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FACOLT TEOLOGICA DI SICILIA
STUDIO TEOLOGICO S. PAOLO
- CATANIA -
Chiar.mo Prof.ATTILIO GANGEMI
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Ezio Coco
Anno Accademico 2004 / 2005
ESEGESI NT:
S. PAOLO E LETTERE
APPUNTI DELLE LEZIONI
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Triennio Teologico 2 anno secondo semestre Ges Redentore delluomo
Programma del Corso di Studi in
ESEGESI NT: S. PAOLO E LETTERE1
1. La figura di Paolo nelle Lettere e nel libro degli Atti degli Apostoli;
2. Sviluppo del pensiero paolino attraverso le varie lettere;
3. Paolo e la tradizione primitiva;
4. Esegesi di Filippesi 22,6-11.5;
5. Le tematiche delle due lettere ai Corinzi;
6. Le lettere ai Romani e ai Galati: il problema generale; il tema del su-
peramento della legge della giustificazione in Cristo; esegesi di Ro-
mani 5,1-11.7. La lettera agli Efesini: il mistero nascosto nei secoli;
esegesi di Efesini 1,3-14.18. La lettera agli Ebrei: il sacerdote secon-
do lordine di Melchisedek; esegesi di Ebrei 5,1-10 ed Ebrei 10,1-18.
Testi:
A.ROBERT-A.FEUILLET,Introduction la Bible, II, Descle, Tournai 1959;
S.CIPRIANI,Le Lettere di Paolo, Cittadella, Assisi1991;
Dispense del professore.
prof. ATTILIO GANGEMI
1STUDIO TEOLOGICO SAN PAOLO,Annuario 2004-2005, Tipolitografia Anfuso, Cataniagiugno 2004, 62.PS: Per visualizzare e stampare correttamente questo documento nelle parti di testo ingreco bisogna installare necessariamente un font che si trova nel CD diBibleworks 6.0ed il seguente: X:\BWGRKN.TTF, e per le parti di testo in ebraico o aramaico ilfile X:\BWHEBB.TTF (dimensione carattere 18), dove per X si intende il nomedella periferica del lettore CD.
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Marted 15 febbraio 2005, ore 10,30 / 12,15
PRESENTAZIONE DELLE LETTERE PAOLINE
Per epistolario paolino intendiamo le tredici lettere pi la quattor-
dicesima che la lettera agli Ebrei. Questultima non si lega direttamente
allepistolario paolino, vedremo infatti che essa non n lettera e n di
Paolo; tuttavia essa appartiene alla tradizione paolina.
Possiamo distinguere nellepistolario paolino le seguenti parti:
1 - le lettere pi antiche: 1 e 2 ai Tessalonicesi;
2 - le due lettere ai Corinzi, anche se si ha il sospetto che le lettere ai Co-rinzi siano state quattro e le nostre prima e seconda in realt sarebbe-ro la seconda e la quarta. Nella prima lettera ai Corinzi, Paolo accen-na ad uno scritto anteriore, di cui non sappiamo nulla, nella secondaai Corinzi, parla di una lettera tra le lacrime e perci una lettera du-ra e anche amara. Non sappiamo dir di pi, la chiesa primitiva non cele ha tramandate e se realmente ci sono state, sono andate perdute;
3 - Le due lettere ai Galati e ai Romani. Le mettiamo insieme perchsviluppano, come diremo, lo stesso argomento;
4 - Le lettere della prigionia. Le chiamiamo cos perch da qualche ac-cenno appare che Paolo abbia scritto queste lettere mentre era in car-cere, anche se bisogna forse distinguere tra le varie prigionie. Le let-tere della prigionia sono: Filippesi, Colossesi, Efesini. Sembra che lalettera ai Filippesi sia stata scritta durante la prigionia ad Efeso, men-tre Colossesi ed Efesini durante la prigionia romana.
5 - Le lettere pastorali: esse sono rivolte non a delle Chiese, ma a per-sonaggi particolari, specificamente due lettere a Timoteo ed una a Ti-to. Questi personaggi, della scuola paolina si apprestano a subentrarenellattivit apostolica, a loro lapostolo rivolge uno scritto con delleindicazioni: come assolvere il ministero apostolico;
6 - Rimane la tredicesima lettera che piuttosto un bigliettino molto bre-ve: la lettera a Filemoneche si esaurisce in un solo capitolo. In que-sta lettera, Paolo si rivolge ad un certo Filemone esortandolo ad ac-cogliere benevolmente uno schiavo, certo Onesimo, che era scappatodalla sua casa. Per gli schiavi fuggitivi era prevista la croce, questo
schiavo si rifugi da Paolo, si convert alla fede cristiana e Paolo pur
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rivendicando il diritto di poterlo tenere avendolo rigenerato alla fede
preferisce rimandarlo a Filemone perch lo accolga non pi comeschiavo ma come fratello in Cristo. Paolo non rivolge a Filemone unasemplice preghiera, ma addirittura un comando essendo Filemone de-bitore a Paolo della sua rigenerazione cristiana. Questo bigliettino importante per la nuova dimensione che esso contiene e che Paolo hagi sancito nella lettera ai Galati: in Cristo non c pi n Giudeo,n Greco, ne schiavo, n libero, n uomo, n donna, ma in Cristotutti una cosa sola. La fede cristiana non aveva il potere di abolire laschiavit come fenomeno sociologico, ma ne espresse la sua incom-patibilit con il messaggio di Ges.
In questo passaggio facciamo un brevissimo accenno alla lettera
agli Ebrei. Riteniamo che non sia lettera perch pur non essendo uno
scritto non rivela il carattere epistolare. Confrontando linizio Ebrei con
linizio delle altre lettere paoline, mancano mittente, saluti destinatari, ti-
pici invece di uno scritto epistolari. Confrontando ad esempio con la lun-
ga introduzione della lettera ai Romani, in questa lettera Paolo d il mit-
tente: Paolo apostolo di Ges Cristo, d i destinatari al verso 7: a tut-
ti quelli che sono in Roma, introduce i saluti: grazia e pace da Dio Pa-
dre nostro e dal Signore nostro Ges Cristo.
Al contrario Ebrei entra subito in argomento: in molti modi ed a
pi riprese Dio avendo parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultima-
mente in questi giorni (che sono)gli ultimi, parlo a noi in [uno che ]Fi-
glio per natura.
Nelle sue lettere Paolo dedica un certo spazio ai saluti, talora an-
che nominando delle persone particolari, citiamo una lettera qualsiasi,
Colossesi, ai saluti sono dedicati ben nove versetti, indicando sia le per-
sone che mandano a salutare, sia le persone che bisogna salutare. In Ebrei
non si ha nulla di tutto ci, c una frase di saluto nei versi 22-25, ma
questi versi risultano strani dopo la solennissima chiusura che citiamo:
il Dio della pace che ha fatto tornare dai morti il pastore grande delle
pecore, in virt del sangue di una alleanza eterna, vi renda perfetti in
ogni bene operando in voi ci che a lui gradito per mezzo del Signore
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Ges Cristo al quale sia lode e gloria nei secoli dei secoli, Amen. un
epilogo dove lautore riprende in maniera ampia i temi trattati, introduceuna dossologia con lamen finale, e questa lottima conclusione di una
omelia. I versi 22-25 dopo questo epilogo hanno un carattere frettoloso,
epistolare che stride con la solennit dellepilogo precedente. Oggi si
del parere di individuare negli ultimi versi un cosiddetto bigliettino di ac-
compagnamento che nulla vieta di poterlo attribuire a Paolo, il quale a-
vrebbe fatto sua questopera e lavrebbe inviata con la sua autorit alle
varie chiese, corredata da quel bigliettino epistolare, il copista seguenteavrebbe poi messo tutto insieme.
Detto in soldini la lettera agli Ebrei sembra essere un discorso o-
ratorio, una omelia, come la prima lettera di Giovanni, pronunziata in
contesto liturgico, eucaristico, come rivela la frequente menzione del
sangue di Ges: fondamento della nuova alleanza. Sembra addirittura che
la lettera agli Ebrei si costruisca sul fondamento della formula della isti-
tuzione del calice, il sangue della nuova alleanza.Restando ancora nella lettera agli Ebrei essa non pare che sia di
Paolo. Emerge anzitutto un diverso stile, nella lettera agli Ebrei tutto
preciso, proporzionato, anche le parole appaiono studiate, a differenza
dellepistolario paolino dove invece lapostolo rivela una certa irruenza e
qualche volta assume anche toni violenti. Ma talora nel suo epistolario,
Paolo che pensa pi veloce di quanto quel povero scriba non riesca a
scrivere, o anche nella foga dei pensieri, capita che Paolo lascia aperti ar-
gomenti che aveva introdotto e che per noi sono veramente dei rompica-
po (ad esempio:Rom 5; 2Ts 2). Tuttavia la lettera agli Ebrei si radica nel-
la teologia paolina, basti citare il capitolo terzo della lettera ai Romani
(3,24-25) dove Paolo scrive: giustificati gratis mediante la Sua grazia
per mezzo della Redenzione in Ges Cristo che Dio costitu pubblica vit-
tima di espiazione per mezzo della fede mediante il Suo sangue. Il testo
citato della lettera ai Romani rivela un carattere fortemente sacrificale sul
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quale per non il momento di entrare. Accanto alla lettera ai Romani
possiamo citare limportanza che assume il sangue di Cristo nella letteraagli Efesini. Concludiamo dicendo che lautore della lettera agli Ebrei
parte dalle premesse della soteriologia paolina e tira una conseguenza di
fondamentale importanza: Ges sacerdote.
ICONTENUTI
Scorrendo le lettere paoline possiamo grosso modo individuarequattro tappe della sua riflessione.
1 - La prima tappa nelle due lettere ai Tessalonicesi, nelle quali Paolodipende pi direttamente dalla tradizione sinottica, in conformit aiVangeli sinottici, soprattutto Matteo. In questa lettera Paolo si aprealla prospettiva escatologica del ritorno del Signore e infatti come te-stimoniano i Vangeli, la predicazione primitiva si apr allannunziodel ritorno del Signore.
2 - Il secondo stadio rappresentato dalle lettere ai Corinzi, ma ancheallinterno di queste due lettere bisogna introdurre una distinzione trala prima e la seconda lettera. Nella seconda Paolo difende la legitti-mit del suo ministero apostolico messo in crisi dai giudaizzanti chenon avevano accettato, anzi avevano visto come un tradimento laconversione di Paolo alla fede cristiana. Questo problema sar ancheforte nella lettera ai Galati, ma di ci parleremo in seguito. La primalettera ai Corinzi, invece, mira a risolvere alcuni problemi sortiallinterno della comunit cristiana; fin dalle prime battute Paolo rive-la il problema che lo affligge. In 1,11 leggiamo: mi stato riferitoda parte della gente di Gloe che ci sono divisioni tra di voi nel fatto
che alcuni dicono: io sono di Paolo, io sono di Apollo, io sono di Ce-fa, io sono di Cristo. Con molta sorpresa Paolo si chiede: forse cheCristo stato diviso? Oppure Paolo stato crocifisso per voi? oppu-
re nel nome di Paolo siete stati battezzati?. Ma lapostolo rivela lavera causa di queste divisioni ed esordisce citando Isaia 29 con Pro-verbi 33,10: disperder la sapienza dei sapienti e rifiuterlintelligenza degli intelligenti, c un difetto grave che nasce dallanon accettazione di Cristo, e infatti i giudei cercano i miracoli e i gre-ci cercano la sapienza. Per i giudei che cercano i miracoli la croce ap-pare debolezza, per i greci che cercano la sapienza la croce apparestoltezza. La croce pu essere debolezza, ma quello che debolezza
di Dio pi forte degli uomini, e quello che stoltezza pi alto del-
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la sapienza umana. Nel verso 23 Paolo dichiara: noi annunziamo il
Cristo crocifisso, scandalo per i giudei e stoltezza per i pagani, ma ilCristo crocifisso la potenza di Dio e la sapienza di Dio. Riassu-mendo in poche parole Paolo dichiara che le divisioni ci sono perchnon si accetta lo scandalo della Croce e la stoltezza della Croce. E-merge un punto centrale delle teologia paolina che sar anche centralenella teologia giovannea: il Cristo crocifisso centro di unit. Riassu-mendo ancora questa incomprensione del Cristo crocifisso si ha per-ch i cristiani, giudei e pagani, sono rimasti nei loro ragionamenticarnali e non sono divenuti spirituali. Paolo sembra dire che il Cristocrocifisso si pu capire solo mediante lo Spirito. Concluder poi nelcapitolo 3 che i Corinzi si rivelano carnali quando dicono: io di Pao-
lo, io di Apollo, ecc. Paolo si chiede, ma chi Paolo? ma chi Apol-lo? e risponde che sono strumenti in base a quello che Dio ha conces-so, e conclude nel verso 3,6 con la famosa frase: io ho piantato, A-
pollo ha irrigato, ma Dio che d incremento. Questo problemadellunit sar poi ripreso nel capitolo 11 dove Paolo rimprovera ilfatto che i cristiani portano divisioni l dove non dovrebbero esserci,cio nella Cena del Signore. Conosciamo i problemi storici che lospezzare eucaristico era legato a dei banchetti e l un pochino emer-geva la voracit di ognuno dimenticandosi degli altri. Questo temadellunit torna nel capitolo 12 con i carismi che possono diventaremotivo di divisione mentre sono finalizzati alla crescita del corpo. Ma
qui Paolo introduce la descrizione del (carisma), il donoconcreto, superiore. Un altro problema che angustiava i Corinzi era ilfatto della Resurrezione, difficilmente comprensibile alla mentalitgreca come emerge dal fallimento di Paolo allareopago di Atene (At-ti 17) e la difficolt nasceva dal fatto che i greci erano di mentalitneoplatonica e perci lideale platonico era quello della liberazionedellanima dalla sua prigione del corpo, e per i greci resurrezione va-leva il ritorno dellanima nella prigione del corpo, e ci era in antitesial loro ideale. In realt non lanima che v ad imprigionarsi nel cor-po, ma il corpo che viene elevato alla stessa gloria divina. Paolopartir citando la fede primitiva secondo la quale levento della Ri-surrezione indiscusso ed indiscutibile. Altri problemi pi concretisaranno il problema dellincestuoso nel capitolo quarto. Nel capitolo7 il problema della verginit su cui non entreremo in merito.
3 - Passando adesso alle lettere ai Galati ed ai Romani, Paolo abbandonaquasi del tutto il tema del ritorno del Signore che aveva gi abbando-nato in parte nelle lettere ai Corinzi. Il problema di Galati e Romani quello della separazione, per dir cos, della Chiesa dalla Sinagoga. Ilcristiano ormai libero dalla legge e per il cristiano la salvezza non nellosservanza della legge mosaica, bens nella fede in Cristo, anzi lalegge giudaica era causa di peccato e viene superata. Qui noi abbiamo
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il richiamo al Concilio di Gerusalemme(atti 15) che sancisce la liber-
t dalla legge e qui troviamo il richiamo ai due oracoli fondamentali:Geremia 31 ed Ezechiele 36.
4 - La quarta tappa segnata dalle due lettere:Efesini e Colossesi.
Sabato 19 febbraio 2005, ore 08,30 / 10,15
Sono fondamentali le lettere della prigionia: di Filippesi quello
che centrale linno cristologico che Paolo propone nel capitolo 2. A
riguardo per dobbiamo fare una distinzione letteraria: nelle lettere pao-line distinguiamo tra parti dottrinali e parti parenetiche. Le parti dottrinali
sono quelle parti in cui lapostolo presenta in maniera descrittiva una dot-
trina. Le parti parenetiche sono quelle parti dove lapostolo esorta i fede-
li, magari deducendo la sua esortazione da principi teologici fondamenta-
li, per esempio i capitoli 12-16 della lettera ai Romani sono tutta parenesi
che consegue alla esposizione dottrinale dei primi otto capitoli. La lettera
ai Filippesi tutta parenetica la lettera di un apostolo che in attesa di
giudizio (probabilmente ad Efeso) e non sa se lo aspetta la sentenza di
morte o una liberazione. Dir nella stessa lettera che per lui vivere
Cristo e morire un guadagno. Nella stessa lettera Paolo rivela il suo
animo quando dice di non sapere cosa desiderare: augurarsi cio una
sentenza di morte, e allora per lui significa essere con Cristo oppure
continuare a vivere per essere di aiuto ai cristiani. In questo sfondo pare-
netico si colloca linno cristologico introdotto non come fredda esposi-
zione dottrinale, ma come il modello di comportamento che i cristiani
hanno davanti ai loro occhi.
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Le lettere agli Efesini ed ai Colossesi rappresentano uno stadio di maturi-
t di pensiero dellapostolo. Tra le due lettere c pero qualche differenzadi prospettiva. Detto in parole povere, Colossesi pi cristologica: di
fronte a tendenze di risucchio al giudaismo ed alle prescrizioni legali,
Paolo ripropone la figura di Ges come fondamento. Due parti soprattut-
to nella lettera ai Colossesi sono importanti: anzitutto linno cristologico,
dove Paolo sottolinea la fondamentale Signoria di Cristo, e prima di in-
trodurre questinno, Paolo eleva un ringraziamento al Padre che ci ha resi
degni di prendere parte della eredit dei santi nella luce. Continua ancorasottolineando che Dio per noi (Col 1,12-13) ha operato un esodo, cio ci
ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel Regno del Figlio
Suo, nel quale abbiamo la redenzione, la remissione dei peccati. No-
tiamo in questa breve riflessione tre aspetti, progressivamente restringen-
ti, c nello sfondo la grandiosa vocazione da parte di Dio: ci ha chiamati
a partecipare alla sorte dei santi nella luce. Poi la prospettiva si restringe,
ci avvenuto perch Dio ha operato un esodo, cio ci ha liberati dal po-tere delle tenebre e ci ha trasferiti nel Regno del Figlio Suo. Tutto ci pe-
r avvenuto mediante unopera di redenzione. a questo punto che Pa-
olo introduce il suo inno che sottolinea la assoluta centralit di Cristo. Di
questinno che sarebbe complessissimo faccio notare solo una cosa: scri-
ve Paolo a riguardo di Cristo che Egli limmagine del Dio invisibile.
Notiamo la parola immagine (), salvo errore essa deriva da Genesi,
in Genesi 1,26 Dio dice: facciamo luomo a nostra immagine secondo
nostra somiglianza. Cos il testo ebraico
!, la versione
greca probabilmente ha alla base un errore scribale, per cui traduce a
nostra immagine e a nostra somiglianza, la lettura originale sembra es-
sere quella del testo ebraico.
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Luomo genesiaco creato ad immagine di Dio, ma non una pie-
na immagine, una immagine secondo una somiglianza. Paolo depenna laseconda parola genesiaca e lascia soltanto la parola immagine sottoline-
ando cos che il Dio invisibile trova la piena manifestazione nel Signore
Risorto; in Lui, Dio si manifesta pienamente.
Restando ancora nella lettera ai Colossesi importante la centrali-
t di Cristo nella vita cristiana, qui sembra che Paolo proponga come ide-
ale di vita cristiana quello che possiamo chiamare il coinvolgimento mi-
stico del cristiano dove mistico significa compartecipazione al mistero.Il culmine in Colossesi 3, 1-3: se siete con-risorti a Cristo, cercate le
cose di lass dove Cristo siede alla destra di Dio, siete morti la vostra
vita nascosta con Cristo in Dio e quando apparir, apparirete anche
voi con Lui nella gloria. In questo brano noi abbiamo due parti con tre
aspetti ciascuno, la prima parte ha tre aspetti che ricalcano il cammino
dellesodo:
1. punto di partenza:coinvolgimento nellaResurrezione di Ges;
2. cammino intermedio;3. terminedel cammino.
1 - Il punto di partenza la compartecipazione alla resurrezionedi Ges, notiamo lespressione: . Salvo errore,
questa frase non dovrebbe essere tradotta se siete risorti con Cristo,ma se siete con-risorti a Cristo: in questo modo si sottolineano due co-se: coinvolgimento nel mistero () e finalizzazione(). Laoristo richiama levento preciso battesimale, nel qualeil cristiano, da una parte stato coinvolto nel mistero della resurrezione,ma insieme stato finalizzato a Cristo.
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2 - Il cammino intermedio contenuto nella frase: le cose dilass, cercate []. Il verbo cercate un imperativo presente cheesprime azione abituale e continua: il cristiano finalizzato a Cristo statoproiettato verso le cose di lass, di conseguenza la vita cristiana diventauna continua e costante ricerca. Limperativo presente non comandalinizio della ricerca, ma la perseveranza nella ricerca. Ci potrebbe ri-chiamare per antitesi il cammino dellesodo: il popolo liberato dallEgittofu orientato verso la terra promessa, ma nel cammino verso la terra pro-messa pi di una volta bram tornare indietro rimpiangendo lEgitto.Lesortazione paolina sembra contenere una tacita allusione nella vitacristiana alla tentazione che si prova a tornare indietro. Lesortazioneperci mira a far superare questa tentazione.
3 - Il termine del cammino indicato dalle parole: dove Cristo alla destra di Dio sedente.
Marted 22 febbraio 2005, ore 10,30 / 12,15
Segue subito dopo unaltra triade con i seguenti elementi:
1. siete morti;2. la vostra vita nascosta con Cristo in Dio;3. quando apparir, apparirete anche voi con Lui nella gloria.
In queste due triadi emerge applicato alla vita del cristiano tutto il
mistero di Ges. La prima triade sottolinea gli aspetti della Resurrezione
e della ascensione, la seconda triade sottolinea gli aspetti della morte e
della sepoltura. La dimensione mistica del cristiano, come coinvolgimen-
to del mistero di Cristo, gi era stata proposta, bench in maniera pi li-
mitata nel capitolo 6 della lettera ai Romani, versetto 3, dove Paolo scri-
ve: quanti siamo stati battezzati in Cristo [ ]alla Sua morte
siamo stati battezzati. Possiamo notare in questa frase uno schema con-
centrico:
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1 - quanti siamo stati battezzati;2 - ;3 - (verso la Sua morte);
4 - siamo stati battezzati.
Questa frase d il senso dellevento battesimale come finalizza-
zione e orientamento a Cristo, pi specificamente alla Sua morte: il cri-
stiano che viene battezzato consacrato e finalizzato a condividere la
morte di Ges. Continua ancora Paolo: siamo stati consepolti a Lui permezzo del battesimo verso la Sua morte perch come Cristo risorto per
mezzo della gloria del Padre cos anche noi possiamo camminare in no-
vit di vita.
Emergono in questo testo tre aspetti del mistero di Cristo:
1. morte;2. sepoltura;
3. resurrezione.
Emerge per una differenza tra il mistero di Cristo e la vita cri-
stiana: mentre per Cristo prima c la morte e poi la sepoltura, per il cri-
stiano si verifica il contrario: prima sepolto nel battesimo poi consa-
crato alla morte. Ma possiamo notare un parallelismo:
1 siamo stati con sepolti
2 verso la morte
1 come Cristo risorto
2 camminiamo in novit di vita
Si direbbe da questo schema che la novit cristiana, e quindi la
partecipazione alla resurrezione, coincida con la propria finalizzazione
alla morte di Cristo.
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LETTERA AI FILIPPESI
Linno ai Filippesisi colloca in un contesto parenetico, ed pre-
ceduto in 2,1-5 da una introduzione parenetica in quattro parti:
1. la prima parte costituita da quattro frasi condizionali:a. se qualche conforto in Cristo;b. se qualche consolazione di carit;c. se qualche comunione di spirito;
d. se qualche [?] (viscere di commozione e di misericordie);2. segue la seconda strofa in cui Paolo tira le conseguenze dalle
condizionali precedenti:rendete piena la mia gioia;a. s da bramare;
b. la stessa carit avendo;c. lunica cosa bramando;
3. la terza strofa indica il modo di come i cristiani debbano com-portarsi nel bramare lunica cosa:
a. niente secondo orgoglio;b. ne secondo vana gloria;c. ma con brama della condizione del misero;d. a vicenda ritenendovi superiori a s stessi;
4. lultima strofa contenuta nel verso 4:a. n le proprie cose ciascuno considerando;b. ma anche ciascuno quelle degli altri.
In questa introduzione di indole parenetica notiamo un progresso
di tre frasi:
1. s da bramare la stessa cosa;2. lunica cosa bramando;3. ma con brama della condizione del misero.
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Quello che abbiamo tradotto con bramare corrisponde al verbo:
. Quello che abbiamo tradotto con brama della condizione del
misero corrisponde al termine: . Paolo esorta prima di
tutto i cristiani a bramare la stessa cosa, ma la stessa cosa che i cristiani
debbono amare unica e non c ne sono altre. Questunica cosa ap-
punto la cio la brama della condizione del misero. Si
potrebbe obiettare a Paolo se ci non sia autolesionismo: lo se mancas-
se lesempio costringente di Ges. Per questo motivo introduce linno
con cui egli spiega la condizione di brama del misero.Lo introduce con una frase: questo bramate che [fu] anche in
Cristo Ges.
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FILIPPESI
2,1-11
2,1
(se qualche conforto in Cristo)
(se qualche conforto di carit) (se qualche conforto di Spirito)
(se qualche [?] viscere di commozione e misericordie)
2,2
(rendete piena la mia gioia)! (s da bramare la stessa cosa)
(la stessa carit avendo)" (dello stesso animo)
# (lunica cosa [1.v. la stessa cosa] bramando)
2,3
$ % (niente secondo orgoglio)$$& (n secondo vanagloria)
(ma con brama della condizione del misero) ' ' ' (a vicenda ritenendovi supe-riori di s stessi)
2,4' ! (n le proprie cose ciascuno considerando) () ' !* (ma anche ciascuno quelledegli altri)
2,5 ' # %+
(questo bramate in voi ci [che era] anche in Cristo Ges)2,6
# ' ' '
2,7
' $ ,
' - ' '
2,8
' '
[ $]*
2,9
$' '" '
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1 Il quale in forma di Dio essendo
2 non da rivendicare ritenne3 lessere come Dio
4 ma s stesso svuot5 forma di servo avendo preso
1 In somiglianza di uomini divenuto2 e allaspetto trovato come uomo3 umili s stesso4 divenuto obbediente fino a morire
(morte di Croce)2
1 per questo anche Dio Lui superesalt2 e don a Lui il nome3 quello al di sopra ogni nome
1 perch nel nome di Ges ogni ginocchio si pieghi(degli esseri celesti, terrestri e quelli sotto terra)
2 e ogni lingua confessi3 che Signore () Ges Cristo
(a gloria di Dio Padre)
Tutto linno si articola in quattro strofe; le strofe si possono rag-
gruppare a due a due. Le prime due strofe sono ricondotte allunico sog-
getto pronominale (il quale #) riferito a Ges, nella terza strofa il sog-
getto Dio, nella quarta il soggetto sono gli esseri creati.
Nella prima strofa possiamo distinguere due aspetti: metrico e
strutturale. Dal punto di vista metrico avremmo quattro versi mettendo il
terzo elemento insieme al secondo, avremmo quattro versi con tre accenti
ciascuno. Dal punto di vista strutturale avremmo cinque frasi strutturate
secondo uno schema concentrico. La prima frase corrisponde alla quinta:
entrambe infatti condividono lo stesso termine .
2Le frasi tra parentesi sono probabilmente delle aggiunte, ma delle aggiunte da Paolo.
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Le due frasi anzi stanno in perfetto parallelismo:
forma formadi Dio di servoessendo avendo preso
C la stessa parola (forma): seguita da un genitivo (di
Dio, di servo), a cui segue un participio (essendo, avendo preso). La se-
conda e quarta espressione hanno in comune due forme verbali contrap-
poste dalle particelle - (non - ma), il primo verbo ' (ritenne), il secondo verbo (svuot). Anche qui
notiamo un parallelismo strutturale
'''' S stesso (')ritenne(') Svuot ()
Al centro abbiamo lespressione: essere come Dio: in greco
troviamo larticolo , poi . La presenza dellarticolo
indica che lespressione soggetto, avremmo allora
il seguente sviluppo sintattico:
1. non ritenne (che) [accusativo allinfinito]2. lessere come Dio [soggetto]3. (fosse)4. ' [predicato]
Colui che era in forma di Dio non ritenne che lessere come Dio
fosse '. Tutto il problema sta in quella parola ', che
la versione italiana traduce: tesoro geloso. Questa parola proviene dal
verbo ' (rubare), e la parola pu avere due sensi: oggetto rubato
oppure oggetto da rubare, oggetto da sottrarre in maniera violenta o an-
che da rivendicare. La frase seguente ma umili s stesso suggerisce
che la versione migliore sia cosa da rubare, cosa da rapire, cosa da ri-
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vendicare. Il senso allora il seguente: Colui che era in forma di Dio non
ritenne che lEssere come Dio fosse da rivendicare.
La formulazione negativa suggerisce una tacita contrapposizione,
alla quale ci rimanda lespressione essere come Dio, possiamo stabilire
un parallelismo fra tre espressioni:
Filippesi 2,6 Genesi 3,5 (greco LXX) Genesi 3,5 (Ebraico)
'
Capiamo subito dove si trova questa frase, ci rimanda nel contesto
della tentazione genesiaca. La versione greca dei LXX traduce alla lette-
ra, e pedissequamente alla lettera il testo ebraico. in ebraico
il nome divino ed usato al plurale. I traduttori greci non se la sentirono
di tradurre sarete come Dio, ma tradussero in maniera pi debole:
' , cio al plurale ma senza larticolo. In questo modo, secondo i
traduttori greci, la tentazione era, non di essere come Dio, ma di essere
come esseri di indole divina. Rispetto al testo dei LXX, il testo di Filip-
pesi ha tre somiglianze e due differenze. La prima somiglianza una
forma del verbo essere, la seconda somiglianza la forma comparativa,
la terza somiglianza il termine . Le due differenze sono: il primo
passaggio da ' che indica approssimazione ad che indica
quasi identit, il secondo passaggio dal generico plurale
allo specifico singolare . La frase dei Filippesi perci pi
forte della frase genesiaca, ci che Ges ritenne da non dovere rivendica-
re fu una situazione superiore a quella dellAdamo genesiaco. La tradu-
zione ritenne che lessere come Dio non era da rivendicare, suggeri-
sce cos un tacito confronto con lAdamo genesiaco. LAdamo genesiaco,
sotto linflusso della tentazione, ritenne che lEssere come Dio era da ri-
vendicare, precisamente mediante la trasgressione. Leggiamo infatti nel
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testo genesiaco che il serpente fece credere alla donna che Dio mediante
il comandamento defraudava di un diritto perch se ne mangiavano sa-rebbero diventati come Dio. Gli occhi allora si aprirono, la donna vide
che il frutto era bello a vedersi e buono a mangiarsi, ne colse e ne man-
gi. Cio la donna trasgred e trasgred per rivendicare lEssere come
Dio. La donna perci ritenne che lessere come Dio era da rivendicare
mediante la trasgressione. Ges invece non ritenne di dovere rivendicare.
Il confronto antitetico tra lAdamo genesiaco e Ges emerge nella pre-
ghiera al Getsemani, ma lo troviamo anche abbastanza sviluppato nel ca-pitolo quinto della lettera ai Romani, dove Paolo stabilisce un confronto
tra la disobbedienza di uno che port alla morte, ed a causa della quale i
molti furono costituiti peccatori, e lobbedienza dellaltro che port alla
vita ed a causa della quale i molti sono costituiti giusti.
Ma possiamo ampliare il parallelismo secondo Genesi 1,26,
luomo fu creato ad immagine secondo somiglianza. Ges
(forma di Dio). Avremmo il seguente parallelismo:
Adamo Genesiaco Ges
1) immagine secondo somiglianza 1) (forma di Dio)
3) sarete come Dio 3) essere come Dio
Sappiamo che Genesi 1,26 appartiene al codice sacerdotale e il
capitolo terzo invece alla tradizione Jawhista, ma questa osservazione
frutto della critica moderna. Il lettore neotestamentario non si pone questi
problemi, ma coglie un progresso dalla immagine secondo somiglianza,
allessere come Dio. Limmagine secondo somiglianza volle arrivare
allessere come Dio mediante la strada della rivendicazione e della tra-
sgressione. Ges parte da una condizione pi alta, la parola in-
dica un aspetto esteriore che rimanda ad una realt interiore, linno di Fi-
lippesi, salvo errore, non ancora Giovanni, e perci non afferma esplici-
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tamente la preesistenza divina, ma lespressione forma di Dio la insi-
nua. Possiamo allora dire che Colui che in forma di Dio ha davanti a sla prospettiva di essere come Dio. Si capisce, non nella realt eterna, ma
nel cammino storico, nel raggiungere lobiettivo di essere come Dio, Co-
lui che era in forma di Dio, contrariamente allAdamo genesiaco non ri-
tenne di dovere battere la via della rivendicazione mediante la trasgres-
sione.
Sabato 26 febbraio 2005, ore 08,30 / 10,15
Il termine ' nella frase predicato, tutta lespressione
una proposizione oggettiva. Possiamo ricostruire la frase nel seguente
modo: non ritenne [che] lEssere come Dio [fosse]': questa
parola greca deriva dal verbo ' (rubare, rapinare), pu avere due
significati: o attivo (cosa da rapire), o anche passivo (cosa rivendicata o
anche rapita). Questa parola ha avuto diverse interpretazioni, il suo pro-
blema che una parola unica in tutta la Bibbia greca. Filologicamente
possibile intenderla in entrambi i modi proposti. Dal momento che n gli
usi (perch non c ne sono), n la filologia ci aiutano a dirimere il pro-
blema, chiediamo lumi al contesto. Il contesto suggerisce meglio
linterpretazione cosa da rapire ocosa da rivendicare e, tenendo conto
del soggiacente schema adamitico, questo significato quadra bene con
tutto il contesto. Leggendo Genesi, Adamo sobillato dalla tentazione ri-
tenne di dovere rivendicare, mediante la trasgressione quello che Dio
mediante il comandamento gli aveva precluso. La denudazione fece cre-
dere allAdamo genesiaco che Dio, mediante il comandamento, lo stava
defraudando di un suo diritto. Luomo allora ritenne di dovere rivendica-
re, proprio mediante la trasgressione. La contrapposizione allAdamo ge-
nesiaco ci illumina su un aspetto che del testo pare soggiacente: perch
lAdamo genesiaco rivendic? perch fu sobillato dalla tentazione. Que-
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sto ragionamento ci fa ritenere che anche Ges prov la stessa tentazione
e infatti se noi vediamo la tradizione evangelica, questa rivela la tenta-zione di Ges. I tre Vangeli sinottici ci dicono che allinizio della vita
pubblica, Ges fu tentato, Matteo e Luca ci danno anche tre tentazioni
precise, ma una lettura pi attenta di quei racconti ci mostra che la vera
tentazione di Ges fu in due posti precisi: il Getsemani e il Calvario. Il
Getsemani ci presenta Ges che esorta: vegliate e pregate per non cade-
re in tentazione, ma se Lui preg, vuol dire che sub la tentazione: Lui
preg e nella tentazione non cadde, i discepoli non pregarono, e nella ten-tazione caddero: quella di abbandonare Ges e fuggire. Abbiamo in altri
momenti stabilito un confronto tra lAdamo Genesiaco e Ges al Getse-
mani. La tentazione di Ges fu quella di eludere il calice, ma Lui a diffe-
renza dellAdamo genesiaco tradusse la tentazione in preghiera e della
tentazione non cadde, quindi bevve il calice. La tentazione al calvario
non chiara dai testi: ci sembra di scorgerla per nel parallelismo che
possiamo stabilire tra se sei il Figlio di Dio, d che queste pietre diven-tino pane e se sei il Figlio di Dio scendi dalla Croce, ma proprio nel
fatto che dalla Croce non scese, Ges si rivel il Figlio di Dio, perch il
Figlio di Dio non si definisce per la potenza, bens per lobbedienza. La
lettera agli Ebrei in 4,15 commenta: non abbiamo un sacerdote che non
possa compatire le nostre infermit, messo alla prova in tutto senza pec-
cato, cio fu messo alla prova ma nella trasgressione non cadde.
Stabilito il senso di questa prima affermazione, passiamo alla se-
conda affermazione: in 2,7 la particella contrappone il secondo
atteggiamento al primo. Troviamo lespressione ' su
cui ci sarebbe tanto da dire, ma prima preferiamo considerare la frase
precedente, non senza avere fatto una doverosissima critica alla attuale
versione italiana, la quale traduce: svuot s stesso assumendo la condi-
zione di servo, in questo modo la versione italiana fa coincidere lo svuo-
tamento con lassunzione della forma di servo, ma non cos nel testo
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greco. Nel testo greco lultima parola : ,, participio aoristo del
verbo ,. Questo participio ha un valore circostanziale, per
messo in relazione al precedente verbo non esprime contem-
poraneit, ma esprime antecedenza, perci il testo : avendo preso for-
ma di servo, Ges svuot s stesso. Letto in questo modo il testo, mi ri-
vela un cammino: Ges assunse la forma di servo e con questa forma
comp un cammino che lo port al massimo svuotamento. Prendere la
forma di servo: notiamo la parola $ che in lingua greca esprime il
servizio pi basso, lo schiavo, e differisce dallaltro termine $.Il $ un servo particolare, quello adibito alle mense, e infatti
$ parola composta da: $ + . Questultima parola
significa polvere, e la particella $ significa attraverso: si indi-
ca la polvere che solleva una persona mentre cammina, si indica cos quel
servo che, passando frettolosamente tra i tavoli sollevava polvere. Il ter-
mine $ riprende il quarto canto del servo di Jawh, in Isaia 53,11
leggiamo del servo, secondo la versione greca dei LXX:$ . La tradizione evangelica per non os il termi-
ne $ per Ges, bens il termine $, basti pensare al testo
di Matteo 20,28, con il suo parallelo in Marco 10,45, dove si dice che il
Figlio delluomo non venuto per essere servito, ma per servire e dare
la sua vita in riscatto per molti. Si avverte linflusso del quarto canto,
ma non si usa il termine $. Come anche in Luca 22,27, dove Ges
chiede: chi migliore? colui che sta a mensa o colui che serve?, si ca-pisce, colui che sta a mensa, ma Ges precisa: eppure il Figlio
delluomo come colui che serve. Possiamo chiederci perch la tradi-
zione evangelica prefer il termine $? Probabilmente per evitare
un termine crudo $ che suonava male alle orecchie del mondo
greco.
Emerge una domanda: quando Ges assunse la forma di servo?
La risposta lavremo dopo, anticipando quello che diremo. Il servo ri-
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Esegesi NT: S. Paolo e lettere - Prof. ATTILIO GANGEMI A.A. 2004 / 2005 Coco Ezio 25
chiama lobbedienza e perci Ges assunse la forma del servo quando
profess la sua obbedienza al Padre, cio al Getsemani. La contrapposi-zione emerge chiara: Ges non segu la via della trasgressione, ma segu
la via della sottomissione. Possiamo allora dire che al Getsemani assunse
la forma di servo, e avendo assunto quello intraprese un cammino che lo
port all' . Di questa frase bisogna notare sia loggetto
pronominale ' sia il verbo . Cominciamo da
questultimo: il verbo aoristo dal verbo , questo
verbo deriva dallaggettivo che significa vuoto, il verbo percisignifica svuotare. Ma in che senso Ges svuot s stesso? Se noi identi-
fichiamo lo svuotamento con la forma di servo, come vuole la versione
italiana, il problema rimane. Assumere funzione di servo azione positi-
va e resta la domanda: da che cosa Ges si svuot? Vorremmo lasciare
quelle interpretazioni secondo cui Ges si svuot della divinit. Ma se si
legge la frase come culmine di un cammino che parte dalla forma di ser-
vo, questa frase ci conduce alla croce che pu essere ben definita unosvuotamento (della vita). Ci potrebbe essere confermato da due elemen-
ti. Anzitutto il parallelismo con 2,8 che parla dellobbedienza fino a mo-
rire, inoltre importante il pronome ', pronome riflessivo in cui
soggetto e oggetto coincidono. Questo pronome riflessivo proprio della
tradizione paolina: in Galati 2,20, Paolo esclama: mi ha amato ed ha da-
to s stesso per me; la stessa cosa si legge in Efesini 5,2: ci ha amati ed
ha dato s stesso per noi, la stessa cosa in Efesini 5,25: Cristo ha ama-to la Chiesa ed ha dato s stesso per lei. La stessa cosa la leggiamo nel-
la lettera agli Ebrei che confrontando il sacrificio di Cristo in 9,14 con i
sacrifici antichi scrive: quanto pi il sangue di Cristo che offr s stesso
mediante uno spirito eterno. Questo pronome riflessivo molto impor-
tante perch sgorga dal mistero dellobbedienza. In tutta la storia della
passione, Ges fu certamente coartato, ma i Vangeli ci tengono a sottoli-
neare la libert di Ges: alla base della passione non ci sta la coartazione
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bens il mistero dellobbedienza. Tra i diversi testi che possiamo citare ne
proponiamo uno solo, da Giovanni che sottolinea pi di tutti questo a-spetto; scrive Giovanni, riecheggiando la preghiera che esplicitamente
non narra, in 18,11: il calice che il Padre mi ha dato, forse che non lo
beva?. Ges non pu eludere il calice perch esso proposto dal Padre,
sottolineando cos la strettissima relazione tra i due. La lettera agli Ebrei
scrive in 5,9 una frase vertiginosa: impar dalle cose che pat,
lobbedienza, e anche in 10,5, lautore scrive: entrando nel mondo e
qui cita il Salmo 39. Sia detto tra parentesi che la peculiarit della pas-sione di Ges non sta nellintensit dei dolori (perch non stato n il
primo e neanche lultimo a subire la croce), ma sta nel fatto che espres-
sione di obbedienza e la croce diventa fonte di salvezza non in s stessa,
ma perch espressione e concretizzazione di un atto di profonda, totale,
assoluta e incondizionata obbedienza al Padre. Scrivendo impar dalle
cose che pat, lobbedienza, Ebrei scrive una frase ermetica, ma che for-
se possiamo spiegare cos: altro lobbedienza promessa o dichiarata, al-tro lobbedienza attuata e nella attuazione ci si pu rimangiare durante
la sua attuazione. Nella passione Ges non si rimangi lobbedienza, ma
anzi crescendo la passione, cresceva lobbedienza stessa.
Possiamo rileggere questa prima strofa. Tenendo conto
dellinterpretazione data dellAdamo genesiaco emerge il confronto anti-
tetico tra due personaggi: lAdamo genesiaco e il servo di Jawh.
LAdamo genesiaco si riconduce alla Legge, il servo si riconduce ai pro-
feti. E tutta la scrittura che viene cos chiamata in causa: La Legge ed i
profeti. Per antitesi la legge, per continuit i profeti. Vi propongo una
domanda alla quale per non do risposta: possibile vedere in ci una
traccia della polemica paolina contro la legge?
In ogni caso Ges si oppone allAdamo genesiaco e sii avvicina
alla figura del servo. Del servo era preannunziato il mistero
dellobbedienza, il quarto canto pone un problema: perch il servo sof-
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fre? Una prima risposta potrebbe essere: perch Dio lo ha umiliato, ma la
vera risposta perch al Signore piacque far ricadere su di Lui le colpe ditutti. Il servo perci ha la missione di portare su si s le colpe di tutti e
questo il suo servizio. Per il quarto canto non dice nulla
sullatteggiamento del servo, cio sulla sua predisposizione interiore. Lo
dice per il terzo canto che a noi pervenuto abbastanza lacunoso (donde
la fatica dei traduttori italiani a cucire). Questo terzo canto descrive
lanimo del servo al quale il Signore ha dato una lingua da iniziati, cio
lo ha reso abile parlatore, per prima gli ha dato un orecchio da iniziati,cio lo ha reso abile ascoltatore. Dir poi il servo: il Signore mi ha ta-
gliato lorecchio ed io non mi sono tirato indietro. Il servo accetta quel-
lo che Dio ha stabilito su di lui e lo accetta con massima fiducia in Dio
stesso: ma il Signore accanto a me come un prode. Ci ci permette di
capire come latteggiamento spirituale di Ges nella passione fu quello di
una totale fiducia in Dio. Concludendo la scrittura prevedeva perci la
figura del servo verso la quale, Ges si orienta in contrapposizioneallAdamo genesiaco.
La seconda strofa presenta una struttura di quattro versi poetici ed
ogni verso sembra avere tre accenti metrici. Le rime due strofe sottoline-
ano la dimensione dell. Si pu scorgere un parallelismo an-
titetico, cio una contrapposizione al fatto che Ges non ritenne di dovere
rivendicare lessere come Dio, al contrario, si sottolinea la dimensione
dell.
Fanno problema, anzi, le ultime due parole
$. Queste parole anzitutto sono fuori metro, e inoltre
introducono un cambiamento tematico: la frase precedente mi d
laspetto dellintensit, cio il grado a cui arriva lobbedienza e non la
morte concreta. Invece questultima frase indica il modo della morte con-
creta. Possiamo pensare che questa frase non appartenga allinno prece-
dente, ma appartenga alla penna paolina, il quale sottolinea nella lettera
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ai Filippesi la croce di Cristo. Nel capitolo terzo infatti, egli parla dei
nemici della croce di Cristo (Fil 3,18) il cui Dio il ventre. Andiamo alleprime due frasi: la prima frase sottolinea la realt oggettiva, la seconda
frase invece sottolinea lesperienza soggettiva. Nella prima frase si sotto-
linea la somiglianza che non implica soltanto laspetto esteriore, ma im-
plica la realt personale. Divenuto in somiglianza di uomini indica che
anche Lui partecip alla condizione umana.
Marted 01 marzo 2005, ore 11,30 / 12,15
In questi due versi poetici importante la ripetizione del termine
. Si pu anche stabilire una relazione strutturale concentrica
tra gli ultimi due elementi dei due versi: avremmo cos il seguente sche-
ma:
1)2) 3)'
2) '
I due participi non sembrano semplice ripetizione. Il participio
indica la realt oggettiva; laltro participio ' (tro-
vato), rimanderebbe meglio allesperienza altrui.Lui in s stesso divenne
in somiglianza di uomini; dagli altri fu sperimentato come uomo. Le due
frasi insieme hanno in comune lespressione della verit della dimen-
sione umana di Ges: uomo in senso reale (vero uomo), tuttavia per
allinterno c la divisione che abbiamo indicato.
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Su questa divisione torneremo ancora, ma passiamo adesso al terzo ver-
so: ', confrontare con
' . Queste due espressioni stanno in parallelo, anzi in-
sieme permettono di cogliere uno schema concentrico:
1)'2)3)
4)'
Questi due verbi si richiamano a vicenda: nello svuotamento rag-
giunse la forma del , abbiamo detto chi era il pres-
so i greci: la persona che occupa lultimo posto nella scala sociale. Que-
sto verbo proviene dal quarto canto del servo del Signore
(Cfr.Isaia 53,8) ' (in umiliazio-
ne il suo giudizio fu sollevato). Secondo la versione greca il servo sub un
giudizio nel quale egli fu considerato alla stregua di un misero. Ma cuna differenza tra il canto del servo e linno. Nel canto del servo, il servo
fu considerato tale dagli altri e in certo senso dovette subire; nellinno
Ges che determina a s stesso quella condizione. A proposito della frase
della prima strofa abbiamo sottolineato limportanza teologica di questo
pronome riflessivo. Si pu dire sulla scia neotestamentaria che Ges fu
lartefice della sua passione in quanto
la affront in atteggiamento di libera,
incondizionata e totale adesione al Pa-
dre.
Passiamo adesso allultima e-
spressione:
'
(divenuto obbediente fino a morire).
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Di questa frase notiamo diverse cose. Anzitutto la sua precisa re-
lazione strutturale allultima frase della prima strofa $ ,. Possiamo anzi stabilire il seguente schema con-
centrico:
1) 2) $
3) ,4)
5) '6)
Forma
di servo
avendo preso
essendo divenuto
obbediente
fino a morire
Nello schema sopra indicato emerge la relazione tra $ e
': proprio del servo obbedire, ma nellobbedienza Ges rag-
giunge la forma del servo.
La seconda osservazione riguarda lassenza dellarticolo davanti
al termine , tale assenza indica pi laspetto qualitativo che
non la realt concreta, cio non significa che lobbedienza di Ges dur
fino alla morte concreta, ma che la sua obbedienza raggiunse il massimo
grado, cio la massima intensit.
Come abbiamo notato per lultima frase della prima strofa, anche
in questultima frase, il participio precede il verbo
. Possiamo anzi dire che nell sono conve-
nuti i due aspetti dellobbedienza e del culmine che la morte. In questi
due venti, Ges realizz la figura del .
Ma possiamo di nuovo rileggere globalmente la seconda strofaindicando i seguenti elementi:
1) realt oggettiva dellessere uomo;2) lesperienza degli altri come uomo;3) lobbedienza;4) il suo culmine e la morte.
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Se leggiamo bene questa strofa ci sembra di scorgere tutto il
cammino dellesistenza terrena di Ges. Esso parte dallincarnazione:
1) in somiglianza di uomini divenuto (incarnazione);2) passa attraverso lesperienza altrui (vita pubblica?);3) Getsemani (obbedienza);4) la morte (il culmine della passione).
Possiamo rileggere tutta questa seconda strofa alla luce
dellultima parola della prima strofa: forma di servo avendo preso, la
forma di servo di Ges riguarda cos tutto il cammino della sua esistenza
fino alla morte.
importante la menzione della morte che nellinno originale
lultima parola. Questa parola suggerisce una riflessione ancora di con-
fronto con lAdamo genesiaco. I due uomini hanno in comune la stessa
realt come termine del loro cammino, la morte: alla morte giunse
lAdamo genesiaco e alla morte giunse Ges. Se permesso usare una
immagine fantasiosa, i due uomini scendono nella stessa realt per scale
opposte: la scala dellAdamo genesiaco la trasgressione, la scala di Ge-
s lobbedienza. Donde, anticipando quello che linno dir dopo, ca-
piamo che mentre per lAdamo genesiaco, la morte, in forza della tra-
sgressione, il termine del cammino, per Ges, in forza dellobbedienza,
la morte il punto di partenza.
Prima di andare avanti sia permessa una riflessione spirituale,
perch in tutto ci ci sembra di scorgere una metodologia: la sottolineatu-
ra dellobbedienza indica che ci che veramente fu importante in Ges,
non fu la morte nella sua materialit. Ma fu importante il fatto
dellobbedienza, anzi una morte per obbedienza. Emerge qui la novit
assoluta della morte di Ges, la sua morte non fu la pena del peccato es-
sendo Lui luomo senza peccato. Qui sembra la metodologia: Dio ha in-
dicato che tutte le conseguenze del peccato restano tutte, ma in un cam-
biamento di senso, non pi come punizione subita, ma come luogo di
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quellatto di obbedienza che lAdamo genesiaco non fece, ma che Ges
invece fece.
Sabato 05 marzo 2005, ore 08,30 / 10,15
$ ' '"
' 3.
La terza strofa comprende versi metrici. In questa strofa sono im-
portanti le prime due parole: lespressione $ e il soggetto '.Lespressione $ molto enfatica: lenfasi data da due elementi: la
particella $ + il pronome '. La sua posizione al primo posto la sua
formulazione letteraria. La formulazione letteraria la fusione di due e-
lementi: la particella $ + il pronome '. Il pronome ' in neutro
del pronome dimostrativo !,!, !. La particella $ costruita con
laccusativo ha il valore causale, potremmo tradurre: per questo, ma la
forma contratta e la posizione iniziale enfatizzano e potremmo tradurre
un po esasperando: proprio per questo, e siccome lultima frase di-
venuto obbediente fino a morire, allora il pronome ' si riferisce al mi-
stero dellobbedienza: quello che si verificato dopo, si verificato pro-
prio per lobbedienza che stata assoluta, totale, incondizionata, che non
si fermata nemmeno di fronte alla morte. Rileggendo questa frase alla
luce dei racconti della passione si pu capire il senso di questa obbedien-
za. Lobbedienza di Ges consistette nella piena e totale fiducia nel Padre
al quale si abbandon. Questultima frase non una speculazione spiri-
tuale, siamo convinti che possibile ricostruire la dimensione spirituale
di Ges considerando le Scritture alle quali alludono i racconti del Ge-
tsemani e anche del Calvario. Il denominatore comune di quelle Scritture
labbandono fiducioso dellorante a Dio.
importante $' , la particella importante,
3Cfr. Filippesi 2,9.
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qui assume il significato di anche. Lobbedienza un rapporto dialogi-
co, in essa laspetto fondamentale non era lesecuzione materiale, ma larelazione dialogica al Padre. La particella indica che tutta lopera
di Dio una risposta personale a quello che Ges a fatto, per questo an-
che Dio []. Emerge cos tutto il rapporto dialogico tra Ges e il Padre
nella Passione.
Ma consideriamo il testo seguente dove possibile evidenziare
anzitutto una struttura letteraria:
1) '2)
3) '"4)
5)6)
Il carattere di risposta dellopera di Dio, allobbedienza di Ges
emerge da unaltra relazione che possibile stabilire nel testo:
1)(svuot s stesso)2) '(umili s stesso)3) '"(superesalt)
4)(don)
Le due azioni di Dio corrispondono ai due atteggiamenti di Ges:
al massimo svuotamento corrisponde il massimo dono (1-4), alla massi-
ma umiliazione corrisponde la massima esaltazione (2-3).
Tutta la Scrittura sottolinea che Dio suole innalzare gli umili ed
abbassare i superbi, e quanto pi profonda lumiliazione, tanta pi alta
lesaltazione.
Il verbo '" composto da ' + !" (dal
verbo '"). Il verbo '" deriva dallaggettivo !" (alto). Il
verbo allora significa fare alto, innalzare. Questo verbo dipende anche
dal quarto canto del servo di Jahw il quale inizia cos: ecco il mio ser-
vo, sar innalzato, glorificato assai. Con questa prima frase, probabil-
mente il compositore di quel canto volle prevenire lo scandalo della sof-
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ferenza del servo: quel servo nei tormenti poteva apparire colpito da Dio
e umiliato, invece al Signore piacque far ricadere su di lui i peccati di tut-ti. Alla fine del canto ci si apre alla glorificazione del servo di cui si dice
che dopo il suo intimo tormento vedr la luce. Ma la fede primitiva vide
nella glorificazione e nellesaltazione del servo gi lallusione alla Resur-
rezione. Questi due verbi: esaltare eglorificaresono centrali in Giovan-
ni, secondo il quale lesaltazione e la glorificazione di Ges coincidono
con la Sua Croce. Perci il verbo esaltare ha alle spalle una tradizione
veterotestamentaria e neotestamentaria, dalla quale al momento prescin-diamo. Fermiamo lattenzione sul verbo stesso. La particella ' si-
gnifica sopra e siccome non c un termine di paragone, la particella
' si apre allindefinito. Possiamo pensare che si tratti di una esalta-
zione, ultra, senza limiti, oltre la quale non si pu andare. E gi si insinua
che lo stesso livello a cui Dio si trova.
Il secondo verbo deriva dalla radice di che
vuol dire dono: Dio soggetto gratific, don a Ges qualcosa. Emergeancora una volta lantitesi con lAdamo genesiaco, questi si erse a livello
di Dio e rivendic qualcosa, Ges invece avendo seguito via inversa non
si erse, ma fu esaltato: non rivendic, ma gli fu donato
Andiamo alloggetto , tre cose suggeriscono che si
tratti del nome stesso di Dio:
1) la relazione strutturale che abbiamo indicato di tutta la frase;2) larticolo non sta dicendo un nome, bens il nome, cio il nomeper eccellenza;
3) il fatto che nella tradizione rabbinica, Dio chiamato il nome("), cio Dio elev Ges alla Sua altezza e gli don la Sua attesaprerogativa.
Il nome quale sia, linno lo dir dopo, possiamo per notare che il
Nome indica nel linguaggio semitico la stessa realt della persona: si
chiamer Ges: Egli infatti salver il suo popolo (Cfr. Mt). Troviamo
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anche qui unaltra differenza con lAdamo genesiaco: lAdamo genesiaco
mediante la trasgressione rivendic lessere come Dio, Ges per viadellobbedienza non ottiene lessere come Dio, ma molto di pi: diven-
ta Dio, ovviamente non si tratta della seconda Persona della Santissima
Trinit, bens delluomo Ges divenuto obbediente fino a morire. Che
Ges ottenga la stessa realt divina emerge dalla sottolineatura che fa
linno: ' cio il nome che si trova al di sopra ogni al-
tro nome. Nellaggettivo sono inclusi tutti coloro che portano un
nome. Proprio la sottolineatura che si tratta di un nome al di sopra diogni altro nome conferma che si tratti appunto del Nome di Dio. Tutto
ci ci permette una deduzione dal testo, se abbiamo letto bene il testo ri-
vela la costituzione di Ges come Dio e in ci ci sembra di scorgere la
grande vocazione umana, quella cio di diventare Dio. Il mistero di Ges
rivela questa vocazione e il nostro testo indica la strada attraverso la qua-
le luomo diventa Dio.
Ci permettiamo unaltra riflessione: le scienze moderne hannomesso in crisi il concetto di obbedienza ritenendola come alienante e
mortificante della volont umana. Ma probabilmente non stata messa in
discussione la vera obbedienza, ma soltanto un tipo di obbedienza vera-
mente mortificante, obbedienza non solamente eseguire.
Passiamo infine allultima strofa dove leggiamo: perch nel no-
me di Ges ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra
[! %+ "
]. Nellultima strofa il soggetto cambia, ma
dello sfondo per rimane ancora Dio e infatti la particella ! pu ave-
re due valori: o finale (affinch) o consecutiva (cosicch). Lesaltazione
di Ges e la divinizzazione sono tali da determinare una conseguenza: la
conseguenza che ogni ginocchio si pieghi e ogni lingua professi.
Queste parole sono prese dalla Scrittura, precisamente da Isaia 45,23. Il
capitolo 45 di Isaia un capitolo composito, sotto un unico sfondo tema-
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tico sono collocati diversi oracoli. Appartiene al Deutero-Isaia e Dio im-
plora dal suo popolo di essere riconosciuto come Dio e di abbandonareuna volta per tutte gli idoli. Dio dichiara di non essere stato introvabile e
inudibile (cio non udibile): non ho parlato nelloscurit, in un luogo
oscuro della terra, Dio che ha annunziato cose giuste e di conseguen-
za e Lui lunico Dio e pu pretendere di essere lunico e universale Sal-
vatore: volgetevi a Me e sarete salvi, paesi tutti della terra (Cfr.Isaia
45,21). Nel verso 23 Dio conclude che sar riconosciuto da tutti come
Dio, tutti lo adoreranno si piegher ogni ginocchio, e tutti si appogge-ranno su di Lui su ogni giuramento. Il testo ebraico scrive: in me giure-
r ogni lingua, la versione greca dei LXX un pochino muta: e confes-
ser al Signore ogni lingua. Prescindendo da queste precisazioni testua-
li il senso globale di Isaia 45 il carattere assoluto della divinit di Dio,
Lui il Signore e non altri. Se linno riferisce a Ges quello che Isaia 45 ha
riferito a Dio, vuol dire che Ges diventato Dio. Davanti a Ges si fan-
no due cose: adorazione eprofessione di fede. Ladorazione ogni gi-nocchio si pieghi, la professione di fede data dalle parole Signore
Ges Cristo. Ma consideriamo queste ultime parole e facciamo analisi
logica:
1) Signore= predicato2) = copula3) Ges Cristo= soggetto
La parola Signore in greco , nella versione greca dei
LXX, il nome frequentissimo (un paio di migliaia di volte) e
traduce il pi delle volte quel nome che gli ebrei non potevano pronun-
ziare: # (Yahweh), qualche volta anche il nome adonai, e perci
qui c la conferma che il nome di Ges ha ereditato il nome stesso di
Dio #. Ges diventato # e come tale deve riconoscerlo o-
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gni lingua, ma questultima strofa peculiare e introduce un aspetto di-
verso rispetto alla terza strofa. Nella terza strofa, la sottolineatura eraquella della relazione di Ges a Dio: Dio lo ha relazionato a s, nella
quarta strofa la relazione non pi a Dio, bens agli uomini. Troviamo un
duplice movimento, Dio eleva Ges a s e lo presenta agli uomini. Ci
sembra che qui riecheggi ancora il testo genesiaco: quando Dio cre
luomo e alluomo present tutte le Sue creature, ma il nostro testo non
la semplice ripresa di Genesi, bens la costituzione universale di Ges
come Signore al quale dovuto quello che invece lAT riferiva a Dio. Cisembra di scorgere nel testo una metodologia di Dio che tende a ritirarsi
per mettere davanti agli uomini la persona di Ges.
Riassumendo abbiamo nellinno quasi un cammino ascensionale
di Ges. La prima strofa mette in evidenza la scelta radicale, lessere ser-
vo, la seconda strofa presenta, nella nostra lettura, un cammino di vita
nella condizione di servo che conduce allobbedienza fino al massimo
grado. Nella terza strofa c il cammino di Ges verso Dio, nella quartastrofa c Ges che diventa il centro degli uomini.
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LE LETTERE AI TESSALONICESI
comunemente riconosciuto che queste lettere, diversamente
dallordine del canone, sono le prime dellepistolario paolino. Tessaloni-
ca fu raggiunta nel secondo viaggio ed perci, dopo questo secondo
viaggio, che deve essere collocata. In queste lettere notiamo due caratte-
ristiche: una freschezza dellanimo di Paolo che ama aprire il cuore alle
sue comunit ed anche un aggancio di queste lettere con la tradizione e-
vangelica bench incominci una fase di spostamento dalla prospettiva e-scatologica alla vita concreta delle comunit. Salvo errore, la prima lette-
ra nasce da un equivoco. Come appare dalla tradizione evangelica, la re-
surrezione di Ges orient verso il Suo ritorno e del ritorno di Ges si
parla abbastanza frequentemente soprattutto nel Vangelo di Matteo, ma
anche negli altri. Alcune parabole (10 vergini, talenti, samaritano) orien-
tano verso il ritorno. Lannunzio cristiano era quello di una venuta pre-
sto, si diceva che il Signore sarebbe tornato presto. Ma qui probabilmen-te nasce un equivoco: altro la parolaprestonel linguaggio apocalittico,
altro la parola presto nella mentalit greca di chi non ha quel linguag-
gio. Nella mentalit apocalittica, presto, gi la presenza delleffetto
contenuta nella causa: posta la causa, leffetto imminente, anche se cro-
nologicamente passer del tempo. Un esempio ci pare di scorgerlo nella
narrazione di Matteo, secondo il quale alla morte di Ges, i sepolcri si
aprirono, molti colpi di santi risorsero, entrarono nella citt Santae ap-parvero a molti. Nulla di reale, ma qui un discorso prolettica, e visto
cio come gi realizzato, leffetto contenuto nella Sua causa che la mor-
te di Ges. Questo per non dovette suonare cos alle orecchie greche.
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Marted 08 marzo 2005, ore 11,30 / 12,15
Per un greco non abituato alla riflessione apocalittica, ilprestoas-
sumeva un senso cronologico e si cerc di quantizzare questo presto, una
quantit che per veniva dilazionata dal fatto che la gente moriva. E allo-
ra il duplice squilibrio della chiesa di Tessalonica. Anzitutto la gente
smise di lavorare donde la frase paolina: chi non lavora nemmeno do-
vrebbe mangiare, il secondo squilibrio fu unangoscia che assal per il
fatto che si diceva che quelli che morivano non avrebbero assistito allagloria del ritorno del Signore.
Paolo entra subito in argomento fin dallinizio proponendo il vero
cammino del cristiano. In 1,2 leggiamo:
ringraziamo Dio sempre per tutti voi facendo me-moria di voi nelle vostre preghiere ricordandoci
1) dellopera delle fede,
2) del travaglio dellagape,3) della costanza della speranza.
Abbiamo qui una triade scandita dalle cosiddette tre virt teologa-
li. La prima (in 1,3):
1. (in questa frase polivalente il genitivo ), pu essere sia genitivo soggettivo (la fede che pro-duce opere), sia genitivo oggettivo (loperosit che rafforza ed accre-sce la fede), sia anche genitivo di identit (la stessa fede che opere).
Non il caso di optare per un senso o per laltro, conviene lasciare lafrase nella sua indeterminatezza: quello che importante sottolineare la relazione tra fede e operosit.
2. La seconda espressione andrebbe tradotta:la fatica, il travaglio dellagape. Di questa frase sottolineamo sol-tanto il carattere faticoso dellagape, ma gi questo aspetto di faticasottintende la prospettiva di un cammino.
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. la terza frase ' $. Il termine ' tradotto
abitualmente con costanza, indica latteggiamento di chi trovando-si sotto ('), sotto un peso, da quel peso non si sottrae, ma sotto diesso rimane () saldo. Questespressione si ricollega alla tradi-zione evangelica dove Ges afferma: che avr perseverato fino alla
fine sar salvo, nel nostro caso la ' come atteggiamento dichi permane senza sottrarsi presentato come la caratteristica e incerto senso anche come la condizione fondamentale della speranza.In questo modo, Paolo lega la fede alloperosit, lagape al travaglio ela speranza alla costanza.
Emerge una triade in un ordine diverso rispetto a quello di altri te-sti anche paolini. In 1Cor 13 troviamo lordine che usiamo noi abitual-
mente: fede, speranza, carit (agape). Come anche questordine si ritro-
va nel capitolo 10 della lettera agli Ebrei.
Nel nostro testo lordine della triade nasconde un cammino ana-
logo a quello dellEsodo. I momenti dellEsodo sono tre:
1) lesperienza del Dio liberatore;2) il cammino attraverso il deserto;3) il termine del cammino: lingresso nella terra promessa.
La triade presenta la fede come punto di partenza, non fede astrat-
ta, ma operosa, presenta lagape come travaglio, il termine del cammino
indicato dalla , la speranza. Ma possiamo tener conto delle pri-
me tre parole: operosit, travaglio, costanza. Possiamo dire che una frase
d il contenuto alla frase precedente. Loperosit della fede si concretizzanellagape che travagliata, ma il permanere nel travaglio dellagape
permette di aprirsi alla speranza.
In questo modo, Paolo indica, come raggiungere lobiettivo della
speranza, non stando con le mani in mano (come pretendevano i Tessalo-
nicesi), ma mediante una attivit di vita incentrata sulla fede come punto
di partenza, sullagape come cammino intermedio, e sulla speranza come
termine del cammino.
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Nel verso 9 dello stesso capitolo, abbiamo unaltra pennellata nel-
la direzione contraria allatteggiamento assunto dai Tessalonicesi. Par-lando dei suoi viaggi, Paolo ricorda, come la fede dei Tessalonicesi ce-
lebrata non solo nella Macedonia e in terra di Acaia, ma anche in ogni
luogo. Si avverte la metodologia paolina che spesso ama usare il dono
della captatio benevolentie, e cos leggiamo quale fede celebrata:
come vi siete orientati verso Dio dagli idoli per servire al Dio vivente e
attendere il Suo Figlio dal cielo che risuscit da morte: Ges che ci libe-
ra dallira futura. utile leggere questo verso in maniera strutturale, epossiamo cogliere quattro frasi in relazione alternata:
1) vi siete orientati a Dio;2) dagli idoli;
3) per servire al Dio vivo;4) e attendere il Suo Figlio dal cielo.
Questo schema alternato secondo la disposizione attuale del te-
sto, ma potremmo tematicamente strutturarlo nel seguente modo:
1) dagli idoli;2) a Dio;3) servire al Dio vivo;
4) attendere il Suo Figlio dal cielo.
In questo schema torna ancora il cammino cristiano modellato
sullo schema dellEsodo. Il cristiano ha operato un Esodo: dagli idoli aDio, esattamente come una volta il popolo di Israele oper un Esodo dal-
la servit degli egiziani al servizio di Dio.
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Tutta la storia dellEsodo, infatti ha due orientamenti:
1) verso la terra promessa;2) verso Dio
1) voi avete visto ci che ho fatti agli egiziani2) Vi ho condotti su ali di aquila
3) Vi ho fatti venire a me. (Cfr. Esodo 19,4)
Paolo riprende una espressione dellAT: servire Dio al popolo
dato come segno di liberazione, il fatto che serviranno Dio. Lasciando
stare ulteriori riferimenti allEsodo, osserviamo come anche qui c una
proiezione verso il futuro attendere il Suo Figlio, ma anche stavolta,
lattesa implica un cammino che non certamente di inoperosit: servire
Dio, anche se Paolo non precisa in che cosa consista questo servizio a
Dio. Per lAT servire Diocoincideva con losservanza dei comandamen-
ti.
Possiamo anche accostare le due triadi, il verso 3 ed i versi 9-10, e
possiamo proporre il seguente schema:
TS 1,3 TS 1,9-10
1) lopera della fede;2) il travaglio dellagape------------------------------3) la costanza della speranza
1) convertiti dagli idoli2) a Dio
servire al Dio vivente
3) attendere il Suo Figlio
Si pu scorgere in queste due triadi un certo parallelismo tematico
per cui le due triadi si completano a vicenda. La conversione dagli idoli
avviene mediante la fede; qui possiamo trovare un contenuto del servire
Dio, accettando il travaglio dellagape; lattesa del Suo Figlio loggetto
della speranza; perch oggetto di speranza? Perch libera dallira futura.
E Paolo menziona levento della Resurrezione come fondamento della
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speranza: la Sua venuta certa perch conseguenza della Sua Resurre-
zione e certamente il liberatore appunto perch Risorto.Al tema del ritorno del Signore, Paolo torna nel capitolo quarto
dove risponde allaltra preoccupazione o angoscia dei Tessalonicesi: il
fatto, cio, che alcuni morivano.
Un equivoco poteva anche essere suggerito dalle parole stesse di
Ges che erano state tramandate nella comunit, cos per esempio in
Matteo 16,28 leggiamo: in verit dico a voi: ci sono alcuni di quelli qui
presenti che non gusteranno morte finch non vedano il Figlio delluomo
venire nel Suo regno. Abbiamo riferito lespressione secondo la versio-
ne di Matteo; Marco e Luca che riferiscono lo stesso detto introducono
delle mutazioni, donde deduciamo che questa frase, che questo detto eb-
be difficolt di comprensione nella tradizione primitiva. Una lettura pi
attenta rivelerebbe che il detto applicabile alla resurrezione, e questa
avvenne mentre alcuni dei presenti erano vivi e divennero perci dei te-
stimoni. Ma la frase poteva essere riferita alla Parusia e perci, in tale ri-ferimento, emergeva langoscia che alcuni morendo non avrebbero visto
la venuta del Signore. Cos Paolo nel capitolo quarto, dal verso 13 fino al
capitolo 5,11, seguendo lo schema dei discorsi escatologici che trovere-
mo nei Vangeli sinottici, affronta il problema in due parti:
1) la sorte dei morti in relazione alla venuta del Signore2) e come attenderlo.
Quanto alla relazione, Paolo, dichiara subito in 4,13: non vo-
gliamo che voi siate nellignoranza a riguardo di quelli che giacciono
perch non siate tristi, (perch cessiate di essere nella tristezza)come gli
altri che non hanno speranza. In poche parole Paolo sta dicendo che la
tristezza che tiene i Tessalonicesi frutto di mancanza di speranza, ma
tenendo presente la triade si 1,3, la speranza segue allagape e questa alla
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fede, e perci se manca la speranza, manca anche lagape e manca anche
la fede.Ci limitiamo soltanto ad esprimere sinteticamente il pensiero pao-
lino, nel verso 14, per lapostolo sottolinea che se crediamo che Cristo
Risortoanche quelli che giacciono, Dio li condurr con Lui. E perci
Paolo ricorda la Resurrezione. I morti alla venuta del Signore risorgeran-
no. Lapostolo descrive tale venuta con un linguaggio tipicamente apoca-
littico, nel verso 15 afferma che: noi, i viventi, che siamo lasciati per la
parusia del Signore, non precederemo quelli che si sono coricati. Que-sta frase pone un problema, o meglio lo ha posto tra gli interpreti, che pe-
r vorremmo un po eludere perch mi pare leggermente ozioso. Dicendo
noiPaolo pensava che nemmeno lui sarebbe morto. Le opinioni sono sta-
te tante tutte gravitanti attorno a due punti:
- o la convinzione che Paolo non sarebbe morto,- o quella che mi sembra pi verosimile e che sta riprendendo
il linguaggio dei suoi interlocutori.
Dicevamo che la venuta del Signore descritta con linguaggio te-
ofanico-apocalittico (verso 16): il Signore stesso ad un cenno, alla voce
dellarcangelo, alla tromba di Dio, scender dal cielo, in seguito, a
questa venuta parusiaca, i morti risorgeranno e se ci sono ancora dei vi-
venti, la loro condizione sar quella di essere rapiti sulle nubi del cielo, e
tutti andremo incontro al Signore. Diamo qualche elemento di valutazio-
ne globale di questo discorso.
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Il linguaggio anzitutto non deve essere esasperato, quello che Paolo sot-
tolinea sono tre aspetti:
1) anzitutto la certezza della Sua venuta;2) inoltre laffermazione della resurrezione;3) infine lepilogo finale che quello di essere con Cristo
che Paolo descrive come un grande corteo trionfale.
Su questo non diciamo pi nulla, pi importante quello che se-
gue nei versi 1-11 del capitolo quinto. Paolo esordisce con le parole suitempi e momenti, fratelli, non avete bisogno che vi si scriva. Emerge un
problema che doveva agitarsi nella chiesa primitiva: quando il Signore
torner? Contrariamente a quanto teologi hanno affermato, la Chiesa
primitiva profess la totale inconoscibilit del tempo del ritorno del Si-
gnore. Se consideriamo per esempio il discorso escatologicodi Matteo,
capitolo 24 e 25 si pone il problema sul tempo della venuta, e Ges di-
chiara che non lo sa nessuno, nemmeno il Figlio. Linconoscibilit
dellora ha come conseguenza che il Signore pu tornare in qualsiasi
momento, donde una dimensione spirituale della vita cristiana professata
dalla Chiesa primitiva ed espressa con il verbo (vegliare).
Dal momento che non si sa quando il Signore torna, bisogna attenderlo
vegliando e non dormendo.
Alla base c una convinzione che la venuta del Signore dovr ve-
rificarsi di notte, ci emerge per esempio dalle varie parabole, per esem-
pio Matteo 25: le dieci vergini: a mezzanotte si sente un grido, ecco lo
sposo!; Marco 13 esorta a vegliare perch il Signore pu tornare la sera
a mezzanotte, al canto del gallo al mattino, cio in tutto larco della notte.
Tale convinzione poggia probabilmente su una parafrasi di indole midra-
scica contenuta nel Targum palestinese di Esodo 12. Secondo Esodo 12,
langelo sterminatore venne di notte, e il racconto dellEsodo conclude:
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notte di veglia fu quella per il Signore. I rabbini commentarono che
quattro sono le notti:
1) la notte in cui Dio cre;2) la notte in cui Abramo and a sacrificare il figlio;3) la notte di Pasqua;4) la notte quando verr il Messia.
Si capisce allora limmagine della veglia: chi attende non dorme.
lasciando stare la prospettiva dei sinottici, e tornando a Paolo, in 5,2 Pao-
lo spiega: voi stessi sapete accuratamente come il giorno del Signore
viene come un ladro nella notte. Notiamo anzitutto lavverbio accura-
tamente: ci significa che quello che Paolo sta spiegando appartiene gi
ad una lunga esposizione orale. Paragona la venuta del Signore a quella
di un ladro. Limmagine del ladro non paolina, ma ripresa dalla tradi-
zione sinottica, precisamente si legge in Matteo 24,43 e in Luca 12,39.
Entrambi gli evangelisti riferiscono un detto di Ges che, salvo opinione
migliore, pu risalire a Ges stesso. Il detto questo: se sapesse il padre
di famiglia a che ora verrebbe il ladro veglierebbe e non si lascerebbe
scassinare la sua casa. Ges conclude: anche voi siate pronti perch
nellora che non pensate, il Figlio delluomo viene. Ci potrebbe essere
una distonia tra limmagine e la sua applicazione. Il padrone di famiglia
veglia se sa a che ora viene il ladro, i discepoli debbono vegliare perch
non sanno a che ora il Signore viene. Ma probabilmente si passa ad una
argomentazione a forzioni4: se il padre di famiglia veglia perch sa, a
maggior ragione debbono vegliare i discepoli perch non sanno. Questo
detto di Ges fu reinterpretato ed abbiamo tre esempi di reinterpretazio-
ne: 1Ts 5,2; 2Pt 3,10; Ap 3,3. In 2Pt 3,10 leggiamo: questo dovete sape-
re, che verr il giorno del Signore come un ladro; Ap 3,3 precisa: se
non vegli, vengo come un ladro.
4A maggior ragione.
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Sabato 12 marzo 2005, ore 08,30 / 10,15
La reinterpretazione doveva perci appartenere alla tradizione
primitiva. C per una differenza allinterno di questa reinterpretazione,
mentre Tessalonicesi parla della venuta non direttamente del Signore, ma
del giorno del Signore, lApocalisse parla direttamente del Signore. c
per una parola in Paolo molto importante perch gli permette di passare
allaspetto spirituale della vita cristiana: precisa che il giorno del Signore
viene come un ladro nella notte. Questa precisazione nella notte na-sce indubbiamente dallo stile di un ladro che in genere preferisce per ru-
bare, le ore notturne. Ma probabilmente questa parola nasce dalla tradi-
zione evangelica. La tradizione evangelica assegna il tempo della notte
alla venuta del Signore e ci sulla scia di una tradizione giudaica codifi-
cata nel Targum di Esodo. In Paolo questa parola assume un senso spiri-
tuale: la venuta del giorno del Signore come un ladro nella notte coglie di
sorpresa come i dolori di una partoriente, poi per precisa (nel verso 4):ma voi fratelli non siete della tenebra cosicch il giorno del Signore vi
sorprenda come un ladro. Precisa Paolo: tutti voi siete figli della luce e
figli del giorno (questo il senso spirituale). Dal momento che il ladro
viene nella notte, e il cristiano vive nel giorno, non potr essere sorpreso
da questa venuta. Perch poi sia nel giorno si spiega per il fatto che ri-
vestito della corazza della fede e della carit e dellelmo della speranza
della salvezza. Possiamo notare il linguaggio militare che Paolo usa an-
che altrove, per esempio nel capitolo sesto della lettera agli Efesini, il che
presuppone che la vita cristiana sia concepita anche come una lotta. Il
cristiano vive armato della fede, dellagape e della speranza.
Siamo in 5,8, perci verso la fine della lettera. Possiamo stabilire
una inclusione letteraria tra 1,3 dove parlava dellopera della fede, del
travaglio dellagape e della costanza della speranza, sono tre dimensioni
di vita cristiana che lo rendono figlio della luce per cui reso cos lumi-
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noso non avr mai paura del giorno del Signore. Paolo perci sposta
laccento da una attesa futura inquietante ad una dimensione attuale dellavita cristiana. Lapostolo v a concludere la sua lettera introducendo al-
cune esortazioni di vita cristiana nei versi 16-22: in ogni cosa gioite,
senza interruzione pregate, in tutto ringraziate, non spegnete lo spirito,
non disprezzate la profezia, vagliate ogni cosa, tenete ci che buono,
allontanatevi da ogni coscienza cattiva.
Concludendo questa prima lettera, ci che appare significativo
non soltanto il suo contenuto, ma soprattutto lanimo frescodellapostolo. Lo sar anche nelle altre lettere, ma quelle saranno pi se-
gnate da una venatura di sofferenza. In questa lettera, Paolo, aveva cerca-
to di acquietare gli animi di fronte allannunzio della venuta del Signore,
riportandoli ad una concretezza di vita cristiana. Non dovette riuscirci,
ci spiega la seconda lettera, la quale appunto rivela che linquietudine
ancora rimase, solo per che questa seconda lettera per noi difficilissi-
ma, anche perch Paolo lascia dei vuoti di pensiero. In 2,1 scrive esor-tando a non lasciarsi traviare su una pretesa imminenza della venuta del
giorno del Signore. Addirittura Paolo scrive: nemmeno per mezzo di let-
tera come scritta da noi il che significa che dovevano circolare degli
scritti attribuiti a Paolo. Nel verso 3 dice cos: nessuno vi inganni poich
se prima non viene lapostasia e si manifesta luomo delliniquit, il fi-
glio della distruzione, colui che si erge ad avversario e si innalza su tutte
le cose chiamandosi io o idolo al punto da sedere nel tempio di Dio, ma-
nifestando s stesso essere Dio. La frase rimane in aria, Paolo ha intro-
dotto una lunga protasi che avrebbe dovuto essere seguita da una apodo-
si. In realt lapostolo nel verso seguente cambia pensiero e scrive: non
ricordate che gi quandero con voi ve lo dicevo?, per facile rico-
struire lapodosi: se prima non si manifesteranno tutte quelle cose, il Si-
gnore non verr. Ma il difficile appunto caratterizzare questa apostasia
di cui parla Paolo e questa manifestazione delluomo iniquo. un po
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difficile stabilire fin dove arriva il linguaggio preso in parte anche dal li-
bro di Daniele, e dove arriva il messaggio reale. Possiamo avanzare unasupposizione: Paolo in questa lettera, ancora pi delle altre, ha presente la
tradizione evangelica, e ci chiediamo se questa descrizione non sia una
reinterpretazione della parabola della zizzania che prevede lo sviluppo
fino alla mietitura, quando sar possibile la