Download - Meridiana | Gennaio - Febbraio 2010
Questi che stiamo vivendo sono stati mesi difficili per il Paese, nel corso dei quali sono stati messi a dura prova il suo tessuto sociale e produttivo. Le Istituzioni sono state sollecitate in maniera intensa dalla crisi economica e dalle difficoltà occupazionali a fornire delle risposte ai lavoratori, alle imprese e alle famiglie. Risposte che si sono tradotte in misure efficaci che hanno consentito di mitigare e affrontare con minori criticità rispetto a quanto è avvenuto in altri Paesi, questa drammatica contingenza.L’attuale fase però dimostra, che non basta l’efficacia dell’azione amministrativa per restituire solidità alla credibilità delle Istituzioni e partecipazione ai cittadini. Non è più sufficiente rivendicare legittimamente il risultato, occorre ridare una prospettiva alle speranze della società.Per farlo credo si debba riconoscere che oggi c’è un vuoto di partecipazione e senso di appartenenza e questo vuoto, prima che a riempirlo siano la demagogia del qualunquismo, la furbizia dei parvenu o all’opposto la scaltrezza d navigati faccendieri della politica, va riempito. Mi onoro di appartenere ad un partito che ha saputo creare in poco tempo un’ondata di consenso attorno a sé, capace di reggere agli urti mediatici di tutti questi mesi. Ma ho la consapevolezza che il rischio sia quello, se si continua sulla strada dell’isolamento dalla gente, di disperdere un patrimonio di militanza, mobilitazione e partecipazione che ha permesso ad un intero ambiente politico di restare unito nei momenti di sconfitta e di saper affrontare le sfide per essere classe di governo. Si sta consolidando la prassi di notificare le decisioni e gli indirizzi politici sulle pagine dei giornali. Ritengo sia una scelta comoda, ma non utile. Facile, ma di breve respiro.Se riduciamo lo spazio di dibattito a vantaggio
esclusivo della comunicazione “istituzionale”; se azzeriamo lo spazio di elaborazione politica e culturale per lasciare visibilità soltanto allo spot di una conferenza stampa o alla campagna elettorale permanente togliamo senso all’esistenza di un partito – che è quotidiana mediazione fra interessi diversi nell’ottica di una comune visione di futuro – e lasciamo il campo aperto a solitarie e personalistiche battaglie di potere.Per questo sono convinta che occorra ripartire dalla base, che è un concetto di cui nel tempo si è abusato ma di cui occorre urgentemente riappropriarsi.Occorre ricreare degli spazi di reale dibattito interno; dotare il partito di organismi che funzionino e all’interno dei quali vi sia condivisione e formazione di idee e di progetti. È necessario riportare le decisioni nei luoghi di discussione e sottrarli alla scelta di pochi: non
siamo casta, non dobbiamo diventare un club.La politica non ha nulla da guadagnare, in termini di credibilità, quando rischia di arrivare alla gente soltanto per i vari toto - nomine che riempiono periodicamente le pagine dei giornali, per quei balletti di poltrone che alimentano una visione distorta e riduttiva della politica e per altre dinamiche che non riguardano se non marginalmente la vita di ogni giorno. La Politica e il Paese si attendono partecipazione. Quella vera. Quella dei luoghi dove discutere, confrontarsi e decidere.Occorre riappropriarsi delle piazze, quelle reali: non quelle del qualunquismo, ma quelle dove si ha il coraggio di incontrare l’entusiasmo o la delusione della gente. Quelle dove un politico
possa tornare ad incontrare le aspettative dei suoi concittadini ai quali provare a raccontare quale futuro ha immaginato per loro e per i loro figli. Abbiamo chiuso la Prima Repubblica pensando di poter chiudere anche con i partiti. Ci siamo risvegliati da questa illusione pronti a esaltare il successo ottenuto da chi ha restituito partecipazione ed è tornato “fra le gente”. Pur consapevole dei forti limiti che una stagione politica ha conosciuto, ci siamo ritrovati a confrontarci con il rimpianto per i partiti “di una volta”, che avevano la capacità di riunire attorno ad un progetto i loro militanti e sapevano svolgere così quella loro irrinunciabile funzione sociale, di punto di incontro e di sintesi tra le domande dei cittadini e le Istituzioni che le interpretano.Senza valori e senza responsabilità non si crea il bene per il territorio e la Comunità nella quale siamo chiamati a vivere e ad operare. Rafforzare,
innovare e ripensare la società deve condurci a disegnare una visione degli anni a venire che ristabilisca un patto di reciproca fiducia fra la Politica e i cittadini.
Occorre per questo delineare e individuare un percorso che lasci intravedere una prospettiva del futuro che ci liberi dall’esigenza di un consenso immediato e ci consenta di tracciare delle tappe che diano non solo risposte, ma siano capaci di suscitare quella condivisione di mezzi e di fini, di idee e di futuro, fra le istituzioni e la sua gente.Per questa ragione c’è la reale esigenza di creare dei contenitori come l’Associazione alla quale stiamo dando vita. Non per riempire la nostra area politico dell’ennesimo luogo per un’ autoreferenziale riflessione politico- culturale, ma per dare vita ad uno spazio di sana e necessaria elaborazione di pensiero.
“È necessario riportare le decisioni nei luoghi di discussione e sottrarli alla scelta di pochi: non siamo casta, non dobbiamo diventare un club.”
SEGNIAMO LA ROTTA…
Magazine
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GENNAIO - FEBBRAIO
2010Anno 0, N. 0 - diffusione gratuita -
di Alessia Rosolen*
LA NOSTRA MERIDIANASegnerà il tempo da Nord a Sud con un solo obiettivo: contribuire alla crescita politica e culturale del Popolo delle Libertà.
ROTOLANDO VERSO SUDSviluppo e legalità quel binomio inscindibile che fatica ad imporsidi Ulderico De Laurentiisa pag. 6
GIOVANE COME L’ITALIAEsserlo realmente è saper rappresentare le sfide di una generazioneAlberto Spampinatoa pag. 2
di Basilio Catanoso a pag. 3
* Assessore regionale Friuli Venezia Giulia
R. Zatkova, Ritratto di Marinetti
2 GEN - FEB 2010
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GIOVANE COME L’ITALIAdi Alberto Spampinato*
Rinnovarsi. La chiave di lettura della politica italiana
sembra ormai essere la ricerca di nuovi assetti
per meglio offrire risposte alla nostra nazione. E,
soprattutto alla luce del percorso intrapreso da
Alleanza Nazionale e Forza Italia che ha sancito
la nascita del Pdl, il mondo giovanile non poteva
non interrogarsi sul ruolo e sull’assetto che è
necessario darsi per rivolgersi alla maggioranza
dei giovani italiani.
Azione Giovani, in termini di qualità delle attività
svolte, numero di iscritti, ramificazione sul territorio,
nelle scuole e nelle università, in termini di qualità
e quantità di giovani amministratori che esprime,
rappresenta la compagine politica giovanile più forte e incisiva sulla politica italiana.
Ma il dibattito nato attorno alla fondazione del PdL spinge a una
riflessione nuova e a un obiettivo più ampio e ambizioso. Costruire in
Italia la più grande forza in grado di rappresentare tutto il panorama
giovanile del centrodestra e in grado di incarnare quella continuità di
valori in linea con la tradizione della destra italiana.
La Giovane Italia, il movimento ufficiale del PdL (composto da Azione
Giovani, Azione Studentesca, Azione Universitaria e dai gruppi giovanili
provenienti da Forza Italia) nasce con un gravoso compito, quello
di rappresentare a livello giovanile il Popolo della Libertà, un partito
che raccoglie vastissimo consenso tra gli under 35, e trovare nuove
forme di comunicazione per rappresentare al meglio le istanze di una
generazione, offrendo modelli aggregativi e di impegno in grado di
essere da traino per i giovani.
L’aver metabolizzato la necessità di creare un soggetto unitario ha
portato ad un confronto tra due facce della stessa medaglia, la destra
italiana, che da anni operavano fianco a fianco senza aver mai trovato
dei forti e continui momenti di confronto.
Dal 1994 in poi, le esperienze del Polo della Libertà e della Casa
delle Libertà, le esperienze di governo del 1994, del 2001 e del 2008
hanno sempre visto Forza Italia e Alleanza Nazionale fianco a fianco,
nell’elaborazione dei programmi elettorali e nel portare avanti l’azione
di governo.
Il compito più arduo spetta adesso ai giovani del nostro partito. Trovare
una unità di azione, in linea con l’appartenenza al medesimo partito, e
coerente con il proprio trascorso storico e politico.
Saper uscire dalla dialettica di partito e saper affrontare un processo
fondativo sincero e partecipato rappresenta la scelta più responsabile
che la nostra gioventù deve saper fare. La struttura di transizione che
porterà Azione Giovani e Forza Giovani alla Giovane Italia rappresenta
in maniera paritetica i due movimenti giovanili. Un 50% e 50% della
rappresentanza a qualsiasi livello, che sancisce il principio della voglia
di costruire insieme, rinunciando alle rendite di posizione che il partito
dei grandi ha imposto nei propri quadri intermedi, e ponendo il futuro
del nuovo movimento giovanile nella capacità di autodeterminarsi.
La sfida che la Giovane Italia dovrà affrontare sarà quella del
rinnovamento della propria struttura: nell’età dei propri dirigenti e
rappresentanti, più vicini ai giovani; nella capacità di aggregare tutte
le realtà giovanili vicine al centrodestra, diventando un laboratorio
politico e culturale, espressione di un movimentismo legato alla politica
classica, al volontariato, all’associazionismo, alla cultura; nella capacità
di relazionarsi con gli ambiti territoriali e di azione politica, quali scuola
e università; nella capacità di utilizzare canali di dialogo più vicini
alle giovani generazioni; nella capacità di farsi portavoce di istanze
giovanili.
Il precariato sociale, le tossicodipendenze, gli attacchi al diritto alla
vita, la schiavitù delle mafie, la difficoltà a costruirsi un futuro attraverso
il riconoscimento del proprio merito e del proprio valore in ambito
professionale, la difficoltà di dare un valore al proprio titolo di studi.
Quando Giorgia Meloni, presidente nazionale della Giovane Italia, ha
ricevuto il mandato di rappresentare nel Governo tutti i giovani attraverso
il Ministero della Gioventù, ha subito compreso il peso del compito che
la attendeva: “La nostra generazione è la prima generazione che si
confronta con una realtà peggiore di quella che avevano ereditato i loro
genitori”. Di questo dobbiamo farci carico. La nostra missione sta nel
trovare strumenti adatti a ribaltare l’attuale. La capacità rivoluzionaria di
un movimento politico sta nel lasciare delle tracce indelebili del proprio
passaggio, nel costruire la strada su cui, chi ci seguirà, potrà proseguire
il proprio percorso. Dobbiamo lasciare una traccia forte del percorso
che fin qui abbiamo seguito. Dobbiamo indicare una via chiara e sicura
alle generazioni che ci seguiranno.
C’è una generazione che urla per venire allo scoperto. C’è una
generazione che si batte ogni giorno contro il degrado, prestando il
proprio servizio attraverso il volontariato. C’è una generazione che
sceglie di mettere al mondo un figlio e di costruirsi una famiglia,
rifiutando l’aborto e barcamenandosi tra stipendi bassissimi e contratti
a tempo senza certezza di rinnovo e senza la minima tutela. C’è una
generazione che si ribella alle mafie, con le campagne contro il pizzo,
con le manifestazioni in regioni e in comuni in cui fino a pochi anni fa
era impensabile soltanto pronunciare la parola ‘ndrangheta, o mafia,
o camorra. Occorre dar voce a questa generazione, alla pare migliore
di una generazione, che non si riconosce in un mondo di veline e
spacciatori, di disimpegnati e di bulli. Occorre riconoscere la parte della
barricata sulla quale stare, coniugando la nostra azione politica con la
nostra identità. Giovani del nostro tempo, ribelli e fieri; capaci di essere
il megafono della gioventù di una intera nazione.
Capaci di essere davvero la Giovane Italia!
* Dirigente Nazionale Giovane Italia
SCEGLIERE, PARTECIPARE,CONTARE DI PIU’di Basilio Catanoso*
Scegliere. Partecipare. Contare di più.
Sono le parole d’ordine di una nuova stagione
politica, di quella “seconda fase” del Popolo
delle Libertà che oggi è sentita e attesa dalla
classe dirigente, dai militanti, dai simpatizzanti
della più grande formazione politica del centro
destra dal dopoguerra ad oggi. Le regole della
Politica sono tanto semplici quanto difficili da
applicare: consenso, partecipazione popolare
e legittime ambizioni da soddisfare, rimangono
spesso un patrimonio per “iniziati”, lontano
dal comune sentire e dalla voglia dei cittadini
di essere protagonisti. A questo centro-destra
manca un po’ di anima, manca un grande
progetto culturale capace di coinvolgere i tanti
ambienti che potenzialmente si riconoscono in
un progetto politico che riunisce in un unico
contenitore le più grandi tradizioni politico-
culturali italiane: liberale, cattolica e nazionale.
A questo centro-destra manca l’effervescenza
culturale e il dibattito “porta a porta” al quale
siamo stati abituati negli anni di militanza in un
partito “pesante” come il Movimento Sociale
prima e Alleanza Nazionale poi: fisiologico,
naturale persino quando si cercano nuove
sintesi e ci si pongono problemi organizzativi
e di posizionamento interno; queste difficoltà,
però, non impediscono alla “pancia” del
centro-destra di confrontarsi, produrre politica
e cultura, dettare il ritmo e aggiornare l’agenda
di chi ha il compito di prendere le decisioni
più importanti. La nostra “Meridiana” nasce
per questo: segnare il tempo, in un gioco
naturale di luci e ombre, un tempo presente
e riconoscibile, il tempo delle scelte e del
protagonismo. Un’Associazione culturale e
un centro Studi che raccolgono esperienze
territorialmente eterogenee e politicamente
omogenee, nate da una straordinaria esperienza
nel mondo giovanile e messe insieme oggi
da una comunanza ideale e dalla voglia di
condividere un’esperienza nuova, fatta di
impegno, aggregazione e allargamento degli
orizzonti. Un’esperienza che parli all’Italia
moderna delle nuove tecnologie al servizio
dell’uomo e delle infrastrutture che accorciano
le distanze fra nord e sud della Nazione,
all’Italia che non ha paura delle contaminazioni
culturali ma che non dimentica l’irrinunciabile
desiderio di sicurezza dei propri cittadini,
all’Italia che crede in una gioventù capace di
conquistare attraverso il merito uno spazio
importante nella gerontocratica Italia che
conta e che decide, all’Italia che guarda con
soddisfazione e rispetto agli uomini dello Stato
che arrestano i più pericolosi latitanti simbolo
di una criminalità organizzata finalmente con
le spalle al muro.
Un’Associazione promossa da dirigenti
politici, amministratori, tanti giovani e semplici
simpatizzanti, uomini e donne che non sanno
cosa sia la “questione morale” perchè hanno
nel loro DNA la Politica, quella vera, quella che
non conosce compromessi impronunciabili.
Abbiamo salutato come una benedizione
la nascita del popolo della Libertà e adesso
ci piacerebbe salutarne la “crescita”. Noi ci
metteremo la voglia e la passione, insieme
all’esperienza maturata in tanti anni di
impegno che speriamo di condividere con
i tanti entusiasti “neofiti” di questo centro
destra, vero e proprio inestimabile patrimonio
per un grande partito popolare di massa.
3GEN - FEB 2010
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* Parlamentare PdL
4 GEN - FEB 2010
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Le infrastrutture, le grandi opere, l’edilizia di stato e quanto altro di simile e in relazione agli interventi in materia dei governi, da sempre e ovunque, ma direi in particolare in Italia, hanno costituito un importante capitolo della spesa pubblica. L’importanza economica delle opere pubbliche, dalla più semplice da percepire legata alle ricadute occupazionali dirette, ovvero a quanto qualsiasi cittadino è in grado di rilevare macroscopicamente alla semplice visione di un cantiere attivo, alla capacità di generare economie indotte su grande scala, dal livello regionale all’europeo e in qualche caso oltre, è di primaria importanza. Parimenti è opportuno evidenziare la capacità politica che un governo dimostra e con la quale si confronta, nel momento in cui decide di intraprendere la progettazione e la costruzione di un’opera pubblica strategica o rilevante, interpretando o anticipando un’utilità e un’esigenza pubbliche. Spesso, come la storia ci insegna, anche la più recente, l’Italia è stata in grado di progettare e realizzare manufatti che di per sé, durante la costruzione, sono stati occasione di confronto con le nostre capacità. Non è di secondaria importanza dire che la nostra Nazione ha accumulato un gap sensibile in ambito infrastrutturale, in relazione ai nostri “concorrenti” europei, tenuto anche conto che facciamo parte delle prime otto economie mondiali. All’incapacità di operare delle scelte politiche da parte di governi deboli, spesso caratterizzati dalla commistione con interessi che di pubblico avevano poco o nulla, successivamente si è aggiunto il condizionamento di un ambientalismo cieco, becero e volto di più alla captazione di consensi elettorali, spesso accordati da cittadini in buona fede, che all’interesse nazionale (lampante è il paragone tra ambientalisti francesi e italiani). La Legge 109/94 sui lavori pubblici è stata uno spartiacque rispetto all’andamento precedente, oggi rimpiazzata dal Codice degli Appalti (D.Lgs. 163/2006 già modificato da tre decreti correttivi in attesa del Regolamento che sostituirà il vigente D.P.R. 554/99), senza dimenticare, oltre ai già citati provvedimenti legislativi, la legge 443/2001, solitamente definita Legge Obiettivo, poiché ha dotato l’esecutivo di uno strumento di accelerazione delle procedure d’appalto e quindi
d’esecuzione di grandi opere strategiche. Non è un caso che l’implementazione e il recupero della centralità delle infrastrutture pubbliche, al fine anche di recuperare il gap di cui prima si è detto, che ci vede costretti ad inseguire con grave affanno i Paesi nostri concorrenti e/o partner, siano avvenuti e stiano avendo luogo grazie ad esecutivi forti e dinamici, come il precedente e l’attuale Governo Berlusconi. I ministri delle Infrastrutture Pietro Lunardi (precedente esecutivo di centrodestra) e Altero Matteoli, attuale titolare del medesimo dicastero ed ex del Ministero per le Politiche Ambientali, anche esso ormai ben più che complementare in rapporto alle opere infrastrutturali, hanno dato impulso tanto alle progettazioni quanto ai cantieri, facendo peraltro
uscire dal torpore grandi progetti, come il Ponte sullo Stretto, mandati in “letargo” dal breve quanto inadeguato governo Prodi.Una delle opere più importanti, ma probabilmente con minore rilevanza in quanto a elemento di un sistema infrastrutturale, può essere ritenuto il “MOSE”. La necessità inderogabile per la città di Venezia, unicum mondiale che l’Italia ha la fortuna di possedere ma il dovere di conservare, anche nei confronti della comunità internazionale, è senza dubbio quella di dovere affrontare il problema della cosiddetta acqua alta in tempi relativamente stretti e con efficacia. Grazie all’azione di un esecutivo che ha assunto le proprie responsabilità fino in fondo, sono iniziati e in stato d’esecuzione i lavori per la costruzione di una “diga mobile”, che “lavora” secondo il livello della laguna veneziana, con il fine di evitare la distruzione sistematica della città lagunare. Dal MOSE è facile passare ad un’altra opera contrastata e poco sostenuta in precedenza, ma oggi riavviata, quale è la cosiddetta TAV,
GRANDI OPERE, NUOVA ITALIA,
ossia alta velocità ferroviaria Torino-Lione. Altre anche sono le opere con successo dei Governi Berlusconi e del Ministero delle Infrastrutture con in testa il Ministro Matteoli, come il “Passante di Mestre”, l’autostrada A20 Messina-Palermo (dopo una conclusione attesa da decenni), l’alta velocità ferroviaria Roma-Milano, la prevista linea di alta capacità ferroviaria Napoli-Reggio Calabria, la variante di valico Barberino del Mugello sull’autostrada A1, i maxi lotti in parte terminati e in parte in esecuzione dell’autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria, il Ponte sullo Stretto di Messina e tante altre infrastrutture in fase di ideazione-progettazione o esecuzione, impossibili da citare tutte per brevità. Il Ponte sullo Stretto ci offre l’occasione di ricordare che parecchie infrastrutture non rispondono all’esigenza propagandistica di nessun governo, come spesso alcuni tendono a voler far credere, bensì sono parte di un sistema ben più ampio e sovranazionale. Si è detto che bisogna recuperare il divario infrastrutturale tra Italia e altri paesi per motivi di competitività. Ciò è vero, soprattutto nell’ottica concorrenziale, oltre che in ordine ai benefici diretti interni, ma è parimenti vero che vi è pure un livello di solidarietà tra i partners europei. Infatti molte opere che
ricadono o dovranno ricadere sul territorio italiano sono e faranno parte di un sistema comunitario, nei confronti del quale abbiamo il dovere di essere all’altezza degli impegni presi, senza peraltro recare danni alle altre nazioni né all’immagine dell’Italia. A tal proposito basta citare l’Asse Rotterdam-Genova, il Corridoio V Lisbona-Kiev, il Corridoio VIII Bari-Varna, il Corridoio I Berlino-Palermo, nell’ambito del quale è appunto inserito il Ponte sullo Stretto, avendo come quadro di riferimento l’approvazione del Piano Van Miert per lo sviluppo delle Reti Transeuropee di Trasporto (TEN-T) ad opera del Parlamento Europeo nell’aprile 2004. Il Ponte sarà snodo fondamentale, non a caso la UE lo ha inserito tra le opere prioritarie, di un sistema di
reti viarie stradali, ferroviarie e marittime, che non colma solo il gap di Sicilia e Calabria, o del Sud Italia, come erroneamente si crede, ma inserisce l’intero sistema Italia a un livello superiore finora negato per incapacità interne. A dimostrazione che la politica seria si propone e si misura con i cittadini con l’evidenza dei fatti e delle opere, il ministro delle Infrastrutture Matteoli, oltre ad aver dato l’indirizzo politico di fornire informazioni sulle attività connesse ai lavori del Ponte, per dar luogo ad uno stretto dialogo col territorio, ha dato nuovo avvio nel mese di ottobre del 2009 alla realizzazione della grande infrastruttura tra Sicilia e continente, attraverso l’ordine d’inizio attività impartito al General Contractor e non solo, ponendo come simbolica “prima pietra” le opere propedeutiche ferroviarie iniziate il 23 dicembre 2009 a Cannitello di Villa San Giovanni, in attesa di quelle sulla sponda Siciliana per il 2010.
di Antonio Catanoso*
* Architetto (Reggio Calabria)
di Salvo Pogliese*
5GEN - FEB 2010
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IL PdL ha certamente rappresentato una
scelta coraggiosa e lungimirante che si è
concretizzata grazie ad una felice intuizione
di Silvio Berlusconi e di Gianfranco Fini
che hanno saputo interpretare l’esigenza di
stabilità e di semplificazione del quadro politico
fortemente sentita dall’elettorato, stanco di
assistere impotente a governi “stagionali”
puntualmente “ricattati” da singoli partiti o da
singoli parlamentari. E quella scelta presa in
poche ore nel febbraio del 2008, fra lo stupore
e l’incomprensione di gran parte dei quadri
dirigenti di AN e di FI, è stata premiata dagli
Italiani che il 13 aprile del 2008 regalarono al PdL
un eccezionale successo e contestualmente, a
chi si collocava al di fuori della logica bipolare
un tonfo senza precedenti (basti pensare alla
Sinistra Arcobaleno e alla Destra di Storace).
In alcune zone della nostra nazione si sono
raggiunte percentuali “bulgare”. In Sicilia,
per esempio, il PdL ha ottenuto il 47%
con l’eccezionale risultato di Catania dove
ha conquistato la maggioranza assoluta
con il 50,02% dei consensi. Ma dopo
quell’entusiasmante “battesimo” elettorale
non si è riscontrata una crescita organizzativa
coerente.
E dalla Sicilia al Friuli Venezia Giulia si invoca
un sistema di regole condiviso che possa
accompagnare la strutturazione organizzativa
del più grande partito italiano e che permetta
l’individuazione di criteri di selezione della
classe dirigente. Ma in Sicilia la situazione è
ancor più “peculiare” ..
È l’unica regione in Italia in cui, a distanza
di un anno dalla celebrazione del primo
Congresso Nazionale di Roma, non sono
stati ancora nominati i coordinatori Provinciali
e, conseguentemente, quelli cittadini con
una “indiretta anarchia” che ne è conseguita
nonostante lo sforzo e le indubbie qualità
dei due coordinatori regionali, Nania e
Castiglione.
Ma il vero paradosso è rappresentato dalla
costituzione all’interno dell’Assemblea
Regionale Siciliana di un nuovo gruppo
parlamentare, il PdL Sicilia, avvenuta nei primi
giorni di novembre 2009 “contrapposto” a
quello “ufficiale” e mai “smentito” ufficialmente
a Roma nonostante le dichiarazioni “a caldo”
dei tre coordinatori nazionali, La Russa,
Verdini e Bondi, ed il successivo “rimpasto”
di dicembre del governo Lombardo (il terzo
in diciotto mesi) che ha visto la nascita di una
nuova maggioranza “trasversale”,
MPA, PdL Sicilia e PD, che ha
tradito la volontà degli elettori
siciliani, con l’ovvia uscita dalla
giunta del PdL. Tutto ciò non può
più essere consentito!
Il nostro elettorato rimane
sbigottito e “disorientato” dinanzi
all’“assordante silenzio” romano
e i nostri dirigenti “periferici”
pretendono coerenza e chiarezza.
La stessa coerenza e la stessa
chiarezza che portarono alla
nascita del PdL e al successivo
trionfo elettorale…
L’Italia è un Paese meraviglioso: se sei bravo, lavori, produci, ti sporchi le mani di fango, devi essere irrimediabilmente ridimensionato; se, per caso, ti chiami Guido Bertolaso, hai risolto insieme al Governo l’emergenza-rifiuti o sei riuscito a minimizzare gli effetti devastanti del terremoto in Abruzzo, allora devi essere certamente distrutto, professionalmente, umanamente, persino nella dimensione più intima. Strano Paese, l’Italia: piena di avvoltoi e sciacalli, profittatori e gente che ride dei terremoti, eppure ostinatamente attento più alle visite al Salaria Village del Sottosegretario che agli sviluppi dell’ichiesta sulla corruzione. Guido Bertolaso ha beneficiato di un clima politico favorevole, al contrario di quanto avvenuto durante il Governo Prodi, eppure non si è accontentato di muovere i fili dalla propria stanza: ha reso popolari le divise della Protezione Civile, diventato l’Esercito “laico” di un’Italia traboccante di volontari pronti a scavare nel fango, ha dato loro la dignità di una ribalta nazionale, si è sporcato le mani e le scarpe nella prima linea delle emergenze, sfiorato dalle pallottole metaforiche degli eco-camorristi e dalle invidie di chi sopporta male gli uomini delle Istituzioni fattivi e produttivi. Strano Paese, l’Italia: anziché collaborare ad estirpare la pianta venefica della corruzione e del malaffare, la maggiore associazione dei magistrati italiani, l’ANM,
preferisce indignarsi perché il cognato di Bertolaso, fra l’altro avendone la legittimità, ha fornito la propria consulenza per i lavori del G8. Da quando la Magistratura si occupa di dare lezioni “etiche” piuttosto che accertare violazioni della Legge? A noi questo piacere piace davvero pochissimo, perché ci piacciono poco le ambigue pruderie da centro Benessere e ci interessano di più leggi più dure per corrotti e corruttori e una protezione Civile che continui, al netto degli sciacalli, sulla strada segnata da Guido Bertolaso: mani nel fango e decisionismo, volontari e divise con la coccarda tricolore, immagine straordinaria nel mondo e paura di nessuno, neppure del colosso statunitense con i piedi nell’argilla dell’emergenza haitiana. A noi piace quest’Italia. Ci piace il Sottosegretario che risale sull’aereo e corre a mettere una pezza all’ennesimo disastro idrogeologico di un territorio sin troppo massacrato da amministratori per lo meno incauti. Dio salvi Guido Bertolaso dalle invidie e dal tiro al bersaglio che non conosce pudore. A noi basterebbe sapere nome e cognome della massaggiatrice che ha tenuto diritta la sua schiena in questi anni: la regaleremmo volentieri a tanti politici italiani, giornalisti o magistrati (solo quelli in malafede…) che non riescono proprio a farcela da soli.
God save Guido Bertolaso
di Cyrano
Coerenza e chiarezza
* Vice capogruppo PdLAssemblea Regionale Siciliana
6 GEN - FEB 2010
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di Ulderico De Laurentiis*La notizia apparsa un po’ ovunque negli ultimi
giorni è di quelle risolutive e rassicuranti.
Mettiamoci l’anima in pace: al sud siamo
meno intelligenti per questioni genetiche,
quindi meglio rassegnarsi al sottosviluppo del
mezzogiorno perché siamo noi ed il nostro
quoziente intellettivo il vero problema.
La serissima e incontrovertibile teoria è del
luminare Richard Lynn, professore emerito di
psicologia all’Università dell’Ulster che afferma
che “il quoziente intellettivo più basso nel sud
Italia può essere attribuito alla mescolanza
genetica con le popolazioni del vicino Oriente
e del Nord Africa”. Ecco scoperte le ragioni
scientifiche di anni di arretratezza e di difficoltà
ad uscire da quel pantano chiamato ancora
da molti “questione meridionale”, come se
l’“Esercito di Franceschiello” abbia subito
disfatta solo qualche lustro fa.
Reminiscenze borboniche a parte, stendiamo
un velo pietoso sulla teoria di Lynn e proviamo
a capire cosa davvero non va, analizzando il
problema da un’ottica inedita - se vogliamo -
in relazione a questo fenomeno.
Evitando di perderci in un lungo articolo che
vada su una strada già percorsa migliaia
di volte - quella dei problemi strutturali e
infrastrutturali, della necessità di una banca
del mezzogiorno per trattenere gli investimenti
sul territorio ecc. - preferiamo concentrarci
su un aspetto evidenziato pochi mesi fa
dal Ministro dell’Economia Giulio Tremonti,
che in un convegno del Pdl sui problemi del
meridione, dichiarava che il gap tra Nord e
Sud “non è solo una questione di discussione
economica è anche di soluzione civile” e
morale aggiungiamo noi.
Il ministro denunciava che al sud “nella triade
appalti, sanità e fondi Ue è cresciuta in modo
esponenziale, verticale, inaccettabile la cifra
della criminalità”, così come la corruzione in
una piccola opera pubblica è “quasi certa” e
questo in qualche misura favorisce un trend del
“grande” verso il “piccolo” anche in termini di
progettazione e pianificazione dello sviluppo.
L’analisi di Tremonti potrebbe sembrare
esagerata e in alcuni casi può portarci ad
un rifiuto con annesso sfoggio di orgoglio
meridionale, morale e civile, ma il problema c’è
ed è ben visibile.
Basti guardare a come sono messi (male e
in alcuni casi malissimo) i governatori delle
regioni meridionali e le loro giunte, in termini di
indagini, processi e condanne.
Infatti abbiamo Vendola che tempo fa è
stato indagato in Puglia per concussione,
con l’ex assessore regionale alla sanità che
trovava rifugio sugli scranni parlamentari; in
Calabria abbiamo il Presidente Loiero per cui
recentemente è stata richiesta la condanna
ad un anno e mezzo per abuso d’ufficio,
nell’ambito dell’inchiesta “why not” e che
pure in passato qualche altro problemino lo
aveva avuto, mentre per la storia giudiziaria
di Raffaele lombardo in Sicilia ci vorrebbe
un intero numero di Meridiana e quindi ci
riserviamo di approfondirla - se necessario - la
prossima volta, pur ribadendo che è sempre
stato assolto o graziato dalla prescrizioni in
merito alle accuse contestategli in passato.
Anche in Campania non se la passa poi
così tanto bene il pluri-processato De Luca,
candidato per il centrosinistra alla presidenza
della regione, tanto che l’ironia di qualcuno
vedeva come preferibile una ricandidatura di
Antonio Bassolino che in fondo di processi in
corso ne aveva soltanto uno.
Pertanto l’analisi di Tremonti è abbastanza
aderente alla realtà che il Mezzogiorno d’Italia
è costretto ad affrontare ogni giorno.
In questo quadro una ricetta unica ed
immediatamente efficace non esiste, ma è
fuor di dubbio che un grande partito come
il Popolo della Libertà, possa dare uno
scossone al territorio, iniziando da un vero
ricambio generazionale che favorisca quella
classe dirigente formatasi secondo i valori e le
esperienze del movimentismo politico giovanile,
del volontariato e della politica come missione,
come servizio reso incondizionatamente alla
propria gente ed alla propria terra.
Le veline incantano l’occhio, ma giovani in
gamba, preparati, onesti e motivati possono
contribuire a risollevare il paese.
Rotolando verso Sud
* Dirigente nazionale Giovane Italia
Ci perdoneranno i custodi dell’ortodossia tolkieniana, ma questo filmone holliwoo-diano saturo di effetti speciali e 3D non sa-rebbe mai esistito senza l’influenza benefi-ca della saga del Signore degli Anelli. Troppo simile alla Terra di Mezzo questa Pandora, nel-la quale la simbiosi fra esseri umani e Natura è la garanzia di un equilibrio cosmico mes-so in pericolo dalle forze del Male: davanti allo schermo ab-biamo temuto che spuntasse Barbalbero, il più antico degli Ent, a schiaffeggiare le astro-navi degli esseri umani brutti e cattivi, ma ci è bastato vedere la scena della battaglia finale per immaginare il professore oxfordiano alla sceneggiatura e il genio Peter Jackson dietro la macchina da presa. E’ tutto scritto lì, nella bibbia del Fantasy: Jake Sully, il marine invalido che salverà Pandora dalla distruzione è un hobbit a tre dimensioni, infinitamente piccolo ma co-raggioso e determinato, sin dai primi vagiti del film ha la faccia del Leviatano, tutti noi
lo sappiamo, perchè è scritto, che sarà lui l’uomo della Provvidenza; i Na’vi sono trop-po, maledettamente, simili agli Elfi, forse non così belli ma in simbiosi con la Natura
Dèa, agili sui loro destrieri, bravi a tirare con l’arco e custodi di una lingua misteriosa e musicale. C’è tutto, c’è anche l’Anello, tra-sfigurato nella capsula che riporta Jake alla base: ogni volta che ritorna a fare rapporto ai cattivi il nostro Frodo soffre, perde l’ap-
petito, si lacera interiormente, ma alla fine rinuncia a un nuovo paio di gambe fiam-manti perchè la sua missione è più impor-tante: salvare Pandora. Che dire dell’ambientalismo non manieri-stico del film? Buon vecchio Tolkien! Cer-to non vedrete le navi di Greenpeace, nè
taluni animalisti un po’ rom-pipalle e neppure Pecoraro Scanio: vedrete il rispetto per una Natura che è principio ed essenza della vita, intimamen-te connessa con il ciclo vitale del popolo Na’vi, persino nella rispettosa cerimonia dell’ucci-sione degli animali per la so-pravvivenza. Come faremo adesso con la spietata critica in poltrona? Che robaccia è questo fa-volone ipertecnologico rea-zionario-bucolico che strizza l’occhio alla Tradizione, che ripropone l’eterna lotta fra Bene e Male, che ci ripropo-ne l’eroe anti-eroe capace di
muovere la Storia? Fatevene una ragione. John Ronald Reuel è vivo e lotta con noi... per stavolta si chiama James Cameron e ha gli occhialetti 3D. Buona visione.
7GEN - FEB 2010
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Facebook e il Gioco della Torredi Costanza Martina VitaleNel mare nostrum della navigazione web
l’immagine è più o meno questa: un’orgia
dissacrante tra i giovani timonieri, il barcone
della politica e il liquido facebookiano. Un
marasma di idee stralunate in cui necessiterebbe
un miracolone del vecchio Mosè. Per questo
cari utenti, da utente, si invoca la separazione
delle acque. In altre parole una sorta di gioco
del “cerca l’intruso” tra le tre variabili innanzi
esposte. Al voto stanno i giovani, la politica e
facebook. A questo punto però le alternative
potrebbero essere molteplici. Cioè figuriamoci,
ad esempio, che questo giochino del “trova
l’intruso”, inserito magicamente in una rivista
enigmistica, passi nelle mani di tre menti illustri,
stesi belli spaparanzati all’arsura del sole estivo:
Beppe Grillo, Francesco Cossiga e Veronica
Lario. Non soffermatevi sul fatto che stiano in
costume, vi prego, concentratevi sul giochino.
Dunque, secondo voi, cosa sceglierebbero? Chi
eliminerebbero drasticamente dalla triade?
Sicuramente Beppe Grillo non starebbe lì a
pensarci molto. Via la politica. Non ce n’è uno
decente al potere, resettiamo tutto, largo ai
giovani! La coppia giovani-facebook per lui
regge. Liscio come l’olio.
L’onorevole Cossiga probabilmente elimine-
rebbe i giovani per il semplice fatto che lo fanno
sentire più vecchio di quello che è. Dopodichè
della coppia rimasta in ballottaggio politica-
facebook non avrebbe a che ridire. Da quando
nel 2001 ha scritto al giovane e incauto, a
suo dire, Bill Gates per presunti problemi del
programma Windows Xp a lui andrà di lusso
perfino la chat di fb, figurarsi!
E Veronica? Non è escluso che ritenga
la piattaforma facebook poco consona
all’educazione dei propri figli, da censurare
loro come le reti mediaset, anche se per motivi
diversi. Per cui la coppia giovani-politica per
lei funziona che è un piacere.
Sicché non si palesano soluzioni e siamo al
punto di partenza. Un minestrone da mandare
giù per intero con nessuno che soccorrerà
le nostre giornate dall’imbarazzo civile di
trovarsi di fronte a gruppi che inneggiano
alla formazione di fan del pomodoro per
dimostrare la scarsa popolarità di Berlusconi o
di squadroni di amanti dei maiali per dimezzare
il popolo votante la lega Nord. Proposte, in fin
dei conti, confusionarie quanto divertenti.
Cosa dire? Al momento il pomodoro e Bossi
sono in testa. Trovate voi l’intruso.
Il Cinema visto da me di Jackal
Il Signore degli Avatar
8 GEN - FEB 2010
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Magazine
Come ribadito anche alla presentazione delle
candidate alla Presidenza di quattro delle
tredici Regioni che andranno a elezioni il
prossimo 28 e 29 marzo, la prossima tornata
elettorale avrà una valenza di carattere
nazionale rappresentando un banco di prova
di medio termine sia per il Pdl che per i nostri
avversari.
Lo slogan “più infrastrutture, meno tasse, meno
code” è, nella sua semplicità, un messaggio
estremamente importante che
pone il cittadino, fruitore di
servizi, in primo piano rispetto
alla macchina burocratica
lenta e asfissiante che fino a
oggi ha condizionato la vita di
molti italiani.
Il sistema Regione deve
andare incontro alle esigenze
dei propri abitanti snellendone
le problematiche e facilitando
la soluzione dei loro problemi
e le risposte alle loro richieste.
Lo statalismo centralizzato
e dirigista caro alla sinistra è
un modello ormai sorpassato
e che mal si inserisce nello
scenario di un’Europa che
corre avanti.
Le Regioni devono sviluppare
al proprio interno quelle che
sono le caratteristiche che
le contraddistinguono e che
rendono ogni parte del nostro
Paese unica. I cittadini devono
radicarsi in questo territorio
perché solo così si fa muro
contro l’immigrazione che
rischia, quando inserita in un
territorio debole, di cadere
facilmente in mano alla criminalità organizzata
andando a ingrossarne le fila. Ridare alle Regioni
i propri valori di unicità e favorire il sentimento
di appartenenza non può che creare un circolo
virtuoso nel quale chiunque vada a integrarsi
può trovare facilmente la propria collocazione.
Ma per fare questo si devono mantenere dei
capisaldi come la casa, la vivibilità dell’ambiente
che ci circonda, la valorizzazione del territorio.
In molte Regioni non esiste un piano casa.
Spesso questo comporta il lievitare oltre
misura dei prezzi al metro quadro degli alloggi,
l’aumento spropositato dei canoni di affitto
che difficilmente possono essere sopportati
da una famiglia magari monoreddito. In alcuni
casi, come i più recenti e tragici, si vedono
famiglie che vivono in condizioni talmente al
limite della decenza da domandarsi come si
possa arrivare a una situazione di tale degrado
senza che nessuno intervenga. Di queste
famiglie magari ci accorgiamo solo quando la
casa crolla e dei bambini perdono la vita.
L’ambiente che ci circonda non è meno
importante. Vediamo in questi giorni che
cosa sta succedendo in alcune cittadine del
sud Italia dove la natura si ribella, su quelle
montagne che stanno crollando e che stanno
trascinando a valle case e attività commerciali
non c’era più nemmeno un albero e su questo
dobbiamo vigilare se non vogliamo andare
incontro a catastrofi naturali e
sociali sempre più frequenti.
Semplificare la vita dei
cittadini con meno burocrazia
e leggi più snelle e semplici.
E per questo anche più facili
da rispettare. Regimi fiscali
più leggeri e servizi migliori.
Difendere la scelta di non
far pagare l’Ici sulla prima
casa è una scelta di civiltà e
che risponde a quella logica,
precedentemente accennata,
di far radicare le persone sul
territorio attraverso la casa che
è un bene primario a tutti gli
effetti. Rendere la burocrazia
più leggera per favorire chi
vuole intraprendere nuove
imprese.
La Regione, con i propri
maggiorati poteri, non deve
diventare l’ennesima struttura
elefantiaca, moltiplicatrice di
costi e di spese, ma quel volano
capace di coniugare identità,
amore e difesa del proprio
territorio, rappresentanza
vicina al cittadino e risposta ai
bisogni primari delle persone:
la nostra sfida per cambiare il Paese passa
anche da qui.
Magazine
LA SFIDA DELLE REGIONIdi Silvia Silvestri*
Organo dell’Associazione Culturale “Meridiana”www.meridianamagazine.org - [email protected]
PRESIDENTE “MERIDIANA”Basilio Catanoso
DIRETTORE RESPONSABILEAlessia Rosolen
COORDINATORE DI REDAZIONEUlderico De Laurentiis
Hanno collaboratoACME, Antonio Catanoso, Nello Donnarumma, Cyrano, Pasquale Fiorillo, Arturo Governa, Davide Infuso,
Antonio Nicolò, Salvo Pogliese, Silvia Silvestri, Alberto Spampinato, Costanza Martina Vitale.
Grafica ed impaginazione: Ulderico De Laurentiis, Francesco Maugeri.
Testata in attesa di registrazioneAnno 0, N. 0 - diffusione gratuita -
Stampa: Galatea Editrice Via Piemonte, 84 - 95024 Acireale (CT)
* Dirigente provinciale PdL Pisa