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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PAVIA FACOLTÀ DI MEDICINA E CHIRURGIA
CLASSE DELLE LAUREE DELLE PROFESSIONI SANITARIE TECNICHE CORSO DI LAUREA TRIENNALE IN
FISIOPATOLOGIA CARDIOCIRCOLATORIA E PERFUSIONE CARDIOVASCOLARE
DIRETTORE: CHIAR. MO PROF. MARIO VIGANÒ
“CIRCOLAZIONE EXTRACORPOREA IN CORSO DI TEAP”
Relatore:
Antonella Degani
Coord. Tecnici Perfusionisti
Tesi di:
Carmela Rocco
Matr. N. 289234/19
Anno Accademico 2003/2004
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INDICE pag. 1. Introduzione e obiettivo della tesi 4 2. Ipertensione polmonare tromboembolica 6 2.1 Definizione, Epidemiologia, Fisiopatologia 6 2.2 Storia Naturale 13 2.3 Quadro clinico 17 2.4 Indagini strumentali 18 2.5 Esami complementari 22 3. Terapia 25 3.1 Terapia Medica 25 3.2 Terapia Chirurgica 26 3.2.1 Definizione di TEAP 26 3.2.2 Inquadramento delle lesioni 26 3.2.3 Indicazioni e controindicazioni 27 3.2.4 Tecnica chirurgica 28 3.2.5 Complicanze 32 4. Peculiarita’ della Gestione della CEC 34 4.1 Monitoraggio intraoperatorio 35 4.1.1. Monitoraggio anestesiologico 35 4.1.2. Monitoraggio neurologico 37 4.1.3. Monitoraggio CEC 41 4.2 CEC di lunga durata 43
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4.3 Ipotermia profonda e arresto di circolo (DHCA) 46 4.3.1 Razionale della DHCA 46 4.3.2 Tecnica della DHCA 51 5. Gestione degli squilibri metabolici in CEC 57 5.1 Controllo del pH 57 5.2 Gestione dell’emodiluizione 58 5.3 Gestione della glicemia 59 6. Sanguinamento postoperatorio 60 7. Casistica e risultati 62 8. Conclusioni 67 9. Legenda 71 10. Bibliografia 73
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1. Introduzione e obiettivo della tesi
La tromboendoarterectomia polmonare (TEAP) è una procedura
chirurgica che nasce dall’esigenza di fornire una terapia
risolutiva per i pazienti affetti da ipertensione polmonare
cronica tromboembolica (IPCTE), ottenendo eccellenti r isultati a
breve e lungo termine. Essa si pone come una valida alternativa
al trapianto di polmone o alla prescrizione di altre terapie
mediche scarsamente efficaci. Infatti la TEAP porta in molti casi
ad una ”restitutio ad integrum” cardiaca e polmonare.
Molti medici ignorano l’esistenza di questo tipo di intervento e,
quindi, indirizzano i loro pazienti al trapianto polmonare
sottoponendoli ad un rischio elevato o a trattamenti
farmacologici che sono molto spesso solo palliativi .
L’intervento di TEAP è una procedura molto complessa, che
prevede diverse fasi molto critiche per i l paziente (circolazione
extracorporea, ipotermia profonda, arresto cardiocircolatorio,
uti l izzo di farmaci, potenti depressori dell’attività cerebrale).
L’obiettivo della tesi è quello di i l lustrare la tecnica di
Circolazione Extracorporea specifica per questo delicato e
complesso intervento chirurgico.
Nella prima parte, i l lavoro si propone di descrivere l’ IPCTE
negli aspetti f isiopatologici, clinici, diagnostici e terapeutici.
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Nella seconda, vengono i l lustrate le problematiche che i l
tecnico perfusionista si trova ad affrontare per garantire al
Cardiochirurgo un valido supporto e al paziente un’ efficace
protezione della funzione cerebrale oltre che una corretta
gestione degli squi l ibri metabolici conseguenti al la tipologia di
intervento chirurgico.
Nella terza ed ultima parte del lavoro verranno invece
i l lustrati i dati e i r isultati ottenuti nel nostro Centro su una
casistica di 106 pazienti sottoposti a TEAP nel periodo apri le
1994 – maggio 2004.
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2. Ipertensione Polmonare Cronica Tromboembolica
2.1 Definizione, Epidemiologia, Fisiopatologia
L' Ipertensione polmonare cronica tromboembolica (IPCTE) è una
malattia caratterizzata dal progressivo svi luppo di insufficienza
cardiorespiratoria dovuta alla progressiva ostruzione delle
arterie polmonari prossimali da parte di emboli organizzati o non
completamente l isati .
La diagnosi di IPCTE è tardiva e diff ici le per la scarsa
conoscenza delle sue manifestazioni cliniche, per la frequente
mancanza di un episodio tromboembolico manifesto in
anamnesi e per l 'evolvere subdolo della sintomatologia.
L'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha definito come
ipertensione polmonare un aumento della pressione media
polmonare (PAPm) > 25mmHg a riposo e/o > 30mmHg durante
sforzo. Tradizionalmente l’ipertensione polmonare viene
classif icata in l ieve, moderata e grave (20).(Tab.1)
Lieve 26mmHg < PAPm < 35mmHg
Moderata 36mmHg< PAPm< 45mmHg
Grave PAPm > 45mmHg
Tab.1: Gradi dell’Ipertensione Polmonare(20)
7
Nel 1998 l’ OMS ha proposto una nuova classificazione
dell ' ipertensione polmonare (1 ) recentemente modificata al 3°
Congresso Mondiale sul l ' Ipertensione Arteriosa Polmonare
(Tab.2)
1 - Ipertensione arteriosa polmonare
1.1 - Ipertensione arteriosa polmonare idiopatica
• Sporadica
• Familiare
1.2 - Ipertensione arteriosa polmonare associata a:
• Malattie del collagene • Cardiopatie congenite
• Ipertensione portale • Infezione da HIV
• Anoressizzanti ed altre sostanze tossiche
• Ipertensione polmonare persistente del neonato
2 - Ipertensione venosa polmonare
2.1 – Cardiopatie sinistre
2.2 – Compressione estrinseca delle vene polmonari
2.3 – Malattia veno-occlusiva polmonare
3 – Ipertensione polmonare associata a malattie
dell'apparato respiratorio e/o ipossiemia
3.1 – Broncopneumopatia cronica ostruttiva
3.2 – Interstiziopatie
3.3 – Sindrome dell'apnea durante il sonno
3.4 – Esposizione cronica ad alte altitudini
3.5 – Fibrosi cistica
4 – Ipertensione polmonare secondaria a malattie
tromboemboliche
4.1 – Tromboembolia prossimale delle arterie polmonari
4.2 – Ostruzione distale delle arterie polmonari
• Embolia polmonare • Trombosi “in situ”
• Talassemia
5 – Ipertensione polmonare secondaria a malattie che
interessano direttamente il sistema vascolare polmonare
5.1 – Malattie infiammatorie
• Schistosomiasi / Sarcoidosi
5.2 – Emangiomatosi capillare polmonare
Tab. 2: Classificazione diagnostica dell'ipertensione polmonare(1)
8
L' importanza di questo nuovo inquadramento nosografico
consiste nel fatto che si è voluto riconoscere un comune
percorso patogenetico, prognostico e un medesimo approccio
terapeutico in queste patologie.
Tutte queste forme di ipertensione polmonare sono
caratterizzate da un interessamento quasi esclusivo della
componente vascolare del polmone, con ostruzione delle
arteriole di piccolo calibro (secondaria ad una proli ferazione
delle cellule endoteliali e della media con fenomeni di trombosi
“in situ”) e presenza di lesioni plessiformi.
La IPCTE è progressiva e l 'aumento delle resistenze vascolari
polmonari (PVR) conduce ad un sovraccarico ventricolare
destro che evolve verso una grave insufficienza di circolo e,
infine, al la morte.
Si r i t iene che un'embolia polmonare (EP) acuta sia molto
probabilmente l’evento scatenante dell’ IPCTE anche in
presenza di un'anamnesi negativa per trombosi venosa.
L’EP infatti , nella maggioranza dei casi, origina dalle vene
profonde degli arti inferiori o della pelvi , un dato che in epoca
relativamente recente è stato confermato dall’impiego
dell’ecografia vascolare (2 ) .
9
Spesso però i pazienti con IPCTE non presentato in anamnesi
un quadro clinico tipico della trombosi venosa (i cui esiti vanno
ricercati s istematicamente), e questo può ritardare la diagnosi .
Una volta immessi nel circolo venoso, gli emboli s i distribuiscono
in entrambi i polmoni in circa i l 65% dei casi , al polmone destro
nel 25% dei casi e al polmone sinistro nel 10% dei casi . I lobi
inferiori sono coinvolti quattro volte più frequentemente dei lobi
superiori . La maggior parte delle emboli s i localizza nelle arterie
polmonari di grosso e di medio calibro; i l 35% o meno raggiunge
le arterie di piccolo calibro (3 ) .
In altr i casi invece, i l rapporto tra IPCTE ed EP è ben definito:
l’anamnesi è caratterizzata da uno o più episodi di EP acuta
non trattati o trattati con ritardo (4 ) .
Con la possibi le eccezione di alcuni casi , l’ IPCTE è
probabilmente l’esito di un unico evento embolico massivo.
L’ipotesi di multipli episodi embolici polmonari come
spiegazione del progressivo peggioramento clinico è stata
esclusa da molti studi (alterazioni vascolari scintigrafiche
invariate a distanza di tempo, a fronte di un deterioramento
clinico) (5 -6 ).
10
Tuttavia è più frequente osservare l’evoluzione in IPCTE:
a) in pazienti in cui la diagnosi e la terapia dell’EP o non
vengono effettuate o vengono effettuate con ritardo (4 ) ,
b) in pazienti in cui l’episodio di EP è verosimilmente
l’ennesimo di precedenti episodi tromboembolici
misconosciuti e trattati come episodi di pleurite o
polmonite,
c) altri casi invece, probabilmente la maggioranza, i l
rapporto fra IPCTE ed EP non è così chiaro a causa della
mancanza di un pregresso, documentato evento
tromboembolico (17).
L’EP acuta esita in un quadro d’ipertensione polmonare cronica
in circa lo 0,1-0,5% dei pazienti , ma molto probabilmente questo
dato, proprio a causa delle diff icoltà diagnostiche, è
sottostimato (7 -9 -10).
Estendendo all’ Italia i l dato di prevalenza dell’EP riscontrato
negli Stati Uniti , nel nostro Paese dovrebbero verificarsi ogni
anno circa 150.000 casi di EP acuta, circa i l 30% dei quali con
prognosi infausta se non trattati precocemente (8 ) .
11
Evento/i embolico/i
⇓⇓⇓⇓
Incompleta ricanalizzazione
⇓⇓⇓⇓
Organizzazione in tessuto fibroso
⇓⇓⇓⇓
Riduzione del lume vascolare
⇓⇓⇓⇓
Ipertensione polmonare
Dopo l 'evento acuto, i l trombo di regola va incontro a
risoluzione.
La ricanalizzazione, in
genere completa entro 3-6
mesi dall 'embolia, si
associa al r ipristino di un
assetto cardiorespiratorio
sovrapponibi le a quello
precedente l 'evento
embolico. In una piccola
percentuale di pazienti
colpiti da EP acuta la
ricanalizzazione avviene in
modo incompleto (8 ) .
Anziché essere l isato, i l
materiale embolico si organizza in materiale fibroso
endotelizzato che aderisce alla preesistente intima vascolare e,
di conseguenza, si restringe i l lume vascolare polmonare (2 ) .
L’incompleta ricanalizzazione del letto vascolare polmonare è
responsabile delle alterazioni respiratorie ed emodinamiche che
caratterizzano l ' IPCTE.
Figura 1: Sviluppo dell’ Ipertensione Polmonare
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L’incapacità di dissolvere adeguatamente un embolo
polmonare nei vasi prossimali determina una riduzione della
superficie vascolare totale(Fig. 2).
Questo comporta un aumento delle PVR e quindi
un’ipertensione polmonare. L’incremento delle PVR nell’ IPCTE
riconosce però almeno due componenti :
1) ostruzione di alcuni vasi da parte di trombi organizzati
2) alterazioni strutturali del letto vascolare non colpito.
Infatti durante i l cosiddetto periodo di “luna di miele” (si veda
paragrafo ”storia naturale”) i l letto vascolare polmonare non
colpito dal processo embolico, e su cui si r iversa quindi la
totalità del f lusso, va incontro ad alterazioni strutturali della
Figura 2:Placca di fibrosi semicircolare eccentrica(freccia) limitata allo spessore intimale (I), tonaca muscolare (M) (29)
13
parete vascolare (ipertrofia della tonaca muscolare con stenosi
concentrica del vaso ed alterazioni plessiformi)(Fig. 3).
Questo spiega la scarsa correlazione tra l’entità
dell’ipertensione polmonare e l’estensione dell’ostruzione dei
vasi polmonari .
2.2 Storia Naturale
La diagnosi di IPCTE è tardiva e diff ici le, nonostante conduca
ad un’alta mortalità, per la relativa rarità della malattia, per la
scarsa conoscenza delle sue manifestazioni cliniche (spesso
comuni ad altri t ipi d’ipertensione), per la frequente mancanza
di un episodio tromboembolico manifesto in anamnesi e per
l’evolvere subdolo della sintomatologia.
Figura 3: avanzata muscolar i zzaz ione arter io lare (M) precapi l lare. Manicott i muscolar i concentr ici ipert rof ic i sost i tu i scono totalmente l ’ int ima conf inando di rettamente con l ’endotel io(f recce) ( 2 9 )
14
A complicare un processo diagnostico corretto concorre la
scarsa specificità delle indagini strumentali con conseguente
diff icoltà nell’ identif icazione di un’eziologia primitiva o
secondaria della malattia tromboembolica.
In una discreta percentuale di malati si è notato un ritardo tra
l’ insorgenza dei sintomi e la diagnosi anche fino a 3 anni (11 -12).
Infatti , nei pazienti sopravvissuti ad un episodio di EP, i l quadro
clinico della IPCTE esordisce svariati anni dopo l‘evento acuto.
Viene definito ”luna di miele” i l periodo compreso tra i l
verificarsi del fenomeno embolico e l’ insorgenza dei sintomi.
Durante questo intervallo di tempo i l letto vascolare polmonare
non colpito dall’embolia va incontro ad ipertrofia della tonaca
muscolare e alterazioni plessiformi.
E’ quindi chiaro come l’elemento patogenetico fondamentale
sia un evento embolico polmonare con ostruzione che interessa,
nella maggior parte dei pazienti , più del 40% del letto vascolare
polmonare (17) .
L'EP acuta è un processo dinamico. I trombi cominciano a l isarsi
immediatamente dopo aver raggiunto i l polmone. La
ricanalizzazione, come già evidenziato, è generalmente
completa entro 3-6 mesi dall’embolia.
15
Se si verifica un evento embolico massivo si può verificare la
morte nel giro di pochi
minuti od ore, prima che
un infarto abbia tempo
di svi lupparsi . Circa
nell’1% dei pazienti la
ricanalizzazione risulta
parziale e gli episodi
embolici r icorrono nel
giro di mesi o anni,
causando una
progressiva ostruzione
arteriosa polmonare con
ipertensione polmonare,
scompenso cardiaco
destro e cuore polmonare cronico (3 )(Fig. 4).
Si può ritenere che la comparsa di IPCTE rappresenti una delle
possibi l i evoluzioni di un’EP in:
a) completa risoluzione emodinamica ed anatomica, in una
minoranza di pazienti ;
Storia Naturale
Incompleta r isoluz ione di un episodio
s ingolo, anatomicamente mass ivo
⇓⇓⇓⇓
Per iodo “Luna di Miele”
⇓⇓⇓⇓
Modif icazioni ipertens ive del letto
vascolare “sano”
⇓⇓⇓⇓
Progress iva insuff ic ienza del ventr icolo
destro
⇓⇓⇓⇓
Cuore polmonare cronico
Fig.4:Storia Naturale
16
b) parziale risoluzione, in assenza di sintomi, nella maggior
parte dei casi ;
c) progressione verso l’ipertensione polmonare, in una
piccola minoranza (13 ) .
La prognosi dell’ IPCTE non trattata è estremamente severa ed è
in relazione all’entità dell’ ipertensione polmonare.
La sopravvivenza a 5 anni va dal 10 al 30% a seconda dei valori
di pressione arteriosa media in arteria polmonare:
per PAPm tra 30 e 50mmHg è del 30%, per PAPm > 50mmHg è
solo del 10%. (14 )(Fig. 5)
Figura 5. Curva di sopravvivenza in pazienti con ipertensione polmonare cronica tromboembolica in rapporto alla pressione arteriosa polmonare media iniziale. Da Riedel et al.(14), modificata.
So
pra
vv
ive
nz
a
Anni
17
2.3 Quadro Clinico
I l segno clinico più tipico, oltre che i l più precoce, dell’ IPCTE è
la dispnea .
Si tratta di dispnea da sforzo e successivamente anche a riposo,
le cause sono emodinamiche più che da ipossiemia.
L'aumento della portata cardiaca richiesto dall 'attività fis ica
causa un brusco aumento delle pressioni in arteria polmonare, a
cui i l ventricolo destro non riesce a far fronte. Ciò l imita la
performance cardiaca: la portata cardiaca non si adegua alle
necessità e la saturazione del sangue arterioso diminuisce.
I bisogni metabolici degli organi non vengono più soddisfatti .
Lo scompenso del cuore destro in genere si verifica
tardivamente nel corso dell’ IPCTE, quando cioè i meccanismi
d’ipertrofia e di latazione con cui i l ventricolo destro fa fronte
all 'aumentato postcarico divengono inefficaci.
L' ipertrofia interessa la parete l ibera ma anche i l setto
interventricolare che inverte la sua convessità e sporge verso i l
ventricolo sinistro, di conseguenza compresso dal ventricolo
destro (quadro ecocardiografico di setto paradosso)(Fig. 6).
Altri sintomi meno frequenti possono essere tosse non produttiva ,
dolore toracico e palpitazioni (15 ) . Concludendo, l’esame
obiettivo dell’ IPCTE è normale finché non compaiono i segni
dello scompenso destro.
18
2.4 Indagini Strumentali
Per effettuare diagnosi di IPCTE, i pazienti vengono sottoposti
ad indagini strumentali , le più importanti sono:
l’ecocardiografia, la scintigrafia polmonare venti latoria-
perfusoria e l’angiopneumografia.
Ecocardiografia : s i r iscontrano abitualmente gradi variabi l i di
ingrandimento atriale e ventricolare destro, alterata funzione
del ventricolo destro, r igurgito tricuspidale, dislocazione a
sinistra del setto interventricolare (setto paradosso), ventricolo
sinistro di dimensioni r idotte(Fig. 6);
Fig.6: Dilatazione delle sezioni destre e setto paradosso
19
con ecocontrastografia è possibi le riscontrare pervietà del
forame ovale (9 ) .
L’esame, integrato dal Doppler, offre la possibi l i tà di stimare
le pressioni in arteria polmonare, di valutare i l comportamento
in corso di test farmacologico o di test da sforzo, di misurare i l
diametro della vena cava inferiore, di apprezzare le variazioni
con i l respiro (16) .
Questo esame non consente però di formulare una diagnosi
eziologia.
Scintigrafia Polmonare : la scintigrafia polmonare è un esame
strumentale uti le nel paziente in cui sia stata posta diagnosi di
ipertensione polmonare. Lo scopo è quello di evidenziare la
presenza di una discrepanza venti lo-perfusoria, cioè di un
difetto di perfusione non consensuale ad un difetto di
venti lazione (reperto scintigrafico di perfusione assente con
venti lazione conservata). I pazienti con ipertensione polmonare
secondaria ad EP cronica presentano in genere difetti di
perfusione multipli , di regola bi laterali , delle dimensioni di
almeno un segmento polmonare. Si può affermare che la
scintigrafia polmonare: è una componente molto importante
per un corretto iter diagnostico di un paziente con ipertensione
polmonare.(Fig. 7)
20
Tutti i pazienti con ipertensione polmonare dovrebbero essere
sottoposti a scintigrafia polmonare venti lo-perfusoria perché:
a) permette di identificare i pazienti con ipertensione
polmonare secondaria a malattia tromboembolica cronica
e separarl i da quell i con ipertensione polmonare primitiva
o associata (in queste due popolazioni di ipertesi
polmonari , la scintigrafia polmonare risulta di solito molto
diversa);
b) è un esame di faci le esecuzione, incruento e
sostanzialmente privo di r ischi; (17)
Fig.7: Quadro scint igraf ico t ipico di def ici t perfusor io (a) in assenza di def ic i t
vent i lator io (b) .
a) b)
21
Cateterismo Cardiaco: consente di quantificare l’entità della
compromissione emodinamica. Previa misurazione diretta della
PAPm e della portata cardiaca permette di calcolare le PVR
secondo la formula:
Resistenza = Pressione/Flusso
PVR = (PAPm-Wedge)/Portata Cardiaca*80
I range di normalità delle PVR sono 100-250 dyne*sec*cm -5 .
Inoltre, usando particolari t ipi di Swan-Ganz è possibi le misurare
anche la frazione di eiezione del ventricolo destro (REF).
Angiopneumografia: fornisce informazioni sul l’ostruzione e sul la
pervietà dei rami principali , lobari e segmnentari evidenziando:
� alterazioni del profi lo(irregolarità intimali)
� tasche delimitate dal materiale endoluminale,
opacizzate da mezzo di contrasto
� tralci di materiale organizzato disposti a ragnatela nel
vaso (webs o bands)
� brusca riduzione del lume dei grossi vasi(Fig. 8)
⇔⇔ ⇔⇔
22
2.5 Esami Complementari
Elettrocardiogramma : può essere normale o mostrare i segni
dell’impegno cardiaco destro;
Rx Torace: generalmente evidenzia un aumento del calibro dei
vasi i lari ; s i lhouette deformata per di latazione dell’atrio e
ventricolo destro.
Prove Di Funzionalità Respiratoria: fatte a riposo, sono normali
nella maggior parte dei casi . Nel 20% circa dei pazienti s i può
Fig. 8:Angiopneumografia destra e sinistra di un paziente con ipertensione polmonare cronica tromboembolica; dati emodinamici preoperatori:
- pressione arteriosa polmonare 93/50/5 mmHg, - portata cardiaca 2.6 l/min (indice cardiaco 1.4), - frazione di eiezione ventricolare destra 12%, - resistenza vascolare polmonare 1385 dynes*s*cm-5
23
r iscontrare una sindrome restrittiva l ieve-moderata. La tolleranza
allo sforzo è molto l imitata sia per desaturazione che per
esaurimento muscolare.
Emogasanalisi : in aria ambiente ed a riposo può evidenziare
una ipossiemia di entità variabi le con ipocapnia secondaria ad
iperventi lazione
Sotto sforzo mostra invece marcate riduzioni della saturazione
arteriosa di ossigeno.
Indagini Emocoagulative : oltre al le indagini bioumorali di
routine preoperatoria standard si r icercano:
-crioglobuline e crioagglutinine: in caso di positività, si
eseguono procedure atte a ridurne i l t i tolo al di sotto dei l imiti
di r i l ievo clinico (plasmaferesi , terapia cortisonica o
immunosoppressiva).
-LLAC (lupus-like antico-coagulant)
-APA(anticorpi anticardiolipina)
-APLA(anticorpi antifosfolipidi)
In caso di pos it iv ità, bisogna
approfondire la diagnost ica
del la t rombocitopenia da
eparina mediante la r icerca di
anticorpi ant i-PF4 e test di
aggregabil i ta piastr inica in
presenza di eparina.
Una buona percentuale di
pazient i LLAC e APA posit iv i
mostrano una trombocitopenia
eparino- indotta.
24
-anamnesi sull’esposizione all’eparina per poter identificare i
soggetti a rischio di trombocitopenia (HIT, heparin-induced
thrombocytopenia). Se positiva, la scoagulazione deve essere
fatta sotto infusione di i loprost a dosi tali da inibire
l’aggregazione piastrinica dovuta all’eparina.
25
3. Terapia
3.1 Terapia Medica
La terapia medica convenzionale dell’ ipertensione polmonare
(anticoagulanti , diuretici , vasodilatatori) è inefficace nel
prolungare la vita e apporta solo miglioramenti transitori dei
sintomi (15).
Tuttavia questa visione sta cambiando in quanto i recenti
progressi nel trattamento di alcune forme di ipertensione
arteriosa polmonare pongono l’interrogativo se le nuove terapie
mediche che uti l izzano analoghi della prostaciclina ,antagonisti
dell’endotelina, si ldenafi l, possano essere efficaci anche nella
IPCTE (17 ).
Ad oggi però mancano ancora degli studi control lati e
queste nuove terapie non sono scevre da rischi o effetti
collaterali (17) . Pertanto alla luce dell’esperienza di Higenbottam
e coll. (41) sarebbe ragionevole tentare un periodo di
trattamento medico come bridge per i l trapianto di polmone, al
f ine di evitare i l deterioramento clinico ed emodinamico, in
pazienti in classe NYHA II I- IV in cui non sia possibi le effettuare
una TEAP (lesioni troppo distali).
26
3.2 Terapia Chirurgica:
Definizione di TEAP, Inquadramento delle lesioni, Indicazioni,
Tecnica chirurgica, Complicanze.
3.2.1 Definizione di TEAP
L’ipertensione polmonare cronica tromboembolica (IPCTE)
rappresenta l’unica forma di ipertensione polmonare trattabile,
nella quasi totalità dei casi , con una chirurgia di t ipo
conservativo, senza cioè ricorrere al trapianto. Tale intervento è
detto tromboendoarterectomia polmonare (TEAP) e consiste
nella disostruzione dei vasi arteriosi polmonari stenotici o
completamente occlusi da parte di emboli .
3.2.2 Inquadramento delle lesioni
I l materiale tromboembolico cronico ed organizzato è
solitamente presente a l ivel lo dei rami principali , lobari e
segmentali delle arterie polmonari mentre la periferia è pervia e
supportata da collateralità bronchiali . In alcuni casi le lesioni
sono presenti a parti re dai rami lobari o dai rami segmentali
lasciando però sempre possibi le l’ intervento. Se i l materiale
embolico è presente esclusivamente a l ivel lo delle diramazioni
sub-segmentali dell’albero arterioso polmonare, l’ intervento di
27
TEAP non può essere eseguito e l’unica alternativa chirurgica è
rappresentata dal trapianto bipolmonare (23 -31).
In questi casi , però, presumibi lmente non si tratta di una IPCTE
ma di una ipertensione polmonare causata da episodi r ipetuti di
microembolismo, come si osserva in pazienti portatori di
pacemaker o di derivazioni intracardiache di shunt l iquorali , o
di trombosi “in situ” in pazienti affetti da ipertensione polmonare
primitiva.
3.2.3 Indicazioni e Controindicazioni (31)
L’intervento di TEAP è proponibi le in pazienti che rispettino tre
criteri :
1) Paziente in classe funzionale NYHA II I o IV, anche se
attualmente alcuni pazienti in classe NYHA II possono
essere candidati
2) PVR≥ 300 dynes*s*cm -5
3) Lesioni chirurgicamente aggredibi l i
Una grave disfunzione del ventricolo destro non rappresenta
una controindicazione all’ intervento, che anzi consente una
ripresa rapida, quasi drammatica (26 -27) .
28
L’età, la presenza di comorbidità, la concomitanza di
coronaropatia o valvulopatia costituiscono un incremento del
r ischio, ma non controindicazione, rappresentata invece da una
grave malattia polmonare parenchimale concomitante, oltre
che da lesioni “troppo distali” .
3.2.4 Tecnica Chirurgica (15 -24 -31)
La tecnica chirurgica è ormai standardizzata, nelle sue l inee
principali , sulla scorta dell’esperienza del Centro di San Diego:
l’ intervento è realizzato in sternotomia mediana.
Questa consente la visualizzazione e l’accesso ottimale ad
entrambi i rami polmonari , essendo l’IPCTE una patologia
sempre bi laterale.
Si ist ituisce un bypass cardiopolmonare con ipotermia profonda
e arresto circolatorio.
E’ necessaria l’individuazione di un piano di clivaggio nello
spessore della parete del vaso ed estensione periferica della
dissezione con rimozione di tutto i l materiale tromboembolico
dotato di neointima, presente all’interno del lume, lasciando
intatta la media e la maggior parte dell’ intima nativa (25) .
Per ottimizzare l’atto chirurgico è necessario un campo
esangue. A causa della presenza di reflusso proveniente dalle
arterie bronchiali , è giustif icato i l r icorso all’arresto di
29
Fig.9.:Mobilizzazione della VCS e esposizione dell’arteria polmonare(25)
circolo(AC). Ist ituita la circolazione extracorporea si procede al
raffreddamento sistemico (16 – 18 °C di temperatura
nasosofaringea). Al contempo si mobilizza ampiamente la vena
cava superiore, guadagnando così accesso all’arteria
polmonare destra fino oltre l’origine del ramo lobare
superiore.(Fig 9)
Un’ampia mobilizzazione, sempre però intrapericardica, viene
effettuata anche per i l ramo principale sinistro. Eseguita
l’arteriotomia longitudinale a l ivel lo dei rami principali destro e
sinistro dell’arteria polmonare, s i visualizza i l lume del vaso,
generalmente non stenotico ma con pareti i rregolarmente
ispessite.
30
Nello spessore della parete vasale viene in primo luogo
individuato un piano di clivaggio; successivamente ha inizio
l’endoarterectomia, che viene estesa distalmente fino alle
diramazioni subsegmentarie, avendo cura di r imanere sempre
nello spessore della media vasale.
Fig 10: Vista intraluminale
dell’arteria polmonare durante
TEAP(9)
31
Fattore essenziale del successo dell’intervento di
tromboendoarteriectomia polmonare è la completezza
dell’asportazione. (Fig. 10-11)
Infatti , l imitare l’arterectomia ai piani dell’ intima esiterebbe in
una chirurgia incompleta.
Per contro, estendere l’arterectomia ai piani periavventiziali
comporterebbe i l r ischio di una lacerazione vascolare e
conseguente emorragia intraparenchimale, spesso non
control labi le chirurgicamente e maggiore causa di mortalità.
F ig 11: Immagine che
mostra i pezz i operator i
dal l ’ intevento di TEAP
bi laterale
32
3.2.5 Complicanze
I l decorso postoperatorio è caratterizzato oltre che dalle
classiche complicanze di un intervento cardiochirurgico
(instabilità emodinamica, disturbi del r i tmo, sanguinamento,
turbe elettrolit iche, rischio infettivo, ecc.) anche da
complicanze specifiche quali :
a) sanguinamento a l ivel lo delle vie aeree da lacerazione
periferica della parete arteriosa polmonare,
b) insufficienza cardiaca destra acuta da asportazione
incompleta con conseguente persistenza di elevate
pressioni polmonari ,
c) edema da riperfusione per ridistr ibuzione del circolo
polmonare in zone precedentemente escluse.
L’edema da riperfusione può comparire entro le prime 72 ore
postoperatorie (edema da riperfusione precoce) ed è i l caso
più frequente, o dopo le 72 ore (edema da riperfusione tardivo).
Si verif ica nei settori polmonari in cui è stato ripristinato i l f lusso
ematico (9 -30). Infatti queste sono caratterizzate da basse
resistenze vascolari e verso di esse viene ridirezionata buona
parte del f lusso polmonare (distribuzione invertita rispetto al
preoperatorio).
33
I l f lusso alterato, unitamente ad una alterata permeabili tà
vascolare e a una probabile perdita dell’autoregolazione
polmonare, favorisce l’edema interstiziale (18).
Quest’ultimo, responsabile di scambi respiratori compromessi da
non essere gestibi le con tecniche di supporto venti latorio
convenzionali , rappresenta una delle cause di morte
intraospedaliere più frequenti .
34
4. Peculiarita’ della gestione della CEC
Nel centro cardiochirurgico Charles Dubost dell’ IRCCS
Policlinico S. Matteo di Pavia, a parti re dal 1994 l’ intervento di
TEAP è diventato oramai quasi routinario.
La complessità e la durata dell’intervento rendono più delicata
la gestione della CEC in questi pazienti .
In particolare ci troviamo ad affrontare problematiche legate
alla:
1. Complessità del monitoraggio intraoperatorio.
2. Lunga durata della CEC e grandi quantità di sangue
provenienti dal campo operatorio.
3. Necessità di realizzare un’ipotermia profonda con arresto
cardiocircolatorio che, anche se intervallato, può
globalmente essere di lunga durata.
4. Grande quantità di l iquidi somministrati con conseguenti
squil ibri metabolici.
5. Alta probabil ità di sanguinamento postoperatorio.
I l nostro protocollo prevede quindi dei comportamenti mirati a
l la corretta gestione di tali eventi . Particolare importanza hanno
35
gli accorgimenti adottati al lo scopo realizzare una
neuroprotezione. Si tratta sostanzialmente di strategie di t ipo:
� tecnico: che comprendono sia le modalità di conduzione
della CEC sia accorgimenti pratici da parte del chirurgo,
� farmacologico: di interesse prevalentemente
anestesiologico.
4.1 Monitoraggio Intraoperatorio
Data la complessità dell’ intervento chirurgico e relativo elevato
rischio di complicanze a carico di diversi organi e apparati , s i
rende necessario un complesso monitoraggio intraoperatorio
che possiamo classificare come segue:
4.1.1 Monitoraggio Anestesiologico:
Appena i l paziente arriva in sala operatoria, l’anestesista
provvede a incannulare una vena periferica e un’arteria
radiale. Inizia così l’anestesia generale con intubazione oro-
tracheale standard. Successivamente, a completamento del
monitoraggio, verranno posizionati un catetere in arteria
36
femorale, uno Swan-Ganz in arteria polmonare e un catetere
venoso centrale a 3 lumi in vena giugulare interna.
I l monitoraggio anestesiologico e’ realizzato, appunto,
direttamente dall’anestesista tramite tecniche invasive e non,
al lo scopo di valutare costantemente le condizioni
emodinamiche del paziente (portata cardiaca attuale),
l’omogeneità del raffreddamento e del r iscaldamento del corpo
nelle diverse fasi dell’intervento e comprende:
-Elettrocardiogramma
-Pressione sistemica invasiva delle arterie femorale e radiale
-Pressione in arteria polmonare sistolica, diastolica e media
(tramite Swan-Ganz)
-Saturazione venosa mista in continuo, come indice di portata
cardiaca (tramite Swan-Ganz a fibre ottiche)
-Diuresi , come indice della gettata cardiaca
-Temperatura Nasofaringea come misura non invasiva della
temperatura cerebrale. A questo proposito è uti le puntualizzare
che diversi sit i di monitoraggio sono stati proposti dagli autori
come indice della temperatura cerebrale (ad esempio cute,
esofago, membrana timpanica, nasofaringe, retto, etc.).
Nessuno di questi r i f lette realmente la temperatura cerebrale
attuale. Si r i t iene tuttavia che la temperatura nasofaringea sia
37
la più attendibi le in assenza di soluzione fredda o ghiaccio usati
per i rr igare i l cuore.
-Temperatura Rettale come misura della temperatura corporea.
4.1.2 Monitoraggio Neurologico:
Data l’eventualità di danno neurologico legato alla tipologia di
intervento chirurgico è particolarmente importante realizzare un
monitoraggio della funzione cerebrale intraoperatoria.
Le due tecniche uti l izzate presso i l nostro Centro sono:
EEG : monitorizza la funzione elettrica corticale e in minor misura
quella subcorticale. Oltre che l’adeguatezza dell’ ossigenazione
cerebrale, esso è un uti le indice anche del l ivel lo di anestesia e,
indirettamente, della temperatura cerebrale. Sia un insulto
ischemico che l’ipossia che l’ipotermia riducono la frequenza
delle onde elettroencefalografiche.
In particolare viene definita “burst suppression” un drammatico
cambiamento del pattern EEG in cui compaiono corti periodi di
si lenzio elettrico corticale alternato con attività a bassa
frequenza e ad alto voltaggio. Sembra infatti che la burst
suppression indotta con farmaci sia una valida manovra
neuroprotettiva nei confronti di episodi potenzialmente
38
i schemici (ad esempio occlusione temporanea di un vaso) ma
ancora a tutt’oggi questa ipotesi è controversa.
Questo tracciato può essere prodotto da alte dosi di ipnotici
(propofol, t iopentone sodico-TPS, etomidate) e dalla stessa
ipotermia nella CEC. Una prima valutazione sommaria del
tracciato EEG è effettuata presso i l nostro Centro da personale
tecnico specializzato in neurofisiopatologia, presente in sala
operatoria, ed è fondamentale almeno in tre momenti
intraoperatori .
1)Prima di realizzare l’ AC: raggiunta la temperatura
nasofaringea di 15-18°C vengono somministrati Tiopentone
Sodico e Fenitoina (come antiepi lettico) con l’obiettivo di
ottenere un tracciato EEG isoelettrico o perlomeno di burst
suppression.
2) Durante la fase di AC : questo quadro deve essere mantenuto
per l’ intera durata dell’AC. Se si verif icasse una ripresa
dell’attività elettrica cerebrale e dopo quattro fasi di AC da 20
minuti , viene comunque ripetuta una dose di TPS da 500 mg (28).
3)Durante i l r iscaldamento: generalmente a 25°C di
temperatura nasofaringea si nota una ripresa dell’attività
elettrica cerebrale che, a riscaldamento ultimato, dovrà
raggiungere sostanzialmente un quadro di normalità.
Qualunque anomalia verrà comunque registrata e
39
attentamente analizzata e messa possibi lmente in relazione al
quadro clinico neurologico postoperatorio.
Anche se, l’ interpretazione del tracciato durante l’intervento è
reso diff icoltoso dalla presenza di artefatti (pompe, macchine,
bisturi elettrico, pacemaker), l’EEG rimane un valido metodo di
monitoraggio cerebrale.
NIRS ( Near-Infrared Spectroscopy):
In questi ultimi anni si sta uti l izzando in affiancamento o in
sostituizione dell’EEG una nuova metodica per i l monitoraggio
cerebrale, la NIRS.
E’ una tecnica non invasiva di misura della saturimetria
regionale cerebrale (rSO2), cioè della concentrazione di
dell’emoglobina ossigenata presente a livel lo cranico.
Resta quindi un mezzo di misura della funzione cerebrale, che
permette di ottenere dati sul l’uti l izzo dell’O2 . I sensori , collegati
a un cavo a fibre ottiche, vengono posizionati a l ivello delle
bozze frontali , ed emettono raggi nello spettro dell’infrarosso.
Essi penetrano attraverso lo scalpo, i l cranio e i l cervello e
vengono rif lessi e refratti prima del loro ritorno al sensore. La
saturazione % di O2 totale corticale è espressa con un dato
numerico. Una riduzione della saturazione in O2
40
dell’emoglobina, riportata dal sensore posto, è verosimilmente
in relazione ad un evento ipossico cerebrale.
Tuttavia essa varia molto da soggetto a soggetto, per cui è
ragionevole ritenere che potrebbe non essere correlata con i l
deficit neurologico clinico.
Analogamente a quanto descritto per l’EEG presso i l nostro
Centro sono tre le fasi in cui i l dato dell’rSO2 viene
monitorizzato.
A paziente in ipotermia profonda subito prima dell’AC viene
registrato i l valore dell’rSO2 cosiddetto “basale”, bi lateralmente.
Durante la fase di arresto s i noterà un trend in discesa. La fase
di r iperfusione , che avverrà a 18°C con sangue ossigenato per
minimo 10 minuti , non viene interrotta fino a che i valori di rSO2
di ossigeno non sono tornati al l’ incirca al l ivello ”basale”. (28)
Non esistono studi in grado di dimostrare la maggior efficacia
della NIRS rispetto all’EEG nel valutare la protezione neurologica
durante l’AC e nel prevedere eventuali deficit o complicanze
neurologiche.
Bisogna ri levare però che questa metodica, a differenza
dell’EEG non richiede una competenza specifica; inoltre i dati
non sono influenzati dagli anestetici , dalla temperatura, e dalla
pressione di perfusione cerebrale.
41
Tuttavia la lettura del segnale è resa diff icoltosa durante le fasi
di uti l izzo del bisturi elettrico o da una luminosità eccessiva
dell’ambiente.
Questo però sembra essere i l migliore e i l più maneggevole
medito di monitoraggio cerebrale, anche se necessita di
ulteriori approfondimenti (32 ) .
4.1.3 Monitoraggio CEC
La lunga durata della CEC, le escursioni termiche a cui sarà
sottoposto i l corpo del paziente, la necessità di un’
emodiluizione massiva, Gli squi l ibri metabolici secondari al l’ AC
in ipotermia profonda (DHCA), impongono:
oltre al monitoraggio standard( emogasanalisi ogni 30 minuti
corredata di lattati , temperatura e pressione in entrata e in
uscita dall’ossigenatore, temperatura dell’acqua che circola
nello scambiatore di calore, i f lussi della pompa
centrifuga,pressioni sul la l inea arteriosa), anche monitoraggi
specifici(CDI).
CDI : è un sistema di monitoraggio in continuo dei parametri
emogasanalitici (Ematocrito, emoglobina, pH, PO2 , PCO2 ,
saturazione) ed elettrolit ici(potassio, bicarbonati) del sangue
42
arterioso e venoso e calcola i l consumo di O2 in base alla
portata inserita del paziente. E’ dotato di due sensori posti
r ispettivamente nella l inea arteriosa e venosa del circuito che
analizzano istante per istante i suddetti parametri.
Tramite un cavo a fibre ottiche questi dati vengono visualizzati
in tempo reale su un monitor come valori numerici . L’uti l izzo di
questo monitoraggio offre tre sostanziali vantaggi:
1) di control lare i l grado di emodiluizione intenzionale
(obiettivo Hb 7-8 g/dL),
2) correggere in tempo reale gli squi l ibri metabolici e
elettrolit ici che possono verificarsi in ogni fase della CEC
3) fornire una adeguata perfusione e ossigenazione in
relazione alle esigenze del paziente.
Fig. 12: Apparecchio per il monitoraggio in continuo
43
4.2 CEC di lunga durata
Oltre ad elencare brevemente le varie componenti che
costituiscono i l circuito, mi soffermerò in particolare a
descrivere e motivare la scelta di una pompa centrifuga in
luogo della routinaria pompa rol ler, di due scambiatori calore
anziché uno, di un ultrafi ltro e di un recuperatore
intraoperatorio di sangue.
Ossigenatore : viene uti l izzato un ossigenatore a fibre cave che
ha i vantaggi di essere meno traumatizzante per gli elementi del
sangue, più sicuro, f is iologico ed efficiente.
Cardiotomo e linee aspirative: i l cardiotomo è deputato a
raccogliere i l sangue proveniente dagli aspiratori e rimuovere
ogni frammento (tessuti , grasso, materiale di sutura) che viene
aspirato insieme al sangue; in corso di TEAP è previsto l’uso di
quattro aspiratori posizionati uno in arteria polmonare, uno in
vena polmonare superiore di destra, due come aspiratori da
campo chirurgico.
Due Scambiatori di calore: sono elementi fondamentali uti l izzato
al f ine di mantenere costante la temperatura del sangue o di
indurre una ipotermia “control lata” raffreddando i l sangue di
44
perfusione per riportarlo successivamente a temperatura
normale. L’uti l izzo di due scambiatori di calore è motivato dalla
necessità di uti l izzarne uno per modificare la temperatura del
sangue e l’altro per cambiare quella di superficie. Quest’ultimo
infatti è collegato ad un materassino termico ad acqua posto
sotto i l corpo del paziente fin dall’ inizio dell’ intervento.
Oltre ai componenti standard del circuito descritt i f inora, per
risolvere le problematiche che pone la TEAP si uti l izzano ulteriori
dispositivi e apparecchiature:
Pompa Centrifuga : a causa della lunga durata della CEC e per
ridurre sanguinamento postoperatorio, è preferibi le uti l izzare
una pompa centrifuga che rispetto alla pompa rol ler presenta i
seguenti vantaggi:
� Sicurezza nei confronti dello schiacciamento degli
elementi corpuscolari e del distacco e immissione in
circolo di particelle di materiale plastico (spallazione), con
conseguente:
- minor danno alle emazie;
- minore emoglobina libera;
- minore microembolia solida e gassosa;
- maggiore conservazione delle piastrine;
45
- minore attivazione della risposta infiammatoria
dell’organismo.
� teorica impossibi l i tà di generare embolia massiva
� comportamento più fis iologico, in quanto risponderà
variando i l f lusso, ad ogni variazione delle resistenze
dell’organismo e non consente lo svi luppo di eccessive
pressioni se inavvertitamente viene piegata o clampata la
l inea arteriosa, perché i l f lusso tenderebbe a diminuire fino
ad azzerarsi .
Ultrafi ltro: viene uti l izzato in fase di r iscaldamento per eliminare i
l iquidi somministrati in fase di raffreddamento, r iportando alla
normale viscosità i l sangue e per rimuovere i cataboliti acidi
prodotti . In questo modo l’ematocrito aumenta ma, non avendo
l’ultrafi ltro la selettività del rene, gli elettrolit i f i ltrati non
vengono riassorbiti e dovranno essere quindi reintegrati .
Autotrans: è una macchina che permette di centrifugare i l
sangue proveniente dal campo operatorio o ancora contenuto
nell’ossigenatore e nel circuito al termine della CEC, e di
restituire al paziente emazie lavate e concentrate.
46
4.3 Ipotermia Profonda e Arresto di Circolo(DHCA)
4.3.1 Razionale della DHCA:
La necessità di avere un campo chirurgico totalmente esangue,
indispensabile per poter visualizzare le branche lobari e
segmentali delle arterie polmonari, impone la realizzazione di un
AC, unico mezzo per non essere ostacolati dal sangue
proveniente dalle arterie bronchiali .
Le complicanze più temibi l i , legate all’uti l izzo di questa tecnica,
sono quelle neurologiche conseguenti la sospensione della
circolazione cerebrale.
Al f ine di evitarle viene associata l’ipotermia profonda che
rappresenta una valida e semplice tecnica di protezione
cerebrale poiché riduce le esigenze metaboliche dei tessuti e di
conseguenza i l consumo di O2 in particolare di quello cerebrale.
L’attività metabolica cerebrale è infatti temperatura
dipendente: esiste una relazione esponenziale tra temperatura
e attività metabolica cerebrale e quindi tra temperatura e
consumo di ossigeno cerebrale (Fig. 13).
47
In condizione di autoregolazione ben funzionante i l f lusso
ematico cerebrale è accoppiato al consumo metabolico(e
quindi al consumo di ossigeno cerebrale.
Col ridursi della temperatura i l f lusso ematico per quel dato
consumo metabolico resta essenzialmente costante nel range di
pressione di perfusione cerebrale compreso tra 50 e 150mmHg
(Plateau di autoregolazione cerebrale).
Fig. 13: Diagramma rappresentante il consumo di O2 in relazione alla temperatura
Fig 14. : Da J.M. Murkin: The pathophysiology of cardiopulmonary bypass. Can J Anesth
48
Tutti i fattori che riducono i l consumo di O2 cerebrale(ipotermia,
anestetici , etc.) abbassano i l plateau di autoregolazione (33)
cosicché i l f lusso ematico cerebrale, sebbene ridotto, è
mantenuto costante a un l ivel lo più basso come conseguenza di
un consumo di ossigeno cerebrale ridotto (Fig. 14).
Riducendo i l metabolismo cerebrale,l’ ipotermia abbassa la
velocità di consumo dei fosfati ad alta energia e quindi dell’O2 .
Di conseguenza i l consumo di ossigeno cerebrale diminuirà
gradualmente con l’abbassamento della temperatura corporea.
E’ quindi ora chiaro perché riducendo la temperatura corporea
è possibi le ridurre i f lussi di perfusione della CEC fino all’AC
globale.
A lungo l’ipotermia è stata considerata una valida misura di
protezione cerebrale durante CEC.
Inoltre è stato dimostrato che l’ipotermia profonda riduce la
cascata di ammine eccitotossiche che è la causa della morte
cellulare dopo un insulto ischemico (34 ) .
Bisogna tenere presente che l’ipotermia profonda comporta
anche la perdita o comunque l’alterazione dell’autoregolazione
cerebrale, cosicché i l f lusso ematico cerebrale diventa
pressione dipendente. Sembra che l’ipotermia induca una
forma di vasoparalisi cerebrale che inficia l’autoregolazione.
49
Nonostante ciò rimane la responsività cerebrale alla CO2 anche
se con molta minore sensibi l i tà.
Così dopo un DHCA, con meccanismo poco chiaro, si verifica
una persistente caduta del f lusso ematico cerebrale, anche
dopo la ripresa del circolo (35) .
Mentre in normotermia i l danno cerebrale i rreversibi le si verif ica
dopo 4 minuti di ischemia cerebrale, a 20°C di t° cerebrale un
AC di almeno 20 minuti può essere considerato “sicuro”(Safe
Period)(Fig. 15) (36) .
PR
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CIR
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Fig. 15: Limiti di sicurezza per AC (tratto da Cardiac Surgery-Kirklin)
50
I l consumo di O2 cerebrale, infatti , è ridotto del 5% per ogni
grado centigrado di r iduzione della temperatura, tra 37° e 22°C.
E’stato dimostrato che (37) d tempi di ischemia (cerebrale) > 45
minuti sono associati ad aumentato rischio di ictus e che dopo
65 minuti di ischemia cerebrale c’è alto rischio di mortalità. In
ipotermia profonda (t°centrale < 18°C) un AC di 45 minuti è
considerato “sicuro” .
I l “Boston Circulatory Arrest Study” suggerisce che un periodo di
AC massimo di 30-45 minuti , a 15°C, è “sicuro” . Presso i l nostro
centro la durata massima di ogni AC è di 20 minuti . Tuttavia a
queste temperature l’iperlattacidemia che si genera suggerisce
che probabilmente un danno neurologico è in corso. (38 )
Diversi fattori l imitano i l safe period sono:
a) presenza di shunt artero-venosi
b) i l fenomeno del non reflusso che si verif ica soprattutto a
l ivel lo cerebrale e consiste in vere e proprie occlusioni del
microcircolo provocate dall’anossia che porta a danni
ischemici endoteliali ed al r i lascio di fattori vasocostrittori
o vasodilatatori ;
c) i cambiamenti di volume plasmatici portano ad una
progressiva emoconcentrazione dovuta al sequestro di
plasma in alcuni distretti e ad una sua trasudazione nei
compartimenti interstiziali .
51
L’incidenza di complicanze cerebrali usando questa metodica è
del 7-10%. Con circa i l 5% di complicanze neurologiche maggiori
( ictus, attacco ischemico transitorio) e circa 7%
neuropsicologiche (Delirio, agitazione psicomotoria, alterazioni
della memoria, encefalopatia etc.).Queste ultime sono
imputabil i al l’edema e a disturbi metabolici cerebrali
verosimilmente correlate alla durata totale dell’AC (18 -22).
4.3.2 Tecnica della DHCA
I l ci rcuito per effettuare la circolazione extracorporea viene
preparato prima che i l paziente arrivi in sala operatoria.
Ist ituita la CEC con cannulazione separata delle vene cave e
dell’aorta ascendente si procede al raffreddamento sistemico,
dopo adeguata emodiluizione (Hb circa 7 g/dL) che ha lo
scopo di r idurre la viscosità del sangue ed ottimizzare i l f lusso
ematico dei capil lari .
Viene quindi iniziato fin da subito un raffreddamento cerebrale
esterno tramite una guaina che avvolge la testa del paziente e
in cui circola una soluzione salina fredda.
Nonostante la discesa della temperatura manteniamo un f lusso
di perfusione a 2,4 l/min/m2 per consentire un miglior
raffreddamento degli organi.
52
Una particolare attenzione viene posta alla durata totale del
periodo di raffreddamento. Così come è oramai assodato che
con la riduzione della temperatura aumenta la protezione
cerebrale, è anche chiaro che i l raggiungimento della t°
centrale desiderata prima dell’AC, sia un determinante critico
dell’efficienza di questa tecnica.
Recenti studi suggeriscono che i l raffreddamento del cervello
può essere incompleto se i l paziente viene raffreddato troppo in
fretta.
Infatti , è stato dimostrato che un raffreddamento rapido (con
perfusato più freddo di 20°C rispetto al paziente) determina (37 ) :
a) i l crearsi di importanti gradienti termici cerebrali ,
con persistenza dell’attività metabolica ed
elettroencefalografica cerebrale (39 ) ;
b) i l r iscaldamento del sangue da parte dei tessuti con
formazione di bolle gassose all’ interno dei vasi per i l
passaggio dell’ossigeno dallo stato in soluzione allo
stato gassoso(embolia gassosa) (40) .
Proprio a tale scopo i l raffreddamento cerebrale viene eseguito
con perfusato non più freddo di 4-6°C rispetto alla temperatura
del paziente (39) .
53
In definit iva i l danno cerebrale dopo AC ipotermico può essere
legato fondamentalmente a due fattori :
a) disomogeneità del raffreddamento cerebrale
b) prolungamento del safe period
E’ ideale mantenere una differenza tra temperatura
nasofaringea e rettale di 2- 3°C durante tutto i l raffreddamento,
senza far scendere la temperatura del sangue al di sotto dei
10°C, perché a l ivel lo dello scambiatore potrebbero essere
raggiunte temperature intorno allo zero con formazione di
cristal l i di ghiaccio, potenzialmente dannosi per i globuli rossi e
le proteine plasmatiche. (40)
Durante i l periodo pre-arresto si mantiene sia un’ adeguata
pressione di perfusione al f ine di evitare ipotensioni cerebrali ,
s ia adeguati valori di pH e PCO2 che hanno importanti effetti sul
circolo e sul tessuto cerebrale.
Man mano che procede i l raffreddamento del paziente si nota
una graduale riduzione di ampiezza e di attività del tracciato
EEG.
Quando la temperatura è vicina ai 20°C i l tracciato sarà quasi
isoelettrico contemporaneamente anche i valori di SVO2
aumenteranno. Ad esempio raggiungeranno valori dell ' 80% a
54
25°C e del 90% a 20°C a causa del decremento metabolico
tissutale.
Quando la temperatura nasofaringea è compresa tra 20 e 15°C
vengono somministrati in vena:
-supplemento di analgesici e curari
-supplemento di eparina 25-50mg
-TPS 7-15mg/Kg
-Fenitoina 15mg/Kg
Riguardo all’impiego del TPS in tale contesto, sono state
dimostrate molteplici attività dei farmaci barbiturici:
- r iduzione del consumo cerebrale di ossigeno
- r iduzione della pressione intracranica
- r idistr ibuzione del f lusso cerebrale
- r iduzione dell’edema cerebrale
- r iduzione dell’accumulo dei radicali l iberi
Quando la temperatura nasofaringea è stabile a 15-18°C,
vengono fermate tutte le infusioni e la CEC viene
completamente arrestata per brevi periodi di tempo (massimo
20 minuti), cosi i l r ischio di danno ischemico per i tessuti , in
particolare, per i l cervello viene minimizzato.
Obiettivo EEG
Isoelettrico
55
Con l’inizio dell’AC la l inea arteriosa viene clampata; la l inea
venosa rimane aperta per drenare completamente i l paziente.
Quando la maggior parte del sangue è stato drenata, la l inea
venosa viene parzialmente clampata.
Durante tutta la fase di arresto, i l sangue viene fatto ricircolare
all’interno del circuito attraverso una l inea di spurgo arteriosa
collegata al fi ltro arterioso e al reservoir del cardiotomo.
Ad ogni AC segue poi una fase di r iperfusione della durata di
almeno 10 minuti o comunque finché i valori della rSO2 e SvO2
non siano tornati r ispettivamente al “basale“ e a circa 90%.
A TEAP completata si r iprende la CEC adeguando man mano i
f lussi di perfusione alla temperatura gradualmente crescente, e
la guaina raffreddante viene rimossa dalla testa del paziente.
Inizia così i l r iscaldamento , questo viene eseguito con aumenti
graduali al f ine di evitare la formazione di gradienti termici
intracerebrali o microemboli gassosi . I l r iscaldamento infatti
generalmente richiede dagli 80 ai 120 minuti . Durante i l
r iscaldamento viene mantenuto un gradiente di 6-8°C tra i l
sangue e la temperatura corporea. Inizia l’ultrafi ltrazione in
continuo fino a fine CEC.
Può essere effettuato un intervento aggiuntivo, come un bypass
aorto-coronarico o chiusura del forame ovale, se non eseguito
durante i l raffreddamento.
56
I l sangue non viene mai riscaldato al di sopra dei 37°C né i l
paziente al di sopra di 36°C (di temperatura nasofaringea).
Anche durante questa fase è’ ideale mantenere una differenza
tra temperatura nasofaringea e rettale di 2- 3°C.
Mediamente a una temperatura nasofaringea di 25°C inizia
anche una lenta attività EEG, la cui ampiezza aumenta in
maniera direttamente proporzionale all 'aumento di
temperatura.
Durante i l r iscaldamento le resistenze vascolari sistemiche
aumentano e generalmente viene somministrato nitroprussiato
in infusione continua per accelerare i l r iscaldamento e renderlo
più omogeneo.
A circa 34°C inizia l’ infusione del mannitolo che esercitata
un’azione antiedemigena cerebrale e per promuovere la diuresi
comporta un aumento di ematocrito.
Un dispositivo di autotrasfusione (Autotrans) viene uti l izzato per
recuperare le perdite di sangue, che di solito sono importanti , e
per trattare i l sangue residuo nel circuito di bypass.
57
5. Gestione degli squilibri metabolici in CEC
La gestione metabolica risulta fondamentale per rendere
efficaci le strategie di protezione cerebrale messe in atto e
mantenere i l paziente in condizioni più vicine possibi le a quelle
fisiologiche. La gestione metabolica comprende diversi aspetti
di seguito elencati .
5.1 Controllo del pH
Un aspetto peculiare riguarda i l control lo del pH ematico,
effettuata con tecnica α-stat. Diversi lavori hanno confermato
che durante una CEC ipotermica nei pazienti trattati con pH-
stat le disfunzioni neurologiche postoperatorie sono più
frequenti (36 ) .
La gestione degli scambi gassosi, effettuata attraverso questa
modalità, mantiene i l pH a 7,4 e la PCO2 a 40mmHg misurati a
37°C di temperatura qualunque sia la temperatura attuale del
paziente, senza aggiungere CO2 esogena che, come è noto,
produce una ipercapnia che induce una vasodilatazione con
conseguente aumento del f lusso ematico cerebrale.
L’”eccesso” di f lusso rispetto alle reali necessità crea una
“perfusione di lusso” che da un lato può essere vantaggiosa
perché fornisce un margine di sicurezza durante l’ipotensione,
58
dall’altro è svantaggiosa perché aumenta i l carico embolico
verso i l cervello.
Uti l izzando l’approccio α-stat, si evita che, a basse
temperature, i l pH diventi molto acido, con conseguente
perdita dell’autoregolazione del f lusso cerebrale che, a questo
punto, dipenderebbe solo dalla pressione di perfusione.
Dopo le fasi di arresto circolatorio si r iscontrano sempre un
certo grado di acidosi metabolica che durante la fase di
r iscaldamento, a parti re dai 28°C viene corretta con
bicarbonato di sodio.
5.2 Gestione dell’emodiluizione
Uno degli effetti dell’ ipotermia sul sangue riguarda l’aumento
della viscosità che se non “corretta” renderebbe diff icoltoso i l
f lusso soprattutto nel microcircolo. Per evitare ciò si uti l izza un
emodiluizione del sangue fino ad ottenere un emoglobina
intorno a 7-8 g/dL.
Una volta terminata l’endarterectomia, si r iportare l’Hb al valore
fisiologico uti l izzando, come già detto, un ultrafi ltro.
59
5.3 Gestione della glicemia
Durante l’ipotermia, è indispensabile mantenere un accurato
control lo della glicemia, che non deve superare i 200-300
mg/dL. Infatti , in anaerobiosi ,i l glucosio viene convertito in
lattati , che così aumenta,con conseguente riduzione del pH
intracellulare e quindi acidosi : una iperglicemia apportando più
glucosio per i l metabolismo anaerobico, aumenta la severità di
acidosi .
Infatti , durante un'ischemia transitoria reversibi le,
un'iperglicemia con parallelo aumento dei l ivel l i di glucosio nel
cervello contribuisce alla produzione di maggiori quantità di
acido lattico. Questa acidosi cerebrale e la conseguente
l iberazione di ioni idrogeno in eccesso può avere come
conseguenza un danno delle membrane.
60
6. Sanguinamento Postoperatorio
Verranno qui esaminati due aspetti :
a) Piastrinopenia
b) Sanguinamento dalle vie aeree
a) Dopo un AC generalmente si osserva una diminuzione delle
piastrine fino al 50% dei valori basali . Questa in parte è dovuta
a disfunzione piastrinica in corso di ipotermia profonda,e
generalmente è autolimitantesi e pertanto non richiede
trasfusioni.
In alcuni pazienti però si evidenzia una piastrinopenia estrema
che pone diff ici l i problemi di diagnosi differenziale con la HIT.
Una piastrinopenia che persista oltre le prime 48 ore dal
postoperatorio e con valori particolarmente ridotti deve però
fare sospettare una HIT.
Al la base della HIT esiste un meccanismo immunologico che
porta alla formazione di trombi piastrinici responsabil i di
ostruzioni del letto vascolare (21)
Ciò rende particolarmente problematica la gestione della
terapia anticoagulante postoperatoria in questi pazienti , in cui
61
coesiste i l doppio pericolo di ri trombosi polmonare precoce e di
sanguinamento.
Normalmente la terapia anticoagulativa prevede una terapia
antiaggregante ed una anticoagulante a partire dalla sera
dell’intervento (se i l paziente non ha HIT, non sanguina, le
piastrine sono > 80000/mm3). Successivamente avviene i l
passaggio agli anticoagulanti . I l target di mantenimento, per
tutta la vita, di un INR tra 2,5 e 3,5.
b) è la causa principale di mortalità dopo l’intervento di TEAP.
E’ di solito dovuto a lacerazione periferica della parete
arteriosa polmonare e in genere inizia già in sala operatoria, a
fine TEAP. I l verif icarsi di questa complicanza è un evento
drammatico perché normalmente non è suscettibi le di
correzione chirurgica.
62
7. Casistica e Risultati
Presso i l nostro centro di Cardiochirurgia del Policlinico San
Matteo di Pavia sono state eseguite, da apri le 1994 a maggio
2004 , 109 TEAP in 106 pazienti (con 3 reinterventi a 39, 40 e 56
mesi di distanza dalla prima procedura).
In particolare, la distribuzione degli interventi per anno è la
seguente:
Anno N° TEAP Anno N° TEAP
1994 2 1999 12
1995 1 2000 12
1996 6 2001 14
1997 8 2002 15
1998 13 2003 20
2004
(f ino ad
apr i le 2004)
6
� I nostri pazienti : 60 sono di sesso maschi le(55%) e 49
femmini le(45%), con rapporto maschi/femmine pari a 1,22.
� L’età media: è di 53 ± 15 anni con range 17-81 anni.
63
� La compromissione funzionale, valutata con i criteri della
New York Heart Association, dimostra l’ importanza
dell’impegno cardiaco dei pazienti , essendo infatti :
In classe I I : 2 pazienti (1,8%)
In classe I I I : 48 pazienti (44%)
In classe IV: 59 pazienti (54%)
� Tutti i pazienti prima dell’ intervento sono stati sottoposti al
medesimo iter diagnostico che consisteva in una
valutazione più o meno invasiva di tutti i parametri
indispensabil i s ia per fare diagnosi di IPCTE che per
poterne porre l’indicazione chirurgica.
� Una equipe composta da cardiochirurghi, cardiologi,
anestesisti-r ianimatori , radiologi ed ematologi ha
attentamente valutato ogni aspetto di propria
competenza in modo da poter dare, tutti insieme, un
giudizio di operabil i tà i l più accurato possibi le. Eventuali
errori diagnostici sono infatti potenzialmente responsabil i
di un esito infausto di questa procedura chirurgica.
� Abitualmente già a fine intervento la PAPm si r iduce, la
gittata cardiaca aumenta, le PVR diminuiscono entro 48-72
ore(Fig. 8-16).
64
� Anche i l miglioramento della morfologia cardiaca e dei
valori emogasanalitici è pressoché immediato e si
mantiene nel tempo.
� I valori funzionali , determinati con i l test di Bruce
modificato o con i l test cardiopolmonare mostrano una
tendenza progressivamente migliore ai vari control l i .
� La maggior parte del miglioramento clinico e dei
parametri di funzione cardiopolmonare si ottiene nei primi
3 mesi. È stato osservato ulteriore miglioramento della
tolleranza allo sforzo anche dopo 1, 2 e 3 anni.
L’intervento consente non soltanto un chiaro
miglioramento della qualità di vita, ma garantisce una
sopravvivenza a 3 anni > 80%.
� La mortalità operatoria è stata intorno all’ 11.0% mentre la
sopravvivenza a 3 mesi, 1 anno e 3 anni è stata
rispettivamente 88.1 ± 3.1%, 85.9 ± 3.4% e 81.8 ± 4.0%
mantenendosi poi inalterata fino ai 10 anni di fol low-up.
� Nel medio-lungo termine si può verif icare una ripresa
dell’ipertensione polmonare con conseguente progressiva
insufficienza cardiaca destra. Le cause possono essere
fondamentalmente due:
65
1) nuove lesioni tromboemboliche per una cattiva
gestione della terapia anticoagulante ed assenza di
f i ltro cavale;
2) i l progredire di una malattia dei piccoli vasi s imile, da
un punto di vista fisiopatologico, al la sindrome di
Eisenmenger (iperafflusso ematico nei distretti non
ostruiti dalle lesioni tromboemboliche) già instauratasi
prima dell’ intervento.
� È abitudine iniziare la terapia anticoagulante
nell’immediato periodo postoperatorio a base di
dicumarolici , salvo gravi problemi emorragici ( la terapia
anticoagulante andrà mantenuta per tutto i l resto della
vita) ed inserire un fi ltro cavale già preoperatoriamente
in posizione sottorenale, ad eccezione dei pazienti in cui
l’embolia origina dagli arti superiori o dal cuore destro.
� Tutti i pazienti sono stati seguiti con un fol low-up che
prevede i l primo control lo alla dimissione, i l secondo a 3
mesi dall’ intervento e successivamente control l i annuali
f ino a 5 anni; gli ult imi control l i previsti sono a 7 e 10
anni dall’ intervento (41) .
66
Fig. 16: Angiopneumografia destra e sinistra postoperatoria a distanza di 3 mesi dall’intervento di tromboendoarteriectomia.Paziente delle figure 8 e 11. I dati emodinamici a 3 mesi sono:
- pressione arteriosa polmonare 29/15/7 mmHg, - portata cardiaca 4.1 l/min (indice cardiaco 2.2), - frazione di eiezione ventricolare destra 32%, - resistenza vascolare polmonare 293 dynes*s*cm-5
67
8. Conclusioni
I l concetto di tromboembolia polmonare “cronica” come
responsabile di una ostruzione persistente del f lusso ematico
polmonare e stato per la prima volta ipotizzato da Hart nel 1916
e poi descritto nel 1924 da Moller.
La tromboendoarterectomia polmonare (TEAP) è una
procedura chirurgica che nasce dall’esigenza di fornire una
terapia risolutiva per i pazienti affetti da ipertensione polmonare
cronica tromboembolica (IPCTE) ottenendo eccellenti r isultati a
breve e lungo termine.
Infatti la TEAP porta in molti casi ad una ”restitutio ad integrum”
cardiaca e polmonare.
I primi tentativi di approccio chirurgico nei pazienti con
IPTCE risalgono al 1958. Nel 1987 i l gruppo di San Diego ha
standardizzato la tecnica chirurgica descrivendo i primi r isultati .
Questi non erano particolarmente incoraggianti ma
successivamente sono andati migliorando fino a raggiungere
una mortalità perioperatoria attualmente dell’ 11%, e una
sopravvivenza a 3 anni superiore all’80%.
L’intervento di TEAP è proponibi le a pazienti con lesioni
chirurgicamente aggredibi l i con risultati ottimali .
68
Entro 72 ore dall’ intervento si r iscontra una riduzione
dell’insufficienza tricuspidale e una significativa riduzione della
pressione polmonare e delle PVR, con conseguente aumento
della portata cardiaca.
Entro un mese dalla chirurgia i l nuovo assetto emodinamico
modifica sostanzialmente le condizioni cliniche dei pazienti .
Questo è particolarmente evidente in pazienti che giungono
all’intervento con un quadro di scompenso cardiaco destro.
Nel corso del primo anno postoperatorio infatti la maggioranza
dei pazienti dalla classe NYHA II I o IV alla classe NYHA I o II .
Invece nei casi in cui l’ intervento non determini una netta
riduzione delle resistenze e delle pressioni polmonari , s i può già
prevedere una maggiore probabil i tà di prognosi infausta.
Questo è dovuto alla presenza di lesioni troppo distali o alla
impossibi l i tà di trovare un corretto piano di clivaggio.
Al contrario dei parametri emodinamici i l miglioramento
dell’ossiemia avviene in modo graduale nell’arco di 6 - 12 mesi.
Questo è dovuto ad una migliore distribuzione del f lusso nel
parenchima polmonare che nell’ immediato postoperatorio era
diretto prevalentemente alle aree disostruite con conseguente
mismatch venti lo-perfusorio (42) .
Tuttavia i l decorso postoperatorio è spesso gravato da
complicanze anche mortali .
69
Le più importanti sono:
� l ’edema da riperfusione
� ipertensione polmonare residua: a volte è tale da
determinare una grave insufficienza ventricolare destra,
responsabile, insieme all’edema da riperfusione, del
7-24% della mortalità postoperatoria.
� Sanguinamento delle vie aeree:una delle maggiori
cause di morte.
� Infezioni: soprattutto in caso di venti lazione meccanica
postoperatoria prolungata.
In conclusione l’interventi di TEAP quando tecnicamente
affrontabile rappresenta la terapia migliore dell’ IPCTE.
I benefici ottenuti sembrano durare nel tempo assicurando ai
pazienti un’aspettativa di vita prolungata con una qualità
sostanzialmente normale. L’unica condizione assolutamente
irr inunciabile che esse seguano, per tutta la vita, una terapia
anticoagulante.
Pertanto la TEAP è diventata una valida alternativa al trapianto
polmonare soprattutto se si considera che a 3 anni i l 50% dei
pazienti trapiantati svi lupperà bronchiolite obliterante e a 5
anni solo i l 43% sopravvive.
70
Presso i l nostro Centro nel corso di questi primi 10 anni di
esperienza, la tecnica chirurgica e anestesiologica si è affinata
e migliorata, così come è cambiata la gestione della CEC. I l
cambiamento è stato nel porre maggiore attenzione nelle
modalità di raffreddamento e riscaldamento del paziente al fine
di assicurare una corretta protezione cerebrale e possibi lmente
di migliorare l’outcome neurologico dei pazienti sottoposti a
TEAP.
71
9. Legenda
AC: Arresto di Circolo
APA: Anticorpi Anticardiolipina
APLA: Anticorpi Antifosfolipidi
CEC: Circolazione Extracorporea
CO2: Anidride Carbonica
DHCA: Deep Hypotermic Circulatory Arrest - Arresto Di Circolo
In Ipotermia Profonda
EEG: Elettroencefalogramma
EP: Embolia Polmonare
Hb: Emoglobina
HIT: Heparin-Induced Thrombocytopenia
IPCTE: Ipertensione Polmonare Cronica Tromboembolica
LLAC: Lupus-Like Antico-Coagulant
NIRS: Near-Infrared Spectroscopy- Spettroscopia a Raggi
Infrarossi
NYHA: New York Heart Association
O2 : Ossigeno
OMS: Organizzazione Mondiale Della Sanità
PAPm: Pressione Arteriosa Polmonare Media
72
PCO2: Pressione Parziale Della CO2
PO2: Pressione Parziale Dell’ O2
PVR: Resistenze Vascolari Polmonari
REF: Frazione Di Eiezione Del Ventricolo Destro
rSO2 : Regional Saturation Oxygen
SvO2: Saturazione Venosa Di O2
TEAP: Tromboendoarterectmia Polmonare
TPS: Tiopentone Sodico
73
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