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RIPENSARE IL FUTURO
IN CONTESTI CONNOTATI DALL’INCERTEZZA:
LA VOCE E L’ESPERIENZA DELLE IMPRESE.
Sintesi della ricerca qualitativa
realizzata nel periodo da dicembre 2012 a marzo 2013
a cura di
Donatella Barberis e Rossella Elisio
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Indice:
Introduzione pag. 3
Metodologie e Panel per le interviste pag. 4
Ipotesi di riferimento pag. 5
Gli esiti della ricerca
Cosa dicono le imprese della crisi pag. 6
1. Il primato della conoscenza, le competenze e la strumentazione di bordo pag. 10
2. Le reti collaborative nella catena del valore pag. 19
3. Nuova empatia con il Cliente per ripensare l’offerta pag. 23
Conclusioni. Per un futuro possibile
pag.
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Composizione panel della ricerca
pag.
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Bibliografia pag. 29
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Introduzione Il contesto socio-‐economico dal 2009 ci impone un confronto continuo con la dimensione dell’incertezza collegata alla crisi economica, che appare nella sua piena gravità poiché non riducibile a una fase contingente e passeggera; si deve infatti guardare alla crisi come un cambiamento forse irreversibile del modello economico e del modo che conosciamo per produrre e stare sul mercato, e il suo perdurare ha già richiesto a tutti gli attori -‐imprenditori, sindacato, governo, lavoratori...-‐ lo sviluppo di riflessioni e di conseguenti azioni sul piano operativo.
La comunicazione dei media molto centrata sulle questioni legate alla finanza, il mondo delle borse e delle quotazioni, sui numeri dello spread e del valore dell'euro, appare lontana da quanto si sta facendo o si può fare a livello delle realtà produttive, organizzative e sociali.
Inoltre le misure straordinarie messe in atto dai governi – quello che abbiamo avuto e quelli che verranno – richiedono, comunque, ponderate valutazioni degli impatti e traduzioni specifiche, sul piano concreto e quotidiano, delle modifiche che sono proposte/imposte a tutte le componenti del sistema produttivo e sociale.
In questo quadro, sollecitate anche dall’incontro pubblico organizzato da Car Server – soluzioni per flotte aziendali – e dal Sole 24 Ore abbiamo realizzato una ricerca qualitativa con l'obiettivo di dar voce e ascoltare il punto di vista degli imprenditori e dei manager , che in vari e differenti settori si misurano con le difficoltà e le incognite di un contesto ben poco prevedibile.
Seguirà nei prossimi mesi, un rapporto finale di ricerca, in cui riprenderemo temi e problemi emersi nelle interviste e nelle riflessioni che ne sono seguite che, per esigenza di sintesi e di tempi non abbiamo potuto includere nel presente documento.
L’esplorazione realizzata permette di conoscere esperienze attualmente in corso in termini di azioni messe in campo e di prefigurazioni a cui si fa riferimento e, al tempo stesso, di individuare progetti ritenuti utili e funzionali per costruire e sostenere prospettive di futuro e per attrezzarsi a fronte delle difficoltà che si incontrano.
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Metodologia e Panel per le interviste
Nel realizzare la ricerca ci siamo orientate entro alcune scelte metodologiche e alcune ipotesi di riferimento, valorizzando l’esperienza pluriennale dello Studio APS, nella ricerca, formazione e consulenza organizzativa, trasversale al settore delle imprese, al mondo dei servizi pubblico e privato e del terzo settore.
Si è optato per una ricerca qualitativa, ipotizzando che sia interessante rilevare in modo specifico alcune idee e alcuni atteggiamenti che guidano le scelte degli imprenditori per poter avere indicazioni più dirette e suggestive sulle strategie adottate.
L’intervista individuale con ciascun interlocutore che si reso disponibile ha impegnato un tempo di circa un’ora e mezza , privilegiando una modalità semi-‐strutturata, in cui si sono alternati momenti di ascolto, finalizzati a raccogliere l’esperienza e il pensiero delle imprese in relazione alle ipotesi sopra descritte, e momenti di dialogo e di interazione fra ricercatrice e intervistato, in funzione dei contenuti emersi.
Il panel delle interviste si è configurato per la numerosità, circa 30 adesioni, e la varietà delle prospettive offerte come un campione significativo per lo scopo. Si è determinata una prevalenza d’imprese dell’ambito dei servizi, con la presenza di imprese di capitale e della cooperazione, e sono state raccolte testimonianze anche del mondo dell’industria, e delle istituzioni e del terzo settore; sono presenti nel campione anche organizzazioni associative di secondo livello ed esempi di imprese sperimentali e nuove nel panorama produttivo. Nel panel sono rappresentate imprese “native” della crisi e altre con una storia di maggiore anzianità.
Sono stati coinvolti imprenditori, manager e dirigenti, uomini e donne di età compresa fra i 30 anni e gli over 60 anni, tutti collocati in organizzazioni operanti nelle regioni dell’Emilia Romagna, Lombardia, Veneto e Piemonte.
Rispetto alla scelta delle organizzazioni coinvolte, ci siamo interrogate su come rendere rappresentativo il campione ai fini della ricerca: molte sono state individuate all’interno delle reti dei contatti attivi di natura professionale e successivamente è stato il desiderio di entrare in relazione con altre non conosciute, che ci ha condotto, sulla base di elementi di interesse e di curiosità connesse alla ricerca.
Si tratta pertanto di un gruppo che risulta omogeneo rispetto all’interesse dimostrato per la problematica ed eterogeneo per collocazioni e appartenenze, per sguardi e visioni sui contesti sia interni che esterni
Riprendendo una frase di Weick e Sutcliffe, potremmo dire anche noi: “se proponiamo di prendere tali organizzazioni come punto di riferimento non è perché esse possiedono la soluzione ma perché lottano continuamente per trovarla.” 1
1 Weick – Sutcliffe, 2012, pag. 3
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Ipotesi di riferimento
Per i contenuti della ricerca si sono assunte le seguenti ipotesi di riferimento.
La prima ipotesi è che sia utile indagare quale significato le imprese attribuiscano alla crisi e come esse si posizionino rispetto al significato di crisi come occasione di necessario e radicale cambiamento nel modo di produrre e stare nel mercato, o al contrario come interferenza temporanea cui reagire con azioni di efficientamento e massimizzazioni di processo-‐risorse.
Per le imprese è certamente vitale collegare le dimensioni e le istanze interne all’organizzazione (produttività, profitto, investimenti) con le differenti dimensioni di un contesto più ampio relative al piano ambientale, sociale, etico-‐valoriale, finanziario e più in generale alle questioni della sostenibilità. In momento di crisi tale connessione può essere diversamente governata.
Una seconda ipotesi è che nel caso si assuma la crisi come una modifica sostanziale di paradigma, anche le priorità nell’attuale agenda strategica e organizzativa delle imprese, vengano riviste e attualizzate alla luce di alcuni dati specifici e di analisi più generali sui fenomeni economici e culturali che attraversano i mercati e la società nel suo insieme
Una terza ipotesi, strettamente collegata al riordino delle priorità e alla lettura della crisi, è che sia necessario, per le imprese, prefigurarsi il ridisegno del contesto e del sistema di relazioni; questo implicherebbe una contaminazione fra mondi diversi come ad esempio, imprese, scuole, associazioni, fondazioni, enti locali e pubbliche amministrazioni, banche e istituti finanziari, cooperazione sociale; in sintesi l’esperienza di un dialogo e di azioni possibili fra mondo pubblico, privato e terzo settore. Una questione centrale, diviene la negoziazione e il governo delle priorità, degli obiettivi e dei valori fra i diversi portatori di interessi del nuovo, più allargato, contesto di riferimento.
Una quarta e ultima ipotesi è che le aziende che nonostante il momento d’incertezza, perseguano l’investimento e curino la relazione fiduciaria con le persone mantenendo costante attenzione al senso di ciò che succede, siano quelle che possono contare su un capitale sociale proattivo rispetto alla sfida proposta dal futuro. Il tipo di leadership, l’attenzione alla comunicazione, la promozione di logiche collaborative e trasversali, l’investimento relazionale e la costruzione di nuove alleanze sembrano essere elementi chiave per coltivare un capitale sociale diffuso e in grado di assumersi collettivamente responsabilità nei confronti del futuro. Tali aspetti sembrano essere collegabili a un approccio che valorizza la differenza di genere nel management d’impresa.
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Gli esiti della ricerca
Cosa dicono le imprese della crisi Cosa sta succedendo nelle imprese da quando la crisi, dall’essere avvertita lontanamente, si è imposta come un fattore di realtà quotidiana, rivelandosi nella velocità e nella pervasività degli impatti? Il clima e il sentimento d’incertezza connotano diffusamente tutti gli ambiti che stanno reagendo alla crisi in modo differente. Rispetto alla domanda sul significato della crisi, le risposte sono state diverse e ne riportiamo alcuni esempi:
“La crisi apre vuoti e orizzonti; nei vuoti c’è una grande potenza generativa” “Quando le cose vanno bene si apre il rischio di procedere per automatismi: ti illudi che vada bene sempre” “La crisi pone l’esigenza di rinnovamento, ma non necessariamente di cambiamento radicale” “La crisi ci ha dato consapevolezza della nostra distintività”. “In questa crisi si attiva un moltiplicatore psicologico che aumenta la paura, fino ad un effetto panico” “Poche imprese si stanno ripensando veramente e molte sono quelle che non ce la stanno facendo” “La crisi non deve essere un alibi” “La crisi sono le persone che non arrivano a fine mese” “E' una crisi di spazi di pensiero, una crisi progettuale sul futuro.” “ La crisi non è un momento, ma un cambio strutturale del sistema” “La crisi ha una propagazione velocemente infettiva, è un’intossicazione” “La crisi costringe a capire da dove viene il vento e a coprirsi in fretta. Quando passerà, se avremo capito, saremo pronti”. Dal terzo settore arriva l’indicazione circa l’utilità di sostare e soffermarsi nel momento di difficoltà: “Nella crisi bisognerebbe ‘stare consapevolmente’: è l’opportunità di comprendere la differenza fra povertà e miseria. La povertà, diversamente dalla miseria, si sceglie e non si subisce, inoltre, ha dignità e riconosce il valore dell’altro e della relazione fra le persone.”
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Dalla varietà delle risposte ricevute, emergono sinteticamente tre aree che illustrano come le aziende possano collocarsi rispetto alla crisi e che fanno intravedere diverse ipotesi:
• crisi come un’inversione di tendenza • crisi come fatto contingente • crisi che con c’è.
Crisi come un’inversione di tendenza
Come opportunità di ripensamento, come transizione, come trasformazione: ha accentuato movimenti virtuosi già in essere, ha accelerato cambiamenti e rinnovamenti già previsti, ha promosso innovazione e riprogettazioni, ha valorizzato riorganizzazioni interne e risorse che in periodi diversi non sarebbero richiamate e utilizzate. La crisi è stata generativa, in alcuni casi, rispetto al tema del prodotto, alla ricerca di nuovi canali di finanziamento, all’innovazione di processo, al tema della sostenibilità ambientale e dei valori. “Sarà avvantaggiato chi ha usato questo tempo di crisi per pensare”.
Le aziende che hanno maturato questo atteggiamento verso la crisi si possono trovare in situazioni maggiormente ansiogene, in cui si deve gestire una sana preoccupazione per il nuovo e l’ignoto, ma al contempo si mobilitano energie e risorse e si sviluppano conoscenze e opportunità nuove. “Il cambiamento va affrontato in modo pragmatico e non drammatico.“ Nella crisi, colta da questa collocazione, si incrociano anche esigenze di discontinuità rispetto ai prodotti e servizi offerti, esigenze che si originano sia dai vincoli con cui le aziende si confrontano, sia da bisogni dei clienti. Si creano così, occasioni di alleanze inedite anche con stakeholder e fornitori.
Nell’incertezza della crisi, le aziende raccontano che è molto apprezzato il tentativo di fare sistema, percepito come un elemento rassicurante: “in questo modo si crea una motivazione maggiore degli interlocutori che riescono a mettere in campo forme di solidarietà fattiva”. Chi intravede queste possibilità, si dedica ad azioni di acculturamento degli stessi clienti, al fine di favorire comprensioni ed evoluzioni qualitative di prodotti e relazioni che coinvolgono anche attori apparentemente esterni al processo; così qualcuno dedica parte del proprio tempo a conoscere i giovani, le loro idee che ancora non trovano spazio nel settore di competenza ma che, in molti casi, sono già portatrici di segnali importanti. La crisi diventa opportunità di cambiamento e di evoluzione che ricostruisce il “senso della possibilità che si rischia di perdere cercando rifugio nella certezza del noto e nell’accontentarsi, nel compromesso”. Nella crisi alcune aziende trovano conferma rispetto ai propri valori costitutivi, che sono diventati nel tempo valore distintivo, ma non solo: si può realizzare in quest’approccio un passaggio da controparti, a parti/partner.
Crisi come fatto contingente
Non tutti concordano sul fatto che sia necessario un cambiamento radicale a causa della crisi; per alcune aziende è solo un passaggio contingente, ci si pone quindi in attesa che si ripristini la situazione; in questo caso la situazione di difficoltà gestionale dell’impresa può
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essere confusa e offuscata con l’effetto generale della crisi economica, cui si attribuiscono le cause del problema, e si rischia in questo modo di non intercettare i rischi reali che l’impresa corre, non si riconoscono i problemi potenziali e i segnali rifugiandosi in un atteggiamento illusorio e di attesa. C’è fiducia che la società/il sistema possa riassorbire le disgregazioni, le negatività, c’è fiducia nel ripristino da parte di un intervento esterno, deresponsabilizzando la capacità di risposta propria e interna all’impresa stessa.
Se si interpreta la crisi come elemento contingente e passeggero, si sviluppa l’idea che sia sufficiente resistere; questo alimenta degli immobilismi e staticità a causa dei quali “tante aziende, nel cercare di resistere, hanno eroso i propri patrimoni”, dove i patrimoni cui si fa riferimento sono economico-‐finanziari, ma anche etico-‐valoriali o sociali, a secondo della direzione delle scelte fatte. La crisi crea situazioni di bisogno sia nelle persone che nelle aziende e questo mette a dura prova la resistenza di alcuni principi e valori: “Il lavoro bisogna andare a cercarlo e si rischia di essere sottomessi alle aspettative del cliente, per riuscire gradito. In questo, a volte rischia di traballare anche rispetto alla linea dell’etica e perfino del lecito”; così, seppure sia innegabile l’importanza di avvicinarsi al cliente, occorre anche saper tenere le giuste distanze. Si passa da casi in cui le aziende cedono alla tentazione/bisogno (come da cronache quotidiane) a casi in cui, le aziende, consapevoli di questo pericolo investono ancor più nella tenuta della dimensione valoriale che diventa centrale nel business.
In altri casi si tratta di resistere per non cambiare. È la situazione delle imprese che imputano le cause della loro difficoltà, fino alla fatalità della chiusura, alla pressione fiscale, ad elementi esterni ma implicati e implicabili nella vicenda aziendale. Il rimedio auspicato è la rimozione degli ostacoli e dei vincoli che mettono a rischio la salute delle aziende. L’analisi critica non è portata all’interno. L’atteggiamento è ancora di resistenza al cambiamento perché è l’esterno che si deve modificare, affinché si ripristini una situazione di equilibrio. Infine sempre in questo gruppo si collocano le aziende che ,negli esiti della crisi, confondono e fondono errori gestionali e di strategia. Questo atteggiamento impedisce la possibilità di utilizzare uno sguardo critico che consenta nuove ipotesi. Da un’intervista riportiamo un commento a riguardo: “Se la campagna di marketing che ho fatto non ha dato buoni esiti, non è a causa della crisi, ma dovrei riconoscere che è stato per la (scarsa?) qualità della campagna stessa”.
Crisi che non c’è.
La crisi ha investito in modo molto differente i settori e alcune delle aziende intervistate hanno avvertito i segnali della crisi dal 2010 ma non hanno avuto impatti nella crescita del fatturato, a volte fino al 2012; per alcune aziende di servizi si tratta piuttosto di decrementi di utile, rallentamenti nella crescita prevista, a volte flessioni solo in alcuni dei settori/linee di offerta, come effetto della difficoltà delle aziende clienti. Molte hanno mantenuto tassi di crescita, ridimensionati rispetto al previsto; infine per alcune sono stati momenti di incremento, in particolare per segmenti internazionalizzati.
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La crisi appare quasi come un evento esterno, che non riguarda in modo pervasivo tutte le imprese e le realtà produttive nello stesso modo. Fanno eccezione, fra gli altri, il settore dell’edilizia che ha visto il suo mercato quasi azzerato e il settore della pubblicità che ha perso molte opportunità e commesse. La paura della “malattia”, di esserne contaminati, fa registrare un’assenza di movimento, quasi di paralisi, di apnea, da parte di chi non è toccato direttamente. Qualcuno ha citato l’effetto “bolla” rispetto all’esterno. In questi casi , in cui la crisi viene vissuta come un fattore esterno, il rischio è quello dell’autoreferenzialità in cui l’impresa guarda ai suoi risultati in modo un po’ scollegato dal contesto e dallo scenario complessivo. Il modo con cui ci si rapporta alla crisi spesso riproduce il modo con cui le aziende si rapportano al contesto in generale.
Quale atteggiamento dell’impresa nei confronti della crisi può essere maggiormente funzionale per la costruzione di futuro? Sembra essere maggiormente funzionale per le imprese l’atteggiamento che registra la significatività e la discontinuità che questa crisi ha introdotto rispetto al passato. Per le imprese che assumono la crisi come un movimento di trasformazione, di cambiamento irreversibile è già iniziato un percorso nuovo o parzialmente rinnovato, di cui si trova traccia in molte componenti dell’organizzazione.
Nelle organizzazioni in cui si esplicita, dai loro dichiarati, che la crisi segna un passaggio irreversibile, inducendo un cambiamento nell’intraprendere o proseguire il “viaggio” in contesti incerti, si riscontrano tre dimensioni ricorrenti :
• Il primato della conoscenza, le competenze e la “strumentazione di bordo”
• La rilevanza delle reti: le alleanze e i punti di “approdo” del viaggio
• La riscoperta della centralità del cliente: far salire il cliente “a bordo” per condividere la rotta.
Le dimensioni del capitale sociale costituito dalle persone e dai valori sono da considerarsi trasversali e perciò presenti in ciascuna. Ad esse si collegano le testimonianze raccolte e le riflessioni sviluppate.
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1. Il primato della conoscenza, le competenze e la strumentazione di bordo
Nel campione analizzato appare diffusamente che, per la costruzione di futuro, una dimensione centrale nelle imprese è costituita dalla conoscenza e dalla cultura, intese da un lato come capacità di produrre conoscenze nuove, ciò vale in particolar modo per la ricerca e lo sviluppo, e dall’altro come capacità di ascoltare, comprendere e mettersi in sintonia con il contesto in rapida trasformazione, interpretando i mutamenti negli stili di vita e di consumo delle persone, dei clienti, recependo la vitalità delle istanze sociali e culturali presenti e attivi nella società. Tali capacità possono innalzare la probabilità di prevedere e intuire le dinamiche future.
Come avviene tale processo conoscitivo? Esso si sostanzia non necessariamente in innovazione di prodotto o di strategie ma è attraversato da una profonda modificazione nell’approccio culturale con cui ci si relaziona al contesto esterno e al proprio interno. Anche l’investimento sulla strumentazione e la presenza e i ruolo dei giovani sembrano essere componenti importanti per questa nuova sfida.
Innovazione e qualità. Il termine “innovazione” è molto richiamato in associazione al termine crisi, come se ne costituisse una ricetta, una soluzione. Nelle interviste appare, invece, come la parola innovazione possa assumere diversi significati ed agire su più livelli.
La cura e il perfezionamento della qualità.
Per alcune aziende del campione, che possiedono un prodotto di punta, un brand molto forte e occupano una quota importante del mercato di competenza, l’investimento principale, prima di innovare, è il mantenimento della qualità raggiunta. Ciò significa “tenere” alta la qualità senza operare riduzioni sui costi che rischino di comprometterla.
La tutela della qualità diventa elemento orientante, driver, per tutta l’impresa e lo è effettivamente se la proprietà o il management ne richiama e sostiene l’importanza nelle diverse espressioni aziendali: prodotto, processo, relazione, organizzazione. Azioni di risparmio, contenimento costi e tagli, ma anche investimenti e spese non coerenti con l’elemento qualitativo vengono riviste.
“La crisi è un’occasione per ripensarsi, in linea con l’evoluzione e la velocità, ma non può essere un cambiamento radicale; per le aziende di successo è necessario mantenere la propria distintività, come ad esempio la qualità, una cosa cui non si può rinunciare”.
“E’ importante fare investimento sul brand, poiché ciò aumenta l’identità e il senso di collettivo; con un buon prodotto di base si può fare un piano di sviluppo intorno ad esso, senza rinunciare alla qualità”
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“La qualità del prodotto viene prima di tutto, il suo mantenimento, il rispetto della storia e della tradizione della sua origine. Si cura la filiera per assicurarsi materie prime di qualità”.
Innovazione di prodotto e di processo Le innovazioni, in questa fase di crisi, più che di prodotto, sembrano essere di processo e di impatto sulla cultura organizzativa: molte aziende necessitano di ripensamenti che assumano la complessità dell’organizzazione e che favoriscano culture dell’integrazione. Rispetto alle innovazioni di processo, che abbiamo raccolto nelle interviste, si tratta di interventi che sarebbero comunque avvenuti, in termini di buona cura organizzativa, ma che alla luce della crisi prendono un’altra angolatura: subiscono un’accelerazione, una spinta e rivestono un significato di rinnovamento. Sono rilevanti, perché sono investimenti spesso già pianificati e previsti a cui, però, negli anni della crisi non si rinuncia e che, proprio per questo, assumono un ruolo maggiormente significativo e consentono analisi più puntuali e approfondite che rispondono al bisogno conoscitivo incrementale dell’azienda. “Il cambiamento del sistema informativo già previsto e sempre rinviato è stato realizzato nel 2012, questo ci consente, oggi, di portare innovazione, di velocizzare, di sburocratizzare, abbiamo individuato aree di inefficienza nei processi produttivi , cui si è risposto con riconversione, mobilità interna, senza ricorrere a licenziamenti, per riqualificare persone , dall’altra parte si è realizzato un accentramento delle attività ammnistrative dal territorio al centro.” Il rischio cui sono esposti coloro che intraprendono percorsi consistenti di innovazione di processo, che spesso parte dalla messa in discussione di schemi e vincoli dati (vedi normative e regolamentazioni di settore) è quello di solitudine, incomprensione e isolamento, spesso riconosciuti solo oltre i confini nazionali. “Quando siamo partiti con la nostra start-up, avevamo chiaro una nuova idea di processo di lavoro che metteva in discussione alcuni vincoli di normativa nella regolamentazione delle relazioni con gli agenti di vendita. A posteriori, possiamo dire che le nostre scelte hanno anticipato la situazione attuale: oggi tutto il nostro settore opera con l’abbattimento di vincoli che qualche anno fa erano percepiti come ineludibili. Siamo stati tacciati di essere dei sognatori e ancor oggi i riconoscimenti maggiori ci arrivano da colleghi non italiani”. I diffusi interventi di riorganizzazione in area commerciale e sviluppo di piani di marketing diventano esempi di strategie di innovazione perché si realizzano , in tempo di crisi, in aziende tradizionalmente impermeabili al cambiamento e forti della qualità dei loro prodotti/servizi. Non è un caso che l’accento dell’investimento sul marketing sia di tipo comunicativo, necessario per sviluppare comunicazione più diretta e più vitale con l’esterno.
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Anche un evento di trasferimento attività e sede può essere gestito come un’innovazione di processo se prevede, come nuova competenza, la capacità di stare in ascolto e di chiamare tutti al cambiamento rintracciando in questo percorso anche l’occasione di cogliere vantaggi competitivi: “Il trasferimento dalla vecchia alla nuova sede (molto più grande) è avvenuto in un week-end. Ci siamo preparati analizzando i processi con le persone, andando a visitare il sito in costruzione, discutendo con gli addetti quali potessero essere le aree di miglioramento, comprese soluzioni mai adottate prima. Abbiamo cambiato tutti i processi. Abbiamo dato fiducia alle proposte delle persone e il cambiamento è stato assunto in modo diretto e proattivo.” Analogamente, pur non costituendo cambiamento in sé, le nuove tecnologie consentono uno sguardo diverso al ridisegno dei processi nei contesti di lavoro, che si sviluppano con maggiori vicinanza alle complessità che toccano le persone e le organizzazioni: “Non ha più molto senso timbrare il cartellino, controllare sulla base della presenza in azienda il lavoro delle persone, obbligarle a trasferimenti che non hanno senso a livello di impatto ambientale, qualità della vita, risultati. Nella valutazione delle prestazioni si rischia di confondere bravura, capacità, raggiungimento di obiettivi con la semplice ‘fedeltà’ del rimanere tante ore in ufficio.”
La tecnologia assume valore strategico quando si pone al servizio delle persone: “La tecnologia è sicuramente una commodity che ci consente di sviluppare rapidamente alcune idee e sostenere l’ottica di servizio, ma questo è stato un apprendimento nel tempo, all’inizio abbiamo puntato sulla tecnologia senza considerare le persone e questo è stato un errore che abbiamo pagato.” Nella crisi la tecnologia può diventare elemento facilitatore orientato alle persone, limitando gli eccessi del passato in cui il senso del lavoro e la soggettività delle persone erano quasi subalterni alla supremazia dei processi informatici, e le tecnologie , più che mezzo, erano il fine. Da vincolo a commodity. Anche i social network entrano nel processo di business sia dal punto di vista della comunicazione e marketing sia come osservatori dell’evoluzione sociale in cui le organizzazioni di lavoro sono immerse. In casi estremi entrano nelle relazioni di lavoro, portando prepotentemente connessioni e confusioni con ambiti più privati delle persone che in quelle relazioni lavorano. “Cerchiamo di tutelare, attraverso l’utilizzo di una dimensione istituzionale del marchio e con l’attenzione a procedure e prassi, le persone che si occupano di customer-care; nonostante ciò, recentemente abbiamo avuto un caso in cui una nostra collaboratrice è stata insultata da un cliente insoddisfatto, nell’ambito di un social network in cui lei era presente in veste privata”.
Le tecnologie di rete consentono la delocalizzazione delle competenze e delle conoscenze: questo permette la condivisione e il confronto di conoscenze ma anche l’attivazione di soluzioni più sostenibili come il tele-‐lavoro o le riunioni via rete che
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evitano costosi o inaffrontabili spostamenti. “Con gli incontri in webinar2, rendiamo possibile la partecipazione di persone a occasioni formative e di confronto a cui altrimenti dovrebbero rinunciare, sia per una questione di costi che di tempi.”
Altre aziende segnalano come la tecnologia consenta alcune iniziative a supporto dell’attività di gruppi imprenditivi, attraverso la costruzione di portali tecnologici che favoriscono progetti quali: acquisto e il rilancio di aziende in crisi, in cui si sostiene il singolo o il gruppo nell’assunzione del rischio d'impresa (spesso favorendo il passaggio da impiegato a imprenditore), oppure l’avvio di gruppi imprenditoriali costituiti da giovani. “Il nostro portale dà servizio a una società di application per Android, un’azienda di servizi formativi e e-learning, una cooperativa di giovani dentisti….”.
Anche le banche si confrontano con le possibilità di delocalizzazione, consentite dalla tecnologia: il cliente è libero di scegliere una banca anche lontana dalla propria sede di residenza o di lavoro e può orientare i propri criteri di selezione in altre direzioni, come ad esempio una convergenza di scelte etiche anche a discapito di una parte di benefit economici. Ad oggi, il 60% dei clienti abita in un comune diverso da quello della sede della banca; questo costituisce per alcune aziende del settore e per molti clienti che le stanno scegliendo, un’opportunità. “I nostri clienti ci scelgono anche se la nostra rete non è capillare sul territorio; ci scelgono perché hanno fiducia in noi e sul modo in cui investiremo il loro denaro”.
L’innovazione di prodotto deve fare i conti con la domanda di contenuto etico e valoriale sempre più diffusa nella società. Si individuano aree di investimento nuove in relazione alla compatibilità ambientale, alla sostenibilità economica e all’utilizzo delle nuove energie. Nel ripensare l’offerta in momenti di crisi, è stato per molti settori necessario confrontarsi con le modifiche culturali e sociali in campo ambientale, ecologico, energetico, etico, ecc. Un esempio è la proposta di avviare il progetto pilota nel settore edilizia per la riqualificazione ambientale e energetica del patrimonio edilizio; in un settore che vede il suo mercato dimezzato e conta il più alto numero di chiusure e perdita di posti di lavoro, lo spostamento su una proposta di riprogettazione della propria offerta diventa quasi un vincolo ; un altro esempio , nel settore della ristorazione, è la campagna a contrasto degli sprechi di cibo e il progetto per una produzione a ridotti consumi energetici.
Risulta importante, nelle imprese intervistate, la consapevolezza, ad esempio, di come questa crisi abbia accentuato nell’opinione comune l’attenzione all’etica e all’ambiente, abbia introdotto modalità maggiormente sobrie nel consumo e quindi richieda ripensamenti nel modo di produrre e di proporsi sul mercato. “La domanda di salute e qualità per chi si occupa di alimentare è un elemento per l’innovazione, per la ricerca di prodotti nuovi; così come il cambiamento nel target del consumatore ci orienta per nuovi ambiti in cui sperimentarci”. Al di là degli slogan sembrano essere elementi su cui le imprese si stanno ricollocando.
2 seminari on-‐line
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La domanda etica e valoriale nel prodotto del gioco, ad esempio, ha portato un’azienda operante nel settore a modificare la sua mission e i suoi valori in modo da poter tenere insieme obiettivi apparentemente contrastanti: invitare al gioco, contrastando il gioco irresponsabile e la ludopatia, offrendo servizi complementari ricreativi e facilitanti.
Un altro modo per rispondere alle nuove esigenze del cliente consiste nella maggiore chiarezza sui prodotti, che in tal senso incrocia anche una semplificazione del processo: “Nella nostra start-up abbiamo fatto una scelta di drastica riduzione del portafoglio prodotti, eliminando anche dalla nostra offerta alcuni segmenti (vedi derivati); siamo passati da circa 2000 prodotti che sono la media di una banca con una certa storia ed anzianità e abbiamo definito un nostro limite massimo di 50 prodotti. Questo ci ha costretto ad andare all’essenza: pochi prodotti super semplici. Questa scelta di semplicità nei confronti del Cliente ha anche alleggerito e semplificato i nostri processi di lavoro interni”.
Nei racconti degli intervistati ci sono anche richiami alle fatiche e resistenze al cambiamento, che diventano rinunce spesso agite dallo stesso vertice aziendale: “Lo status-quo si difende dal cambiamento per una questione di certezze. Possono esserci interessi in gioco e paure che portano ad accettare e proteggere quello che c’è.”
Strumentazione di bordo nella crisi: novità e continuità
Sembra confermata dalle interviste la tendenza nelle imprese , in questi anni di crisi, ad innalzare il livello di sofisticazione e di precisione/puntualità della strumentazione di controllo e governo, poiché ciò assicurerebbe una capacità conoscitiva, non predittiva, in tempo reale delle modificazioni cui bisogna celermente rispondere.
Non si rinuncia, quindi, allo strumento e alla prassi della pianificazione, anche se con delle modificazioni sostanziali in termini di utilizzo e finalità. In alcuni casi sembra essere uno strumento di orientamento strategico che indica la rotta anche a lungo termine (2025): “La pianificazione a sette anni ha un obiettivo strategico, ogni progetto deve almeno avere una visione a tre anni nella produzione industriale; per avviare un nuovo impianto produttivo servono sette anni”.
In altri casi, la pianificazione, pare assumere la funzione di uno strumento comunicativo e di condivisione interna, per facilitare l’esplicitazione, più che per utilizzi di monitoraggio e di verifica.
“Con l’arrivo delle nuove generazioni nelle aziende familiari si dovranno introdurre maggiori strumenti di controllo, che andranno a sostituire le prassi agite e consolidate dall’esperienza dei fondatori.” “Si fanno i piani poliennali strategici al 2015, partecipati tramite gruppi di lavoro: diventa il piano di tutti.”
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“Quest'anno abbiamo fatto un budget integrato; il budget non è solo orientativo. E' utile il meccanismo di condivisione, anche dei vincoli”.
Nella maggioranza dei casi si enfatizza la funzionalità di pianificazione operativa e a breve, in continua evoluzione, in relazione con una situazione di costante cambiamento, su cui è necessario confrontarsi spesso e in diretta: quasi un controllo in tempo reale. “Con il cambio di sistema informativo abbiamo introdotto il controllo in tempo reale di costi di produzione e degli ordini e delle ore lavorate; ciò ha già dato dei frutti e garantisce un buon risultato anche se non direttamente sull’incremento dei volumi, sulla tenuta dei margini.” “Il piano è flessibile, non è rigido, deve tener conto delle modifiche in itinere. Si deve tener rotta, ma si devono anche verificare quotidianamente le condizioni del mare.” “Si partiva da una pianificazione strategia pluriennale e quest’azienda ha aspettato troppo; adesso abbiamo dei cicli più compressi e maggiore velocità. … Rispetto alla pianificazione c’era l’idea di un’affidabilità maggiore nel tempo, che non chiedesse ripensamenti del piano definito; adesso ci sono cicli più rapidi, cambi più repentini e frequenti che necessitano un monitoraggio più stretto (piani più brevi con un effetto ‘rolling’). Si è passati da un processo lineare di ieri, a quello di oggi in cui il pensiero non è completo e i fenomeni sono parziali; questo rende necessario scrivere, mettere nero su bianco, per aiutare a chiarire e a riflettere.” Anche il processo di budgeting viene utilizzato in modo puntuale come un meccanismo di controllo, verifica e risposta: “Il budget è per noi una procedura rigorosa, integrata da keys indicator di performance che focalizzano l’andamento dei diversi dipartimenti il cui aggiornamento viene fornito settimanalmente a tutti i responsabili. Gli interventi sul contenimento dei costi in caso di andamenti non soddisfacenti sono rapidi.” Gli strumenti di tradizionale di controllo e gestione delle aziende vengono confermati con anche se risulta profondamente modificato l’utilizzo ed il significato che rivestono: una “bussola” che si utilizza tutti i giorni, più volte in un giorno e che costringe a risposte tempestive a partire da un confronto con un dato di realtà in continua evoluzione. Si investe molto nella precisione e sofisticazione degli strumenti , anche più di quello che servirebbe nell’immediato; si misura molto di più e il supporto della strumentazione è nel ricomporre i molti dati , che si raccolgono continuativamente, in sintesi parziali e successive ma dotate di senso per chi deve decidere ed agire. Una seconda considerazione riguarda il livello di diffusione e il numero degli interlocutori cui viene data l’accessibilità ai dati : alla strumentazione in questo modo è attribuita la finalità di tenere insieme, di rendere coeso il soggetto collettivo, “l’equipaggio”, rispetto alle condizioni del mare e allo stato di funzionamento del mezzo. Sembra cogliere da questi casi che possa dirsi superata l’era dell’autoreferenzialità di questi strumenti, relativamente a situazioni in cui: “nell’uso/abuso degli strumenti di gestione c’è il rischio di creare nelle aziende, un mondo autoreferenziale in cui la maggior parte del tempo
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lo passi a produrre reportistica interna e gestire conflitti che ne derivano, spesso legati a difese di territorio e poteri; se tu domani eliminassi tutto questo, non cambierebbe nulla in termini di prodotto. Siamo alle prese con una macchina che consuma e non genera.” Il ruolo del capitale sociale
Quanto è importante l’apporto delle nuove generazioni, dei giovani e della differenza di genere per lo sviluppo dell’innovazione e della creatività nella ricerca di nuove piste e nuovi modelli? nello sviluppo di conoscenza e comprensione del contesto? e nel contempo come valorizzare il patrimonio costituito dal personale esperto presente nelle aziende?
Appare evidente che per rinnovare o innovare sia utile assegnare ai giovani e alle donne spazi significativi di partecipazione e rappresentatività, sostenendo meccanismi che ne promuovano la progressione di responsabilità, l’innalzamento delle competenze ma anche la condivisione e la partecipazione attiva; appare anche chiaro come sia necessario “fare i conti” con il cambio generazionale e realizzare un investimento autentico, e non opportunisticamente di breve, rispetto a queste nuove forze. Per fare ciò è indispensabile riconoscere che sono portatori di diversità e, proprio per questo, utili a guidare e sostenere il cambiamento nel Management, rispetto a processi di pensiero, adesione valoriale, rapporto con le tecnologie. “Puntando solo sul management attualmente in servizio non ci si può attendere cambiamenti decisivi e ideazioni risolutive” Per alcune aziende è stata una scelta strategica puntare sui giovani neo laureati per innalzare la qualità e il potenziale della forza vendita, nel contatto con esterno, “per parlare una nuova lingua e superare la diffidenza della gerontocrazia , presente anche nei clienti, che è impermeabile alle novità”.
In alcune aziende ci sono esempi di programmi e progetti di formazione che sono considerati investimenti e non costi; in particolare riguardano i giovani e sono finalizzati a promuovere innovatività e creatività. Sono percorsi con laboratori di auto-‐sviluppo per le potenzialità ai fini della crescita professionale, centrati molto sui temi dell’innovazione e creatività. “La formazione è un investimento e non un costo, è una distintività”.
Si guarda ai giovani e ai valori di cui sono portatori con maggior attenzione. Un imprenditore ha raccontato che nella sua agenda è previsto uno spazio quotidiano per incontrare dei giovani interessati ad un incontro/colloquio. Possono prenotarsi in un’apposita sezione del sito dell’azienda, scegliendo il giorno che è loro più comodo; in alcuni casi da questi incontri nascono delle collaborazioni, o “solo” scambi di idee, conoscenza di nuove tecniche e talenti. La scelta dell’imprenditore di investire il suo tempo in quest’attività, mettendo la propria esperienza (coaching) a disposizione delle nuove generazioni, si inscrive certamente nel paradigma della responsabilità sociale.
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“S’investe sulle persone e sulle loro competenze, facendo la scelta strategica di non utilizzare free-lance (come uso in pubblicità) ma di costruire, insieme ad un gruppo di persone stabili, un percorso ed un significato rispetto ad un modo di fare pubblicità diverso. Anche nei casi di inizio con uno stage, c’è sempre l’ipotesi di una relazione più continuativa. ... Nonostante la crisi, la riduzione delle commesse da parte dei clienti, è stato messo a disposizione di tutti i collaboratori un corso di inglese. I collaboratori stanno a loro volta investendo sulla rivista, investono sulla qualità e proviamo insieme ad immaginare approdi e scenari.” L’investimento sulle persone e sua loro preparazione sembrerebbe infatti incrementare la capacità dell’impresa nell’azione conoscitiva e di ricerca, in un contesto in modificazione e connotato da incertezza: alla rassicurazione predittiva della pianificazione di lungo/medio termine si sostituisce la capacità di conoscere in modo approfondito la realtà in cui ci si muove e la capacità di essere curiosi e interessati anche di ciò che non si sa. Si promuove così un movimento empatico che costruisce ancoraggi dinamici per le imprese durante la “rotta di navigazione”.
“Nella nostra start-up ed anche nell’attuale ampliamento ho cercato e scelto giovani, neo-laureati (nessuna particolare preferenza di facoltà), con un’alta intelligenza sociale. Ho voluto assumere persone che fossero libere da schemi precostituiti, da saper fare derivanti da esperienze pregresse nel settore professionale. La maggior parte sono donne (58%) che a mio parere hanno anche un atteggiamento più proattivo. Non mi spaventano le assenze per maternità: basta organizzarsi. Per aiutare la crescita professionale e uno sguardo completo sui processi di lavoro e le esigenze del cliente, adottiamo un processo di job-rotation.”. Le nuove condizioni richiederebbero un approccio diverso anche nel modello di management. “È lecito chiedersi se chi ha vissuto prevalentemente in fasi di crescita e benessere sia oggi sufficientemente attrezzato per gestire nella crisi “. Le imprese dichiarano di aver bisogno di far “entrare” nel management donne e giovani per contaminare e meticciare le modalità di pensiero, di relazione e di governance. “Il mio staff è composto solo da trentenni molto capaci, che tornano in Italia dopo averla lasciata per mancanza di possibilità di inserimento,.”.
Con la crisi si è riaffermato il primato della persona, il suo valore e la sua importanza; nelle fabbriche si era persa questa centralità, a favore della ingegnerizzazione di processo e meccanizzazione dei processi produttivi; con la crisi si rivalutano le capacità degli individui e si investe in formazione e comunicazione. “Quando manca tutto, si può solo e si deve pensare”. Solo alle persone si può chiedere di produrre conoscenza generativa, non riproducibile, si può contare sulla loro professionalità e sul loro atteggiamento per gestire la complessità, che richiede di condividere il rischio e le decisioni, di gestire ansia e preoccupazione; ciò mobilita energie ma si devono mettere in conto trasparenze nuove anche rispetto alla partecipazione alle scelte e alla diffusione delle informazioni. Solo le persone possono rendere distintivo e unico per il cliente un prodotto o un servizio che non si differenzia nei contenuti o nel modo con cui è realizzato da altri simili.
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Per questi motivi, la scelta di rinunciare ai giovani e alle donne o di “utilizzarli” senza connessione al progetto di impresa, sembra contradditoria rispetto all’obiettivo vitale delle imprese stesse. Di pari gravità appare la scelta di rinunciare al patrimonio dell’esperienza professionale degli “anziani”, senza ipotizzarne altri esiti possibili, fra evoluzioni e riconfigurazioni, come invece si potrebbe fare : “Abbiamo bisogno di creare nuove esigenze di processo/business con cui utilizzare grande esperienza dei collaboratori più anziani (vedi legge Fornero); es: un bravo meccanico anziano può essere un ottimo valutatore delle macchine usate. Con la crisi non posso permettermi di avere una persona in più per uno specifico ruolo, devo trovare il modo di far rendere ciò che c'è.”
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2. Le reti collaborative nella catena del valore La questione, per le imprese, rispetto all’opportunità di attivare o meno la rete, dato ormai parzialmente assunto almeno nei dichiarati, è relativa all’individuazione degli interlocutori, con i quali concordare le finalità, le condizione e regole di partecipazione e gli esiti attesi. Un indirizzo comune a molte aziende risulta essere quello di fare rete nel senso autentico del termine: coinvolgimento maggiore della rete vendita, agenti e/o rivenditori, cui si chiede di essere parte attiva del progetto del produttore, all’interno di un ripensamento complessivo delle modalità di relazione con il cliente finale; si registra un significativo investimento nella costruzione del rapporto con i partner, come evoluzione della modalità consueta di contrapporsi e di negoziare in modo conflittuale con la controparte; ci si occupa della buona salute dei fornitori con cui si garantisce la qualità verso il cliente finale, si investe negli accordi e nelle condivisioni. Si cerca di evitare il consumo di energie da conflitti e contrapposizioni e di favorire la generazione di energia in co-‐produzione e in condizione di dialogo. Dalla contrapposizione alla collaborazione Si introducono prassi di co-‐costruzione fra imprese , non solo nella catena di filiera ma anche fra aziende che mettono in comune ad esempio il marketing (co-‐marketing), anche in assenza di relazioni cliente-‐fornitore esistenti tra loro. Le realtà Associative offrono alla imprese associate consulenza per proporsi ai mercati esteri come gruppo di filiera con in comune il cliente finale, per costruire reti di impresa anche per il mercato interno. In questo modo si sollecitano e nel contempo si sviluppano relazioni fiduciarie a sostegno delle sperimentazioni. Il modello “piccolo e bello” dell’impresa sembra non più corrispondente alla modificazione del mercato , alla necessità di internazionalizzarsi e di innovarsi; per questi obiettivi la strada maestra è la rete di filiera o la rete di impresa, la condivisione di progetti e di rischi, di tecnologia e di nuovo know-‐how. Ci sono situazioni in cui si sono formati gruppi informali di aziende che si ritrovano in modo più finalizzato delle semplici PR e sviluppano collaborazioni, si scambiano idee, costruiscono convergenze, esperienza del co-‐marketing, anche per un utilizzo migliore della tecnologia, in ambito ricerca e commerciale, a supporto della vendita.
La crisi riscopre il valore della cooperazione e la contaminazione fra imprese; in questi casi vince la curiosità e la necessità del confronto versus la competizione e la rivalità nello stare sullo stesso mercato; ciò permette degli avvicinamenti e dei dialoghi insperati, consente di condividere spunti nei pensieri ma anche nelle prassi; si guarda nel proprio settore ma anche nei settori altri, distanti per prodotto e per tipologia di clienti, da cui derivarne per analogia e traslazione, input convincenti.
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La riscoperta di modelli collaborativi nel fare rete richiede, secondo il punto di vista di molti degli intervistati, delle modifiche nel sistema di relazioni della filiera e fra imprese: • la rete rinnovata può sussistere se si pone la questione della “rinuncia di quote di
sovranità” e si investe nel costruire relazioni maggiormente empatiche tra le persone e fra imprese.
• La gerarchia delle convenienze, nei casi intercettati, fa posto alla reciprocità delle convenienze e, nel momento in cui un livello della filiera incontra difficoltà e sofferenza, ciò diventa un problema per tutta la rete, per non svuotare di senso il significato di partner.
• Alla base del patto di rete sembra essere non più sufficiente il porsi obiettivi comuni ma si richiede una condivisione di aspetti valoriali che orientano il progetto nella medesima direzione e sollecitano coerenze e rispecchiamenti nelle prassi e nella relazione con il cliente. I valori nella definizione del prodotto e del servizio e l’etica, sostanziata nelle prassi, entrano a far parte del patrimonio aziendale, quale componente attiva dell’offerta.
Inoltre un altro nodo problematico è quello evidenziato da alcuni intervistati della realtà di reti-‐familistiche poste a protezione d’interessi particolari. Si tratta in questo caso di reti che consumano possibilità di evoluzioni positive e alimentano circoli viziosi che sostengono il rischio di prassi poco corrette se non corrotte.
“Le reti rischiano spesso di prendere la china dei familismi: nascono reti primordiali di difesa ed accaparramento. Emergono i clan.”.
Confini e ruoli La rete ridefinisce i confini delle organizzazioni nel rapporto con il contesto, per cui spesso non ci si chiede più se si è interni o esterni, essendo questi termini quasi superati in questa nuova configurazione di produzione e fruizione dei servizi /prodotti, in cui anche il cliente stesso è richiamato all’interno dell’organizzazione, con ruolo attivo di co-‐produttore.
La misura gestionale con cui si conteggia la forza lavoro sembra non essere più confacente alle fluidità dell’organico, fra dipendenti e collaboratori esterni, progettisti, ecc.: i confini delle organizzazioni appaiono sempre più permeabili alle contaminazioni e agli sconfinamenti, per cui è difficile distinguere chi è esterno da chi è interno e in quale organizzazione. Nel caso, ad esempio, di un’azienda produttrice di beni industriali risulta importante coinvolgere i rivenditori nel progetto aziendale, portarli di più “dentro l’azienda “ rendendoli consapevoli della distintività del prodotto e così incrementare, a cascata, la loro capacità di entrare in sintonia con il cliente finale. Si investe quindi maggiormente in formazione e comunicazione anche nei confronti dei partner, ieri fornitori, che si collocano nella filiera fino al cliente finale.
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“Il fornitore è un protagonista, il partner tecnologico fondamentale per la produzione, non è un contoterzista, un esterno; prende parte del progetto del costruttore, del progettista.” “Abbiamo realizzato un nuovo modello di relazione con i punti vendita che sono nostri affiliati, con cui condividiamo il modello di riferimento e una profonda convergenza culturale (da Agenti, liberi imprenditori ad Affilati con la messa in comune di interessi e destino). Abbiamo lavorato per superare la dicotomia mandante/mandatario in cui spesso si rischia di scivolare in una relazione fra controparti e non fra partner, con conseguenti tensioni e perdite di sinergie.” “Abbiamo coltivato una cultura del servizio in cui l’Agente è realmente il cliente interno. Abbiamo investito molto in formazione, totalmente a nostro carico; molti agenti arrivano da noi perché hanno saputo che noi curiamo molto la relazione.”
Fiducia e matrici femminili di ricomposizione e partecipazione Un aspetto significativo in questa esplorazione ci è sembrato essere il livello di reti interne alle imprese, funzionali prevalentemente all’attuazione di una governance di tipo partecipativo e alla cura e nutrimento della fiducia, del capitale sociale. Nelle cooperative, ad esempio, i dipendenti soci ne condividono l’impianto valoriale, “la coesione valoriale all’interno dell’azienda è un aspetto su cui continuare a investire in modo capillare e diffuso, tramite la partecipazione, infinita e faticosissima strada.”
Il livello di democrazia interna prevede la fatica della partecipazione, la trasparenza nella condivisione delle scelte. Nell’esperienza di chi ha riferito, questa modalità di governo porta i suoi frutti: “c’è circolarità interna, le decisioni prese in questo modo sono portate avanti con ampia convinzione da tutti, il clima di lavoro si mantiene positivo. Si investe in meccanismi integrativi e di coinvolgimento diffusi (ad esempio incontri sulle aree territoriali, assemblee ) in strumenti di comunicazione interna quali house organ e intranet aziendale”, si crede nella leva della formazione come elemento di ricomposizione , oltre che di miglioramento. Le occasioni di incontro sono anche momenti di aggregazione, di relazioni non solo professionali. Con la comunicazione diffusa in modo capillare si inviano messaggi ma si raccolgono anche indicazioni dalla base e lo scambio risulta bidirezionale . “I meccanismi partecipativi sono, a volte, faticosi e sono anche confusivi rispetto ai poteri. C'è il rischio di idealizzazioni che confondono sui ruoli: il socio presente sul territorio, che ci ha dato un parere sul finanziamento di un potenziale cliente, a volte fa fatica a capire perchè qui in Direzione, a fronte di ulteriori elementi da tenere in considerazione, si prenda una decisione diversa.”
Anche la richiesta che i giovani e le nuove generazioni portano nelle imprese è di maggior partecipazione, pertanto l’esplicitazione, la condivisione, la trasparenza sulle informazioni e
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la disponibilità dei dati diventano fattori di scelta per il management delle risorse umane e di costruzione di reti fiduciarie all’interno dell’impresa.
“Le persone che entrano oggi in azienda non funzionano più in una logica verticistica e accentratrice: occorre sviluppare maggiore partecipazione. Per fare questo occorrono le opportune competenze” “Abbiamo anche avviato degli incontri che sono una sorta di ‘pit-stop’ riservati alla prima e seconda linea e realizzati nelle giornate di venerdì e sabato (ogni 4 mesi); in realtà sono aperti a chiunque ne faccia richiesta, a prescindere dal parere del proprio capo e come unico vincolo la garanzia di funzionamento minimo dell’organizzazione. La conseguenza di questa apertura è che rispetto alle 18 persone convocate per ruolo, agli incontri non ne partecipano mai meno di 30”.
La partecipazione richiama la corresponsabilità e pertanto appare come una richiesta coerente con la gestione della complessità e dell’incertezza riferita al futuro ; potrebbe svolgere una funzione protettiva rispetto alla condivisione del rischio e delle scelte. Più faticosa nella sua realizzazione e nel governo: prevede una delega diffusa e un senso di responsabilità autentico, interroga costantemente il livello di coerenza del management.
Un’esperienza di costruzione di fiducia e di corresponsabilità collettiva è quella dell’organizzazione e realizzazione del concerto Campo Volo in occasione del terremoto che ha colpito l’Emilia.
A partire da una situazione in cui il sentimento dominante era di perdita completa e irreversibile, senza speranza, si è costruito un contesto di possibilità, dalla condivisione profonda e autentica di valori , quali la solidarietà e la vicinanza. La voglia e il desiderio di fare qualcosa e di farlo insieme, “far parte della stessa goccia”; ciò ha generato un’esperienza di energia, di passione e di forza che è divenuto tangibile patrimonio messo a disposizione dell’Emilia , quale capitale sociale generato dal nulla, a partire dal nulla.
La capacità di tessere e coinvolgere emotivamente tutte le componenti necessarie, gli artisti, i manager, i tecnici, le imprese, il servizio sicurezza, il pubblico e le mille altre componenti per un’organizzazione di evento musicale dal vivo, ha avuto come carburante il principio della condivisione del progetto e del sogno che si poteva fare solo insieme. Ha prodotto autoregolazioni e corresponsabilità, motivazione e concentrazione, felicità e produttività. È andata ben oltre la competenza tecnica e manageriale di esperienza: si è messa in scena una capacità di ricomposizione che operando decisamente uno spostamento sul piano simbolico, sul senso di ciò che si faceva, ha generato valore aggiunto rispetto all’atteso. Molto di più di un successo musicale.
“Nella responsabilità di chi guida c’è sempre la possibilità di fare scelte diverse, più in questa direzione, che in quelle previste..”
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3. Nuova empatia con il cliente per ripensare l’offerta
Il cliente competente al centro della produzione In questi momenti di incertezza e smarrimento la relazione con il cliente sembra essere un ancoraggio potente. Appaiono enfatizzati i principi di orientamento al servizio nella risposta delle imprese. Si riscopre la centralità strategica del cliente/committente nella produzione come fattore di vantaggio competitivo e di distintività : il cliente non più rappresentabile come destinatario passivo ma come soggetto attivo e propositivo nel processo di co-‐costruzione del prodotto e del servizio. Cliente inteso come “consumatore appartenente ad un segmento di mercato e come elemento integrante del sistema di erogazione del servizio”3; sempre nell’accezione di Normann il cliente viene nominato “prosumer” a significare l’integrazione fra la funzione di consumatore e di produttore al contempo. Assumendo il cliente in questi termini ne deriva per le imprese la necessità di un investimento importante nelle funzioni di ascolto e di conoscenza e di un cambiamento nello sguardo che si rivolge al cliente.
“Ascoltare il cliente aiuta a scoprire cosa poter fare per lui. Bisogna imparare a conoscere il cliente. I nostri clienti si fidano: non facciamo niente (riparazione, sostituzione) se non c'è bisogno.” Rispetto al prodotto: dalla maggior vicinanza e coinvolgimento con il cliente si genera la possibilità di sviluppo di prodotti nuovi, ma anche l’opportunità di perfezionare ciò che già si produce, di fare meglio ciò che si fa.
“È il cliente con le sue richieste che ci fa spostare dal core business e ci richiede di misurarci con nuove competenze per provare a rispondere alle nuove richieste, per costruire nuovi servizi, per migliorare quello che facciamo”
“Sempre per andare incontro alle esigenze del cliente, la nostra azienda ha modificato gli orari di apertura, garantendo il servizi dalle 9 alle 19 tutti i giorni, sabato compreso. Nelle aperture domenicali dei negozi in occasione dei periodi di festa, anche noi teniamo i nostri uffici aperti al mattino” La capacità di guardare al cliente in modo diverso, con più interesse e perspicacia, produce nuove informazioni e conoscenza per tutto il sistema di produzione, dalla progettazione fino all’assistenza post-‐vendita; anche il cliente è portatore di competenze che possono essere valorizzate nel ciclo di lavoro, se si creano le condizioni per farlo salire “a bordo”.
“I clienti sono detentori di informazioni, è necessario prefigurarsi che una quota importante del tempo lavoro è dedicato alla relazione, al contatto diretto, all’ascolto” 3 Normann, 2001, p.110
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Sperimentare, diversificare, semplificare. Questi sono movimenti nell’innovazione di prodotto, che traggono beneficio e nutrimento da una relazione proficua con il cliente.
“La competenza del cliente e le esperienze dell’estero ci hanno portato ad una semplificazione dei servizi offerti: è un po’ come se avessimo dovuto imparare ad eliminare gli elementi di contorno ed andare al dunque, al nocciolo delle questioni” “Stare in relazione con i nostri clienti e con il contesto, ci ha aiutato a creare prodotti più asciutti in cui abbiamo eleminato i ‘fronzoli’ che gonfiano costi e confondono rispetto ai bisogni critici in periodi di crisi in cui i clienti hanno bisogno di sapere che se succede loro qualcosa di grave, possono stare tranquilli. Abbiamo realizzato un prodotto infortuni/malattia che ha eliminato tutti i rimborsi per le visite mediche di ordinaria amministrazione e si concentra sulla gravità e non sulla frequenza, si focalizza sull’intensità di cura necessaria in alcune occasioni, prevede soluzioni di assistenza domiciliare integrata. Avevamo un budget che tanti ci dicevano non avremmo mai raggiunto e invece l’abbiamo quasi raddoppiato. Questo ha aiutato a sostenere l’impatto della crisi anche per i nostri agenti.”
Un indicatore della relazione di reciprocità che si può instaurare con il cliente è la domanda d’informazione e cultura che emerge lungo la filiera fino al cliente; alcune imprese rispondono con interventi, non solo specificatamente formativi, ma spesso riportano sul piano operativo azioni finalizzate a “educare”, attrezzare e accompagnare gli utilizzatori/clienti a riformulare la richiesta di servizio/prodotto; condividendo le informazioni e le conoscenze con il cliente si incrementa l’appropriatezza delle richieste e si supera la diffidenza per le novità , rappresentate dal diverso da ciò che sono abituati ad avere e ad aspettarsi . “Educare il cliente per istituire i bandi di gara in modo più coerente con le richieste: qualità e prezzo; …può diventare un fattore competitivo, è una cultura che si costruisce reciprocamente, la spinta a turno verso la nuova direzione. Un vantaggio per tutti , per la catena fino al dipendente.”
Nuova domanda di prodotti a contenuto valoriale In epoca di crisi è premiata la capacità delle imprese di risultare rilevanti per il cliente, non solo per il prodotto ma per il valore che nell’atto della fruizione si genera. In una fase in cui molti prodotti risultano indifferenziati, la distintività risiede nella capacità di generare valore percepibile e spendibile per il cliente. Esso si sostanzia quando le imprese, nell’atto della produzione e dell’erogazione, si occupano di rispondere alle domande implicite e sottese delle persone, che spaziano dalla qualità della vita, la salute, l’ecologia, fino al rispetto della legalità e dei principi etici .
“Intercettare i nuovi bisogni dei consumatori e la modifica degli stili di vita, ma anche dei valori e del clima sociale ci permette di disegnare nuove offerte e di proporle”
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“Mi piace quando lavoro con nuovi clienti, continuare le campagne iniziate da chi c’era prima della nostra Agenzia; è il tentativo di trasformare nella continuità, sostenere un’evoluzione delle idee (non strappi, delegittimazioni, ecc.). Questa scelta tiene anche in considerazione quanto il cambio ripetuto di riferimenti è consumante per il cliente. E’ importante non avere un atteggiamento predatorio, preferiamo un restauro conservativo, con delicatezza e sensibilità, con cura organizzativa.” In termini di qualità della vita e risoluzione di problemi pratici possiamo citare ad esempio il caso di un’azienda che fornisce servizi di riparazione auto, la cui mission è “migliorare la qualità della vita del cliente nel rispetto del tempo e della comodità “. L’obiettivo, oltre alla qualità e tempestività della riparazione, è quello di ridurre al minimo i disagi per il cliente -‐ “zero disagio “ è lo slogan-‐ in occasione di un evento quale l’incidente stradale che è foriero solo di problemi e scocciature per le persone; ciò diviene un fattore di vantaggio competitivo nel momento in cui la soddisfazione del cliente si misura sul valore del ben-‐essere complessivo che si è generato e che distingue questa impresa dalle altre. Il mondo delle banche, ad esempio, sta sviluppando da tempo il tema dell’etica nella ricerca di nuovi prodotti e sta investendo nel cambiamento culturale, rimettendo al centro i valori di base, per la formazione del personale. “Abbiamo lavorato su innovazione attraverso trasparenza e partecipazione, in un mondo come quello bancario, solitamente molto opaco. La trasparenza è un patto che si fa con il cliente: siamo trasparenti noi, ma lo diventa anche lui (nel sito pubblichiamo anche il dato del cliente)” Ci sono esempi di prodotti bancari che propongono ai clienti di investire in prestiti obbligazionari legati ad iniziative sociali, di solidarietà, anche in relazione al sisma che ha colpito l’Emilia; si attivano, da parte delle banche, servizi di microcredito in partnership con le associazioni che si occupano dell’emarginazione e dei cittadini più fragili. L’obiettivo è quello di condividere con i clienti un impegno e una presenza etica nel contesto: “siamo al contempo risparmiatori, consumatori e cittadini e si deve trovare una ricomposizione di scopi”. Anche l’attenzione alla salute e alla qualità del cibo rispetto alle modalità di coltivazione e di trasporto sta segnando una nuova fase nel campo alimentare; così come l’attenzione al consumo energetico e alla compatibilità ambientale guida la scelta delle abitazioni e degli elettrodomestici. Un aspetto importante da segnalare è che, nonostante la contrazione della disponibilità economica, si registra il primato del senso e del valore rispetto al prezzo, almeno per alcuni ambiti e gruppi di consumatori.
“Costiamo di più rispetto ad altri, ma i clienti ci scelgono lo stesso (la dimensione valoriale può essere strategica in tempi di crisi, più della dimensione economica). Alle persone arriva chiaramente il senso di quello che stiamo facendo e c’è adesione e condivisione …” “Costiamo un po’ di più del mercato ma il tasso di favore che i clienti ci attribuiscono dichiarando intenzionalità a promuovere e consigliare il nostro servizio ad altri, è il più alto del settore.”
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Conclusioni
Per un futuro possibile
Per chi si mette in viaggio per il futuro o lo sta proseguendo, vorremmo sottolineare che il cambiamento significativo per le imprese, dovuto alla crisi, è che si può intraprendere il “viaggio”, cioè rispondere all’istanza di crescita e di vitalità dell’impresa, assumendo la fatica, l’impossibilità e la limitatezza delle predizioni e delle visioni basate sulla probabilità statistica, che rendono non individuabile in modo certo la meta, “l’approdo” e , anzi, rendono possibili momenti in cui il sentiero non è chiaro, forse non c’è, e si ha la sensazione di essersi smarriti.
Non si tratta però di affidarsi alla navigazione “a vista”, improvvisata, ma si richiede alle aziende da una parte, un elevato investimento nella “strumentazione di bordo” e nell’introduzione di prassi partecipative di governance dell’impresa; dall’altra, di poter contare su una capacità conoscitiva e un approccio culturale nuovo, sofisticato e multidisciplinare, nei confronti del territorio, del contesto, del cliente. Si riafferma la centralità della persona, perchè solo alle persone, in condizioni di incertezza, si può chiedere di produrre conoscenza generativa, non riproducibile, per gestire la complessità, condividendo il rischio, le decisioni, l’ ansia e le preoccupazioni.
La crisi consente di riscoprire il valore della cooperazione e la contaminazione fra imprese; in questi casi vince la curiosità e la necessità del confronto versus la competizione e la rivalità nello stare sullo stesso mercato, emerge la necessità di tessere nuove reti.
Per le imprese che tengono maggiormente conto di queste istanze allora il “viaggio”, la crescita, diviene possibile anche in periodo di crisi, in quanto compatibile e coerente con ciò che si riesce a conoscere e a governare quotidianamente, se genera qualità e valore anche per il contesto, se restituisce e redistribuisce, sotto il segno di valori condivisi, dell’empatia e della cura reciproca.
“Credo che nel futuro ci sarà una cultura condivisa che avrà come basi: valori, servizio, correttezza e semplicità. Perché non dovrebbe funzionare?”
Tra le imprese che aspettano che il futuro accada e quelle che invece provano a costruirlo, troviamo una grande varietà di posizioni. Ma si accomunano nella metafora del viandante. Viandanti più che viaggiatori: è il viaggio stesso, non più la certezza della meta, che ci guida nell’andare per la via, nell’attraversamento, ci informa ciò che riusciamo a comprendere e a tradurre in un segnale sufficiente per proseguire, per agire, imparando ad apprezzare ciò che vediamo e chi incontriamo, sviluppando reti e relazioni, condividendo con altri il senso di inadeguatezza ma anche di passione che il viaggiare in luoghi ignoti ci procura.
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Questi e altri aspetti ricorrenti nelle esperienze ascoltate: sono ciò di cui oggi le imprese, gli imprenditori, i manager, i partner, i lavoratori e i clienti si stanno occupando nel costruire condizioni per il futuro.
“Rispetto al futuro penso sia importante immaginarselo possibile ed anche non per forza negativo. Non sono tanto convinta che, in generale, in passato si stesse così meglio (forse solo negli ultimi 20 anni). Se c’è una cosa che sappiamo fare è continuare a costruire.” Donatella Barberis e Rossella Elisio Studio APS di Milano Marzo 2013
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Composizione panel della ricerca.
Organizzazione o persona
Sede incontro
settore
Allianz -‐ agenzia Reggio Emilia Assicurazione Alviero Martini Milano Moda ANPMI Modena Associazione di settore Banca Etica Padova Bancario BPR Emilia Romagna Reggio Emilia Bancario Cappellano OPG Reggio Emilia Terzo settore Car Clinic Milano Servizi Riparazione
carrozzeria Autovetture CIR FOOD Reggio Emilia Ristorazione Confindustria Reggio Emilia Associazione di settore Conserva Italia S. Lazzaro (BO) Alimentare Continental Milano Pneumatici DLA-‐Piper Italy Milano Servizi legali Elettric 80 Viano (RE) Industria Extra-‐Banca Milano Bancario ICCREA Holding Milano -‐ Roma Bancario Landirenzo Reggio Emilia Industria Insegnalo.it Milano e-‐learning KSB Italia Concorezzo (MI) Industria Lega Coop Reggio Emilia Associazione provinciale
della cooperazione Lega Coop Emilia Bologna Associazione regionale della
cooperazione Dr. Sergio Nasi Reggio Emilia Manager Nostromo Modena Alimentare Piano C Milano Co-‐working Ponti F.lli Milano -‐ Novara Alimentare Riserva Rossa – Concerto Campo Volo
Correggio (RE) Eventi musicali
Sisal Milano Scommesse -‐ gioco Tita Milano Pubblicità Tua Assicurazioni Milano Assicurazioni Vicentini Volkswagen Verona Concessionaria Auto
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Bibliografia. AA.VV., In me non c’è che futuro – ritratto di Adriano Olivetti, Sattva Films, 2011 AA.VV. , Prendersi cura delle sofferenze nelle situazioni di lavoro, Rivista Spunti n.15 -‐ Studio
APS, 2013 AA.VV. , Senso e valore politico dell’agire nelle organizzazioni, Rivista Spunti n.12 -‐ Studio
APS, 2010 AA.VV. , Immaginare un futuro per le nostre organizzazioni, Rivista Spunti n.11 -‐ Studio APS,
2010 BARBERIS D., a cura di, Il prodotto del lavoro sociale. Un percorso per definirlo, valorizzarlo,
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