SCUOLA SUPERIORE PER MEDIATORI LINGUISTICI
(Decreto Ministero dell’Università 31/07/2003)
Via P. S. Mancini, 2 – 00196 - Roma
TESI DI DIPLOMA
DI
MEDIATORE LINGUISTICO
(Curriculum Interprete e Traduttore)
Equipollente ai Diplomi di Laurea rilasciati dalle Università al termine dei Corsi afferenti alla classe delle
LAUREE UNIVERSITARIE
IN
SCIENZE DELLA MEDIAZIONE LINGUISTICA
GOMORRA
“Il male è la complessità dell’essere umano, la realtà è lo spunto narrativo più
forte, la verità è più sorprendente della finzione”
RELATORI: CORRELATORI:
prof.ssa Adriana Bisirri Prof. Alfredo Rocca
Prof.ssa Luciana Banegas
Prof.ssa Claudia Piemonte
CANDIDATA: Lea Semprini
ANNO ACCADEMICO 2015/2016
2
DEDICA
Nello scrivere queste pagine ho provato diverse emozioni. Ho provato euforia,
passione, felicità, ma anche frustrazione, stanchezza, paura. Non è stato un lavoro
facile, ma alla fine penso si concluda tutto con una sola grande emozione:
soddisfazione.
Sono soddisfatta di aver portato a termine questo difficile e bellissimo
percorso; sono soddisfatta di quello che sono riuscita a fare in questi tre anni; sono
soddisfatta delle conoscenze che ho acquisito e che continuerò a custodire e
approfondire. Spesso mi sono sentita demoralizzata, spaesata e sola di fronte ad
alcune difficoltà che questo ambito di studi porta inevitabilmente con se, ma non mi
sono arresa e questo lo devo anche e soprattutto alle persone che mi sono state
accanto sempre e comunque.
Tutto questo non sarebbe stato possibile senza la grande famiglia che ho alle
spalle; una famiglia grande tanto di numero quanto di cuore. Voglio e devo
ringraziare anche il mio ragazzo che mi ha sopportato durante le mie crisi isteriche
e i mei sconforti, spesso dovuti al fatto che non credo mai fino in fondo in me stessa,
e alla mia migliore amica con cui fin da piccola ho condiviso gioie, stupidaggini,
dolori e con cui ho vissuto anche questa esperienza. Ringrazio tutti loro per avermi
sostenuta, spronata, per aver asciugato tante lacrime e rafforzato tanti sorrisi.
Voglio dirvi che per me siete tutto ed è a voi che dedico tutto.
3
INDICE
INTRODUZIONE……………………………………………………………………………………..……5
CAPITOLO I - GOMORRA. UN VIAGGIO ATTRAVERSO IL LIBRO, IL FILM E LA SERIE ............ 7
1.1 IL LIBRO .................................................................................................................................... 15
1.2 IL FILM ....................................................................................................................................... 25
1.3 LA SERIE .................................................................................................................................... 33
CAPITOLO II - GOMORRA, UN TERREMOTO CULTURALE, SOCIALE E CIVILE ........................ 45
2.1 SAVIANO: GIORNALISTA, AUTORE, PERSONAGGIO ...................................................... 51
2.2 GOMORRA, IL CORAGGIO DELLA DENUNCIA ................................................................. 57
CAPITOLO III - GOMORRA NEL MONDO ............................................................................................ 64
3.1 TRADUZIONE ........................................................................................................................... 71
3.2 IL DIALETTO ............................................................................................................................ 81
CAPITOLO IV - GOMORRA, LA REALTÀ OLTRE LA FINZIONE ..................................................... 87
4.1 LA GUERRA DI SECONDIGLIANO ........................................................................................ 95
4.2 DONNE ..................................................................................................................................... 106
4.3 DON PEPPINO DIANA............................................................................................................ 112
CONCLUSIONE ....................................................................................................................................... 127
4
INDEX
CHAPTER I – GOMORRA. A JOURNEY THROUGH THE BOOK, FILM AND SERIES..................131
CHAPTER II - GOMORRAH, A SOCIAL, CULTURAL AND CIVIL UPHEAVAL…........................138
CHAPTER III - GOMORRAH, A WORLDWIDE PHENOMENON……………………………......…145
CHAPTER IV - GOMORRAH, THE REALITY BEYOND THE FICTION………………..…..…...…153
3
ÍNDICE
CAPÍTULO I - GOMORRA. UN VIAJE A TRAVÉS DEL LIBRO, LA PELÍCULA Y LA SERIE ..... 163
CAPÍTULO II - GOMORRA, UN TERREMOTO CULTURAL, SOCIAL Y CIVIL............................. 171
CAPÍTULO III - GOMORRA EN EL MUNDO ...................................................................................... 175
CAPÍTULO IV - GOMORRA, LA REALIDAD SUPERA A LA FICCIÓN .......................................... 179
5
INTRODUZIONE
Ho passato un intero anno a pensare al tema su cui improntare la mia tesi, avevo
diverse idee, fin troppe, ma nulla mi convinceva fino in fondo e avevo davvero paura
di non riuscire ad uscire da quel limbo di dubbi e perplessità.
Invece un giorno, o meglio una sera, guardando una delle serie che più mi ha
coinvolto e appassionato negli ultimi anni, quasi fosse scattato un interruttore, ho
capito cosa volevo fare. Guardando fisso il televisore ho pensato che era quello ciò
di cui volevo scrivere e ciò di cui volevo parlare; non so esattamente come, ma ne
ero certa. Sto parlando di Gomorra.
Si tratta di una serie unica e coinvolgente che ha trasportato con la mente
moltissimi italiani direttamente nei quartieri di Napoli mostrando un lato non troppo
nascosto del nostro Paese.
Da quel momento ho cominciato a fare attenzione a cose che prima mi
passavano davanti agli occhi inosservate: quanta gente segue Gomorra, quanto
alcune scene e alcune battute siano addirittura entrate nella nostra quotidianità e
quanto tutti fossero così rapiti da quelle immagini e da quelle storie che hanno ben
poco a che fare con la finzione. Un altro aspetto davvero incredibile è come Gomorra
abbia investito con prepotenza ogni mezzo di comunicazione, ogni radio, ogni
giornale, ogni tv, ogni social e ogni dibattito sull’argomento “camorra”.
Basta digitare queste 7 lettere su Google per vedersi spalancato davanti un
mondo intero. Notizie, curiosità, novità, approfondimenti, commenti, analisi, di
tutto. È proprio partendo da questo punto di vista della “trasmedialità” che ha inizio
la mia tesi. Naturalmente questo è stato solo il principio di un lungo viaggio
all’interno dell’intrigato mondo di Gomorra; un viaggio che ha avuto la sua naturale
prosecuzione con la lettura del testo originale.
Quando fu pubblicato “Gomorra, viaggio nell’impero economico e nel sogno
di dominio della camorra” avevo 10 anni. Data l’età sicuramente non l’avrei mai
capito fino in fondo, ma quasi per destino, 10 anni dopo, mi sono ritrovata questo
6
libro tra le mani e pagina dopo pagina il mio interesse è cresciuto sempre più così
come sono cresciuti in me sentimenti quali: stupore, fastidio, rabbia, schifo. Mi sono
resa conto di quanto forti fossero quelle parole e quanto grande fosse il loro potere.
Un aspetto assai commentato dalla critica e molto caro a Saviano è proprio il
potere della parola, la sua forza di denuncia e di testimonianza, aspetto su cui ho
incentrato il secondo capitolo della mia tesi, in cui parlo del coraggio di quest’autore
che ha sacrificato la sua libertà riuscendo a mettere in moto un intero Paese.
Una volta finita la lettura di Gomorra già sapevo quale fosse il passo seguente.
Il libro era il principio, la serie era la sua ultima evoluzione ma mi mancava ancora
un passaggio: il film.
Nel 2008 infatti Gomorra diventa un film che riempie le sale, ottenendo un
successo unico, da record, non solo in Italia ma nel mondo. È su questa diffusione e
su questo clamore impressionante che ho impostato il terzo capitolo, in cui parlo
anche delle evidenti problematiche di traduzione e adattamento che un’opera così
culturalmente radicata porta con se. La catena sembrava ormai ricongiunta, non
mancava nessun tassello, o almeno così pensavo.
La verità è che Gomorra è molto più di un libro, un film, una serie. Gomorra è
la realtà. Per questo, nel quarto capitolo, tratto di ciò che più c’è di intrigante e
interessante di Gomorra: scoprire la verità che si cela dietro un’allusione, un
aneddoto, una citazione, un rimando, una finzione e riuscire a strappare via quel
velo, neppure tanto spesso, che copre la realtà.
Questo percorso mi ha portato dunque a concludere la mia tesi con un incipit,
l’incipit da cui tutto è iniziato: la verità.
7
“Il male è la complessità dell’essere umano, la realtà è lo spunto narrativo più forte, la verità è più sorprendente della finzione” Stefano Sollima
GOMORRA
GOMORRA
“Il male è la complessità dell’essere umano, la realtà è lo spunto narrativo più
forte, la verità è più sorprendente della finzione” Stefano Sollima
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CAPITOLO I
GOMORRA: UN VIAGGIO ATTRAVERSO IL LIBRO, IL FILM E LA SERIE
“Il libro è un racconto che parte dalla mia osservazione, dal mio sguardo.
Reportage, inchiesta, romanzo, diario. Nel film abbiamo tolto il mio punto di vista
e fatto parlare le cose della quotidianità criminale. Descrive un clima.
La serie racconta le dinamiche. Si è riusciti ad andare più a fondo.
L’etica è affrontare il male”1
L’Italia è in guerra. Lo è da più di duecento anni. Si tratta di una guerra
sanguinosa, nascosta nei quartieri, nei paesi, nelle città, che ogni anno conta
centinaia e centinaia di vittime. Ma per fare giustizia non puoi fare affidamento sugli
occhi, perché dopo una guerra di camorra non ci sono rovine di palazzi, le uccisioni
sono rapide e improvvise e una volta ripulito il sangue sull’asfalto tutto è di nuovo
1 Roberto Saviano, “Parla Saviano: «Gomorra? È la realtà negata dai politici»”, “Corriere Della Sera”, 24 maggio
2016.
Napoli: la DDA chiede l'ergastolo per il boss Francesco Mazzarella e tre affiliati, 8 aprile 2016.
9
calmo, come se fossi stato solo tu a vedere o a subire. Come se chiunque fosse pronto
a dire “non è vero”.
È una guerra vicina a tutti, perché la mafia è il nostro vicino, il datore di lavoro,
il sindaco del nostro paese, il proprietario della nostra casa. La mafia è ovunque.
Eppure ci sembra qualcosa di lontano, lontanissimo, qualcosa che non ci riguarda
direttamente. In questo scenario grigio, dieci anni fa, si è inserita un’opera clamorosa
e inaspettata che ha fatto
parlare di sé, nel bene e nel
male, sotto tanti e diversi punti
di vista, sconvolgendo il
mondo editoriale italiano e non
solo: Gomorra.
Gomorra è un romanzo,
un’inchiesta, un documentario,
un racconto, un’analisi, un
saggio sociologico, un ritratto
dolente di una società malata; ma Gomorra è, soprattutto, la realtà, la dura e spietata
osservazione di quello che, da anni, accade in una vasta area del territorio italiano e
che, prima di Saviano, non suscitava né sgomento né indignazione.
Tutto è iniziato con un atto, quello della parola, che va avanti dal 2006, e che
ha acquistato sempre più forza, plasmandosi nei diversi passaggi di linguaggio, da
libro, a film, a serie. Attraverso questa invasione in diversi campi mediali e più
contesti di fruizione Saviano sembra voler rispondere al “Sistema”2 malavitoso con
un altro sistema, quello artistico, che diramandosi in molteplici direzioni combatte
il silenzio e l'indifferenza.
2 Termine con cui ci si riferisce alle organizzazioni criminali. Roberto Saviano ne parla nel suo libro nel capitolo “Il
Sistema”: «Sistema, un termine qui a tutti noto, ma che altrove resta ancora da decifrare, uno sconosciuto
riferimento per chi non conosce le dinamiche del potere dell’economia criminale. Camorra è una parola inesistente,
da sbirro».
10
L’obbiettivo di Saviano è da sempre quello di rendere visibile e decifrare un
fenomeno complesso, quello della camorra, purtroppo radicato nella nostra cultura,
ricordando come questo sia un problema che riguarda tutti molto più da vicino di
quanto si pensi.
Per questo l’autore spesso racconta la realtà attraverso gli occhi e le storie di
persone che con la camorra ci vivono o ci convivono, permettendo così ai destinatari
di riconoscersi in esse e confrontarvisi in quanto membri di una società.
La forza di un best-seller sta proprio nel tessere “una rete di connessione tra i
fatti, le persone e le cose del mondo”3 e nel “ricostruire la porzione di mondo che si
vuole raccontare attraverso una narrazione efficace, ricca e profonda”4, cioè radicata
nell'esperienza quotidiana del lettore ed è proprio questo è quello che è stato in grado
di fare Saviano.
Negli anni, l’autore si è servito di ogni mezzo possibile, passando per il
giornalismo, la letteratura, il teatro, il cinema e, infine, la serialità televisiva e
attraverso questo lungo e continuo processo di re-mediation dei contenuti prelevati
dalla realtà intorno a lui, ha realizzato negli anni una sorta di struttura narrativa a
petali, ognuno dei quali mostra una sfumatura diversa del nucleo tematico centrale
e ne costituisce un possibile punto d'accesso.
Oggigiorno infatti viviamo in un mondo in cui i confini tra i diversi media sono
sempre più labili e in cui i testi possono circolare e trasformarsi liberamente,
accentuando così anche un meccanismo d'interpretazione sempre più attivo e
creativo. Dagli scrittori che appaiono orgogliosi sulla terza pagina dei giornali si è
passati a giornalisti che sempre più spesso si cimentano con la scrittura letteraria.
Roberto Saviano e il suo libro sono un evidente esempio di questa trasmedialità.
Nel 2007 Gomorra raggiunse il teatro, e le platee italiane si riempirono per la
trasposizione teatrale del libro, realizzata da Mario Gelardi e Roberto Saviano stesso.
L’anno successivo, nel 2008, il successo investì presto anche l’omonimo film diretto
3 Concetto di matrice calviniana. 4 Concetto di matrice calviniana.
11
da Matteo Garrone. Queste due trasposizioni hanno scelto di seguire strade opposte.
Mentre lo spettacolo teatrale sembra raccontare la genesi di Gomorra mettendo in
primo piano l'esperienza più intima dell'autore e il rapporto personale con i suoi
informatori e amici, il film sceglie un taglio più oggettivo, quasi documentaristico,
in cui il punto di vista è capovolto: Il punto di vista del male.
Il film Gomorra segna un nuovo passo nella storia degli adattamenti dalla
pagina allo schermo, mettendo in scena l’umanità narrata nel libro nelle forme di un
inferno grottesco.
Mentre nel libro lo scrittore sembra ammortizzare l'impatto tra i lettori e la
realtà narrata, una simile funzione protettiva del narratore è destinata inevitabilmente
a scomparire nella trasposizione cinematografica, dove lo spettatore è solo davanti
alle immagini che si susseguono
davanti ai suoi occhi e l'unico scudo
diventa, come vedremo in seguito, la
consapevolezza dello statuto “fittizio”
dell'opera.
Una differenza ovvia è che
mentre il pregio del libro consiste
nell’analisi, quello del film consiste
nella sintesi, questione che si
ripropone ogni qualvolta contenuti
passano dalla pagina alla pellicola.
Gli argomenti suddivisi ed approfonditi uno per uno da Saviano in capitoli sono stati
trasformati da Garrone in un continuum selezionando le tematiche portanti: la guerra
di Secondigliano tra i fedeli del clan Di Lauro e gli scissionisti; il traffico di cocaina;
lo smaltimento illegale di rifiuti tossici; l’impiego nell’alta moda di manodopera
sottopagata, spesso cinese; il ruolo dei gangster movie come modelli di vita.
Saviano ci pare fondamentalmente un autore umanista e progressista che
attraverso Gomorra scandaglia e narra da vicino un ambiente criminale e
Roberto Saviano con Matteo Garrone (ansa)
12
patologico per concedergli una qualche possibilità di mutamento, riuscendo a
evocare anche un tenue senso di speranza in un possibile cambiamento. D’altra parte,
Garrone è un regista legato a una tradizione estetica e cinematografica grottesca,
tipica della nostra cultura consumistica, vorace e autodistruttiva. Per questo, pur
lavorando con gli stessi strumenti critici e pur mettendo a fuoco il medesimo “habitat
camorristico”, il regista romano tende a soffocare in una nuvola nera di ferocia ogni
traccia sensibile di speranza che tanto animava il pathos delle pagine del libro.
Nel lungometraggio a niente e nessuno sarà concesso di salvarsi, tutto viene
defigurato e insabbiato nell’orrore e in una generalizzata pulsione di morte. Tutto è
visto attraverso un’ironia asettica che il film impiega frequentemente per
commentare i deliranti sogni di benessere e le contraddizioni culturali e morali che
stanno alla base della vita camorristica e che, viceversa, nell’io narrante dello
scrittore, suscitavano risposte emotive quali: disperazione, risentimento politico-
civile e pietà. Una cosa però resta rigorosamente invariata: «di Gomorra il libro, si
è conservato lo sguardo sui fatti: uno sguardo oggettivo e non giudicante, né
moralistico né mitizzante. Non volevamo raccontare la camorra al mondo, ma il
mondo attraverso la camorra»5.
Saviano, negli anni, è dunque riuscito a combinare creativamente pezzi di
osservazione ed esperienza quotidiana, di attualità e di storia traendone un universo
narrativo coerente. Tale processo combinatorio ha raggiunto il suo massimo grado
nella realizzazione della serie tv. Quest'ultimo passaggio si rivela interessante nella
misura in cui la narrativa televisiva ha subito, negli ultimi vent'anni, una forte
accelerazione qualitativa: al di là del successo commerciale, sia il pubblico che i
critici che gli studiosi del settore hanno ormai riconosciuto il valore artistico di questi
prodotti che, pur condividendo con il cinema il medesimo linguaggio, presentano
strutture narrative e modalità di fruizione più simili a quelle del romanzo.
Inoltre c’è da dire che le serie tv, essendo fruibili privatamente, nello spazio
domestico, a differenza del cinema, consentono la diffusione di massa di opere di
5 Roberto Saviano, “Gomorra: il libro. Cosa c’era prima della serie e del film”, “Fuori corso”, 2 luglio 2015.
13
buona qualità. Per Saviano, la serialità televisiva è stata la naturale prosecuzione del
suo progetto narrativo per la caratteristiche della televisione in quanto medium
congeniale al suo obiettivo comunicativo: «Con la fiction posso raccontare i
meccanismi, mettendo dentro tutto ciò che di solito non interessa. Come si organizza
una piazza di spaccio. Come si prepara un’esecuzione. Come si truccano le elezioni
con la scheda ballerina. È la forza delle serie tv. Ti spiegano cose. “House of Cards”
ti fa vedere come la politica nelle democrazie non possa prescindere dal cinismo,
dalla corruzione, dalla manipolazione dei media. “Mr. Robot” ti racconta gli hacker.
Ti fa capire che oggi se hai un volto e un nome potranno infangarti, usare i tuoi difetti
contro di te. Puoi ribellarti solo se sei anonimo e invisibile» 6 . Nel libro ci si
immedesima con
Saviano testimone, il
protagonista che poi è
diventato suo malgrado
il Saviano uomo, con lui
viviamo, assistiamo,
osserviamo tutto del
Sistema; nella serie
questo non accade.
La narrazione in blocchi e la transizione nelle diverse reggenze è una tecnica
narrativa studiata per non creare empatia con nessun personaggio.
A questo proposito è significativa la figura di Ciro Di Marzio7, personaggio in
cui inizialmente sembra possibile ritrovare una qualche positività e per cui lo
spettatore è portato a simpatizzare, ma è solo un trucco.
La situazione cambia radicalmente dal momento in cui la vera natura di Ciro
esce fuori, ovvero quando incastra e cerca di far fuori Danielino8, un ragazzino di
6 Roberto Saviano, “Saviano: "Ora su Gomorra chiudono gli occhi”, “L’Espresso”, 12 maggio 2016. 7 Interpretato da Marco D’Amore. 8 Interpretato da Vincenzo Esposito, 16 anni, arrestato poco dopo la fine delle riprese per una rissa finita a coltellate.
14
15 anni, per poi uccidere senza pietà la sua fidanzatina Manu9, arrivando al culmine
della sua follia omicida con l’omicidio a mani nude della sua stessa moglie10. Il
regista, Stefano Sollima, a tal proposito afferma: «Questa scelta era già stata
pensata all’inizio, prima che i giornali ci attaccassero preventivamente con frasi
come “Attenzione a esaltare la bellezza del male”, a me, francamente, veniva da
sorridere perché sapevo quello che avevamo girato e che sarebbe stato trasmesso.
Io pensavo: Non è così. Mettetevi seduti, tranquilli, guardatevi la serie e vedrete
che niente è come avete pensato. La mia ambizione era quella di creare una serie
che avesse un contenuto così forte da non essere più entertainment. Anche
perché Gomorra non è una serie da vedere distrattamente: deve essere digerita
episodio dopo episodio, con i personaggi che non restano statici ma, come nella
vita, si evolvono, crescono, mutano»11.
I diversi protagonisti sono mostrati in tutte le loro contraddizioni e il male è
qualcosa di assolutamente normale, perché così è nella realtà.
Possiamo dunque concludere affermando che la trasposizione cinematografica
e televisiva dell’originale opera letteraria, non ha portato solo a un mero
adattamento, bensì a due creature distinte e autonome, di cui parlerò più
specificatamente di seguito.
9 Interpretata da Densie Perna. “Gomorra”, Sky Atlantic, prima stagione, episodio 9. Di questo episodio in
particolare ne parlerò più approfonditamente in seguito. 10 “Gomorra”, Sky Atlantic, seconda stagione, episodio 1. 11 Stefano Sollima, “Intervista a Stefano Sollima”, “Nocturno.it”, 26 Agosto 2015.
15
IL LIBRO
“Mi si chiede come possano le parole mettere paura alle organizzazioni criminali.
Ma ciò che spaventa non sono le parole: a fare paura sono i lettori”12
Nell’aprile del 2006, attraverso Gomorra, Roberto Saviano racconta la camorra
come nessuno aveva mai fatto prima. Un racconto in prima persona in cui, unendo
il rigore del ricercatore, il coraggio del giornalista e soprattutto l’amore doloroso per
la sua città, l’autore ha svelato una realtà difficile da accettare. L’autore raccontata
direttamente dal luogo degli agguati, dai negozi e dalle fabbriche dei clan, con
testimonianze e confessioni basate su atti processuali e su indagini di polizia.
L’autore ci chiede di seguirlo in un viaggio all’interno del mondo affaristico e
criminale della camorra, attraverso i luoghi dove questa è nata e vive: la Campania,
Napoli, Casal di Principe, San Cipriano d'Aversa, Casapesenna, Mondragone,
Giugliano.
Questi sono i luoghi dove l'autore è cresciuto e dei quali porta alla luce
un'inedita realtà, caratterizzata da un diffuso senso di sfiducia e diffidenza nei
confronti delle autorità,
dalla mancanza di una
politica atta a risolvere
i gravi problemi del il
Mezzogiorno, da un
forte senso di
insicurezza personale e
di rischio costante,
dalla mancanza di
certezze sul lavoro e
soprattutto dalla carenza di una vera educazione sociale.
12 Roberto Saviano, “Dieci anni di Gomorra”, in “Gomorra”, Milano, Mondadori 2016.
16
D’altra parte la stessa realtà ci viene presentata dall’autore attraverso
l’immagine di ville sfarzose e di boss malavitosi creati a copia di quelli di
Hollywood.
A tal proposito, nel capitolo appositamente intitolato “Hollywood”, Saviano
mostra proprio come la produzione cinematografica americana di genere gangster
abbia in parte influenzato il modo di parlare e di atteggiarsi dei camorristi. Da questo
punto di vista il libro è intriso di rimandi e citazioni del genere: «si racconta a Casal
di Principipe che il boss, Francesco Schiavone aveva chiesto al suo architetto di
costruirgli una villa identica a quella del gangster cubano di Miami, Tony Montana,
in “Scarface”. Il film l'aveva visto e rivisto. L'aveva colpito sin nel profondo, al
punto da identificarsi nel personaggio interpretato da Al Pacino» 13 , oppure:
«Guardando la sua tenuta, a tutti doveva venire in mente The Crow di Brandon
Lee».14
Per rendere poi l’idea del modo di pensare e di ragionare dei camorristi,
Saviano si serve di un’ulteriore citazione cinematografica: «il mondo è tuo»15, motto
del boss Tony Montana in Scarface, film che riprende inoltre come titolo il
soprannome del famoso boss Al Capone, detto “scarface” [“sfregiato”] per una
cicatrice che aveva sul volto.
Proprio come Tony Montana, i camorristi pensano che il modo gli appartenga,
convinti di avere piena libertà di manipolare la politica, l'economia e la società in
modo funzionale al loro guadagno e di plasmare la realtà a loro immagine.
Leggendo l’opera di Saviano, si capisce inoltre come per l’autore trattare la
realtà attraverso la narrazione non significa solo “informare” il lettore, bensì
“toccarlo nell’intimo, forzare la sua emotività fino a fargli considerare il fatto narrato
come qualcosa che lo riguarda”16.
13 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “Hollywood”, pag. 267. 14 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “Hollywood”, pag. 273. 15 “Scarface”, regia di Brian De Palma, USA 1983. 16 R. Palumbo Mosca, “Narrazioni spurie: Letteratura della realtà nell’Italia contemporanea”, The Johns Hopkins
University Press, 2011.
17
Congeniale a questo fine è anche lo stile di scrittura scelto, che oscilla tra il
tono didascalico usato per enunciare numeri e dati, a quello a tinte forti tipico del
genere noir, finalizzato a creare un forte impatto emotivo sul lettore.
Quello di Saviano non è solo un romanzo, ma non è
neanche solo un’inchiesta giornalistica; se fosse stato un
semplice romanzo, tutto quello che ci viene presentato non
avrebbe avuto il peso del vero, e se si fosse limitato alla
classica inchiesta giornalistica non avrebbe avuto la fluidità e
il successo che poi ha ottenuto.
Come è noto, molti dei fatti narrati nel libro sono fatti di
cronaca ed è l’autore stesso che puntualmente lo sottolinea tramite
espressioni quali: “secondo la DDA di Napoli”, “come mostra l'ordinanza di
custodia cautelare emessa dal Tribunale di Napoli”, “dalle intercettazioni fatte dai
carabinieri”. Accennare a queste fonti significa costruire rimandi espliciti a universo
extra testuale, presumibilmente noto o comunque potenzialmente verificabile dal
lettore, il quale, dati tali riferimenti, si vede costretto ad accettare il fatto che il testo
non sia funzionale, nonostante operi comunque delle sovrapposizioni tra la realtà
storica e la sua narrativizzazione attraverso artifici romanzeschi.
Un esempio di questo stretto connubio lo ritroviamo nella stesura del capitolo
“La guerra di Secondigliano”, in cui, dal vasto insieme di fatti di cronaca riguardanti
la faida che ha investito le periferie di Napoli tra gli anni Novanta e Duemila,
Saviano ha selezionato sia quelli che ha ritenuto più rilevanti per spiegare le
dinamiche della guerra tra i clan e i loro effetti sul territorio, sia quelli con un forte
appeal narrativo, funzionali a catturare non solo cognitivamente, ma anche
emotivamente il lettore.
Un episodio grottesco e impressionante è quello dei Visitors, riportato
dall’autore nel capitolo “Il Sistema”. Si tratta di eroinomani disperati, attirati da tutta
Italia dai trafficanti dei clan che vogliono provare un nuovo modo di tagliare la
droga, senza rischiare di perdere i clienti. Saviano afferma di essersi ritrovato
18
spettatore incosciente di un episodio tale in cui un giovane insieme alla propria
ragazza ha rischiato seriamente la vita dopo un’iniezione di quelle. Il ragazzo sembrò
morto per diversi minuti tanto che quando alla fine si riprese, a seguito di un a dir
poco singolare salvataggio da parte della ragazza17, Saviano lo definisce il “Lazzaro
di Milano”18.
Un discorso diverso va fatto per tutti quegli episodi di cui Saviano non è stato
testimone diretto e per i quali non ci sono fonti giuridiche. In questi casi sembra
avvenire un cambio di situazione narrativa, in cui lo scrittore inizia a comportarsi
come un narratore onnisciente in grado di conoscere a volte anche l'interiorità dei
personaggi senza preoccuparsi di spiegare come.
Anche in questi casi però, la creatività in Gomorra non riguarda l'invenzione
di personaggi e mondi
fantastici, bensì la
costruzione di mondi
possibili: immaginare una
foresta laddove c'è solo un
albero, dar forma a una
possibilità, immaginare
concatenazioni laddove
apparentemente non se ne
vedono, usare la creatività
per indagare la realtà.
Tra gli esempi di
questo tipo ricordiamo, ad esempio, l'incontro tra Mariano, personaggio
d'invenzione o, comunque, non direttamente riconducibile a una persona realmente
esistita, e Michail Kalashnikov, un personaggio che invece è ingabbiato dalle
corrispondenze con il suo referente reale la cui esistenza è dimostrabile e
17 Nel raccontare l’episodio Saviano specifica che il ragazzo sembra essersi ripreso dopo che la giovane fidanzata gli
urinò sul viso. 18 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “Il Sistema”, pag. 82.
19
documentata. In questo episodio Saviano applica la tecnica dell'inserto e usa diversi
espedienti narrativi che creano forti effetti di realtà nonostante la vicenda in sé sia
quasi sicuramente finzionale o, in ogni caso, impossibile da verificare per il lettore.
Il significato veicolato dal racconto però, non viene distorto dalla cornice finzionale
in cui è inserito, anzi ne viene rafforzato: Saviano vuole raccontare come i camorristi
percepiscono le armi e, ricorrendo al personaggio di Mariano, riesce a proiettare il
lettore in un mondo che, se narrato in termini didascalici, gli sarebbe apparso
estraneo e, forse, poco credibile.
L'invenzione del personaggio Mariano da sola sarebbe stata sufficiente a
generare un coinvolgimento emotivo, ma non a rendere credibile il contenuto. A tal
fine Saviano utilizza un espediente narrativo che consiste nell'usare affermazioni che
Kalashnikov ha realmente
pronunciato e che sono state
registrate dai media.
Personalmente penso sia
interessante anche notare come i
personaggi “fittizi” siano anche
gli unici di cui l'autore non riporta
i cognomi, come invece fa per
tutti coloro che hanno un referente
reale ben identificabile.
Una volta selezionati gli
episodi e i fatti da riportare, questi sono stati linearizzati, disposti in successione
temporale e raccontati a partire da un determinato punto di vista, quello dell'autore.
La storia parte dalla guerra di Secondigliano, dall'ascesa del clan Di Lauro al
conflitto interno che ha generato 80 morti in poco più di un mese.
Le tematiche sono: la criminalità, la mafia, il potere e la morte. Una narrazione-
reportage che svela i misteri di un'organizzazione poco conosciuta, creduta sconfitta
Pregiudicato ucciso con colpo
in testa nel napoletano,
l'omertà della famiglia.
20
che nel silenzio è diventata potentissima superando Cosa Nostra per numero di
affiliati e giro d'affari.
Saviano ci parla di una terra infetta, quella della Campania, dove finiscono
quasi tutti i rifiuti sfuggiti ai controlli legali, pari ad una massa grande il doppio del
Monte Everest19, di una terra dove i morti di tumore sono cresciuti del 21% rispetto
al resto dell'Italia20. Ci parla di montagne gravide di rifiuti tossici, campagne pregne
di sostanze mortali che individui senza alcuna morale hanno sparso vendendo
fertilizzanti misti a rifiuti tossici.
Il vescovo di Nola definì il sud Italia “la discarica abusiva dell'Italia ricca e
industrializzata” 21 , ritraendo in poche parole una situazione divenuta ormai
insostenibile sia per quella terra che per i cittadini che vi abitano.
Tutto questo non sarebbe certo possibile senza il benestare di funzionari
pubblici compiacenti e delle aziende stesse che, facendo finta o non volendo sapere
dove vadano a finire i propri rifiuti, affidano alla camorra quella che ormai è
diventata merce di un traffico di centinaia di miliardi di euro ogni anno. In una
intercettazione, rivelata durante l’inchiesta “Re mida”, un trafficante afferma: «noi
appena tocchiamo la monnezza la facciamo diventare oro»22.
La lunga battaglia contro la Mafia della spazzatura, 4 febbraio 2014.
19 Ogni anno, secondo una stima di Legambiente, sono quattordici milioni le tonnellate di rifiuti smaltiti
illegalmente. 20 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “Terra dei fuochi”, pag. 326. 21 Fernando Zilio e Roberto Tommasi, Mafie e criminalità in Veneto, febbraio 2015. 22 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “Terra dei fuochi”, pag. 320.
21
Purtroppo non parliamo del passato, è notizia recente lo scandalo riguardo lo
smaltimento delle macerie di Amatrice a seguito del terremoto del 24 Agosto scorso.
Il primo grande appalto del dopo terremoto è andato infatti a una ditta, la Htr
Bonifiche, sotto processo per traffico di rifiuti e truffa. Un'azienda che per almeno
due anni ha affidato le proprie operazioni a un imprenditore sotto inchiesta per
legami con la camorra. Una decisione che ha suscitato scandalo e indignazione e che
riguarda lo spostamento di migliaia e migliaia di tonnellate di detriti da Accumoli,
Amatrice, Arquata e dagli altri comuni devastati dal terremoto che ha provocato
quasi trecento vittime.
Saviano, calandosi completamente nel libro, racconta che lui stesso ha
partecipato allo scarico di merci clandestine presso il porto di Napoli, “il buco nel
mappamondo”23, che ha assistito a molti omicidi e ha investigato in molte questioni
mafiose poiché attirato, ma allo stesso tempo “schifato” di ciò che vedeva accadere
nella sua città: “…chissà a cosa avevo partecipato, senza decisione, senza una vera
scelta… invece ero finite per curiosità a scaricare merce clandestine…”24.
23 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “Il porto”, pag. 8. 24 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “Il porto” pag. 19.
Porto di Napoli.
22
La camorra, o forse è meglio dire “il Sistema” visto che la parola “camorra è
una parola inesistente, da sbirro 25 ”, che nessuno usa più, è un'organizzazione
affaristica con ramificazioni impressionanti su tutto il pianeta e una zona grigia
sempre più estesa in cui diventa arduo distinguere quanta ricchezza è prodotta
direttamente dal sangue e quanta da semplici operazioni finanziarie.
Il Sistema si delinea nelle forme di una piramide dove al vertice c'è un boss che
decide della sorte di molte persone, addirittura dell'economia, che si relaziona
direttamente solo con pochi fedelissimi al di sotto dei quali si trovano i vari capozona
e infine tutti gli altri sottoposti che vanno a costituire la manodopera del clan. In
Gomorra sono citati numerosi boss mafiosi, sia uomini che donne, di ognuno dei
quali è stato riportato non solo il nome e il cognome ma anche il soprannome che lo
identifica perfino più del nome stesso. “Il soprannome per il boss è come le stimmate
per un santo. La dimostrazione dell’appartenenza al Sistema26.
Questi “contronomi”, possono nascere da un episodio banale, come nel caso di
“Ciruzzo ’o Milionario”27, chiamato così perché durante una partita a poker gli
caddero dalle tasche diverse banconote di grande taglio; oppure possono rimandare
a una passione particolare del boss in questione, come nel caso di “o wrangler”28,
fissato con gli omonimi fuoristrada; o a tratti fisici, come per “a mazza”29, per il suo
corpo lungo e secco, o come per “capabianca”30, per i precoci capelli bianchi; o
possono riguardare particolari capacità come per “o sbirro”31, capace di coinvolgere
poliziotti e carabinieri nelle sue attività; e così mille altri.
Gomorra è ambientato dagli anni ’80 ad oggi, a Napoli e provincia, ma sono
citati anche altri luoghi sia del territorio italiano che di quello estero, fra cui: la
Spagna, la Germania, l’Inghilterra e la Scozia. In particolare il libro inizia parlando
dello sbarco clandestino di abiti e scarpe, il cui materiale, proveniente dalla Cina,
25 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “Il Sistema”, pag. 44. 26 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “Il Sistema”, pag. 64. 27 Il boss Paolo Di Lauro. 28 Camorrista, Nicola Luongo. 29 Camorrista, Giovanni Birra. 30 Camorrista, Costantino Iacomino. 31 Camorrista, Carmine Di Girolamo.
23
viene lavorato a prezzi bassissimi delle fabbriche in nero di Napoli e provincia.
I vestiti, la droga, la spazzatura, sono i materiali più usati dai clan mafiosi per
guadagnare denaro sporco e lo stesso vale per le armi che vengono vendute ai paesi
in guerra: «...la notte precedente erano arrivati una trentina di kalashnikov dall'est.
Dalla Macedonia. Un viaggio veloce, tranquillo che aveva riempito i garage della
camorra di mitra e fucili a pompa»32.
Per quanto riguarda la droga, questa viene acquistata a prezzi bassissimi e
spacciata in piazze dove la polizia, pur consapevole di ciò che accade, è impotente.
Un tema ricorrente infatti, soprattutto nelle trasposizioni televisive, è proprio la
totale assenza delle autorità, di cui parlerò meglio più avanti.
Le diverse attività illegali sopracitate vengono gestite dai clan mafiosi che si
contendono i vari territori con guerre, faide, uccidendosi fra loro, vendicandosi degli
affronti subiti e trasformando persino i bambini in piccoli spacciatori e addirittura in
killer. Coloro che provano a ribellassi al Sistema, o sono anche solo sospettati di
farlo, vengono eliminati: “...ma i due personaggi sono pieni di timore, non sanno
quanti affiliati sono passati con gli Spagnoli e quanti sono rimasti dalla loro
parte...uccidere tutti. Tutti quanti. Anche col dubbio. Anche se non sai da che parte
stanno, anche se non sai se hanno una parte. Spara! È melma...”33. Si spara sulla
folla, si spara nei negozi. Chiunque può ritrovarsi vittima innocente.
32 Gomorra, Roberto Saviano, Mondadori 2006, “Kalashnikov”, pag. 176. 33 Gomorra, Roberto Saviano, Mondadori 2006, “La guerra di Secondigliano”, pag. 91.
Napoli ricorda 106 vittime della criminalità, 1 luglio 2015.
24
Durante una guerra di Camorra accade persino che durante una guerra fra clan
i feriti non vengano soccorsi fino a che non si sia assicurato il decesso, poiché anche
gli addetti agli ospedali sono intimoriti da ciò che può accadergli nel caso salvassero
persone che secondo le logiche camorristiche devono morire. Sia i medici che gli
infermieri sanno di dover star fermi di fronte a un ferito e attendere che i killer
tornassero per finire il lavoro: «aspettiamo. Vengono, finiscono il servizio e ce lo
portiamo»34. Questo è quello che il padre di Saviano si sentì dire dai suoi colleghi in
merito a un ragazzino di appena 18 anni, ferito al torace. Sono scene quasi surreali
per molti di noi, quasi incredibili, che ti segnano davvero nel profondo e che non
sembrano appartenere alla realtà.
Gomorra è un romanzo di denuncia di ciò che accade realmente nel nostro
paese, ma è anche un messaggio di speranza da parte di un uomo che crede in un
futuro in cui la parola “camorra” apparterrà solo ai libri e in cui tutti, anche i
campani, abbiano la possibilità di vivere come persone normali, senza essere
soggetto di pregiudizi dovuti a ciò che accade nella loro terra.
Scampia, quartiere di Napoli, “Le Vele”.
34 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “Kalashnikov”, pag. 188.
25
IL FILM
“È un film che parte da un libro coraggioso, che ha riscritto l’immaginario della
camorra; io ho cercato di dare immagini di quelle che erano già suggestioni
potenti che il libro evocava. Sono entrato dentro i luoghi che Roberto Saviano
aveva raccontato, cercando di raccontarli dall’interno, come lui aveva fatto con il
libro”35
Il film “Gomorra” arrivò nelle sale cinematografiche italiane il 16 Maggio del
2008, prodotto dalla Fandango con la sceneggiatura dello stesso Saviano ma
realizzato attraverso la lente del regista Matteo Garrone. Si tratta di un film crudo,
angosciante, ripreso dal vero e musicato dal suono delle grida e degli spari di
Scampia; prende lo spettatore dalla stomaco alla gola, raccontando una terra
campana che urla più di chi ci cammina sopra. A tal proposito il regista ha operato
una scelta particolare ma efficace; la maggior parte dei protagonisti e dei figuranti
non aveva mai recitato prima.
Questa decisione risponde al desiderio del regista di dipingere il mondo
mafioso in modo realistico, aspro e puro, nel senso che l’inesperienza degli attori,
così come l’uso del dialetto locale a discapito dell’italiano, hanno contribuito a dare
un ritratto verosimile della regione. Garrone ha fatto sì che l’attenzione fosse
interamente spostata sui conflitti, sui paesaggi deserti e sulle relazioni precarie tra i
personaggi invece che sulle competenze dei singoli soggetti come attori. Il vero
protagonista del film è la criminalità in sé. Forse però il regista ha ottenuto fin troppa
realtà dato che, alcuni anni dopo l’uscita del film, diversi articoli apparsi sui giornali
hanno riportato l’arresto e l’incriminazione di otto degli attori che sono passati dal
set alla prigione per la loro complicità con la Camorra.
Dell’infinita mole di fatti, personaggi e storie concentrate nelle 331 pagine del
libro sono state scelte cinque storie, lasciate evolvere dal regista con un rifiuto del
colpo di scena e delle traiettorie tipiche del gangster-movie. I personaggi sembrano
vivere più che altro un film horror: non hanno scampo, vanno incontro al loro
35 Matteo Garrone, “Intervista: Mattero Garrone”, “Cinema del Silenzio”.
26
implacabile destino. Lo spettatore resta attaccato alla sedia sin dalla prima
inquadratura, durante lo svolgersi delle vicende, accumulando tensione, con la
consapevolezza della tragedia imminente. Gli assassini non sono belli come in “Kill
Bill”36, sono brutti, grassi, in ciabatte; la vita non vale nulla e la morte puzza.
L’incipit è già di per sé memorabile: Le luci violacee delle lampade abbronzanti
si fanno attrezzi alieni e subito è sangue e morte, inquadrature fisse di cadaveri
freschi. Tutto si consuma sulla base di note neomelodiche sovrastate dalla scritta a
caratteri cubitali dipinti di rosa carico: Gomorra. Forse è questa l’unica concessione
spettacolare di un film che invece rifiuta ogni tipo di scorciatoia incorporando
un’essenzialità che non è obbligatoriamente sinonimo di semplicità.
Una delle principali differenze tra la pellicola e l’omonimo cartaceo è che
Matteo Garrone non ha voluto fare un film di denuncia, non ci sono nomi né cognomi
di camorristi noti o meno, non una lotta buoni contro cattivi a sottolineare dove va
piazzata di preciso la giustizia. In Gomorra le istituzioni nemmeno ci sono;
raramente nel film assistiamo a scontri armati tra le forze dell’ordine e i malavitosi.
Ciò che vuole invece mostrare il regista è con quanta facilità si può restare
36 “Kill Bill”, regia di Quentin Tarantino, USA 2003.
27
intrappolati nella rete del Sistema. Magari per motivi economici, sociali, ambientali
o addirittura perché costretti.
Inoltre nel libro Saviano dimostra una maggiore attenzione per il
funzionamento del Sistema, offrendo al lettore numerosi dettagli al riguardo, mentre
Garrone ha voluto fotografare e mostrare come le attività della Camorra si
manifestano nella vita quotidiana. In questo senso, il libro e il film si completano a
vicenda, perché il libro vuole informare, protestare e denunciare laddove il film è
invece un lavoro antropologico di notevole grandezza umana e un’analisi della
criminalità come modo di essere e di vivere.
Garrone ha voluto fare un film dove lo sguardo è incollato al personaggio di
turno, un pedinamento che riesce a non dare scampo. L’immagine si riempie talvolta
di sfondi sfocati: anche la distesa dell’enorme sartoria cinese è oscurata dalla nuca
di Pasquale, dai suoi sguardi spaesati, che lasciano cogliere all’occhio dello
spettatore lo stato d’animo del protagonista. Lo scavo della pellicola non affonda
quindi gli artigli nella malavita, quanto piuttosto nelle persone che ne sono vittime
e carnefici.
Uomini, donne, bambini, sono tutti immersi nell’ingranaggio criminale,
semplici pedine del Sistema che vivono la loro condizione con rassegnata
partecipazione.
Nessuno dei
protagonisti è un uomo
di prim’ordine del
Sistema. I boss quasi non
si vedono e sembrano
una presenza sempre
costante ma del tutto
invisibile.
Uno dei personaggi
principali è Franco, uno stakeholder realmente conosciuto da Saviano, interpretato
28
da Toni Servillo. Forse è il più spregevole tra i personaggi principali e sembra
serenamente invischiato in un meccanismo non azionato da lui stesso.
In questa cornice, i richiami al mondo dello spettacolo e dell’alta moda
aumentano il senso di disagio nello spettatore. Gli uomini della camorra vivono nella
prospettiva di omologazione a quei modelli estetici, a quei palcoscenici, ma il sogno
rimane all’interno dell’incubo e nessuno riesce ad uscirne.
In questa pellicola non ci sono estetismi gratuiti: i campi lunghi sono tanto
apprezzabili nella loro mirabile compostezza tanto quanto nascondono una
paesaggistica che mette paura tanto è degradata. Si può notare poi come spesso la
pellicola procede per sottrazione di immagini, con sequenze che tagliano
improvvisamente i momenti che potrebbero affogare in patetismi e facili lacrime: si
veda come viene sbrigato il pur struggente episodio dei due giovani amici, Totò e
Simone, che devono salutarsi perché legati a faide nemiche.
Il film è un racconto di immagini livide, che rendono perfettamente la deriva
morale e la perdita di coscienza civile. È un racconto potente, per la sua capacità di
descrizione e di analisi, senza la pretesa di fornire soluzioni o formule salvifiche.
Non si respira una sola ventata di speranza. Tutto è terribilmente nero, perché siamo
in un altro luogo, all'inferno, che non si trova al centro della terra, ma alla fine
dell’Autostrada del Sole, affianco alla coltivazione delle pesche che mangiamo tutti,
trasformate in bombe da scorie tossiche che seminano tumori con la compiacenza
dei rispettabili industriali del nord.
Nello stesso momento in cui il film è nelle sale, i giornali descrivono quello
che accade per le strade della Campania e tra cinema e vita reale non c’è più alcuna
differenza ma una triste e perfetta sovrapposizione. Si esce dal cinema senza
illusioni, sopraffatti dalla visione di un degrado da cui non si riesce nemmeno ad
immaginare come sia possibile risalire. Garrone non ci mostra i buoni e i cattivi, la
realtà ci scorre davanti nella sua crudeltà come se stessimo guardando un
documentario sui pescecani. Il bene comune non esiste più, l’interesse che vince è
quello economico, a tutti i costi; la salute collettiva è a rischio, l’ambiente è
29
degradato, la civiltà è compromessa. L’Italia che scorre sullo schermo è quella
dell’economia che “tira”, che regge il confronto con la concorrenza cinese, quella
che riempie le discariche abusive del sud, che spara al sarto perché insegna i segreti
dell’alta moda ai cinesi.
Personaggio chiave del film, che incarna lo stato sociale della camorra, è quello
di Don Ciro, “il sottomarino”, ovvero colui che si occupa di portare la mensilità alle
famiglie degli affiliati. Da personaggio secondario nel libro, diventa nel film prova
incarnata di quanto scrive Saviano: “Sembrava impossibile avere un momento di
pace, non vivere sempre all’interno di una guerra dove ogni gesto può divenire un
cedimento, dove ogni necessità si trasformava in debolezza, dove tutto devi
conquistarlo strappando la carne all’osso” 37 . Attraverso il suo personaggio, lo
spettatore entra nella quotidianità delle case e dei rioni. Inizialmente sembra riuscire
a restare fuori dalla violenza del mondo in cui scivola, ma i suoi passi finali tra
cadaveri e sangue smentiscono questa parvenza.
Nel film proprio come nel libro ricorre anche il tema del potere del cinema
come maestro di vita. Marco e Ciro per esempio ricalcano Giuseppe e Romeo, due
ragazzi che decisero di esercitare la microcriminalità in proprio, tra Casal di Principe
e San Cipriano d’Aversa. I due giovani riprendevano vesti e atteggiamenti
37 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “Terra dei fuochi”, pag 329-330.
30
direttamente da personaggi cinematografici come Tony Montana o Donnie Brasco e
sapevano a memoria interi stralci di Pulp Fiction, Taxi Driver e di altri
famosi gangster movie. Garrone riprende questo aspetto mostrando Ciro e Marco
mentre si esercitano a sparare nei resti della villa di Walter Schiavone, copia non a
caso di quella di Scarface, film che Schiavone aveva visto e rivisto, tanto da
identificarsi nel protagonista. Alla fine della scena, uno dei due recita alcune battute
di Tony Montana, sedendosi in una vasca monumentale descritta anche nel libro da
Saviano38. Il film si conclude con la loro morte in un agguato.
Il clan dei Casalesi infatti, dopo ripetuti richiami, li condanna a morte. Questi i
commenti dei killer nel film: “Tanta fatica per due mocciosi!”, “Bisognava farlo”. I
due giovani corpi vengono portati via da una ruspa, verso quella spiaggia su cui
provavano le armi rubate.
Una conclusione che pone l’accento sulla fatalità e sul “ritorno eterno delle
leggi di questa terra”39.
38 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “Hollywood”, pag. 270. 39 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “Donne”, pag. 170.
31
Sempre parlando dei “modelli” cinematografici della mafia non si può non
citare il film che più di tutti ha marchiato l’immaginario: “Il camorrista” 40 di
Giuseppe Tornatore.
Un’altra figura
significativa nel film è
quella di Roberto,
personaggio che allude
all’autore fin nel nome. La
presenza dell’io di
Saviano infatti, costante
nel libro, naturalmente
non poteva essere resa nel
film, perciò la sceneggiatura ha fatto ricorso a Roberto, giovane e brillante
apprendista di Franco, il quale lo coinvolger nell’organizzazione dello smaltimento
illegale di rifiuti tossici. Il ragazzo gli è stato affidato dal padre di lui, preoccupato
dell’inserimento del figlio nel duro mondo che lo circonda. La professione di
stakeholder fu effettivamente proposta anche a Roberto Saviano come ci racconta
lui stesso: “Sei laureato, le competenze ce le hai, perché non ti metti a fare lo
stake?”41.
Il genitore della pellicola ricorda, assai lontanamente, il vero padre di Saviano,
una figura che, nel libro, unisce l’amore paterno al disincanto e la bontà
all’amarezza: «È così che si fa il bene, solo quando puoi fare il male. Se invece sei
un fallito, un buffone, uno che non fa nulla. Allora puoi fare solo il bene, ma quello
è volontariato, uno scarto di bene. Il bene vero è quando scegli di farlo perché puoi
fare il male»42.
Né il padre cartaceo, né quello cinematografico vedranno realizzati i progetti
sul figlio. Nel film, Roberto tace. Ma osserva. La sua risoluzione esce alla luce
40 “Il camorrista”, regia di Giuseppe Tornatore, 1986. 41 Gomorra, Roberto Saviano, Mondadori 2006, “Terra dei fuochi”, pag. 316. 42 Gomorra, Roberto Saviano, Mondadori 2006, “Kalashnikov” pag. 187.
32
quando Franco gli ordina di gettare le pesche regalategli dalla vicina, perché più
conscio di lei di quanto siano intossicate. Intuendo il disprezzo di Roberto gli fa un
discorsetto realmente udito da Saviano: “Ti fa schifo questo mestiere? Robbe’, ma
lo sai che gli stakeholder hanno fatto andare in Europa questo paese di merda? Lo
sai o no? Ma lo sai quanti operai hanno avuto il culo salvato dal fatto che io non
facevo spendere un cazzo alle loro aziende?” 43 . Roberto però è irremovibile.
L’ultima scena che lo riguarda lo mostra allontanarsi, solo, con le spalle voltate a
Franco e a tutto ciò che rappresenta. Una sorta di allusione forse alla nascita
di Gomorra come atto di ribellione, di diversità.
43 Gomorra, Roberto Saviano, Mondadori 2006, “Terra dei fuochi”,pag. 320-321.
33
LA SERIE
“Nella fiction non c’è il bene, non ci sono vie di fuga per lo spettatore. Ma non c’è
neanche il fascino. I personaggi di Gomorra si sporcano sempre”44
Ispirata in parte all’omonimo libro e costruita sugli eventi della prima faida di
Scampia, la serie tv Gomorra illustra in maniera efficace le dinamiche che si
muovono attorno ad un clan camorristico di Scampia. Per far questo, gli
sceneggiatori si sono serviti della famiglia Savastano, un clan inventato che però, ad
un occhio attento, appare ricalcato ad hoc sulle caratteristiche di quello dei Di
Lauro45.
Mentre seguiamo le vicissitudini di questo clan, dei suoi affiliati e fedelissimi,
e dei suoi rivali e nemici, scopriamo com’è che si muovono e fin dove riescono ad
arrivare i tentacoli di un’organizzazione criminale così potente.
«È rassicurante raccontare un boss come il male assoluto perché la gente
normale possa dire: io non sono così»46, affermano gli sceneggiatori Stefano Bises
e Leonardo Fasoli.
44 Roberto Saviano, “Ora su Gomorra chiudono gli occhi”, “L’Espresso”, 5 maggio 2016. 45 Il clan Di Lauro è un sodalizio camorristico di Napoli, operante nel quartierie di Secondigliano. 46 Stefano Sollima, “Gomorra la serie, con Ciro e Genny il viaggio dello spettatore nell’inferno della camorra”,
“L’Espresso”, 9 maggio 2016.
34
In Gomorra, qualsiasi valore, l’amore, l’amicizia, la lealtà, sono destinati a
soccombere di fronte al potere. Non sono mostrati esempi positivi: tutti i ragazzi
cadono nel vortice, persino la giovane in sedia a rotelle che in cerca di lavoro chiede
di essere assunta alla moglie del boss Donna Imma la quale le trova presto un posto
nella lunga catena umana di spaccio.
Chi lo fa per disperazione, chi per vendetta, chi perché non conosce altra realtà,
chi, come Danielino, per desiderio di affermazione sociale. L'unica innocente, Manu,
una ragazza estranea ai fatti, è destinata ad una morte atroce, vittima di un
meccanismo più grande di lei.
Gli sceneggiatori sono partiti sempre dal materiale primario rappresentato dagli
eventi realmente accaduti, riportati da Saviano nel libro, aggiungendone anche altri
più recenti, dato che la serie è nata circa sette anni dopo rispetto al libro, unendo
anche del materiale frutto d'invenzione narrativa.
La trama orizzontale si sviluppa nell'arco di dodici episodi da 50 minuti circa,
all'interno dei quali hanno origine sotto trame più o meno estese. Il tempo scorre in
avanti puntata dopo puntata portando lo spettatore a pensare che la storia abbia una
fine, ma la prima stagione ha in realtà un finale aperto, con un cliffhanger che già
faceva presagire un altro ciclo di episodi. Nonostante ciò, la storia ha una temporalità
chiusa, non infinitamente espandibile, funzionale a raccontare un frammento di quel
mondo senza pretese di contemporaneità con il tempo di vita dello spettatore. Il
mondo rappresentato ha aspetti in comune a quello tipico del genere del gangster e
quello del noir, utilizzando un tono drammatico e, a tratti, melodrammatico. Gli
episodi non hanno una vera e propria trama verticale, ma si concludono quasi sempre
all'apice di un climax narrativo che funge da richiamo per l'episodio successivo.
La linea narrativa principale ha per protagonista il giovane affiliato Ciro Di
Marzio soprannominato “l’Immortale”, il quale tenta una scalata al potere a
discapito del clan Savastano di cui fa parte. Ciro incarna l'archetipo del ribelle, ma
non certo nella sua accezione positiva. La sua evoluzione come personaggio è uno
dei temi principali della storia. Speculare a questa e allo stesso livello di rilevanza,
35
si pone la vicenda di Genny Savastano, figlio del boss, che fa la sua apparizione
seduto scompostamente su una sedia davanti alla scrivania del padre, mentre assiste
forzatamente a una riunione di cui non sembra ascoltare una sola parola. Il giovane
Savastano viene presentato come un ragazzino strafottente, con una grande
ammirazione per le imprese di Ciro e un atteggiamento da bullo, unico modo che
conosce per far sentire il peso del suo cognome.
Genny gioca a fare il camorrista, forte di ciò che gli ricorda il padre, cioè che a
lui, prima o poi, il
potere spetterà. La
distanza tra il suo
mondo e quello
degli affiliati, di
coloro che fanno i
criminali per
mestiere e vengono
raggiunti da proiettili veri, è ben rappresentata a livello discorsivo dalla sequenza
della sparatoria nella fabbrica, alla quale attraverso il montaggio alternato, si
affianca la visione di Genny in discoteca che si arrabbia per un dispetto tra coetanei,
alla morte di tre degli uomini del padre, colpiti durante l'agguato47.
Oltre a queste due linee principali, se ne sviluppano altre che interagiscono con
le prime due. Il collante della serie è rappresentato dai personaggi e dalle loro
evoluzioni.
Uno dei primi personaggi ad essere introdotti è Attilio la cui morte nel
primissimo episodio funge da innesco per la linea narrativa principale, portando alla
rottura dell'equilibrio iniziale. Sempre nel primo episodio fa la sua breve apparizione
Salvatore Conte, personaggio che la serie definirà solo più avanti e di cui al momento
si limita a suggerire alcuni tratti, sufficienti affinché lo spettatore possa fare le prime
previsioni interpretative.
47 “Gomorra”, regia di Stefano Sollima, Sky Atlantic, prima stagione, episodio 1.
36
Conte è il più pacchiano e decadente dei personaggi, sembra modellato
sull'immaginario cinematografico americano dei film di mafia, una scelta
apparentemente in contrasto con lo stile realistico del racconto, ma in linea con le
tendenze imitatorie dei boss descritti da Saviano nel libro. Conte inoltre porta ancora
più in primo piano il tema del Sacro, quasi all’eccesso in realtà, mostrando una
“fede” ossessiva, potremmo dire “malata”, a cui si affida pienamente per il suo
operato criminale e che come si vedrà nella seconda stagione sarà teatro della sua
stessa morte che avrà luogo proprio in una chiesa.
Presto viene presentato poi il personaggio di Don Pietro Savastano, un boss di
vecchia generazione, un uomo potente, la cui iracondia si rivela essere anche la sua
principale debolezza. Savastano, abita con la moglie Donna Imma e il figlio Genny,
in una pomposa villa costruita di fronte alle Vele, dove vivono i suoi affiliati Ciro e
Attilio. L'inquadratura crea un contrasto netto, evidenziando l’opposizione
dominio/non dominio che sarà poi il motore dell'evoluzione di Ciro. A questo punto
è chiaro in che senso quest'ultimo incarni la componente negativa dell'archetipo del
ribelle: egli non vuole abolire questo dualismo asimmetrico, vuole semplicemente
conquistare il suo spazio nell’altro polo, quello di fronte alle Vele, dove si trovano
le ville suntuose.
Le soffiate alla polizia sono il primo passo per intaccare il domino dei
Savastano. Una volta uscito di scena Don Pietro in seguito al suo arresto e durante
l'assenza di Genny, spedito dalla madre in Honduras per concludere un affare di
droga, Ciro si scontra con Donna Imma che, alla guida del clan, non si fida di lui e
gli rende la vita difficile. Prima gli ordina di organizzare una nuova piazza di
spaccio, un lavoro umiliante per un affiliato del suo livello, poi lo spedisce in Spagna
a "fare la pace" con Conte. Tornato da Barcellona dove ha rischiato la vita per un
accordo con l'altro boss, Ciro inizia la sua scalata al potere agendo sottobanco, ma il
ritorno di Genny, completamente trasfigurato dall'esperienza sudamericana,
complica la situazione. Genny è stato ostaggio di spietati narcotrafficanti che lo
hanno torturato psicologicamente costringendolo a uccidere e fare a pezzi un uomo
37
innocente; questo lo porta a un profondo cambiamento che, prima ancora di
manifestarsi palesemente nelle decisioni e negli atteggiamenti, è visibile fin dalla
prima inquadratura al suo rientro a casa: non è soltanto più magro, più muscoloso,
non ha soltanto i capelli rasati e un abbigliamento più spartano, ha soprattutto
un'espressione completamente diversa, uno sguardo in cui non c'è più nessuna
traccia del ragazzino viziato dell'inizio.
La visione del nuovo volto di Genny viene anticipata dall'inquadratura dello
sguardo della madre che, spostando gli occhi dal cadavere del cane a cui il figlio ha
appena sparato, alla ferita da morso sul braccio di lui e infine al suo volto, assume
un'espressione di dispiacere, stupore e timore che prepara lo spettatore alla visione
della drastica evoluzione del personaggio di Genny.
Tra Ciro e Genny a questo punto si crea ora una forte rivalità: Ciro vuole
conquistare il suo spazio di potere e Genny vuole affermarsi come degno successore
del padre. Nonostante il cambiamento, però, Genny è ancora giovanissimo e la sua
condotta è in netto contrasto con quella del padre. I vecchi affiliati non la tollerano,
i giovani invece lo seguono fedelissimi.
Questa spaccatura innesca una faida interna e crea una confusione tale da
impedire a Genny di vedere il vero pericolo per i suoi affari: le manovre di Ciro.
38
Quest’ultimo fa un passo falso con l'omicidio di Manu, la fidanzata del ragazzino
che Ciro assolda come
killer per uccidere uno dei
bracci destri di Conte e
accendere quindi una
guerra che avrebbe
portato allo sterminio del
clan. Quando Donna
Imma lo mette davanti
alle prove schiaccianti della sua colpevolezza, lui non esita a uccidere lei e la sua
guardaspalle, ignorando che la donna aveva fatto in modo che, in caso di morte,
Genny venisse a conoscenza del suo segreto. Ciro cerca di mettere in salvo la sua
famiglia in una villa fuori Napoli, ma non rinuncia a portare la figlia al saggio di fine
anno del coro della parrocchia. Non è una debolezza, bensì un agguato a Genny: che
riesce perfettamente.
La stagione termina con il corpo di Genny a terra, apparentemente morto, e
l'abbandono di Ciro da parte della moglie che si rende conto di come il marito abbia
usato lei e la figlia come esca.
La seconda stagione sarà dominata dalla rabbia e dalla voglia di vendetta di
Genny e di Don Pietro nei confronti di Ciro Di Marzio.
39
Riuscito a scappare durante un trasferimento dal carcere, Don Pietro, è deciso
a riconquistare ciò che sente suo di diritto, il potere. Seguito da pochi fedelissimi
rimastigli accanto, rifugiandosi al sicuro da sguardi indiscreti, inizia il suo piano.
Questa volta però assistiamo al più classico e al tempo stesso peggiore dei
tradimenti, quello di un figlio nei confronti del padre. Seppur condividendo lo stesso
desiderio di vendetta il figlio Genny sentendosi messo da parte e ignorato dal padre
fa una scelta del tutto incomprensibile per i telespettatori ma del tutto in linea con
quelle che sono le sue nuove mire di potere; chiede al padre di poterlo incontrare di
fronte alla tomba della madre, Don Pietro accetta mosso da una ritrovato desiderio
di riavvicinarsi al figlio, ma a quell’appuntamento Genny non si presenterà, Don
Pietro si ritroverà invece faccia a faccia con Ciro, che gli punta contro la pistola e
spara. Era stato proprio Genny, il figlio, a tradirlo e ad armare la mano del suo
uccisore. La peculiarità di questa serie, rispetto al classico genere gangster, sta
proprio nel rappresentare i criminali nella loro vita quotidiana, mettendo in scena un
mondo in cui il crimine non è un elemento in opposizione a qualcos'altro, bensì
normalità.
Nonostante la serie si presenti come un testo di finzione, al suo interno, si
dispongono, come detto, enunciati non fittizi che, sotto la superficie labile della
parabola narrativa, riescono a rappresentare tratti salienti della società
contemporanea e della psiche umana trascinandoti in un abisso dove nessuna
immaginazione è in grado di arrivare.
Se il libro si configura come un resoconto narrativo del reale che vuole
raccontare il male per denunciarlo, la serie vuole inscenare il male per permettere
allo spettatore di comprenderlo e riconoscerlo. I due testi infatti condividono
l'intento pragmatico di scuotere le coscienze, ma lo fanno attraverso due modalità
opposte: il dovere di cronaca da un lato e il piacere dell'intrattenimento dall'altro.
Nella serie, oltre ai personaggi individuali, si possono individuare alcuni gruppi
di personaggi collettivi: gli imprenditori corrotti, gli affiliati, i ragazzini amici di
Genny, i pusher e i vari operai della droga, gli abitanti del quartiere e il sistema dei
40
personaggi e delle azioni si delinea in relazione alla posizione di ognuno nei
confronti dei poli della supremazia o della sottomissione, dell'autonomia o della
dipendenza nei confronti del sistema di potere.
La supremazia, intesa in senso lato come dominio economico, sociale e
simbolico, è la soglia di valore rilevante di quel mondo ed è rispetto ad esso che i
personaggi percepiscono ciò che accade loro come positivo o negativo. Il sistema
profondo di significati da cui scaturiscono le trama principale e quelle secondarie,
dunque, non si basa sempre su un opposizione Bene/Male, ciò che cambia è come i
personaggi percepiscono questi due poli e come percepiscono la loro posizione
relativamente ad essi.
Ciro ad esempio passa dal polo della sottomissione a quello dell'autonomia: da
affiliato, incluso nel sistema, diventa ribelle e aspira ad essere egli stesso un boss.
Genny, dal canto suo, passa dalla dipendenza dal padre e dalla madre, alla
supremazia una volta costretto a prendere il suo posto al vertice del clan. Imma,
come ho accennato, pienamente integrata fin da subito nel Sistema dominante, si
muove sempre nella parte alta dello schema, passando da una posizione sottomessa,
ma privilegiata, a una posizione di dominio. Continuando in questo modo, è
possibile descrivere ogni personaggio con le sue evoluzioni partendo dalla struttura
profonda della storia.
Un discorso a parte va fatto invece per la figura di Donna Imma, inizialmente
dipinta come moglie fedele e rispettosa del marito, lontana dagli affari, ma che
invece, nel corso della serie, conquisterà rapidamente un ruolo dominante al vertice
del clan, tanto da reggere da sola un'intera linea narrativa. Il suo personaggio incarna
molte delle caratteristiche delle donne boss descritte da Saviano nel suo libro: donne
complesse, intelligenti e feroci anche più degli uomini. Di questo lato femminile
della camorra ne parlerò meglio in seguito.
In Gomorra, gli sceneggiatori hanno fatto sì che gli spettatori, fin da subito, si
rendessero conto del mondo che la serie andava a rappresentare. La prima puntata di
una serie, come ogni incipit, ha spesso la funzione di indirizzare la lettura dell'opera
41
in una certa direzione, non a caso infatti si chiama episodio pilota. Ciò avviene
attraverso una serie di indizi che richiedono allo spettatore di attivare una specifica
cooperazione interpretativa, basata su competenze di genere, di sceneggiatura e
intertestuali.
Nel caso di Gomorra l'apertura con la messa in scena di un regolamento di conti
tra boss rivali fa sì che lo spettatore inquadri subito il testo nella cornice di genere
del gangster movie e sempre nelle prime sequenze dell'episodio viene introdotta una
delle tematiche dominanti: l'opposizione giovane/vecchio. Su questo significato
profondo si sviluppano, come vedremo, le principali linee narrative della serie. Tale
opposizione nel corso del primo episodio è rappresentata più volte a livello di
manifestazione discorsiva: nel confronto iniziale tra Ciro e Attilio che non riesce a
capire come funziona Facebook, che non ama la musica "troppo moderna" del suo
compagno e che è sempre fedelissimo al suo boss, non importa quanto irragionevoli
siano gli ordini impartiti,
al contrario di Ciro che
mostra già i primi segni
di ribellione; Attrito che
si manifesterà anche tra
Don Pietro, il cui stesso
epiteto evoca la
tradizione camorristica
di vecchio stampo, e il
figlio. A sottolineare
questo filo tematico ci sono anche le parole di Don Pietro, solo apparentemente
accidentali, su un nuovo divano acquistato dalla moglie, nel quale, secondo i loro
informatori, la polizia ha messo delle microspie: Don Pietro rimpiange il divano
vecchio perché «quello nuovo non è buono»48.
48 “Gomorra” regia di Stefano Sollima, Sky Atlantic, prima stagione, episodio 2.
42
Il primo episodio non attiva solo una sceneggiatura di genere, ma innesca una
rete di rimandi alla realtà geografica e socio-culturale in cui la si svolge la storia. Per
far ciò gli sceneggiatori hanno usato vari espedienti: il napoletano come lingua
preponderante per dare una forte connotazione geografica e culturale al racconto; le
inquadrature delle Vele di Scampia, quartiere che i media hanno eletto simbolo del
degrado urbano delle città campane; i "mostri di cemento armato" frutto degli abusi
edilizi compiuti nella periferia di Napoli.
Nei titoli di apertura della serie si legge che la serie deriva da un idea di Roberto
Saviano ed è ispirata al suo romanzo; anche se non si tratta di un adattamento, la
serie intrattiene una relazione esplicita intertestuale e ipertestuale con il libro.
Lo spettatore è portato presto a chiedersi dove siano i buoni, dove sia la polizia
che prima o poi arresterà i cattivi, perché è a questo che ci hanno abituato i gangster
movie in cui i boss, di norma, vengono rappresentati dal loro momento di gloria fino
alla loro cattura o alla loro sconfitta, tra l'altro spesso glorificante. In realtà, il pilot
della serie risponde visivamente anche a questa domanda: dove sono I poliziotti?
Sono “intra 'a televisione” e la televisione sta a casa dei boss, simbolicamente
racchiusa in una pomposa cornice d'oro come un quadro al di fuori del mondo reale.
Il servizio del telegiornale, che si intravede e si sente appena in sottofondo durante
una cena dei Savastano, segnala la posizione che le forze dell'ordine ricoprono in
questa storia che non inscena una battaglia tra il bene e il male, ma solo una lotta
intrinseca al male stesso.
Le forze dell'ordine sono solo un brusio di sottofondo nel mondo della malavita,
tenute in cornice da un sistema che è sempre un passo avanti rispetto ad esse, quel
vantaggio simbolicamente rappresentato dall'informatore che avverte Don Pietro delle
microspie nascoste. Nella scena della cena, però, il rumore indistinto della tv a un certo
punto diventa udibile e l'ultima frase del servizio al telegiornale è comprensibile per lo
spettatore attento: «gli investigatori stanno interrogando i feriti per tentare di
identificare gli assassini, impresa difficile perché sono poche e scarne le testimonianze
al momento, ma c'è una certezza ed è la matrice dell'attentato: il comando entrato in
43
azione sapeva chi colpire e, quasi certamente, questo spettacolo di morte è legato alla
guerra di camorra in città per il controllo del business milionario della cocaina»49.
Questo episodio è volto anche a creare un effetto di reale, rafforzato dalla
leggibilità del nome del cronista nel servizio telegiornalistico, Paolo Chiariello, vero
inviato napoletano di Sky Tg24. Anche la strage nel bar, a cui fa riferimento il
servizio, ricorda un episodio realmente avvenuto a Secondigliano nel '92, raccontato
dal boss Maurizio Prestieri in una lunga intervista a Saviano, pubblicata su
Repubblica.
Un elemento interessante, che circonda continuamente i personaggi nella
serie, è il tema del sacro.
Lontana anni luce da una rappresentazione istituzionale o didascalica della
religione e del sacro, Gomorra riesce a creare un sotto testo religioso discreto e
convincente.
I suoi personaggi, immersi nelle Vele50, nelle macchine scure, nelle case
interamente fagocitate da oggetti, sono molto spesso circondati da simboli
religiosi: statue, icone di Padre Pio, della Madonna, di Cristo. Molto spesso
49 “Gomorra”, regia di Stefano Sollima, Sky Atlantic, prima stagione, episodio 1. 50 Le vele di Scampia sono palazzi ad uso residenziale costruiti nell'omonimo quartiere di Napoli tra il 1962 e
il 1975. Prendono il nome dalla loro forma triangolare.
44
queste immagini sacre appaiono scure, sporche quasi fossero metafora del
degrado di Scampia.
Alla base in realtà non vi è la fede, si tratta più che altro di una semplice
presenza fisica, che rivela un altro aspetto dell’anatomia di pensiero delle
associazioni mafiose: come la Chiesa cattolica è riuscita, nel corso dei secoli, a
far accettare ai fedeli l’idea che la Madonna possa essere sia Vergine che
Madre, così le associazioni mafiose, in particolar modo la Camorra, riescono a
condurre un’esistenza criminale avendo come forza interiore la fede religiosa.
Le icone religiose assistono agli omicidi, ascoltano i discorsi tra i Boss, si
ritrovano al centro della strada mentre i corrieri sfrecciano con gli scooter.
Particolarmente d’effetto è l’ultimo episodio della seconda stagione, in cui il
braccio destro di Don Pietro bacia la croce che porta al collo prima di far fuoco
e uccidere a brucia pelo la figlia di Ciro mentre giocava col game boy
aspettando di arrivare a scuola. Una bambina. Forse in molti penseranno che è
impensabile, che non è possibile che succeda ma purtroppo è molto più reale di
quanto si pensi. Bisogna forse ricordare che negli anni ‘80, Raffaele Cutolo, da
buon uomo d’onore come gli piaceva definirsi, fece sparare in faccia ad una
bambina di pochi anni davanti al padre, il magistrato Lamberti.
45
CAPITOLO II
GOMORRA, UN TERREMOTO CULTURALE, SOCIALE E CIVILE
“Con Gomorra non pretendevo tanto di avere successo quanto di cambiare le cose,
svegliare la gente, costringerla a vedere l'orrida realtà neppure tanto nascosta”51
Il valore principale di questo best-seller risiede nell’aver profondamente scosso
il paesaggio culturale e sociale, incidendo su alcuni aspetti della società
contemporanea. Prima della sua pubblicazione l’immagine che l’opinione pubblica
aveva della criminalità napoletana, e della mafia italiana in generale, era abbastanza
unilaterale e semplificata, incentrata quasi unicamente sul lato delle attività criminali
percepibili ogni giorno.
I quotidiani locali e nazionali infatti non hanno mai lesinato articoli su omicidi
o atti di violenza riconducibili alla camorra, ma la rappresentazione di quest’ultima,
veicolata dai giornali, era unicamente incentrata sui delitti e non sul fenomeno
complesso che vi è dietro, ovvero su un’entità feroce incapace di perdonare, che non
teme di versare sangue innocente durante una delle sue numerose lotte.
Napoli, agguato in strada e sventagliata di kalashnikov.
51 Roberto Saviano, “Voglio sposarmi; sarà la mia vittoria e la mia vedetta”, “Corriere della Sera”, 9 giugno 2009.
46
«Ormai dalle testate giornalistiche dai testi saggistici, dalle discussioni
politiche, sono scomparse le analisi sui fenomeni criminali organizzati. Tutto si è
pacificato, la criminalità, il grande flagello è divenuta la microcriminalità, il piccolo
spaccio di droga, lo stupro. Insomma l’atomizzazione delle questioni criminali ha
portato ad un’incredibile indifferenza ed ignoranza verso lo studio della struttura
criminale organizzata»52. Inoltre grazie a Saviano finalmente è stato possibile far
passare l’idea che la camorra, così come tutte le organizzazioni mafiose, non è un
problema confinato in una regione.
Nonostante questo
prima del 2006 solo il
22% degli italiani
riteneva la criminalità
organizzata un problema
non solo del Sud, ma
dell'Italia intera e non
aveva un’idea chiara
della storia che sta dietro
un organizzazione del genere.
Con Gomorra tutto è cambiato radicalmente, quelle pagine hanno avuto il
potere di mettere in moto l’Italia e non solo, riuscendo nel suo intento di mostrare
quanto la camorra sia un potere internazionale. Ormai le mafie italiane sono
organizzazioni che non si tengono nei confini italiani: il controllo del territorio, nel
senso militare, avviene nel Sud Italia, l’investimento avviene in tutto il mondo.
Da dieci anni a questa parte siamo stati di colpo sommersi da articoli, libri,
saggi e film che ci parlano della camorra in un modo molto più approfondito e
completo e passo dopo passo Saviano ha trovato il sistema per far appartenere alla
memoria collettiva i dettagli della storia e della filosofia della camorra e le orme
52 Roberto Saviano, “La Parola Camorra Non Esite”, “Nazione Indiana”, 16 settembre 2003.
47
della denuncia che ha impresso nelle sue pagine hanno portato a numerose azioni
concrete.
Ora, nel 2016, sentendosi chiedere se ritiene evaporato il senso del suo libro,
l’autore risponde così: «Una università milanese fece uno studio: dopo la
pubblicazione di Gomorra si registrava un aumento del 400 per cento dei libri su
camorra e mafia. Quel libro continua a vivere in mille declinazioni. Credo sia
cambiata anche la percezione della camorra, non più banditi rozzi e violenti, ma
avanguardia dell’economia mondiale, con regole molto simili a quelle del
capitalismo. Evaporato? Forse, in quanto inalato dai lettori e trasformato in
coscienza»53.
Il popolo italiano in una prima fase, è stato l’ascoltante che si lascia impregnare
dalle informazioni fornite, ma progressivamente ha assunto un ruolo attivo nel
dibattito avviato dallo scrittore. Una parte numerosa dei lettori ha quindi
abbandonato la funzione meramente passiva per dimostrare di essere disposti a
combattere per un’Italia libera dal dominio della mafia e per esprimere la loro
solidarietà con lo scrittore che ha avuto il coraggio di utilizzare la forza della parola.
Gomorra, come già accennato, ha cambiato non soltanto l’opinione pubblica
italiana, ma anche quella mondiale. Ormai il pubblico internazionale che ha letto il
libro di Saviano si rende conto di come la Camorra, invece di essere
un’organizzazione locale, sia un fenomeno globale, una rete che ricopre l’intero
mondo: “Spero che queste storie possano arrivare il più lontano possibile così da far
comprendere che una serie, un libro, insomma un’opera d’arte può davvero mutare
il corso delle cose quando innesca empatia”54.
Il successo senza pari e la forza di Gomorra è incontestabilmente dovuto anche
al ruolo dei nuovi media nella diffusione della conoscenza. Il caso “Gomorra” ha
riempito non solo le pagine di quotidiani e periodici, ma anche programmi televisivi
53 Roberto Saviano, “Chi è”, “Corriere della Sera”, 24 maggio 2016 54 Roberto Saviano, “Il kolossal tv varca i confini nazionali”, “La Repubblica.it”, 7 ottobre 2013.
48
e radiofonici per poi catalizzare l’attenzione di social media come Facebook e
Twitter.
Proprio grazie ai social network, ad esempio, è nato il progetto “Oltregomorra”,
il portale culturale su e contro la mafia, e tramite questi mezzi viene assicurato il
proseguimento della lotta contro la mafia avviata dall’opera di Saviano. Collaborare
a tali iniziative per Saviano significa continuare a diffondere le proprie opinioni,
nonostante le restrizioni legate alla sua vita sotto scorta. Per capire cosa possa
spingere un giornalista o uno scrittore a narrare, a denunciare, a testimoniare fanno
riflettere le parole di Salman Rushdie55: “È grazie alla narrazione che gli uomini si
rappresentano a se stessi e quindi solo un’umanità libera di raccontarsi come vuole
è un’umanità libera”56.
È sicuramente un modo diverso di narrare l’Italia, che ti costringe a guardare
in faccia il male, a occhi aperti.
Uno sguardo diretto e trasparente che ha però ricevuto critiche da parte del
mondo politico.
Quando uscì la serie il questore di Napoli, Guido Marino, disse di trovarla
offensiva, diseducativa e alcuni sindaci dell’hinterland napoletano si sono persino
rifiutati di dare il permesso per le riprese e l’allora Presidente del Consiglio, Silvio
55 Scrittore anglo-indiano. 56 Salman Rushdie, “Saviano all'Accademia con Rushdie. Diari di una "vita sotto scorta”, “La Repubblica”, 14
dicembre 2008.
49
Berlusconi, criticò la capacità del libro di avere dato troppa pubblicità alla mafia
danneggiando l'immagine internazionale dell'Italia. A queste critiche si sono
aggiunte quelle del direttore del TG4 Emilio Fede, il quale ha affermato che Saviano
avrebbe ottenuto una visibilità eccessiva rispetto ai suoi meriti. Saviano risponde
affermando che: «Per noi è un percorso editoriale: da “Gomorra” a “1992”, fino a
“The Young Pope”, è il realismo che rende queste storie rilevanti e questa realtà
accompagna lo spettatore in un viaggio che non lo inganna, non lo consola, in cui
l’unica cosa che non può fare è
girarsi dall’altra parte» 57 . Il
sindaco di Napoli De Magistris
lo accusò di esaltare solo il
brutto e Renzi ribadì che
dell’Italia si deve raccontare il
positivo contro il disfattismo:
“Non lasciamo che il racconto di
questa terra sia solo il set di
Gomorra”58. Saviano risponde a
queste affermazioni con una
domanda: «Se io racconto una cosa che non va, sto facendo male all’Italia o bene?»59
poi afferma: «io volevo capire cosa fossero queste organizzazioni, il loro potere
economico, il loro linguaggio. Per farlo ho pagato un prezzo inaspettato. Chi
racconta il male viene trattato peggio di chi il male lo fa, lo scriveva Leopardi due
secoli fa»60.
Purtroppo le critiche allo scrittore napoletano continuano tutt’oggi più accanite
che mai. Il 5 gennaio 2017 il sindaco di Napoli De Magistris scrive un lungo post61
su Facebook in cui accusa Saviano di fare successo «con gli spari della camorra».
57 Roberto Saviano, “Gomorra la serie, con Ciro e Genny il viaggio dello spettatore nell’inferno della camorra”,
“L’Espresso, 9 maggio 2016 58 Matteo Renzi, “Ora su Gomorra chiudono gli occhi”, “L’Espresso”, 5 maggio 2016. 59 Roberto Saviano, “Ora su Gomorra chiudono gli occhi”, “L’Espresso”, 5 maggio 2016. 60 Roberto Saviano, “Ora su Gomorra chiudono gli occhi”, “L’Espresso”, 5 maggio 2016. 61 Luigi De Magistris, Facebook, 5 gennaio 2017.
50
Rivolgendosi direttamente all’autore campano il sindaco continua la sua invettiva
affermando: «più si spara, più cresce la tua impresa» e chiudendo il discorso con due
“consigli” che arrivano come schiaffi aspri e davvero insensati visto che sono rivolti
ad un uomo che è nato e cresciuto in quella città e ha sacrificato la sua libertà per
parlarne. A quest’uomo il sindaco consiglia di informarsi meglio e non giudicare e
criticare una terra che non conosce, concludendo col dirgli: «non avere paura. Abbi
coraggio»62. Saviano non tarda a rispondere: «Napoli 4 gennaio 2017: due sparatorie
in pieno centro e una bambina di 10 anni ferita in un luogo affollatissimo della città.
Ma il sindaco è infastidito dalla realtà, a lui non interessa la realtà, a lui interessa
l'idea, quell'idea falsa di una città in rinascita: problema non sono le vittime innocenti
del fuoco della camorra, problema è che poi Saviano ne parlerà. Il contesto nel quale
nascono e crescono le organizzazioni criminali, fatto di assenza delle regole e
lassismo, da quando lui è sindaco non solo non è mutato, ma ha preso una piega
addirittura più grottesca: ora la camorra in città è minorenne e il disagio si è esteso
alle fasce anagraficamente più deboli. Ma di tutto ciò lui non ama parlare. Pare che
la città sia ridotta al salotto di casa sua, a polvere da nascondere sotto al divano.
Basta pensare alla superficialità (per non dire al fastidio) con cui il sindaco parla di
periferie annegate nel degrado: al sindaco fa schifo Soccavo, fa schifo Pianura, si
vergogna del rione Conocal, se ne frega del rione Traiano. Ma che importa: la realtà
di Napoli sono le strade affollate e non i killer pronti a sparare nel mucchio»63.
Siamo tutti attaccabili e criticabili per qualcosa, ma la domanda che dovrebbe
porsi chiunque prima di giudicare ciò che ha fatto e continua a fare Saviano è: Io
avrei mai sacrificato la mia libertà per dar voce alla verità?
62 Luigi De Magistris, Facebook, 5 gennaio 2017. 63 Roberto Saviano, Facebook, 6 gennaio 2017.
51
SAVIANO: GIORNALISTA, AUTORE, PERSONAGGIO
“E´ nato uno scrittore”64
Con queste parole, “è nato uno scrittore”, Corrado Stajano commenta la
pubblicazione di Gomorra, prima opera di un giovane giornalista freelance. Roberto
Saviano ha iniziato la sua carriera giornalistica nel 2002 scrivendo su quotidiani e
riviste come “Pulp”, “Diario”, “Sud”, “Il Manifesto”; ha collaborato poi anche con
l’“Osservatorio sulla Camorra” del “Corriere di Mezzogiorno” e attualmente
collabora con “L’Espresso” e “La Repubblica”. Il giovane autore è molto attivo ed
affermato anche all’estero dove collabora con importanti testate giornalistiche come:
il “Washington Post”, Il “New York Times”, il “Newsweek” e il “Time” negli Stati
Uniti; “El Pais” in Spagna; il “Die Zeit” e il “Der Spiegel” in Germania;
L’“Expressen” in
Svizzera; il “The
Guardian” e il
“Times” in Gran
Bretagna.
Prima di tutto
questo, Saviano
pubblicava spesso
articoli sul blog
collettivo “Nazione
Indiana”65, una parentesi a mio avviso significativa dato che proprio un articolo
comparso su quest'ultimo blog sembra celare quelle che saranno le basi del suo
futuro romanzo. L’intervento, intitolato “La parola camorra non esiste”66, viene
pubblicato da Saviano il 16 settembre 2003 e contiene in se il seme da cui si sviluppa
64 Corrado Staiano, “Camorra e Gomorra”, “L’Unità”, 19 maggio 2006. 65 Si tratta di un blog collettivo e progetto culturale fondato nel marzo 2003 da un gruppo di scrittori, critici e artisti
italiani, con lo scopo di dare voce a testi e idee che non trovano spazio nell'editoria commerciale e nella stampa
d'informazione. 66 Roberto Saviano, “La parola camorra non esiste”, Nazione Indiana, 16 settembre 2003.
52
praticamente tutta la prima parte del romanzo, incentrata sul funzionamento del
sistema malavitoso.
In questo pezzo, il giovane giornalista racconta di come la parola “camorra”,
fino ai primi anni
Ottanta, sia stata
utilizzata soltanto dai
magistrati, finché il
boss Raffaele Cutolo
fondò la Nuova
Camorra Organizzata
e attribuì a questo
termine un significato
filosofico, spirituale, quasi religioso.
Camorra, secondo lui era un’etica, una prassi finalizzata ad organizzare i
miseri, i cafoni, che unendo le proprie forze, sottomettendosi e facendo
giuramento di omertà, ai loro capi che chiamava “santisti” ovvero “evangelisti”
seguaci di Cristo-Cutolo, avrebbero raggiunto sicurezza e benessere»67.
Dopo Cutolo, però, il termine è scomparso nuovamente dal gergo dei camorristi
che per far riferimento alla propria organizzazione iniziano a usare semplicemente
la parola “Sistema”.
Le intenzioni del giornalista si fanno ancora più evidenti nello stesso testo
qualche riga più avanti: «nel complesso ginepraio delle logiche camorriste, è
possibile solo congetturare, e la congettura è l’unico elemento che permette di
imbastire ipotesi di senso, piani d’interpretazione che ti svelano con chiarezza i
meccanismi causali d’alcune scelte politiche, d’alcuni investimenti, di determinate
fortune o sfortune economiche. V’è qualcosa di più letterario di ciò? […] La scrittura
forse, dovrà occuparsi con maggiore attenzione di questo infinito e diuturno
67 Roberto Saviano, “La Parola Camorra Non Esiste”, “Nazione Indiana”, 16 settembre 2003.
Foto storica del boss, L’unità.
53
fenomeno, solo la narrazione può riaccendere valutazione ed attenzione»68. Già in
queste parole si intuisce come Saviano cominci a intendere la narrazione come un
nuovo percorso per affrontare un problema così complesso come quello criminale;
un pensiero vero tanto quanto contraddittorio: in un’operazione cristallina come la
ricerca del vero s’insinua la letteratura con la sua palese e recondita menzogna.
L'articolo si conclude con un invito a scrivere un romanzo collettivo, fatto di decine
di racconti, che fosse un libro composto di storie incentrate «non sul cancro ma sul
corpo rigoglioso e sano del “sistema-crimine”.
Ipotizzare, inventare, raccontare, narrare, rimettere sotto gli occhi dei lettori la
contemporaneità del fenomeno, la potenza, la forza, la legittimità della cultura
camorristico-mafiosa»69. Parole, queste ultime, in cui non è difficile rintracciare
l'idea embrionale sviluppata più in là nella serie televisiva: raccontare il male per
conoscerlo e
confrontarsi con
esso, senza filtri e
senza via di fughe.
Nei successivi
articoli di Saviano
ritroviamo gran parte
dei temi e dei fatti
riportati in Gomorra,
come ad esempio: la
vicenda di Annalisa
Durante, vittima
innocente di un regolamento di conti; la crescita dei ragazzi in ambienti vicini alla
camorra; la storia di Gelsomina Verde; le infiltrazioni mafiose nelle aziende
multinazionali; il ruolo delle donne nell'organizzazione; infine, persino il brano «Io
68 Roberto Saviano, “La Parola Camorra Non Esiste”, “Nazione Indiana”, 16 settembre 2003. 69 Roberto Saviano, “La Parola Camorra Non Esiste”, “Nazione Indiana”, 16 settembre 2003.
54
so», di cui parlerò approfonditamente in seguito, è comparso per la prima volta sulla
rivista “Nuovi Argomenti” nel 2005.
Il romanzo d'esordio di Saviano, quindi, ha le sue radici nella sua attività
giornalistica e sembra quasi tessere insieme, attraverso l'espediente del narratore-
testimone, frammenti di racconto già scritti.
Nel 2009 sarà l’autore stesso a ripercorrere la sua evoluzione personale e
letteraria, raccogliendo i suoi scritti personali realizzati nell'arco di cinque anni, dal
2004 al 2009, nel libro “La bellezza e l’inferno”70. Un libro ispirato proprio dalla
sua prima opera “Gomorra” e dalle esperienze vissute per il suo impegno contro la
mafia: dal ragazzo che muove i primi già maturi passi nell'ambito della letteratura e
della militanza antimafia fino allo scrittore affermato che viene invitato
all'Accademia dei Nobel di Stoccolma.
A livello internazionale Saviano viene dipinto come un novello Caronte, che
fin dalla prima immagine ambientata sul molo Bausan, ci traghetta attraverso il porto
tra “la perduta gente”71 nella “città dolente”72.
70 Roberto Saviano, “La bellezza e l’inferno”, Mondadori 2009. 71 Divina Commedia, Dante Alighieri, Canto III. 72 Divina Commedia, Dante Alighieri, Canto III.
55
Purtroppo, l’area lessicale attorno a cui si muovono molti degli articoli che
parlano di quella bellissima città, è proprio quella dell’inferno; “A living Hell” [“Un
inferno vivente”], così
in un articolo sul “The
Guardian” viene
descritto [“ciò che il
crimine organizzato
ha fatto ad uno nei più
bei luoghi al
mondo”]73.
Sul “Times”,
Misha Glenny74, afferma: [“Gomorra è un’utile iniziazione a quel luogo infernale
che Napoli è diventata sotto la tirannide della Camorra”]75; e se per Alexander Stille
Napoli è stata [“Trasformata in una specie di inferno”]76, Paul Cherry non ha invece
dubbi, Napoli è [“un vero e proprio inferno in terra”]77.
Allo stesso modo per John Dickie la camorra ha [Trasformato Napoli ed il suo
hinterland in una città dimenticato da Dio]78. Come definire altrimenti una terra che
[“grazie alla Camorra, ha uno dei più alti tassi di omicidi in Europa, uno dei più alti
tassi di spacciatori di droga per numero di abitanti, livelli di disoccupazione e
dipendenza da cocaina altissimi ed in costante ascesa, ed elevata incidenza di cancro
collegata allo smaltimento di rifiuti tossici”]79 . Saviano [“scorrazza nelle fauci
73 Testo originale: “what organised crime has done to one of the most beautiful places on earth”, “The Guardian”,
12 gennaio 2008. 74 Giornalista e scrittore britannico. 75 Testo originale: “Gomorrah is a useful introduction to the hellhole that Naples has become under the tyranny of
the Camorra”, in “McMafia: Crime Without Frontiers”, M. Glenny, Bodley Head, 2009. 76 Testo originale: “turned into a kind of inferno”, Alexander Stille, “Italy: The Crooks in Control”,
“The New York Review of Books”, 17 aprile 2008. 77 Testo originale: “a veritable Hell-on-Earth”, P. Cherry, The Montreal Gazette, 18 luglio 2008. 78 Testo originale: “turned Naples and its hinterland into a god-forsaken metropolis”, J. Dickie, Gang Rule. 79 Testo originale: “Thanks to the Camorra, has one of the highest murder rates in Europe, one of the world’s highest
ratios of drug dealers to inhabitants, soaring levels of unemployment and cocaine addiction, and elevated cancer rates
linked to toxic waste dumping”, Rachel Donadio, “Underworld”, “Sundey book review”, 25 novembre 2007.
56
dell’inferno - per descriverci - gli orrori di una città un tempo bellissima e civile, ora
sotto il controllo di un efferato sistema criminale”]80.
Più ci si addentra in questa storia, in questa realtà, più sembra quasi di assistere
ad una sorta di rivisitazione del III canto dell’Inferno dantesco.
«E ho capito che è questa la mia dannazione, che è questa la posta che credevo
il diavolo non avrebbe mai riscosso. Una dannazione che ti condanna quando la tua
parola arriva lontano, quando diventa un seme»81.
80 Testo originale: “gallops straight into the maw of the inferno per descriverci the horrors of a beautiful, once civil
city, now under the control of a vicious organized crime system”, A. Shugaar, “GoodFellas. A young Italian
laments how Naples has fallen under the sway of brutal monsters”. 81 Roberto Saviano, “Dieci anni di Gomorra”, Gomorra, mondadori 2016.
57
GOMORRA, IL CORAGGIO DELLA DENUNCIA
“Comprendere cosa significa l’atroce, non negarne l’esistenza, affrontare
spregiudicatamente la realtà”82
Non è mai stato facile, per uno scrittore, dire verità scomode e non solo in anni
passati, quando la censura impediva la diffusione delle opinioni controcorrente, il
coraggio si paga anche oggi. Un libro può condannare a morte, come è accaduto allo
scrittore Salman Rushdie83,
per aver pubblicato nel 1988
“I versi satanici”84, oppure a
vivere sotto scorta, in una
specie di fine annunciata; un
“marked man”, come scrive
Henry Farrell 85 : un
bersaglio, una probabile
vittima.
Tra saggio e racconto quello di Saviano è uno studio attento e personale, ma
anche la testimonianza emotiva di uno scrittore che, nato e cresciuto in terra di
camorra, vuole indagarne la natura e le leggi, animato dalla volontà di capire i volti
di questo “regno del male” per denunciarli e combatterli.
In questi dieci anni Saviano ha condotto innumerevoli battaglie contro le
organizzazioni camorristiche sfruttando molto anche la televisione, divenendo
così schiavo delle sue stesse denunce.
Proprio il suo esilio coatto ricorda davvero quello a cui fu costretto l’autore
anglo-indiano Rushdie quando fu colpito dalla fatwa86 emessa da Khomeini87. Ian
82 Frase di Hanna Arendt, in “Gomorra”, testo originale: “Comprehension, in short, means the unpremeditated,
attentive facing up to, and resisting of reality – whatever it may be or may have been”. 83 Scrittore anglo-indiano. 84 Salman Rushdie, “The satanic Verses”, 1988. 85 H. Farrell, “Underworlds”, “The Nation”, 21 novembre 2007. 86 Sentenza emessa su questioni riguardandi il diritto islamico. 87 Politico e guida religiosa iraniano.
58
Fisher88, in un articolo apparso su “The New York Times”, definisce Saviano [“una
sorta di Salman Rushdie nella lotta ancora irrisolta dell’Italia contro il crimine
organizzato”] 89 , mentre un articolo su Saviano comparso su “Der Spiegel
International” ha proprio per titolo: [una Fatwa della Mafia per un autore
italiano]90. I due scrittori si sono anche incontrati a New York, nell’aprile del 2008,
entrambi invitati a partecipare al “Pen World Voices of International Literature”91.
Nelle loro vicende vi sono però altresì notevoli, importanti differenze: in primo
luogo quella subita da Rushdie è stata una censura esercitata da un potere ufficiale,
mentre la camorra è un potere ufficioso e occulto; inoltre, come rilevano vari
commentatori, le prime minacce non sono state pronunciate quando Saviano iniziò
a pubblicare i suoi reportage, né quando uscì Gomorra, ma solo quando l’autore in
persona partecipò a un comizio al suo paese, Casal di Principe il 23 settembre del
2006, durante il quale insultò pubblicamente i boss, cioè quando qualcuno, per la
prima volta, osò mettere in discussione, fisicamente, il controllo di un territorio che,
come avviene per gli animali “è marcato”.
In un’intervista a Saviano riportata dal “National Post”, il 7 maggio 2008, è
stato proprio lo scrittore a rimarcare un’altra grande differenza tra lui e Rushdie,
88 Giornalista statunitense del New York Times.
89 Testo originale: “A sort of Salman Rushdie in Italy’s still unresolved struggle against organized crime”, in “An
Italian Author Driven Into the Shadows by Success”, I. Fisher, “New York Times”, 3 novembre 2007. 90 Testo originale: “A Mafia Fatwa for an Italian Author”, “Der Spiegel International”, 18 ottobre 2006. 91 Festival letterario che promuove la libera espressione e la comunione letterario internazionale.
59
sottolineando che l’eresia del libro di Rushdie consisteva nell’essere stato scritto,
mentre la sua sostanzialmente nell’essere stato letto. Secondo Saviano: “È una
grande differenza. Non è ciò che ho scritto che è pericoloso. È l’essere stato letto da
così tante persone che lo rende così pericoloso”. Molto spesso infatti non si perdona
non il gesto della denuncia, quanto il successo e la diffusione che tale denuncia
provoca.
I camorristi non hanno perdonato «non il libro ma il successo, il fatto che sia
diventato un best-seller. Questo li ha disturbati, se il libro fosse rimasto confinato al
paese, a Napoli, alla realtà locale, allora gli andava anche bene, anzi, i camorristi se
lo regalavano tra loro, contenti che si raccontassero le loro gesta. Avevano perfino
cominciato a farne delle copie taroccate da vendere per la strada e un boss aveva
rimesso le mani in un capitolo riscrivendosi alcune parti che lo riguardavano, poi
però la cosa è cresciuta, si è cominciato a parlare del libro e questo ha cominciato a
disturbarli. Perché fino ad allora non finivano mai sulla prima pagina dei giornali,
neppure quando facevano massacri, e si sentivano tranquilli e riparati. Poi il libro ha
risvegliato
l'attenzione in tutta
Italia e questo
successo non mi è
stato perdonato» 92 .
«A me i camorristi
hanno detto “t’amm
fatt il cappotto di
legno” ti abbiamo
chiuso nella bara
senza averti ucciso. Però per me la scorta non è qualcosa che mi tiene prigioniero e
isolato, ma è l'unico modo per permettermi di continuare a lavorare e a scrivere»93.
92 Roberto Saviano, “La libertà di Saviano”, “La Repubblica”, 29 maggio 2016. 93 Roberto Saviano, “incontro Saviano-Rushdie: Noi, scrittori sotto scorta”, “La Repubblica”, 3 maggio 2008.
60
Quando gli viene chiesto se si aspettava una tale reazione, Saviano risponde:
«Non pensavo di innescare l’odio, volevo accendere un’attenzione dell’opinione
pubblica. E avevo un’ambizione letteraria. Vedevo una storia che la letteratura
poteva affrontare. A farli impazzire è stato il successo. Se fossi stato chi sono ora
non mi avrebbero minacciato, non conveniva. Ma dieci anni fa ero nessuno, ero un
ragazzino da spezzare. Un pagliaccio, disse di me Schiavone. Un romanziere. Uno
che si inventa una finzione. Per lui, una spazzatura d’uomo»94.
La cultura antimafia in Italia oggi è assai fiorente e a Saviano si sono affiancati
alcuni eminenti intellettuali; si pensi, ad esempio, a Umberto Eco, che in un’edizione
del Tg1 ha apertamente invitato il popolo italiano a sostenere lo scrittore e dichiarò:
«Non lasciamo solo Roberto Saviano!», dopo che l’“Espresso” aveva rivelato le
minacce dei casalesi contro il giovane scrittore. Era il 14 ottobre 2006, Gomorra era
uscito tra aprile e maggio; era stato stampato in 4500 copie e a settembre era già a
centomila, Saviano ricorda benissimo la mail della Mondadori: “Roberto, da oggi
sei uno scrittore di professione”.
Dopo Saviano, a questo punto, nessuno potrà dire “io non lo sapevo” e proprio
come Saviano tutti dovremmo trovare la forza di denunciare e la volontà di
combattere, anche da soli se necessario, per non dire a noi stessi “ci siamo arresi”.
Non facciamoci più ripetere che il sonno della ragione genera mostri. La camorra
come terreno di battaglia:
loro coi mitra, noi con la
cultura, questo ci insegna
Gomorra. Non è uno
scontro impari, anzi: i
boss infatti hanno
condannato a morte
Saviano, perché sanno che
il risveglio delle coscienze può distruggerli, molto più di una retata.
94 Roberto Saviano, “Ora su Gomorra chiudono gli occhi”, “L’Espresso”, 5 maggio 2016.
Corteo contro la Camorra.
61
Verso la fine del capitolo “Cemento armato”, Saviano racconta di essersi
recato sulla tomba di Pasolini e riporta un brano considerabile una vera e propria
dichiarazione di poetica.
Si tratta del brano “Io so”95, che ha spinto inevitabilmente i critici ad un
confronto con Pasolini, il quale, il 14 novembre 1974, pubblicò sul “Corriere della
Sera” uno scritto dal titolo “Che cos'è questo golpe?”96 , che Saviano riprende
esplicitamente in Gomorra, rovesciandolo. Pasolini e Saviano, a oltre trent'anni di
distanza l'uno dall'altro, scrivono:
95 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “Cemento armato”, pag. 233. 96 Pier Paolo Pasolini, “Cos’è questo Golpe? Io so”, “Corriere della Sera”, 14 novembre 1974.
Pier Paolo Pasolini
«Io so. Ma non ho le prove. Non ho
nemmeno indizi. Io so perché sono un
intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire
tutto ciò che succede, d conoscere tutto ciò che
se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non
si sa o che si tace; che coordina fatti anche
lontani, che rimette insieme i pezzi
disorganizzati e frammentari di un intero
coerente quadro politico, che ristabilisce la
logica là dove sembrano regnare l'arbitrarietà,
la follia e il mistero. Tutto ciò fa parte del mio
mestiere e dell'istinto del mio mestiere. Credo
che sia difficile che il "progetto di romanzo"
sia sbagliato, che non abbia cioè attinenza con
la realtà, e che i suoi riferimenti a fatti e
persone reali siano inesatti. Credo inoltre che
molti altri intellettuali e romanzieri sappiano
ciò che so io in quanto intellettuale e
romanziere perché la ricostruzione della verità
a proposito di ciò che è successo in Italia dopo
il '68 non è poi così difficile … Probabilmente
i giornalisti e i politici hanno anche delle prove
o, almeno, degli indizi. Ora il problema è
questo: i giornalisti e i politici, pur avendo
forse delle prove e certamente degli indizi, non
fanno i nomi. A chi dunque compete fare
questi nomi? Evidentemente a chi non solo ha
il necessario coraggio, ma, insieme, non è
compromesso nella pratica col potere, e,
inoltre, non ha, per definizione, niente da
perdere: cioè un intellettuale.»
Roberto Saviano
«Io so e ho le prove. Io so come hanno origine
le economafie e dove prendono l'odore.
L'odore dell'affermazione e della vittoria. Io so
cosa trasuda il profitto. Io so. E la verità della
parola non fa prigionieri perché tutto divora e
di tutto fa prova. E non deve trascinare
controprove e imbastire istruttorie. Osserva,
soppesa, guarda, ascolta. Sa. Non condanna in
nessun gabbio e i testimoni non ritrattano.
Nessuno si pente. Io so e ho le prove. Io so
dove le pagine dei manuali d'economia si
dileguano mutando i loro frattali in materia,
cose, ferro, tempo e contratti. Io so. Le prove
non sono nascoste in nessuna pen-drive celata
in buche sotto terra. Non ho video
compromettenti in garage nascosti in
inaccessibili paesi di montagna. Né possiedo
documenti ciclostilati dei servizi segreti. Le
prove sono inconfutabili perché parziali,
riprese con le iridi, raccontate con le parole e
temprate con le emozioni rimbalzate su ferri e
legni. Io vedo, trasento, guardo, parlo, e così
testimonio, brutta parola che ancora può valere
quando sussurra: "È falso" all'orecchio di chi
ascolta le cantilene a rima baciata dei
meccanismi di potere. La verità è parziale, in
fondo se fosse riducibile a formula oggettiva
sarebbe chimica. Io so e ho le prove. E quindi
racconto. Di queste verità»
62
L'incipit dei due pezzi ne sottolinea la prima e fondamentale differenza: quello
di Pasolini è un sapere squisitamente letterario, derivante dal suo essere un
intellettuale, mentre l’io narrante di Saviano ripete come in un crescendo, “Io so e
ho le prove”. Così l’alter ego dell’autore, rivendica allo scrittore il ruolo di testimone
“Io vedo, sento, guardo, parlo, e così testimonio” e la sua scrittura diviene racconto
spietato “di queste verità”. Tuttavia, conclude, “non faccio prigionieri”, una
negazione che nasconde un’affermazione: sia la magistratura a fare giustizia.
Un’altra citazione importante che Saviano inserisce proprio come apertura de
suo libro è una frase di Hannah Arendt: «Comprendere cosa significa l’atroce, non
negarne l’esistenza, affrontare spregiudicatamente la
realtà». Probabilmente Hannah Arendt elaborò questo
pensiero nella stesura della sua opera più famosa, “La
banalità del male”97, frutto delle riflessioni maturate
durante il lungo processo a uno dei più terribili
gerarchi nazisti.
La camorra, come tutte le associazioni mafiose,
è un’istituzione totalitaria, che non ammette
opposizioni: chi le si oppone viene eliminato fisicamente se l’eliminazione fisica è
necessaria oppure viene ridotto all’inesistenza come individuo sociale. Nella serie
significative a tal proposito sono le parole di Don Pietro: «Quando mio figlio era
criaturo, o’ purtav semp o’ zoo a verè e’ scimmie e iss me riceve: Papà, ma comm’
è possibile, che degli animali accussì sciem’ vogliono fare quello che fanno i
cristiani? Le scimmie so’ belle quando fanno quello che dice il padrone, perché
quando vogliono fare quello che vogliono loro, s’anna abbattere»98.
Per combattere questo nuovo totalitarismo e sopravvivere, secondo Saviano, la
parola non deve concedere tregua e deve essere difesa in ogni modo da chi la
pronuncia. Il senso di utilizzare questa frase nell'epigrafe è duplice: da un lato
97 Hannah Arendt, “Eichmann in Jerusalem: A Report on the Banality of Evil”, 1963. 98 “Gomorra”, Sky Atlantic 2014, prima stagione.
63
anticipa uno degli obiettivi di un libro che decide di rompere il clima di omertà per
affrontare la drammaticità di una questione sociale come quella della criminalità
organizzata, dall'altro sembra che attraverso di essa, l'autore stesso s'infonda
coraggio davanti alla rischiosità dell'operazione che sta per compiere. In maniera
quasi speculare, Gomorra si chiude con un’altra citazione, questa volta
cinematografica, che sembra essere quasi una profezia sulle disavventure personali
che lo hanno coinvolto in futuro proprio per aver scritto Gomorra e che forse oggi
ripete a sé stesso ogni giorno: immerso in un pantano di acqua piovana e rifiuti nella
“terra dei fuochi”, Saviano afferma: «Avevo voglia di urlare, volevo gridare, volevo
stracciarmi i polmoni, come Papillon 99 , con tutta la forza dello stomaco,
spaccandomi la trachea, con tutta la voce che la gola poteva ancora pompare:
«Maledetti bastardi, sono ancora vivo!»100
99 “Papillon”, regia di Franklin J. Shaffner, 1973, interpretato da Steve McQueen. 100 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “Terra dei fuochi”, pag. 330.
64
GOMORRA NEL MONDO
“A far paura non è l’uomo che scrive, sono le tante persone che ascoltano, gli
occhi che leggono una storia, le tante lingue che la racconteranno”101
Fin dalla sua pubblicazione Gomorra è divenuto subito un fenomeno editoriale.
Il romanzo ha venduto oltre 2 milioni e 250 000 copie in Italia e 10 milioni nel
mondo, venendo tradotto in 52 lingue.
Nell’ultima edizione di Gomorra, a dieci anni dalla sua prima pubblicazione,
Saviano vi inserisce
alla fine una raccolta
di articoli riguardo
Gomorra, tra i più
significativi, riportati
sulle principali testate
giornalistiche estere.
Questa raccolta
mostra chiaramente come per la letteratura italiana ci sia un “prima” e un “dopo”
Gomorra e come quest’opera, con la sua forza innovativa e dirompente, abbia
varcato i confini della nostra penisola investendo il mondo intero con un singolare
“effetto Gomorra”.
Il libro è tuttora presente nelle classifiche dei migliori best-seller in Germania,
dove l'opera è saltata subito in cima alla classifica del settimanale “Der Spiegel” e
l’argomento “mafia” ha acquisito un’attualità inaspettata. È proprio un articolo
tedesco che apre la raccolta di Saviano, con il titolo: “Come una rosa nel deserto”102.
Questa espressione fu usata da un magistrato per descrivere la rarità dell’atto della
denuncia in alcuni territori Campani. In particolare era riferita ad una donna che
decise di testimoniare in seguito ad un omicidio. Ad alcuni potrebbe non sembrare
101 Roberto Saviano, “Vieni via con me”, Feltrinelli 2011. 102 Srtephan Lorenz, “Rose in der Wüste”, “Freie Presse” 2007.
65
niente di che ma in un paese come Mondragone questo equivale ad un suicidio. La
donna denunciò senza chiedere nulla in cambio. Non pretese una scorta e non impose
un prezzo alla sua parola. Ma la naturalezza di questa sua scelta gli costò tanto. Stava
per sposarsi e fu lasciata, la famiglia la allontanò e dovette lasciare il suo lavoro.
Negli Stati Uniti Gomorra è stato inserito, come unico libro italiano, nella
classifica dei 100 libri più importanti del 2007 dal quotidiano statunitense “The New
York Times” così come
anche dal “The
Economist” con la
seguente motivazione:
“Un urlo letterario che fa
nomi, degli assassini e
degli assassinati, in uno
stile ispirato dalla critica
dell’Italia privo di
compromessi del regista
Pier Paolo Pasolini e dalla devozione per i dettagli sporchi di Truman Capote”5.
Negli Stati Uniti il libro inoltre è rientrato nella categoria non-fiction, un importante
distinzione che attribuisce al romanzo l’importanza che merita e pone su un
determinato piano le aspettative del pubblico americano rispetto all’attendibilità del
suo contenuto e delle sue denunce. Oltre ai paesi già citati, Gomorra è stato
pubblicato in Gran Bretagna (MacMillan), Australia (Picador), Francia (Gallimard),
Paesi Bassi (Hanser), Spagna (Debate/RHM), Norvegia (Aschenhoug), Danimarca
(Borgen), Finlandia (Wsoy), Svizzera (Bromberg), Ungheria (Partvonal), Bulgaria
(Era 2000), Russia (Geleos), Brasile (Editora Bertrand), Israele (Aryeh Nir), Grecia
(Patakis), Giappone (Kawade Shobo), Turchia (Yurt Kitap Yayin), Portogallo
(Caderno Ed./ASA), Slovacchia (Kalligram), Serbia (Geopoetika), Estonia (Varrak),
Lituania (Baltos Lankos), Repubblica Ceca (Paseka), Slovenia, Albania (Botimet
66
Dudaj), Romania (Editura Univers), Croazia (Algoritam), Corea (Munhakdongne),
Islanda (Bjartur).
Ovunque la critica e il pubblico hanno tributato al libro di Saviano un enorme
successo, definito da John Dickie 103 , di dimensioni quasi “Potteresche”,
paragonandolo con questo neologismo un po’ ardito, data l’assoluta differenza dei
temi, addirittura alla
diffusione planetaria
raggiunta dal maghetto
della Rowling.
Tutto questo
successo ha dato la
possibilità a Saviano di
essere ospite di
trasmissioni televisive
ed eventi culturali di
rilievo mondiale e, ogni volta, ha colto l'occasione non solo per parlare di camorra,
ma anche per raccontare l'idea e il pensiero che si cela dietro la sua scrittura.
Il clamore del best-seller si è riscontrato poi anche nel film Gomorra con i suoi
cinque premi agli European Film Awards del 2008 e sette premi ai David di
Donatello Awards del 2009.
La pellicola è stata giustamente considerata la maggiore rivelazione dell’anno
e, vista da oltre due milioni di spettatori, ha da subito ottenuto un grande successo
di pubblico, risultando il decimo miglior incasso in Italia della stagione
cinematografica 2007-2008. Nel 2009 al Festival di Cannes gli sono stati riservati
almeno cinque minuti di applausi. La proiezione, con il cast al completo, la giuria
presieduta da Sean Penn e tutti i Ministri della Cultura europei, compreso Sandro
Bondi, hanno applaudito con convinzione alla fine del film salutando lo scrittore
103 Storico e accademico britannico, 1963.
67
Roberto Saviano, Toni Servillo, gli altri protagonisti e naturalmente il regista Matteo
Garrone, a cui è andato il Gran premio della giuria.
61° Festival di Cannes, Garrone riceve il Gran Premio per
“Gomorra” e Sorrentino il Premio Giuria per “Il divo”.
Secondo i dati Cinetel, che coprono l'85% del mercato potenziale, Gomorra ha
incassato in tre giorni circa 1.825.643 euro in 411 sale, staccando l'americano
“Superhero”, secondo con 1.275.538 euro. «Gomorra è un film di grande impegno
civile» 104 ha commentato il Ministro della Cultura Sandro Bondi, rimasto
profondamente colpito dall'opera. «È difficile riprendersi da quelle immagini, sono
un pugno nello stomaco» ma, aggiunge intervenendo sulla polemica dei “panni
sporchi” che l'Italia lava all'estero, «dobbiamo presentarci senza vergognarci,
orgogliosi di saper rappresentare l'Italia senza immagini edulcorate, senza
autoassoluzioni. Gomorra svela, anche ai più informati di noi, che l'Italia è purtroppo
anche questo». Il film - prosegue Bondi - «è' meritevole proprio perché capace di
fare i conti con noi stessi. Si stenta a credere che questa realtà mostrata da Garrone
sia un pezzo d'Italia, ma proprio da qui, da questa presa di coscienza che il cinema
offre bisogna avere la capacità di riscatto».
In fine il successo mediatico del fenomeno Gomorra ha trovato nuova linfa
vitale nella serie tv. Prodotta da Sky Italia e trasmessa a partire dal 6 maggio 2014
sul canale Sky Atlantic è stata poi confermata, a seguito del successo ottenuto, per
una seconda stagione, le cui riprese sono iniziate nell'aprile del 2015 e concluse nel
104 Ministro della Cultura Sandro Bondi, Festival di Cannes, 2008.
68
novembre successivo; è stata inoltre già avviata anche la produzione di una terza e
di una quarta stagione. Per la produzione 32 settimane di riprese, 400 ambienti, 200
attori e tremila comparse. «Uno sforzo enorme», dice Riccardo Tozzi, «per rispettare
i due punti di forza della serie: essere un archetipo universale, comprensibile in tutto
il mondo, e restare realistici fino al dettaglio». Il cast è davvero straordinario e
costellato di attori legati al territorio, con esordienti che si mescolano ad attori
professionisti: agli ormai acclamati protagonisti Marco D’Amore, Fortunato
Cerlino, Salvatore Esposito, Marco Palvetti si sono uniti poi nuovi interpreti come
Cristiana Dell’Anna e Cristina Donadio.
La domanda che potremmo porci è: Per quale motivo Gomorra sta avendo
un grande successo?
Beh, le risposte sono
molteplici e vanno ben
contestualizzate partendo
da un dato molto
semplice: Gomorra piace
perché è un prodotto con
una grande qualità di
linguaggio e un’estetica
che difficilmente riusciamo a recuperare nei prodotti televisivi italiani. Questo si
palesa principalmente grazie alla forza produttiva della macchina organizzativa che
sta dietro le quinte, capace di investire forti capitali per la realizzazione della serie.
Record di ascolti su Sky, Rai 3 e Twitter, è stato il prodotto televisivo del 2014
di maggior successo. I primi due episodi della serie, andati in onda martedì 6
maggio, sono stati visti da 650.000 spettatori, doppiando così il successo dell’altra
grande produzione Sky, Romanzo Criminale 2, che all’esordio aveva raccolto
358.000 spettatori medi. La serie è rimasta fruibile su Sky Go e lo è ancora oggi ma,
nonostante ciò, l’esordio in chiaro su Rai Tre, a distanza di circa due mesi dalla
prima, ha consentito alla rete nazionale di raggiungere record mai toccati con la
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proiezione di una fiction in seconda serata. Parliamo di uno share medio del 7% per
un corrispettivo di oltre 2 milioni di telespettatori. Numeri da capogiro ai quali si
aggiunge il seguito sociale che ha accompagnato e caratterizzato la Serie, divenuta
in breve tempo un fenomeno fortemente virale grazie ad alcuni “motti e frasi
caratterizzanti” che sono finiti presto per rimbalzare di bocca in bocca fungendo da
moltiplicatore e immortalando un successo già consolidato.
Ad esempio l’hashtag #GomorraLaSerie ha raggiunto le prime posizioni ed è
rimasto presente nella classifica dei Trending Topic italiani per diverso tempo.
Un successo non così scontato per i registi: «Ci dicevano che una serie
napoletana non sarebbe stata vista nemmeno a Roma, ma abbiamo preso un rischio
ed ecco i risultati». Andrea Scrosati di Sky introduce così, al Teatro dell’Opera,
Gomorra, la serie partita come una scommessa azzardata ma che, nonostante l’uso
del dialetto e il cast semisconosciuto, non solo ha conquistato l’Itali intera ma ne ha
varcato perfino i confini.
Oltre che un successo di pubblico e di critica, la serie ha avuto infatti un
clamoroso successo produttivo: la prima stagione è diventata cult in molti paesi, e la
seconda debutterà contemporaneamente in 5 stati europei, venduta in oltre 130
territori tra cui, Germania (Sky Deutschland), Francia (Canal+), Scandinavia
(HBO Nordic) Inghilterra (Sky), Spagna (Atresmedia), America Latina (HBO Latin
America), e, ovviamente, Stati Uniti (The Weinstein Company). Qui,
70
secondo Variety, Gomorra ha le carte in regola per proporsi come la risposta italiana
a “The Wire”, la serie americana di HBO ambientata a Baltimora, in cui la trama
poliziesca si fonde in maniera cinica e realistica con la profonda esplorazione di temi
sociali e politici. Gli apprezzamenti internazionali105 continuano, incoronando la
serie con parole come: [“Una narrativa autentica, sensazionale, una direzione
robusta e una fotografia immacolata”], [“Una delle nuove serie internazionali
drammatiche più attese!], [“Dimenticate i Soprano, ora ci sono i Saviano”], [“La
migliore nuova serie italiana”].
«Gomorra ha prodotto uno shock nel pubblico internazionale abituato a vedere
serie girate in studio»106, spiega ancora il produttore Tozzi, «noi invece abbiamo
girato tutto sul posto, con spirito neorealista». I protagonisti si spostano tra Scampia,
Fiumicino, Ostia, Roma, per poi arrivare fino in Honduras, Spagna, Germania.
«Abbiamo cercato di ignorare le aspettative per non farcene schiacciare - ha detto il
regista Stefano Sollima - puntando ad alzare l’asticella della qualità». Accanto a lui,
per narrare le gesta dei Savastano, altri tre registi, Claudio Cupellini, la new entry
Claudio Giovannesi e Francesca Comencini, unica donna del gruppo: «E di questo
sono grata: è importantissimo avere un punto di vista femminile». Anche perché,
sottolinea Fortunato Cerlino, «il ruolo delle donne in questi sistemi è spesso
tragicamente sottovalutato».
105 International Press Review:
“An authentic, sensational_narrative. Robust direction and immaculate photography”, “One of the most hotly-
anticipated new international drama series”, “Forget the Sopranos, here come the Savianos”, “The best new Italian
series”. 106 Riccardo Tozzi,“All’estero choc per le immagini neorealistiche”, “Leggo.it”, 10 Maggio 2016.
71
TRADUZIONE
“Culture is translation, and also translation is culture”107
Nonostante il contenuto, l’ambientazione e, come vedremo, molte scelte
lessicali siano profondamente radicate nel contesto socio-culturale campano,
Gomorra il libro, a seguito del suo successo internazionale, è stato tradotto in ben
33 paesi, divenendo ben presto un best-seller in molte nazioni europee fino a varcare
anche l’oceano raggiungendo gli Stati Uniti.
Come è facile immaginare, nel tradurre un’opera del genere, si è costretti ad
affrontare diverse difficoltà e proprio partendo da questa prospettiva ho scelto di
analizzare la traduzione di Gomorra in un contesto anglofono. In primo luogo va
detto che la traduzione dall’italiano all’inglese di Gomorra si presenta atipica in
quanto, per così dire, in controtendenza rispetto alla massiccia esportazione,
soprattutto da parte degli Stati Uniti, di testi, verso il resto del mondo; in secondo
luogo è particolare notare le differenze presenti tra
le due edizioni in lingua inglese, quella pubblicata
negli USA e in Canada, e quella pubblicata nel
Regno Unito dalla stessa casa editrice, MacMillan,
il 18 febbraio 2008.
La pubblicazione americana, più affine
all’originale, ne rispetta anche il titolo
presentandosi come: [“Un viaggio personale nel
violento impero internazionale del crimine
organizzato di Napoli”]108; mentre quella inglese,
più sintetica, utilizzando la parola “Mafia”
introduce direttamente l’argomento: [“L’Altra Mafia dell’Italia”] 109 . Per quanto
107 [“la cultura è traduzione, e la traduzione è cultura”] Peeter Torop, semiologo estone, “Translation as translating
as culture”. 108 Roberto Saviano“Gomorra. A Personal Journey into the Violent International Empire of Naples Organized Crime
System”, USA, Mc Millan 2008.
109 Roberto Saviano, “Italy’s Other Mafia”, UK, Mc Millan 2008.
72
riguarda altre edizioni pubblicate nei principali paesi europei possiamo citare:
[“Gomorra. Dentro l’impero della Camorra”] 110 (Francia); [“Gomorra. Viaggio
nell’impero economico e nel sogno di dominio della Camorra”] 111 (Spagna);
[“Gomorra. Viaggio nel regno della Camorra”] 112 (Germania); [“Gomorra. La
mafia napoletana”] 113 (Norvegia); [“Gomorra: un viaggio attraverso l’impero
economico della Camorra”]114 (Olanda) “Gomorra” (Svezia).
Per quanto riguarda Gomorra, ancora più che in altri casi, la difficoltà nel
tradurre non si limita a “trasportare” da una lingua ad un’altra, ma anche a
“trasferire” da un luogo ad un altro. Se la prima azione è ovviamente quella più
pertinente ad un’analisi linguistica, la seconda acquista una sfumatura interessante
laddove si analizzano le reazioni suscitate da un libro che cri-de-coeur una specifica
realtà territoriale e che viene esportato in contesti assai distanti, non solo
geograficamente, da quello in cui è nato.
110 Roberto Saviano, “Gomorra. Dans l'empire de la Camorra”, Francia, Gallimard 2007. 111 Roberto Saviano, “Gomorra. Viaje al imperio económico y al sueño de dominio de la Camorra”. Spagna, Debate
2007. 112 Roberto Saviano, “Gomorra. Reise in das Reich der Camorra”, Germania, Dtv Deutscher 2008. 113 Roberto Saviano, “Gomorra. Mafiaen i Napoli”, Norvegia, Lydbokforl 2009 114 Roberto Saviano, “een reis door het economische imperium van de Camorra”, Olanda, Rotschild & Bach 2007.
Scampia.
73
In Gomorra il messaggio originario è palesemente individuabile, ma questa
analisi mira a verificare se e fino a che punto, la traduzione ne abbia consentito la
resa, rispettando o meno i diversi riferimenti storici e soprattutto socioculturali o
come questi siano stati parzialmente, o in alcuni casi del tutto, persi: [“parte di ciò
che si intende può essere lasciato “non detto”, dal momento che il significato è
negoziato non solo linguisticamente, ma anche attraverso l’attivazione di
conoscenze socio-culturali da parte dei partecipanti, i quali sono in grado di cogliere
segnali e indizi all’interno di una particolare contestualizzazione”]115.
Il traduttore deve riuscire ad attivare queste “conoscenze” laddove il
background socio-culturale del pubblico del testo di partenza e quello del testo di
arrivo non coincidono. Ovviamente questo non sempre è possibile, e naturalmente
dipende anche dalla capacità e dall’abilità del traduttore stesso di rendere esplicite il
maggior numero possibile di inferenze.
Prima di addentrarmi nell’analisi traduttologica però, è importante parlare,
seppur molto sommariamente, di questo legame complesso, a volte del tutto
inscindibile, che intercorre tra ogni lingua ed il suo alveo culturale. Il legame tra
lingua e cultura è basato su un intricato e sfaccettato rapporto di interdipendenza che
è stato, e continua ad essere, oggetto di analisi e dibattito da parte di innumerevoli
studiosi.
Attraverso la lingua, non solo conduciamo e rappresentiamo la nostra vita
sociale, ma al tempo stesso ci scambiamo opinioni e riportiamo e/o commentiamo
eventi, rifacendoci ad un comune bagaglio di conoscenze ed esperienze che
condividiamo con i nostri interlocutori. Parliamo di comunità linguistica, “linguistic
nationism”, da cui si sviluppano poi, in un crescendo di oggettivizzazione,
115 Testo originale: “part of what is meant can be left actually “unsaid”, as meaning is negotiated not only
linguistically but also through the activation of the socio-cultural knowledge of the participants, who are
able to pick up cues and implicatures relating to the particular contextualisation”, Charles Taylor, “The
Translation of Film Dialogue”, 1999.
74
definizioni come “speech community” 116 , “discourse community” 117 , attraverso
dialetti, gerghi, fino a giungere al personalissimo idioletto, ossia la varietà di
linguaggio propria di ogni singolo individuo.
Tutti questi concetti comprovano quanto le persone identifichino se stesse e gli
altri attraverso l’uso stesso della lingua, che diventa così simbolo della loro identità
sociale. Ciò rafforza ulteriormente il vincolo tra ogni lingua ed il suo contesto socio-
culturale. Il principio alla base del processo traduttivo e che ne palesa la difficoltà è
la consapevolezza dell’impossibilità che vi sia una perfetta corrispondenza tra ogni
singolo significato ed il suo significante all’interno di due codici linguistici diversi.
Per questo secondo me
un abile traduttore non deve
essere solo [“Un
professionista bilingue ma
anche biculturale (se non
multiculturale) che lavora con
e all’interno di un’infinita
varietà di aree di
esperienza”]118.
Cercheremo ora di valutare se, ed in che modo, ha raccolto questa sfida la
traduttrice della versione in lingua inglese Virginia Jewiss, riportando alcuni esempi,
scelti tra i più significativi e indicativi.
Il contesto socio-culturale napoletano è naturalmente preservato, tuttavia,
spesso nella versione inglese alcuni riferimenti culturali, termini specifici, idiomi o
116 Hymes definisce membri di una speech community tutti coloro che comunicano tra di loro attraverso una
lingua storico-naturale. 117 Il concetto di discourse community, introdotto per la prima volta nel 1982, descrive una specifica
comunità che si avvale di forme di comunicazione che contribuiscono a veicolare un modo di pensare
specifico e/o istituzionalizzato, oppure aventi le stesse finalità. 118 Testo originale: “A bilingual, but also a bicultural (if not multicultural) specialist working with and
within an infinite variety of areas of technical expertise”, M. Snell-Hornby, “The professional translator of
tomorrow: language specialist or all-round expert?”, in “Teaching Translation and Interpreting”, 1992.
75
espressioni dialettali non sono stati resi adeguatamente o sono stati addirittura
omessi.
A seguito di tale “generalizzazione”, molti aspetti restano oscuri per coloro che
non posseggono il bagaglio culturale necessario per capire appieno i diversi livelli
di lettura e coglierne il rinvio intertestuale. Se, come affermato finora, [“ogni cosa è
prodotta culturalmente, a iniziare dal linguaggio stesso”]119 , l’individuazione di
termini specificamente culturali potrebbe sembrare un paradosso. È innegabile, però,
che all’interno di ogni codice linguistico esistano termini che più di altri sollecitano
inferenze le quali, per poter essere esplicitate, richiedono una conoscenza
particolarmente approfondita del patrimonio storico-culturale della lingua di
partenza. Si tratta, in particolar modo, di proverbi, espressioni idiomatiche,
metafore, canzoni, poesie, riferimenti a riferimenti al cibo, a stereotipi o ad
atteggiamenti caricaturali oppure a personaggi specifici del mondo dello sport o
dello spettacolo.
Nel nostro testo un esempio pertinente potrebbe essere rappresentato dal
riferimento che Saviano fa a Totò e ai nobili decaduti imitati nei suoi film: “Parlava
un perfetto italiano, con una leggera r mutata in v. Come i nobili decaduti imitati da
Totò nei suoi film”120, riferimento che gli serve per descrivere appunto il modo di
parlare di uno dei suoi personaggi. La frase in questo caso è stata tradotta alla lettera
“Like the impoverished aristocrats Totò imitates in his films”121, ma avrebbe invece
richiesto una “extra distinctions”122, ossia l’integrazione di ulteriori informazioni. In
che percentuale infatti la traduttrice può presumere che il pubblico d’arrivo conosca
Totò e sia in grado di comprendere il tipo di caratterizzazione cui fa riferimento
Saviano? In questo caso il lettore andava reso edotto con qualche explicitation123,
ossia l’aggiunta di una o più specificazioni così da rendere più esplicito il messaggio
119 Testo originale: “Everything is culturally produced, beginning with language itself”, J. F. Aixela, “Culture-
specific Items in Translation”, 1996. 120 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “Il porto”, pag. 16. 121 Roberto Saviano, “Gomorrah: Italy’s other Mafia”, MacMillan 2008. 122 Terminologia utilizzata da Albrecht Neubert in “Translation as a Text”, 1992. 123 S. Blum-Kulka, “Shifts of Cohesion and Coherence in Translation”, 1986.
76
originale. Un altro esempio riguarda ciò che possiamo definire “culture bumps”124,
ovvero espressioni dialettali e giochi di parole. Sotto questo punto di vista possiamo
riportare il linguaggio utilizzato da Saviano per descrivere come progressivamente
la camorra riesca a far lievitare il suo giro d’affari. Saviano ci parla di quattro blitz
scattati nell’aprile del 2005 che sequestrarono merce importata illegalmente per un
valore di trentasei milioni di euro: “Una fettina d’economia, in una manciata di ore
stava passando per il porto di Napoli. E dal porto al mondo. Non c’è ora o minuto in
cui questo non accada. E le fettine di economia divengono lacerti, e poi quarti e interi
manzi di commercio”125.
Nella versione inglese si perde del tutto il gioco di parole utilizzato da Saviano,
come anche la forte carica espressiva e il crescendo creato dalla ripetizione delle
“fettine” che diventano “lacerti”, e la metafora della carne cruda che gronda sangue.
Anche se in inglese nella prima frase: “Just a small serving of the economy”126
[“Appena una piccola porzione di economia”] con il termine “serving” [“porzione”]
viene comunque inserita l’area lessicale del cibo, ripresa poi con la metafora della
dieta, non vi è comunque nessun riferimento a “slices” [“fettine”], termine introdotto
invece nella seconda frase, dove la traduttrice scrive: “These slices of the economy
are becoming a staple diet”127 [“Queste fette di economia stanno diventando gli
alimenti di base di una dieta”].
Un’altra categoria di termini che generalmente richiedono una specifica
“pragmatic explicitation” sono i luoghi geografici che molto spesso sono scelti
proprio in virtù delle forti valenze connotative di cui sono carichi. Una pragmatic
explicitation può rendersi necessaria laddove i membri dalla comunità culturale
d’arrivo presumibilmente non condividono aspetti di ciò che è invece considerata
conoscenza comune all’interno del bagaglio culturale di partenza.
124 Ritva Leppihalme, “Culture Bumps: An Empirical Approach to the Translation of Allusions, UK, Multilingual
Matters, 1997. 125 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “Il porto”, pag. 12. 126 Roberto Saviano, “Gomorrah: Italy’s other Mafia”, MacMillan 2008. 127 Roberto Saviano, “Gomorrah: Italy’s other Mafia”, MacMillan 2008.
77
In Gomorra ovviamente la scelta dei luoghi era, per così dire, obbligata, data
la sua preminente natura di reportage e la maggior parte dei riferimenti geografici
riportati, con l’esclusione dei macroscopici riferimenti a paesi come Cina, Spagna e
Scozia, non richiede solo una generica conoscenza topografica dell’Italia, ma
presume familiarità con determinati contesti urbani e sub-urbani.
Inoltre i luoghi citati, specifici del contesto geografico campano, non sono mai
un semplice sfondo, ma
sempre parte integrante
della narrazione.
Un’altra caratteristica
della scrittura di Saviano è
l’evocare fenomeni visivi
attraverso procedimenti
verbali. Umberto Eco 128
individua ben quattro
tecniche diverse attraverso
le quali uno scrittore può
realizzare questa tecnica
narrativa: per denotazione,
descrizione minuta, elenco o
accumulo di eventi e personaggi.
Saviano, per produrre le sue immedesimazioni visive, una compenetrazione
quasi fisica del lettore, si avvale ripetutamente di tutte e quattro le tecniche descritte
da Eco. Ciò rappresenta un’ulteriore riprova di quanto l’ambientazione e la
minuziosa ricostruzione delle scene giochino un ruolo di primaria importanza ai fini
della narrazione e della interpretazione delle vicende nel libro. Diventa perciò
importante che, quando Saviano cita, ad esempio, Posillipo, Parioli, Brera, la
128 U. Eco, “Les semaphores sous la pluie”, in “Sulla letteratura”, Bompiani 2002.
Napoli, quartieri spagnoli.
78
traduttrice aggiunga: “posh neighborhoods of Naples, Rome and Milan” [“quartieri
eleganti di Napoli, Roma e Milano”].
Eccessiva è forse la scelta di tradurre addirittura il nome del quartiere
Secondigliano con un improbabile “Second mile” [“Secondo miglio”]. Una scelta
inspiegabile se si pensa che il Parco Verde a Caivano resta giustamente intradotto, e
nella stessa pagina “la Statale 87, il luogo dove tutte le coppiette della zona si
appartano” diventi, “Route 87 where all the lovers in the area went” [“dove tutti gli
amanti della zona andavano”]. Qui la Jewiss opta per un improvviso guizzo verso
un processo di “addomesticamento”, cui abbiamo accennato precedentemente,
trasformando la Statale 87 in Route 87. La frase immediatamente successiva spiega
comunque che si tratta di una strada di catrame rattoppato e mini discariche, dove il
sabato si appartano le coppiette129; quindi la traduzione letterale di statale in highway
risulta inutile e fuorviante nonostante la neutra traduzione di “coppiette” con
“lovers” e del verbo “si appartavano” con “andavano” “went”, ha già perso del tutto
quel senso di clandestinità, o comunque di ricerca di intimità, che andava invece
reso.
Altra particolarità del testo Gomorra sono i numerosi e caratteristici
“contronomi”, ovvero i soprannomi che identificano diversi personaggi di cui ho
parlato nei capitoli precedenti. Questi possono rappresentare per il traduttore una
sfida che rasenta l’impossibile. Virginia Jewiss non li può omettere e opera dunque
una amplification130, che però in alcuni casi non è pertinente alla connotazione
originale del testo, come ad esempio: Quando Saviano riporta che uno dei camorristi
viene definito “Cicciobello”131 a causa del suo viso tondo, il riferimento non è alla
sua connotazione fisica, ma al famoso bambolotto oggetto dei sogni di tante
bambine, forse divenuto il bambolotto per antonomasia, ovviamente sempre
all’interno del background socio-culturale italiano. La traduttrice americana qui non
129 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “Angelina Jolie”, pag 22. 130 Per amplification J. L. Malone intende l’aggiunta nel testo d’arrivo di ulteriori unità di significato ai fini di una
maggiore comprensibilità. 131 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “Angelina Jolie”, pag 63.
79
va oltre il messaggio denotativo e il senso letterale della frase e decide che quel viso
tondo deve necessariamente riportare ad una persona grassa, ed infatti aggiunge
arbitrariamente: «Cicciobello, – “or fat boy”» [Cicciobello - “o ragazzo grasso”]; in
questo caso specifico si è perso anche il sarcasmo implicito nell’attribuire il nome
di bambolotto dal viso angelico ad uno spietato camorrista.
In alcuni casi poi, la nota a pie di pagina resta l’unica risorsa a cui il traduttore
può e deve ricorrere quando il divario culturale o lessicale è troppo ampio: laddove
poi Saviano nomina semplicemente il pentito Giovanni Brusca132 , decide di inserire
che spiega: una lunga explicitation: “the boss
of San Giovanni Jato and the murderer of
Judge Giovanni Falcone”, [“boss di San
Giovanni Jato e assassino del Giudice
Giovanni Falcone”] troviamo anche un
asterisco che ci riporta ad una “thick
translation” 133, ossia la puntuale spiegazione
di dettagli culturali in note o glossari. Ed
infatti un’altra lunga nota fornisce specifici
dettagli su Falcone ed il suo omicidio e sul cosiddetto Maxi Processo, informazioni
che nel testo originale vengono date per implicite dal momento che appartengono
tristemente al nostro recente bagaglio storico.
In altre circostanze la traduttrice decide poi di ricorrere a calchi, come quando,
ad esempio, rende l’espressione “sequestrare delle proprietà” con il verbo “to
sequester”, invece che “to confiscate”, lasciando però spesso il lettore del tutto
spiazzato, come afferma Anthony Shugaar134: [“I soldati italiani non portano combat
boot ma portano anfibi, un vero enigma se non si sa che in italiano lo stivale da
132 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “Il Sistema”, pag. 59. 133 Terminologia utilizzata d K. A. Appiah, Thick Translation, in “The Translation Studies Reader”, 2000. 134 Autore e traduttore americano.
80
combattimento si dice anfibio”] 135 . A tal proposito si è espresso anche Misha
Glenny136, in un articolo pubblicato sul “Sunday Times”, in cui critica la frettolosa
traduzione: [“Ciò che è imperdonabile, comunque, è la scelta della MacMillan, la
casa editrice inglese, di pretendere che apponendo sulla copertina del libro la scritta
“best-seller internazionale” sia libera dall’obbligo di doverlo rendere comprensibile
ai lettori inglesi”]137.
L’edizione pubblicata nel Regno Unito si avvale della stessa traduzione
americana, salvo poche, seppur rilevanti modifiche. Una differenza importante,
dettata da motivi burocratici e legali, consiste nel fatto che dalla versione pubblicata
nel Regno Unito è stato omesso il nome di colui che Saviano in Gomorra definisce
“Il primo camorrista di nazionalità inglese della storia criminale italiana e
britannica”138. Non esistendo nel Regno Unito il reato per associazione camorristica,
il capo di imputazione di cui si parla nel libro è praticamente inesistente, per cui la
persona nominata avrebbe sicuramente citato la casa editrice per diffamazione, la
quale avrebbe corso il rischio di dover pagare un risarcimento addirittura stimato
intorno ai due milioni di sterline. Ovviamente la MacMillan ha preferito non
rischiare. In tutto il capitolo il nome del camorrista non solo è omesso, ma vengono
operati notevoli tagli che Eco a proposito della deontologia del traduttore,
definirebbe “truffaldini”139. Una terza differenza riguarda la presenza, in entrambi i
testi in inglese, di una cartina dell’Italia e in particolare della Campania, con un
ingrandimento su scala, per aiutare il lettore a collocare visivamente sulla cartina
geografica i principali luoghi che vengono citati nel libro.
Naturalmente l’esportazione di un tale prodotto all’estero porta a un
ribaltamento, o anche alla totale rimozione, di alcuni cliché positivi sull’Italia e su
135 “Italian soldiers don’t wear combat boots, they wear “amphibians” – an enigma if you don’t know that the
Italian for army boots is ‘anfibio’”, A.. Shugaar, Good Fellas. A young Italian laments how Naples has fallen under
the sway of brutal mobsters, 4 novembre 2007.
136 Giornalista e scrittore britannico. 137 “What is unforgivable, however, is the apparent decision by Macmillan, the British publisher, to pretend that by
slapping the words “international bestseller” across the top of the book, it is freed from any obligation to render the
book comprehensible to a British audience”, Misha Glenny, “Sunday times”. 138 Gomorra, Roberto Saviano, Mondadori 2006, “Aberdeen, Mondragone”, pag. 291. 139 U. Eco, Dire quasi la stessa cosa Esperienze di Traduzione.
81
Napoli in particolare. Questo avviene perché naturalmente ogni testo, in quanto tale,
veicola un messaggio, un’immagine, una realtà che, in un modo o nell’altro,
influenza il lettore e la sua visione delle cose; e con lettore non mi riferisco solo al
Paese d’origine del testo stesso, ma anche a tutti i paesi raggiunti dalla sua
traduzione. Sul “New York Times” Rachel Donadio, il 25 novembre 2007, scrive
“Malavita”, un articolo su Gomorra in cui afferma: “Per il turista devoto del
Belpaese, l’Italia descritta in Gomorra di Roberto Saviano è un luogo
completamente irriconoscibile: niente arte rinascimentale, nessun piacevole pranzo
all’aperto, nessuna piazzetta caratteristica e affaccendata, non design di lusso, né
paesaggi mozzafiato”140.
Questo effetto, seppur indiretto, della traduzione, è un aspetto finora poco
approfondito nell’ambito dei Translation Studies, come sottolinea Gabriela
Saldanha141: [“Sebbene le traduzioni siano prodotti della cultura di arrivo, poca
ricerca è stata svolta sulla ricezione delle traduzioni attraverso diversi contesti socio-
culturali”] 142 . Ciò potrebbe offrire ulteriori spunti di ricerca nel campo della
comunicazione cross-culturale, ad ulteriore riprova di quanto sostenuto da Torop:
“culture is translation, and also translation is culture”.
140 Gomorra, Roberto Saviano, Mondadori 2016, raccolta di articoli, pag. 340. 141 Docente di Translation Studies presso il Dipartimento di Lingue Moderne dell'Università di Birmingham. 142 “Although translations are products of the target culture, little research has been carried out on the reception of
translations across different socio-cultural contexts”, G. Saldanha, “Explicitation Revisited: Bringing the Reader into
the Pictur”, 2008.
82
IL DIALETTO
“Il sole non illumina più le province di Napoli e Caserta, impossibile rischiarare
questa terra buia e straniera al punto che gli italiani hanno bisogno dei sottotitoli
per decifrarla”143
La traduzione e l’adattamento di varietà linguistiche regionali e sociali
rappresenta un altro specifico elemento di estrema difficoltà per gli operatori nel
campo della traduzione. Purtroppo molto spesso nella trasposizione di opere del
genere si tende a ricorrere ad un linguaggio standard, ovvero un linguaggio che non
connota le persone in base al sesso, luogo di nascita, età, status sociale o altri fattori
similari; ciò comporta, inevitabilmente, che importanti indizi come accenti legati
alla classe sociale o dialetti etnici o geografici vengano spesso appiattiti o
scompaiano del tutto.
Dal punto di vista di Gomorra, sappiamo come già nel libro Saviano ricorra a
numerose citazioni ed espressioni dialettali, ma quella che nel libro è una
caratteristica nel film e poi nella serie diventa una costante. Nella serie in particolare
si capisce come sia stato fatto un attento lavoro per cercare di bilanciare la necessità
del realismo con la comprensione del pubblico. Sentire uno scambio tra uno
spacciatore ed i suoi clienti in perfetto italiano non avrebbe avuto infatti alcun senso,
ma non si poteva nemmeno arrivare all’eccesso e usare un napoletano così stretto da
diventare incomprensibile ai più. Per questa ragione i testi sono stati adattati, anche
con l’aiuto di persone del luogo, traducendo di fatto solo alcune delle parole cardine
di ogni frase ed ottenendo così di riuscire far comprendere comunque il discorso
generale, là dove il dialetto era troppo stretto. Nonostante questo comunque, in molti
hanno scelto di usufruire dei sottotitoli in italiano forniti prontamente da Sky.
Il dialetto napoletano ha una caratteristica che lo contraddistingue più di ogni
altra: la sua musicalità. Gomorra non è interessata a presentare, apparecchiare, il
vero dialetto napoletano, non è quella la sua missione. Viceversa è interessata
143 “Gomorra, il film tratto dal libro”, “MusicaNapoli”.
83
a costruire proprio una musicalità linguistica che possa accompagnare, far
interagire e scontrare i vari personaggi.
Da qui i toni pacati e ruvidi di Genny, la signorilità delle frasi ad effetto
del Boss Conte, la velocità con focus sulle ultime sillabe di Ciro Di Marzio, le
lunghe pause e la
linearità di Pietro
Savastano, l’energia e
l’anarchia di linguaggio
di O’Track.
Quest’ultimo in
particolare è preso a
simbolo dei giovani
emergenti, i quali
utilizzano un linguaggio
molto più veloce e meno
comprensibile, quasi un’ulteriore sottolineatura della differenza generazionale.
Il modo di parlare diventa quindi estensione dei personaggi stessi.
Parlando di musicalità è d’obbligo fare un accenno anche alle colonne sonore
e ai brani della serie tv, che hanno contribuito a rendere grande questo prodotto. Il
tema musicale principale della serie è “Doomed to live” dei Mokadelic144, un gruppo
post-rock/psichedelico le cui melodie, con il loro crescendo e diminuendo di note e
intensità, accompagnano perfettamente le scene principali della serie. Per quanto
riguarda la canzone di chiusura di ogni puntata è ormai diventata un vero cult. Si
tratta di “Nuje Vulimme ‘na Speranza” di NTO’ & Lucariello145, le cui parole, seppur
poco comprensibili per chi è nato e cresciuto fuori la Campania, descrivono appieno
l’atmosfera che si respira in quei quartieri e il grido di chi ancora spera.
144 La loro musica si sposta da atmosfere post-rock e neo-psichedeliche a suggestioni ambient malinconiche e
rarefatte, fino ad arrivare a sonorità dense di melodiche distorsioni e implacabili crescendo, creando vere e proprie
sinfonie. 145 Rapper italiani.
84
Asciut ajere ‘a vita accummeng’ mo’
aret ‘o 600 scarpe ianc nove
io lla’ nun ce torno pecchè stanotte nun ce dorm
e penz chiu’ ‘a na’ Benz o na Range Rover
faccio vencere ‘a sfortuna tutt”e frat mij perdut
facev part’ re cunt nun è pe nnuje ma p”e criatur
nuje vulimme na speranz’ ‘e campa’ senza
chesta ansia
quand tornano ra’ scol quand stann abbasci ‘o
bar
‘e mettn mman ‘e pistole e a droga e tutt’ ll’ati
storie atterran”e camion ch’e scorie e ce
purtamm pur ‘e sciur ‘o penzamm tutt’ quant
ma nun ‘o ddice mai nisciuno
nuje tenimm na’ domand ma chi giudica a chi
giudica?
è oggi ca se fa ‘o riman è logic’ ca si riman
inerme nun cagna niente tien’e pier fridd a viern
nuje guardamm’ ‘a dint”o binocolo sti bastard
comm’ jiocano
senza ‘o rischio ‘e ij carcerat proprio comme dint’o monopoli
Nuje vulimm’ na speranza pe campa’ riman’ Man aizate chesta cca’ va’ sul pe cchi rimman’
Nun saccio manc chi song se
stracc l’anema a tuorn’cca’
straccio p’e tutt”e juorn
cca’ spaccio quand nun duorm
guard nfacc’ quand te sfong
p’arraggia m’abboffo ‘e bomb
ch”e plancie aizano ‘e suonn’ mi
magie ca te fann’ omm
‘a vita facile nun te nfraceta te squaglia rint
all’acid
‘e vote nun me capacita ‘e vote nun trovo pace
voglio n’ata prospettiva prosperità attiva
guardo ‘a figliemo ‘a matin’
pront’ p’e n’atu destin’
mastin’ ma astip astip è castig
stirpe nova dint’o festin’ te stira
istiga ‘a rivoluzione r’ogni person
voglio benessere dint ‘a stu cess’
nun voglio comprensione
vutt’t e futt’t bbuon’ ‘o brutt’ fa tutt’ rummor’
‘o llutt’ t’anghiutt è tumor’ me sfrutt me sfrutt e
nun mor’
faccia dura ra’ speranza cu”e criatur dint a panz
pozz’ sulo guarda’ annanz’ aret’ car rint’ ‘o
vacant’
Uscito ieri la vita inizia adesso
dietro un ‘600 scarpe bianche nuove
lì non ci torno perché stasera non ci dormirò e
penso più ad una Benz che ad una Range Rover
faccio vincere la sfortuna tutti i miei fratelli
perduti facevo parte dei conti non è per noi ma
per i bambini
noi vogliamo una speranza di vivere senza
questa ansia
Quando tornano dalla scuola quando sono al bar
Gli mettono in mano le pistole la droga e tutte le
altre storie scaricano i camion con le scorie e gli
portiamo anche i fiori
lo pensiamo tutti ma non lo dice mai nessuno
noi abbiamo una domanda “Chi giudica chi
giudica?” É oggi che si costruisce il domani è
logico che resti inerme
non cambia niente hai i piedi freddi in inverno
noi guardiamo dal binocolo questi bastardi
come giocano
senza il rischio di andare in galera proprio come
nel monopoli
Noi vogliamo una speranza per vivere domani
Mani alzate, Questa va solo per chi rimane
Non so neanche chi sono
si strappa l’anima attorno
per la strage di tutti i giorni
qua spaccio quando non dormo
ti guardo in faccia quando ti sfondi
per la rabbia mi faccio di “bombe”
Con i chili alzano i sogni
minacciano che ti fanno diventare uomini la vita
facile ti fa marcire ti squaglia
nell’acido
a volte non capisco a volte non trovo pace
voglio un’altra prospettiva prosperità attiva
guardare mio figlio di mattina
pronto per un altro destino
mastino, ma conservo in stiva e castigo
stirpe nova al festino ti stende
istigare la rivoluzione d ogni persona
voglio benessere in questo cesso
non voglio comprensione
buttati e fotti bene il buono fa solo rumore il
lutto ti inghiotte è tumore mi sfrutti mi insulti e
non muoio
la faccia dura della speranza di chi ha i bambini
in pancia posso solo guardare avanti dietro cadi
nel vuoto.
85
Con l’inflessione sporca, volgare a volte incomprensibile si ha proprio il senso
della parlata vera, quotidiana, ci si sente calati nei vicoli, nei palazzoni popolari
fatiscenti, nei quartieri degradati e abbandonati nelle mani dei boss. È proprio questo
più di tutto che forse aggiunge quello scarto qualitativo che pone questa produzione
sopra lo standard delle serie prodotte in Italia fino ad oggi. Perché ci hanno abituati
alla recitazione impostata, perfetta, priva di accento, di scuola teatrale, in cui il
dialetto si usa spesso per caratterizzare una situazione comica. In Gomorra invece è
la lingua ufficiale della criminalità. L’Italiano è la lingua del nemico, dell’autorità,
dello Stato. Di quell’istituzione che teoricamente dovrebbe fermare o perlomeno
contrastare l’espansione e gli interessi delle organizzazioni criminali. Molte delle
frasi dialettali che più si ripetono nella serie sono diventate un vero e proprio
cult: “stà senza penzier” [non ti preoccupare], “L’omm che pò fà a men e tutte cos,
nù ten paur ‘e nient” [L’uomo che può fare a meno di tutto, non ha paura di niente],
“Ij mè vogl pìglià tutt’ cos!” [Io voglio prendermi tutto], “Vièn, vièn cà. Vièn’t a’
piglià o’ perdon!” [Vieni, vieni qua. Vieni a prenderti il perdono].
Mentre nel tradurre il libro si è scelto spesso di mantenere i termini dialettali
originali integrando delle spiegazioni come nel caso di “Bellillo, or bello for his
sweet face” [“Bellillo, o bello per la sua bella faccia”], oppure “punt’e curtiello - or
point the knife” (in quest’ultimo caso si compie anche uno slittamento dal sostantivo
“punt’e curtiello” che viene reso con un infinito [“puntare il coltello”]), diverso è
invece il discorso riguardo l’adattamento della serie tv nei Paesi esteri. Le stagioni
di Gomorra sono state interamente doppiate, e perdipiù la seconda stagione è andata
in onda in contemporanea in 5 paesi europei. Naturalmente gran parte della
particolarità del prodotto originale viene del tutto persa.
I termini, le espressioni e gli accenti vengono sistematicamente appiattiti in un
inglese, uno spagnolo, un francese, un tedesco standard. Proprio SkyAtlantic diffuse
un video146 che mostra alcune scene della famosa serie tv doppiata in diverse lingue,
in cui si nota come quelle stesse espressioni dialettali, ripetute più volte dai
146 Sky Atlantic, “Gomorra – La serie: successo in tutte le lingue”, Video.sky.it.
86
protagonisti, ed entrate a far parte della nostra quotidianità, perdano del tutto la loro
forza comunicativa. Un esempio lampante è la famosa frase, “Statt' senz' pensier”,
che nell’adattamento inglese diventa semplicemente “take it easy”. Allo stesso modo
anche il termine “guaglioni” viene reso con un banale e generalizzante “kids”, o
“boys”, e il verbo “faticare” è semplicemente “to work”.
L’impatto è decisamente strano e a noi fa sicuramente sorridere, penalizzando
anche la resa: «Frasi che si trasformano completamente se pronunciate in francese
in tedesco in inglese o in spagnolo. Il risultato è curioso a volte divertente ed anche
un po’ paradossale»147. Da notare è come un simile adattamento implichi un triplo
passaggio: dalla lingua di partenza, ovvero il dialetto napoletano, all’italiano, alla
lingua d’arrivo.
La lingua è la storia di un popolo. E se c’è un popolo conosciuto universalmente
per la sua lingua è quello napoletano. A dimostrarlo è anche l’UNESCO che include
il napoletano tra gli idiomi da “tutelare” nel mondo: una ulteriore conferma del
grande valore culturale che questa lingua porta con sé, tra letteratura, teatro e musica.
Attestazione prestigiosa che, in qualche modo, riesce a diradare le pesanti nubi,
spesso ingombranti e stereotipate, dei media e di chi il cielo di Napoli non l’ha mai
nemmeno visto. Ma esiste, per fortuna, anche un altro immaginario collettivo, quello
meno battuto dai media e che racconta le altre facce di questa città e la sua essenza.
147 “Gomorra, parlez vous français? Gli effetti del doppiaggio”, “Roberto Saviano online”, 10 agosto 2015.
87
GOMORRA, LA REALTÀ OLTRE LA FINZIONE
«La strategia di costruzione della serie televisiva è quella di non parteggiare per
alcun personaggio. L’obiettivo è rendere protagonista il meccanismo, i rapporti di
potere. La vera protagonista è la realtà. Era ed è quella la mia ossessione»148
Focalizzandomi su uno dei temi più discussi e interessanti che ruota attorno al
fenomeno “Gomorra”, intendo analizzare la relazione tra ciò che è finzione e ciò che
è invece la vita reale nei quartieri narrati da Saviano. In generale riguardo
quest’argomento, le posizioni tendono a polarizzarsi tra due estremi: c’è chi pensa
che la serie dia un’immagine troppo negativa e “alterata” di Napoli, finendo per
alimentare luoghi comuni e stereotipi e chi, invece, reputa Gomorra come un occhio
che permette di osservare, nonostante i filtri cinematografici, una realtà, lontana
148 Roberto Saviano, Corriere della Sera, 24 maggio 2016.
Napoli, quartiere Scampia. Un tossicodidendente dopo essersi iniettato
una dose nelle case abbandonate nelle Vele, adibite dalla camorra a "stanze
del buco" per evitare che i tossicodipendenti si buchino per strada.
88
dalla finzione e pienamente conforme alla verità.
Nel caso del libro i rimandi a eventi e personaggi reali sono, come già
annunciato, decisamente espliciti e spesso dimostrati da fonti e prove inconfutabili
riportate dall’autore stesso, allo stesso modo il film, come ormai sappiamo, è
dichiaratamente improntato su uno stile documentaristico, ma penso che vada
affrontato un discorso più approfondito per quanto riguarda la serie televisiva.
Quest’ultima, pur essendo una fiction e ricorrendo all'invenzione per manipolare la
realtà, riesce a restituirne uno spaccato narrativamente coerente tessendo continui
rimandi a fatti, contesti e personaggi reali, giocando esplicitamente con la
competenza dello spettatore.
Si tratta di una competenza intertestuale che non fa riferimento solo al romanzo
di partenza, ma, come dimostreranno con gli esempi analizzati, anche in generale al
contesto esperienziale in cui è immerso lo spettatore; informazione e vita quotidiana
comprese.
Del resto, una delle caratteristiche peculiari delle serie tv contemporanee è
proprio la loro tendenza a costruire degli spaccati di realtà catturando l’attenzione
del pubblico che sembra sempre più attratto dalle storie piuttosto che dalle notizie, e
più dalle vicende private che da quelle politiche, dalle sfumature del sociale impresse
in immagini “fittizie” più che da quelle di un servizio giornalistico.
È proprio su questo che punta la serie, focalizzandosi su una famiglia
camorristica, sulla sua quotidianità e sui suoi componenti, per descrivere il tutto. Si
passa quindi dal piano sociale a quello individuale, dove le analogie con la vera
quotidianità di quelle famiglie e di quei luoghi si sprecano e puntata dopo puntata i
particolari avvicinano sempre più i protagonisti della fiction alla realtà dei fatti.
I vari personaggi incarnano icone che trovano il proprio referente reale nella
cronaca recente e, allo stesso tempo, queste sono fortemente metaforiche, che
attivano nello spettatore dinamiche di ricezione e interpretazione diverse a seconda
del grado di coinvolgimento sviluppato. L’efficacia di questo prodotto televisivo si
89
fonda proprio sul suo statuto narrativo simbolico, nel senso che cita fatti, nomi e
luoghi reali per poi attribuire loro un valore metaforico all'interno di un preciso
percorso narrativo.
Per descrivere proprio con un’immagine simbolica il diverso atteggiamento
tenuto nel libro e nella serie voglio rifarmi a tre figure: il pittore, il reporter e il
falsario. Il pittore prende «i segni del mondo» per costruire icone della realtà, il
reporter usa «i segni dell'autore» per cercare di convincere lo spettatore di essere
venuto in contatto direttamente con ciò che gli presenta, mentre il falsario ricorre ai
«segni del documento» per produrre versioni contraffatte di ciò che vuole copiare.
Facendo riferimento a questo modello si può affermare che Saviano, scrivendo il suo
libro, assume un atteggiamento ibrido tra quello del reporter, rappresentando sé
stesso come testimone diretto dei fatti, e quello del pittore, costruendo
rappresentazioni dalla forte carica simbolica attraverso un sapiente utilizzo del
linguaggio narrativo di genere.
Nel serial, invece, prevale la figura del pittore: si prelevano dal testo originario
gli episodi, i tratti dei
personaggi e le
situazioni che più si
prestano a creare una
rappresentazione
potente a livello
simbolico, e si
collocano all’interno
di in una cornice finzionale di genere. È opportuno poi precisare che i rimandi dalla
serie tv al romanzo e di conseguenza a fatti storicamente avvenuti non riguardano
solo interi episodi, ma anche piccoli dettagli che, nel quadro generale della
trasposizione, acquistano una valenza narrativa non trascurabile.
Tra gli episodi descritti nel libro e ripresi per intero nella serie televisiva, pur
apportando modifiche riguardanti la collocazione spazio-temporale, prendiamo ad
90
esempio la vicenda del bicchiere di urina che, secondo le informazioni riportate da
Saviano, Paolo di Lauro impose di bere a un suo sottoposto disobbediente, Gennaro
Marino, alias “Genny McKay”, come prova di fedeltà: «Pisciò in un bicchiere e glielo
porse. Al boss erano giunte all'orecchio notizie circa comportamenti del suo
prediletto che non poteva avallare in nessun modo. […] Si racconta che McKay
bevve tutto sino alla posa»149.
Nella serie Don Pietro Savastano fa lo stesso con Ciro Di Marzio, in un
contesto, quello finzionale, in cui, paradossalmente, la cosa sembra meno incredibile
rispetto che nella realtà.
La serie tv “Gomorra” parte dal culmine del potere di un clan per poi
arrivare al seguente punto di rottura con cui tutti devono fare i conti prima o
poi in questo infinito gioco della camorra. Come si può evincere, conoscendo i
fatti, molte dinamiche della faida tra clan messa in scena dalla serie sono ispirate
direttamente e non troppo velatamente alla guerra di camorra descritta nel libro e
realmente avvenuta tra gli anni Novanta e gli anni Duemila.
Nella serie, il boss
Pietro Savastano ha
molto in comune con
Paolo Di Lauro e Ciro,
ex braccio destro del
boss e poi capo degli
scissionisti, sembra
rappresentare proprio
l’ex braccio destro di
Di Lauro, Lello Amato. Ciao
Un altro parallelo si può fare tra la figura di Genny e quella di Cosimo Di Lauro,
primogenito del boss Paolo Di Lauro.
149 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “La guerra di Secondigliano”, pag. 70
91
I due ragazzi sembrano rispecchiarsi l’uno nell’altro fin dai primi episodi, in
cui il giovane boss affronta una vera e propria iniziazione nel clan su ordine del
padre. Si tratta del suo primo omicidio150, ma Genny non riesce a portarlo a termine,
si blocca, e interviene Ciro che senza battere ciglio spara e rimette la pistola nella
mano del giovane. Cosimo, fu iniziato
proprio così e come Genny, anche lui in
quell'occasione fece una magra figura. La
vicenda è nota a Scampia.
Nel libro inoltre notiamo come Saviano
descriva Cosimo come “claudicante” 151
mentre scende le scale accompagnato dagli
agenti di polizia in seguito al suo arresto.
Questo perché il giovane boss in passato era
rimasto vittima di un incidente in moto che
gli era quasi costato la vita. Ancora una volta
la finzione sembra incontrare la realtà
quando, nel secondo episodio, Genny finisce
in ospedale proprio per un incidente in moto.
Quell’incidente porta anche all’arresto del padre, Don Pietro, fermato da una
pattuglia mentre va ad alta velocità con la propria auto per raggiungere il figlio in
ospedale; trovando del denaro illecito nel veicolo, i poliziotti portano Don Pietro in
centrale, dove verrà poi identificato e arrestato152.
Nella serie è riportato a questo punto anche il passaggio di potere da padre in
figlio, dovuto anche qui alla caduta in depressione del boss. Nella serie però la
depressione del boss non è dovuta alla morte del figlio, com’è invece nella realtà,
bensì al suo internamento nel carcere 41 bis. Dopo alcuni mesi, una volta ripreso
dall’incidente, Genny va a trovare il padre in carcere, ma Don Pietro non parla, non
150 “Gomorra”, regia di Stefano Sollima Sky Atlantic, prima stagione, episodio 2. 151 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “La guerra di Secondigliano”, pag. 125. 152 “Gomorra”, regia di Stefano Sollima, Sky Atlantic, prima stagione, episodio 2.
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riconosce i suoi cari, non reagisce a nessuna sollecitazione, neanche alla morte della
moglie. Ora a decidere deve essere il figlio.
.La stagione a questo punto sembra focalizzarsi proprio sulla figura del nuovo
giovane boss, attraverso il quale viene ripresentata anche la presa del monopolio
della droga dei Di Lauro con il legame diretto con i produttori del Sud America153.
L’esperienza in Sud
America lo segnerà nel
profondo e una volta
tornato diviene
protagonista di una
trasformazione che lo porta
a impersonificare
chiaramente la figura di
Cosimo Di Lauro, sia per il
suo modo di agire e pensare, sia per le scelte che fa una volta a capo del clan sia
proprio nel modo di vestire con la predilezione di abiti scuri e in pelle nera.
Particolare è poi un dettaglio inserito in uno degli episodi finali della seconda
stagione in cui Genny riceve una pistola speciale dal padre per uccidere Ciro. La
pistola in questione, divisa in più pezzi da assemblare, era progettata in modo da
passare tranquillamente i metaldetector e non destare alcun sospetto. Un episodio
che è stato volutamente inserito per mostrare l’evoluzione dei clan di oggi anche a
livello di organizzazione e accuratezza. Un dettaglio simile lo ritroviamo anche nel
libro, in cui Saviano ci parla di un’arma chiamata “o tubo”, incredibilmente semplice
e terribilmente potente. Come indica il nome stesso, quest’arma, ideata da un fucile
giocattolo, è costituita da due tubi, uno dei quali è di diametro leggermente inferiore
in cui si inserisce una cartuccia calibro 20. Essendo facilmente montabile e
smontabile è l’arma perfetta per commettere un omicidio.
153 “Gomorra”, regia di Stefano Sollima, Sky Atlantic, prima stagione, episodio 6.
93
Oltre alle figure dei personaggi principali troviamo in generale una serie di
particolari sapientemente cuciti e amalgamati che ritraggono nella serie spezzati di
vita reale dei quartieri di Napoli: l'organizzazione delle piazze di spaccio in pieno
giorno tra l'indifferenza dei passanti; le numerose persone in fila davanti al carcere
che lasciano passare avanti in silenzio la moglie del boss; l'uso dei poligoni di tiro
per costruire gli alibi dei killer; la paga distribuita mensilmente alle famiglie dei
caduti e dei detenuti; i brogli elettorali orchestrati dai clan per le elezioni sindacali
dei proprio paesi e i boss che pregano prima di ordinare una strage.
Ci sono poi quelle che possiamo chiamare “citazioni visive”, come la sequenza
di apertura della seconda puntata, in cui un'inquadratura del porto di Napoli con un
container che dondola appeso a una gru ricorda proprio l'incipit del romanzo di
Saviano.
Per altri episodi va fatto invece un discorso diverso, in quanto sono stati ripresi
da altri scritti di Saviano, e riguardano fatti ed eventi successivi al 2006. Un esempio
è l'intervista al pentito Maurizio Prestieri.
Prestieri è stato uno dei primissimi pentiti di
quella guerra, probabilmente il più importante data
la mole di arresti a cui hanno portato le sue
confessioni. Appartenente al clan Di Lauro decise
lui stesso di andare “in braccio”154 alle forze di
polizia e non per paura di essere ucciso da uno
scissionista ma per paura del suo nuovo boss,
Cosimo Di Lauro. Prestieri aveva dedicato tutta la
sua vita a quel clan e ora questo sembrava voltargli le spalle, in una guerra in cui
chiunque era sospettato di essere un traditore.
Saviano nel suo libro fa i nomi di alcuni pentiti tra cui: Cuono Lettiero e
Carmine Schiavone.
154 Modo di dire utilizzato a Napoli per indicare chi si costituisce.
94
Lettiero, affiliano dei Casalesi, nel 2000 cominciò a collaborare con i
magistrati e grazie alle sue confessioni, nell’autunno dello stesso anno, sono stati
scoperti i rapporti commerciali stretti dai clan con due grandi aziende nazionali del
latte: Parmalat e Cirio. Schiavone fu invece il primo ha denunciare gli affari del clan
dei Casalesi. Le sue dichiarazioni hanno reso possibile un maxiprocesso da parte
della DDA di Napoli nel 1993.
L’operazione fu chiamata “Spartacus” e portò a cento trentuno decreti di
sequestro, ventuno ergastoli, tra cui quello di Francesco Schiavone detto
“Sandokan” e numerosi anni di reclusioni per gregari, manager e dirigenti coinvolti.
Sempre Schiavone in un’intervista rilasciata nel 2005 ha poi parlato di una differenza
fondamentale tra Cosa Nostra e Camorra. Affermò che Cosa Nostra è
un’organizzazione schiava dei politici, incapace di ragionare in termini d’affari
come invece facevano i camorristi casertani. Questo perché la Mafia vuole porsi da
sempre come anti-Stato mentre per la camorra non esiste Stato o anti-Stato ma solo
un territorio in cui si fanno affari. Imprenditori. Così si definiscono i camorristi del
casertano, nient’altro che imprenditori.
Per i camorristi i pentiti sono feccia, infami, morti che camminano. Per la
polizia rappresentano invece un’arma, l’asso nella manica che può condurli fino al
cuore di un clan, svelandone i traffici, i rapporti commerciali, i punti di interesse e i
meccanismi. C’è chi si consegna per salvarsi la vita, chi per avere uno sconto sulla
propria condanna, chi invece non vede altra alternativa per uscire finalmente dal
quell’inferno.
Negli ultimi sottocapitoli parlerò più specificatamente di questa guerra e di altri
personaggi ed eventi salienti della serie, ripresi direttamente dal libro e dalla realtà:
La guerra di Secondigliano tra il clan Di Lauro e gli scissionisti;
Le donne ai vertici della camorra;
Vicende reali, drammatiche e significative, come quella di Manu, che
diventa simbolo di tutte le vittime innocenti di quella guerra cieca;
95
LA GUERRA DI SECONDIGLIANO
“È guerra. Nessuno comprende come si combatterà, ma tutti sanno con certezza
che sarà terribile e lunga”155
La Guerra di Secondigliano riguardò la feroce faida scoppiata tra il clan Di
Lauro e alcuni suoi membri che decisero di separarsene divenendo noti come
“scissionisti” o anche “spagnoli”156.
Prima di parlare della guerra vera e propria però è importante analizzare una
figura in particolare, attorno a cui è ruotato tutto, ovvero quella del boss
dell’omonimo clan, Paolo Di Lauro.
Paolo Di Lauro nasce a Napoli il 26 agosto 1953. Abbandonato alla nascita
viene adottato dalla famiglia Di Lauro. I genitori, umili commercianti nel settore
dell’abbigliamento, si impegnarono per dare al proprio figlio un’infanzia normale,
lontano dai brutti ambienti, dandogli l’opportunità di frequentare buone scuole. Ma
nonostante la sua infanzia tranquilla, il ragazzo manifesta presto un carattere
predominante, deciso e carismatico alimentato da un forte desiderio di potere e soldi
che lo portano presto a intraprendere la via del crimine. Inizia a delinquere proprio
nel settore vestiario, cominciando a trafficare vestiti, per poi addentrarsi anche nel
settore del gioco d’azzardo e nel traffico di gioielli. Divenne presto noto come
“Ciruzzo ’o milionario”, a partire da una sera in cui il boss, Luigi Giuliano detto “o’
re” gli vide cascare dalle tasche decine di bigliettoni da centomila lire mentre si
sedeva al tavolo da poker; Giuliano esclamò: «E chi è venuto, Ciruzzo ’o
155 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “La guerra di Secondigliano”, pag. 89. 156 Erano detti anche “spagnoli” a causa della fuga in spagna di uno dei futuri capi del cartello durante i mesi che
precedettero la faida. Nella serie in particolare possiamo far riferimento a Conte.
96
milionario?». Questa sua fama raggiunse persino gli States dove era conosciuto
come “little Ciro the millionaire”.
Una volta all’interno del sistema malavitoso, inizia la sua scalata nel crimine
organizzato a metà degli anni Settanta, come sottoposto del boss di Secondigliano
Aniello La Monica. Quest’ultimo, con il tempo, ripose una tale fiducia in lui da fargli
tenere persino i libri paga del clan. Di Lauro però cominciò presto a rivelarsi un
uomo scaltro, intelligente e smanioso di potere, tanto che il boss stesso, sentendosi
minacciato da una tale personalità, nel 1982 ne ordinò la morte. L’attentato però fallì
e Di Lauro sopravvisse. Sempre molto calmo e calcolatore finse di non sapere chi
fosse il mandante di tale attacco e invitò La Monaca ad incontrarsi per parlare di
alcuni affari. In realtà si trattò di una trappola ben architettata in cui coinvolse i
fedelissimi del boss (i fratelli Giuseppe e Antonio Rocco, Rosario Pariante, Raffaele
Prestieri, e Domenico Silvestri), convincendoli che La Monica non stava ai patti,
poiché tratteneva per sé una somma superiore a quanto gli spettava. L’omicidio
venne consumato il 1° maggio 1982: «La Monica venne attirato fuori di casa con
una scusa. Gli dicono che deve vedere dei brillanti da acquistare, ma appena esce
dal portone l’auto su cui viaggiava il commando lo investe in pieno… C’era pure
Paolo Di Lauro… Cominciarono a sparare prima ancora che il corpo ricadesse a terra
dopo l’urto»157. La stessa fine tocca dopo poco tempo anche all’ex braccio destro di
La Monaca, Domenico Silvestri, che aveva partecipato alla spedizione. Di Lauro
viene inizialmente arrestato per il suo omicidio, ma viene rilasciato poco dopo, per
mancanza di prove a suo carico. Solo dopo la pronuncia delle sentenze di assoluzione
per i due omicidi, il 3 novembre 2004, Luigi Giuliano, pentito, ha raccontato:
«Paolo Di Lauro ha ammazzato i suoi amici più cari, perché i camorristi fanno
in questo modo. Per avere più potere ammazzano gli amici più cari. Ha ucciso
Aniello La Monica e Domenico Silvestri, i suoi più cari amici d’infanzia, quelli con
cui faceva il ladruncolo quando erano giovani e con cui è cresciuto dal punto di vista
157 Antonio Rocco, interrogato il 12 ottobre 1994.
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camorristico» 158 . In poco tempo, approfittando del vuoto di potere, Di Lauro
monopolizzò il traffico di droga a Napoli, e riuscì a coronare il suo più grande sogno,
fare di Scampia la più grande piazza di spaccio a livello europeo, rifornendosi
direttamente dai cartelli sudamericani, ovvero direttamente dai produttori, e
alleandosi ad Est con i cartelli albanesi che si occupano della distribuzione su larga
scala. Per stringere questi legami diretti Di Lauro si serve dei suoi collaboratori più
fidati quale per esempio, Raffaele Amato, detto “Lello” o “spagnuolo”, che spedisce
direttamente in Sud America. È a questo punto che cominciò a delinearsi quello che
sarà uno dei più potenti clan della storia del crimine organizzato.
Paolo Di Lauro era rispettato da tutte le grandi famiglie mafiose quali per
esempio: i Casalesi, i Nuvoletta e i Gionta; ed era anche ben voluto dai cittadini di
Secondigliano grazie ad alcune sue scelte come: abolire il pizzo e vietare ai propri
sottoposti di rubare nelle case e nei negozi del paese. Il clan veniva gestito come
una vera e propria impresa, secondo il modello di un’azienda in multilevel, che
garantisce, in caso di arresto e pentimento di qualcuno, che la conoscenza sia limitata
a singoli segmenti. Primo livello: I dirigenti del clan, i fidatissimi del boss, coloro
che controllano l’attività di traffico e spaccio attraverso affiliati diretti. Secondo
livello: affiliati del clan trattano direttamente la droga, curando acquisto e
confezionamento dello stupefacente, gestione degli spacciatori e relativo supporto
legale in caso di arresto. Terzo livello: con mansione di capi-piazza, membri del clan
coordinano pali e vie di fuga, e controllano i magazzini dove la merce è stoccata e
tagliata. Quarto livello: gli spacciatori.
L’indotto dello spaccio è enorme, sono coinvolte migliaia di persone che
intuiscono genericamente per quale famiglia camorrista lavorano ma nulla di più.
Con questa organizzazione Paolo Di Lauro si garantisce un profitto pari al 500 per
cento dell’investimento iniziale, per un fatturato di 500 mila euro al giorno159. Le
158 Giovanni Riacà, “Il caso Scampia: dal fallimento dell’urbanistica alle faide di camorra”, Rassegna dell’Arma dei
Carabinieri, maggio 2016. 159 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “La guerra di Secondigliano”, pag. 70.
98
entrate principali del clan sono rappresentate dalla droga. Il clan dei Di Lauro in
questo settore riuscì a compiere un vero e proprio salto di qualità sia assicurando una
migliore protezione dell’acquirente sia attraverso la liberalizzazione dello spaccio e
dell’approvvigionamento della droga stessa. Prima i pali proteggevano solo i pusher
avvisandoli dell’arrivo della polizia, mentre Di Lauro decise di mettere pali anche a
protezione degli acquirenti stessi. D’altra parte istaurò una piccola imprenditoria
dello spaccio capace di creare nuovi clienti. Libera, autonoma, in grado di far ciò
che vuole con la merce, metterci il prezzo che vuole, diffonderla come e dove vuole
senza necessità di trovare mediatori del clan. Liberalismo totale e assoluto.
Avviata l’impresa del narcotraffico, Di Lauro deve preoccuparsi di reinvestire.
I due settori merceologici più redditizi sono l’abbigliamento e la tecnologia. Le
grandi griffe sfruttano la manodopera a basso costo gestita dalla camorra in
Campania, in parte immettendo nel circuito legale i manufatti, in parte tollerando un
mercato parallelo direttamente gestito dalla camorra, che vende gli stessi capi con
marchio contraffatto, ma a prezzi accessibili; nella sua rete distributiva Di Lauro
predilige la Francia, con negozi a Nizza, Parigi e Lione. In Cina, invece, Di Lauro
fa produrre apparecchi fotografici identici alle Canon e alle Hitachi, salvo apporre
un altro marchio, per venderli nel mercato dell’Est Europa. Nel 1989 fonda l’impresa
Confezioni Valent di Paolo Di Lauro& C., sequestrata dal Tribunale di Napoli nel
novembre del 2001. Per circa 20 anni fu noto come “il boss fantasma”, in quanto
non veniva mai fatto il suo nome e nonostante gli sforzi delle forze di polizia non si
riusciva a conoscere la sua identità. Di Lauro comunicava e si faceva vedere solo da
pochi fedelissimi ed erano quest’ultimi poi a riferire il volere del boss a tutti i
sottoposti del clan. Tutti si riferivano a lui con il nome di “Pasquale”, nome che
compare in numerose intercettazioni ma che non portava a nulla gli investigatori. A
far fallire questa perfetta piramide nascosta fu un episodio alquanto banale. Il boss
ebbe dalla moglie, Luisa D’Avanzo, dieci figli, di cui sei avviati nel clan: Cosimo,
Vincenzo, Ciro, Marco, Nunzio, Salvatore; Il figlio più piccolo del boss, inseguito
ad un richiamo da parte di un insegnante, decise di vendicarsi aggredendolo. Paolo
99
di Lauro venne chiamato in centrale e in una chiamata un suo sottoposto disse ad un
alto che “Pasquale” si trovava in questura. A quel punto gli investigatori avevano
quello che cercavano, l’identità del boss fantasma ma nonostante questo non
avevano nulla contro di lui e quindi non poterono trattenerlo. Da quel momento Di
Lauro divenne ancora più prudente e trascorse dieci anni in latitanza. Addirittura,
smaniando dalla voglia di vederlo, gli affiliati si rivolgevano al boss, Maurizio
Prestieri, chiedendo: «Ti prego, fammelo vedere, solo per un attimo, solo uno, lo
guardo e poi me ne vado»160.
Prestieri divenne presto il preferito del boss; lo divenne perché era il fratello di
Raffaele, il suo più caro amico, morto ammazzato, e perché era sveglio, determinato,
abile. Divenne il suo braccio dentro, il più fidato, tanto che Saviano scrive: «Paolo
Di Lauro non aveva mai pianto, o almeno mai davanti a qualcuno. Una volta a
Barcellona, luogo di investimento e acquisto di coca di tutti i clan del mondo,
stavano passeggiando e guardando un tramonto quando Paolo Di Lauro disse a
Prestieri: “A Raffaele sarebbe piaciuto questo tramonto...”. E scoppiò in
lacrime»161.
L’equilibrio del clan fu sconvolto quando, a seguito della morte di suo figlio
Domenico, il boss cadde in depressione e decise di ritirarsi e lasciare il clan in mano
al figlio Cosimo detto “il corvo”, dato l’abbigliamento molto simile al protagonista
dell’omonimo film. Sotto il comando di Cosimo si sollevarono presto i primi
disappunti tra i membri storici del clan, “la vecchia guardia”, ai quali il giovane boss
non sembrava dare l’importanza che “meritano” dando invece più spazio e potere ai
giovani “guaioncelli” che costituivano la sua “batteria”. Cosimo decise inoltre di
mettere tutti a stipendio. Voleva tutti strettamente alle sue dipendenze, una scelta in
controtendenza rispetto a quelle prese in precedenza dal padre, il quale come detto
era più propenso al liberalismo, ma che si stata rivelando necessaria per ribadire la
sua autorità e il suo potere. Inoltre continuava con la sua decisione di imporre una
160 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “La guerra di Secondigliano”, pag. 140. 161 Roberto Saviano, “Donne, casinò e champagne la vita d'oro del camorrista”, “La Repubblica”, 2012.
100
vera e propria trasformazione generazionale del clan, in cui i dirigenti non avevano
più di trent’anni.
Cominciano quindi i primi attriti tra quelli che cominciano a delinearsi come
due gruppi distinti. Amato, Prestieri, Pagano e gli altri membri storici del clan
cominciano a riunirsi con i vari capozona per discutere delle decisioni prese da
Cosimo. D’altra parte Cosimo si riuniva con i giovani emergenti per spartire le zone
di spaccio. Iniziarono i primi tradimenti e i primi omicidi che portarono alla Guerra
di Scampia. Lello Amato, “a vicchiarella”, che una volta era il braccio destro più
fidato di Di Lauro, responsabile delle piazze spagnole, e colori che gli rimasero
fedeli, cominciarono a versare sempre meno capitale nella cassa del clan e
cominciarono a prendersi le piazze con la forza iniziando a tessere una rete di
narcotraffico con la Spagna. Fu l’inizio di una guerra senza “rispetto” e senza alcuna
pietà. Sorelle, fratelli, genitori, cugini, nessuno veniva risparmiato. Si trattò di una
vera e propria guerra, che portò a più di 100 morti in un anno, tanto che, nel corso
dei mesi, la parola “faida” scomparve e si iniziò a definirla “Vietnam”. Auto
bruciate, cadaveri dietro ogni portiera che si apriva, omicidi multipli anche nell’arco
101
di una sola giornata, di una sola ora. Un macabro gioco di botta e risposta di piombo.
«Dopo il Vietnam qua tutti hanno paura»162.
Dopo ben 2 anni di agguati e uccisioni il clan Di Lauro sembrò uscirne sconfitto
e ormai finito; costretto nei confini di Parco dei Fiori conosciuto come “il terzo
mondo”. Si tratta di un rione enorme, il cui soprannome rende chiara la sua
situazione, così come la scritta all’entrata della strada principale: “Rione Terzo
Mondo, non entrate”. Quando ormai non si vedeva più una via d’uscita arrivò la
notizia si un patto siglato tra il clan e gli scissionisti. I quattro punti che costituivano
l’accordo, sono stati pubblicati sul quotidiano “Cronache di Napoli”, in data 27
giugno 2005163:
1. Gli
scissionisti hanno preteso
la restituzione degli alloggi sgomberati tra novembre e gennaio a Scampia e
Secondigliano. Circa ottocento persone costrette dal gruppo di fuoco di Di Lauro a
lasciare le proprie case.
2. Il monopolio dei Di Lauro sulla zona è spezzato. Non si torna indietro.
Il territorio dovrà essere diviso in maniera equa. La provincia agli scissionisti, Napoli
ai Di Lauro.
162 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “La guerra di Secondigliano”, pag. 147. 163 Gomorra, Roberto Saviano, Mondadori 2006, “La guerra di Secondigliano”, pag. 139.
Immagini che ritraggono la quotidianà in alcuni
quartieri.
102
3. Il territorio dovrà essere diviso in maniera equa. La provincia agli
scissionisti, Napoli ai Di Lauro; gli scissionisti potranno servirsi dei propri canali
per l’importazione della droga senza più ricorrere obbligatoriamente alla
mediazione dei Di Lauro.
4. Le vendette private sono separate dagli affari ossia gli affari sono più
importanti delle questioni personali. Se si verificherà una vendetta legata alla faida
questa non farà riaccendere le ostilità ma rimarrà sul piano privato.
Cosimo viene arrestato il 21 gennaio 2005, il rampollo del clan non si trovava
nella sua lussuosa villa da cinque milioni di euro, in quella villa non ci era nemmeno
mai entrato.
Lo trovarono all’interno di un buco di quaranta metri quadri, con dentro solo
un letto mezzo sfondato. Poco dopo il suo arresto venne ritrovato un cadavere.
Probabilmente il responsabile dell’arresto di Cosimo o comunque colui che ne era
sospettato. Venne trovato in un auto bruciata, la testa era sul sedile posteriore,
mozzata da una sega circolare dentellata.
Lo stesso anno fu trovato anche il boss Paolo Di Lauro. L’ultimo nascondiglio
di Di Lauro è stata la casa di Fortunata Liguori, donna di un affiliato di basso rango,
dove il 16 settembre 2005 i ROS lo arrestano164.
164 Napoli, via Canonico Stornaiuolo, 16 settembre 2005.
103
A tradirlo fu un peccato di gola, i ROS infatti riuscirono a trovarlo dopo aver
individuato la vivandiera dove acquistava il suo pesce preferito, la pezzogna. Pochi
giorni dopo l’arresto venne
condotto in tribunale, nell’aula
215. Jeans, polo scura e Paciotti
ai piedi, viene descritto così.
Dalla gabbia parla solo per dire
«presente», esprimendosi per il
resto con gesti, occhiolini,
sorrisi e ammiccamenti. In aula
incontra lo sguardo del figlio
Vincenzo, non lo vedeva da più
di due anni. Quest’ultimo non si
è mai calato all’interno delle dinamiche più sanguinarie del ma vi partecipava
indirettamente ed esternamente amministrando il capitale della famiglia e
occupandosi della parte finanziaria,
dei conti e di spostamenti di grandi
somme di denaro.
Lo saluta baciandolo attraverso
il vetro blindato con le mani
attaccate alla superficie trasparente.
Solo a fine
udienza Paolo Di Lauro ritrova la
parola, quando l’avvocato chiede di
autorizzare padre e figlio ad
abbracciarsi: «sei pallido», dice il
figlio, e il padre risponde: «da molti anni questa faccia non vede il sole»165.
165 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “la guerra di Secondigliano”, pag. 143.
104
Dagli atti del caso sappiamo che il figlio indicò al padre l’anulare, come a
chiedergli dove fosse la fede; il padre gli rispose anche lui a gesti, lasciando intuire
che l’avevano presa i carabinieri. Riguardo questo particolare episodio, anche se non
ci sono certezze al riguardo, secondo Saviano, al figlio non importava veramente di
sapere dell’anello, dato anche il fatto che, in seguito ad un arresto, alla persona in
questione venga sequestrato tutto compreso l’oro. C’è invece la forte possibilità che
i due si siano comunicati chi è stato il traditore che ha portato all’arresto del boss.
Anello, in napoletano “aniello”, allude casualmente al noto cognome “Aniello”,
patriarca della famiglia La Monica, ucciso anni prima dal suo stesso
figlioccio Paolo Di Lauro, e vendicato, propria da quella soffiata alla polizia da parte
di un esponente di quella stessa famiglia. Fatto sta che, a meno di ventiquattr’ore
dall’arresto del boss, viene ritrovato il cadavere seviziato di Edoardo La Monica. Il
messaggio impresso sulla carne era chiaro a tutti: «tagliate le orecchie con cui ha
sentito, cavati gli occhi con cui ha visto, spezzati i polsi con cui ha preso i soldi,
tagliata la lingua con cui ha parlato»166. Un omicidio di una violenza unica, un
accanimento e una ritualità riservata solo a chi si è macchiato di un grave tradimento.
Nel 2010 Cosimo Di Lauro fu condannato all’ergastolo per l’omicidio di
Gelsomina Verde e “Il Mattino” dava la notizia che, in attesa dell’appello, aveva
staccato un assegno da trecentomila euro per la famiglia dell’uccisa. Il 12 aprile 2012
fu poi assolto in appello mentre, il 17 luglio 2012, è diventata definitiva la condanna
a 29 anni di reclusione nei confronti di Paolo Di Lauro, per associazione camorristica
e associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, nel ruolo di capo «indiscusso»,
a dire della Corte di Cassazione.
Decisiva fu L’operazione “Beluga”, scattata il 12 giugno 2013, alle ore 5:
cinquecento militari hanno circondato il Terzo Mondo, ormai roccaforte del clan,
eseguendo 105 arresti. Un duro colpo per il clan. L’anno successivo, il 22 maggio
2014, Di Lauro fu condannato in via definitiva per l’omicidio del cutoliano Giuseppe
Frattini, detto “Bambulella”, ucciso e fatto a pezzi il 21 gennaio 1982. Il suo
166 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “La guerra di Secondigliano”, pag. 145.
105
cadavere fu ritrovato in una Fiat 500 senza testa, cuore e mani. Un omicidio, un
macabro rituale, una vendetta che sembra far parte di una delle puntate più cruente
di “Quei bravi ragazzi”, solo che stavolta è tutto vero.
Attualmente gli equilibri continuano a cambiare e a trasformarsi attraverso
l’insorgere di nuove scissioni.
Marco Di Lauro, latitante dal 2004, è ritenuto a capo del clan e dal luglio 2013
è sotto il mirino degli 007 americani, che hanno trasmesso al Dipartimento del
Tesoro americano informative per segnalare la sua infiltrazione nell’economia della
Grande mela. Marco Di Lauro sembra essere
riuscito nel mediare una tregua e, non senza
difficoltà, a porre fine alla guerra. E’ stato in
grado di riallacciare i vecchi rapporti del padre.
Ora non resta che lui. Da tempo il suo volto
compare al secondo posto nell'elenco dei più
pericolosi latitanti di mafia sul sito dei
supericercati del ministero dell'Interno. In
quella istantanea ormai datata si riconosce il
volto di un ragazzino, e quella è l'ultima
immagine pubblica che si ha di Marco Di
Lauro. Aveva 23 anni quando si è dato alla
macchia, senza mai più riemergerne.
Lo cercano da dodici anni polizia e carabinieri. Nella sua ricerca sono stati
mobilitati persino i servizi segreti. Tutto inutile. Di lui non c'è traccia. Per prenderlo
gli inquirenti hanno fatto e provato di tutto. Inventandosi persino un escamotage che,
almeno in teoria, avrebbe dovuto funzionare. Notificarono a lui e a due suoi amici
un atto giudiziario nella cui copertina mani abili e sapienti avevano inserito una
microspia. Una cimice invisibile. Il trucco fu studiato a tavolino perché gli
investigatori erano convinti che qualcuno, più prima che poi, avrebbe portato quel
106
documento al latitante. Ma l'ascolto di quella microspia fu inutile. Forse venne
scoperta, o forse Marco ordinò ai suoi di portargli la fotocopia.
Come scrive Saviano: «il Sistema si è allargato e si è ringiovanito. I capi
napoletani hanno vent’anni»167. Questo perché appena un boss raggiunge il potere,
dopo poco emergeranno nuove figure a prenderne il posto, espandendosi e
camminando sulle spalle di quei giganti che loro stessi hanno contribuito a creare.
Cutolo fu soppiantato da Bardellino, Bardellino da Sandokan, Sandokan da Zagaria,
La Monica da Di Lauro, Di Lauro dagli Spagnoli e loro da chissà quale altro. È un
Uroboro infinito, un serpente che si mangia la sua stessa coda. In questo senso ogni
arresto, ogni maxiprocesso o sequestro non è altro che un modo di avvicendare capi,
interrompere una fase, piuttosto che un’azione capace di distruggere un sistema.
167 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “La guerra di Secondigliano”, pag 83.
106
DONNE
“Nel naso mi erano rimasti odori; non solo l’odore di segatura e sangue, né i
dopobarba dei ragazzini soldati messi su guance senza peli, ma soprattutto i
sapori dei profumi femminili”168
Una parentesi interessante, aperta da Saviano nel suo libro, è quella delle donne
al potere. Nel capitolo appositamente nominato dall’autore “Donne” L’autore ci
presenta il lato femminile della camorra e ci parla di come le donne siano sempre
presenti nelle dinamiche di potere dei clan. Saviano spiega come per molte donne
sposare un camorrista sia come ricevere un prestito, come un capitale conquistato.
Se sono fortunate quel capitale frutterà e potranno beneficiare di un potere illimitato
e magari potranno aspirare a diventare imprenditrici o dirigenti. Ma può anche
andargli male e si ritroveranno a passare ore e ore in sala d’attesa nelle carceri e ad
aspettare “il sottomarino” che ogni 28 del mese passa a distribuire la mensilità alle
famiglie degli affiliati in carcere. Sono chiamati sottomarini perché non si fanno mai
vedere e non devono essere rintracciabili, per questo arrivano nelle case con percorsi
sempre diversi.
La serie riprende anche questa linea narrativa, a partire dalla figura di Donna
Imma, moglie del boss Pietro Savastano.
Il personaggio di Donna Imma è significativo dal punto di vista della
trasposizione, perché condensa in essa l'intero capitolo Donne del libro. La
trasformazione del mondo camorristico negli ultimi anni ha portato anche a una
metamorfosi del ruolo femminile che da identità materna è diventata una vera e
propria figura manageriale.
Si tratta di donne dure. Senz’anima. La loro bellezza è marcata, spesso volgare
e la sensualità sbattuta con senso di sfida in faccia al mondo. Vivono all’ombra dei
propri mariti, padri e fratelli ma sono pronte a diventare capi, a comandare, a
impartire ordini di morte, come gli uomini e peggio degli uomini, come nel caso
168 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “Donne”, pag. 151.
107
Donna Imma; oppure possono essere semplici compagne, alleate, come Patrizia; o
veri e propri boss della malavita come Chanel.
Immacolata prende le redini del clan all'arresto del marito e spedisce il figlio in
Honduras per trattare
con i narcos
consapevole che, se
riuscirà nell'impresa,
non solo potranno
acquistare cocaina a
un prezzo più
conveniente, ma
finalmente Genny
sarà pronto a fare il
boss. Decide poi, per compagnia e per difesa, di adottare un grosso cane trovato per
strada, che sfoggia mentre passeggia tra le strade di Scampia quasi come simbolo
della sua autorità. Durante l'assenza degli uomini, intraprende una gestione
tipicamente femminile concentrata sugli affari e mirata ad evitare ogni tensione tra
clan: non si tratta di senso etico, ma della consapevolezza che le guerre rovinano gli
affari e attirano l'attenzione delle forze dell'ordine e dei media. Ciò che
contraddistingue l’operato delle donne all’interno della camorra è proprio la loro
minore ossessione riguardo l’ostentazione del potere e minore volontà di conflitto.
L’astuzia di questa donna si palesa quando intuisce che Ciro è un pericolo, ma,
coerentemente con la sua linea d'azione, non lo fa eliminare, lo relega a ruoli in cui
possa fare meno danno possibile. La ferocia e la freddezza calcolatrice di un vero
boss la dimostra quando, dopo aver imposto al consulente finanziario una certa
gestione del denaro, avendo quest’ultimo fatto un passo falso che esponeva i loro
affari alle indagini di polizia, lo obbliga a suicidarsi così da non veder bloccati i
propri conti correnti. D’altra parte la sua linea si rivela troppo morbida nei confronti
di Ciro e il suo desiderio di potere; nel tentativo di trattare con lui, perde la vita,
108
uccisa proprio da Ciro in mezzo alla strada. Un destino simile a quello di un’altra
donna boss, Immacolata Capone, uccisa nel Marzo del 2004 a Sant’Antimo. Come
Donna Imma, anche lei era senza scorta e l’esecuzione avvenne per strada al centro
del paese. Due colpi secchi che colmarono il ritardo culturale che evitava di toccare
le donne. Nessuna differenza tra uomo e donna, nessun codice d’onore.
Anche se come abbiamo visto nel capitolo precedente, la figura di Pietro
Savastano ricorda quella di Paolo Di Lauro, quella di Donna Imma non rimanda in
alcun modo alla figura della moglie del vero boss, Luisa D’Avanzo, la quale è ancora
in vita. Il vuoto creato dalla morte di Donna Imma viene colmato nella seconda
stagione con la figura di Chanel. Lei non è una iena, e ci tiene ad esserlo. Perché “na
pantera è bella assaie, ma nun conta nu cazz, invece miezz e iene a cummannà song
‘e femmene”. Le importa solo del comando, del potere, del controllo di una piazza
di spaccio, dei danari.
Il volto di Chanel, Cristina Donadio, la descrive così: “Un personaggio malato,
affetto da malvagio egocentrismo. Fa male agli altri per salvare se stessa”. “Bivt nu
poco r’acqua”, è la frase che rivolge ad un ragazzo, affogato nel suo stesso sangue,
per punirlo di uno sgarro. Occhi di ghiaccio, anche quando assiste all’esecuzione
Donna uccisa per strada, nel centro del comune
di Sant’Antimo, Napoli.
109
dell’uomo che “mette ‘e corn” al figlio Lelluccio: lui è a terra agonizzante, lei lo
guarda impassibile e gli lancia il mozzicone della sigaretta. Chanel non ha marito,
nessun uomo a cui
sottostare, al vertice c’è
solo lei. Alla moglie di
suo figlio, che più che
una moglie è una
prigioniera in casa sua,
Chanel dice: “Mariné
c’è sultant na manera pe
na femmena si vo essere
libera: nun adda tené
nisciun marito”. Ruvida, diffidente, feroce, è diventata “reggente” dell’importante
piazza di spaccio di Scampia al posto del fratello Zecchinetta, ucciso dai giovani
guaglioni di Genny. C’è chi pensa che la figura di questa boss sia stata ispirata alla
vita di Maria Licciardi, detta “a piccerella”, sorella di Gennaro “a scigna”, diventata
il capo indiscusso dell’Alleanza di Secondigliano e che si trova attualmente in
carcere. Ma sembra avvicinarsi molto anche alla figura di Anna Mazza, vedova del
padrino di Afragola e conosciuta come “la vedova nera della camorra” di cui parla
Saviano nel libro.
Parlando di Marinella, la
moglie del figlio di
Chanel, in lei vediamo
invece una sfaccettatura
diversa e altrettanto reale
di queste camorriste.
Marinella è infatti
una donna di camorra suo
110
malgrado, che vive ormai da prigioniera in un mondo in cui è facile entrare ma quasi
impossibile uscire.
La camorra è lotta per il potere e per i soldi. “Il potere va esibito”, dice Genny
Savastano. Anche lui ha una donna, si chiama Azzurra, figlia di un boss trasferitosi
sul litorale laziale, dove ripulisce i narco-euro con appalti e costruzioni. Genny se
ne libera con una soffiata ai carabinieri. Fa arrestare il suocero proprio nel giorno in
cui sposa Azzurra. La lotta per il potere non conosce regole. Genny spiega così il
suo gesto alla giovane moglie. “Tuo padre mi aveva proposto un’alleanza in cui io
ero sempre al secondo posto, e noi non dobbiamo essere secondi a nessuno. Azzurra,
noi dobbiamo essere i padroni del nostro futuro”. Lei abbassa gli occhi e capisce:
“Tradisco il mio sangue per te”169.
Ancora diversa è la figura di Patrizia, una ragazza che lotta da quando è nata,
ha perso i genitori molto
presto ed ora è
capocommessa nel negozio
di abbigliamento dove si
servono tutte le donne più
in vista di Secondigliano.
Un luogo privilegiato per
carpire informazioni utili
per suo zio, “Malamò”,
luogotenente e fedelissimo
di Pietro Savastano. La ragazza, che fino ad allora era rimasta del tutto estranea al
clan, passa presto da essere una semplice ambasciatrice ad essere l’amante del boss.
È giovane, ha tre fratelli da mantenere, rischia la vita, ma è affascinata da Don Pietro.
Lo rispetta. Quando il boss la disprezza per quel tatuaggio sul braccio (una leonessa),
lei se ne libera col fuoco. Scala lentamente l’anima di Don Pietro, il quale sembra
169 “Gomorra”, regia di Stefano Sollima, Sky Atlantic 2016, seconda stagione, episodio 12.
111
ritrovare uno sprazzo di umanità quando ancora in lotta per riconquistare il potere le
confida: “Patrì, so stanco. So stanco ma nun me pozzo fermà”.
Forse sarà proprio lei la donna boss della terza stagione, dopo l’omicidio di
Don Pietro con cui si conclude la seconda. È proprio Genny, a condurre Ciro
l’immortale ad ammazzare quel padre ingombrante, vecchio boss che non capisce
che “’e cose so cagnat”.
Capitalismo selvaggio e senza regole, voglia di accumulare denari e
conquistare spazi con tutti i mezzi. La camorra non ha codici da rispettare, i legami
di sangue non contano, la fedeltà è una favola per bambini. Questa è la camorra,
quella vera.
112
DON PEPPINO DIANA
«Nel Sistema camorra l'omicidio risulta necessario, è come un versamento in
banca, come l'acquisto di una concessionaria, come interrompere un'amicizia. [...]
Ma uccidere un prete, esterno alle dinamiche di potere, faceva galleggiare la
coscienza»170
“Chi è Don Peppino?”171 “Sono io...”; una risposta, cinque colpi attraversano
le navate, due pallottole raggiungono il volto, le altre la testa, il collo e una mano.
Marzo 1994, Saviano
aveva sedici anni quando
partecipò al funerale di
Don Peppino, ennesima
vittima innocente le cui
parole fecero tremare i
boss più di un blitz
dell’Antimafia.
Venne ucciso per il
suo coraggio, per aver
alzato lo sguardo e aver
osato scrivere: “Per amore del mio popolo non tacerò”172. Si trattava di documento
religioso dal titolo forte, in cui Don Peppino imponeva dei limiti per la
partecipazione di alcuni individui alle funzioni religiose e ai sacramenti: non
permettere la partecipazione ai sacramenti a coloro «cui non sia notoria l’onestà della
vita privata e pubblica»173. Don Peppino cercava di spronare le persone perché, come
affermava, Dio ci chiama ad essere profeti e un profeta fa da sentinella, vede
l’ingiustizia e la denuncia.
170 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “Don peppino Diana”, pag 255. 171 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “Don peppino Diana”, pag 250. 172 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “Don peppino Diana”, pag 243. 173 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “Don peppino Diana”, pag 249.
113
Roberto Saviano è a suo modo un eroe civile, complementare a Don Peppino
Diana, vittima innocente, Nella sua figura si rispecchiano i
molti casi di persone rimaste uccise “per errore” o per
“comodità”.
L’autore ci racconta alcune di quelle
storie che parlano di morte, dolore e
rivendicazione. Si parla di Annalisa
Durante, una ragazzina di soli quattordici
anni, la cui unica colpa fu quella di trovarsi
sotto il portone sbagliato, al momento
sbagliato. «I fiori non erano ancora giunti, manifesti affissi
ovunque, messaggi di cordoglio, lacrime, strazianti ricordi delle
compagne di classe. Annalisa è stata uccisa.»174; Attilio Romano,
ucciso “per sbaglio”, “per un errore”. «Attilio ha tentato di
nascondersi dietro il bancone. Sapeva che non serviva a nulla,
ma magari ha sperato segnalasse che era disarmato, che non
c'entrava nulla, che non aveva fatto niente» 175 ; Dario
Scherillo, fu un altro “errore”, su di lui
Saviano scrive: «mentre camminava in
motocicletta viene colpito in faccia, al
petto, lasciato morire a terra nel suo
sangue che ha il tempo di impregnare completamente la camicia.
Un ragazzo innocente. Gli è bastato essere di Casavatore, un
paese martoriato da questo conflitto»176.
La Campania è il territorio con più morti ammazzati in
Italia. Saviano scrive Gomorra a 24 anni. In quei 24 anni la camorra ha ucciso
tremilaseicento persone.
174 Gomorra, Roberto Saviano, Mondadori 2006, “Donne”, pag. 167. 175 Gomorra, Roberto Saviano, Mondadori 2006, “La guerra di Secondigliano”, pag. 128. 176 Gomorra, Roberto Saviano, Mondadori 2006, “La guerra di Secondigliano”, pag. 132.
Annalisa Durante, una ragazzina di soli quattordici anni, uccisa a Forcella il 27 marzo 2004 durante una sparatoria consumatasi proprio davanti a lei. Attilio Romano,
ucciso a Napoli il 24 gennaio 2005 da tre sicari incaricati di uccidere Salvatore Luise, nipote del boss scissionista Rosario Pariante.
Dario Scherillo, ucciso a Napoli da alcuni killer camorristi, il 26 dicembre 2004.
Gelsomina Verde, 22 anni, torturata, uccisa e bruciata il 21 novembre 2004 a Napoli.
114
Particolarmente sconvolgente è poi il caso di Gelsomina Verde, il cui omicidio
fu davvero efferato. La giovane fu uccisa perché legata sentimentalmente a un
giovane affiliato, Gennaro Notturno, che si era avvicinato agli scissionisti. Aveva
solo ventidue anni e con quel ragazzo neanche ci si sentiva più.
Purtroppo per le logiche camorristiche i famigliari, gli amici, le fidanzatine,
non rappresentano madri, padri, amori, affetti, bensì mappe. Mappe da usare per
riuscire a risalire alla persona che si cerca.
Gelsomina, detta Mina, conquista un posto nella serie attraverso il personaggio
di Manu, quasi fosse un gioco di parole; il legame è reso evidente anche dal titolo
stesso dell'episodio che è appunto Gelsomina Verde, un titolo che non richiama
nessun elemento della puntata e che dovrebbe spingere anche lo spettatore che non
ha conoscenza del libro ad indagarne l'origine.
Nel libro Saviano racconta questa storia dal suo punto di vista: una telefonata
notturna lo informa del ritrovamento di un cadavere bruciato in un auto, recatosi lui
stesso sul luogo descrive la scena che gli si presenta davanti, poi segue gli agenti di
polizia in Questura e assiste alla conferenza stampa riportando i commenti sprezzanti
dei giornalisti sulla morte di un presunto camorrista, ma all'improvviso arriva il
115
colpo di scena: non si tratta di un criminale, ma di una ragazzina, che prima di essere
uccisa e bruciata è stata anche brutalmente torturata. Solo a questo punto Saviano
ricostruisce la vicenda di Mina, il cui legame sentimentale con un giovane
scissionista le è valsa una condanna ad una morte atroce.
Nella serie tv, lo stesso nucleo narrativo di partenza subisce una mediazione
diversa e il percorso conoscitivo che porta al drammatico evento è rovesciato rispetto
a quello che attraversa il lettore nel libro: lo spettatore conoscerà prima un ragazzino
che si lascia assoldare
da un camorrista e,
solo dopo viene a
contatto con la
spensieratezza della
fidanzatina di lui, del
tutto estranea ai fatti.
La sequenza del
rapimento rappresenta un vero e proprio climax di tensione per lo spettatore che ha
già facilmente intuito il pericolo che la ragazza sta correndo e si ritrova ad assistere
del tutto impotente alla violenza che si consuma davanti ai suoi occhi, più o meno
investito dal disgusto e dalla rabbia verso ciò che vede.
In questa rappresentazione è stato palesato anche un altro problema sociale che
nel libro resta soltanto un velo tra le righe: la scarsa consapevolezza dei giovani di
cosa implica lavorare per un clan e la loro fragilità davanti all'attrattiva che questi
ultimi, con il loro potere economico e sociale, rappresentano.
Particolarmente ben riuscita, inoltre, è la scena della tortura: la prima
inquadratura è realizzata in condizioni di luce tale che il punto di vista sembra
esterno alla palazzina abbandonata in cui si trovano i due personaggi, visibili solo
come ombre attraverso i vetri. In realtà, non appena Ciro, il rapitore, accende la luce,
ci si accorge che si trattava soltanto un'illusione ottica: il punto di vista è interno alla
116
stanza e di fronte, non dietro, ai due personaggi, è come se lo spettatore fosse
proiettato proprio lì insieme a loro e costretto ad assistere a quella terribile scena.
Infine, così come nel libro il momento dell'omicidio è omesso: mentre sulla
pagina scritta si passa dalla notizia del ritrovamento alla ricostruzione dei fatti, sullo
schermo si salta dalla tortura alla notizia del ritrovamento ed è lo spettatore, grazie
alla sua competenza interpretativa, a collegare automaticamente i due eventi. Nella
serie il fidanzato di Manu, Danielino, lavora come apprendista nell'officina
meccanica dove Ciro porta a riparare la sua moto. Ha un fratello più grande che
lavora prima come corriere e poi come autista personale di Salvatore Conte.
Daniele, dal canto suo, un lavoro ce l'ha. Non entra nella spirale dei clan a causa
della disoccupazione, bensì cede alle lusinghe di Ciro che gli promette soldi in
quantità se accetta di fare il corriere per lui: questo per Danielino vuol dire arrivare
allo stesso livello del fratello che tanto ammira, significa non farsi più prendere in
giro dai suoi coetanei appartenenti alla cricca di Genny, significa dare alla madre un
tenore di vita migliore in breve tempo. Ciro, però, non ha intenzione di fargli fare il
corriere, ma il sicario. Ha bisogno di una persona ancora ingenua, che non faccia
troppe domande, che non abbia paura dell'aria di guerra come gli adulti dei clan, ma
allo stesso tempo non vuole uno sbruffone, né tanto meno qualcuno vicino a Gennaro
117
Savastano: necessita di un novellino da istruire per i suoi fini. Gli insegna a sparare
e Daniele, che una pistola l'ha vista solo in tv, la impugna alla maniera dei gangster
dei film, tenendola in orizzontale.
Con i soldi dell'anticipo Danielino compra un anello di fidanzamento per Manu,
che, come molte sue coetanee, lavora dopo la scuola e non vede l'ora di sposarsi per
uscire di casa. Per quanto ingenua ed estranea ai fatti, non si può certo negare che
Manu non abbia sospetti sulla provenienza dell'anello d'oro e brillanti che il
fidanzatino minorenne le regala, eppure non fa domande, eppure ne è contenta. Di
lei purtroppo rimarrà solo quell'anello, simbolo del compromesso tra un tenore di
vita dignitosa e un legame con la malavita. Infatti dopo il suo primo “lavoro” da
killer, il ragazzo apprende dal telegiornale che l'uomo a cui ha sparato non era un
semplice debitore dei Savastano, come gli aveva detto Ciro, bensì uno dei pezzi
grossi di Conte. Si spaventa, chiama Ciro, chiede spiegazioni e questo lo rassicura
dicendogli di venirsi a prendere il resto dei soldi. Perché è stato bravo. Ma Daniele
ha paura, lascia Manu al bar e chiede al suo amico Bruno di nasconderlo nel capanno
dei nonni. Bruno non vuole saperne niente, ma acconsente a fornirgli un
nascondiglio e ad andare a prendere la ragazza al bar. Ciro nel frattempo si
insospettisce e ci arriva prima di lui, carica Manu in auto con la scusa di essere un
amico di Daniele e la porta in una palazzina abbandonata. Qui inizia a torturarla per
farsi dire dov'è Daniele, la picchia a morte fino ad ucciderla. Poi brucia il cadavere
in un auto. Di lei rimane solo l'anello d'oro appena ricevuto. Quest'unico dettaglio
trasmesso al tg basta a Danielino per capire cosa è accaduto. Sul momento tenta di
suicidarsi, poi chiama il fratello e invoca il perdono di Conte. Quando i due
s'incontrano quest'ultimo finge di passare sopra l'accaduto, pronunciando una delle
frasi che diventeranno presto un “cult” di Gomorra: «vien, vien, vienet’ a’ piglia o’
perdono»177, «sta senza pensier»178. Conte lo stringe a se, un abbraccio che racchiude
in pochi secondi una forte tensione avvertita dallo spettatore che è consapevole ma
177 “Gomorra”, regia di Stefano Sollima, Sky Atlantic, prima stagione, episodio 10. 178 Frase divenuta simbolo, utilizzata ripetutamente dai personaggi della serie.
118
non vuole ammettere a se stesso ciò che succederà. Appena lo lascia Conte spara a
tradimento un colpo alla
tempia al ragazzino.
La storia di
Danielino finisce con
l'omelia del sacerdote al
suo funerale: parole prese
testualmente dal libro di
Saviano, che riprendono
quelle pronunciate
realmente da Padre Mauro
per un ragazzo, Emanuele,
detto, casualmente, Manu, ucciso dalla polizia durante una rapina a mano armata179.
Saviano, afferma di aver preso parte a quel rito funebre e ce lo racconta nel suo
libro riportando quelle parole che, come dice il sacerdote stesso, «non bussano con
le nocche, ma con le unghie» alle coscienze di chi ascolta.
Nella serie televisiva il discorso viene appena modificato per adattarlo al
personaggio, ma il contenuto resta invariato: “Tutti sappiamo che oggi non è morto
un eroe. [...] Per quante responsabilità possiamo attribuire a Daniele, restano i suoi
sedici anni. I figli delle famiglie che nascono in altri luoghi d'Italia hanno opportunità
che qui sono state negate. Qui non ci sono colori. Qui tutto è grigio. Qui non ci sono
luoghi dove far sviluppare nel bene i talenti dei nostri figli. Questo è un quartiere
dormitorio. Qui vogliono che la gente resti tappata in casa, non deve uscire, non deve
intromettersi. Hanno voluto un'intera zona ad esclusivo uso dello spaccio a cielo
aperto. Il Padreterno terrà conto che se Daniele ha commesso degli errori, sono stati
errori commessi da un ragazzo di sedici anni. Un ragazzo che certamente era
responsabile di quello che stava facendo. Ma sedici anni sono così pochi che ti
costringono a guardare meglio cosa c'è dietro, e ti obbligano a distribuire le
179 Emanuele Petroso, 15 anni, ucciso il 7 febbraio del 2005.
119
responsabilità. Quella di Daniele è un'età che bussa alla coscienza di chi ciancia di
legalità, di lavoro, di impegno”180.
In questo discorso emerge innanzitutto la chiave di lettura del mondo di
Gomorra dipinto nella serie, un mondo dove tutto è grigio, dove la guerra te la senti
dentro, perché tutti in un modo o nell’altro ne possono restare uccisi.
Il tema dei così detti “baby killer” è uno dei più importanti trattati da Saviano
tanto da spingere l’autore a dedicargli un libro intero “La Paranza dei Bambini”181.
In quest’ultimo suo ultimo libro Saviano ci parla di ragazzi senza un domani
che non temono il né carcere né la morte, perché sanno che “i soldi li ha chi se li
prende”.
Hanno non più di quindici anni e sfrecciano sui loro motorini tra i vicoli alla
conquista di Napoli.
180 “Gomorra”, regia di Stefano Sollima, Sky Atlantic, prima stagione, episodio 11. 181 Roberto Saviano, “La paranza dei bambini”, Feltrinelli 2016.
120
Attraverso Saviano conosciamo Pikachu, quattordici anni, che ci racconta di
come una paranza gli avesse ammazzato il cane “Careca” per sbaglio. Il cane aveva
iniziato a grattare la porta della casa di fronte la sua e pochi secondi dopo una raffica
di mitra lo prese in pieno. Per scusarsi dell’incidente diedero dei soldi alla famiglia,
invitarono Pikachu ad entrare e giocare con loro alla play e gli promisero che «un
giorno di questi mi portavano a sparare veramente»182.
Questo particolare episodio è riportato nei minimi dettagli nella serie tv in cui
Pikachu prende il nome di Diego183.
Infatti anche il film e la serie ci mostrano come tutti i ragazzi cadano nel vortice,
persino la giovane in sedia a rotelle che vuole lavorare per Donna Imma. Chi lo fa
per disperazione, chi per vendetta, chi perché non conosce altra realtà, chi, come
Danielino, per desiderio di affermazione sociale. Fanno le vedette, ma sognano di
fare i corrieri e poi i killer, di essere affiliati veri, magari boss, un giorno.
Saviano ci parla di come questi giovanissimi soldati vengano addestrati a non
aver paura delle armi: «Per addestrare a non avere paura delle armi facevano
indossare il giubbotto ai ragazzini e poi gli sparavano addosso»184. Nel film vengono
rappresentati i particolari salienti di quell’addestramento attraverso le figure di Totò
e Simone, rappresentanti di tanti anonimi giovani soldati della camorra.
Le loro figure aiutano anche a comprendere in quale clima fosse vissuta la
guerra di Secondigliano e quanto interiorizzata fosse la logica della lotta
camorristica. Simone dichiara all’amico che non potranno più andare d’accordo
come prima perché lui è diventato scissionista, quindi nemico di Totò ed è pronto
anche ad ucciderlo se sarà necessario. Totò è più insicuro, meno compenetrato da
quella logica militare. La sua “iniziazione” sarà completa solo quando accetterà di
attirare in trappola Maria, la madre di Simone. «Da tempo la donna non usciva di
casa, così per eliminarla usano un ragazzino come esca. Citofona. La signora lo
182 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “La guerra di Secondigliano”, pag. 115. 183 Gomorra, regia di Stefano Sollima, Sky Atlantic, prima stagione episodio 12. 184 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “La guerra di Secondigliano”, pag. 116.
121
conosce, sa bene chi è, non pensa a nessun pericolo. Scende ancora in pigiama, apre
il portone, e
qualcuno le punta la
canna della pistola
in faccia e spara»185.
L’episodio
dell’uccisione di
Maria serve a
mostrare un aspetto
fondamentale della violenza camorrista: l’obbligo dell’obbedienza al clan fino al
tradimento dei propri cari.
La storia è un evidente richiamo alla vera trappola tesa a Carmela Attice, uccisa
in pigiama e ciabatte davanti il suo portone dopo aver aperto ad un ragazzino amico
del figlio.
Corteo per Carmela Attice.
185 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “La guerra di Secondigliano”, pag. 109.
122
Nel suo libro Saviano dedica diverse pagine al racconto di come dei ragazzini
reagiscano di fronte a quell’omicidio. In particolare, scrive: «Stavo per andarmene
dal luogo dell'agguato a Carmela Attrice quando sentii parlare un ragazzino con un
suo compagno. I toni erano serissimi: “Io voglio morire come la signora. In testa,
pam pam… e finisce tutto. “Ma in faccia, l'hanno colpita in faccia, in faccia è
peggio!”, “no, non è peggio, è un attimo comunque. Avanti o dietro sempre testa è!”
Mi intrufolai nei discorsi cercando di dire la mia e facendo domande. Così chiesi ai
ragazzini: “Meglio essere colpiti al petto, no? Un colpo al cuore ed è finita…” Ma il
ragazzino conosceva molto meglio di me le dinamiche del dolore […]: “No, al petto
fa male, malissimo e muori dopo dieci minuti. Si devono riempire i polmoni di
sangue. […] Invece la testa è meglio, così non ti pisci sotto, non ti esce la merda per
fuori. Non sparpetei per mezz'ora a terra…”186
Un’altra sfumatura di questo mondo feroce, che viene accennata nella serie, è
la differenza tra il figlio di un boss e uno di poco conto. Significativo è l'episodio di
Pasqualino, un ragazzo in carcere per rapina: è povero, non ha una posizione di
rilievo nel clan e, senza un'adeguata assistenza legale, viene condannato a parecchi
anni di carcere. Don Pietro assume un atteggiamento paterno e consolatorio nei suoi
confronti, ma, preso dagli affari che davvero contano, invece di preoccuparsi della
sua difesa in tribunale, gli presta una camicia per farlo apparire ben vestito, perché
nel suo mondo le apparenze contano.
D’effetto è la sequenza che mostra in montaggio alternato questo giovane che
si impicca nella sua cella e, al medesimo tempo, Genny che può permettersi di
allestire un'esibizione dal vivo del cantante preferito della sua ragazza per
conquistarla. La scena segna l'abisso che separa i due ragazzi per nascita.
Nel libro Saviano riporta la lettera di un ragazzino rinchiuso in un carcere
minorile, che consegnò a un prete e fu letta durante un convegno. Nella lettera il
ragazzo afferma che tutti quelli che conosce sono morti o in galera. Dice di non voler
diventare un boss, ma di voler avere negozi, fabbriche e donne. Vuole tre macchine
186 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “La guerra di Secondigliano”, pag. 112-113.
123
e vuole rispetto quando cammina per strada o quando entra in un bar. E poi vuole
morire, ma morire come un vero uomo, uno che comanda veramente. Vuole morire
ammazzato.
Mercoledì 30 novembre alle ore 14:00 è andata in onda l’anteprima il servizio
documentaristico a cura di Michele Santoro: “Robinù”. Si tratta di un racconto vivo
e dal vivo di giovanissimi
gangster immersi in un
nichilismo senza aspettative e
senza rimorsi. Storie vere e
facce vere, come quella di
Michele, un giovane che con
naturalezza racconta di essere
infatuato del mitra, u kalà:
«Con quello in mano non hai
paura di niente, tiene 33 botte, è
come camminare blindato».
«Mafia e camorra ci arrivano
nelle case attraverso fiction
come “Gomorra” oppure con le espressioni usate nelle deposizioni dei pentiti.
Invece i ragazzi di “Robinù” non sono né attori né mostrano pentimento ma scontano
la pena a Poggioreale e ad Airola restando ciò che sono.
Emerge un racconto molto crudo, una descrizione unica della loro condizione.
Sparano già prima dei quindici anni e raramente arrivano ai trenta»187.
Gomorra affonda indubbiamente le sue radici nella realtà, ma lì, per esigenze
narrative, i caratteri sono scolpiti un po’ come maschere; in “Robinù” i ragazzi sono
capaci di ammazzare anche per la più stupida delle ragioni e come spiega il direttore
di Poggioreale, nonostante gli sforzi degli operatori, siamo lontani dall’individuare
187 Michele Santoro, “I ragazzi di ‘Robinù’ armati a otto anni ma non è una fiction”, “Corriere della Sera”, 8 dicembre
2016.
124
un possibile cammino di redenzione. A Poggioreale ci sono duemila storie diverse,
che non sono affrontabili con la semplice sociologia.
Il sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, ha polemizzato: certe rappresentazioni
danneggerebbero Napoli. Ma la soluzione non può certo essere il silenzio. Santoro
afferma: «Vedo tanta ipocrisia. Lasciamo che le cose restino così, che si ammazzino
tra di loro, che le pistole circolino per le mani di bambini di otto anni, meglio non
occuparsene. Insomma, non vedo le forze politiche impegnate in un programma di
risanamento sociale adeguato. A partire dall’obbligo scolastico: se escono dalla terza
media sono quasi sempre analfabeti perché, senza strumenti eccezionali, è
impossibile recuperarli allo studio. Molti insegnanti, di fronte a un ragazzino di
undici anni che si comporta già come un piccolo boss, pensano sia meglio non averlo
in classe. E così si va
avanti…» 188 . Da questo
reportage emerge chiaramente
la mentalità di questi ragazzi,
per non dire bambini: un'arma
in mano ti cambia la vita.
Anche se non hai ancora vent'
anni. Potrebbe durare
pochissimo, oppure a lungo,
dipende tutto da quell' arma. Come nel Far West, come in guerra, come a Napoli nel
2016, se hai deciso di fare il malavitoso. Questo significa sparare più degli altri,
ammazzare prima che ti ammazzino, diventare capo facendo fuori il capo precedente
e i rivali dalle stesse pretese.
Uno dei ragazzi intervistati afferma di aver imbracciato per la prima volta un
kalashnikov a 17 anni con la naturalezza di chi racconta il primo calcio tirato a un
pallone; è la faccia della nuova camorra disorganizzata, quella che continua a
188 Michele Santoro, “I ragazzi di ‘Robinù’ armati a otto anni ma non è una fiction”, Corriere della Sera, 8 dicembre
2016.
125
insanguinare Napoli e dintorni senza che nessuno si inquieti più di tanto. Una
scrollata di spalle: «È bellissimo, è come avere una macchina a benzina invece che
a diesel. È come abbracciare Belén»189. Frasi che racchiudono l'intero orizzonte di
quella malavita: armi, donne e motori. A parlare è ancora Michele, intervistato
direttamente dalla cella di Poggioreale dove è entrato a 22 anni e dovrà trascorrere i
prossimi sedici, mantenendo un sorriso che sa di rassegnazione ma anche di sfida
verso chi non riesce a capire, Michele spiega che voleva avere «femmine, potere e
soldi», per questo ha fatto quello che ha fatto: «La 357 spara da sola, quasi...».
Aspirava a diventare un capo, adesso il suo mondo è racchiuso da sbarre ma questo
non lo scoraggia anzi:
«uscirò a quarant' anni, sarò
peggio di prima.
Un altro giovanissimo
afferma: «Se tieni un leone
in gabbia, quando lo metti
fuori che fa? Deve
mangiare». Fuori c'è chi lo
ammira, chi lo aspetta,
tranne suo fratello Angelo che per sfuggire a quel futuro è andato a fare il pizzaiolo
a Parigi; dal carcere Michele lo rinnega: «per me è morto» 190 . Angelo invece
pensando al fratello afferma commosso: «Mi manca». Sono ragazzi senza controllo,
senza famiglia e senza la ben che minima fiducia nelle istituzioni; «mi hanno
bocciato quattro o cinque volte» dice uno mentre deride i coetanei che entrano in
classe e sembra che li compatisca.
Si parla anche di Emanuele Sibillo, morto ammazzato da latitante nel luglio del
2015. Aveva 19 anni. Si era fatto crescere la barba, come gli altri del suo gruppo per
i quali era diventata un segno distintivo insieme ai tatuaggi, alcuni commercianti del
189 Parla Mariano, uno dei ragazzi di Robinù. 190 Parla Michele Mazio, uno dei ragazzi di Robinù.
126
quartiere gli hanno dedicato un busto di gesso e un bambino a carnevale si è
mascherato con le sue sembianze. La filosofia dei baby-boss è tutta qui: prima per
affermarsi bisognava aspettare di crescere; adesso non serve più, basta farsi largo a
colpi di kalashnikov o di 357, e sei già grande. Comandi, diventi un capo, in attesa
di farti sfidare dal prossimo aspirante. In passato lo facevano gli adulti, finiti sotto
terra o in galera, adesso tocca a loro.
Saviano nomina un intero capitolo con il nome “Kalashnikov”, in cui si
sofferma a parlare di Michail Kalashnikov, l’inventore di quest’arma che ha fatto
più morti della bomba atomica di Hiroshima e Nagasaki, più del virus dell’HIV, più
della peste bubbonica, più della malaria. Quest’arma, più comunemente conosciuta
come AK-47 (Avtomat Kalashnikova, modello del '47) «è il mitra più popolare del
mondo, un'arma che tutti i combattenti amano. Un amalgama di 4 chili d'acciaio e
legno multistrato. Non si rompe, non si inceppa né si surriscalda. Spara se è coperto
di fango o pieno di sabbia. È così facile da usare che anche i bambini possono farlo,
e spesso lo fanno»191.
Il servizio Robinù ci mostra un tipo di criminalità un po' anarchica e senza
regole. Un mondo semisommerso, difficile da fotografare; le cifre sono in parte
raggiungibili guardando a quanto possiamo attingere dai tribunali e dalle procure
minorili, ma la realtà è molto più macroscopica.
191 “Lord of War”, regia di Andrew Niccol, USA 2005, Yuri Orlov (Nicolas Cage).
127
Sono giovani bruciati, che finiscono nella rete della malavita per motivi non
solo di carattere economico, ma soprattutto legati alla cultura del posto. È un sistema
che ingloba la vita di questi ragazzi e li sfrutta per i propri interessi, facendo forza
soprattutto su situazioni di debolezza e di bisogno che maturano nel degrado delle
periferie. Giovani per cui lo Stato non fa nulla.
22 febbraio 2017, una ragazza di 17 anni è stata scoperta dai Carabinieri mentre
consegnava droga insieme alla sorellina di appena 7 anni, nella zona del Pallonetto
a Santa Lucia, a Napoli. Secondo l'accusa, l'adolescente partecipava a tutti gli effetti
alla gestione di una piazza di spaccio dopo l’arresto di entrambi i genitori. Due
ragazzine che, come molti altri giovanissimi, dopo l’arresto dei genitori sono state
abbandonate dalle autorità e lasciate in pasto al Sistema.
Alle polemiche riguardo la possibilità di un’emulazione dovuta a reportage
come questo, o a libri, o a film come Gomorra, io rispondo dunque che questi ragazzi
non stanno emulando qualcosa che vedono in tv, bensì qualcosa che vedono per
strada e che per alcuni fa già parte della propria vita.
Scampia, “Le Vele”, Napoli.
128
CONCLUSIONE
Gomorra è…
Sono giunta alla fine e mi ritrovo ferma davanti a queste pagine, a tutte queste
parole impresse su carta; parole che giorno dopo giorno si sono trasformate,
arricchite e evolute, dando infine forma e vita a questa tesi. Ora, pensando ad una
conclusione, vorrei solo trasmettere, attraverso pochi ma significativi concetti,
l’essenza del mio lavoro e, se posso, quello di Saviano.
Gomorra è la parola che, con forza e senza filtri o censure, attraverso diverse
forme, rappresenta la cruda realtà.
Gomorra è un libro che porta alla luce un mondo sotterraneo ma neanche
troppo. È un film e una serie, un occhio che permette di osservare, nonostante i filtri
cinematografici, una realtà lontana dalla finzione e pienamente conforme alla verità.
Gomorra è sprono per le singole persone ad essere occhi vigili, capaci di
conoscere la realtà che li circonda, informandosi e non voltandosi dall’altra parte.
Gomorra è un giornalista, uno scrittore, che ha immolato la sua stessa vita in
nome della verità.
Gomorra è una grande fotografia della camorra: palazzoni di cemento e giovani
vite ostaggio della violenza e del degrado.
Gomorra sono le potenti famiglie camorristiche che, con violenza e infami
complicità, sono diventate Stato laddove lo stesso Stato si è reso volutamente
fantasma.
Gomorra sono le vittime innocenti, le famiglie spezzate da una guerra cieca.
Gomorra sono “i ragazzi del vicolo”, giovani resi bestiali, che pigiano con
estrema facilità un grilletto annientando altre vite.
Gomorra è l’occasione per alcuni di far conoscere, al mondo, la propria
esistenza pronunciando frasi impregnate di moralismo e ipocrisia, affermando che
Gomorra è un male.
129
Ma alla fine la verità è che Gomorra è e resterà un documento di inestimabile
valore, che tra decenni saprà ancora testimoniare indelebilmente un periodo, un
territorio, un dramma comunque impossibile da cancellare.
Grazie.
130
“Non credo più nel concetto astratto di giustizia, una giustizia in nome della quale
l’umanità ha commesso i crimini peggiori. No, non ci credo più. Credo, invece, e
con tutto me stesso, nel bene compiuto dal singolo, occhi negli occhi, mano che
aiuta mano”.
(Roberto Saviano)
131
CHAPTER I
GOMORRA. A JOURNEY THROUGH THE BOOK, FILM AND SERIES
“The book is a narration based on my observation, my eyes. Coverage,
investigation, novel, diary. In the film there isn’t my point of view, and everyday
criminality becomes the focus. It describes an atmosphere. The series shows the
dynamics. It was possible to dig deeper into that world. The ethic is to face evil”192
Italy is at war. It is a bloody war, hidden in neighbourhoods, towns, cities, that
every year causes hundreds and hundreds of victims. It has been like this for more
than two hundred years.
In the war against Camorra, if you want justice done, you cannot rely on what
your eyes have seen, because there are no ruins, no evidence, killings are rapid and,
once the blood has been removed from the side road, all is calm again, as if you were
the only person to see or to suffer. Anyone else would be ready to say “it’s not true”.
It is a war that affects us all, because the Mafia is our neighbour, our employer,
the mayor of our town, our landlord. The Mafia is everywhere. Yet it seems
something far, far away, something that does not concern us directly.
192 My translation: Roberto Saviano, “Gomorra? È la realtà negata dai politici”, “Corriere Della Sera”, 24th May
2016.
7th September 2015. The Italian Interior Minister, Angelino Alfano, decided to desploy extra troops to control the territory in Campania.
132
In this gloomy scenario, ten years ago, a sensational and unexpected book, by
Roberto Saviano, made the headlines, for better or worse, upsetting both the Italian
publishing world and the international one: “Gomorrah. A Personal Journey into the
Violent International Empire of Naples’ Organized Crime System”.
Gomorrah is a non-fiction novel, an investigation, a documentary, a story, an
analysis, a sociological
essay, a sensitive
portrait of a corrupt
society. Above all,
Gomorrah is the reality,
the harsh and ruthless
observation of what, for
years, has been taking
place in a large area of
the Italian territory. It
was something that,
before this book, did not provoke neither shock nor indignation.
Everything started with a statement which became a story that, in April 2006,
drawing the attention of the Italian media. Words that have gained more and more
strength, by turning into different forms of communication: from book, to film, to
series.
The aim of Saviano is to fight the “System”193 with another system, the artistic
one, to break silence and indifference, showing different shades of an organization
which was believed defeated but, in silence, became more powerful than “Cosa
Nostra”194 for number of members and turnover: the Camorra.
193 Term used to refer to criminal organizations. Roberto Saviano speaks about it in his book “Gomorrah”, chapter
“The System”: «System — a term everyone here understands, but that still needs decoding elsewhere, an obscure
reference for anyone unfamiliar with the power dynamics of the criminal economy». 194 A criminal organization in Sicily.
133
The story begins with the war of Secondigliano195, from the rise of the Di
Lauro196 clan, to the internal conflict that caused 80 deaths in just a month. The most
ruthless
Camorra war that southern Italy has seen in the last twenty years.
It is a compelling first person narration in which the author blends the accuracy
of a researcher, the courage of a journalist and, most of all, the painful love for his
city.
He led us on a journey within the places where the Camorra had its roots and
is still rooted, directly from the places where the attacks took place, as well as from
the shops and the factories belonging to the clans, through the eyes and the stories
of those people who choose to, or have to live with the Camorra.
The writer also confessed to being personally involved in some illegal dumping
at the port of Naples, “the hole where they exit the world map”197 , and having
witnessed many murders, “I was 13 when I saw my first body”198. He stated he was
attracted to the underworld, but at the same time disgusted by what he saw.
Through his eyes we see an “infected” land, that of Campania, where almost
all the illegal waste ends up and where the deaths from cancer have increased by
21% compared to the rest of Italy199.
He shows a reality which is characterized by a pervasive sense of mistrust
towards authorities, by a lack of policies, by a strong sense of personal insecurity
and especially by the lack of a true social education. The author, though, shows this
reality also from another point of view: that of the luxurious villas and the
underworld of Mafia bosses who seem to come out of a Hollywood production.
Because, just as Tony Montana in “Scarface”200, Camorra people think that the world
195 Naples Neighbourhood. 196 A Camorra family that controlled and still controls part of the northern area of Naples. 197 Roberto Saviano, “Gomorrah”, MacMillan 2008, chapter “The port”. 198 Roberto Saviano, “Roberto Saviano: Author of 'Gomorrah' the book exposing the Naples mafia”, “The
independent”, 17th October 2008. 199 Roberto Saviano, “Gomorrah”, Macmillan 2008, chapter “The Land of Fires”. 200 “Scarface”, directed by Brian De Palma, USA 1983.
134
belongs to them and that they are completely free to manipulate politics, the
economy and society.
This work is neither only a novel, nor a simple journalistic investigation; if it
had been a novel, the author’s words would not have had the weight of truth, and if
it had been a classic journalistic investigation, it would not have had the fluidity and
the success which it obtained. Moreover, Saviano’s creativity in Gomorrah does not
concern the invention of characters or a fantasy world, but the depiction of hidden,
potential worlds: he sees a forest where a common person would see a single tree,
he sees chains where apparently there are none.
For this purpose, even his style swings between the didactic tone, used to
specify numbers and data, and the typical one of the noir genre, aimed at creating a
strong emotional impact on the readers.
The author mentions numerous Mafia bosses, both men and women, naming
names, surnames and, most of all, nicknames. Because “the nickname for a boss is
like the stigmata for a saint, the mark of membership in the System”201.
It is clearly a novel of denunciation of what really happens in our Country and
it is also a message of hope. In fact, Saviano is a man who believes in a future where
the word “Camorra” will only belong in books, and where people from Naples will
not be the subject of prejudice for what happens in their region.
In 2008 Gomorrah became a film directed by Matteo Garrone. In his
transposition the director preferred to use an objective perspective, almost
documentary like, in which the point of view was overturned, using that of evil.
The film marks a new step in the history of adaptation from book to screen,
staging the humanity narrated on paper in the forms of a grotesque hell.
A raw and distressing picture, filming real life and having the sound of screams
and gunfire of Scampia202 as soundtrack, “punching” the viewer in the stomach,
leaving a sense of breathlessness, showing a land that screams more than those who
201 Roberto Saviano, “Gomorrah”, Macmillan 2008, chapter “The System”. 202 Naples Neighbourhood.
135
walk on it. For this purpose, the film director made a particular but effective choice:
most of the characters had never acted before. In this sense, the inexperience of the
actors, as well as
the use of the local
dialect, contributed
to give a realistic,
rough and pure
portrait of the
region in which the
real protagonist is
criminality itself.
Obviously, this
transposition does
not refer to
Saviano’s book only in the title.
Among the endless number of characters, stories and data concentrated in the
331 pages of the book, Garrone chose five intertwined stories, and made them evolve
rejecting the typical resolutions of gangster-movie.
In the film the characters seem to be part of a horror movie in which they cannot
escape from their implacable fate. The viewer remains glued to the chair from the
very first shot, accumulating tension, aware of the impending tragedy. The killers
are not beautiful as in “Kill Bill”203, they are ugly, fat and wear slippers. Life is not
worth anything and death stinks.
Matteo Garrone, unlike Saviano, did not want to make a film of denouncement,
there are no names, no surnames, no opposition of good/evil, no justice. Institutions
do not even exist. What the film director wants to show is how easily a person, or
even a child, can be trapped into the System’s network. This may happen for several
203 “Kill Bill”, directed by Quentin Tarantino, USA 2003.
136
reasons: economic ones, social ones, due to a person’s background or because he is
forced into it.
Men, women, children, they are all part of the System, living this condition
with resigned participation. There is no hope. Everything is terribly black. It seems
a faraway place, a living Hell. But this Hell is not located at the centre of the Earth,
but at the end of the “Autostrada del Sole”204, next to the cultivation of peaches
turned into toxic bombs which are the same ones we eat.
When the film was released, newspapers said it described what actually
happened in the streets of Naples and, that between the movie and the real life, there
was no difference, just a sad and perfect overlapping.
Garrone shows reality with its cruelty and we have the impression of watching
a documentary film on sharks. Common good does not exist anymore, collective
health is at risk, the interest that prevails is the economic one, at all costs.
A significant character in the film is that of Roberto, who obviously recalls the
author’s name. He is a smart and young apprentice of Franco, played by Toni
Servillo205, a stakeholder, who organises the illegal disposal of toxic waste. In the
film, Roberto is silent, but he is observant and his resolution comes to light when, in
the last scene, he moves away, alone, with his back to Franco and to all he represents.
Maybe it is a sort of reference to the creation of Gomorrah, as an act of rebellion, of
diversity.
The television series, according to Saviano, was the natural consequence of his
narrative project, as he saw TV congenial to his communicative objective: “With
fiction I was able to show the mechanisms better, giving more space to details that
people usually do not care about: how a drug dealing “square” is organized; how an
execution is prepared; how they rig elections. This is the strength of TV series. They
explain things”206.
204 The longest Italian motorway that connects Milan with Naples. 205 Italian actor. 206 Roberto Saviano, “Saviano: ora su Gomorra chiudono gli occhi”, “L’Espresso”, 12th May 2016 (my translation).
137
While in the book we can identify with Saviano - witness, protagonist, man,
with him we live and see all the System - in the series this does not happen. The
narrative technique the directors chose, with the transition from the point of view of
one character to another, is not meant to create empathy. One of the directors,
Stefano Sollima, in this regard says: “This decision had already been taken at the
beginning, before the newspapers attacked us with phrases like ‘Be careful not to
extol the beauty of evil’. Frankly, it made me smile because I knew what we had
filmed, and what would be transmitted; so I thought: ‘It is not as it seems. Just sit
back, watch the series and you will see that nothing is as you thought’. My ambition
was to create a series that had such a strong content, to be more than just
entertainment. Because Gomorrah is not a series that you can watch distractedly, it
must be digested episode after episode, with characters that do not remain static but,
as in life, evolve, grow, develop”207. Each character is shown in all his or her
contradictions and evil is something
absolutely normal, because this is
what happens in reality.
An interesting feature, which
pervades the series, is the theme of
devotion. The characters, filmed in
the labyrinth of “Le Vele”208, in dark
cars, in houses overloaded with
objects, are often surrounded by
religious symbols that appear dark,
dirty, as if they were a metaphor of the
decay of Scampia. These symbols
embody another aspect of the minds
of mafia people, who lead a criminal life while having as strong religious faith.
207 From “Intervista a Stefano Sollima”, “Nocturno.it”, 26th August 2015 (translation is mine) 208 Residential buildings built in the homonymous district of Naples between 1962 and 1975. They Their name
refers to their triangular shape.
138
The series takes hints by the primary material in the book, but includes more
events which took place after its publication. The main narrative line moves around
the “Savastano” family that is in control of the area around Secondogliano, north of
Naples, that is composed by the boss Don Pietro 209 , feared and respected by
everyone, his wife, Imma210, who behind the scenes controls the empire and their
only child Gennaro211, called “Genny”, who is at first described as a fussy and
unexperienced child not able to inherit the control of the clan.
The main narrative line follows the everyday life of this family and the war that
will take place between the clan and those members who decide to break from it.
The first one to do so is Ciro di Marzio212, “the immortal”, who wants to be the next
boss.
The story develops on two different levels, on one hand there is a personal
evolution of each of the main characters. On the other hand, through secondary
characters we are shown the different entrepreneurial aspects of this criminal
organization. Of course, that of “Savastano” is a fictitious clan, but to a keen eye, it
appears traced specifically on the characteristics of the clan Di Lauro. In fact,
although the series is a fictional work, facts and events portrayed are real - an abyss
impossible for a mind to conceive.
209 Protagonizado por Fortunato Cerlino. 210 Protagonizada por Ana Pía Calzone. 211 Protagonizado por Salvatore Esposito. 212 Protagonizado por Marco d’Amore.
139
CHAPTER II
GOMORRAH, A SOCIAL, CULTURAL AND CIVIL UPHEAVAL
“With Gomorrah I was not expecting success but to change things, shake people
and force them to see a reality that is not so hidden”213
The main value of the bestseller Gomorrah is that it has deeply shaken the
social and cultural spheres, having an impact on some aspects of today’s society.
Before its publication, people regarded Neapolitan criminality and the Italian Mafia
in a simplified, unilateral way, mainly based on the daily criminal activities. In local
and national press, murders or violence by the Mafia have always been diffusely
reported, but the complex phenomenon behind them was not under the spotlight: that
it a ferocious entity incapable of forgiving, not afraid to shed blood.
Since 2006 everything has radically changed, suddenly we have been flooded
by articles, books, papers and films about the Camorra in a more comprehensive
way. Step by step, Saviano has found the way to make collective memory aware of
213 My translation by: Roberto Saviano, “Voglio sposarmi: sarà la mia vittoria e la mia vendetta”, “Corriere della
Sera”, 9th June 2009.
Neapolitan neighbourhood of Porticelli, killing of Annunziata D’Amico, 10th October 2015.
140
the details of the history and philosophy of the Camorra. The denunciation,
impressed in Saviano’s pages, led to a series of concrete actions and more and more
people expressed their solidarity with the writer who had the courage to use the
power of words. This work has changed not only Italian public opinion but also the
international one. The writer was finally able to spread the idea that the Camorra,
like every Mafia organization, is a problem that is not confined to a region, but it has
an international power. The control of the territory, in the military sense, takes place
in Southern Italy, while investments take place all over the world.
It is certainly a different way of narrating Italy, which forces you to face evil,
with eyes wide open; a direct and transparent look criticized by the political world.
In fact, the book was criticised for having given too much publicity to the Mafia and
for soiling Italy's international image. However, Saviano responds to these
statements with a question: “If I tell you something is wrong, am I doing Italy wrong
or right?” He says, “Leopardi wrote two centuries ago that people do not hate those
who are evil, nor evil itself, but hate those who talk about it”214. Criticism still
continues today with the mayor of Naples, Luigi De Magistris, who accused Saviano
of being successful thanks to
“the Camorra gunfire” 215 .
Moreover he was advised to
become better informed and
not judge and criticize a land
that he does not know, and
not to be afraid. To be brave.
This advice was nonsense as
it was referred to a man born
and raised in a land of the
Camorra, who had the courage to sacrifice his freedom to talk about the System.
214 My translation: Roberto Saviano, “Il genere umano non odia mai tanto chi fa male, né il male stesso, quanto chi
lo nomina”, “Fanpage.it”, 29th May 2013. 215 Luigi De Magistris, Naples mayor, Facebook, 5th January 2017.
141
Saviano started his career as journalist in 2002 writing for newspapers and
magazines such as “Pulp”, “Il Diario”, “Sud”, “Il Manifesto”, also collaborating
with “Osservatorio sulla Camorra” of “Il Corriere di Mezzogiorno” and he is now
currently working with “La Republica” and “L’Espresso” and also with the most
important international newspapers. Reading his debut non-fiction novel we can
notice it has its roots in the journalistic activity of the author. He seems to weave
together, thanks to the expedient of the narrator-witness, fragments of an already
written story. One of these is the article, “The word Camorra doesn’t exist” 216,
published by the author on the collective blog “Nazione Indiana”217, that seems to
be the seed of his future literary work.
In 2009 the author retraced his personal and literary evolution, collecting his
personal writings, from 2004 to 2009, in the book “Beauty and the Inferno”218. A
book inspired by his own masterpiece “Gomorrah” and his commitment against the
Mafia: from his first
steps in the world of
literature and anti-
mafia militancy, up to
the acclaimed Nobel
Prize Ceremony at the
Swedish Academy.
On international
level, Saviano is
depicted as a new
Charon, who, from the
very first scene set at the Bausan dock, bring us into “the city dolent”219, among “the
people lost”220.
216 Roberto Saviano, “La parola camorra non esiste”, “Nazione Indiana”, 16th September 2003. 217 A collective blog and cultural project founded in March 2003 by a group of writers, critics and Italian artists,
with the aim of giving voice to text and ideas that have no commercial publishing space and information printing. 218 Roberto Saviano, “La bellezza e l’inferno”, Mondadori 2009. 219 Dante Alighieri, “The Divine Comedy”, Canto III. 220 Dante Alighieri, “The Divine Comedy” Canto III.
142
The language used in many articles to refer to this beautiful city, is precisely
that of a “living Hell”, because the deeper you dig into this story, into this reality,
the more you feel like you are living a sort of reinterpretation of the third Canto of
Dante's Inferno. “And I realized that this is my damnation, the stake I thought the
devil would never have collected. A damnation that condemns you when your words
travel too far, becoming a seed.”221.
It has never been easy for a writer to tell hard truths, not only in the past, when
censorship prevented different opinions from being spread, but courage has
consequences also today. A book can sentence a person to death as it happened to
the Anglo-Indian writer Salman Rushdie222, or to live under guard in a kind of
foretold ending, making you a “marked man”, a target, a possible victim. «I was told
by the Camorra: “t’amm fatt il cappotto di legno” – [“we made you a wooden
overcoat”] that means “we closed you in a coffin alive”223. However there are some
differences between the two writers: Rushdie was censored by an official authority,
while the Camorra is an unofficial and unseen world.
It is important to point out that, the threats to Saviano did not start when the
first reportages were published, nor when Gomorrah was released, but only when
Saviano took part in a rally in his town “Casal di Principe”224, on 23rd September
2006. Here he openly insulted the boss and it was the first time that someone
questioned, in person, the control of a territory that, as with animals, “is marked”.
Saviano affirms: “Some people ask me how words can scare criminal organizations.
But what frightens them are not the words, but readers”225. The Camorra did not
forgive «not only the book, but its success and the fact it has become a best-seller.
This annoyed them»226. The bosses know that the awaking of human consciences
221 My translation: Roberto Saviano, “Dieci anni di Gomorra”, in “Gomorra”, Mondadori 2016. 222 Anglo-Indian writer, hit by the Fatwa of the Iran's political and religious leader, Khomeini, to have written “The
satanic Verses”, 1988. 223 Personal translation: Roberto Saviano, “Saviano: Ora su Gomorra chiudono gli occhi”, “L’Espresso”, 5th May
2016. 224 Naples neighbourhood. 225 Roberto Saviano, “Roberto Saviano: Assurdo incolpare chi racconta la violenza e non chi la fa”, “Fanpage.it”,
15th May 2016. 226 Roberto Saviano, “La libertà di Saviano”, “La Repubblica”, 29th May 2016.
143
can destroy them, much more than a blitz. They fight with machine guns, we use
culture, this is what Gomorrah teaches us.
A passage in the book, that can be considered a key to understanding his
thoughts, is entitled “I Know”227 and it is explicitly taken from the homonym Pier
Paolo Pasolini’s work228. However, Saviano wants to emphasizes a fundamental
difference: Pasolini has a purely literary knowledge, arising from him being an
intellectual status, while the narrator, Saviano, repeats several times “I know and I
can prove it”229. With these words the author's alter ego claims his role of witness
who observes, evaluates, looks, listens, knows. His writing becomes a ruthless story
“of these truths” but he concludes, “I do not take prisoners”230 a statement that hides
a message: let judges do justice.
Another important quote that Saviano chooses to insert in the opening of his
book is a phrase by Hannah Arendt: «Comprehension, in short, means the
unpremeditated, attentive facing up to, and resisting of reality – whatever it may be
or may have been»231. A thought formulated while writing her masterpiece “The
227 Roberto Saviano, “Gomorrah”, MacMillan 2008, chapter “Cement”. 228 Pier Paolo Pasolini, “Cos’è questo Golpe? Io so”, “Corriere della Sera”, 14th November 1974. 229 Roberto Saviano, “Gomorrah”, MacMillan 2008, chapter “Cement”. 230 Roberto Saviano, “Gomorrah”, MacMillan 2008, chapter “Cement”. 231 Roberto Saviano, “Gomorrah”, MacMillan 2008.
144
banality of evil”232 , on the story of one of the most terrible Nazi-leaders. The
Camorra, as every Mafia-type organization, is a totalitarian institution, which does
not admit opposition: those who go against it are physically eliminated or their
existence as social individuals is reduced to nothing. In a specular way, Gomorrah
ends with another quote, a cinematographic one, which seems to be a prophecy on
Saviano’s personal destiny for having written this book. Perhaps, still today, he
repeats these words to himself: “I wanted to shout, to scream, to tear my lungs out
like Papillon233. I wanted to howl from deep down in my gut, my throat, exploding
with all the voice left in me: Hey you bastards, I'm still here234”235
232 Hannah Arendt, “Eichmann in Jerusalem: A Report on the Banality of Evil”, 1963. 233 “Papillon”, directed by Franklin J. Schaffner, USA/France 1973. 234 Phrase stated by Steve Mcqueen in “Papillon”. 235 Robero Saviano, “Gomorrah”, MacMillan 2008, chapter “The Land of Fires”.
145
CHAPTER III
GOMORRAH, A WORLDWIDE PHENOMENON
“A man who writes does not scare, what scares are the many people who listen,
the eyes that read a story, the many mouths that narrate it”236
Gomorrah became an editorial phenomenon as soon as it was published. The
book has sold over 2.250.000 copies in Italy and 10.000.000 worldwide. Published
in more than 50 countries, it has been translated in 52 languages. Ten years after the
publication of Gomorrah, in 2016, Saviano decided to make a second publication of
his first work inserting some personal comments and reflections on these last ten
years including a collection of foreign articles on Gomorrah, published in the major
international newspapers. This collection clearly shows that, in Italian literature,
there is a “before” and an “after” Gomorrah and that this work, with its innovative
and disruptive force, has crossed Italian borders conquering the entire world with a
singular “Gomorrah effect”. Thanks to this “effect” and this popularity, Gomorrah
has had the power to give the Mafia topic an unexpected relevance, taking it to the
top of international rankings. The book is still in the top ten best-sellers in Germany,
and it is a German article that opens the collection in Gomorrah, with the title: “Like
a rose in the desert”237. This expression was used by a magistrate to describe the
rarity of the act of the denunciation in some territories of Campania.
As for what concerns the international scene, Gomorrah was included, as the
only Italian book in the ranking of the 100 most important books of 2007 by the
American newspapers “The New York Times” and “The Economist” with the
following motivation: “a literary scream that names names, of the killers and the
killed”238. Moreover, in the United States, the book entered the non-fiction category,
and this is something very important because it gives the work the importance it
236 My translation: Roberto Saviano, “Vieni via con me”, Feltrinelli 2011. 237 Srtephan Lorenz, “Rose in der Wüste”, “Freie Presse”, 2007. 238 Ian Fisher, “An Italian Author Driven Into the Shadows by Success”, “New York Times”, 3rd November 2007.
146
deserves and sets the expectations of the American public as for the reliability of its
content and its denunciations.
Even the film Gomorrah had great success, with its five awards at the European
film Award in 2008 and seven at the David di Donatello Awards for best foreign
film in 2009. The movie was rightfully seen as the main revelation of the year,
watched by over two million people and becoming the tenth box-office film in Italy
for the cinematographic season 2007-2008. Matteo Garrone was also awarded the
Grand Prize of the Jury at Cannes Festival, where the audience applauded for five
minutes both his film and its cast with the following comments: “Gomorrah is
a film of great civic value […] there's a strong emphasis on social commitment”239.
The “Gomorrah effect” found a new lifeblood with the TV series, produced by
Sky Italia and broadcast from 6th May 2014 on the Sky Atlantic channel, directed
by: Stefano Sollima, Claudio Cupellini, Claudio Giovannesi and Francesca
Comencini. It took thirty-two weeks of filming, 400 settings, 200 actors and 3000
extras for the production. “A huge effort” said the producer Riccardo Tozzi “to stick
to the two main strengths of the series: to be a universal archetype understood
worldwide and to be realistic in every detail”240. Gomorrah is successful because it
239 Ex Italian Minister of Culture. 240 My translation: RiccardoTozzi, “Gomorra la serie, con Ciro e Genny il viaggio dello spettatore nell’inferno della
camorra”, “L’Espresso”, 9th May 2016.
65th edition of the Cannes Festival.
147
was written with such high quality language and an aesthetic that is difficult to find
in Italian TV. A not so obvious success for the filmmakers: “We were told that a
Neapolitan series would never have been watched, not even in Rome, but we took a
risk and here are the results”241. With these words the Sky producer, Andrea Scrosati,
speaks about the series as a bet that, despite the use of dialect and the unknown cast,
has captivated Italian people and not only. “Gomorrah has shocked the international
public that was used to watching series filmed in studios” explains Tozzi, “instead
we went to the real places, with a neo-realistic spirit”242. However, despite the fact
that the content, the settings and many lexical choices are deeply rooted in the socio-
cultural context of Campania, the book was translated in 33 countries.
Due to the fact that translating such work has many difficulties, I have chosen
to analyse the translation of Gomorrah in an English speaking context. The main
principle behind every translation is the awareness of the fact that it is impossible to
find a perfect correspondence between every single signifier. For this reason, a good
translator should not only be “a bilingual, but also a bicultural (if not multicultural)
specialist working with and within an infinite variety of areas of technical
expertise”243. This is even more the case for the work Gomorrah, where the difficulty
in translating is not limited to “translating” a word from one language to another,
but also to “transferring” a social reality from a specific context to another.
Even if the English translator, Virginia Jewiss, preserved the socio-cultural
Neapolitan context, some specific terms, cultural references, idioms or slang
expressions were not rendered properly or were omitted. An interesting example is
the reference to Totò, used to describe the way of speaking of one of the characters,
Xian Zhu. Saviano wrote: “He spoke perfect Italian, with a soft r that sounded more
like a v, like the impoverished aristocrats Totò imitates in his films”244. Obviously,
241 Andrea Scrosati, “Andrea Scrosati: Gomorra e le serie glocal sbancano il mercato televisivo”, “Leggo.it”, 10
May 2016. 242 RiccardoTozzi, “Gomorra la serie, con Ciro e Genny il viaggio dello spettatore nell’inferno della camorra”,
“L’Espresso”, 9 May 2016. 243 M. Snell-Hornby, “The professional translator of tomorrow: language specialist or all-round expert?”, in
“Fundamental Aspects of Interpreter Education”, John Benjamins Publishing, 2004. 244 Roberto Saviano, “Gomorrah”, MacMillan 2008, “The port”.
148
for an English reader “extra distinctions”245 should have been integrated, maybe in
a footnote, for additional information on the Italian actor Totò.
Another example, which regarding what might be called “culture bumps”246 or
wordplays, is the language used by Saviano to describe how the Camorra was
gradually able to increase its turnover. The author speaks about four blitzes triggered
in April 2005 that seized illegally imported goods for the value of thirty million
euros: “Just a small serving of the economy that was making its way through the
port of Naples in a few hours. And from the port to the world. On it goes, all day,
every day. These slices of economy are becoming a staple diet”247. In this passage
we can notice how, even if the translator preserved the lexical area of food with the
term “serving”, the wordplay used by Saviano, as well as the strong crescendo from
the term “slices” that become “fragments”, are lost.
Another category of terms which generally require a specific “pragmatic
explication” are the geographic locations, often chosen because of their strong
connotative meanings. Being a reportage, the choice of geographical areas was
obligatory and the majority of geographical references, with the exclusion of
references to countries like China, Spain and Scotland, do not only require a generic
topographical knowledge of Italy, but imply a familiarity with certain urban and
suburban areas. These latters are never only a background, but an integrant
component of the narration. Therefore, a right choice was made when Saviano
mentions for example Posillipo, Parioli and Brera, in adding: “posh neighborhoods
of Naples, Rome and Milan”248. However, the choice of translating the name of the
area Secondigliano with “Second mile” was rather excessive. Here Jewiss opted for
a process of “domestication” that can also be seen in the choice of translating the
“Statale 87” in “Route 87”249, where all the “lovers” in the area “went”. Since all
these places are extremely important to understand the work, a map of Italy and one
245 Albrecht Neubert, “Translation as a Text”, Kent State University Press, 1992. 246 Ritva Leppihalme, “Culture Bumps: An Empirical Approach to the Translation of Allusions”, Multilingual
Matters 1997. 247 Roberto Saviano, “Gomorrah”, MacMillan 2008, chapter “The port”. 248 Roberto Saviano, “Gomorrah”, MacMillan 2008, chapter “The port”. 249 Roberto Saviano, “Gomorrah”, MacMillan 2008, chapter “Angelina Jolie”.
149
of Campania were added to the book to help the foreign reader to locate what is
being narrated.
Another peculiarity of Gomorrah are the numerous and characteristic
nicknames with which Saviano often identifies different characters. These could not
be omitted, and therefore some amplifications were made. However, in some cases,
they were not relevant to the original connotation of the text. When for example
Saviano speaks about the camorrista Vincenzo Benitozzi, called “Cicciobello” 250
because of his round face, the reference is not to his physical connotation, but to the
famous doll, object of many young girls’ dreams. The translator here does not go
beyond the denotative message and the literal meaning of the sentence and decides
that the round face must necessarily belong to a fat person, and in fact arbitrarily
adds: “Cicciobello, - or fat boy”251.
In some other cases, the footnote remains the only resource for a translator
when the cultural or lexical gap is too wide. When Giovanni Brusca is mentioned,
Jewiss decided to insert a long explication: “the boss of San Giovanni Jato and the
murderer of Judge Giovanni Falcone”252. While in some other cases, she was subject
to criticism for her decision to use expressions such as “seize the properties”, “to
sequester”, trying to keep as close as possible to the Italian version, but leaving the
reader confused. To this regard Anthony Shugaar253 stated: “Italian soldiers don’t
wear combat boots, they wear “amphibious” – an enigma if you don’t know that the
Italian for army boots is anfibio”254.
The edition published in the United Kingdom makes use of the same American
translation, except for a few, albeit important changes. An important difference,
motivated by bureaucratic and legal reasons, is that the version published in the UK
omitted the name of the man who Saviano in Gomorrah defines “The first racketeer
250 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capitolo “Il Sistema”. 251 Roberto Saviano, “Gomorrah”, MacMillan 2008, chapter “The System”. 252 Roberto Saviano, “Gomorrah”, MacMillan 2008, chapter “The System”. 253 American author and translator. 254 A. Shugaar, “Good Fellas. A young Italian laments how Naples has fallen under the sway of brutal mobsters”,
4th November 2007.
150
of English nationality in the Italian and British criminal history”255. Since in the UK
the offense for Mafia association does not exist, the charge which is discussed in the
book is virtually non-existent. For this reason the publisher decided to omit this
passage in order not to be sued and avoided having to pay compensation which was
estimated at two million pounds.
“The sun has stopped shining on the provinces of Naples and Caserta, it is
impossible to enlighten these dark lands to the extent that Italian people need
subtitles to decipher them”256.
Unlike the book, dialect is always used in the film and in the series, where a
careful job was done to try to balance the need for realism with the public's
understanding. An exchange between a drug dealer and his customers in perfect
Italian would not make sense, but they could not go as far as using a pure Neapolitan
dialect, that’s incomprehensible to most. For this reason, the scripts were adapted
with the help of local people, and few key words were translated so that the viewer
would be able to understand the general discourse. Nevertheless, many viewers
chose to use the Italian subtitles promptly provided by Sky.
The Neapolitan dialect has something that distinguishes it more than anything
else: its musicality.
The directors of Gomorrah were not interested in presenting the true
Neapolitan dialect, as this was not their mission. They were interested in creating a
linguistic musicality and the different ways of speaking became an extension of each
character. Examples of this are: Genny’s calm and rough tone; Conte’s elegant
sentences; Ciro Di Marzio’s speed in talking, with focus on the last syllable; Pietro
Savastano’s long pauses and linearity and O'Track’s energy and anarchic language.
255 My translation: Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, chapter “Aberdeen, Mondragone”, pag. 291. 256 My translation: Francesco Nardi, “Corriere del Mezzogiorno”, 20 May 2008.
151
The latter is taken as a symbol of the emerging young boys, whose language is faster
and less understandable, which underlines the generation gap.
Speaking of musicality, the incredible soundtracks and tracks that accompany
the TV series must be mentioned, which have contributed to making this product
unique. The main musical theme of the series is “Doomed to live” by Mokadelic257,
a post-rock / psychedelic band whose melodies, with their crescendo and
diminuendo of notes and intensity, follow the main scenes perfectly. As for what
concerns the closing song of each episode, it has become a real cult: “Nuje Vulimme
'na speranza” by NTO' & Lucariello258. The words, written by boys who were born
and raised in Campania, perfectly describe the atmosphere in those neighbourhoods
and the cry of those who still hope. With the dirty, vulgar and sometimes
incomprehensible inflection, it gives the impression of a real, everyday speech. We
feel we are catapulted in the streets, in the crumbling council houses, completely
abandoned in the hands of the bosses. This is something that marks the quality of
this production unique, above standards.
Before this series, viewers had been accustomed to actors with no accent,
coming from theatre schools, and dialect was only used to characterize a comic
situation, whereas in Gomorrah it is the official language of crime. Italian is the
language of the enemy, the authority, the State, of that institution which,
theoretically, should stop or at least contain the expansion of criminal organizations.
The success of the series and its export to several European and worldwide
countries, has brought a problem: the adaptation of the dialogues.
In the cases of Gomorrah, adaptation implies a triple transition: from the source
language, the Neapolitan dialect, to Italian, to the target language. The seasons of
Gomorrah were dubbed, and of course many of the peculiarities of the original
product were entirely lost. Terms, expressions and accents were systematically
flattened into English, Spanish, French and German standard. To this regard Sky
257 Their music moves from post-rock and neo-psychedelic atmospheres to melancholic ones, using a dense range of
melodic sounds in a crescendo that creates real symphonies. 258 Italian rappers.
152
Atlantic broadcast a video showing scenes from the famous TV series dubbed in
different languages, in which we can see how some sentences, that have become a
cult, have entirely lost their communicative power. An example of this can be seen
in the expression “Sta senza pensier” simply translated to “take it easy”. The impact
is very strange and makes us smile: “phrases completely transformed when
pronounced in French, German, English or Spanish. The result is curious, sometimes
funny, and even a little bit paradoxical”259.
259 My translation: Roberto Saviano, “gomorra, parlez vous français? Gli effetti del doppiaggio”,
“Roberto Saviano online”, 10th August 2015.
153
CHAPTER IV
GOMORRAH, THE REALITY BEYOND THE FICTION
“The strategy of the television series is not to take sides with any character. The
goal is to make the System and its power protagonists. The real star is reality. It
was and is my obsession”260
One of the most controversial and interesting themes around the “Gomorrah”
phenomenon, is the relationship between what is fiction and what is real life in the
Neapolitan neighbourhoods narrated by Saviano. Regarding this matter, the
positions tend to be between two extremes: some people think that the series gives
a too negative and “altered” image of Naples, only showing clichés and stereotypes,
and those who, instead, consider Gomorrah as an “eye” that allows you to observe,
despite the film filters, a truthful reality, not a fiction.
In the case of the book, references to events and real characters are, as already
mentioned, explicit and demonstrated by sources and evidence given by the author
himself. The film is overtly marked on a documentary style, while a more detailed
discussion has to be made on the television series. Although it is fiction, and
invention is used for manipulating reality, it weaves constant references to real facts,
contexts and characters, explicitly playing with the spectator's competence. This
competence does not only refer to the book by Saviano, but also to events that
occurred after its publication.
Nowadays, contemporary TV series have the tendency to show bits of reality
to capture the public's attention, who seem more attracted to fiction, therefore to
stories, rather than to the news, hence to reality. For this reason the directors have
chosen to present a complex phenomenon such as the Camorra through personal and
daily life of a classic Camorra family, that of “Savastano”, starting from the highest
moment of the clan to its decline, something which everyone, sooner or later, has to
deal with in this infinite loop that is Camorra.
260 My translation: Roberto Saviano, “Parla Saviano: «Gomorra? È la realtà negata dai politici»”,
“Corriere della Sera”, 24th May 2016.
154
Through the characters, the viewer finds himself living the real life of the
neighbourhoods of Naples, in a narrative of images, where the similarities are
numerous. Episode after episode, details link the protagonists of the series to some
of the protagonists of the crime news of Naples, staging the dynamics of one of the
bloodiest Camorra wars ever: that between the Di Lauro clan and the “secessionist”,
that took place between the years 1990 and 2000. In this scenario, the boss, Pietro
Savastano, has much in common with Paolo Di Lauro. Also Ciro, former right-hand
man of the boss and then leader of the rebels, seems to be precisely the former right-
hand man of Di Lauro, Lello Amato. Another parallel can be made between the
figure of Genny and that of Cosimo Di Lauro, the boss Paolo Di Lauro’s eldest son.
The two boys seem to be so similar also in the way they dress with a preference for
dark clothes and black leather.
In the series there are a number of expertly stitched and blended images
depicting real life in Naples and the surrounding districts: the organization of drug
dealing squares in broad daylight; the many people lined up outside the prison who
let the boss’ wife jump the queue; the use of firing ranges to build the alibis of the
killers; the monthly pay distributed to the families of the fallen and of prisoners; the
prayers before ordering a massacre.
Then there are those that we can call “visual quotes” as the opening sequence
of the second episode, in which a frame of the port of Naples reminds us the opening
words of Saviano’s novel.
As for the references to events that followed the publication of Gomorrah, an
important source was represented by the confessions of Maurizio Prestieri. He was
one of the first turncoats of that war, probably the most important one due to the
amount of arrests that his confessions had led to. For the Camorra, turncoats are vile
people, walking dead. For the police, instead, they represent a weapon, the trump
card that can lead them to the heart of a clan, revealing trafficking, trade relations,
points of interest and the mechanisms. There are those who confess to save
155
themselves, those who do it to be granted a lighter prison sentence, or those who see
no alternative and want to finally get out from this hell.
“It is war. No one understands how it will be fought, but everyone is aware that it
will be terrible and long”261
The War of Secondigliano was a fierce feud between the Di Lauro clan and
some of its members who decided to part from it, becoming known as “secessionist”
or “Spanish”. A war without “respect”, starring the boss Paolo Di Lauro, known as
“little Cyrus the millionaire”262. The boss was born in Naples, on 26th August 1953.
Abandoned at birth, he was adopted by the Di Lauro family and was raised, as far as
possible, away from crime. Despite this, he soon began to commit crimes, ending up
in the world of organized crime under the boss of Secondigliano, Aniello La Monica.
However, as time went by, the boss started to feel threatened by his figure and, in
1982, he ordered his death. The attack failed and Di Lauro soon returned the favour
to the boss by organising an ambush on 1st May 1982.
Taking advantage of the death of the boss and the lack of power, Di Lauro was
able to monopolize the drug trade in Naples, and to fulfil his greatest dream: to make
Scampia the largest drug dealing square in Europe. This was possible thanks to
trading directly from the South American drug cartels, that means directly from the
producers, and allying himself with the East Albanian cartels for the large-scale
distribution. To strengthen these direct links, the new boss sent his most trusted
collaborators there, for example, Raffaele Amato, called “Lello” or “Spagnuolo”. At
this point one of the most powerful clans in the history of organized crime started to
take shape. A clan that operated like a real business, whose main incomes were and
still are represented by drugs.
261 My translation: Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, chapter “La guerra di Secondigliano”, pag. 89.
262 The boss Luigi Giuliano, called “o' re”, gave him this nickname.
156
For about 20 years Di Lauro was known as “the ghost boss”, because his name
was never mentioned, and despite the efforts of the police, his identity remained
unknown. Di Lauro only communicated directly with a few faithful people and
everyone referred to him as “Pasquale”.
The equilibrium of the clan was broken when, after the death of his son Domenico,
the boss decided to step back and leave the clan to his son Cosimo, named “the
crow”263, due to his clothing style similar to the main character of the homonym
film.
Under his rule the first disappointments
emerged among the old members of the clan,
“the old guard”264, to whom the young boss did
not seem to give the importance that they
“deserved”, giving instead more space and power
to the young “guaioncelli”265 who constituted his
“battery”266. Moreover, the young boss decided
to give everyone a monthly wage, which was in
contrast with the choices made earlier by his
father, but this was necessary in order to reaffirm
his authority.
The first betrayals and killings began, and it was soon war. Lello Amato, “la
vicchiarella”, and those who remained faithful to him, began to take control of the
drug squares by force, beginning to weave their own drug-trafficking network with
Spain. It was the beginning of a war that led to more than 100 deaths in a year, so
much that the term “war” was no more used, and people began to call it “Vietnam”:
burned cars, dead bodies behind every door, multiple murders in a single day, a
single hour. A macabre game of back-and-forth shootings. Siblings, parents, cousins,
friends, no one was spared, because even if there is some doubt, the choice is always
263 “The Crow”, directed by Alex Proyas, USA 1994. 264 Expression used by Camorra people to refer to the veterans of the clan. 265 Neapolitan term with which one refers to young people. 266 Term with which Mafia people refers to their own group of affiliates.
157
to kill. After two years of ambushes and killings the Di Lauro clan seemed to be
defeated, forced to remain in the confines of the “Parco dei Fiori”267 known as the
“Third World”. It is a huge district, whose nickname makes the situation clear, as
well as the inscription that can be found at the entrance of the main street “Third
World District, do not enter”268. However, on 27th June 2005, the news of a pact
between the clan and the “scissionisti” was published on the newspaper “Cronache
di Napoli”. The same year, on 21st January, Cosimo was arrested as well as the boss
Paolo Di Lauro and, less than twenty-four hours after his arrest, the tortured body of
Edoardo La Monica was found. The message from the body was clear: “cut off the
ears with which he heard, gouged out the eyes with which he saw, shattered the
wrists with which he took the money, cropped the tongue with which he spoke”269.
A reckless violence, a fury and a ritual reserved only to those who are guilty of
serious treason. Currently Marco Di Lauro, who has been fugitive since 2004, is
considered the head of the clan, and in July 2013 the USA 007, reported some
economy infiltrations of the clan in the Big Apple. Saviano wrote: “the system has
expanded and renewed. Neapolitan bosses are twenty years old”270. Unfortunately,
Camorra is like an Ouroboros, a snake that eats its own tail. In this sense every trial,
arrest or seizure is nothing more than a way of alternating bosses, rather than an
action to destroy a system.
“The odors stuck in my nose; not only blood and sawdust, nor the aftershave boy
soldiers slap on their beardless cheeks, but above all the womanly smells of female
perfumes”271
An interesting theme, dealt by Saviano in his book, is that of women in power.
In the chapter, expressly entitled “women”, the author speaks about the feminine
267 Neapolitan neighbourhood. 268 Original words: “Rione Terzo Mondo, non entrate”. 269 Roberto Saviano, “Gomorrah”, MacMillan 2008, chapter “The war of Secondigliano”. 270 Roberto Saviano, “Gomorrah”, MacMillan 2008, chapter “The war of Secondigliano”. 271 Roberto Saviano, “Gomorrah”, MacMillan 2008, chapter “woman”.
158
side of the Camorra, revealing how women are always present in the dynamics of
clans. He explains how, for many women, to marry a Camorra man is like
conquering a capital. If they are lucky that capital will grow and they will benefit
from unlimited power and maybe they will be able to become entrepreneurs or
executives. However, things could also go wrong and they could end up spending
hours and hours in the waiting room of some prison and waiting for the
“submarine”272 that, every 28th of the month, distributes a monthly payment to the
families of the affiliates who are dead or in prison.
In recent years, the Camorra world transformation has also led to a
metamorphosis of the female role that, from mother and wife has turned into a real
managerial figure. They are rude women. Soulless. Their beauty is marked, often
vulgar. They live in the shadow of their husbands, fathers and brothers, but they are
ready to become leaders, to command, to
issue death orders. They act as men do and
sometimes even worse, as in the case of
Donna Imma. In some other cases they can
be simple partners, allies, as Patrizia, or
real bosses of the underworld as Chanel.
She is a hyena, she is aware of this and she
wants to be one. She is rough, distrustful,
fierce, who became “regent” of an
important drug square after the death of
her brother, Zecchinetta, killed by Genny’s
young “guaglioni”. Some people think that her figure was inspired by the life of
Maria Licciardi, called “a piccerella”, sister of Gennaro “a scigna”, who became the
undisputed leader of the Secondigliano Alliance273 and who is currently in prison.
272 Term used to refer to the person in charge of distributing the monthly pay to the affiliates’ family. 273 A strategic alliance of Camorra clans in Naples in the 1990s.
159
She is also similar to the figure of Anna Mazza, widow of the Godfather of
Afragola274 and known as “the black widow of the Camorra”.
On the other hand, the figure of Marinella, Chanel's son’s wife, shows a
different side of the Camorra. Marinella is unwillingly a Camorra woman, who lives
as a prisoner in a world where it is easy to enter, but it is almost impossible to get
out.
“In the Camorra system murder is necessary, it’s like depositing money in the
bank, purchasing a franchise, or breaking off a friendship. [...] But killing a priest,
one outside power, pricks your conscience”275
The many innocent victims that are left behind, are an
incurable wound of these wars. In March 1994, Saviano was
sixteen years old when he attended the
funeral of Don Peppino, whose words
scared the boss of “Casal di Principe”
more than a blitz. He was killed for his
courage, because he looked up and wrote: “For the love of my
people I will not shut up”. His figure
hides the many cases of people who were killed “by mistake”
or “convenience”.
Saviano also speaks about Annalisa
Durante, she was only fourteen when she
was killed on 27th March 2004 during a
shootout. Attilio Romano, killed in
Naples on 24th January 2005 by three assassins for mistaken
identity. Dario Scherillo, another “mistake”, killed on 26th December 2004.
274 Neapolitan municipality. 275 Roberto Saviano, “Gomorrah”, MacMillan 2008, chapter “Don Peppino Diana”
160
Gelsomina Verde, twenty-two, tortured, killed and burned on 21st November 2004,
just because she was romantically linked to a young scissionista, Gennaro Notturno.
Unfortunately for Camorra logic, mothers, fathers, siblings, friends, lovers, are
like maps. Maps which are used to find the person they are looking for.
Gelsomina, called “Mina”, has a place in the series with the character of Manu,
almost a play on words. The bond between these two figures is made evident from
the title of that episode that is precisely “Gelsomina Verde”, a name that does not
invoke any element of the episode and should push the viewer to find out more
information.
In the series, the viewer is at first presented with a little boy who gets hired
from a gangster and, only later, comes into contact with the insouciance of his
girlfriend, who is totally unrelated to the Camorra world.
In this representation another social problem is revealed, something that in the
book is hidden between the lines: the fragility of those young people, those children,
attracted by the economic and social power of clans, but totally unaware of what this
implies.
The theme of the so-called “baby killers” is one of the most important ones for
Saviano, to the extent that he dedicated an entire book to it: “The Paranza of
161
Children”276. In this book, Saviano writes about boys without future, young people
who do not fear neither the prison, nor death, because they know that the money
belongs to those who take it. They are no more than fifteen years old, like Pikachu,
a child who told Saviano he wanted to die like a real man: killed. They are found
riding their scooters through the alleys to the conquest of Naples. They work as
lookouts, but their dream is to be couriers or killers, becoming affiliates, and maybe
the new boss.
In the film, the director shows the story of Totò and Simone, two children
representatives of the many young soldiers of the Camorra. Their figures also help
understand the
atmosphere of the
Secondigliano war,
and how much the
logic of Camorra is
internalized.
Simone told his
friend they could
not see each other
any longer or play
together because he
had become secessionist, therefore Totò’s enemy, and he was even prepared to kill
him, if necessary.
On Wednesday, November 30th, the premiere of a documentary by Michele
Santoro was presented: “Robinù”277. It is a documentary on real stories about real
young people immersed in a nihilism without expectations and without remorse.
True faces, like that of Michele, who said he was infatuated with the machine gun,
“u kala”278, “With it in my hands I’m not afraid of anything, 33 bullets, it is like
276 Roberto Saviano, “La paranza dei bambini”, Feltrinelli 2016. 277 “Robinù”, directed by Michele Santoro, ITA 2016. 278 Neapolitan expression for “Kalashnikov”.
162
walking armoured”279. The boys of Robinù are not actors and they do not show
repentance while serving their sentence in Poggioreale280 and Airola281. They start
shooting even before the age of fifteen and rarely get to thirty. Because to get to the
top, you have to shoot more than the others, and to kill before they kill you, killing
former bosses and those rivals with the same claims.
One is speaking about people out of control, without family and without the
slightest trust in institutions, ending up in the net of crime. It happens for economic
reasons, but also because of the culture of those places. The system exploits them
for its own interest, finding strength in weakness and in the deterioration of
neighbourhoods.
For this, the controversy about the possibility of emulation due to Saviano’s
book or the film or the series, is just false moralism.
These people are not emulating something they read in a book, or they watch
on TV, but something they see on their streets and that unfortunately is part of their
lives and Gomorrah is and will always be an invaluable document, which in decades
to come, will still witness an indelible period, a drama impossible to erase.
279 My translation: Michele Mazio, in “Robinù”, directed by Michele Santoro, ITA 2016. 280 Prison in Campania, Italy. 281 Prison in Campania, Italy.
Scampia, Neapolitan district, “Le vele”.
163
CAPÍTULO I
GOMORRA. UN VIAJE A TRAVÉS DEL LIBRO, LA PELÍCULA Y LA SERIE
“En el libro cuento la realidad desde mi punto de vista, desde mis ojos. Se trata de
un reportaje, una investigación, un diario. La película describe un clima. La
protagonista es la cotidianidad criminal. La serie cuenta las dinámicas. Hemos
sido capaces de ir más a fondo. La ética es siempre la de afrontar el mal”282
Italia está en guerra. Desde hace más de doscientos años. Es una guerra
sangrienta, escondida en los barrios, pueblos, ciudades, y que causa cientos y cientos
de víctimas cada año. Pero para hacer justicia, no puedes confiar en lo que han visto
tus ojos, porque después de una guerra de Camorra no hay ruinas, evidencias, los
homicidios son rápidos y repentinos y una vez limpiada la sangre sobre el asfalto
todo está tranquilo de nuevo, como si tu fueras el único a ver o sufrir. Como si
cualquiera estuviera listo para decir “no es verdad”. Se trata de una guerra cerca de
todos, porque la Mafia es nuestro vecino, nuestro empleador, el alcalde de nuestra
ciudad, el dueño de nuestra casa. La Mafia está en todas partes. Sin embargo, parece
algo muy pero muy lejano, algo que no nos concierne directamente.
282 Tradución personal: Roberto Saviano, “Gomorra? È la realtà negata dai politici”, “Corriere Della Sera”, 24 de
Mayo de 2016.
Camorra, tres omicidios en la area de Flegrea, Nápoles.
164
En este escenario sombrío, diez años atrás un joven escritor, Roberto Saviano,
hizo hablar de sí mismo, para bien o para mal, con una obra sensacional e inesperada
que turbó el mundo editorial italiano y extranjero: Gomorra. Viaje al imperio
económico y al sueño de poder de la Camorra.
Gomorra es una novela testimonio, una investigación, un documental, una
historia, un análisis, un ensayo sociológico, un retrato doloroso de una sociedad
enferma. Pero Gomorra es sobre todo la realidad, la dura e implacable observación
de lo que ocurre en una amplia zona del territorio italiano y que, antes de Saviano,
no generaba ni consternación ni indignación.
Todo comenzó con un acto, el de la palabra, que desde 2006 ha ganado cada
vez más fuerza, transformándose a través de varias formas de comunicación: de
libro, a película, a serie. Por medio de esta invasión en varios campos mediáticos,
Saviano parece responder al “Sistema”283 criminal con otro sistema, el artístico, que
se ramifica en múltiples direcciones luchando contra el silencio y la indiferencia.
En poco más de Trecientas páginas el joven autor revela los misterios de una
organización poco conocida, la de la Camorra, que muchos consideraban derrotada
y que en cambio se ha fortificado en silencio superando “Cosa Nostra”284 por número
de miembros y negocios.
La historia y la reconstrucción del poder de esta organización comienza desde
la guerra de Secondigliano285, desde la subida al poder del clan Di Lauro hasta el
conflicto interno que ha producido ochenta muertos en poco más de un mes. La
guerra de Camorra más despiadada que el sur de Italia haya visto en los últimos
veinte años.
Una narración en primera persona en la que el autor, combinando el rigor del
investigador, el valor del periodista y sobre todo el amor doloroso por su ciudad, nos
283 Término con el cual Saviano se refiere a la Camorra en su libro “Gomorra”, Mondadori 2006, en el capítulo “El
Sistema”: «Sistema, un término que aquí resulta familiar a todo el mundo, pero que en otros lugares es aún difícil de
descifrar, una referencia desconocida para quien no conoce las dinámicas del poder de la economía criminal. Camorra
es una palabra inexistente, de madero. Usada por magistrados y periodistas, por escenógrafos. Es una palabra que hace
sonreír a sus afiliados, es una indicación genérica, un término de estudiosos, ligada a una dimensión histórica. El
término con el que se definen los que pertenecen a un clan es Sistema: “Pertenezco al Sistema de Secondigliano». 284 Organización criminal desarrollada originalmente a mediados del siglo XIX en Sicilia. 285 Barrio de Nápoles.
165
conduce en un viaje en los lugares donde esta organización nació y vive y de los
cuales saca a la luz una realidad inédita.
Una imagen clara y detallada, retratada directamente desde los lugares de los
atentados, de las tiendas y las fábricas de los clanes, a través de los ojos y de las
historias de personas que con la Camorra viven y conviven. Además, tomando
completamente parte en su proprio libro, Saviano nos confiesa que él mismo
participó en la descarga ilegal de mercancías en el puerto de Nápoles, “el agujero
del mapamundi”286, y que fue testigo de homicidios, atraído pero al mismo tiempo
“disgustado” por lo que veía ocurrir en su ciudad.
Nos habla de una tierra infectada, la Campania, donde van a parar casi todos
los residuos que escapan de los controles legales y donde las muertes por cáncer han
aumentado de un 21% en comparación con el resto del País 287 . Una región
caracterizada por una sensación generalizada de desconfianza a las autoridades, por
la falta de una política para resolver los graves problemas que afectan al Sur, por una
fuerte sensación de inseguridad personal y sobre todo por la falta de una verdadera
educación social.
Una decadencia acentuada por el contraste de la imagen de las villas de lujo de
jefes que buscan recordar a los de Hollywood y que, como Tony Montana en
“Scarface”288, están convencidos de que el mundo les pertenece y que tienen plena
libertad para manipular a la política, a la economía y a la sociedad de manera
funcional a su ganancia.
Saviano cita numerosos jefes mafiosos, hombres y mujeres. De cada uno nos
informa no sólo del nombre y del apellido, sino también del apodo que los identifica
aún más del nombre mismo, porque “el apodo para el jefe es como los estigmas de
un santo: la prueba de la asociación en el sistema”289.
Gomorra, entonces, es una obra de denuncia de lo que realmente sucede en
nuestro país, pero también es un mensaje de esperanza de un hombre que cree en un
286 Roberto Saviano, “Gomorra”, Debate 2007, capítulo “El puerto”. 287 Roberto Saviano, “Gomorra”, Debate 2007, capítulo “La Tierra de los Fuegos”. 288 “Scarface”, dirigido por Brian De Palma, USA 1983. 289 Roberto Saviano, “Gomorra”, Debate 2007, capítulo “El Sistema”.
166
futuro en el que la palabra “Camorra” pertenecerá sólo a los libros y todos, inclusos
los que viven en Campania, tendrán la oportunidad de vivir normalmente, sin estar
sujetos a prejuicios debido a lo que ocurre en su tierra natal.
En 2008 Gomorra se convirtió en una película dirigida por Matteo Garrone,
quien elige una perspectiva objetiva, casi documental, en la cual el punto de vista es
al revés: el punto de vista es el del Mal y la muerte es la verdadera protagonista.
El director ha logrado la difícil empresa de adaptar la compleja novela de
Saviano seleccionando los episodios más significativos del libro, dando a la luz una
obra extraordinaria, de crudo realismo, que ha marcado una nueva etapa en la
historia de las adaptaciones de la página a la pantalla.
Él pone en escena la humanidad narrada en el libro en forma de un infierno
grotesco, con imágenes
oscuras, angustiantes,
tomadas directamente de
la vida en los barrios de
Nápoles y sobresalidas
por el sonido de los gritos
y disparos de Scampia290;
Garrone quiere
capturar la atención del
espectador tomándolo al
estómago y por la garganta, mostrando una tierra que grita más de los que caminan
sobre ella. En este sentido, se ha tomado una elección particular, pero muy eficaz: la
mayor parte de los personajes y el conjunto de la película nunca habían actuado
antes. Esta decisión responde al deseo del director de pintar al mundo de la Mafia de
la manera más realista posible y la inexperiencia de los actores, así como el uso del
dialecto local, han contribuido a dar un retrato verosímil de la región. El mal es algo
absolutamente normal, ya que así es en la realidad.
290 Barrio de Nápoles.
167
La historia procede con un rechazo de los golpes de escena y de las trayectorias
típicas del género gánster. Los personajes parecen más hacer parte de una película
de terror: no tienen manera de escapar y se enfrentan a su implacable destino. El
espectador permanece apegado a la silla desde la primera toma, durante el curso de
los acontecimientos, acumulando tensión, siendo consciente de la tragedia
inminente. Los asesinos no son tan hermosos como en “Kill Bill”291, sino que son
feos, gordos, en sandalias; la vida no vale nada y la muerte apesta.
Garrone no quería hacer una película de protesta, no hay nombres o apellidos
de importantes miembros de la Camorra conocidos o no, no hay una lucha entre
buenos y malos a subrayar donde debe de colocarse exactamente la justicia.
Mientras la película está en los cines, los periódicos describen lo que sucede en
las calles de Nápoles y entre el cine y la vida real ya no hay ninguna diferencia. El
bien común no existe más, la salud colectiva está en riesgo, el interés que gana es el
económico, cueste lo que cueste, y todo está desfigurado en un impulso generalizado
de muerte.
Mirando a la película la realidad se despliega ante nuestros ojos, con su
crueldad, como si estuviésemos viendo un documental sobre los tiburones. Lo que
se quiere mostrar es la facilidad con la cual se puede quedar enredados en la red del
Sistema. Tal vez por razones económicas, sociales, ambientales o también porque
obligados. Hombres, mujeres, niños, todos están atrapados en el engranaje criminal,
peones del sistema, que viven su condición con resignada participación.
Ninguno de los protagonistas es un hombre de primer nivel del sistema, los
jefes son invisibles en casi toda la película, pero parecen igualmente una presencia
constante.
Un personaje significativo en la película es el de Roberto, figura que alude al
autor hasta con el nombre. Él es el joven aprendiz de Franco, un “stakeholder”
protagonizado por el actor Toni Servillo quien lo implica a él en la organización de
la eliminación ilegal de residuos tóxicos. En la película, Roberto permanece en
291 “Kill Bill”, dirigido por Quentin Tarantino, USA 2003.
168
silencio. Sin embargo, su resolución sale a la luz cuando en la última escena se aleja,
por sí solo, dando las espaldas a Franco y a todo lo que éste representa. Quizás una
alusión al nacimiento de Gomorra como un acto de rebeldía, de diversidad.
Para Saviano, la serie televisiva fue la continuación natural de su proyecto
narrativo por las características de la televisión como medio comunicativo: “Con la
ficción puedo describir los mecanismos mostrando también lo que, por lo general,
no importa: como se organiza el contrabando de droga; como se prepara una
ejecución; como se manipulan las elecciones. Esta es la fuerza de las series
televisivas. Explican las cosas”292.
De hecho, la serie Gomorra, aunque se presenta como un texto de ficción y
utiliza algún retoque de invención narrativa, tiene muchas referencias con la realidad
y explica hasta el más mínimo detalle el funcionamiento interno de la mafia
napolitana.
Naturalmente los directores empezaron siempre desde el material primario
constituido por los hechos reales, reportados por Saviano en su libro, añadiendo
eventos aún más recientes y creando un producto de gran calidad de lenguaje,
estética y realismo, que nos arrastra en un abismo que ninguna imaginación puede
alcanzar.
La serie desarrolla una historia parecida en el mismo entorno camorrista
narrado por Saviano pero no es una adaptación fidedigna de la novela ni de la
película. El protagonista es el clan “Savestano” que controla el suburbio de
Secondogliano en la periferia norte de Nápoles y que está formado por el capo Don
Pietro293, temido y respetado en toda su zona de influencia, su mujer Imma294,
controladora en la sombra de todo su imperio y su único hijo Gennaro295, llamado
“Genny”, presentado inicialmente como un joven caprichoso y sin experiencia para
heredar las riendas del clan.
292 Roberto Saviano, traducido de una entrevista para “L’Espresso”, 12 Mayo 2016. 293 Protagonizado por Fortunato Cerlino. 294 Protagonizada por Ana Pía Calzone. 295 Protagonizado por Salvatore Esposito.
169
La línea narrativa principal sigue los acontecimientos de la cotidianidad de esta
familia y los de la guerra que se estallará entre el clan y algunos miembros que eligen
una secesión. Primero de ellos, Ciro di Marzio296 , “el inmortal”, lugarteniente
principal de Don Pietro que aspira a ser el nuevo jefe.
Naturalmente, el de los “Savastano” es un clan ficticio que, sin embargo, parece
retratar específicamente unas características del grupo Di Lauro 297 , sea por las
características de algunos de sus miembros, sea por los eventos escenificados que
parecen retratar precisamente las dinámicas de una de las guerras de Camorra más
sangrientas de siempre: la que realmente sucedió entre los años noventa y dos mil
entre el clan Di Lauro y los llamados “escisionistas” que se separaron del mismo
clan.
La serie se estructura en dos niveles, por un lado tenemos la evolución personal
de cada uno de los cuatro protagonistas, que desde el principio al final de la serie
sufren unos cambios brutales y acaban siendo unas personas completamente
diferentes de las que vimos al principio. Por otro lado, en cada capitulo se nos
muestra, a través de diversos personajes secundarios, los diferentes aspectos
“empresariales” de esta organización criminal.
Una disección de la Camorra muy puntillosa, que trata en cada episodio un
tema, desde los viejos gladiadores hasta los sistemas de reclutamiento de niños para
la causa, pasando por los tentáculos financieros, políticos, de compra y distribución
de la mercancía y ramificaciones en el exterior.
Respecto a la técnica narrativa, esta ha sido diseñada para no crear empatía con
ningún personaje. El director, Stefano Sollima, en este sentido dice: “Esta decisión
ya había sido concebida en principio, antes de que los periódicos nos atacaran con
frases como “atención a ensalzar la belleza del mal”. A mí, francamente, me hacían
sonreír, porque sabía lo que iba a ser transmitido. Pensaba: No es así. Siéntense,
296 Protagonizado por Marco d’Amore. 297 Clan camorristico que tiene su raíces en el barrio de Secondigliano y del cual Saviano habla en su libro
“Gomorra”.
170
tranquilos, miren la serie y veréis que nada es lo que pensabais. Mi ambición era la
de crear una serie que tenía un contenido fuerte y que no era sólo entretenimiento”298.
Debido a esto, Gomorra no es una serie que se puede ver distraídamente, tiene
que ser digerida un episodio tras otro con los personajes que, como en la vida,
evolucionan, crecen, mutan y se muestran en todas sus contradicciones.
298 Traducción personal: Stefano Sollima, “Intervista a Stefano Sollima”, “Nocturno.it”, 26 de Agosto de 2015.
171
CAPÍTULO II
GOMORRA, UN TERREMOTO CULTURAL, SOCIAL Y CIVIL
“Con Gomorra no pretendía tener éxito, sino cambiar las cosas, despertar a la
gente, obligándola a ver la horrenda realidad no tan oculta”299
El valor principal de este best-seller consiste en haber sacudido profundamente
el paisaje cultural y social, afectando algunos aspectos de la sociedad
contemporánea. De hecho, antes de su publicación, la imagen que el público tenía
del crimen Napolitano y en general de la mafia italiana era bastante unilateral y
simplificado. Los periódicos locales y nacionales publicaban artículos sobre
homicidios o otros actos de violencia conectados a la Camorra, centrándose
exclusivamente en los delitos y no en el fenómeno complejo que está detrás: una
entidad feroz, incapaz de perdonar y que no tiene miedo de derramar sangre inocente
durante una de sus muchas guerras.
Gracias a Gomorra hemos sido inundados de artículos, libros, ensayos y
películas que nos hablan de la Camorra de una manera mucho más exhaustiva y
completa y finalmente se difundió la idea de que la Camorra, así como todas las
299 Traducción personal: Roberto Saviano, “Voglio sposarmi: sarà la mia vittoria e la mia vendetta”, “Corriere della
Sera”, 9 de Junio de 2009.
172
mafias, no es un problema limitado a una región, sino una potencia internacional que
tiene una red de tráfico y inversiones en todo el mundo.
Esto ha sido posible porque, paso a paso, Saviano ha encontrado la manera de
fijar en la memoria colectiva los detalles de la historia y de la filosofía de la Camorra.
El autor se presenta como un moderno Caronte, que desde la primera imagen,
en el muelle Bausan, nos transporta a través de la “perdida gente”300 en la “ciudad
doliente”. Es, ciertamente, una forma diferente de narrar el cuento de Italia, que te
obliga a enfrentarte al mal, con los ojos bien abiertos; una mirada directa y
transparente, que sin embargo ha sido criticada por el mundo político.
El libro, así como la película y la serie, recibió críticas por haber dado
demasiada publicidad a la mafia, dañando la imagen internacional de Italia. Sin
embargo, a estas acusaciones Saviano responde con una pregunta: “¿Si digo que algo
está mal, estoy haciendo mal o bien a Italia?”301 y continua: “Quien habla del mal es
tratado peor que los que el mal lo hacen, escribió Leopardi, hace dos siglos”302.
Las críticas continúan también hoy, cuando Saviano es atacado abiertamente
por el alcalde de Nápoles, Luigi De Magistris, quien lo acusa de hacer éxito “con los
disparos de la Camorra”303 y le aconseja de informarse mejor y no juzgar y criticar
a una tierra que no conoce, para concluir diciéndole: “no tengas miedo. Ten
coraje”304. Consejos absurdos, ya que se refieren a un hombre nacido y crecido en
tierra de Camorra y que ha tenido el coraje de sacrificar su libertad para hablar de
ella.
Gomorra nos enseña a “comprender qué significa lo atroz, no negar su
existencia, afrontar sin prejuicios la realidad” 305306.
Sin embargo, nunca ha sido fácil para un escritor contar verdades incómodas y
no sólo en el pasado, cuando la censura impedía la propagación de las opiniones a
300 Dante Alighieri, “La Divina Comedia”, Tercer Canto. 301 Traducción personal: Roberto Saviano, “Il genere umano non odia mai tanto chi fa male, né il male stesso,
quanto chi lo nomina”, “Fanpage.it”, 29 de Mayo de 2013. 302 Roberto Saviano, traducido de una entrevista para “L’Espresso”. 303 Traducción personal: De Magistris, Facebook, 5 de Enero de 2017. 304 Traducción personal: De Magistris, Facebook, 5 de Enero de 2017. 305 Filósofa, historiadora y escritora, alemana. 306 Hannah Arendt, “Eichmann in Jerusalem: A Report on the Banality of Evil”, 1963.
173
contracorriente: el coraje se paga también hoy. Un libro puede condenarte a muerte,
como ocurrió a Salman Rushdie307, por haber publicado “Los versos satánicos”308,
o puede condenarte a vivir bajo custodia, como Saviano, obligado a moverse de un
lugar a otro y a vigilar sus espaldas día tras día, en una especie de final anunciado.
La Camorra, al igual que todas las asociaciones mafiosas, no admite oposición:
quien se opone viene eliminado físicamente o se destruye su existencia como
individuo social. Te convierten en un “hombre marcado” 309 , un objetivo, una
probable víctima. Saviano afirmó: “a mí los camorristas me dijeron “t’amm fatt il
cappotto di legno”, te hemos cerrado en la tumba sin matarte”310.
Sin embargo, en el caso de Saviano, las primeras amenazas no fueron
pronunciadas cuando el autor comenzó a publicar sus primeros reportajes, ni cuando
escribió su libro, sino sólo cuando el autor participó en una comicio en su país, Casal
di Príncipe311, el 23 de septiembre de 2006, durante el cual insultó públicamente al
jefe del barrio: es decir cuando alguien, por primera vez, se permitió atacar en
primera persona el control de un territorio que, como es para los animales, “está
marcado”. Entonces, los jefes de la Camorra condenaron a muerte Saviano porque
saben que el despertar de las conciencias puede destruirlos, mucho más que un
redada. A veces lo que no se perdona no es el gesto de la denuncia en sí, sino el éxito
y la difusión que esa provoca. Saviano afirma: “Me preguntan cómo pueden las
palabras infundir miedo a las organizaciones criminales. Pero lo que da miedo no
son las palabras, ni el hombre que escribe, sino las muchas personas que escuchan,
los ojos que leen una historia, los muchos idiomas que la contarán”312.
El final de Gomorra parece ser casi una profecía de estas desventuras
personales que lo han envuelto por su coraje. De hecho Saviano termina su libro con
una citación cinematográfica, que quizás se repite a sí mismo cada día: “Tenía ganas
307 Escritor anglo-indiano. 308 Salman Rushdie, “The satanic Verses”, 1988. 309 Traducción personal: H. Farrell, “Underworlds”, “The Nation”, 21 de Noviembre de 2007. 310 Traducción personal: Roberto Saviano, “Saviano: Ora su Gomorra chiudono gli occhi”, “L’Espresso”, 5 de
Mayo de 2016. 311 Barrio de Nápoles. 312 Traducción personal: Roberto Saviano, “Vieni via con me”, Feltrinelli 2011.
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de gritar, quería desgañitarme, yo quería partirme los pulmones, como Papillon313,
con toda la fuerza del estómago, quebrándome la tráquea, con toda la voz que la
garganta podía bombear, “¡Malditos bastardos, todavía estoy vivo!”314
313 “Papillon”, dirigido por Franklin J. Schaffner, USA/France 1973. 314 Roberto Saviano, “Gomorra”, Mondadori 2006, capítulo “Tierra de los fuegos”.
175
CAPÍTULO III
GOMORRA EN EL MUNDO
“Y comprendí que esta es mi damnación, que este es el precio que pensaba el
diablo nunca habría cobrado. Una damnación que te condena cuando tu palabra
llega lejos, cuando se convierte en semilla”315
Desde su publicación Gomorra se convirtió inmediatamente en un fenómeno
editorial que, gracias a su fuerza innovadora y disruptiva, ha cruzado las fronteras
italianas invadiendo todo el mundo con un singular “efecto Gomorra”, una
resonancia internacional tan fuerte que fue capaz de dar una importancia y una
actualidad inesperada al tema “mafia”.
En los Estados Unidos Gomorra fue catalogado por el periódico “The New
York Times” como el único libro italiano en el ranking de los 100 libros más
importantes del 2007, definiéndolo “un grito literario que hace los nombres de los
asesinos y de los asesinados”316 y incluyéndolo en la categoría de “no ficción”. Esta
decisión le da a esta obra la importancia que se merece y expresa la credibilidad de
su contenido y sus denuncias.
El clamor arrolló también a la película Gomorra, considerada la mayor
revelación del año, que tuvo inmediatamente un gran éxito con el público, visto por
más de dos millones de espectadores, y gracias a la cual el director Matteo Garrone
ganó el Gran Premio del Jurado al Festival de Cannes de 2009, con la siguiente
afirmación: “Gomorra es una película de gran compromiso civil”317.
Cinco años más tarde, la serie televisiva tenía naturalmente el peso de las
expectativas y no podía decepcionar. Producida por Sky Italia, está dirigida por
Stefano Sollima y otros tres directores: Claudio Cupellini, Claudio Giovannesi y
Francesca Comencini. Para la producción se necesitaron 32 semanas de filmación,
315 Traducción personal: Roberto Saviano, “Dieci anni di Gomorra”, in “Gomorra”, Mondadori 2016. 316 Traducción personal: Ian Fisher, “An Italian Author Driven Into the Shadows by Success”, “New York Times”, 3
de Noviembre de 2007. 317 Traducción personal: Maurizio Caverzan, “Ministri, guardatevi Gomorra”, “Il giornale”, 20 de mayo de 2008.
176
400 set, 200 actores y tres mil extras. “Un esfuerzo enorme”318, dice el productor
Riccardo Tozzi, “para respetar los dos puntos fuertes de la serie: ser un arquetipo
universal y comprensible en todo el mundo y ser realistas hasta el detalle”319.
La serie está rodada directamente en los lugares que se muestran, con un
espíritu neorrealista, y por esto ha producido un choque en la opinión pública
internacional, acostumbrada a ver las series filmadas en los estudios.
Sin embargo, los directores nunca dieron por sentado el éxito: “Nos dijeron que
una serie napolitana no se la hubiese mirado ni siquiera en Roma, pero nos llevamos
un riesgo y aquí están los resultados”320. Con estas palabras el vicepresidente de Sky
Italia, Andrea Scrosati, presentó la serie comenzada como una apuesta y que, a pesar
del uso del dialecto y el reparto poco conocido, ha conquistado al mundo.
El éxito internacional trajo consigo la necesidad de traducir esta obra que, como
se puede imaginar, siendo arraigada en un específico contexto socio-cultural plantea
diversas dificultades. Desde este punto de vista un traductor experto no sólo debe
ser “un profesional bilingüe, sino también bicultural (si no multicultural) que trabaja
con y dentro de una infinita variedad de áreas de experiencia”321. Para traducir
Gomorra no se puede simplemente “traducir” un término de un idioma a otro, sino
que es necesario también “transferir” los conceptos de una cultura a la otra, ya que
se exportan situaciones y discursos profundamente atados a un contexto local
específico hacia contextos geográficos y sobre todo culturales muy diferentes.
Por ejemplo, hablando de los lugares mencionados en el libro, éstos son por
supuesto esenciales dado que es un libro-reportaje y no son sólo un fondo sino que
parte integral de la narración.
Además, la mayoría de estas referencias geográficas, con la exclusión de las
referencias macroscópicas a países como China, España y Escocia, no sólo requieren
318 Traducción personal: RiccardoTozzi, “Gomorra la serie, con Ciro e Genny il viaggio dello spettatore
nell’inferno della camorra”, “L’Espresso”, 9 de Mayo de 2016. 319 Traducción personal: RiccardoTozzi, “Gomorra la serie, con Ciro e Genny il viaggio dello spettatore
nell’inferno della camorra”, “L’Espresso”, 9 de Mayo de 2016. 320 Traducción personal: Andrea Scrosati, “Andrea Scrosati: Gomorra e le serie glocal sbancano il mercato
televisivo”, “Leggo.it”, 10 de Mayo de 2016. 321 Traducción personal: M. Snell-Hornby, “The professional translator of tomorrow: language specialist or all-
round expert?”, in “Fundamental Aspects of Interpreter Education”, John Benjamins Publishing 2004.
177
un conocimiento topográfico general de Italia, sino también una familiaridad con
ciertas áreas urbanas y suburbanas. Con respecto a esto, algunas editoriales
extranjeras han decidido incluir un mapa de Italia y de Campania, con amplificación
en escala, para ayudar al lector a situar visualmente los lugares principales que se
mencionan en el libro.
“El sol ha dejado de iluminar las provincias de Nápoles y Caserta, imposible
iluminar esta tierra oscura y extranjera hasta el punto de que los italianos
necesitan subtítulos para descifrarla”322
Otra peculiaridad de Gomorra es, sin duda, el uso del dialecto. En el libro
Saviano lo utiliza sólo en algunas ocasiones, como para hablar de los apodos de los
jefes o para reportar directamente las citas. En la película y en la serie el dialecto se
convierte en lengua dominante.
En la serie, en particular, se ha hecho un trabajo cuidadoso para intentar
equilibrar la necesidad de realismo con la comprensión del público: porque escuchar
un intercambio entre un traficante de droga y sus clientes en un italiano perfecto no
hubiera tenido sentido, pero tampoco se podía llegar al exceso utilizando un
napolitano tan marcado como para llegar a ser incomprensible para la mayoría. Por
esta razón los textos han sido adaptados dejando en italiano sólo unas pocas palabras
clave, de manera que el discurso general se pueda aún entender. Sin embargo,
muchos han optado por utilizar los subtítulos en italiano proporcionados sin demora
por Sky.
El dialecto napolitano tiene una característica que lo distingue más que
cualquier otra cosa y que atrajo a los directores de Gomorra: su musicalidad. Ellos
no estaban interesados en presentar simplemente el verdadero dialecto napolitano,
sino en explotar su musicalidad lingüística para acompañar, hacer interactuar y
chocar los diversos personajes: el tono tranquilo y áspero de Genny; la elegancia de
322 Traducción personal: Francesco Nardi, “Corriere del Mezzogiorno”, 20 de Mayo de 2008.
178
efecto de las frases de Conte; la velocidad con enfoque en las últimas sílabas de Ciro
Di Marzio; las largas pausas y linealidad de Pietro Savastano; la energía y la anarquía
de O'Track, símbolo de los jóvenes emergentes que utilizan un lenguaje mucho más
rápido y menos comprensible, casi a subrayar la diferencia generacional.
La inflexión sucia, vulgar y a veces incomprensible ayuda a crear la sensación
de estar en esas calles, en los decadentes edificios de viviendas populares, en los
barrios pobres y abandonados en las manos de los jefes. Esto es lo que marca la
diferencia cualitativa que pone esta producción por encima de el estándar de las
series producidas hasta la fecha.
Los espectadores estaban acostumbrados a un tipo de actuación perfecta, sin
acento, la de una escuela de teatro en la cual el dialecto se utiliza a menudo para
caracterizar una situación cómica. Contrariamente, en Gomorra el dialecto es el
idioma oficial de la delincuencia y el italiano es el idioma del enemigo, la autoridad,
el Estado; de todas esas instituciones que teóricamente deberían detener, o por lo
menos contrarrestar, la expansión y los intereses de las organizaciones criminales.
La Camorra sembra el pánico en las calles, 27 Noviembre 2016.
179
CAPÍTULO IV
GOMORRA, LA REALIDAD SUPERA A LA FICCIÓN
“La estrategia de la serie televisiva es no tomar partido por ningún personaje. El
objetivo es hacer protagonista el mecanismo, las relaciones de poder. La
verdadera estrella es la realidad. Esta fue y es mi obsesión”323
Uno de los temas más controvertidos e interesantes que giran en torno al
fenómeno “Gomorra” es sin dudas la relación entre lo que es ficción y lo que es la
vida real en los barrios de Nápoles narrados por Saviano. Al respecto, las posiciones
tienden a polarizarse entre dos extremos: algunas personas piensan que la serie da
una imagen demasiado negativa y “alterada” de Nápoles, presentando clichés y
estereotipos, mientras que otros, en cambio, consideran Gomorra como un ojo que
permite observar, a pesar de los filtros del cine, una realidad lejos de la ficción y
plenamente conforme con la verdad.
Hablando de verdad, las referencias a los acontecimientos y personajes reales
en el libro son sin dudas explícitas y a menudo demostradas por el autor con fuentes
y pruebas irrefutables y, de la misma manera, la película es abiertamente marcada
sobre un estilo documental. Pero tenemos que hacer una discusión más detallada con
respecto a la serie que, si bien utiliza la invención para manipular parte de la realidad,
teje constantes referencias a hechos, contextos y personajes reales, jugando así de
forma explícita con la competencia del espectador.
Episodio tras episodio los detalles acercan los protagonistas del drama a
algunos conocidos protagonistas de la delincuencia de Nápoles y entonces te das
cuenta que la brutalidad de estos hombres es todo lo contrario de la ficción.
Un claro paralelismo se puede detectar entre la figura del jefe Pietro Savastano
y la del real Paolo Di Lauro, y entre Genny y Cosimo Di Lauro, hijo mayor de Paolo
Di Lauro. Estos personajes parecen tener mucho en común con sus referentes reales,
323 Roberto Saviano, “Parla Saviano: «Gomorra? È la realtà negata dai politici»”, “Corriere della Sera”, 24 de
Mayo de 2016.
180
sea en el modo de actuar que de pensar y, además, los dos chicos parecen reflejarse
uno en el otro incluso en su preferencia por la ropa oscura y por el cuero negro.
Más allá de las figuras de los personajes principales, en la serie, se encuentran
también algunos particulares expertamente cosidos y amalgamados que representan
la vida real de Nápoles y sus barrios: la organización del tráfico de droga en pleno
día y en medio de la indiferencia de los transeúntes; las muchas personas en fila
afuera de la prisión que en silencio dejan pasar por delante la mujer del jefe; el uso
de campos de tiro como coartada para los asesinos; el pago mensual distribuido a las
familias de los afiliados muertos o detenidos; las fraudes electorales orquestadas por
el clan en sus propios pueblos; los jefes que rezan en la iglesia antes de ordenar una
matanza.
En el curso de la serie se encuentran también las que podemos llamar
“citaciones visivas”, como la secuencia de apertura del segundo episodio en la que
se muestra el puerto de Nápoles con un contenedor que balancea de una grúa, una
imagen que recuerda las palabras de apertura de la obra de Saviano.
Puerto de Nápoles.
Hoy en día el público parece cada vez más atraído por las historias que por las
noticias y mucho más por los problemas sociales impresos en imágenes “ficticias”
que por los que se ven publicados sobre un informe. Por esta razón, los directores
181
han optado por presentar un fenómeno complejo como la Camorra a través de la vida
personal y cotidiana de una clásica familia camorrista, mostrando antes la cúspide
del poder de su clan y, luego, el siguiente punto de ruptura con el cual todos, tarde o
temprano, tienen que enfrentarse en este ciclo infinito que es la Camorra.
“Es la guerra. Nadie entiende como se luchará, pero todos saben con certeza que
será terrible y larga”324
La guerra de Secondigliano fue una guerra sin piedad, protagonizada por la
figura de Paolo Di Lauro, conocido como “Ciruzzo 'o milionario”325.
Este jefe fue capaz de monopolizar el tráfico de droga en Nápoles y de realizar
su mayor sueño, el de hacer de Scampia la “plaza de droga” más grande de Europa,
embasteciéndose directamente de los carteles sudamericanos y aliándose con los
carteles albaneses para la distribución en grande escala.
Por casi unos 20 años Di Lauro fue conocido como “el jefe fantasma” ya que
nunca se mencionaba su nombre y, a pesar de los esfuerzos de la policía, no se podía
conocer su identidad. Parecía imposible afectar esta perfecta pirámide escondida,
pero las cosas cambiaron rápidamente cuando, tras la muerte de su hijo Domenico,
el jefe decidió retirarse y dejar el mando a su hijo Cosimo, llamado “il corvo” [“el
cuervo”] dado su estilo muy similar al del protagonista de la película “The Crow”326.
Bajo el mando de Cosimo se levantaron las primeras decepciones entre los
miembros principales del clan, “la vieja guardia”327, y el equilibrio del clan inició a
vacilar.
El joven jefe dio más espacio y poder a los jóvenes “guaioncelli” 328 que
constituían su “banda”329 y, para afirmar su autoridad y poder, decidió salariar a
todos, creando así una especie de dependencia; una decisión en contraste con la línea
tomada anteriormente por su padre.
324 Roberto Saviano, “Gomorra”, Debate 2007, capítulo “La guerra de Secondigliano”. 325 Apodo dado por el jefe Luigi Giuliano, llamado "o’ re". 326 “The Crow”, dirigido por Alex Proyas, USA 1994. 327 Expresión utilizada para referirse a los veteranos del clan. 328 Término napolitano para referirse a los jóvines. 329 Término utilizado de los criminales para referirse a su proprio grupo criminal.
182
En ese momento, Lello Amato dicho “la vicchiarella”, ex mano derecha de Di
Lauro, y sus fieles comenzaron a tomar las plazas de tráfico por la fuerza, tejiendo
su propia red de narcotráfico con España.
Comenzaron así las primeras traiciones y las primeras matanzas que llevaron a
la guerra. Fue el inicio de una guerra “sin respeto” y sin piedad que dio lugar a más
de 100 muertes en un año, hasta el punto de que no se usaba más el término “guerra”
sino “Vietnam”. Coches quemados, cadáveres detrás de cada puerta, varios
asesinatos en un solo día, una sola hora. Un macabro juego de ida y vuelta de plomo.
Hermanas, hermanos, padres, primos; nadie se salvó, porque ante la duda la elección
era siempre la de matar.
Después de 2 años de emboscadas y homicidios el clan Di Lauro pareció
derrotado, forzado en los confines
del “Parco dei Fiori”330, conocido
como el “Tercer Mundo”. Es un
barrio enorme cuyo apodo hace
intuir su situación, así como la
inscripción que se encuentra en la
entrada de la calle principal:
“Barrio Tercer Mundo, no entre”.
Sin embargo, algún tiempo más
tarde llegaría la noticia de un pacto331 entre el clan y los “scissionisti”.
El 21 de enero de 2005, una operación de la Antimafia llevó al arresto de
Cosimo Di Lauro, seguido poco después por su padre Paolo. Pero, a veces, el poder
de un jefe no termina aun si éste se encuentra detrás de las barras.
A menos de veinticuatro horas de la detención del jefe Di Lauro, se encontró el
cadáver torturado de Edoardo La Monica. El mensaje impreso en la carne estaba
claro para todos: “cortadas las orejas con las que él oyó, sacados los ojos con los que
330 Barrio de Nápoles. 331 Los términos de ese pacto fueron publicados en el periódico “Cronache di Napoli”, el 27 de junio de 2005.
183
vio, rotas las muñecas con la que tomó el dinero, cortada la lengua con la que habló”.
Una violencia única y un ritual reservado sólo a los que son culpables de una traición
muy grave.
La Camorra no acepta traidores. Incluso la sola sospecha te convierte en un
hombre muerto. Lo mismo le sucede a los arrepentidos.
Uno de los primeros arrepentidos de esa guerra y probablemente el más
importante dada la cantidad de arrestos a los que han llevado sus confesiones es
Maurizio Prestieri. Para la Camorra, los arrepentidos son infames, muertos vivientes.
En cambio para la policía ellos representan un arma, el as en la manga que puede
llevarlos al corazón de un clan, a sus tráficos, a sus relaciones comerciales, a sus
puntos de interés y a sus mecanismos.
Algunos eligen arrepentirse para salvarse la vida, algunos para obtener una
reducción de sentencia, otros porque no ven otra alternativa para salir de ese infierno.
Actualmente, otro hijo del boss Paolo Di Lauro, Marco Di Lauro, prófugo desde
2004, es considerado la cabeza del clan.
Saviano escribe: “el sistema se ha expandido y rejuvenecido. Los líderes
actuales tienen veinte años”332.
Por desgracia cuando un jefe llega al poder, después de poco tiempo nuevas
figuras emergerán para tomar su lugar, reforzándose y caminando sobre los hombros
de los mismos gigantes que los han creado. Porque la Camorra es un Ouroboros, un
serpiente que se muerde la cola, y en este sentido cada parada, “maxi-proceso” o
embargo es más un interrumpir una fase que una acción capaz de destruir un sistema.
“En la nariz me habían quedado los olores; no sólo el olor a serrín y sangre, ni
el de la colonia de los niños soldados sobre mejillas sin pelo, pero sobre todo los
sabores de los perfumes femeninos”333
Un paréntesis interesante, abierto por Saviano en su libro, es el de las mujeres
al poder. El autor nos presenta el lado femenino de la Camorra revelando como las
332 Roberto Saviano, “Gomorra”, Debate 2007, capítulo “La guerra de Secondigliano”. 333 Roberto Saviano, “Gomorra”, Debate 2007, capítulo “Mujeres”.
184
mujeres están siempre presentes en las dinámicas de los clanes. Él explica como para
muchas mujeres casarse con un hombre de Camorra es como recibir un préstamo,
como un capital adquirido. Si tendrán suerte, ese capital rendirá y podrán beneficiar
de un poder ilimitado y tal vez aspirar a convertirse en empresarias o dirigentes. Pero
también puede ser que las cosas salgan mal y así se encontrarán a pasar horas y horas
en la sala de espera en una cárcel y a esperar al “submarino”, que el 28 de cada mes
distribuye los pagos mensuales a las familias de los afiliados en prisión.
En los últimos años la transformación del mundo de la Camorra ha dado lugar
también a una metamorfosis del papel femenino, que de madre y mujer se ha
convertido en una figura empresarial. Son mujeres duras. Sin alma. Su belleza es
marcada, a menudo vulgar, y “tiran sobre la mesa” su sensualidad en pleno gesto de
desafío hacia el mundo.
Ellas viven a la sombra de sus maridos, padres y hermanos, pero están listas
para ser líderes, para comandar y emitir órdenes de muerte, como los hombres y aún
peor que ellos, como en el caso de Donna Imma; o pueden ser simples compañeras,
aliadas, como Patrizia; o auténticas jefas de la hampa como Chanel.
Ésta última es una hiena y lo quiere ser: áspera, desconfiada, feroz, se convirtió
en una “regente” del tráfico de Scampia en lugar de su hermano, Zecchinetta, muerto
por mano de los jóvenes guaglioni de Genny. Algunas personas piensan que su
figura se ha inspirado en la vida de María Licciardi, llamada “a piccerella”, hermana
de Gennaro “a scigna”, convertida en líder de la Alianza de Secondigliano y que está
actualmente en prisión. Pero el personaje de Chanel parece acercarse también a la
figura de Anna Mazza, viuda del padrino de Afragola334 y conocida como “la viuda
negra de la Camorra”335.
Diferente es la figura de Marinella, mujer del hijo de Chanel. En ella vemos
una faceta diversa de éstas mujeres. Marinella es una mujer de Camorra a su pesar,
334 Municipio de la Campania. 335 Roberto Saviano, “Gomorra”, Debate 2007, capítulo “Mujeres”.
185
que vive como prisionera en un mundo donde es fácil entrar pero casi imposible
salir.
“En el sistema Camorra el homicidio es necesario, es como un depósito en el
banco, como la compra de un concesionario, como interrumpir una amistad. [...]
Pero matar a un sacerdote, externo a las dinámicas del poder, hacía flotar la
conciencia”
Una herida incurable de estas guerras son las numerosas víctimas inocentes que
dejan en su camino.
Era el marzo de 1994, Saviano tenía dieciséis años cuando asistió al funeral de
Don Peppino, cuyas palabras asustaron al jefe de zona más que una redada de la
Antimafia. Lo mataron por su valor, porque levantó la cabeza y se atrevió a escribir:
“Por amor de mi pueblo no callaré”336. En su figura se reflejan los muchos casos de
personas que fueron asesinadas “por error” o “comodidad”.
En su libro Saviano nos cuenta de Annalisa Durante, una niña de catorce años
muerta en Forcella337, el 27 de marzo de 2004, durante un tiroteo; Attilio Romano,
matado en Nápoles el 24 de enero de 2005 de la mano de tres asesinos por un error
de identidad; Dario Scherillo, otro “error”, asesinado el 26 de diciembre de 2004;
Gelsomina Verde, veintidós años, torturada, asesinada y quemada el 21 de
noviembre de 2004 sólo porque románticamente vinculada a un joven scissionista,
Gennaro Notturno.
Por desgracia, para la Camorra los miembros de la familia, los amigos, los
amores y los afectos son sólo “mapas”: útiles para poder hallar a la persona que se
está buscando.
336 En 1991 Don Peppino Diana, el sacerdote del barrio napolitano “Casal di Principe”, escribió e hizo circular una
carta pidiendo un compromiso cívico contra la Camorra. Tres años más tarde fue asesinado en su parroquia. 337 Barrio de Nápoles.
186
Gelsomina, llamada Mina, gana un lugar en la serie a través del personaje de
Manu, casi un juego de palabras; el vínculo se
ve claramente declarado en el título del
episodio, que es precisamente “Gelsomina
Verde”; un título que no invoca ningún
elemento del episodio y que debería empujar
al espectador a investigar su origen.
A diferencia del libro, el espectador de la
serie conoce antes un niño que se deja
contratar por parte de un mafioso y sólo
después entra en contacto con la ligereza de la
novia de él, quien era completamente ajena a
ese mundo. En esta representación se revela
también otro problema social que en el libro no es más que un velo entre las líneas:
la falta de conciencia de los jóvenes de lo que implica trabajar para un clan y su
fragilidad de frente a la atracción que este último ejerce con su poder económico y
social.
El tema de los “baby killer” es uno de los más importantes tratados por Saviano,
tanto que empujó al autor a
dedicarle un libro entero:
“La Paranza de los
niños” 338 . En este libro
Saviano nos habla de niños
sin futuro, que no temen ni
la cárcel ni la muerte
porque saben que “el dinero
lo tiene el que se lo agarra”.
338 Roberto Saviano, “La paranza dei bambini”, Feltrinelli 2016.
187
No tienen más de quince años y vuelan con sus motocicletas a través de los
callejones a la conquista de Nápoles.
Son vigías, pero quieren llegar
a ser correos y después asesinos,
convertirse en afiliados, con el
sueño de ser jefes, y morir como
verdaderos hombres: morir
asesinados.
En la película Gomorra
conocemos a Totò y Simone, dos
niños a través de los cuales el
director quiere representar los
muchos jóvenes soldados de la
Camorra. La historia de estos dos
niños, una historia real, ayuda
también a entender el clima en el
cual se vivía durante la guerra de
Secondigliano y cuanto fuese
interiorizada la lógica de esa lucha camorrística. Simone le dice a su amigo que ya
no pueden verse y jugar juntos porque se ha convertido en scissionista, entonces
ahora es enemigo de Totò y está listo aún a matarlo si necesario.
El 30 de noviembre de 2016 ha sido divulgado el servicio documental de
Michele Santoro: “Robinù”339. Se trata de un documental sobre las historias de
algunos jóvenes inmersos en un nihilismo sin expectativas y sin remordimientos.
Historias reales como la de Michele, enamorado de la ametralladora, “u
kalà”340: “con eso en mano no tengo miedo de nada. 33 balas, es como caminar
blindado”341.
339 “Robinù”, dirigido por Michele Santoro, ITA 2016. 340 Término napolitano para “Kalashnikov”. 341 Traducción personal: Michele Mazio, “Robinù”.
188
Jóvenes reales que disparan aún antes de cumplir quince años y raramente
llegan a los treinta, porque para llegar a ser comandante hay que disparar más que
los otros, matar antes de que te maten, hay que asesinarlo al jefe precedente y a los
rivales que tienen la misma ambición.
Ellos son niños fuera de control, sin familia y sin la más mínima confianza en
las instituciones, jóvenes que acaban cayendo en la red de la delincuencia no sólo
por motivos económicos, sino sobre todo culturales y sociales. El sistema los atrapa
y los explota para sus propios intereses, teniendo como fuerza la situación de
debilidad y necesidad que maduran en el deterioro de algunos barrios.
De este punto de vista, las controversias sobre la posibilidad de que el libro, la
película y la serie induzcan a una emulación es sólo fruto de falso moralismo.
Estas personas no están emulando algo que leen en un libro, o que ven en la
televisión, sino algo que ven ocurrir en sus calles y que desafortunadamente es parte
de sus vidas y Gomorra es y será siempre un documento invaluable, que por décadas
seguirá siendo testigo de un período indeleble y un drama imposible de borrar.
Scampia, barrio de Nápoles, “Le Vele”.
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