritura Sambucus nigra
Gio
rno
dell'
anno
(DO
Y)
stagione 2005 stagione 2006 stagione 2007
54
'Parco regionale di Gallipoli Cognato e Piccole Dolomiti Lucane'
stazione di "Bosco di Gallipoli"osservazioni della fenofase fiorale di Sambucus nigra
75
100
125
150
175
200
1 2 3 4 5 6
fioritura Sambucus nigra
Gio
rno
dell'
anno
(DO
Y)
stagione 2005 stagione 2006 stagione 2007
55
Spartium junceum
'Parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga'
50
75
100
125
150
175
200
225
1 2 3 4 5 6
fioritura Spartium junceum
DO
Y
stagione 2005 stagione 2006 stagione 2007
'Parco regionale dei Nebrodi'
50
75
100
125
150
175
200
225
1 2 3 4 5 6
fioritura Spartium junceum
DO
Y
stagione 2005 stagione 2006 stagione 2007
56
'Parco Nazionale Cinque Terre' stazione di "Torre Guardiola"
osservazioni della fenofase fiorale di Spartium junceum
50
75
100
125
150
175
200
1 2 3 4 5 6
fioritura Spartium junceum
Gio
rno
dell'
anno
(DO
Y)
stagione 2005 stagione 2006 stagione 2007
57
'Riserva naturale di Monte Mario' stazione 2
osservazioni della fenofase fiorale di Spartium junceum
75
100
125
150
175
200
225
1 2 3 4 5 6
fioritura Sambucus nigra
Gio
rno
dell'
anno
(DO
Y)
stagione 2005 stagione 2006 stagione 2007
58
5.2. Un esempio di osservazione integrata: due parchi-tre specie
Durante l’operazione di controllo e catalogazione dei dati grezzi provenienti
direttamente dalle stazioni di monitoraggio fenologico dislocate sul territorio, è apparsa
la possibilità di poter offrire nella stesura finale dei dati elaborati una chiave di lettura-
confronto dei medesimi che consentisse di seguire l’andamento della fioritura di tre
specie botaniche, il castagno, l’erica e la ginestra, per l’intero triennio e con la
correlazione dell’informazione climatica delle temperature medie, all’interno di due sole
realtà territoriali costituite dal Parco nazionale dell’Appennino Tosco-Emiliano, ai
margini nordici dell’appennino settentrionale, e dal Parco regionale di Gallipoli Cognato-
piccole Dolomiti Lucane, situato al centro del territorio regionale della Basilicata, e
distanti poco più di 600 chilometri.
La cosa interessante che è emersa, e che è proposta nei grafici sottostanti, è costituita
dal fatto che nel primo parco è la stagione 2005 per tutte e tre le specie ad essere in
anticipo sulle altre due che mostrano invece andamenti molto simili tanto da risultare
completamente sovrapposti per lunghi tratti. Mentre è esattamente il contrario il
fenomeno osservato nel parco regionale di Gallipoli Cognato-Piccole Dolomiti Lucane,
dove è il biennio 2006-07 ad essere in anticipo stagionale sul monitoraggio del 2005,
eccezione fatta per l’osservazione della ginestra.
Parco Nazionale dell’Appennino Tosco-Emiliano Parco Reg.Gallipoli Cognato-Piccole Dolomiti Lucane
'Parco nazionale dell’Appennino Tosco-Emiliano'
100
125
150
175
200
225
250
275
1 2 3 4 5 6
fioritura Castanea sativa
DOY
stagione 2005 stagione 2006 stagione 2007
'Parco reg. Gallipoli Cognato-Piccole Dolomiti Lucane'
100
125
150
175
200
225
250
275
1 2 3 4 5 6
fioritura Castanea sativa
DOY
stagione 2005 stagione 2006 stagione 2007
59
'Parco nazionale dell’Appennino Tosco-Emiliano'
50
75
100
125
150
175
200
1 2 3 4 5 6
fioritura Erica arborea
DOY
stagione 2005 stagione 2006 stagione 2007
'Parco reg. Gallipoli Cognato e Piccole Dolomiti Lucane'
50
75
100
125
150
175
200
1 2 3 4 5 6
fioritura Erica arborea
DO
Y
stagione 2005 stagione 2006 stagione 2007
'Parco nazionale dell’Appennino Tosco-Emiliano' Lucane'
50
75
100
125
150
175
200
225
1 2 3 4 5 6
fioritura Spartium junceum
DO
Y
stagione 2005 stagione 2006 stagione 2007
'Parco reg. Gallipoli Cognato-Piccole Dolomiti Lucane'
50
75
100
125
150
175
200
225
1 2 3 4 5 6
fioritura Spartium junceum
DOY
stagione 2005 stagione 2006 stagione 2007
60
5.3. le prime tendenze a livello nazionale
Per ottenere i risultati presentati in questa ultima sezione, sono state utilizzate le
osservazioni riguardanti l’inizio della fioritura della campagna 2006, codificata con la
fenofase 3, delle specie Sambuco nigra e Spartium junceum.
Queste due specie vegetali sono state scelte rispetto alle altre in quanto avevano un
considerevole numero di dati, distribuiti sull’intero territorio nazionale in maniera più
regolare, soprattutto per quanto riguarda l’anno 2006.
Questi presupposti costituivano una situazione di partenza ideale per tentare di
mettere in evidenza, nel caso fosse esistito, un trend legato a qualche variabile
ambientale. Alla fine dello studio propedeutico le variabili individuate sono state la
temperatura media del trimestre immediatamente precedente all’inizio della fioritura e la
latitudine espressa in chilometri.
Successivamente sono stati normalizzati i singoli valori a livello del mare (s.l.m.), di
queste due variabili. E’ noto infatti che per ottenere un decremento della temperatura di
1°C bisogna salire di circa 115 m verso quote più elevate, oppure spostarsi di circa 85
km a latitudini maggiori (Mac Artur, 1972). Nelle tabelle che seguono si riportano i
valori effettivamente osservati, sia per le temperature in °C e sia per le latitudini in km,
con accanto le compensazioni effettuate e i valori normalizzati, questi ultimi utilizzati
nelle elaborazioni finali.
Nei risultati che seguono, dapprima sono presentate e discusse le correlazioni
climatiche del sambuco e della ginestra, rispettivamente con la temperatura media del
61
trimestre febbraio-marzo-aprile, e del trimestre marzo-aprile-maggio, e poi vengono
discusse le correlazioni ambientali con la latitudine.
Temperatura media
Sambucus nigra
Stazione dem staz.feno dem staz.meteo doy-feno3 Tm feb-apr °C osservata compens.ne 1 Orrido di Chianocchio 610 520 146 6.4 7.1 -0.8 2 Monte San Giacomo 400 238 155 5.8 7.2 -1.4 3 Naglar 1300 1225 166 2.1 2.7 -0.6 4 Val Genova 950 1265 166 5.1 2.4 2.7 5 Cimolais 650 841 166 5.3 3.6 1.6 6 Punte Alberete 1 2 135 8.9 8.9 0.0 7 Frignoli 850 2165 155 9.0 -1.7 11.3 8 Schiappacasse 550 340 148 9.4 11.2 -1.8 9 Tagliatelle 2 3 122 9.9 9.9 0.0 13 Monte Mario 1 105 57 120 10.2 10.6 -0.4 15 Vallone S.Margherita 701 810 151 6.3 5.4 0.9 17 Bosco di Gallipoli 410 890 120 11.3 7.2 4.1 18 Gravina di Picciano 225 475 135 11.8 10.0 2.2 19 Ariamacina 1320 1710 166 5.1 1.8 3.4 21 San Savino 258 229 142 8.8 9.0 -0.3 22 Sgarrone 568 587 120 9.0 8.7 0.2
inizio fioritura 2006 Sambucus nigra - fenofase 3
R2 = 0.6746
110
120
130
140
150
160
170
180
1.0 2.0 3.0 4.0 5.0 6.0 7.0 8.0 9.0 10.0 11.0 12.0 13.0
Temperatura media Febbraio-Aprile 2006 (°C)
Gio
rno
dell'
anno
(DO
Y)
Fig.6: Retta di regressione del sambuco tra il DOY e la temp. Media del trimestre Feb-Apr.
62
Dall’analisi di regressione di figura 6 si evince come l’inizio della fioritura di questa
specie botanica sia anticipata di 5 giorni per ogni °C di innalzamento della temperatura
media del trimestre febbraio-marzo-aprile.
Spartium junceum
Stazione dem staz.feno dem staz.meteo doy-feno3 Tm mar-mag °C osservata compens.ne 7 Prati di Logarghena 1150 2165 171 7.7 1.6 6.1 8 Torre Guardiola 90 340 124 15.7 14.2 1.5 9 Torre del Lago 3 3 151 12.9 12.9 0.0 10 Asqua 1000 248 173 7.6 12.1 -4.5 12 Scoglietto 0 5 138 13.7 13.7 0.0 13 Monte Mario 2 105 57 135 15.0 15.3 -0.3 15 Valle Lovozza 701 810 145 9.5 8.7 0.7 16 Valle dell'Inferno 785 9 166 8.3 13.0 -4.7 17 Bosco di Gallipoli 410 890 128 13.9 11.0 2.9 18 Altopiano Murgico 400 475 141 13.4 13.0 0.5 19 Serrisi 1322 1710 150 7.8 5.65 2.3 23 Madonna di Loreto 572 30 151 10.7 13.95 -3.3
inizio fioritura 2006 Spartium nigra - fenofase 3
R2 = 0.7661
120
130
140
150
160
170
180
6.0 7.0 8.0 9.0 10.0 11.0 12.0 13.0 14.0 15.0 16.0 17.0
Temperatura media Marzo-Maggio 2006 (°C)
Gio
rno
dell'
anno
(DO
Y)
Fig.7: Retta di regressione della ginestra tra il DOY e la temp. Media del trimestre Mar-Mag.
Mentre l’analisi di regressione di figura 7, che mostra un R² di 0.7661, indica che la
risposta all’incremento per ogni °C della temperatura media del trimestre marzo-aprile-
maggio è l’anticipo dell’inizio della fioritura della ginestra di 4 giorni.
63
Latitudine
Sambucus nigra
Stazione dem staz.feno doy-feno3 lat.staz. Feno km osservata compens.ne 1 Orrido di Chianocchio 610 146 5466 5030 4362 Monte San Giacomo 400 155 5362 5076 2863 Naglar 1300 166 6085 5156 9294 Val Genova 950 166 5801 5122 6795 Cimolais 650 166 5599 5135 4646 Punte Alberete 1 135 4934 4933 17 Frignoli 850 155 5510 4903 6078 Schiappacasse 550 148 5289 4896 3939 Tagliatelle 2 122 4858 4857 110 Campigna 1100 171 5649 4863 78611 Pian Grande 159 120 4850 4824 11413 Monte Mario 1 105 120 4719 4644 7514 Capo D'Acqua 350 151 4931 4681 25015 Vallone S.Margherita 701 151 5148 4647 50117 Bosco di Gallipoli 410 120 4782 4489 29318 Gravina di Picciano 225 135 4667 4506 16119 Ariamacina 1320 166 5298 4355 94320 Fag.ta M.Marcellino 1042 151 4951 4207 74421 San Savino 258 142 4965 4781 18422 Sgarrone 568 120 4940 4534 406
inizio fioritura 2006 Sambucus nigra - fenofase 3
R2 = 0.6726
110
120
130
140
150
160
170
180
4500 4750 5000 5250 5500 5750 6000 6250
Latitudine normalizzata delle stazioni fenologiche (km)
Gio
rno
dell'
anno
(DO
Y)
Fig.8: Retta di regressione del sambuco tra il DOY e la latitudine normalizzata.
64
Il grafico di figura 8 presenta una retta di regressione sulla latitudine normalizzata
delle stazioni fenologiche con un R² di 0.6726, e mette in evidenza un ritardo dell’inizio
della fioritura del sambuco di 17 giorni ogni aumento della latitudine di 500 km.
Spartium junceum
Stazione dem staz.feno doy-feno3 lat.staz. Feno km osservata compens.ne 7 Prati di Logarghena 1150 171 5736 4915 821 8 Torre Guardiola 90 130 4960 4896 64 9 Torre del Lago 3 151 4866 4864 2 10 Asqua 1000 173 5568 4854 714 11 Pian Grande 415 135 5120 4824 296 12 Scoglietto 0 138 4732 4732 0 13 Monte Mario 2 105 135 4721 4646 75 14 Vallone S.Giacomo 650 141 5144 4680 464 15 Valle Lavozza 701 142 5150 4649 501 16 Valle dell'Inferno 785 160 5080 4519 561 17 Bosco di Gallipoli 410 128 4782 4489 293 18 Altopiano Murgico 400 141 4789 4503 286 19 Serrisi 1322 146 5295 4351 944 20 Sughereta Badetta 540 115 4584 4198 386 23 Madonna di Loreto 572 151 4881 4472 409
inizio fioritura 2006 Spartium nigra - fenofase 3
R2 = 0.6177
120
130
140
150
160
170
180
4500 4750 5000 5250 5500 5750
Latitudine normalizzata delle stazioni fenologiche (km)
Gio
rno
dell'
anno
(DO
Y)
Fig.9: Retta di regressione della ginestra tra il DOY e la latitudine normalizzata.
Il ritardo dell’inizio della fioritura della ginestra, invece, mostrato dall’analisi di
regressione di figura 9 è quantificabile in 19 giorni man mano che si procede verso una
latitudine maggiore di 500 km.
65
6. PROSPETTIVE DI RICERCA
Oggi le potenzialità applicative del dato fenologico in studi ambientali sono ben
definite, anche se probabilmente non del tutto esplicitate. Il panorama scientifico
presentato offre spunti di riflessione su come l’informazione contenuta in una serie
temporale di dati fenologici dia all’esperto di settore la possibilità concreta di investigare
in settori di ricerca di estrema attualità, quali ad esempio l’impatto del cambiamento
climatico in atto sui sistemi naturali o sui sistemi produttivi, sia agroalimentari che
silvoforestali.
Il dato ideale, ovviamente, è quello che fa parte di una serie temporale ininterrotta di
almeno 20-30 anni di osservazione, che assieme ad altre serie fenologiche compatibili
comprenda vari fasi della stessa specie, in maniera tale da coprire il più possibile il
periodo della stagione di crescita. Il singolo dato, inoltre, deve essere preso con tutti gli
accorgimenti necessari a standardizzare il più possibile la registrazione allo scopo di
garantire l'uniformità delle osservazioni fenologiche ed evitare errori dovuti a fattori
intrinseci (omogenea formazione dei rilevatori, adozione di un unico modello di scheda
di rilevamento, identici periodi di rilevamento,…), ed estrinseci (variabilità fenologica
interna ad un individuo, variabilità interna ad una popolazione, contrassegnazione degli
individui monitorati onde consentire il monitoraggio sempre sullo stesso individuo non
solo nella campagna in corso, ma anche in quelle seguenti,…).
Qualora si volessero poi, eseguire indagini più complete con l’obiettivo di mettere in
evidenza le relazioni esistenti tra il dato fenologico e determinati parametri ambientali,
alla ricerca di trend ed elaborazione di modelli, è ovvio che oltre ad avere la disponibilità
dell’informazione ambientale individuata, questa deve possedere i giusti requisiti e
formati. A tale proposito, abbiamo visto come le osservazioni satellitari rappresentino
un valido supporto, anche se questo diminuisce in maniera proporzionale al crescere
della grandezza della scala di osservazione dell’area di studio.
A fronte di questa situazione ideale, attualmente abbiamo a disposizione tre anni di
attività del progetto “Mappa della Primavera”. La prima e principale considerazione che
66
si ha l’obbligo di fare è quella di constatare che oggi, visto che si è ben al di sotto di
ognuno di quei requisiti elencati sopra, non è ancora ragionevolmente accettabile
“avventurarsi” in elaborazione più complesse di quelle che prevedono come risultato
finale l’elaborazione di mappe e di grafici, dove il dato fenologico al più può essere
messo in relazione alla temperatura, o altri parametri ambientali come la latitudine.
Ambizioni maggiori, come mettere a punto dei modelli che possano simulare scenari
fenologici predittivi sulla base delle previsioni climatiche formulate dai Modelli di
Circolazione Globale, ambizioni legittime del resto viste le potenzialità del settore,
richiedono innanzitutto serie temporali di osservazione più lunghe, che l’informazione
climatica misurata sia al massimo della pertinenza spaziale con il dato fenologico, e che
sia possibile accedere a dati satellitari in modo da dedurre ulteriore informazione di
supporto.
67
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