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Università Telematica Pegaso Le situazioni giuridiche soggettive
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Indice
1 LE SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE ATTIVE ----------------------------------------------------------- 3
1.1. IL DIRITTO SOGGETTIVO ------------------------------------------------------------------------------------------------------ 3 1.2. SEGUE: I DIRITTI ASSOLUTI. -------------------------------------------------------------------------------------------------- 3 1.3. SEGUE: I DIRITTI RELATIVI. -------------------------------------------------------------------------------------------------- 6 1.4. SEGUE: I DIRITTI PERSONALI DI GODIMENTO. ----------------------------------------------------------------------------- 8 1.5. L’INTERESSE LEGITTIMO. ---------------------------------------------------------------------------------------------------- 9 1.6. LA POTESTÀ. ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------11 1.7. L’ASPETTATIVA. --------------------------------------------------------------------------------------------------------------13 1.8. IL POSSESSO. ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------15 1.9. GLI STATUS. -------------------------------------------------------------------------------------------------------------------17 1.10. GLI INTERESSI DIFFUSI. ------------------------------------------------------------------------------------------------------18 1.11. SCHEMI ESPLICATIVI ---------------------------------------------------------------------------------------------------------19
2 LE SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE PASSIVE --------------------------------------------------------- 21
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1 Le situazioni giuridiche soggettive attive
1.1. Il diritto soggettivo
Si è detto che la situazione giuridica soggettiva attiva si risolve nell’attribuzione ad un
soggetto di strumenti giuridici finalizzati alla realizzazione di un interesse a lui facente capo che
può consistere nell’interesse a conservare un bene che già si ha oppure nell’interesse a conseguire
un bene che non si possiede. Si è anche detto che le situazioni giuridiche soggettive sono tante e
diverse a seconda della maggiore o minore idoneità degli strumenti attribuiti al soggetto a realizzare
l’interesse. Al vertice di questa scala troviamo la figura del diritto soggettivo.
Quest’ultimo si risolve nell’attribuzione al soggetto di una serie di poteri mediante i quali
egli può conseguire la realizzazione diretta ed immediata di un proprio interesse. Il suo contenuto è
rappresentato da facoltà, ossia da una serie di possibilità di comportamenti diretti alla soddisfazione
dell’interesse stesso . Tenendo presente ciò, può ancora accogliersi l’opinione tradizionale per la
quale le facoltà non hanno una propria autonomia rispetto al diritto soggettivo costituendo esse il
nucleo essenziale di tale ultima figura, con la conseguenza che esse non si estinguono se non si
estingue il diritto (in facultativis non datur praescriptio).
1.2. segue: I diritti assoluti.
Analizzando, adesso, più da vicino il contenuto del diritto soggettivo, con riferimento
all’ipotesi in cui l’interesse materiale si profila come interesse a conservare un bene che già si ha,
viene in considerazione la figura dei c.dd. diritti assoluti i quali si caratterizzano per il fatto di dare
vita ad una relazione immediata tra il soggetto ed il bene. Si consideri, ad esempio, l’ipotesi del
proprietario: costui gode del bene senza che vi sia bisogno dell’altrui materiale cooperazione, dal
momento che quel godimento si sostanzia nella facoltà di abitare, ad esempio, la casa, di darla in
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affitto o, addirittura, di distruggerla. I terzi, al più, possono impedirne il godimento (ad esempio,
sottraendo il bene) e in tal caso l’ordinamento, al fine di permettere al titolare del diritto soggettivo
la realizzazione dell’interesse, pone a carico degli altri soggetti un dovere giuridico in senso stretto
(infra) che si risolve nell’imposizione di un dovere di astensione dal tenere qualsivoglia
comportamento idoneo ad impedire o turbare l’interesse a conservare. E così, di fronte al
proprietario di un bene si pone il dovere in capo alla generalità dei consociati (erga omnes) di non
interferire nel godimento del bene stesso da parte del proprietario.
La prima caratteristica, dunque, del diritto (soggettivo) assoluto è la c.d. immediatezza, cioè
la relazione diretta tra il soggetto e il bene, il cui contenuto prescinde totalmente da ogni profilo di
cooperazione degli altri soggetti, sui quali, come detto, grava un divieto generalizzato di
interferenza.
Nel diritto assoluto, dunque, il soggetto realizza l’interesse (a conservare e godere il bene)
col suo solo comportamento e, in tal senso, esso si presenta quale situazione finale in quanto attua
in sé stesso il fine del soggetto, senza che vi sia bisogno della intermediazione di terzi (a differenza,
come vedremo, del diritto relativo).
La categoria dei diritti assoluti, peraltro, presenta al suo interno tipologie diverse, in
relazione alla diversità dell’oggetto che il titolare tende a conservare. Sono individuabili le seguenti
figure:
a) Diritti della personalità.
I diritti della personalità sono privi di una consistenza patrimoniale-economica. Si pensi, ad
esempio, al diritto all’onore o al diritto alla identità personale. Trattasi di una categoria che - sul
piano della configurazione dogmatica e della tutela - è di recente emersione, ma la cui importanza
trova riscontro nella comune affermazione della loro inscindibilità rispetto alla persona umana, al
punto da non potersi concepire l’essere umano, almeno in termini moderni, a prescindere dal
godimento di questi diritti . La norma che li tutela in generale è quella dell’art. 1 Cost. che parla dei
“diritti inviolabili dell’uomo”.
b) Diritti reali.
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La figura dei diritti reali abbraccia quei diritti assoluti nei quali l’interesse a conservare è
riferito a beni che hanno una consistenza materiale e percepibile dai sensi. La stessa terminologia -
diritto reale - evidenzia la caratteristica per la quale si è in presenza di un diritto su di una cosa. È
quanto, del resto, mette in evidenza l’art. 810 c.c. che, nell’aprire il terzo libro dedicato alla
proprietà, stabilisce - con specifico riferimento ai diritti in questo disciplinati - che «sono beni le
cose che possono formare oggetto di diritti» (si intende reali) .
In tal ambito, peraltro, il soggetto può avere interesse a conservare un bene che gli
appartiene a titolo di proprietà, ma altresì un bene che è di proprietà di un altro soggetto e sul quale
egli vanta un semplice diritto diverso dalla proprietà. Emerge, così, nella categoria dei diritti reali,
una partizione ulteriore: da un lato, la figura dei diritti reali su cosa propria, che si identifica con il
diritto di proprietà e, dall’altro, la figura dei diritti reali su cosa altrui, caratterizzata dal fatto che un
terzo esercita immediatamente un potere su un bene che è di proprietà di un terzo.
Nella categoria dei diritti reali su cosa altrui, il diritto del soggetto non proprietario può
trarre giustificazioni giuridiche differenti che si riflettono - sul piano dogmatico - nella nota
partizione (nell’ambito, questa volta, dei diritti reali su cosa altrui) tra diritti reali di godimento e
diritti reali di garanzia. Laddove, infatti, il diritto su cosa altrui è volto a consentire al titolare il
godimento della cosa altrui, si parla di diritti reali di godimento i quali presuppongono, perciò, una
scissione di facoltà nell’ambito del diritto di proprietà, nel senso che talune di esse sono, per così
dire, compresse (con il consenso o anche talvolta contro la volontà del proprietario) così da
permettere ad un terzo di esercitare un diritto che ha come contenuto proprio queste facoltà . In tal
modo, l’usufruttuario gode del bene, laddove il proprietario vede compressa la relativa facoltà.
Viceversa, nell’ipotesi in cui il soggetto non proprietario vanta un diritto su cosa altrui allo
scopo di poter esercitare - in caso di inadempimento di un’obbligazione - il diritto di soddisfarsi sul
bene medesimo con prelazione rispetto agli altri creditori, il diritto su cosa altrui assume una finalità
di garanzia che dà luogo alla figura dei diritti reali (su cosa altrui) di garanzia. Si pensi, ad esempio,
al caso in cui il debitore costituisca in pegno una cosa propria mobile consegnandola al creditore
come garanzia del suo adempimento: il creditore, in caso di inadempimento, potrà far vendere il
bene pignorato al fine di rivalersi sul prezzo conseguito fino a concorrenza del proprio credito e con
preferenza rispetto ad altri eventuali creditori.
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c) Diritti su beni immateriali.
La terza tipologia di diritti assoluti è quella che investe diritti aventi ad oggetto beni che - al
pari dei diritti della personalità - sono privi di una consistenza materiale, ma che, al contrario,
presentano anche profili patrimoniali. Si pensi, ad esempio, al diritto d’autore, cioè al diritto di un
soggetti a vedersi riconosciuta la paternità di un’opera intellettuale. Orbene in questo caso, se
l’oggetto del diritto non è suscettibile di una percezione sensoriale, tuttavia non è assente un profilo
patrimoniale, se si tiene presente, ad esempio, la possibilità di sfruttamento commerciale del
romanzo o della composizione musicale, che si tramuta in un monopolio legale della riproduzione
dell’opera.
1.3. segue: I diritti relativi.
Quando il soggetto ha interesse a conseguire un bene che non ha, la situazione giuridica
soggettiva attiva assume le connotazioni del diritto relativo. In questo caso, il soggetto non può
realizzare l’interesse senza la cooperazione altrui (cioè del soggetto che ha il bene e che perciò è in
condizione di farlo conseguire) e perciò deve ottenere la cooperazione dell’altro soggetto, la cui
sfera giuridica subirà inevitabilmente una modificazione. In tal senso, si parla di diritto relativo,
proprio perché - in contrapposizione al diritto assoluto - l’interesse del soggetto è in relazione
all’altrui collaborazione.
Nell’ambito del diritto relativo occorre procedere ad una ulteriore partizione:
a) Diritti di credito.
La figura del diritto di credito viene in considerazione nell’ipotesi in cui la realizzazione del
diritto a conseguire comporta una modificazione materiale della sfera giuridica di un altro soggetto.
Orbene, in casi del genere, la suddetta modifica materiale necessita della collaborazione dell’altro
soggetto, collaborazione che si realizza mediante la imposizione a sua carico di un obbligo, cioè a
dire di un dovere di comportamento finalizzato a far conseguire al soggetto il bene cui aspira. Colui
sul quale grava l’obbligo è detto debitore, mentre il titolare dell’interesse da realizzare prende il
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nome di creditore. Si instaura, così, una relazione giuridica tra due individui, formata da posizioni
attive e passive che nel loro complesso danno vita alla figura del c.d. rapporto giuridico.
b) Diritti potestativi.
La figura del diritto potestativo viene in considerazione quando l’interesse del soggetto a
conseguire un bene non si realizza attraverso una modificazione materiale della realtà, ma attraverso
una modificazione puramente ideale, che non è percettibile coi sensi, operando direttamente sul
piano giuridico . Si pensi, ad esempio, all’ipotesi in cui il proprietario di un fondo voglia acquistare
la comproprietà di muro divisorio altrui: in questo caso, la realizzazione dell’interesse (che avviene
mediante l’acquisto della comproprietà) importa una modifica della sfera giuridica dell’altro
comproprietario che, però, è solo giuridica, dal momento che, sul piano materiale, nulla è mutato.
Nel caso dei diritti potestativi, essendo la modificazione non materiale ma solo giuridica, la
cooperazione attiva di un altro soggetto non è necessaria, essendo sufficiente l’esercizio del diritto
da parte del titolare e cioè la sola manifestazione di volontà diretta a produrre la modificazione
stessa. In tal caso, allora, l’altro soggetto deve limitarsi a subire l’iniziativa altrui e in tal condizione
si ravvisa la situazione giuridica soggettiva passiva della soggezione (infra). Questo aspetto della
irrilevanza della cooperazione altrui per la soddisfazione dell’interesse protetto potrebbe assimilare
la figura del diritto potestativo a quella del diritto assoluto. Ma resta, tuttavia, un dato prevalente: il
soggetto passivo nel cui patrimonio inciderà la modificazione è pur sempre individuato e in tal
senso il diritto potestativo è pur sempre un diritto relativo e non un diritto assoluto .
Nell’ambito della categoria dei diritti potestativi si distinguono, poi, due diverse situazioni, a
seconda che - ai fini della suddetta modificazione - sia o meno necessaria la mediazione di una
sentenza del giudice:
1) in alcuni casi, infatti, la modifica (ideale) dell’altrui sfera giuridica si realizza mediante il
comportamento volontario del soggetto titolare del diritto. Si pensi, ad esempio, all’acquisto della
comproprietà del muro divisorio o ancora al diritto di recesso dal contratto;
2) in altri casi, invece, la suddetta modificazione pretende la intermediazione di una sentenza
del giudice affinché, accertata l’esistenza del potere in capo al soggetto e la regolarità del suo
esercizio, si realizzi la modificazione voluta. Si pensi, ad esempio, alla fattispecie di cui all’art.
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1051, laddove l’acquisto della servitù coattiva di passaggio consegue ad una sentenza costitutiva,
che crea cioè essa stessa il diritto a transitare. In questi casi - è bene precisare - il diritto potestativo
ha come contenuto non propriamente la modificazione della realtà, quanto piuttosto la facoltà di
chiedere ed ottenere una pronuncia giudiziale che, accertando quel diritto, lo realizza.
1.4. segue: I diritti personali di godimento.
Il diritto assoluto e il diritto relativo non esauriscono la categoria del diritto soggettivo.
Esiste un’altra categoria di diritti che presenta i caratteri dell’uno e dell’altro: i diritti personali di
godimento .
Si è qui in presenza, di una figura complessa in quanto, da un lato, vi è una situazione di
carattere relativo, un tipico rapporto giuridico obbligatorio (diritto di credito dal lato attivo e
obbligo dal lato passivo), ma, dall’altro, vi è un dovere generale di astensione a carico dei
consociati identico a quello corrispondente al diritto assoluto e che si sostanzia nel divieto di
interferenza nel godimento di un bene che il titolare ha conseguito sulla base del rapporto di credito.
Si consideri, ad esempio, il diritto del locatario. Costui è legato, da un lato, da un rapporto
obbligatorio con il proprietario, cui deve versare il canone e da cui riceve la cosa in godimento (così
realizzando l’interesse a conseguire) e, dall’altro, è tutelato nel godimento della cosa (e dunque
nell’interesse a conservare) erga omnes, nei confronti cioè dell’intera collettività, ivi compreso il
locatore stesso, il quale non potrebbe violare tale situazione di godimento, ad esempio,
riappropriandosi violentemente della cosa locata .
Si assiste, dunque, nei diritti personali di godimento, a due distinte fasi : una prima,
caratterizzata da una pretesa creditoria che l’avente diritto al godimento (esempio, locatario) vanta
nei confronti del concedente, obbligato - per effetto del contratto (esempio, di locazione) - alla
consegna della cosa oggetto del diritto; una seconda - che segue all’adempimento dell’obbligo - da
un diritto, avente a contenuto la facoltà di godimento e che si esplica immediatamente sul bene,
indipendentemente cioè dal concorso di un altro soggetto (concedente) e ciò specificamente tenuto.
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Per concludere, sul diritto soggettivo. Esso è, sinteticamente definibile come un potere - dato
dall’ordinamento - per la realizzazione diretta di un interesse proprio.
1.5. L’interesse legittimo.
Abbiamo detto, dunque, che il diritto soggettivo si risolve nell’attribuzione ad un soggetto di
una serie di strumenti giuridici (c.dd. poteri) che consentono allo stesso di realizzare in modo diretto
ed immediato un proprio interesse. Accanto al diritto soggettivo si situa la figura del c.d. interesse
legittimo il quale consiste nell’attribuzione ad un soggetto di una serie di strumenti che gli
consentono di realizzare il proprio interesse ma in modo solo indiretto e mediato. La figura
dell’interesse legittimo, infatti, si individua in quei casi in cui la realizzazione dell’interesse avviene
mediante l’esercizio di un potere attribuito ad un altro soggetto: l’ordinamento non attribuisce al
titolare dell’interesse il potere di realizzarlo direttamente mediante la messa a disposizione di una
serie di poteri, ma ne assicura la realizzazione attraverso la condotta di un altro soggetto . Si pensi,
ad esempio, all’ipotesi di un concorso per l’assunzione nel pubblico impiego. I partecipanti hanno
interesse a vincere il concorso, ma tale interesse non riceve tutela di per sé dall’ordinamento, poiché
questo non attribuisce ai partecipanti strumenti per la sicura realizzazione dell’interesse.
L’ordinamento, infatti, si preoccupa di individuare i soggetti che abbiano le qualità e la
preparazione richiesta e, a tal fine, appresta una rigorosa procedura di selezione. Ecco che, allora,
viene alla ribalta un diverso interesse dei partecipanti: l’interesse a che il concorso si svolga
secondo criteri di imparzialità. Ed è questo interesse che viene preso in considerazione dalla legge.
Solo che la realizzazione di tale interesse avviene attraverso un comportamento di quegli organi
dello Stato che presiedono allo svolgimento del concorso e ai partecipanti si attribuiscono poteri (ad
esempio, l’azione giudiziale per l’annullamento) volti a garantire la correttezza del procedimento di
concorso. Come si vede, allora, l’interesse alla vincita del concorso si realizza in modo indiretto,
mediante la correttezza della condotta di un altro soggetto e gli strumenti attribuiti ai partecipanti
sono finalizzati a controllare la condotta del soggetto stesso.
Nell’interesse legittimo, dunque, la realizzazione dell’interesse dipende dalla condotta di un
altro individuo che, solitamente, si identifica con un organo della Pubblica Amministrazione. Tale
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soggetto è titolare di una potestà, figura sulla quale avremo modo di ritornare subito. Tuttavia, non
si deve pensare che l’interesse legittimo trovi ambito applicativo solo nel diritto pubblico. La
dottrina più moderna, infatti, ha individuato delle ipotesi di interesse legittimo anche nell’ambito
del diritto privato. E così, ad esempio, il debitore ha interesse a liberarsi dall’obbligo che a lui fa
capo: orbene, tale interesse si realizza attraverso la condotta del creditore che, ad esempio, dovrà
consentire al debitore di accedere alla sua casa per poter riparare una condotta dell’acqua.
In ogni caso, il soggetto da cui dipende la realizzazione dell’interesse altrui non è mai
gravato da un obbligo, ma, al contrario, è titolare di un potere, e cioè di una potestà (c.d. potere-
dovere), in quanto egli, a sua volta, ha a disposizione una serie di strumenti che gli consentono in
modo diretto ed immediato la realizzazione di un proprio interessi (si pensi all’interesse della
Pubblica Amministrazione ad avere personale qualificato). Questo potere, però, trova un limite
nella necessità di tenere conto del contrapposto interesse dell’altro soggetto.
Ricordiamo che l’opinione tradizionale distingue, nella categoria degli interessi legittimi, i
c.dd. diritti affievoliti, cioè situazioni giuridiche soggettive che hanno la consistenza di veri e propri
diritti, ma che sono suscettibili di essere degradati ad interesse legittimo ad opera di un atto della
Pubblica Amministrazione. Tipico esempio è il diritto di proprietà, che è un diritto soggettivo
perfetto, ma che può essere sottratto al titolare, a seguito di un provvedimento di espropriazione
della Pubblica Amministrazione, nell’ipotesi in cui il bene debba essere utilizzato per la
realizzazione di un’opera pubblica (ad es. un’autostrada). In questo caso, l’interesse del proprietario
a conservare la cosa non è protetto ed, anzi, deve cedere di fronte all’interesse pubblico, ma in capo
al proprietario nasce un interesse legittimo che ha come contenuto - anche questa volta - l’interesse
al corretto esercizio del potere da parte della Pubblica Amministrazione con la conseguenza che, se
il procedimento di espropriazione è viziato, il soggetto potrà ottenere dal giudice amministrativo
l’annullamento del provvedimento ed il ripristino del suo diritto di proprietà.
Per concludere, l’interesse legittimo è definibile come il potere di realizzare indirettamente
l’interesse proprio.
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1.6. La potestà.
Non sempre vi è coincidenza tra il titolare del diritto tutelato dalla norma e il titolare degli
strumenti giuridici finalizzati a quella tutela. Si consideri, ad esempio, l’ipotesi dei genitori che
amministrano beni lasciati ai figli minorenni. Ma si consideri, altresì, il potere attribuito al
rappresentante nella cura di interessi che fanno capo al rappresentato. Con riferimento a tali ipotesi,
si parla di potestà, figura che presenta un doppio volto, in quanto, da un lato, essa prospetta
l’attribuzione di un potere in vista della realizzazione di un interesse, ma, dall’altro, determina un
vincolo per il titolare del potere, poiché egli dovrà agire avendo come costante punto di riferimento
proprio la cura dell’interesse alieno. La differenza con il diritto soggettivo è chiara: la cura
dell’interesse altrui vincola l’agire del soggetto, cosicché quel profilo di libertà che - unitamente
alla forza - caratterizza la struttura del diritto soggettivo si presenta attenuato, sebbene non del tutto
eliminato (altrimenti si configurerebbe una mera situazione passiva). Si prospetta, dunque, la
sussistenza di un potere vincolato, ossia un potere nel quale la scelta del titolare deve
necessariamente tenere conto di alcuni presupposti che, come tali, condizionano il suo agire (potere-
dovere). Si tratta di una situazione analoga a quella che ricorre in diritto amministrativo con
riguardo ai poteri attribuiti alla Pubblica Amministrazione la quale nel suo agire incontra - quali
elementi limitanti la sua azione - la cura dell’interesse pubblico e la c.d. causa attributiva del potere,
ossia la realizzazione dello scopo particolare in forza del quale le è attribuito il potere. E in questo
potere-dovere si esaurisce la c.d. discrezionalità della Pubblica Amministrazione (titolare anch’essa
di potestà pubbliche) da cui, per derivazione, la qualificazione delle potestà privatistiche come
poteri discrezionali ampiamente utilizzata dalla dottrina civilistica.
La limitazione del potere del titolare della potestà trae, dunque, origine dalla necessità di
curare l’interesse altrui senza che ciò possa interferire con un interesse personale del soggetto
agente: interesse che, peraltro, può anche sussistere, ma senza assumere un ruolo prevalente rispetto
all’interesse altrui. Si consideri, ad esempio, la situazione nella quale vengono a trovarsi i genitori
che amministrano beni dei figli minori: essi possono anche avere un interesse personale nella cura
dei beni (in relazione ai possibili benefici che può trarne la famiglia: si pensi alle rendite derivanti
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da terreni), ma il parametro di riferimento costante è pur sempre rappresentato dall’interesse dei
figli che, un domani, si troveranno a gestire personalmente quei beni. Ma si consideri, altresì, la
situazione giuridica del rappresentante: costui deve agire nell’interesse del rappresentato, senza che
ciò escluda la possibile sussistenza di un suo interesse personale che, però, non potrà mai assumere
un ruolo dominante. Paradigmatica è, in tal senso, la disciplina dettata dall’art. 1395 con riguardo al
contratto che il rappresentante stipula con se stesso. Si pensi, ad esempio, all’ipotesi in cui Tizio
abbia conferito a Caio il potere di vendere una sua casa e Tizio provvede ad acquistarla
personalmente. In un caso del genere, la legge presume che il rappresentante subordini l’interesse
del rappresentato a quello suo personale (ad esempio, nella fissazione del prezzo) e attribuisce,
pertanto, a quest’ultimo il potere di ottenere dal giudice l’annullamento del contratto. Tuttavia, essa
consente di mantenere in vita l’atto quando il rappresentato sia stato espressamente autorizzato a
stipulare con se stesso o quando il contenuto dell’atto sia stato determinato in modo tale da
escludere ogni possibilità di conflitto di interessi. Nel caso, ad esempio, in cui Tizio conferisca a
Caio il potere di vendere una casa al prezzo di 100 e la stessa viene acquistata direttamente da Caio
al prezzo di 100, è da escludere ogni possibilità di pregiudizio per il rappresentato, dal momento che
la stipulazione è avvenuta secondo le condizioni prefissate. Tale ultima evenienza dimostra come il
legislatore non esclude che l’interesse del titolare della potestà possa convivere con l’interesse
altrui, a condizione, però, che esso non assuma carattere di prevalenza a scapito dell’altro.
I poteri che competono al titolare della potestà possono derivare dalla legge (si pensi, ad
esempio, ai poteri attribuiti ai genitori in vista della tutela degli interessi patrimoniali dei figli
minori), ma anche da una decisione dello stesso titolare dell’interesse protetto, come accade nel
caso della rappresentanza, dove un soggetto (rappresentato) attribuisce ad un altro soggetto
(rappresentante) il potere di curare i propri interessi in un caso specifico. Come già si è avuto modo
di dire la posizione giuridica del titolare dell’interesse protetto assume le connotazioni dell’interesse
legittimo.
Per concludere, la potestà è definibile come il potere attribuito ad un soggetto di realizzare
direttamente un interesse altrui.
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1.7. L’aspettativa.
Nel linguaggio comune il termine «aspettativa» sta ad indicare la situazione psicologica di
chi attende il verificarsi di un evento favorevole che, alla stregua delle circostanze fino allora
maturate, può ritenersi abbastanza probabile . Nell’ambito del diritto, l’aspettativa si ricollega alla
figura della c.d. fattispecie a formazione progressiva. Premesso che il concetto di fattispecie si
sostanzia nell’astratta previsione da parte della legge degli elementi al cui concreto verificarsi la
stessa norma ricollega il prodursi di un certo effetto giuridico (ad esempio, la fattispecie dell’art.
2043 si sostanzia nella previsione di taluni accadimenti al verificarsi dei quali la norma ricollega la
nascita dell’obbligo di risarcire il danno prodotto), accade, talvolta, che la fattispecie consta di fatti i
quali vengono ad esistenza entro uno spazio temporale più o meno lungo: allora, solo al verificarsi
del fatto finale sorge il diritto soggettivo. Concentrando l’attenzione al momento in cui taluni
accadimenti previsti dalla norma si sono verificati, ma altri debbono ancora venire ad esistenza, si
prospetta la sussistenza di un interesse di un soggetto ad evitare che terzi possano impedire il
verificarsi degli ulteriori elementi perfezionativi della fattispecie ovvero che, nel tempo in cui la
fattispecie è ancora in formazione, possano pregiudicarsi le ragioni del soggetto volte a conseguire
il bene, una volta perfezionatasi al fattispecie. Questo interesse è preso in considerazione
dall’ordinamento, il quale attribuisce al soggetto stesso una serie di strumenti giuridici idonei,
appunto, ad impedire che venga frustrata la sua situazione di attesa: in questa attribuzione di mezzi
protettivi si risolve la figura dell’aspettativa, espressione con la quale si intende sottolineare proprio
la situazione di attesa nella quale viene a trovarsi un certo soggetto in vista della nascita di un diritto
soggettivo.
La tutela dell’interesse iniziale si presenta, dunque, di carattere provvisorio e strumentale, in
quanto finalizzata solo ad assicurare la permanenza delle condizioni da cui dipende la nascita del
diritto e destinata, come tale, ad esaurirsi nel momento in cui sarà completata la situazione di fatto
che darà luogo alla nascita del diritto soggettivo .
Il carattere della provvisorietà e della strumentalità emergono, tra l’altro, dalla natura stessa
dei poteri attribuiti al soggetto i quali hanno natura meramente conservativa o cautelare della
situazione in atto. Si consideri, ad esempio, la tutela riconosciuta dalla legge a favore del nascituro.
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Posto che l’esistenza del soggetto è elemento essenziale alla nascita del diritto soggettivo, può
verificarsi l’ipotesi che il soggetto non ancora esista, ma si può, con una certa fondatezza, prevedere
che verrà ad esistenza (ad es. nascituro già concepito). In tal caso, gli interessi che a lui potrebbero
far capo non possono essere considerati come aventi una esistenza attuale, ma vengono ugualmente
tutelati dal legislatore (in vista della futura nascita) mediante la previsione di una serie di strumenti
diretti a conservare al nascituro la possibilità di acquistare il diritto.
Si consideri, altresì, l’ipotesi dei c.d. diritti condizionati Due soggetti, nel dare vita ad un
rapporto di debito-credito, subordinano la nascita dello stesso al verificarsi di un evento futuro ed
incerto. È evidente che, fino a quando l’evento non si sarà verificato, non può dirsi attuale il diritto
del creditore ad ottenere la prestazione dal debitore. Si avrà, in questo caso, una mera situazione di
pendenza alla quale corrisponde l’interesse di una delle parti ad evitare che terzi possano impedire il
normale corso degli eventi e così frustrare l’attesa del conseguimento del futuro vantaggio. Ancora
un volta, il legislatore interviene con una serie di strumenti giuridici di natura conservativa e
cautelare (previsti dagli artt. 1356-1359 c.c.) finalizzati, per l’appunto, ad evitare che possa essere
pregiudicata la situazione di fatto da cui dipende la successiva nascita del diritto.
Con riferimento a tali ipotesi si parla di aspettativa di diritto (o legittima) per distinguerla
dalla aspettativa di fatto dove la differenziazione tra le due figure risiede, ancora una volta, nella
valutazione operata dall’ordinamento dell’interesse del soggetto al conseguimento di futuri
vantaggi. Invero, non sempre la legge tutela l’interesse del soggetto che si pone in una situazione di
attesa, ritenendo quell’interesse non meritevole di protezione anticipata. Si consideri, ad esempio,
l’interesse che i figli hanno nei confronti della eventuale eredità dei propri genitori. Costoro
acquisteranno il diritto alla eredità solo nel momento in cui si aprirà la successione (che coincide
temporalmente con la morte dei genitori). Prima di questo momento, benché sussista un interesse al
conseguimento della eredità, l’ordinamento non interviene per proteggere questa situazione di
aspettativa, la quale, pertanto, si risolve in una aspirazione di fatto, non giuridicamente tutelata.
Ora, se analizziamo più da vicino il fenomeno dell’aspettativa (con riferimento, in
particolare, al negozio sottoposto a condizione sospensiva), possiamo comprendere la nota
distinzione prospettata dalla dottrina tra effetti preliminari (o negoziali) ed effetti finali del negozio.
La stipulazione di un contratto condizionato produce, di per sé, una serie di effetti, corrispondenti
all’esigenza di garantire e preparare l’avverarsi della situazione finale. Questi effetti, detti per
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l’appunto preliminari, si sostanziano nella irrevocabilità del consenso prestato al momento della
conclusione, nell’obbligo di comportarsi secondo buona fede, nel potere di compiere atti
conservativi, ecc. Gli effetti preliminari, in sostanza, si riconducono, in parte, a quei poteri che
costituiscono la struttura stessa dell’aspettativa e si distinguono dagli effetti c.d. finali che si
identificano con gli effetti che il negozio - una volta avveratasi la condizione - sarà in grado di
produrre e che rappresentano il vero punto di mira delle parti e la stessa giustificazione giuridica
dell’operazione economica. Vi è per altro da chiedersi se la presenza degli effetti preliminari possa
costituire la base per la costruzione di un vero e proprio diritto di aspettativa, intesa come autonoma
situazione giuridica. La questione è controversa. Una parte della dottrina , infatti, fa notare che
l’impegno derivante dalla stipulazione di un negozio non può essere considerato un effetto di
carattere preliminare, ma un effetto finale: se Tizio e Caio stipulano, ad esempio, un contratto di
lavoro subordinato, essi mirano proprio a costituire tra loro un vincolo, la cui nascita, pertanto, deve
considerarsi effetto finale e non meramente preliminare.
A sostegno, poi, della sussistenza di un autonomo diritto di aspettativa, si invoca la norma
dell’art. 1357 che consente di disporre il diritto derivante da un negozio sottoposto a condizione
sospensiva o risolutiva, prima che questa si avveri: dal momento che, prima del verificarsi della
condizione (soprattutto, quella sospensiva), non può dirsi ancora nato il diritto derivante dal negozio
concluso, il soggetto, in realtà, disporrebbe solo di un diritto di aspettativa. In contrario, però, si fa
notare che la norma prevede solo la possibilità di disposizione di un diritto futuro (che sortirà a
seguito del verificarsi dell’evento condizionante) e non già un equivoco diritto di aspettativa.
1.8. Il possesso.
La nascita di una situazione giuridica soggettiva può trarre origine anche dal fatto materiale
per cui un certo bene si trova nella disponibilità di un soggetto che ha interesse a conservarlo e a
difenderlo contro le aggressioni altrui. La situazione per cui un soggetto esercita il potere di fatto su
di una cosa prende il nome di possesso. Possessore può essere il proprietario (si pensi, ad esempio,
al proprietario della casa in cui abita), ma può essere anche un soggetto diverso dal proprietario che,
per i motivi più diversi, si trova ad esercitare, di fatto, il potere su di una cosa di proprietà di altri. Si
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pensi, ad esempio, al ladro: costui, pur non essendo proprietario, di fatto ha un potere di godimento
e disposizione della cosa furtiva.
Nel possesso, dunque, sono ravvisabili due elementi: a) un elemento oggettivo (c.d. corpus),
consistente nel potere di fatto su di una cosa; b) un elemento soggettivo (c.d. animus possidendi),
rappresentato dall’intenzione del soggetto tenere la cosa come propria, senza riconoscere un altrui
diritto sulla stessa (si pensi, ad esempio, al ladro). Diversa è, invece, la detenzione che consiste - al
pari del possesso - in un potere di fatto sulla cosa, cui, però, non si accompagna l’animus
possidendi, poiché il detentore riconosce che un altro soggetto è titolare di un diritto sulla stessa e,
conseguentemente, non si comporta come se la cosa fosse propria. Si pensi, ad esempio, alla
situazione di colui che abita un in una casa altrui in base ad un contratto di locazione: egli, pur
avendo una relazione diretta con il bene, non si comporta verso di esso come se fosse proprietario,
dal momento che, ad esempio, pagando il canone di locazione, dimostra di voler rispettare la
posizione del concedente e di non far propria la cosa.
La legge tutela l’interesse del possessore a godere della cosa, attribuendogli delle azioni
giudiziarie con cui egli può ottenere la restituzione della cosa che gli sia stata sottratta (c.d. azione
di reintegrazione) o può far cessare atti di molestia che disturbano quel godimento (c.d. azione di
manutenzione). Le ragioni per le quali l’ordinamento tutela il possesso sono diverse. Anzitutto,
occorre tutelare il possessore contro appropriazioni violente da parte di colui che pretende di avere
un diritto sulla cosa: la pacifica convivenza sarebbe compromessa se, ad esempio, il proprietario
potesse sottrarre con la forza il bene al ladro, dovendo egli, invece, rivolgersi al giudice per ottenere
la restituzione. Ma vi è di più. Come si è detto, il possesso è una relazione di fatto che, in quanto
tale, è accertabile concretamente in maniera molto più facile e rapida rispetto al diritto di proprietà.
Dal momento che, di regola, il proprietario è anche possessore, si comprende facilmente come,
mediante la tutela possessoria, si ottiene, spesso, una tutela rapida, in definitiva, dello stesso diritto
di proprietà.
Come si vede, allora, il possesso costituisce un’autonoma situazione giuridica soggettiva,
essendo ravvisabile in esso sia l’interesse al bene e sia la presenza di strumenti finalizzati alla
realizzazione di quell’interesse. È solo da notare che la tutela riconosciuta al possessore viene in
rilievo nel momento in cui taluno interferisce nel godimento del bene: nessuno strumento è previsto
per il tempo anteriore.
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Il contenuto della tutela presenta, poi, un duplice carattere: a) essa è incondizionata, cioè è
ammessa verso ogni atto di privazione o di molestia nel possesso; b) ed è provvisoria, in quanto alla
fine è destinata a cedere di fronte alla pretesa del titolare del diritto (cioè del proprietario) che
intende riappropriarsi (nei modi di legge) del bene stesso.
1.9. Gli status.
Vi è una particolare situazione giuridica soggettiva nella quale manca assolutamente ogni
riferimento oggettivo, nel senso che essa non esprime una certa posizione del soggetto di fronte ad
un bene, ma una posizione del soggetto nei confronti di altri soggetti, non considerati, però, come
singoli individui, bensì come collettività più o meno organizzata . Tale situazione giuridica
soggettiva prende il nome di status, espressione con la quale si indica la posizione che un soggetto
assume nei confronti di altri soggetti, nell’ambito di una collettività organizzata. Si pensi, ad
esempio, allo status di cittadino o allo status di coniuge o di figlio che indicano la posizione che un
individuo assume, rispettivamente, verso lo la comunità statale o verso la famiglia.
Lo status è una situazione giuridica soggettiva autonoma, tutelata in quanto tale. Essa, però,
è anche fonte di altre situazione giuridiche soggettive attive e passive. Per esemplificare, la legge
tutela lo status di cittadino, cioè attribuisce al soggetto una serie di strumenti per ottenere l’acquisto
e il riconoscimento di quella certa posizione verso lo Stato. Ma la stessa legge, ricollega alla
titolarità di quello status una serie di diritti (ad es. diritto di votare) e di obblighi (ad es. prestare il
servizio militare).
Naturalmente, non basta individuare una collettività perché la posizione di un singolo
membro di questa abbia il carattere dello status. Occorre che l’ordinamento giuridico prenda in
considerazione questa posizione del soggetto e ne faccia oggetto di autonoma protezione.
Gli esempi tradizionali di status sono derivati dal diritto romano: si pensi allo status civitatis
e allo status familiae che, rispettivamente, rappresentano la posizione che l’individuo assume
nell’ambito della comunità sociale organizzata nello Stato e nell’ambito della famiglia.
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Lo status civitatis si acquista nel momento in cui si instaura (nei modi di legge) il rapporto di
cittadinanza ed è fonte di una serie di effetti giuridici (diritti, obblighi, ecc.) che attengono
principalmente al diritto pubblico. Lo status familiae, invece, attiene, senz’altro, al diritto privato,
malgrado la rilevante importanza sociale dell’istituto della famiglia. E nell’ambito della famiglia
possono individuarsi due ipotesi: lo status di coniuge e lo status di figlio. Questi status non si
acquistano automaticamente, ma attraverso determinati procedimenti di carattere pubblico (atto di
nascita, atto di matrimonio, ecc.), anche se è opportuno ricordare che, qualora esistano le condizioni
per l’acquisto dello status e questo non risulta, al soggetto è dato lo strumento per acquistarlo (si
pensi all’azione di reclamo della legittimità o all’azione volta ad ottenere il riconoscimento
giudiziale di paternità o maternità).
Nello status, dunque, si riscontra un elemento materiale, costituito dalla posizione del
soggetto nell’ambito della collettività organizzata ed un elemento formale costituito dalla relativa
tutela accordata dall’ordinamento giuridico.
Talvolta, però, benché assente una collettività organizzata (e, dunque, sia inconfigurabile
l’elemento materiale) sussiste, nondimeno, l’elemento formale, costituito dalla autonoma tutela di
una posizione soggettiva . Si parla, in questi casi, di qualità giuridica, e un esempio è costituito dalla
qualità di erede: costui, infatti, non si limita ad acquistare semplici diritti ed obblighi già facenti
capo al de cuius, ma subentra nella complessiva situazione che prima faceva capo alla persona
deceduta. Tanto vero che se il de cuius era possessore in buona fede, l’erede continuerà ad essere
considerato tale, anche se in mala fede. Ma si pensi, ancora, all’azione di petizione ereditaria:
quando l’erede intende ottenere da altri la restituzione di un bene ereditario, dovrà rivolgersi al
giudice per ottenere, in prima battuta, proprio il riconoscimento della sua qualità di erede, sia pure
come strumento per conseguire, in via mediata, la restituzione del bene.
1.10. Gli Interessi diffusi.
Tutte le situazioni giuridiche soggettive fin qui esaminate sono dirette a tutelare interessi che
fanno capo a soggetti determinati (o determinabili).
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Esse, quindi, si differenziano dagli interessi diffusi che si identificano in quelle situazioni
giuridiche soggettive attive dirette a tutelare interessi che fanno capo a tutti i componenti di una
collettività (si pensi all’interesse al paesaggio art. 9 Cost. o alla conservazione dell’ambiente ex art.
18 della L. 349/1986).
Le forme di tutela privatistiche degli interessi diffusi sono ancora sporadiche e non ben
definite, essendo il sistema normativo del diritto privato tradizionalmente tarato per la tutela degli
interessi individuali.
La migliore tutela degli interessi diffusi può essere conseguita riconoscendo a taluni
organismi associativi (i cc.dd. enti esponenziali) la legittimazione ad agire giudizialmente per
inibire comportamenti lesivi di tali interessi
1.11. Schemi esplicativi
SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE
Strumenti per la realizzazione di un interesse
ATTIVE PASSIVE
SITUAZIONI GIURIDICHE ATTIVE
DIRITTO SOGGETTIVO
Tutela
diretta di
un interesse
proprio
INTERESSE LEGITTIMO
Tutela
indiretta di
un interesse
proprio
POTESTÀ
Tutela
diretta di
un interesse
altrui
INTERESSI DIFFUSI
STATUS
ASPETTATIVA
POSSESSO
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2 Le situazioni giuridiche soggettive passive
2.1 Nozione.
Sono, come già visto, strumenti pure esse per la realizzazione di un interesse, generalmente
altrui. Si traducono in uno svantaggio per il loro titolare che deve sacrificare un proprio interesse
per la soddisfazione di un interesse altrui. Si sostanziano nella necessità che avvenga alcunché.
La necessità può essere assoluta, cioè avvenire ineluttabilmente e quasi meccanicamente. È
il caso della soggezione situazione giuridica passiva in cui, date alcune premesse (l’esercizio di un
diritto potestativo) ne consegue automaticamente un effetto giuridico sfavorevole in capo ad un
altro soggetto.
Può però essere anche relativa quando si sostanzia in una necessità di un comportamento. Il
soggetto tenuto ad esso è, infatti, sempre in una situazione di libertà morale (non giuridica): il
debitore può anche decidere di non adempiere, sottoponendosi ovviamente alle conseguenze
relative.
La necessità, in questo caso, si traduce non in un mero effetto giuridico, ma in un
comportamento, e dunque in un’attività.
Nel primo caso, allora, avremo una modificazione soltanto ideale che avviene nel mondo
giuridico, e che, sacrificando un interesse del titolare, soddisfa un interesse altrui, cioè del titolare
del potere, senza bisogno di alcuna cooperazione; nel secondo caso avremo una modificazione
materiale del mondo esterno, un’attività che diventa giuridicamente rilevante, che il titolare della
situazione passiva deve tenere per soddisfare l’interesse altrui, o anche il proprio nel caso
dell’onere.
La norma si risolve in un comando ipotetico : verificatasi concretamente la situazione
prevista in astratto, essa dispone che un certo soggetto debba tenere un determinato comportamento
oppure dispone che a suo carico si producano date conseguenze, a prescindere da una sua condotta .
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In entrambi i casi, il destinatario della norma viene a trovarsi in una situazione passiva, la quale,
peraltro, potrà assumere diversi aspetti, a seconda che la norma imponga una determinata condotta
oppure disponga, sic et simpliciter, produzione di certe conseguenze nella sfera giuridica del
soggetto.
Nell’ipotesi in cui la legge comanda al soggetto di tenere un certo comportamento, la
posizione nella quale viene costui viene a trovarsi è denominata dovere giuridico. Tale imposizione
è analoga a quella conseguente ad una norma di carattere morale o religioso, con la sola differenza,
però, che in caso di inosservanza del precetto, l’ordinamento predispone una serie di strumenti volti
- nei limiti del possibile - ad assicurare la realizzazione effettiva del comportamento imposto. In tal
senso, la differenza tra il dovere giuridico e il dovere morale (o religioso) si risolve nelle diverse
conseguenze riconducibili alla sua inosservanza: il dovere giuridico è sorretto da un apparato
coattivo che consente la sua osservanza anche contro la volontà del destinatario.
Laddove la norma non comanda un comportamento del soggetto che ne è destinatario, ma
dispone immediatamente e direttamente che una certa conseguenza per lui sfavorevole si produca
nella sua sfera giuridica, la situazione passiva del soggetto prende il nome di soggezione: in questo
caso, all’individuo non si impone di tenere un certo comportamento, ma gli si impone di subire una
conseguenza per lui sfavorevole, trovandosi così in una situazione di pati che presenta per il lui il
carattere della inevitabilità.
Dovere e soggezione pongono, dunque, il soggetto in una condizione di svantaggio. Tale
condizione, però, deve essere giustificata, altrimenti non si spiegherebbe la ragione per cui in capo
ad un soggetto debbano prodursi conseguenze negative per la sua sfera giuridica. Orbene, la ratio
delle situazioni giuridiche soggettive passive risiede nel fatto che esse si pongono come strumenti
necessari per la realizzazione di un interesse facente capo ad un altro soggetto, interesse che
l’ordinamento ritiene meritevole di protezione, attribuendo al titolare quell’insieme di strumenti nel
quale si risolve la nozione di situazione giuridica soggettiva attiva. In altre parole, nel momento in
cui l’ordinamento conferisce tutela ad un certo interesse, prevede la nascita in capo ad un diverso
individuo di una situazione passiva, funzionalmente rivolta alla concreta realizzazione dell’altrui
interesse. In tal senso, le situazioni passive assumono il carattere della strumentalità: esse non
vivono di per sé, ma ricevono giustificazione sempre in rapporto ad un interesse alieno da
realizzare.
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2.2. Il dovere giuridico.
a) Il dovere in senso stretto.
Si è detto che il dovere giuridico nasce quando la norma impone ad un soggetto di tenere un
determinato comportamento. Ricordando quanto detto sopra in ordine alla correlazione tra
situazione passiva e realizzazione di un interesse altrui, possiamo cominciare ad osservare che
quando l’interesse alieno consiste nell’interesse a conservare un bene che già si possiede, il suo
soddisfacimento avviene mediante l’imposizione in capo ad altri soggetti del divieto di interferenze
nell’altrui godimento del bene. Si prospetta, dunque, l’imposizione di un comportamento negativo
(astensione) che, peraltro, fa capo non già ad un singolo individuo, bensì a tutti gli appartenenti alla
comunità. Ecco che, allora, nell’ambito della generica figura del dovere giuridico, si individua una
prima specie che, tecnicamente, assume la denominazione di dovere in senso stretto, i cui caratteri
fondamentali sono:
1) la correlazione con un interesse a conservare;
2) il carattere negativo del suo contenuto;
3) il far capo ad una generalità di individui non determinabili a priori.
b) L’obbligo.
Laddove, invece, l’interesse tutelato dalla norma assume le connotazioni dell’interesse a
conseguire un bene che non si possiede, la sua realizzazione richiede la collaborazione del soggetto
nel cui patrimonio si trova il bene desiderato, in quanto quella realizzazione comporta, in definitiva,
un mutamento della sua sfera giuridico-patrimoniale. E così, ad esempio, l’interesse a conseguire
una somma di denaro si realizzerà a seguito della consegna da parte del soggetto che si era
impegnato in tal senso (c.d. debitore). Come si vede, allora, la realizzazione dell’interesse alieno
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avviene, in questo caso, mediante l’imposizione di un comportamento che avrà contenuto
essenzialmente positivo e farà capo ad uno specifico soggetto. Si individua, così, nell’ambito della
medesima categoria del dovere giuridico, una seconda tipologia che è denominata tecnicamente
obbligo e che presenta caratteri diametralmente opposti a quelli del dovere giuridico in senso stretto
e ciò in quanto:
a) si tratta di un dovere strettamente connesso ad un interesse a conseguire;
b) è un dovere a contenuto positivo, in quanto dovere di un determinato comportamento (che
può essere a sua volta positivo o negativo), ma che comunque importa il sacrificio di un particolare
interesse ;
c) si tratta di un dovere specifico, perché imposto ad uno o più soggetti determinati (o
determinabili) a priori e non alla generalità. È evidente, poi, che nel momento in cui un simile
dovere viene ad esistenza, verrà ad instaurarsi tra il soggetto passivo e il titolare dell’interesse una
relazione giuridica che tecnicamente prende il nome di rapporto giuridico.
2.3. (segue) La soggezione.
La seconda posizione nella quale può trovarsi il destinatario di una norma giuridica è quella
che nasce quando la norma non comanda un comportamento del soggetto, ma dispone
immediatamente e direttamente che una certa conseguenza per lui sfavorevole si produca nella sua
sfera giuridica. Si è detto che questa situazione passiva assume il nome di soggezione. La figura si
ricollega anch’essa ad un interesse a conseguire un bene che non si possiede, ma, questa volta, la
realizzazione dell’interesse avviene mediante una modifica non già materiale, ma ideale (o, se
vogliano, giuridica) della sfera del soggetto nel cui patrimonio il bene desiderato esiste. Si pensi, ad
esempio, all’ipotesi in cui il proprietario di un fondo voglia acquistare la comproprietà di muro
divisorio altrui: in questo caso, la realizzazione dell’interesse (che avviene mediante l’acquisto della
comproprietà) importa una modifica della sfera giuridica dell’altro comproprietario che, però, è solo
giuridica, dal momento che, sul piano materiale, nulla è mutato. Orbene, la condizione giuridica di
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colui che subisce la modifica ideale prende, appunto, il nome di soggezione, in quanto costui deve
limitarsi a subire sic et simpliciter una conseguenza per lui sfavorevole prevista direttamente dalla
legge. Si parla, al riguardo, di necessità assoluta, per sottolineare come al soggetto non si impone
più di tenere un certo comportamento (come accadeva nel dovere giuridico), ma gli si impone solo
di subire le conseguenze derivate dall’altrui agire.
2.4. L’onere.
Caratteri peculiari - rispetto a tali considerazioni - presenta, invece, la figura dell’onere che
viene ad esistenza nel momento in cui la norma impone ad un soggetto di tenere un certo
comportamento per la realizzazione non già di un interesse altrui (altrimenti vi sarebbe dovere), ma
interesse proprio, con la conseguenza che se la prevista condotta in concreto non è tenuta si
produrranno ripercussioni negative nella sfera giuridica del medesimo soggetto. L’esempio tipico è
il c.d. onere della prova che vige nel processo civile. L’art. 2697 c.c. impone, a chi vuol far valere
un diritto in giudizio, di provare i fatti che ne costituiscono il fondamento: la norma lascia libero il
soggetto di comportarsi come meglio crede, ma la mancata prova di quei fatti si rifletterà sull’esito
del giudizio, poiché, in mancanza di prova, il giudice rigetterà la domanda, considerando il diritto
vantato come inesistente.
L’onere, dunque, impone sì al soggetto di tenere un certo comportamento (e in tal senso
potrebbe presentarsi come situazione passiva), ma (a differenza del dovere) tale comportamento non
è finalizzato alla realizzazione di un interesse altrui, bensì di un interesse proprio del titolare, il cui
mancato assolvimento non prospetterà forme di responsabilità, ma solo la mancata realizzazione
dell’interesse del soggetto interessato (e in tal senso potrebbe parlarsi di situazione attiva).
Da ultimo, conviene avvertire che non bisogna confondere questo onere - situazione
giuridica passiva - con l’onere (o modo), elemento accidentale del negozio giuridico.
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2.5. Schemi esplicativi.