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DIREPUBBLICADOMENICA 11 OTTOBRE 2015NUMERO552
Lacopertina.FranzenelasolitudinedeisocialStraparlando.BrunoSegre:“MihasalvatoOlivetti”Mondovisioni.Ritornoall’HotelRuanda
M ICHELE SMARG I A S S I
Cult
L’attualità.Fugadall’AfghanistanconlietofineL’immagine.ComeeperchéilFuturismoconquistòcosìvelocementeilmondoSpettacoli.PhilippePetit: “Perònel filmlafunetremaunpo’ troppo”L’incontro.JeanMichelJarre: io, l’ambienteCharlotte
Lacagnolinaapoisnacquenel1975dallamatitadipapàAltan.“ConCipputieItalomiarrabbio,conleimirilasso.Lorosonolavitacosìcom’è,leièlavitacomesarebbebellochefosse”
MANTOVA
QUANTI ANNI COMPIE la Pimpa?«Cinque» risponde Altan con si-curezza di genitore. «Solo checompie cinque anni da qua-rant’anni esatti...». Eterna cuc-ciola fra eterni bambini, perchégli anni passano, ma i suoi letto-ri non invecchiano mai, comePeter Pan. La prima storia uscìsulCorrieredei Piccolinell’esta-te del 1975, nell’era pre-cellula-ri, pre-Internet, pre-tutto. Eppu-
re, ignara di essere una celebrità internazionale della letteratu-ra per l’infanzia, oggetto di studi letterari e tesi di laurea, la ca-gnolina a pois rossi continua a giocare con i suoi amici Tito, Rosi-ta e Colombino come se non fosse cambiato nulla dopo 985 av-venture su una rivista mensile da quarantamila copie, oggi edi-ta da Panini, decine di volumi, serie tv, giochi, film, ora ancheuno spettacolo teatrale, L’Armandone della Pimpa, presentatodal Teatro dell’Archivolto di Mantova. Come disegnatore satiri-co, Altan preferisce far parlare i suoi grandi attori, Cipputi, Italoe tutta la compagnia dei nasi arricciati. Ma con la Pimpa no, siscioglie come un papà.
Il ‘75èl’annodellaprimaedi-zione... Ma la nascita vera?«Un paio d’anni prima. Vive-
voinBrasile, dovedisegnavofu-metti per adulti, ma quel gior-no ero a Milano, Kika sulle gi-nocchia, due anni, mi chiedevapapà fammi una casa, un sole,una mucca, e io le disegnavo ca-sa sole mucca, non ricordo sedisse anche fammi una cagnoli-na, sta di fatto che a un certopunto la Pimpa era lì che corre-va su un prato, uscita chissà dadove. Si vedeva subito che ave-va qualcosa di speciale».
>SEGUE NELLE PAGINESUCCESSIVE
CON UN ARTICOLODI KIKA ALTAN
Repubblica Nazionale 2015-10-11
la RepubblicaDOMENICA 11 OTTOBRE 2015 30LADOMENICA
Lacopertina.Buoncompleanno
semprecucciolaSarà
Che cosa?
«Me lo sono chiestotante volte, credo fosseproprio essere nata inquel modo, non cercata,in un mondo slegato daintenzioni, da doveri».
Per due anni insom-malaPimparestòtut-ta per Kika... E poi?«Poi la vide Marcelo
Ravoni, il mio agente, edissefunziona, allora laproposealCorrieredeiPiccoli.Do-ve con mia sorpresa cominciarono a volerla ogni settima-na. Intanto, però, la Pimpa era cambiata. Era già la ca-gnetta bellina e armoniosa di oggi».
Com’era invece la proto-Pimpa?«Piùgoffa, tarchiata,occhi spiritati... Insommaera pro-
prio brutta, ma c’era un motivo, io ero giovane, erano an-ni ribelli, mi piaceva il fumetto trasgressivo, duro, quelloamericano di Crumb, quello francese di Harakiri... Erauna Pimpa un po’ underground. Ma aveva già i pallini ros-si, la lingua fuori...».
I pallini rossi, perché doveva essere una cagnolina fia-besca, di pura fantasia?«No, perché così spiccava sulla pagina. Sono i colori dei
segnali stradali».Infatti Armando la trova sotto un cespuglio mentrecerca fragole... Così almeno nel prequel che hai dovutodisegnare...
«Sì, perché i bambini scrivono lettere, vogliono sapereun sacco di cose sulla vita privata della Pimpa, se avrà deicuccioli, dov’è la sua mamma...».
Ahi, la Pimpa nonha unafamiglia tradizionale.Nientemamma. Di questi tempi potrebbe sollevare qualcheperplessità.«Be’, c’è Armando. C’è stato sempre, è nato assieme al-
la Pimpa. Nel primissimo disegno c’è già lui che la guardacorrere, sorridente. Armando è molto materno. E il fattoche non si sappia bene chi sia, se il padrone della Pimpa, oil papà adottivo, o uno zio, gli lascia la possibilità di copri-re molti ruoli. Comunque, ora un elemento materno è en-trato inscena: la paperina Olivia,che ho creato permia ni-pote, con lei la Pimpa è qualcosa fra la sorella maggiore ela mamma».
Tuttavia la Pimpa non è un fumetto pedagogico, sem-branon voler insegnarenulla.Mai satiricisonomorali-sti, come hai resistito alla tentazione di tirare la mora-le della favola?«La morale no, ma valori ci sono: l’amicizia, ancora più
la curiosità, la virtù più generosa. La prima cosa che laPimpa chiede agli oggetti animati quando li incontra è:chi sei, cosa fai? Anche Armando poi ce l’ha una funzionepedagogica: lasciare che lei faccia tutto quello che le vie-ne in mente, ma senza perderla di vista. La struttura del-le storie è semplice, la Pimpa si sveglia, fa colazione, si la-vaidenti come una brava bambina,poi Armandosene vaal lavoro, non so quale, probabilmente un lavoro d’ufficioin città, e la lascia libera di uscire da sola e di vivere le sueavventure, le raccomanda solo di non far tardi...».
Per forza piace ai bambini...«Certo, si identificano nella libertà che loro non han-
no... Di sicuro Armando non è il tipo di genitore che riem-piedi impegni lavitadei figli.Manon èassente, fasolo fin-ta di non essere preoccupato, quel che conta è che alla se-ratorna, si interessaairacconti dellaPimpa, quindi allafi-ne la giornata si chiude nella sicurezza e nell’ascolto».
Nelle favole non funziona così, ci sono i lupi cattivi. Nelmondo della Pimpa, il tuo cappuccetto coi pallini rossi,non succede mai nulla di brutto.«Qualche temporale, qualche malumore che passa su-
bito».E non c’è la cattiveria. Hai cacciato l’orco dalle fiabe.«Nonc’è. Perscelta.Perquestocimettocosì pochiuma-
ni nelle storie, non voglio che portino dentro la cattive-ria».
La Pimpa no, ma i suoi lettori prima o poi la incontre-ranno.Cipputidirebbecheraccontiaibambiniun mon-do che non c’è.«Vero. Lui vive nel mondo com’è, la Pimpa nel mondo
come sarebbe bello che fosse».E quand’è che i lettori scoprono il primo?«Negli anni ho visto restringersi la “zona Pimpa”. Pri-
mala leggevanofinoa sette,otto anni,oggi nonsi vaoltrei cinque, sei».
Ma è la soglia della scuola: è quella la fine delle illusio-ni?«Qualcuno scrive delle lettere d’addio: ciao Pimpa, de-
vo lasciarti, ti ricorderò sempre, ma ormaisono diventatogrande».
Perchélemacchierosse?Chevoceha?
EArmando,chiè?Altansvelaisegreti
dellalasuaPimpaprediletta.Econfessa:
“Cihoprovato,noncresceràmai”
L’INEDITO
ASINISTRAPROVEDIPROTO-PIMPAMAIPUBBLICATE.ACCANTO,LAPRIMASTORIADELLAPIMPAUSCITANEL1975SUL “CORRIEREDEIPICCOLI”
<SEGUE DALLA COPERTINAM ICHELE SMARG I A S S I
ARMANDO
SAPPIAMOSOLOCHEÈNATOINSIEMEALLAPIMPA,CHEC’ÈFINDALLEPRIMESTRISCEECHELEFAANCHEUNPO’DAMAMMA
COLOMBINO
ILPICCOLOGALLOGIALLOÈUNODEGLIAMICICONCUIADORAGIOCARELAPIMPA
ROSITA
LAGATTAAZZURRACHEAMALECIAMBELLE.HATANTICUGINI FELINI,TRACUI TINATIGROTTAELEONARDOLEOPARDO
CONIGLIETTO
ÈTUTTOBIANCOCON IPALLINIAZZURRIEADORADORMIRE.COMELAPIMPAODIAGLISPINACI
LAMOSTRA
PER I 40ANNIDELLAPIMPALACASAEDITRICEFRANCOCOSIMOPANINIEL’ASSOCIAZIONECULTURALEHAMELINORGANIZZANO“ARRIVALAPIMPA”,MOSTRAITINERANTECHETUTTELESCUOLEEBIBLIOTECHEPOSSONORICHIEDERE.PER INFORMAZIONI:[email protected]
per
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©RIPRODUZIONERISERVATA
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Quandopapàmiregalòuncaneapois
K IKA ALTAN
LA LEGGENDA NARRAchevolessi un cane esaggiamente me ne fudato uno di carta. Fatti chein realtà né io né mio padre
ricordiamo. Confesso anche di nonavere memoria di questa Pimpa solomia. I ricordi iniziano con l’orgoglio divederla pubblicata, di sentire altribambini che ne parlano e soprattuttodi vederla in tv. E a quel punto ero giàfuori target e non la leggevo più, peròsuggerivo qualche storia. Solo una haavuto l’onore di essere pubblicata, afirma “altan+kika”.
Vent’anni dopo, nel 2000, ho ripresol’antica collaborazione con mio padreper creare il sito di Pimpa, insieme atre amici. Ancora oggi, seguo la Postadi Pimpa. Molti bambini scrivono perinvitare Pimpa a giocare a casa loro, oper salutarla perché le sono ancoramolto affezionati ma non laleggeranno più. Naturalmente iorispondo tranquillizzandoli, Pimpasarà sempre con loro. Sono la provavivente!
Dopo la nascita di mia figlia Olivia,abbiamo fatto una riunione di lavoro.Bisognava creare un nuovopersonaggio, abbiamo valutato i varianimali e i colori. Ho pensato che cisarebbe stato bene un po’ di giallovicino alle palline rosse di Pimpa. ANatale del 2006 Pimpa riceve un paccoregalo con dentro Olivia Paperina. E iotuttora piango ogni volta che leggo laprima storia dedicata da mio padre allasua nipotina preferita. L’orgoglio poi sitrasmette più facilmente delle buonemaniere ed oggi Olivia è molto fiera diraccontare a tutti che suo nonno hainventato la Pimpa per sua mamma.
A sei anni?«Sono assaliti da una quantità di stimoli e di informa-
zioni che li adultizzano presto».Ci vorrebbe una post-Pimpa.«Ci ho provato, a inventare un personaggio che seguis-
sequei bambininell’etàdimezzotra infanziae adolescen-za. Mi dispiaceva lasciarli andare. Non ci sono riuscito, loconfesso. Non si riesce a trovare qualcosa che abbiano incomune, i bambini di quell’età sono uno diverso dall’al-tro, sconosciuti».
Nelle storie della Pimpa il telefono ha ancora la cornet-ta, non c’è mai un cellulare. È lui il grande colpevole?«La Pimpa vive in un mondo di oggetti animati, devo-
no avere una faccia, è difficile disegnare una faccia su unoggettosenzaformacome uncellulare... IncasaPimpape-rò è apparso un computer, Nicola, uno che sa tantissimecose ma non conosce il profumo dei fiori».
Tecnologia senz’anima?«Mano, nonc’ènessun tabùanti-tecnologico.Esistean-
che una app della Pimpa, per giocare, e il tablet in fondo èun libro animato, no?Ho solo paura che faccia piazza puli-ta di altre cose, del piacere manuale di disegnare con lamatita,della relazioneche sicreaquandoun genitore leg-ge un libro al bambino».
Ecco, i genitori. La Pimpa è entrata anche nel nostroimmaginario.«Einquello degliex bambiniche sonodiventati genito-
ri...Quarant’annisono anchequesto.Hosempre introdot-to qualche ironia più sottile per rendere il compito dellalettura divertente anche per loro, se il genitore si stufa dileggere e rileggere si rovina la magia di quel momento».
LaPimpaèunimperoeditoriale,con relativomerchan-dising: tazze, vestiti, peluche, giocattoli... Diventareun brand non le avrà fatto perdere genuinità?«Siamo molto attenti a cosa si fa con la Pimpa, non è di-
sponibile a tutto, ad esempio non ci sono pubblicità sulgiornalino. Alcune cose non si possono evitare perché laPimpa deve mantenersi, ma facciamo attenzione».
Ti sei mai chiesto come un bambino pensa la Pimpa?«Me lo fece capire una bimba, anni fa. Avevamo radu-
nato un piccolo pubblico per collaudare la prima puntatadella Pimpa in tivù. Si alzò e mi disse: mi è piaciuto, ma laPimpa non parla come al solito. Ma come? La Pimpa nonaveva mai parlato prima, anzi trovarle la voce era statoun bel problema. E invece sì, per quella bimba una vocel’aveva già. Non importa se fosse la voce della mammache le leggeva le storie, o quella che immaginava nellasua fantasia. Del resto, quando vado nelle scuole, i bambi-ni mi dicono bravo, la fai proprio bene! Capito? La Pimpaesiste già, io sono solo il suo ritrattista...».
E per te, chi è la Pimpa?«Fa parte della mia vita. La disegno ancora, una storia
al mese, mi piace soprattutto inventare la storia, perchéquanto al disegno, lo confesso, dopo quarant’anni vadoun po’ in automatico. Non so se avrà ancora successo, manon voglio smettere. Non so come dirlo, ma se penso cheanche solo dieci bambini aspettano la prossima storia,be’, gliela devo dare. E poi mi mancherebbe. Con la satirapolitica mi arrabbio, con la Pimpa invece mi rilasso, entronelsuo mondo e improvvisamente tutto ha una logica. Al-meno lì».
DOMANI
INREPTVNEWS(ORE19.55,CANALE50DELDIGITALEE139DISKY) )IQUARANT’ANNIDELLAPIMPANELVIDEORACCONTODIMICHELESMARGIASSI
OLIVIA
LAPAPERELLAGIALLACREATADAALTANPERLANIPOTINA:ARRIVA INUNPACCOREGALOANATALEDEL2006
GIANNI
COMPAGNODITANTEAVVENTURE,ÈUNODEICANIAMICIDELLAPIMPA. L’ALTROÈ ILCUCCIOLOTITO, TUTTOBLU
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Uomoproboèandatovia
HA DICIASSETTE ANNI E ORA È SALVO, al sicuro, in Italia, altronon posso dire. La sua vita è ancora in pericolo, la sua equella della famiglia rimasta nel nord dell’Afghanistan.Posso dire però che nella lingua degli “infedeli” il suo no-me significa “uomo probo”. Ora che è in salvo lo ha presoun’idea fissa: vuole diventare chirurgo plastico. Non perfar belle le europee, ma per curare le afgane che si dannofuoco. L’Afghanistan ha il primato mondiale per suicidifemminili e batte ogni record anche per la percentuale didonne che muoiono di parto. Uomo probo l’ha saputo dasua madre che fa la ginecologa.
Non aveva mai visto il mare, lo osserva incantato. Si fa
consumare da lunghi silenzi, ogni tantopiange, ha continuo bisogno di protezione.Chiama fratelli i miei figli. Impara con infi-nite timidezze scambiate per superbia aguardare le ragazze libere.
Sulle sue spalle porta il destino, anzi, lacondanna di una famiglia intera. Una fami-glia numerosa che ho conosciuto nei mieiviaggi afgani. Da vent’anni il padre, con itre fratelli e le quattro sorelle, lavora per leorganizzazioni umanitarie occidentali. Perquesto è sotto il tiro dei Talebani e dei cac-
ciatori di riscatti. Le sorelle insegnano al-le afgane l’abc dei diritti della don-na, si prendono cura dei figli al-
trui,viaggianodasole,nonsispo-sano, lavoranocon i maschi.So-
no “immorali”. Ed ecco allorale lettereanonime, leminac-
ce, le telefonate notturne,gli attacchi, le coltellate
L’attualità.Viaggidellasperanza
MON IKA BULA J LEIMMAGINI
PERRAGIONIDISICUREZZA
“UOMOPROBO”NONCOMPARE
INNESSUNADELLEFOTOGRAFIE
DIMONIKABULAJPUBBLICATE
INQUESTEPAGINE. LE IMMAGINI
DEIBAMBINIEDEIRAGAZZIFANNOPARTE
DIALCUNIDEI TANTI SERVIZI
CHELAFOTOREPORTERPOLACCA
HAREALIZZATO INQUESTI ANNI
INAFGHANISTAN
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UnafamigliaafganachesfidaiTalebani.UnfigliogiovanecostrettoafuggireinItalia
Eunafotoreporterchehamoltibuonimotiviperraccontarnelastoriaeil lietofine
nel buio, la caccia ai più piccoli del clan di ri-torno dalla scuola. In questa rete di perico-li, complicata dalle geografie tribali, il pa-dre si muove con la flemma apparente diun diplomatico vecchio stampo, dribbla leminacce grazie alla rete di conoscenze e alrispetto che gode nella sua città. Ma anchequi i Talebani ormai hanno ripreso forza.Gli chiedono di passare al loro servizio, pe-na l’uccisione di Uomo probo, il suo figliopiù grande. Così il ragazzo e suo padre vivo-no costretti a cambiare casa ogni notte,braccati come gli ebrei a Varsavia sotto laGermania nazista. La mappa dei luoghi si-curi va aggiornata in ogni istante. Le stra-degiuste equellesbagliate. Scivolareneivi-coli o nei taxi, mescolarsi alla folla, allunga-re il passo — senza fretta però.
È terribile essere adolescente a Kabul. Siè carne da macello che si compra con estor-sioni, mutilazioni, con prezzi che scendonoman mano che si taglia un orecchio, unbraccio, un naso. Le fughe verso l’Europasono gestite da efficientissime mafie a cac-cia di primogeniti. Il viaggio inizia sulle pol-verose piazzedi Darb Malik a Herat, Gulba-
har e Shahzada Market a Kabul o KifayatMarket a Mazar. Ti dicono: «Perchéti straziper avere un visto europeo per tuo figlio?Dacci ottomila dollari, il prezzo di una gio-vane sposa, e noi ti diamo l’Europa». Se pa-ghi qualche centinaio di dollari in più rice-verai anche una lettera con le minacce deiTalebani: «Molto utile per chiedere asilo».
Da quando Uomo probo è volato in Italialasua famiglia ha dovuto barricarsi in casa,alle porte dell’antica Battriana, una terradi antichi santuari dove le vedove vestonoil burqa bianco delle prostitute per soprav-vivere. Perfino i bambini lo sanno. L’Afgha-nistan è un paese di un milione di vedove, euna donna senza un uomo che vendichi ilsuo onore (perché le sono già stati uccisi ilpadre, i fratelli, i figli), secondola logicadelbottino di guerra è una cosa di uso pubbli-co. Per questo si ammazzano per primi i fi-gli maschi, cominciando da quelli più gran-di.EperquestoUomoprobohacercato l’Eu-ropa.
Appena scoperta la sua partenza i Tale-bani hannosparato al padre, ferendolo gra-vemente. La famiglia l’ha rapito dal-la corsia di ospedalee nascosto altrove:nel nuovo Afghani-stan vedi ombre ovun-
que,non denunci allapolizia, haipaura, chidel compagno di ufficio, chi del proprio me-dico. Di me si sono sempre fidati, e mi han-no protetto nelle situazioni più incredibiliper garantire che potessi fare il mio lavorodi reporter. Ai check point talebani il padredi Uomo probo diventava mio fratello, miomarito, oppure mio cugino. Eravamo unacoppia araba a Kunduz, fratelli uzbeki a Po-li-e Khumri. A Kabul mi si addiceva megliol’origine turca o quella di immigrata irania-na in America. Più volte siamo fuggiti inse-guiti da un’auto come dentro un film holly-woodiano.Qualchevoltaperfare più“fami-glia” metteva in macchina anche i suoi fi-gli, e tutti accettavano di farmi da scudoperché così potessi diventare invisibile. Lemie proteste non servivano a niente. Viag-giando in lungo e in largo per l’Afghani-stanho semprericevuto piùdiquanto aves-sidato.Eseperqualcunosonosorella,signi-fica che quel qualcuno è mio fratello.
Ogni tanto riesco a risentirli dall’Italia,questiamicidiuna vita,sulloschermopixe-lato e incerto di un collegamento Skype. Edèlìche, inunafolla diparenti,conlasua raf-fica di benedizioni, si affaccia talvolta lavecchia Aziza, l’afgana che vuole essermimadre. È lei che tiene la cassa e combina imatrimoni, lei che piange per Uomo probocosì lontano da casa e che forse non vedràpiù. Mi appare anche Omid, uno degli zii,quello che ancora non si è sposato. Gli chie-do se ama qualcuno, e lui sorride. «Sarebbeil mio turno», ammette, e non svela di ave-re laschienabruciatadall’acido cheglihan-no gettato addosso i Talebani in una notted’inverno. Spiega soltanto: «La mamma di-ce che questo non è il tempo di amare».
©MONIKABULAJ
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L’Internazionale
L’immagine.D’avanguardia
futurista
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FORSE IL FUTURISMO italianoè davvero come la Greciache Savinio paragonava aiMagazzini Upim dove, co-me si sa, «ci si trova tutto».Quindi anche tutte le altreavanguardie che, imme-diatamente dopo, o a di-stanza di un decennio e ol-tre, a un passo da casa omagari fin nelle due Ame-riche, avevano rimesso a
nuovo la cultura. Era questo, del resto, l’intento delmanifestoLe futurismemondialdel ‘24, in cui Mari-netti aggregava — come futuristi autentici o solocompagni di strada («futuristi inconsapevoli») — ilmeglio della cultura mondiale, da Picasso a Eliot(con un occhio alle riviste). Claudia Salaris ne è con-vintaenelsuoFuturisminelmondoricostruisce filia-zionidiretteo piùmediate, o anchepiùcasuali impol-linazioni prodotte da quel clima di «avanguardia glo-bale» che — è lei stessa a ricordarlo — nasce propriocol futurismo. Un libro ricco di bellissime immagini,uscito dalla curiosità di Pablo Echaurren che si è im-barcato — con la maniacalità dei collezionisti — allaricerca di spiragli futuristi dall’Argentina all’Uru-guay(comerecitailpercorsoalfabeticodelle terrein-ventariate), in mezzo ponendo Spagna, Egitto, Esto-nia, Russia, Stati Uniti e un’altra trentina di nazioni,dovunque rinvenisse reperti di quell’inarrestabiledeflagrazione.
Certo, il manifesto del 20 febbraio del 1909 scom-paginò per sempre le carte. Il mito della velocità lìpropugnato era come se avesse accelerato le reazio-ni. Subito prendono a inseguirsi le traduzioni. In ro-meno addirittura il giornoprima! A marzo gli undicipunti appaiono in Russia (il terreno era propizio). Inaprile il manifestoesceinspagnoloa Madrid(tradot-to da Gómez de la Serna), ma lo stesso mese il poetaRuben Darío lo pubblica già a Buenos Aires. Ancorain aprile lo troviamo in croato, a maggio in giappone-se. L’anno successivo è già in versione turca. È comese si fosse stuzzicato un alveare. Il tempo di ripren-dersiecomincianoapullularemanifesti fuoridalcon-trollo della centrale milanese. A Parigi esce unMani-festo futurista contro Montmartre (1913), nellostesso anno Valentine de Saint-Point presenta unManifesto futurista della lussuria («Cessiamo di
schernire il desiderio, distruggiamo i sinistri stracciromantici»), mentre sulla rivista Fantasio — doveApollinaire aveva pubblicato il suo Cubismo culina-rio — appare un Manifesto della cucina futuristacheprevedetra l’altro «uovaincamicia nelsanguedibue». Intanto a Lisbona il pittore Almada-Negreiros—«ispirato dallarivelazione diMarinetti» eabbiglia-to in una sorta di bizzarra tuta da pilota — declamanel ‘17 unUltimatumfuturistaallegenerazionipor-toghesi del XX secolo. E se nel ‘21 viene distribuito aTokyo un più tradizionale volantino col Manifestodel gruppo futurista giapponese, in Polonia BrunoJasienskie i suoisodali lanciano un agguerritoMani-festo relativo all’immediata futuristizzazione dellavita, che postula una «rapida tracheotomia» affin-ché «la vita e l’arte polacca» possano sopravvivere.Ormai non si potrà più dare inizio a qualsivoglia im-presa artistica senza avere un proprio manifesto. Eun nome da non sfigurare. Ricciotto Canudo stila unManifestede l’artcérébriste, inCile sbucaunManife-stodelRunrunismo, a Porto Rico unManifestoeufo-rista(visiaffermaconponderazione«il poetadev’es-sere un tonico per l’umanità, non un lassativo»), inMessico unManifesto estridentista. E a questa foganonsisottrae certo ilManifestoantropofagodel bra-siliano de Andrade che — stilato «l’anno 374° dalladeglutizione del Vescovo Sardinha» — propone di in-gurgitare e metabolizzare la cultura europea.
Il futurismo ha rapidamente conquistato il mon-do. Diffondendosi da solo, quasi per contagio. Mari-netti ne è l’araldo e allo stesso tempo il testimonial. Isuoi viaggi servonoanchea marcare il territorio (co-meglirinfaccerannoicubofuturisti russi,conabbon-dante volantinaggio). Il diagramma dei suoi sposta-menti sembra la vorticosa pubblicità di un’agenziadi viaggi d’ampio respiro. Escludendo la Francia, do-ve aveva da tempo piantato le proprie radici, lo tro-viamonel 1910 a Londra (contestato dallesuffraget-te), poi a Bruxelles, Mosca, Pietroburgo, Praga. Nel‘26 dilaga in Sudamerica: Rio, Buenos Aires, Monte-video. In Argentina lo scrittore Subirat lo definisceun «fossile». Sulla copertina di un libro brasilianocampeggia una lastra tombale col suo nome. Ma aleggere le sue memorie, l’impatto era stato tale chea Bahia la gente — «in ricordo dei clamorosi trionfidel Futurismo» — prese a chiamare «Marinetti» gli
auto-buspub-blici.
Lasuapre-senza in scenaè sempre elettriz-zante.Quasia conte-stare anticipatamenteEzra Pound che — stizzi-todalsuotentativodiannes-sione degli avanguardisti in-glesi — il mese successivo l’a-vrebbe definito «un cadavere», nelmaggio del ‘14 Marinetti declama aLondra alcuni brani di Zang TumbTuuummunito di «martelli appositi» (perrendere «i rumori della fucileria e delle mitra-gliatrici»), tre lavagne a cui si avvicina veloce«per disegnarvi, in modo effimero, col gesso, un’a-nalogia»,eun telefonocon cui imitai comandi deige-nerali turchi e dà a sua volta ordini all’addetto a dueenormi tamburi, posto in una sala lontana.
Così il futurismo, «parola d’ordine di tutti gl’inno-vatori o franchi-tiratori intellettuali», gesto inizialeche — ben prima di Breton e dei surrealisti — accor-cia la distanza tra le parole e crea immagini splendi-de e inattese, questa istigazione a trasformare la pa-gina in un libero campo di forze, produrrà in giro peril mondo fogli dalla fantasiosa impaginazione, va-riantidella «multiformeprospettiva emozionale»vo-luta da Marinetti, come le «poesie in cemento arma-to» di V. Kamenskij, dove lo specchio della pagina è
divisoin spicchiautonomiditesto,o alcunetavolepa-rolibere giapponesi dove, accanto ai tradizionaliideogrammi (in verticale), troviamo i «Bruuuun»onomatopeicia caratteri latini (e orizzontali), o il tri-pudio di lettere in libertà sulle pagine della comme-diatransmentaleLidantjuil farodiZdanevic,o laco-pertina diEnavantDadadi Huelsenbeck con la suaillusoria fuga prospettica di parole. Un debito nonsempre riconosciuto.
Nel ‘29, su ReD il boemo K. Teige fa am-menda di un decennio di reticenze sul futu-rismo: sulla copertina campeggia Mari-netti in posa declamatoria in un dise-gnodiHoffmeister,ma labandaros-sa di colore che lo copre come unatogasvela in trasparenza sottoai suoi piedi uno sgabellocon due scarpette postic-ce, per guadagnarequalche centimetro.
G I U SEPPE D I ERNA
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ACHILLEBONITO
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©RIPRODUZIONERISERVATA
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LEIMMAGINI
LIBRI EMANIFESTIFUTURISTI:
DALLAPOLONIA(SOTTOASINISTRA)
ALL’ARGENTINA(QUIADESTRA).
ALCENTRO, “FUTURISMO
ERIVOLUZIONE”DELRUSSO
NIKOLAJGORLOV
CONSOPRAALCUNIIDEOGRAMMI
DA“FUTURISMOESPRESSIONISMO
DADAISMO”DELGIAPPONESE
TAIKANBARA
ILLIBRO
“FUTURISMINELMONDO”
DICLAUDIASALARIS(GLIORI,
1233PAGINE, 100EURO), SECONDO
VOLUMEDIUNAENCICLOPEDIA
INAUGURATATREANNIFA
CON“RIVISTEFUTURISTE”,
ÈORAINLIBRERIA.DAQUI
SONOTRATTETUTTELEIMMAGINI
PUBBLICATEINQUESTEPAGINEDalGiapponeall’Argentina,
dallaRussiaall’Egitto, inunlibro
comeeperchéilmovimento
diMarinetticonquistò
(velocissimamente)ilmondo
Repubblica Nazionale 2015-10-11
la RepubblicaDOMENICA 11 OTTOBRE 2015 36LADOMENICA
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“THEWALK”,PERLAREGIADIROBERTZEMECKISECONJOSEPHGORDON-LEVITT (“INCEPTION”,“ILCAVALIEREOSCURO”)NELLAPARTEDIPHILIPPEPETIT,GIÀUSCITONEGLISTATIUNITI,SARÀPRESENTATOALLAFESTADELCINEMADIROMA (16-24OTTOBRE)LUNEDÌ19
“Erounpessimostudente: a sedicianniho iniziatoacamminaresullecordeenonhopiùsmesso”
NEW YORK
«IL MOMENTO PIÙ IMPORTANTE fu quando iniziai a camminare. Quello era ilpunto di non ritorno, l’inizio della “passeggiata”, l’istante che aspetta-vo da sei anni e mezzo». Gli occhi di Philippe Petit sembrano illuminarsiquando, seduto nella hall del Bowery Hotel, ricorda quella mattina diun’estate lontana (era il 7 agosto 1974, di lì a pochi giorni avrebbe com-piutoventicinqueanni) in cuirealizzòquellochesembrava unsognoim-possibile, un’impresa ai confini della realtà. Lui lo chiama «le coup» maè passato alla storia come «theWalk». Colpo (del secolo) o passeggiata(con la maiuscola) che sia, fu un evento straordinario e irripetibile. Pertre quarti d’ora Philippe camminò avanti e indietro (otto volte in tota-le) su un cavo sospeso a quattrocento metri d’altezza tra la torre sud equellanord, le famose Twin Towers di NewYork raseal suolo ventisette
anni più tardi dai terroristi di Al Qaeda. E oggi, a distanza di quarantuno anni, quella storia è diventaunagrandefictionin 3D—TheWalk,appunto—firmatadalregistaRobertZemeckis(inItalia l’antepri-ma del film è in programma alla Festa del Cinema di Roma il 19 ottobre).
Cosa le torna in mente ripensando a quella mattina?«Mi vengono in mente moltissime cose, dipende cosa voglio ricordare. La “passeggiata” fu il risultato
diseianni disogni edi preparazione —vivevo ancora inFrancia —poi gliotto mesidi lavoro aNewYork,la corsa contro il tempo, le strategie, le bugie e i trucchi per portare e nascondere gli attrezzi in cima alletorri. Una grande avventura. Di quella mattina all’alba ricordo praticamente tutto».
Come ha fatto a diventare l’uomo che camminasu un filo?«Ci sono volute diverse fasi, e nella prima ero an-
cora un bambino. Iniziai a sei anni a provare i gio-chi di prestigio, ero affascinato dai trucchi dei ma-ghi.Allora nonc’erano videoo internet,ho impara-to tutto da solo, grazie a un libro che mi feci regala-re dai miei genitori per Natale».
Davvero non ha avuto alcun maestro?«A quell’età no, come tutti i bimbi avrò visto
qualche mago in azione. La cosa che ricordo conprecisione è la vetrina di un negozio e una grandescatola per fare le magie. Chiesi a mia nonna di re-galarmela,anchequellofuunregalodi Natale.Gra-zie a quella scatola magica ho imparato le manipo-lazioni, l’uso delle dita, i primi trucchi».
La seconda fase?«Inizia a quattordici anni. Ho imparato a fare il
giocoliere, fu il diretto risultato — e viceversa —dellapassione per lamagia e i trucchi dei prestigia-tori.Facendo ilgiocoliere sviluppi lasensibilità del-le mani, impari a bilanciare i gesti, a muovere congrande equilibrio il tuo corpo. Ero sempre autodi-datta, ma ho iniziato ad andare spesso al circo o ateatro,per rubareitrucchi deglialtri.Cosìho impa-rato l’arte di camminare sul filo, che già da piccolomi affascinava molto. Provavo a camminare sui ra-mi degli alberi, in bilico sulle pietre, è stato un pro-cesso naturale».
Quando è finito?«A sedici anni, terza e ultima fase. Ho imparato
a camminare sulle corde o sul filo da solo. Da alloranon ho più smesso».
È vero che era un pessimo studente?«Verissimo.Nonmipiaceva studiare, imieigeni-
tori mi hanno cambiato diverse scuole, sono statoanche espulso da un paio di istituti. Ero troppo pre-so dai giochi, dai passatempi, dalle magie. E dal de-siderio di camminare su un filo».
Con i suoi compagni come andava?
«Tra loro ero molto popolare, ero bravissimo aborseggiare, si divertivano come pazzi quando fa-cevo sparire l’orologio dal polso di un insegnante oaltri trucchetti in classe».
Ha paragonato il borseggio a un’arte.«Esatto, uno dei miei ultimi libri, pubblicato per
orasoloinFrancia,sichiama proprioL’artedelbor-seggio. È un bellissimo libro illustrato, ho raccoltodisegni, foto e illustrazioni sul borseggio fin daquando avevo quindici anni, ne ho una grandissi-ma collezione».
Epensa chel’artistasiaancheunasorta dicrimi-nale, giusto?«È vero, ed è l’argomento del mio ultimo libro
(Creatività, il crimine perfetto, in Italia per Pontealle Grazie, ndr). Non parlo tanto di illegalità,quanto di ribellione, io ho passato la mia vita a mo-dellare questo spirito ribelle, era l’unico modo perfare quello che ho fatto. Mi piace violare le regole,anche le mie, quelle che mi impongo».
A sessantasei anni è ancora un ribelle?«Pensodisì.Nonho concessoquasinullaal“com-
mercio” della mia arte, non mi interessano i soldi,non ho ancora quella che nello show-business è de-finita come carriera, non ho un team di consiglieri,pubblicitari, uffici stampa, lavoro soltanto con Ka-thy, la mia partnerche mifa daproducer, misentoancora uno spirito libero, il giocoliere di strada ille-gale».
La sua storia adesso è diventata grande cine-ma. Cosa pensa del film di Zemeckis?«Il film è bello, mi ci riconosco, anche se ovvia-
mentenonèilmio filmcome nonlo era ildocumen-tario che vinse l’Oscar nel 2009 (Man On Wire,ndr) dove c’erano diverse cose su cui non ero d’ac-cordo».
Di questo non le è piaciuto qualcosa?«Dopo averlo visto due volte devo dire che è fat-
toveramente bene,epoic’èquesto attorestraordi-
ASCUOLAICOMPAGNISIDIVERTIVANOCOME
PAZZIQUANDOFACEVOSPARIREL’OROLOGIODALPOLSODIUNINSEGNANTEOPROVAVOIMIEITRUCCHI INCLASSE.EROBRAVISSIMONELBORSEGGIO
La fiction, 2015Joseph
Gordon-Levittnel film
“TheWalk”
Spettacoli.Sulfilo
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la RepubblicaDOMENICA 11 OTTOBRE 2015 37
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SCOLPIREILMIODESTINO,STUDIAREOGNIASPETTOTECNICO,TROVAREIMIEILIMITICERTO,ÈSEMPREMEGLIONONGUARDAREDISOTTO
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L’uomocheriempieivuoticonchilometridibellezza
©RIPRODUZIONERISERVATA ©RIPRODUZIONERISERVATA
GABR I E L E ROMAGNOL I
nario che mi interpreta (Joseph Gordon-Levitt,ndr): io gli ho insegnato come si cammina su un fi-lo, ma lui ha imparato benissimo. Fra l’altro parlaperfettamente il francese e rende molto bene ilmio accento quando invece parlo in inglese. Nellascena-madre, quando inizio a camminare tra leTwin Towers, il regista è stato straordinario: mo-stra esattamente quello che ho fatto e grazie allatecnologia lo spettatore sembra davvero che stiaaccanto a me sul filo».
Quindi, neppure una critica?«Ci sono solo pochi dettagli in cui non mi ricono-
sco, ma li accetto perché fanno parte del lavoro delregista, del suo modo di raccontare una storia».
Quali sono?«Per esempio ha unificato in un solo personag-
gio quelle che nella realtà sono tre diverse perso-ne. Oppure quando durante la passeggiata la cor-da vibra e sembra che io sia sul punto di cadere».
Non è vero?«No, ero in perfetto equilibrio, il cavo era ben te-
so. Ma capisco perfettamente anche questo, Ze-meckis in quel momento del suo racconto aveva bi-sogno di un po’ di suspense hollywoodiana».
Ha mai avuto paura?«Nella vita a terra sì, ho un sacco di paure. Quan-
do sono in cielo no, la paura c’è quando manca ilcontrollo, la conoscenza. Prima di salire su un filoio ho imparato tutto quello che succede da unpunto di vista tecnico. Sempre meglio nonguardare di sotto però».
Èstato definitofunambolo, giocoliere, arti-sta, uomo da circo, genio. Lei come si au-todefinisce?«Un artigiano, un appassionato arti-
giano.Mipiacecostruire cose,mette-re il mio corpo in azione, scolpireil mio destino, trovarei miei limiti. In questo
senso non mi considero un camminatore sul filoma una sorta di regista teatrale che ha come palco-scenico il cielo».
È vero che sta costruendo un fienile a Catskill,accanto alla casa in cui vive, nella campagna anord di New York?«Un piccolo fienile, sì. L’ho iniziato da diversi an-
ni e ho deciso di usare gli attrezzi e i metodi che siusavano a metà dell’Ottocento, quello che in ingle-se si chiama timber framing (intelaiature tutte inlegno a incastro, ndr). Non avevo mai costruitonulla prima, ho iniziato a leggere libri sulla costru-zione e mi è capitato un libro sui metodi usati aquell’epoca. E visto che mi ritengo un artigiano emi piace l’approccio manuale…».
Continua ad allenarsi?«Tre ore al giorno, l’attività fisica è molto impor-
tante e oggi, a sessantasei anni, mi sembra di ave-re raggiunto il top».
Philippe Petit avrà mai un erede?«Lo spero, amo insegnare, e mi dicono che sono
anche un bravo maestro. Ho fatto dei workshop aBrooklyn, solo sei studenti, divisi in tre gruppi perdue giorni di lavoro. Ogni tanto vado a insegnarenei circhi, mi piace creare spettacoli teatrali».
Ha qualcosa in cartellone?«Un one man show in un piccolo teatro ma con
un grande successo. È un work in progress in cuifaccio di tutto: giocoliere, mago, attore...».
E il filo?«Per ora lo spettacolo è wireless, ma l’impresa-
rio mi ha già detto di metterlo in conto: in fondo èquello che vuol vedere il pubblico».
La prossima impresa? Ci sarà un altro “coup”?«Sa cosa? Mi piacerebbe fare una passeggiata
nel cielo dell’Isola di Pasqua. È molto tempo che cipenso e so che devo ancora lavorarci molto. Ma pri-ma o poi la farò».
Intervistaal funambololacui“passeggiata” incieloèdiventataunfilm.Cheoraarriva in Italia
I LIBRI
ASINISTRA, LETWINTOWERS INUNDISEGNODIPETITTRATTODALSUOLIBRO“CREATIVITÀ.ILCRIMINEPERFETTO”EDITO IN ITALIADAPONTEALLEGRAZIECONCUIHAPUBBLICATOANCHE“THEWALK”E “TRATTATODI FUNAMBOLISMO”.QUIACCANTO,PETITOGGIASESSANTASEIANNI
La realtà, 1974PhilippePetitdurante“thewalk”tra leTwinTowers
ACHE COSA SERVE UN’AURORA BOREALE?A niente. E allora perché così tante persone siaffaticano (spostandosi, spendendo, restando sveglie) pur di vederne una, pur diconservare dentro di sé il ricordo di qualcosa che è unico, che esce da ogni canoneo regola? È la bellezza, bellezza. Non è che serva: semplicemente, è indispensabile.Fa respirare. L’arte è ossigeno, chi la produce dà fiato anche a te, digli di
continuare. Uno di quelli che lo fanno si chiama Philippe Petit. Ha scelto un modo raro perriuscirci: è diventato un funambolo. Ha percorso sul filo una distanza pari alla circonferenza dellaTerra. Di quei quarantamila chilometri ce ne ha regalati un paio, forse meno.Trentanovemilanovecentonovantotto chilometri (anche il numero è lungo, come un cavo teso)di allenamento sono serviti per quei due scarsi in cui ha attraversato il vuoto tra due guglie o due
torri riempiendolo di meraviglia. Noi abbiamo visto quello 0,005 per cento, luiconosce tutto il resto. Predica la gioia alla luce del sole, coltiva la sofferenza alriparo dagli sguardi. Petit è un uomo strano, un cartone animato di quellidisneyani, prima che la Pixar li tormentasse con la psicologia. Crede
nell’impossibile con più fiducia che fede. È pre-fanciullesco e post-anziano. Segli chiedi che cosa fa veramente ti risponde: collego cose. Vede tratti, corridoi,
opportunità che agli altri sfuggono, ma mica per questo non esistono. È unesibizionista provato dai fatti e dalla vita. Riesce a trovare l’universo in un nodo, a
rispettare una corda, cambiare significato alla parola illegalità. Ora che il tempo sifrappone alle sue passeggiate sul nulla, scrive, parla, vive, con la stessa improbabilearte. A tratti, senza preavviso, splende, indispensabile come un’aurora boreale.
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la RepubblicaDOMENICA 11 OTTOBRE 2015 38LADOMENICA
Sapori.Distagione
Pulire i porcini e tagliarli sottili. Mettere l’amaranto inuna padella già calda, incoperchiarla e far scoppiarea mo’ di pop corn, levare dal fuoco, condendo con po-
co sale e un filo di extravergine. Incidere le castagne e pas-sarle al microonde a massima potenza un minuto, sbucciar-le e affettarle sottili. Per la brioche, impastare gli ingredien-ti fino a ottenere una massa omogenea, da far lievitare co-pertada uncanovaccio finoa raddoppiare.Dividereinpic-cole sfere della dimensione di una noce, far lievitare nuo-vamente e friggere in extravergine abbondante. Impiat-taredalla briochetagliata a metà,adagiaresopraunafet-tina di burro salato, le castagne, tre cucchiaiate di ricottaeiporciniconditicon saleedextravergine, infinel’amaran-to. Per decorare, erbe di campo.
ARCHIVIATAL’ESTATEECCOIFRUTTICHECRESCONOSOPRAESOTTOMADRETERRASPONTANEIEODOROSIESALTANOPASTEEMINESTRE,CREMEELIQUORIPERFARCIENTRARENELL’INVERNOINPUNTADIPIEDI
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Laricetta.Lamia “insalata” di porcini e castagneda servire conunabrioche salata
LOCHEF
ALFIOGHEZZIGUIDA
LACUCINADELLA
LOCANDAMARGON,
RISTORANTE
STELLATO
DELLAFAMIGLIA
LUNELLI
(SPUMANTI FERRARI),
DECLINANDO
CONSAPIENZA
ISAPORI
DEIBOSCHITRENTINI
L I C I A GRANEL LO
VIENI,CANTAVA QUELLO, C’È UNA STRADA NEL BOSCO.Che fosse un invito alla trasgres-sione,o la condivisionediun percorsoecologico (allora, però,meglio il sentiero),intrufolarsi sotto le chiome ancora frondose tra i chiaroscuri del sole, o accompa-gnati da un vapore di pioggia, resiste nel tempo, come una bellissima tentazio-ne. Certo, il clima aiuta. Dove la lunga coda dell’estate ancora regala temperatu-remiti egiornate asciutte,è facile subire il fascino dell’autunno là dovelo collocal’immaginario collettivo, in un tripudio di bacche e castagne, zucche e tartufi.Nel gioco delle coppie, estate e inverno sono stagioni estreme: luce e buio, caldoefreddo,tutto spoglioe vegetazionetrionfante, il silenziodinebbia enevee ilvo-ciaresfacciatodellespiagge. Perfinoi saporisi mostrano senzasfumature: gelatiesautée di vongole da una parte, zuppe estufati dall’altra. Due momenti dell’an-no che ammettono pochi tentennamenti: spesso, chi ama l’una detesta l’altro e
viceversa. Il gioco di primavera e autunno, al contrario, è sottile, intrigante, rapinoso. Nulla è dato per scon-tato,dall’abbigliamento agliumori,nelle stagionidove contanole sfumature, i suoni attutiti, i sapori delica-ti. Si esce dall’inverno con un moto di energia, scrollandosi di dosso freddo e malumori, felici e rigeneratidai primi tepori. Si entra nell’inverno in punta di piedi, ancora protetti dal sole e dal riposo estivo (per chil’ha avuto), cercando gli ultimi spicchi d’estate in una tarda gita al mare, godendosi la bicicletta in città, or-ganizzando una passeggiata in campagna, per esorcizzare il tempo corrucciato che verrà. A differenza del-le coltivazioni seriali, il bosco non garantisce altro che produzioni spontanee al cento per cento. Hai voglia aimpiantarefungaiee tartufaiea imitazionediquelle create da madre natura. I tartufi piùprofumati, iporci-ni più sodi, i marroni più saporiti sono quelli che cli-ma e terreno regalano, insofferenti alle forzaturedell’uomoe ai suoimagheggi. I primi acompiacerse-ne sono i bravi cuochi, che trovano materia fresca eselvaggia(o quasi)da maneggiareconsapiente cau-tela gastronomica, per non rovinare i piccoli capola-vori cresciuti sopra e sotto terra.
Quest’anno, a sorridere sono soprattutto i viticol-tori. L’estate calda e un inizio d’autunno tiepido easciutto hanno concentrato zucchero e salubrità ne-gli acini, ridotto i trattamenti ai minimi e prolunga-to fino a questi giorni la vita dei grappoli delle varie-tà tardive sulle piante — Nebbiolo in primis — allastregua di trent’anni fa. Speculare e rovesciata, co-me sanciscono le regole auree dell’agricoltura, lacondizione di funghi e tartufi, che invece necessita-no di sbalzi di temperatura e umidità per prospera-re. Ma se una pioggia abbondante è sufficiente agonfiare le cellule di ovuli e spugnole, i tartufi pre-tendono tempo e clima amico per svilupparsi. Così, i
primissimi menù dedicati e le fiere annunciate sonostrangolati da prezzi altissimi (manca la quantità)a fronte di una qualità altalenante. Più facile e senzabrutte sorprese la raccolta di bacche e radici, cachi enoci. A fine giornata, stanchi ma felici, una fetta ditorta senza farina— solo pasta di nocciole, burro,cacao e zucchero — con un bicchiere di Moscato d’A-sti (6 gradi alcolici) farà brindare all’autuno tuttiquanti, celiaci e astemi compresi.
INGREDIENTI PER 4 PERSONE:
4 PORCINI FRESCHISSIMI E BEN SODI
4 CUCCHIAI DI AMARANTO; 100 G. DI RICOTTA VACCINA
8 CASTAGNE; 40 G. DI BURRO SALATO
PER LA BRIOCHE:
250 G. DI FARINA; 120 G. DI ACQUA; 20 G. DI BURRO; 7 G. DI SALE
3 G. DI LIEVITO; 1 CUCCHIAINO DA CAFFÈ DI MIELE DI CASTAGNO
Intothewood.Funghibacche,castagneemieleifruttifreschidell’autunno
Repubblica Nazionale 2015-10-11
la RepubblicaDOMENICA 11 OTTOBRE 2015 39
NoccioleALTALANGA(PIEMONTE)Diffusaapartireda fineOttocento,la corilicolturasi èsviluppatalungo ledorsali traBormidaeTanaro.LaPreziosa, noccioladolceegentileIgp,èallabasedellacremagianduia
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ALLE PORTE DELL’INVERNO,unavalanga di profumi s’abbattesulla montagna, trapanando lenarici di uomini e animali, eubriacando a stordimento i cani
da ricerca. Le foglie danzano nei colori delmondo, la valeriana spira esalando il suo fiatomefitico, i cervi in amore raspano le radure conbramiti furenti. È il canto del bosco autunnaleche si prepara a dormire. Con quel saluto lanatura invita a porre attenzione, sta perarrivare qualcosa. Nell’aria si espandono i buoniodori delle cose. Prima di spogliarsi, sbadigliaree voltarsi al sonno, il bosco regala i suoi fruttiassieme alla terra che lo sostiene. Dopo lapioggia, i sapori escono da sotto le foglie, comebruchi nascosti. O cadono dall’alto, polvere ditarli laboriosi nell’estate passata. Se nonavessimo il naso consumato dai tanfi della vita edal dolore assimilato ad ogni respiro, quei fruttili potremmo trovare seguendone l’effluvio,come cani sulla traccia.
Appena piovuto la terra è tiepida, mandasegnali di fumo per dirci dove si trova la buonaroba. Si percepisce l’odore del muschiobombato dall’umido, ma i funghi lo sovrastanoche pare di mangiarli. Assieme alle bacchedolciastre dei lamponi, la rosa canina abbaia dalrovo. Bisogna camminare piano, a zig-zag,perché gli odori fanno le curve, scappano via.Per primo arriva alle narici il fiato delle noci cheescono dal mallo slabbrato come uccellini dalnido. E poi cadono in terra. Gli uccelli sono volatichissà dove. Le radure bagnate si gonfiano,mentre gli alberi si spogliano. Peri e meliliberano il profumo accattivante dei frutti. Chiha una certa età, ricorda tempi lontani, quandoai primi freddi pere e mele venivano cotte nelforno a legna e addolcite con un po’ di miele. Leviti selvatiche, abbandonate a se stesse,s’aggrovigliano mandando odori di mosto. Unmosto acre, privo di blasone, senza storia néimbottigliamento. E pure è là, dietro a quelmonte. Vien voglia di uva e vino. Si cercaannusando di imbatterci nella vite, come siannusa per trovare una vita migliore, spillarnequalche acino. Gli odori sono impalpabili come isogni. Quando si coglie il frutto, il sogno diventarealtà. Tutto in autunno si basa sui profumi. Ilcervo va in amore e sa di mandorla e la femminasegue quel bramito fruttato. Come il camoscioche però si infiamma a novembre. Entrambi sifanno sentire da lontano. Il tartufo sta nascosto.A stanarlo serve il cane, ma solo per fretta,evitare perdite di tempo. Si potrebbe trovarloda soli. Dove dimora il tartufo spira un ventozolfato, da radura in fermento. Basta fiutarel’aria, annusare il terreno, osservare gli alberiintorno circondati dal vento speziato. Almenocosì sembra, bisogna provare. L’autunno è laforza delle narici prima ancora degli occhiperduti nei colori. Le narici si dilatano comefroge di cavalli, ascoltano. Profumi, odori, afrorisono il regalo dell’autunno, dei boschivariopinti, delle ombre radenti.
La terra prima del sonno invernale èfragranza umida. Un tempo lontano, quando gliuomini avevano nasi da sopravvivenza, gli odorierano segnali per trovare le buone cose edevitare le cattive. Diquelremotoolfattoèrimastoqualcosaaisommelier,quandoaffondanoleproboscidineibicchieripersentirenelvinofragolinedibosco,tabacco,cuoioeidrocarburi.Masetraversanounboscod’autunnononsentonol’odoredellaviteselvaticachesasoltantodinaturaetempoandato.
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Repubblica Nazionale 2015-10-11
la RepubblicaDOMENICA 11 OTTOBRE 2015 40LADOMENICA
LUCA VALTORTAMILANO
OCCHIALI NERI, CAMICIA DI JEANS NERA, maglietta nera, pantaloni neri,scarpenere, giubbotto nero.Ordina uncaffè.«È il sestoche bevo og-gi». E sono solo le undici del mattino. Ma il viaggio da Parigi a Mila-no è iniziato presto. In ricercato look minimal chic e con un modomolto francese di essere sgualcito e al tempo stesso decisamente
charmant, Jean Michel Jarre è uomo da record. A cominciare dal suo Oxygene(1977), uno degli album francesi più venduti di sempre. «E pensare che nessunacasa discografica lo volle: a pubblicarlo fu la piccola Disques Dreyfus, il proprieta-rio era il marito di una mia amica». Vendette quindici milioni di copie in tutto ilmondo(due inFrancia),altrisessantacinquemilioni sono idischi(tra albumesin-goli) venduti durante tutta la sua carriera. Jarre occupa anche cinque posizioni suventi nel Guinness dei primati per i più grandi concerti della storia, con un difficil-mentebattibile primopostoper il livea Moscadel1997 (tre milioni emezzodiper-sone) e un terzo a Parigi per il bicentenario della Rivoluzione francese (due milio-ni e mezzo). Per lui i live sono come una performance di “land art”: «Da bambinoero ossessionato dal circo, da come trasformava i luoghi per una notte e questo èesattamente ciò che mi interessa fare con i concerti: dare una vita diversa a luo-ghi brutti come certe periferie o belli ma morti come i grattacieli». Ma so-prattutto Jarre è uno dei pionieri della musica elettronica e tra i fondatoridigeneri comel’ambient, la new age, il synthpop e latrance.Ha suonatoaHouston per il centocinquantesimo anniversario della Nasa, creato stru-menti incredibili come una spettacolare, gigantesca arpa laser ed è stato
forse il primo in assoluto a contaminare la musica elettronica conil mondo arabo nel 1988 con il discoRevolutionsma anche a lan-ciareprovocazioni comel’albumMusicforSupermarketsrealizza-to in una sola copia venduta all’asta.
Eppure, dopotanti anni nel mondo della musica, è ancora pieno dipassione. Si arrabbia con i colossi della Silicon Vallej. «Sfruttano imiei contenuti, i tuoi contenuti: lamusica, il giornalismo, l’infor-mazione, la scrittura, le foto, i video. Tutte queste cosenon sono mai state così popolari nella storia, non hannomai generato così tanti soldi. Non per gli autori, però,che non hanno mai guadagnato così poco». Ha in mentesoluzioni: «Io sono presidente del Cisac, la Confederazio-ne internazionale delle società di autori e compositori,un’associazione non profit nata proprio per difendere i diritti degli
autori. Ilvalore diSpotify oggi è didiversi miliardi didollari a Wall Street ma un ar-tista in media ne ricava la cifra per comprarsi una pizza alla fine dell’anno. Siamopiù forti di quello che pensiamo: i creatori di contenuti, uniti possono scuotereWall Street. Quando succederà, vinceremo, non c’è dubbio. Dobbiamo fare le Na-zioni Unite dei creatori di contenuti tra un anno, un mese, una settimana!».
La musica era da sempre inscritta nel suo destino. «Un’ossessione. Ho fatto stu-di classici ma avevo un insegnante di piano che rendevo pazzo perché non appenaimparavo un brano volevo cambiarlo. Lui odiava questa mia attitudine e io lo odia-vo perché lui mi impediva di suonare come volevo». Era già una sorta di ragazzoprodigio. «Tutt’altro. A sei anni avevo scritto sui muri della mia camera “Odio ilpiano,odio il mio insegnante di piano, odio tutto questo”. Poi le cose andaronome-glio. Ho creato una rock band e un giorno il batterista mi disse: “dovresti incontra-re uno che è un matto, si chiama Pierre Schaeffer”». E così nel 1969 Jean MichelJarre entra nel suo Group de Recherches Musicales: finalmente la sperimentazio-ne. «Mi ha cambiato la vita. Avevo trovato qualcuno che, come me, pensava che lamusica non fosse fatta solo di note o solfeggio o armonia ma di suoni! Per me la dif-ferenza tra rumore e musica è l’intenzione del musicista. Schaeffer era un pionie-re della ricerca elettroacustica, inventò tutto: il sound processing, il sound design.Prima dovevi limitarti ai suoni creati da strumenti costruiti dall’uomo e suonatida un’orchestra, e almassimo mixare timbri e texture già esistenti, maadesso po-tevi basare la tua musica su tutti i suoni dell’universo». Schaeffer è considerato ilcreatore della “musica concreta”. «Sì, è da lì che si arriva all’elettronica — proba-bilmente il genere più popolare oggi nel mondo. E viene dall’Europa: Russolo inItalia, Pier Schaeffer e Pierre Henry in Francia, Stockausen in Germania non han-no niente a che vedere conla musica americana, conil jazz, il bluese il rock. La mu-sica concreta deriva dalla trazione musicale classica: lunghi pezzi strumentali chenon hanno il formato della canzone pop anche se volendo possono diventarlo».
Jarre è anche considerato il padre della cosiddetta “ambient music”. Insieme aBrian Eno, giusto? «Quando io ho iniziato a suonare Brian Eno non aveva nulla ache fare con l’elettronica; era nella scena rock pop con i Roxy Music. Arrivò moltopiù tardi facendo cose su cui nell’Europa continentale si lavorava da almenovent’anni.Eno esisteperché primacisiamo statinoi,maè semprestatomoltobra-vo a mettere delle parole per vendere concetti che esistevano già». Il suo accentofrancese a questo punto sembra essere più calcato. «Non voglio dare lezioni a nes-suno né intellettualizzare troppo la cosa, ma anche il progetto in cui sono impe-gnato adesso,Electronica1: The TimeMachine, nasce proprio da qui: festeggiareconartistida cui sonostato ispiratoo che sonostati ispirati da mee che rappresen-tano due decadi di musica elettronica. Da Boys Noize, un ragazzo che viene dallascena techno di Berlino, fino ai Tangerine Dream e agli Air». Ma anche Laurie An-derson,Moby,Massive Attack,Vince Clark(DepecheMode) epersino Pete Town-shend, il pianista Lang Lang e il regista e compositore John Carpenter. «E infattiseguirà un Volume 2 con altrettanti nomi, tra cui quelli di Gary Numan e DavidLynch — lo so non dovrei dirlo, pazienza. Non sono semplici featuring, come va dimoda adesso, con ognuno di loro ci siamo incontrati fisicamente, abbiamo parlatoe suonato. È stato come un viaggio iniziatico incontrare tutte queste persone».
Anche il padre di Jean Michel Jarre era un famosissimo compositore. «I miei ge-
nitorisisonolasciatiquando ioavevo cinqueanni.Hosentito moltolasuamancan-za. Sono venuti a mancare entrambi cinque anni fa, e adesso non ho più risenti-menti. Mio nonno mi ha fatto da padre e mi ha sicuramente influenzato. Suonava
l’oboe ed era anche un inventore: ha creato uno dei primi giradischi con lospeaker incorporato e una delle prime consolle per mixare».
Altro capitolo, le donne. Bellissime. Charlotte Rampling, per esempio.«Sono solito dire di aver sposato la mia fantasia. Ero nel Sud della Franciaper riposarmi e attraverso un amico avevo saputo che anche lei stava lì:l’ho invitata a cena e da quel momento siamo stati insieme. È un’attrice e
una donna straordinaria. Abbiamo tre figli e anche se siamo separatisiamo rimasti molto vicini: è la ex-moglie della mia vita». E Anne Pa-rillaud? «Ho appena divorziato anche da lei. È stata una delle peg-giori esperienze che mi siano mai capitate. Credo che farò una pau-sa con le attrici». Sì, pausa. Fuori le campane battono il mezzogior-no,Jarresialzadallapoltronaperandareadaddentareuntramezzi-no. Meglio parlare di musica: «Il momento più bello della mia vitada artista è stato il mio primo concerto a Parigi, in Place de la Con-corde, 1979. Fu una cosa completamente inaspettata: quando coltour manager andammo sul palco, verso il tramonto, in direzioneChamps-Élysées, vedemmo un’area tutta nera. Pensavamo che fos-se un riflesso, poco dopo ci rendemmo conto che era la folla. Eppurela cosa era nata con un progetto underground, non c’era stata pro-mozione in tv o alla radio, solo un passaparola. Alla fine c’erano unmilione di persone. Persino Charlotte rimase bloccata dalla folla.
Riuscìad arrivaresolamentepassando sottoterra,attraverso leca-tacombe. Dopo il concerto venne uno strano tipo dietro il palco,aveva una barba lunghissima, sembrava Fidel Castro, e mi dis-se: “Hey man, non ho mai visto niente del genere”. “Sai chi eraquel tipo?” mi chiese poi il manager. Non ne avevo idea. “Beh era
Mick Jagger”. Mi ci volle quasi un anno per riprendermi».
Innovatore (“la musica ambient l’ho inventata io, Brian Eno si
metta il cuore in pace”) ma popolare (ha il record per il concerto
con il maggior numero di persone: tre milioni e mezzo a Mosca).
Ribelle da sempre (“a sei anni ho scritto sul muro: odio il mio pro-
fessore di pianoforte”) è ancora pieno di passione (“basta con le
major: dobbiamo fare le Nazioni Unite dei creatori di contenu-
ti!”).Nondimostraneanchelontanamenteisuoisessantasettean-
ni, e non a caso ha avuto donne
bellissime: da Charlotte Ram-
pling (“ho sposato le mie fanta-
sie”) a Anne Parillaud: “Lasci
stare,abbiamo appenadivorzia-
to. Per un po’ basta attrici”
LAMUSICA, ILGIORNALISMO,L’INFORMAZIONE,LASCRITTURA,LEFOTO, IVIDEONONSONOMAISTATICOSÌPOPOLARIENONHANNOMAIGENERATOCOSÌTANTISOLDIMASOLOPERLEAZIENDE,NONPERGLIAUTORICHENONHANNOMAIGUADAGNATOCOSÌPOCO
JeanMichel
©RIPRODUZIONERISERVATA
DABAMBINOEROOSSESSIONATODACOMEILCIRCOTRASFORMAVA
ILUOGHIPERUNANOTTE.ÈCIÒCHEFACCIOCONIMIEI
CONCERTI:DAREUNAVITADIVERSAACERTEPERIFERIEOAPOSTI
BELLIMAMORTICOMEIGRATTACIELI
ALLAFINEARRIVÒUNTIPOCONUNABARBACOSÌLUNGACHEPAREVAFIDELCASTRO.MIFA:HEYMAN,NONHOMAIVISTONIENTEDELGENEREINTUTTALAMIAVITA.ERAMICKJAGGEREIONONLOAVEVORICONOSCIUTO
Jarre
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L’incontro.Pionieri
Repubblica Nazionale 2015-10-11