Gabriele Del Re
Nummer 71 Marts 1980
La poesia di Dino Campana
Romansk lnstitut K~benhavns Universitet
Njalsgade 78-80 2300 Kbh. S Gebyr 5,00 kr.
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LA POESIA DI DINO CAMPANA
Di fronte alla poesia di Dino Campana si manifestano in noi non poche perplessità concettuali e di gusto (1). La prima impressione è quella di una certa sconnessione sintattica tra le varie parti del pensiero trascritto ed una conseguente sconnessione di costrutti semantici. Questo significa che ad un primo approccio alla compo
zione campaniana, una specie di repulsione ci invade, come se una difficoltà insuperabile ci separasse dalla mentalità di un autore così evidentemente slegato dal vivere comune. E allora ci sovven
gono i fatti della sua vita; vagabonda, irrequieta, lacerata dalla instabilità psichica, tragicamente manicomiale: il nostro giudizio si conclude sommariamente , in un rifiuto, in una rinuncia alla lettura, in un definitivo moto d'incomprensione. La vita e la sua espressione artistica, infatti, la sua rappresentazione verbale si combinano, si fondono in un'unica manifestazione straordinaria in Campana, ma inavvicinabile, a tal punto che al nostro sentire ap
pare in qualche modo estranea. Eppure se superiamo questo istintivo ed, oserei dire, naturale
moto dell'animo e ci disponiamo a percorrere la via sintattica che
il Campana apre con i suoi costrutti, quella estraneità, quel senso di incomprensione, cominciano piano piano ad attenuarsi e a noi,
come intrappolati in un labirinto d'idee, ci si scopre unmondo nuovo; una serie di possibilità si schiudono alla nostra sensibilità, rav
vivata alfine dalla sfida che le immagini sovrapposte e interposte propongono al nostro gusto; una quantità di ricordi e di accostamenti cui solo l'acuirsi della sensitività può lasciare spazio.
D'altra parte ci si accorge, ad una lettura libera da pregiudizi, che la continua indipendenza campaniana dagli stilemi consueti nasce da una profonda assuefazione culturale ad essi ma allo
stesso tempo da una ribellione istintiva a ciò che essi possono significare nel campo poetico puro. Vale a dire: non è difficile
scorgere, nei modi poetici del Campana una eco carducciana o dan-
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nunziana, se vogliamo, ma questa eco non è altro che il sostrato che sottostà di forza ad una eco più profonda di un io personale,
del tutto diverso da quello dei vari poeti del tardo romanticismo
e del decadentismo italiano, la cui influenza si voglia in qualche modo rintracciare nei momenti espressivi del poeta di Marradi .
E' proprio quell'io personalissimo che ci dona un senso di novità e acuisce il nostro gusto: non è tanto la poesia in senso tra
dizionale che noi in fin de' conti cerchiamo, ma piuttosto una personalità che si fac~ia poesia per rappresentarsi. Quello che risulta, in casi rarissimi, è una specie di combinazione geniale tra per·
sonalità ed espressione poetica, e quello di Campana sembra essere un esempio lampante di siffatta combinazione.
Vi sono motivi ricorrenti nella tematica poetica del Campana e soprattutto ricorre il motivo della notte (2), così come ricor
rono i torbidi languori dell'amor femminile e il risalto dei colori singolari tra i grigiori delle cose. ; ed altri ancora ve ne sono di motivi, tutti individuabili in una specie di forma maniacale, ossessiva se vogliamo. L'ossessione è tuttavia resa umana dai con
torni descrittivi che il poeta giustappone al motivo e alle sagaci variazioni stilistiche che sempre dimostrano una coerenza cosciente
alla volontà espressiva che il mezzo poetico gli consente. Non vi è mai dunque, nel Nostro, quella incoerenza compositiva
che ci obbligherebbe a considerare le sue trascrizioni come meri sfoghi, esercizi, tentativi (3): la sua opera appare invece come una perfetta attuazione dei risultati di una evoluzione storica del
la poesia secondo la quale la fusione tra psiche e espressione doveva concepirsi come termine ul timo della sua veridicità (4). E proprio in questo senso il Campana s'impone alla nostra attenzione
anche per il fatto che molto probabilmente in lui si può ricono
scere la vittima più rappresentativa, nell'ambito della nostra cultura (5), di quello che fu sempre il dramma dell'espressione e che è in sostanza anche il dramma i nterno dell'arte in generale, e in
ispecie dell'arte post-romantica, nella quale l'uomo deviessere internamente coinvolto nella sua composizione, al punto tale che ogni fase che porti in sé stessa i sintomi della degradazione o della ri
generazione, o della stasi, dei modi di far arte, vuol anche signi
ficare in un certo senso degradazione, rigenerazione, o stasi dell'individuo che dell'arte non possa fare a meno. Così si può dire
che il Campana con la sua sofferta vitalità, rappresentando il suo
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sacrificio e la sua debolezza, rigenerò in sé stesso - testimoniando al medesimo tempo la crisi delle consuetudini poetiche - il valore
della composizione e risolse dunque nel suo dramma singolare il dramma ben più vasto che il genere poetico stava subendo.
Da lui trassero motivi i poeti che in qualche modo lo conobbero e, seppur non espressamente, da lui trassero vitalità le menti poetiche che lo seguirono nel tempo. Tra i motivi ricorrenti, maggiormente autobiografici, si nota quello dell'identificazione del Campana con il poeta, cui sempre si unisceìl~ un sinallagma ripetuto, il pronome personale 'io', che s'impone di continuo, ora espresso, ora sottinteso , in quasi tutte le composizioni , come a renderci consapevoli che la scrittura è per tutti ma che la composizione è di uno solo.
In La Chimera, la prima poesia che incontriamo nei Canti Orfici (6), e che segue ad una prosa dedicata alla Notte, il Campana si sfoga in una fantasia (come dirà al dottor Pariani) (7) che appare come sospesa nel nulla, liberata nell'etereo della immaginazione, ma che nella sua definitezza di descrizioni e nella sua ricchezza di sostantivi genera una solida rappresentazione plastica, visiva e fermamente ancorata alla nostra percezione sensoriale. Il volto della Gioconda o almeno la vaga immagine della figura leonardesca, si muta, si trasfigura, si arricchisce, si illanguidisce e nel fluire delle sensazioni mnemoniche diviene un non so che di vivo, di palpitante e d'irreale nel medesimo tempo. Le parole che formano il tessuto di questo nuovo quadro leonardesco vogliono tutte significare il s~inificato, se così si vuol dire, .dei segni figurativi, attraverso le molteplici sensazioni che quei segni producono e che il poeta rievoca. Il tutto è tenuto insieme da rime ossessive e ricorrenti, come in un apparente esercizio di bravura, ma non sono in realtà un esercizio, sono come un'ineluttabile esigenza poetica che ha bisogno di attuarsi e che poi si allenta nel verso senza rima nel quale s'incarna in pieno il valore personale dell'atto psicologico del poeta; un susseguirsi di significati che s'intersecano e si spezzano l'uno nell'altro, inseguendosi come in una sarabanda di visioni e dunque di parole che quasi a caso s'incontrano eppure non a caso stanno poi insieme a reggere un filo ininterrotto d'idee.
Meravigliosa è quella metafora indiretta 'sorriso di lontananze ignote • (8) attribuita ad una figura che incarna in sè stessa i ri
cordi e le distanze, ed anche geniale appare il discendere dalla metafora, ai valori simbolici del concreto, con designazione di ruoli che
riecheggiano visioni e figurazioni infantili: 'Regina' (9) e poi, su-
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bito dopo, una sfuma~a sensualità nel ~cerchio delle labbra sinuose'
(lo) che s'inserisce tra le figurazioni precedenti per sciogliersi poi in una visione di natura ricca di vita interiore: 'bianche rocci
le mute fonti dei venti' (11); e così anche l'atto del ' chiamare' (l
si unisce ai ' poggi algenti ' (13), alle 'chiare ombre correnti ' (14 Un sommo artificio non avrebbe potuto mescolare meglio tanti momenti
dell'anima umana. Il rapporto del poeta con la forma di un volto sin· gelare, diviene un atto di comprensione del tutto e il rivolgimento
degli elementi si trasforma in un fenomeno totale di vita e di morte 'Sorriso di un volto notturno' ( 15), è una definizione che dà signi
ficato ad un effetto obiettivo che si trasforma in un fatto interiore. Un'interiorizzazione della realtà, sembra essere quello che il Campana effettua, attraverso un discorso che s ' impossessa del fatto e lo ripropone come atto psichico. In questo senso l'arte del Camp~ è veramente un ' arte tutta sua; non è 'poesia' per definizione quel. che egli ci propone: è comunicazione tra l'io e il mondo, è posizio di una visione ed una consapevolezza di essa. Risuona in Campana il valore psicologico della parola primordiale: la figurazione di un cr cetto non esprimibile con l'immagine diretta, concetto simboleggiat( dunque con figurazioni evocatrici. I primordi della coscienza e i principi dell'espressione sono gli aspetti più appariscenti della v:·
ta poetica di Campana. Il grido, non straziante, ma languidamente sensuale piuttosto,
che il poeta lancia nel verso conclusivo: - 'ti chiamo ti chiamo Chimera' - di questa prima composizione, quello che dà in sostanza spazi
all'anima sensitiva di lui, rappresenta uno degli elementi fondamentali della sua personalità psicologica, vale a dire l'attrazione per
una mitizzata forma femminile. Non è arduo rintracciare nel difficii rapporto con la madre, Fanny Luti, questo bisogno di affetto (16) cl
si amplia sovente in una fantasticheria quasi da favola: 'Regina',
'Principessa', 'Pallido amor', 'dolce sorriso ', oppure si restringe in una visione sensuale di degradazione morale, in cui la figura di Ofelia, simbolo tragico dell'amore che impazzendo si abbrutisce nel. volgarità e si dispone alla morte, risalta. Sui volti delle donne si
imprime spesso una specie di macchia rossa languente, come una ferit (17): è la bocca che appare come simbolo sensuale dell ' amore e del dolore.
D'altra parte, sensuale è il trasporto che il poetasenteperi della ' chiomata' immagine di una figura bifronte: ' Principessa dei sogni segreti' e ' Sirena della notte ' , un simbolo, in fondo del si·
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gnificato della vita. Il Campana si muove in cerchi concentrici, e in una specie di vortice di sensazioni visive e psicologiche rinnova l'atavica consapevolezza della duplice entità dell'universo, già espressa dall'eros e dal thanatos freudiano, nell'ambito della psicologia applicata ed in antico simboleggiata dalla figura di Ecate, triplice principio della nascita, fioritura e morte. E la notte è il regno di Ecate, nome della luna presso le prime forme religiose del
la Grecia storica; ai poeti crepuscolari fa infatti riscontro in Campana una violenta voce di poeta notturno, di un poeta che perfino nella pantomima delle strade popolari rileva (18):
Quàlche stella sopra i tetti E la notte mi par bella.
Il fatto notturno in Campana rivela un bisogno insopprimibile di
vitalità; l'aspetto delle cose invase dal buio e illuminate spesso debolmente da lampade o da luccichii di stelle, da riflessi, sembra
evocare una realtà che, pur esistendo (19), non è stata mai debitamente colta dalla sensibilità dei viventi. Orfici sono i risvegli nel mondo dell ' ombra: il Campana penetra nei segreti dell'altro universo, quello che si contrappone alla visione solare della civiltà mediterranea; ed immergendosi nei misteri di una notte popolata di visioni ricupera alla civiltà perduta la dimensione totale, tale quale volevano celebrare le cerimonie ed i riti dedicati al personaggio di una favola di morte e resur~ezione che esemplificò per secoli, prima del-1' affermarsi del cristianesimo, e sovente integrandosi con esso, il processo di rinascita dell'uomo e dunque della disfatta della Morte. Nell'affrontare la tenebra e dunque la tenebrosità della vita, il
Nostro si presenta come l'unico vero romantico della letteratura italiana.
Dopo l ' evanescenza del crepuscolo, la realtà scompare, eppure essa è presente, in una specie di 'sogno ridesto ' (2o) in una percezione rinnovata del valore dell 'ombra. E il 'tanfo ', la ' saliva dis
gustosa', il ' chi scende brancolando ', fanno da cornice personale al quadro senza orizzonte della notte campaniana. E ' una vista nuova che
s'apre al lettore italiano; per la prima volta al lettore si scoprono le cose dopo il tramonto e per la prima volta una sintassi d'immagini trasporta colui che ne segue i meandri, solo apparentemente contorti, verso gli Inferi del giorno, senza paura di perdersi nelle spaventevoli tenebre dell 'inferno dei sensi . Il viaggio di Orfeo, antico,
classico, pagano, dimenticato e misterioso oramai , viene riscoperto dal Campana.
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I Canti Orfici sono una mescolanza di prosa e di poesia. La pro
sa spesso raccoglie impressioni di viaggi e di visite: anche queste impressioni sembrano librate in un attimo di percezione e quasi slegate da una logicità storica, narrativa. La stessa composizione strut
turale si presenta spezzata, puntuale; quasi pittoriche son~ le pennellate e quasi musicali gli accenti. La prosa del Campana è un preludio alla sua poesia o forse meglio si può considerare un'estensione di essa: sembra quasi un abbozzo di qualcosa che deve essere perfezionato eppure essa è tutt'altro che incompiuta in sé stessa. Gli accostamenti di natura pittorica sono compenetrati ,dall'elemento psicologico che, attraverso la parola, comunica valori cerebrali al plasma degli oggetti. Le impressioni spessissimo riflettono la freschezza del mattino o l'opulenza del pomeriggio, così come la complice ovattatura della notte; la mèta è un luogo santo (La Verna) (21 e il viaggio verso di essa - 'come incantate erano sorte per me le stelle nel cielo dallo sfondo lontano dei dolci avvallamenti dove sfumava la valle barbarica, donde veniva il torrente inquieto e cupo di profondità!' - è come una via a tappe, durante la quale l'anima pa
gana del poeta si mescola alle sensazioni di un cristianesimo di natura francescana che invade i luoghi e le persone.
Si tratta di un procedimento iniziatico che ha come principio l notte e come sviluppo il susseguirsi delle sensazioni e dei momenti
di illuminazione: 'Son sceso per interminabili valli selvose e deserte con improvvisi sfondi di un paesaggio promesso, un castello isolato e lontano' (22), 'Io vidi dalle solitudini mistiche staccarsi una tortora e volare distesa verso le valli immensamente aperte. Il paesaggio cristiano segnato di croci inclinate dal vento
ne fu vivificato misteriosamente' (23). Il progresso di iniziazione è assai complesso anche se vissuto attraverso le sensazioni di un
pa~saggioda paesaggi a paesaggi: cerca Venere, trova invece una
Maria Maddalena: 'Francesca B. O divino Santo Francesco pregate per me peccatrice', e ritrova Venere nella 'Amica Luna', la Diana classica: 'Dalla cresta acuta del cielo sopra il mistero assopito
della selva io scorsi andando per il viale dei tigli la vecchia amica luna che sorgeva in una nuova veste rossa di fumi di rame'.
Alla prosa del pellegrinaggio alla Verna segue un sensuale
'Viaggio a Montevideo' che in versi spezza, con visioni di un'opu
lenza tropicale, il contorto percorso delle valli appenniniche. Il
Campana riceve le immagini dei colli che svaniscono nella 'celeste sera' e si trova nel 'soffio torbido dell'equatore' (24). Alla do-
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lorosa ascesa per lo spirito, ora il suo occhio sostituisce l'im
mensità del deserto. E così via; le descrizioni ci giungono attraverso spezzate analisi del disegno architettonico, in cui America,
Bologna, Faenza, Genova, ecc. confluiscono a formare l'unità del
sensibile nella sensibilità del poeta. Appare straordinaria la capacità del Campana di sentire vive le cose; egli attribuisce loro i connotati dell'esistenza, trasferendo su di esse le caratteristi
che della sua ricca sensibilità associativa. Ciò significa che l'oggetto acquista con l'uso del verbo di movimento o di azione una sua particolare forma di vita e riflette l'anima dell'osservatore: il
Campana adopera metafon~, non più come figure retoriche, ma come vere essenze degli oggetti. Sulla piazza acciottolata 'rimbòalza' un ritmico strido •.. Un chiarore in fondo al deserto della piazza
•sale' tortuoso dal mare dove i vicoli verdi di muffa 'calano' in tranelli d'ombra ••. La quadricuspide vetta a quadret-tc: 'ride' svariata di smalto mentre ••. la lussuria 'siede' imperiale ••. I..a via
si 'torce' profonda, le case 'veleggiano• ••• (25). In questo rapporto con le cose il Campana ci presenta un aspet
to della realtà letteraria che da molto cercavamo: quella definitiva attribuzione del 'verbo' alla materia, attribuzione per la quale
il distacco tra soggetto e oggetto si annulla e la unicità del reale diventa attuale. Ecco l'effetto che la poesia del Campana riesce ad ottenere: noi non distinguiamo più lo spirito umano dalle forme della natura o delle creazioni materiali. Un'assimilazione che veniva dapprima operata con la similitudine e poi con la metafora, viene realizzata .qui, da Campana, in modo sintetico ed esplicito,
per una genuina assimilazione che il suo animo ha in sé stesso fat
to sua (26).
Genova Per i vichi marini nell'ambigua Sera cacciava il vento tra i fanali Preludii dal groviglio deli~navi: I palazzi marini avevan bianchi Arabeschi nell'ombra illanguidita Ed andavamo io e la sera ambigua: Ed io gli occhi alzavo su ai mille E mille occhi benevoli Delle Chimere nei cieli •••
'Io e la sera ambigua andavamo'; la personificazione unisce il soggetto umano al suo complemento naturale e il verbo 'andavamo' è il tra
mite di quella unione. Una unione che si continua nell'incontro tra i due sguardi, terreno l'uno, cosmica l'altro, che s'incontrano nel
lo
seno della notte. Lascia perplesso il concetto di benevolenza attribuito alle Chimere, esseri notoriamente frutto delle forze del male, ma il Campana in questo caso sembra operare una specie di trasformazione del mito classico connesso alla figura di Chimera e adattarlo
dunque a quell'accezione del termine Chimera che ha come significato il sogno e l'illusione. Non è lontano dal vero tuttavia colui che anche nella continua riproduzione di questo termine ambiguo, così come ambigua è la sera, vede il procedere campani ano verso identificazioni simboliche sempre tormentate e spesso di non subitaneo significato ps
cologico; anche se rimane il valore di subitanea attribuzione psicolc· gica alle cose della realtà, un'attribuzione che permette alla nostra
sensibilità di riconoscere una validità universale alle sensazioni et il Campana mostrava verso le cose da lui descritte e percepite.
Il tutto è avvolto da una sensibilità tormentata, la Maria Madda lena della Verna (27) si trasforma nell'abito della 'lubrica notte te
rena' in una classica mediterranea 'femmina dei porti 1 , in una Sicili· ana. . . la 'piovra delle notti mediterranee' , l'incarnazione della 'Ir.
finitamente occhiuta devastazione della notte' (28).
O Siciliana proterva opulenta matrona A le finestre ventose del vico marinaro Nel seno della città percossa di suoni di navi e
di carri Classica mediterranea femina dei porti
Nella figura di questa incarnazione classica della sessualità e nel r correre del concetto di medi ter:r>anei tà, il Campana sembra volersi appropriare e nello stesso tempo disfare della corposità e della densit dell'alveo primordiale della civiltà. E' un senso di repulsione e di attrazione che lo spinge a verificare con occhio istintivo e con acco tamenti metaforico-simbolici il suo rapporto psicologico con il granè moto della solarità meridionale. Un senso d 1 insofferenza per l ' estroversione mediterranea lo distaccano dal magico e misterioso fluido eh
si promana dall'opulenza naturale della matrona: la carne, principio e fine dell 'uomo , rinnova nel suo animo un miscuglio di sensazioni a~ viche da cui si ritrae impaurito dall'immensità dell 'occhiuta. notte. Orfeo dilaniato dalle Menadi, la Chimera, mostruosa figurazione del connubio tra miti diversi , si mescolano nel crogiuolo di sensibilità
in cui il Campana f?rgia lo sue immagini poetiche. Il Campana opera una sineresi di forme di civiltà e ne appare
consapevole già all'inizio del suo canto orfico, nel corso del suo viaggio nella 'notte', quando 'figurazioni di un'antichissima libera vita, di enormi miti solari, di stragi di orgie' si creano davanti~
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suo spirito (29); e i motivi, cui si accennava al principio, ritornano come onde del mare sulla riva e battono con ripetizioni di pa
role, di suoni, ribadendo, anche in senso auditivo, il loro valore e la loro presenza. Lo stesso Campana espresse il suo senso sincre
tico della realtà storica e psicologica, un senso che lo spinse ad avvolgere il suo animo alle cose e le cose, viceversa, al suo animo,
annotando in Taccuini, abbozzi e Carte varie II (30), una sua osservazione estetico-psicologica: "L'arte crepuscolare (era già l'ora che volge al desio) in cui tutto si affaccia e si confonde, e questo studio prolungato nel giorno, aiutati dal 'vin de la paresse' che cola dai cieli meridionali e nella gran luce tutto è evanescente e tutto
naufraga, si' che noi nel più semplice suono, nella più semplice armonia possiamo udire le risonanze del tutto come nelle sere delle stri
denti città in cui lo stridore diventa dolce (diviene 'musique énervante et caline semblable au cri loin de l'humaine douleur') perché nella voce dell'elemento noi udiamo tutto". Quindi l'orfismo di Campana si trova proprio qui, in queste rivelazioni del tutto attraverso un attimo di improvvisa illuminazione interiore; e in senso specifico in quella 'douceur' che aveva immalinconito i Romantici ma che aveva ispirato il sacro momento di pensiero al mistico Dante. La 'classica
mediterranea femina dei porti', è la personificazione di quello che il Nostro propone ancora in una sua ulteriore annotazione, sempre in Taccuini ecc.: 'Il secondo stadio dello spirito è lo stadio mediterraneo', uno stadio che secondo il Campana sussegue al naturalismo. Queste osservazioni si potrebbe dire intellettuali, meravigliano in una personalità così poetica com'è quella del Campana, poetica nel senso assoluto, vale dire nel senso che non vi sono inibizioni nella sua formazione sintattica e persino nel suo uso di termini lessicali, tutti intesi a dare la sensazione del 'tutto' poetico che lo sconvolge e avvolge; meravigliano perchè un'immagine di consapevolezza critica ci si presenta e ci illumina sulla figura così inconoscibile del poeta di Chimera. Quindi il sostrato mitologico che rende misteriose e direi iniziatiche quasi le espressioni poetiche del Campana è un evidente segno di quello 'stadio mediterraneo' che lo affascina e che gli fa dire in modo quasi sibillino, ma non tanto a ben vedere, dunque, 'scorrere sulla vita questo sarebbe necessario questa è l'unica arte possibile' (31). In tutto ciò non sembra difficile scorgere una
certa avversione per l'arte, intesa nell'accezione corrente, che il poeta considera come s taccata dalla vita e che invece dovrebbe essere consustanziale alla vita stessa: estetismo di strana lega, questo del
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Campana, un estetismo utopico, tanto utopico che lo stesso Campana lo ammette quando riferendosi alla musica immortale, quella che incarnasse soltanto la tristezza della felicità più profonda, conclude che una tale musica non è mai esistita.
Ovviamente siamo portati a pensare che la poesia del Campana sia in tal senso un'espressione immediata di enormi sensazioni non media
te dalla cultura e non affinate dall'arte che non sia vita al tempo stesso; e si può sostenere codesta opinione allorchèsi considerino le qualità evocative della poesia del Campana, così slegata dalla 'verità• del concreto e nello stesso tempo così intrinseca alla profonda verità del 'percepibile'. Non ci meraviglia che tutti i critici ai quali l'impegno civile fa riprova di presenza e di corrispondenza con la vita quotidiana, con la vita sociale, abbiano scartato il Campana come si fosse trattato di un 'decadente 1 della peggior spe
cie, giacché non solo perduto dietro le sue chimere psicologico-mitologiche ma anche alienato, in modo concretissimo, dalla realtà della
vita. Un poeta dj fuga si potrebbe dunque sostenere, dando fede alle critiche più serratamente a lui contrarie, ma anche 'poeta del recu
pero' si potrebbe in altro senso sostenere e trovarci anche d'accordo con quella parte della critica che in lui ha visto qualche incarnazione dell'assoluto magico e quindi del non artificioso 'naturale'. Il recupero dello stadio mediterraneo, cui lo stesso Campana fa rife
rimento (vedi sopra), non è una semplice risorsa dell'animo prostra
to e del fisico cui il 'vin de la paresse' fornisce motivi di morbosa inattività, è invece una continua ricerca delle sorgenti della
nostra infelicità, cui lo stadio mediterraneo della nostra civiltà non dava albergo. Una ricerca in due direzioni: quella concreta tesa a ritrovare nelle cose del mondo un aspetto naturale, di co
lori, odori e forme, il più vicino possibile a quello incontaminato dei primordi della civiltà, e l'altra, quella intesa a produrre dall'intimo le sensazioni nel loro più puro stato di potenza e ge
nuinità. Una poesia impressionistica ed espressionistica allo stesso tempo, una poesia nella quale, come dice lo stesso Campana, si può trovare tutto quello che 'vi piacerà•. Una confessione al di
sopra della morale ma dentro i limiti della pura naturalità; pensiero senza gli orpelli di una cultura retorica e guasta; sensazioni allo stato genuino, ma pur sempre sensazioni di intensa uma
nità. Ripercorrere le strade di Orfeo, cui il canto dava dolcezza infinita, cui però il non piegarsi al volere di Dio o non cedere al desiderio delle Menadi (32) portarono martirio e dolore, riper-
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correre la strada della sua resurrezione vuol dire per Campana un •aspirazione alle vette della Verna da un lato e dell'altro all'
"ignoto poema di voluttà e di dolore" che la gioconda-chimera evoca ai suoi occhi di poeta notturno (33).
E difatti la personalità del Campana è tutta nella sua poesia
e nella sua prosa; prosa e poesia in Campana si bilanciano in unico complesso di forme senza fine; la sintassi stessa, spezzata e in
voluta allo stesso tempo, permette al discorso del poeta di svolgersi indefinitamente, di aprirsi e chiudersi senza che il periodo ne abbia a soffrire o la sua logica interna e infine esterna venga a contraddirsi. Proprio in questo scorrere delle costruzioni sintattiche, in questo dipanarsi di una matassa che pur resta sempre un groviglio inestricabile di pensieri, sensazioni, sogni e realtà, si distingue la totalità dell'opera campaniana. Ogni composizione può interrompersi in un punto e significare qualcosa, e può ricominciare con il capoverso di tutt'altra e distinta composizione e
significare pur sempre qualcosa. L'arte del Campana, fuori dagli apprezzamenti estetici o psicologici, sta qui: infinito discorso
con infiniti significati; un'infinitezza che vuol in sostanza simboleggiare il tutto. Nel giardino spettrale - dove il lauro reciso - spande spoglie ghirlande sul passato, nella sera autunnale - io
voglio nel sonetto pastorale - te luccicante nelle bionde ~nelle -
te dal nascente tuo sesso ribelle - inasperita, nuda incatenare ..• Boboli e Sonetto perfido e focoso (34) sono i titoli delle due poesie che ho mescolato insieme, unendole dopo i primi quattro versi
di ciascuna e formandone una di otto, il cui significato è completo e la cui essenza campaniana è indiscutibile.
Alla poesia italiana in senso lato aveva sempre fatto difetto \Jna voce interprete di una pura classicità, di una tradizione non falsata dalle sovrastrutture accademiche; una voce sovrastorica anche
e pienamente romantica. Il Campana sembra corrispondere ad un modello alfine trevato di poesia vivente per sè stessa e con essa vivente il suo autore.
La sintassi interna del Campana si poggia sulla sostantività del discorso, cui si giustappongono gli aggettivi, mentre il verbo illustra a sua volta il sostantivo, donandogli vita. E' una poesia che vive, come dicevo, di una vita interna, vi si scorgono i muscoli, il sangue, e l'anima; questo poi voleva il poeta: dare un corpo
al significato, e delle cose egli in sostanza sembra quasi non essersi servito, ma essersi in realtà calato in esse per viverle nel-
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lo stesso momento in cui le ha percepì te e averle in quel modo fat
te vivere per lui e per noi dunque. La grande libertà creatrice e il dramma della persona artistica segn
ta dal destino che l'opera da lei stessa creata le assegna, trovano spazio nella poesia di questo poeta che non si può definire lirico, ma che crea una liricità tutta sua propria, discernibile solo dopo
un'assimilazione lenta e dopo una lettura scevra di pregiudizi letterari; e concetti comuni ai poeti romantici di altre culture, concetti vicini alla intellettualità di un Coleridge, o di un Keats,
0 di uno Wordsworth si svelano tra le pieghe di un discorso spezzato, evocativo, esaltato quasi, rivolto ad una Poesia che par come
una Dea e che ha in sè le caratteristiche della Forza, una personificazione dunque: una donna cui si aspira e che divora con il suo
mutare di forme e col suo animare il mondo con oscura energia, simile ad un'anima che infonde nelle cose il principio primo della loro realtà. Carnale, orgiastico, pagano, blasfemo dunque questo
poeta che sofferse sui limiti di uno squilibrio senza ritorno; un
poeta profondamente religioso insomma, al quale la natura parlava con voce più chiara che a noi non faccia e al quale l a parola poesia evocava qualcosa di elettrico, di febbrile, qualcosa di eclet
tico e misteriosamente chiaro:
O poesia poesia poesia Sorgi, sorgi, sorgi Su dalla febbre elettrica del selciato notturno (35)
Dalla artificiosa realtà si leva l'anima vivente delle cose
(36) e dalle lontananze della consuetudine giornaliera torna 'eleganza eleganza arco teso della bellezza!'.
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Note:
1) Basti leggere a tal proposito l'interessante esposizione dei vari atteggiamenti critici, dai contemporanei di Campana ai nostri giorni, che Maura Del Serra stende nel suo volume Campana (collana Il Castoro. La Nuova Italia ed., Firenze 1974), oppure la dettagliata serie di opinioni riportate da Ruggero Jacobbi nel suo Invito alla lettura di Campana (Mursia ed., Milano 1976) e anche flantologia critica che segue l'introduzione di Carlo Bo nell'edizione mondadoriana dei Canti orfici ed altri scritti (vedi nota 6).
2) Sul motivo della 'notte' si diffonde Franco Fortini in un saggio contenuto nei Poeti del Novecento (Letteratura Italiana ed. Laterza) e che porta il titolo di "Dino Campana e il suo mito". Dice tra l'altro il Fortini: "L'oscurità tra il sogno e la veglia in cui svolge un'allegorica vicenda di corruzione, interpretata come un recupero di primitiva e positiva barbarie".
3) Non di rado l'espressione poetica di Campana è stata assimilata al suo modo maniacale di affrontare la realtà, e quindi come una composizione velleitaria priva di una sintassi legata al reale.
4) Si potrebbero in tal senso riportare le parole di B. Croce, quando definisce l'arte come 'unità sintetica di contenuto e forma, ma dovremmo altresi' ricordare che il Croce non apprezzava 'l'anima frammentaria, squilibrata; disgregata del poeta 'puro' e implicitamente comprendeva tra i poeti 'pÙri' tipi come Campana, cultore, se giud;icato secondo i suoi canoni, di un'arte 'povera e vuota di sentimento'.
5) Vittima nel senso che la sua vita ebbe andamento tragico e di quella tragedia la poesia fu elemento primario perché legato intrinsecamente alla natura instabile dell'anima del poeta. Fu una vittima del ' 'vero' poetico, vale a dire di quella ricerca di genuini motivi del vivere che si scorgono nelle sue immagini.
6) I Canti orfici, composti tra il 1911 e il 1912, quando il Campana (nato a Marradi, vicino a Faenza) aveva 26 anni, furono pubblicati per la prima volta nel 1914. L'edizione che io seguo è quella di Mondadori, serie Oscar: Dino Campana: Canti orfici ed altri scritti. Introduzione di Carlo Bo (Milano 1972 .
7) Il dottor P~riani curò con scienza e affetto il malato Dino Campana, cui d~g_lcò nel 1938 uno studio: Vite... non romanzate d i Dino Caro ana scrittDre e di Evaristo Boncinelli scUltore (Vallecchi, Firenze . do or ariani anima de poe a si apri nei momenti di lucidità che s'intervallavano ai periodi di alienazione. Nel 1917 il rapporto amoroso con Sibilla Aleramo (1875-1960) si era interrotto. Questa interruzione concorse ad aggravare lo squilibrio psichico del Poeta.
8) Da La Chimera, prima lirica del gruppo 'Notturni' nella edizione citata dei Canti Orfici: Non io se tra roccio il tuo pallido Viso m'apparve, o sorriso Di lontananze ignote Fosti •••
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9.., Da La Chimera (vedi sopra) : lo} O Regina o Regina adolescente( .•. )
Nel cerchio delle labbra sinuose, Regina della melodia.
11) Da La Chim~ra (vedi sopra):
Guardo le bianche rocce le mute fonti dei venti E l'immobilità dei firmamenti.
12-· Da La Chimera (vedi sopra) : 'l~:.. E l 'ombre del lavoro umano curve là sui poggi aJ_'genti :14) E ancora per teneri cieli lontane chiare ombre éorrenti
E ancora ti chiamo ti chiamo Chimera.
15) Da La Chimera (vedi sopra):
16)
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Non so se fu un dolce vapore, Dolce sul mio dolore, Sorriso di un volto notturno.
Il padre di Campana disse al prof. Bruglia, direttore dell 'ospedale psichiatrico di Imola: "Dino manifesta un' impulsi vi tà brutale, morbosa, in famiglia e specialmente con la mamma". (Per gli accenni biografici mi rifaccio alla prefazione cronologicobiografica a cura di Arrigo Buongiorno che correda l'edizione dei Canti orfici da me seguita).
Da L'invetriata (Canti orfici, ' Notturni' ed.cit.). La 'Macchia rossa languente' è in realtà una luce che illumina fiocamente una stanza, è però anche la metonimica immagine del volto della Gioconda (in Chimera) 'segnato di linea di sangue'. Il languore della luce e il languore del volto femminile si mescolano nella sincretica interpretazione del Poeta.
18) In Prosa fetida (Canti orfici, 'Quaderno/, ed.cit.) con la variante: Qualche stella Nella notte sopra i tetti E la notte gli par bella
e in Peti te promenade du poète (Canti orfici; 'Notturni ', ed. cit .) La stradina è solitaria: Non c'è un cane: qualche stella Nella notte sopra i tetti E la notte mi par bella.
19) Da Taccuini abbozzi e carte varie II (Canti orfici, ed.cit.): 'noi nel più semplice suono, nella più semplice armonia possiamo udire le risonanze del tutto'.
2o ) I valori del sogno come istante continuo della ipersensibilità della psiche, ricorrono nella poesia del Campana frequentissimi e rappresentano il momento dinamico dell' aspetto notturno della sua realtà.
2~) Nel 1910 il Campana percorre a piedi la strada che da Marradi porta alla Verna, santuario isolato tra i monti; nei Canti or-
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fici si trova un'intera sezione dal titolo 'La Verna', brani di diario, prose, poesie.
22) Da La Verna (Canti orfici, ed.cit.) diario, Stia 2o settembre.
23) Idem, presso La Verna. 21 settembre.
24) Viaggio a Montevideo (Canti orfici, ed.cit.):
Fe l~ celeste sera varcaron gli uccelli d'oro ... Urla bianca città addormentata Ai piedi dei picchi altissimi dei vulcani spenti Nel soffio torbido dell'equatore.
25) Da Piazza Sarzano (Canti orfici, ed.cit.) 'Varie e frammenti'.
26) Da Genova (Canti orfici, ed.cit.) 'Varie e frammenti'.
27) La Francesca B. che invoca pietà da San Francesco e che riempie di sé le annotazioni diaristiche di Campana, riferite al 22 settembre del diario de La Verna.
28) Da Genova (Canti orfici, ed.cit.) 'Varie e frammenti'. I versi riportati si ritrovano anche, con qualche variante, in 'Taccuini, abbozzi e carte varie II'.
29)
3o)
Da La notte (Canti orfici, ed.cit.). Prose che aprono i Canti. Barbaro e pagano si mescolano, facendo incontrare la Pam~a e le ritualità eleusine in un afflato caldissimo di sensualita libera dal valore etico cristiano.
Questa parte fu edita insieme con i Canti orfici veri e propri, dopo che alcune composizioni furono ritrovate dopo la morte del poeta. La citazione sopra riportata è tra 'Storie II', titolo di una serie di appunti pubblicati nell'edizione da me seguita.
31) Il secondo stadio dello spirito ... (Canti orfici, ed.cit.).
32) Orfeo, personaggio mitico della tradizione greca, era musico eccellente e nei riti a lui dedicati si rinnovavano la sua discesa all'Inferno, per risuscitare Euridice, sua sposa, la sua disubbidienza a Dio e la sua morte per mano delle Menadi furiose per la sua indifferenza verso i loro appetiti sessuali; la resurrezione di Orfeo era poi il momento più importante della celebrazione.
33) Da La Chimera (Canti orfici , ed.cit .).
34) Canti orfici ed altri scritti (ed.cit.) ' Quaderno '.
35) Canti orfici ed altri scritti (ed.cit.) 'Quaderno ':'O poesia tu non tornerai'.
36) Canti orfici ed altri scritti (ed.cit.) ' Quaderno ': O l'anima vivente delle cose O poesia deh baciala deh chiudila come il sole di Maggio.