Sentenza n. 256/2011 A
REPUBBLICA ITALIANA
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IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE PRIMA GIURISDIZIONALE CENTRALE
composta dai seguenti magistrati:
Dott. Vito MINERVA Presidente
Dott. Nicola LEONE Consigliere
Dott. Mauro OREFICE Consigliere
Dott.ssa Rita LORETO Consigliere
Dott. Piergiorgio DELLA VENTURA Consigliere relatore
ha pronunziato la seguente
S E N T E N Z A
nei giudizi riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c., iscritti ai nn. 34930 e 35132 del registro di
segreteria, sugli appelli proposti, rispettivamente, dai sigg.ri:
� Luigi CAPPONI, rappresentato e difeso dal prof. Avv. Andrea Di Lieto ed elettivamente
domiciliato presso la dott.ssa Santina Maurano in Roma, via Pelagio I n. 10 (appello n.
34930);
� Antonino MOLINARO, rappresentato e difeso dal prof. Avv. Nicola Serra ed
elettivamente domiciliato presso lo studio del dott. Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria
n. 2 (appello n. 35132),
entrambi avverso
la sentenza 19 dicembre 2008, n. 194/2008 della Sezione giurisdizionale della Corte dei
conti per la regione Molise.
VISTI gli atti e documenti di causa;
UDITI, nella pubblica udienza del giorno 13 maggio 2011, il consigliere relatore dr.
Piergiorgio Della Ventura e il vice Procuratore generale dr. Mario Condemi; assenti i
difensori delle parti appellanti;
Ritenuto in
F A T T O
Con atto di citazione del 7 gennaio 2008 il Procuratore regionale per il Molise citava in
giudizio ha citato in giudizio innanzi la Sezione giurisdizionale per il Molise i sigg.ri Antonino
Molinaro, Antonio Federico Di Marzio e Luigi Capponi, nelle loro rispettive qualità di
amministratori della cooperativa “San Tommaso” (i primi due) e di funzionario ministeriale (il
sig. Capponi), per rispondere di un danno patrimoniale ingiusto, che sarebbe stato
dolosamente causato al Ministero delle politiche agricole e forestali.
Più in particolare, il PM regionale il 14 dicembre 2006 aveva ricevuto notizia, da parte
della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Campobasso, di una richiesta di rinvio
a giudizio nei confronti di soggetti resisi autori di vari reati concernenti l’illecita fruizione di
contributi pubblici concessi dal Ministero delle politiche agricole e forestali. Sulla scorta di
tale segnalazione era stato contestato, ai soggetti innanzi ricordati, di avere concorso
nell’indebita erogazione, fruizione ed illecita gestione di contributi destinati alla realizzazione
della costruzione di due centri per l’allevamento di conigli, di fatto distolti dalla loro specifica
finalizzazione pubblicistica.
Le menzionate condotte erano state ritenute causative di due distinte poste di danno
erariale: a) danno pari a € 379.177,49, somma che sarebbe stata illecitamente ottenuta dalla
cooperativa San Tommaso; b) ulteriore € 300.000,00 a titolo di danno all’immagine sofferto
dal Ministero erogante.
Gli interessati non ritenevano di presentare giustificazioni scritte avverso le
contestazioni formulate nell’atto di invito a dedurre del PM regionale. Nel
conseguente giudizio instaurato presso la Sezione giurisdizionale si costituivano i sigg.ri
Molinaro e Capponi, mentre rimaneva contumace il sig. Di Marzio.
All’esito del giudizio di primo grado la Sezione adita ha pronunciato sentenza con la
quale, accogliendo parzialmente la domanda azionata dal PM attore:
� ha respinto l’eccezione di prescrizione sollevata dal convenuto Molinaro, ritenendo
computabile il dies a quo dal momento della scoperta del danno, dolosamente occultato
attraverso la commissione di reati;
� ha respinto l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata sempre dal sig. Molinaro
ritenendo, alla stregua di giurisprudenza menzionata in sentenza, che sussista la
giurisdizione sussiste nelle fattispecie relative alla cattiva gestione di finanziamenti
pubblici e al non corretto impiego degli stessi;
� ha respinto l’eccezione di duplicazione della pretesa risarcitoria sollevata dal convenuto
Capponi, ritenendo che la confisca di beni disposta nella sede penale a suo carico non
comporti un effettivo risarcimento del danno erariale, ma solo un’eventualità futura;
� ha respinto la richiesta di sospensione del giudizio contabile in pendenza del processo
penale sui medesimi fatti materiali, sia in ragione del principio di separatezza dei
processi, sia in considerazione della sufficienza degli elementi acquisiti in ordine alla
dedotta responsabilità amministrativa;
� ha respinto l’eccezione di incompetenza territoriale sollevata dal convenuto Capponi,
ritenendo rilevante, quale criterio determinativo della competenza, non la sede del
soggetto che ha subito il danno (Ministero erogante il contributo), ma il luogo in cui sono
avvenuti i fatti (locus commissi delicti);
� nel merito, ha accertato la sussistenza dei presupposti di diritto (qualità soggettiva,
danno, nesso di causalità, elemento psicologico) integranti la responsabilità a carico di
entrambi i convenuti;
� distinguendo tra le due poste di danno pretese dall’attore, ha ritenuto sussistere la prima
(contributi indebitamente fruiti e irregolarmente gestiti per € 379.177,49), mentre ha
ritenuto non provata in causa la seconda posta (danno all’immagine).
In conclusione, la sentenza ha condannato i tre convenuti a risarcire al Ministero delle
politiche agricole e forestali la somma complessiva di € 379.177,49 con vincolo di
solidarietà, ritenuta la caratterizzazione dolosa delle condotte; somma da maggiorare con
rivalutazione monetaria dal momento dell’erogazione dei contributi, oltre agli interessi legali
dal deposito della sentenza fino al soddisfo. Sono state, infine, addebitate le spese di
giustizia, liquidate in € 413,84.
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Hanno impugnato la sentenza i soli sigg.ri Capponi e Molinaro.
In particolare il sig. Capponi (appello n. 34930) ha proposto i seguenti motivi di
gravame:
� Vi è incompetenza territoriale della Sezione giurisdizionale Molise: le somme
asseritamente costituenti danno sono state erogate dal Ministero delle politiche agricole
e forestali, in favore del quale è stata poi pronunciata la condanna. La competenza
spetta, pertanto, alla Sezione giurisdizionale per il Lazio.
� Con la sentenza penale del Tribunale di Salerno n. 5559/03 del 20 ottobre 2003 è stata
disposta la confisca di beni di proprietà del sig. Capponi, per un valore complessivo di
oltre € 7 milioni.
� Secondo quanto indicato dalla sentenza Corte cost. n. 773/1988, non poteva essere
esercitata l’azione di responsabilità e non può essere disposta una duplicazione del
risarcimento.
� E’ pendente il processo penale per gli stessi fatti oggetto del giudizio di responsabilità; è
quindi opportuno attendere la relativa decisione definitiva e sospendere il giudizio
contabile.
� La condanna disposta a carico sia del sig. Capponi, sia dei sigg.ri Molinaro e Di Marzio,
senza che il Pubblico Ministero abbia indicato in citazione la pretesa responsabilità di
ciascuno dei citati in giudizio, viola il principio della personalità e della graduazione della
responsabilità, di cui all’art. 1 della legge n. 20/1994.
� In via subordinata, l’appellante chiede che venga fatto ampio uso del potere riduttivo
dell’addebito.
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Nel proprio appello (n. 35132), il sig. Molinaro ha avanzato le seguenti doglianze:
� Il procedimento deve essere oggetto di sospensione “facoltativa”, in attesa della
conclusione del procedimento penale, da cui il Pubblico Ministero peraltro ha tratto la
documentazione processuale messa a sostegno della pretesa risarcitoria.
� Vi è prescrizione dell’azione di responsabilità, perché i fatti sono accaduti, al più tardi,
nel 1997, mentre l’invito a dedurre è stato notificato all’appellante solo nel settembre
2007.
� Vi è difetto di giurisdizione, perché il rapporto di servizio si è instaurato tra il Ministero
erogante i contributi e la cooperativa “San Tommaso”. Il dott. Molinaro, citato in giudizio
in proprio e senza che sia stato indicato il ruolo da lui ricoperto nella causazione del
danno, è dunque sfornito di legittimazione passiva.
� Manca qualsiasi prova della responsabilità del dott. Molinaro: nell’atto di citazione non è
indicata (e non è stata accertata) alcuna condotta individuale del Molinaro causativa di
nocumento patrimoniale. Non c’è poi alcuna prova in ordine al dolo e il giudice ha
individuato l’elemento soggettivo solo attraverso generici richiami alle ingiuste tesi
dell’accusa.
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Con le proprie conclusioni, recentemente depositate, il Procuratore generale ha
dedotto in ordine ai due appelli pendenti.
In rito, è stata chiesta la riunione delle due impugnazioni, in quanto proposte avverso
la stessa sentenza (art. 335 c.p.c.).
Sempre in via pregiudiziale, osserva il PM che le doglianze dei ricorrenti, più che
denunciare specifici difetti della decisione di primo grado, riproducono per intero il contenuto
delle eccezioni e degli argomenti difensivi già enunciati e svolti nel primo giudizio; ciò
sarebbe sufficiente – sempre secondo la Procura - a far dichiarare inammissibile il gravame,
ex art. 345 c.p.c., per assenza di specifici motivi di appello.
Nel merito, il Requirente argomenta su tutti i motivi di appello, raggruppandoli per
tematiche ritenuti omogenee:
� Difetto di giurisdizione e di legittimazione passiva. Ritiene il PM che ai fini della
sussistenza della giurisdizione contabile, ciò che rileva non è tanto la natura pubblica
del denaro erogato a soggetti privati, quanto piuttosto la gestione o l’utilizzazione a fini
pubblici di quel denaro, avvenuta illecitamente e con impiego distorto rispetto alla
finalizzazione pubblicistica impressa dalla legge; cioè, la natura pubblica delle risorse
finanziarie (nella specie i contributi erogati dal Ministero delle politiche agricole e
forestali) non è presupposto di per sé solo sufficiente a radicare la giurisdizione
contabile, essendo comunque richiesto che il convenuto sia stato chiamato dalla legge
ad effettuare una “gestione” delle risorse pubbliche stesse secondo un “programma”
imposto dalla PA (cita Cass. n. 4511/2006) o che sussista “… una relazione con la
pubblica amministrazione, caratterizzata per il tratto di investire un soggetto, altrimenti
estraneo all’amministra-zione, del compito di porre in essere in sua vece un’attività“ (cita
Cass. n. 22513/2006); in capo al soggetto privato si configura un rapporto di servizio -
tale da permettere di identificare in lui un agente pubblico anche solo “di fatto” - quando
costui abbia fattivamente partecipato alla “gestione” di stampo pubblicistico (cita Cass.
SS.UU n. 14825/2008, n. 20434/2009, n. 9967/2010, n. 16505/2010, n. 23599/2010, n.
23600/2010, n. 23601/2010). Ciò vale – sempre per la Procura - anche per i soci di una
società, essendo il rapporto di servizio riferibile non solo alla società beneficiaria del
contributo, ma anche all’attività di chi, disponendo della somma erogata in modo diverso
da quello preventivato dalla p.a. o ponendo in essere i presupposti per la sua illegittima
percezione, abbia in concreto disatteso lo scopo direttamente perseguito dalla pubblica
amministrazione erogatrice della somma (cita Cass. SS.UU. n. 5019/2010). Aggiunge
poi il Procuratore che nel caso del sig. Molinaro – il quale prospetta il proprio difetto di
legittimazione passiva – tale doglianza a rigore attiene al merito (riguardando la titolarità
di una situazione giuridica sostanziale passiva), ma essa è ritenuta comunque infondata:
egli è stato citato in giudizio nella qualità di amministratore della cooperativa San
Tommaso, beneficiaria dei contributi e tenuta a gestirli un conformità alle finalità di
legge; inoltre, il medesimo ha tenuto condotte gestionali puntualmente ed analiticamente
contestate ed accertate.
� Incompetenza territoriale della Sezione Molise. Ricorda il PM che le disposizioni di cui
all’art. 2 L. n. 658/1984 sulla competenza territoriale enunciano due criteri: il primo
prevede che siano dislocati tra le sezioni giurisdizionali regionali “…i giudizi di conto e di
responsabilità e i giudizi a istanza di parte in materia di contabilità pubblica riguardanti i
tesorieri e gli altri agenti contabili, gli amministratori, i funzionari e agenti della regione,
delle province e dei comuni e degli altri enti locali nonché degli enti regionali”; il secondo
fa riferimento ad attività di gestione che “si sia svolta nell’ambito del territorio regionale”
oppure alle ipotesi in cui “il fatto da cui deriva il danno siasi verificato nel territorio della
regione”; ricorda anche che le Sezioni Riunite della Corte dei conti, con sentenza n.
4/QM/2002 del 13 febbraio 2002 hanno precisato che, nel caso di condotte consistenti
in “attività di gestione”, è questo l’indicatore conducente per stabilire la competenza
territoriale. In sostanza, qui rileva il luogo nel quale sono confluiti i finanziamenti statali
(contributi per lo sviluppo zootecnico) e si è realizzata la condotta gestionale causativa
del danno (cita Sez. III centrale, n. 746 del 2.11.2010).
� Prescrizione dell’azione di responsabilità. Il Requirente ritiene la statuizione decisionale
sul punto irreprensibile: la richiesta di rinvio a giudizio è datata 17 novembre 2005, a
fronte di invito a dedurre notificato nel settembre 2007 e di citazione per responsabilità
amministrativa emessa il 7 gennaio 2008; in punto di diritto, ricorda poi che la pacifica
giurisprudenza contabile riconosce che, nei casi di fatti materiali dannosi aventi
rilevanza penale, la prescrizione dell'azione contabile decorre non da quando il fatto
viene meramente scoperto, ma da quando esso assume una sua concreta
qualificazione giuridica, il che coincide con la data del provvedimento di rinvio a giudizio
in sede penale, a nulla neppure rilevando un’eventuale e mera "notizia" del fatto, ovvero
precedenti indagini conoscitive non comportanti una conoscenza affidabile dei fatti
medesimi (cita Corte dei conti, Sez. I centrale, n. 651 del 23.11.2009 e nutrita
giurisprudenza pregressa ivi menzionata; Sez. III centrale, n. 747 del 2.11.2010).
� Preclusione dell’azione di responsabilità, per duplicazione di risarcimento stante la
confisca penale. La tesi è ritenuta priva di fondamento giuridico poiché, come osserva la
sentenza, il danno patrimoniale oggetto del giudizio contabile allo stato degli atti non
risulta ancora recuperato e che a nulla potrebbe rilevare rilevare un recupero futuro in
altra sede: la confisca penale (art. 240 c.p.) è misura ontologicamente tale da escludere
- fino a quando essa non abbia ricevuto definitiva ed esaustiva attuazione - che possa
paventarsi un bis in idem risarcitorio (nulla tale misura ha a che vedere con la
quantificazione del danno erariale che deve essere risarcito: cita Sez. I centrale, n.
651/2009).
� Richiesta di sospensione del processo contabile. Sul punto, il Requirente osserva anzi
tutto che è stata da tempo espunta dall’ordinamento la regola della pregiudizialità del
processo penale; ma, comunque, ritiene che i fatti a fondamento del processo penale e
di quello amministrativo di danno siano valutabili autonomamente, in ragione della
diversa tutela giudiziaria; l’autonomia dei due processi comporta, altresì, che ben può il
giudice contabile conoscere e valutare, ai fini del proprio convincimento decisionale, le
prove e gli elementi acquisiti nel procedimento penale, senza dover attendere la
pronuncia penale definitiva, soprattutto in presenza di altri concordanti elementi di
valutazione (cita Sez. I, n. 250 del 16.7.1991; n. 266 del 17.9.2001; n. 100 del
23.3.2005). Un rapporto di pregiudizialità potrebbe sussistere, ad avviso del PM, solo
quando la decisione del giudizio penale riguardasse un ben preciso e puntuale
antecedente logico-giuridico necessario alla decisione del giudizio contabile (cita Cass.
SSUU n. 14670/2003; n. 14060/2004, n. 10054/2009, n. 15641/2009, nonché Corte dei
conti Sez. I, 14.11.2000, n. 331); nella fattispecie, sarebbe invece incontestabile che i
contributi pubblici erogati dal Ministero furono distolti dalla loro finalizzazione
pubblicistica, in quanto in nessun modo servirono alla costruzione dei progettati due
allevamenti di conigli.
� Insussistenza, nel merito, delle responsabilità individuali. Del tutto generiche e
apodittiche sarebbero le lamentele che i due appellanti rivolgono avverso l’accertata
sussistenza degli elementi che hanno integrato la rispettiva responsabilità
amministrativa. Il sig. Molinaro lamenta di essere stato ritenuto responsabile solo in virtù
della qualità formale rivestita come Presidente della società cooperativa: nella realtà dei
fatti, sostiene invece il PM, numerose risultanze della documentazione in atti (presenza
del Molinaro agli accertamenti compiuti in data 10 dicembre 1999; dazioni di denaro in
favore del funzionario ministeriale; costanti e vasti contatti di affari intercorsi con il
Capponi; istanze varie prodotte a nome della cooperativa al Ministero erogante)
attesterebbero senza equivoci come egli sia stato, in prima persona (trincerandosi dietro
lo schermo societario cooperativistico) compartecipe attivo delle condotte amministrative
illecite in danno del Ministero erogante i contributi. Con riferimento al sig. Capponi - che
lamenta la violazione della regola della personalità della responsabilità amministrativa,
poichè nella citazione il PM regionale non avrebbe indicato gli addebiti a lui
specificamente mossi - il Procuratore generale sostiene che la lettura dell’atto introduttivo
del giudizio, raffrontata alla ponderosa mole probatoria in atti e all’iter decisionale della
sentenza impugnata, attesta a adeguatamente tutte le attività amministrative
illecitamente compiute dall’interessato (occultamento dei due fascicoli originari,
creazione di due nuovi fascicoli, predisposizione di decreti di proroga e voltura) e
causalmente efficienti, con caratterizzazione dolosa, nella produzione del danno
erariale.
� Utilizzo del potere riduttivo. La richiesta, avanzata in via subordinata dal solo appellante
sig. Capponi, sarebbe da disattendere: nella fattispecie di cui è causa, nessuna
circostanza, oggettiva o soggettiva, emergerebbe a tal fine, mentre sarebbe
inconfutabile il dolo quale connotazione della condotta, che la prevalente giurisprudenza
contabile riconosce come elemento ostativo per qualsiasi riduzione del quantum della
condanna.
In definitiva, il Procuratore Generale chiede che questa Sezione voglia, disattesa ogni
eccezione, deduzione, difesa, istanza o richiesta avversa, respingere entrambi gli appelli
perché infondati e, conseguentemente, confermare per intero l’impugnata sentenza n.
194/2008 della Sezione Molise, addossando le spese del gravame agli appellanti, in quote
eguali e con vincolo di solidarietà.
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All’udienza del 25 marzo 2011 veniva disposto un rinvio del dibattimento, in adesione
all’istanza in tal senso formulata dall’avv. Serra, impedito per ragioni di salute; era all’uopo
fissata l’udienza del 13.5.2011.
In prossimità dell’udienza del 13 maggio 2011 l’avv. Serra ha fatto pervenire ulteriore
istanza di rinvio, sempre per motivi di salute.
All’udienza dibattimentale odierna, con ordinanza dettata a verbale è stata respinta
l’istanza di rinvio dell’avv. Serra, trattandosi della seconda istanza di tal genere; inoltre, è
stata anche richiamata l’ordinanza di accoglimento emessa alla precedente udienza,
la quale aveva fatto espresso riferimento alla possibilità, per l’avvocato, di delegare per
l’udienza un collega cassazionista, presente peraltro nel medesimo studio legale associato.
Il PM ha confermato le conclusioni a suo tempo depositate.
D I R I T T O
1. In rito, si dispone la riunione degli odierni appelli, ai sensi dell'art. 335 c.p.c., in
quanto proposti avverso la medesima sentenza.
2. Sempre in via pregiudiziale, va respinta la doglianza relativa al difetto di giurisdizione
di questa Corte dei conti, esplicitamente avanzata dall’appellante dott. Molinaro (v. atto
d’appello, pag. 4), il quale tuttavia argomenta in relazione ad una - pretesa – carenza di
legittimazione passiva, giacchè sostiene che il rapporto di servizio si è instaurato tra il
Ministero e la cooperativa “San Tommaso”, per cui egli sarebbe stato (impropriamente)
citato in giudizio in proprio e senza che sia stato indicato il ruolo da lui ricoperto nella
causazione del danno erariale.
In ogni caso, sotto entrambi i profili evocati (carenza di giurisdizione di questa Corte
dei conti, ovvero carenza di legittimazione passiva dell’appellante) le deduzioni della difesa
dell’interessato si appalesano prive di pregio e vanno disattese.
2.1. Per quel che riguarda la problematica di carattere generale, è noto come il problema
della possibile sussistenza di un rapporto di servizio di soggetti privati con una pubblica
amministrazione si sia posto, inizialmente, con riferimento agli amministratori e dipendenti
degli enti pubblici economici. Per questi ultimi il Giudice della nomofilachia aveva in un primo
tempo affermato che la giurisdizione della Corte dei conti è da ritenere sussistente solo
limitatamente agli atti che esorbitano dall'esercizio imprenditoriale proprio di questi enti, e si
ricolleghino, dunque, a poteri autoritativi di autorganizzazione, restandone invece escluse le
attività d’impresa, svolte in regime di diritto privato (Cass. civ., SS.UU., 2 marzo 1982, n.
1282; id., 21 ottobre 1983, n. 6178; id, 11 febbraio 2002, n. 1945/ord.; id, 20 febbraio 2003,
n. 2605/ord.).
In anni più recenti, tuttavia, la medesima Cassazione ha rimeditato tale orientamento.
Con la - oramai nota - ordinanza n. 19667 del 22 dicembre 2003, le SS.RR. hanno
affermato, infatti, che esiste la giurisdizione della Corte dei conti in ordine agli illeciti
commessi da amministratori e dipendenti che abbiano cagionato danni agli enti pubblici
economici da cui dipendono. Ha ritenuto, la Suprema Corte, che l’adozione di forme
privatistiche per l’organizzazione dell’ente pubblico o per la sua attività, in ogni caso non
potrebbe certo avere l’effetto di trasformare il denaro amministrato, che è pubblico – in
ragione del suo provenire dalla finanza pubblica - in denaro “privato”, del cui buon uso sia
come tale consentito disinteressarsi.
Tale nuova linea interpretativa della Corte regolatrice della giurisdizione è stata
ribadita in numerose ulteriori pronunzie. La successiva decisione della Cassazione
intervenuta nell’argomento (la sentenza delle Sezioni Unite 26 febbraio 2004, n. 3899), ha
affermato l'esistenza di un rapporto di servizio – e quindi della giurisdizione contabile - tra un
comune e una società per azioni, il cui capitale era detenuto in maggioranza dallo stesso
comune, il quale a tale società aveva affidato in concessione alcuni servizi. In particolare, le
Sezioni Unite hanno rilevato che il rapporto tra l’ente locale e la società in tali casi è
caratterizzato “…dall’inserimento del soggetto esterno nell’iter procedimentale dell’ente
pubblico come compartecipe dell’attività a fini pubblici di quest’ultimo”: il che, appunto,
costituisce il presupposto “per l’assoggettamento alla giurisdizione della Corte dei conti in
materia di responsabilità patrimoniale per danno erariale”; nello stesso senso le
considerazioni espresse, sempre dalle SS.UU. della Cassazione, nell’ordinanza 2 luglio
2004, n. 12192, che ha dichiarato la giurisdizione della Corte dei conti su una società,
costituita da un ente pubblico (ACI) per la gestione dei parcheggi a pagamento su suolo
comunale.
2.2. Per quel che più da vicino interessa il profilo all’odierno esame di questo Giudice
d’appello, è da tenere presente l’ordinanza 12 ottobre 2004, n. 20132, nella quale la
medesima Cassazione a Sezioni Unite ha affermato che rientrano nella giurisdizione della
Corte dei conti le fattispecie di danno erariale, relativo a fatti commessi anche
dall’amministratore di un ente privato, destinatario di contributi vincolati, distratti
irregolarmente dal fine pubblico cui sono destinati.
Successivamente, con la sentenza 1° marzo 2006, n. 4511, le Sezioni Unite hanno
ulteriormente chiarito che la Corte dei conti può condannare anche i soggetti privati che
ricevono indebitamente finanziamenti pubblici per la loro attività (pure privata). Più in
particolare, ha osservato la Suprema Corte che, in tema di riparto di giurisdizione tra Giudice
ordinario e Giudice contabile, "… il baricentro si è spostato dalla qualità del soggetto (privato
o pubblico) alla natura del danno e degli scopi perseguiti, cosicché ove il privato, per sue
scelte, incida negativamente sul modo d’essere del programma imposto dalla pubblica
amministrazione, alla cui realizzazione egli è chiamato a partecipare con l’atto di
concessione del contributo, e la incidenza sia tale da potere determinare uno sviamento
dalle finalità perseguite, egli realizza un danno per l’ente pubblico (anche sotto il mero profilo
di sottrarre ad altre imprese il finanziamento che avrebbe potuto portare alla realizzazione
del piano così come concretizzato ed approvato dall’ente pubblico con il concorso dello
stesso imprenditore), di cui deve rispondere dinanzi al giudice contabile". Analoghi concetti
sono stati espressi dalle medesime SS.UU. nelle successive pronunzie, 20.10.2006, n.
22513 (sempre in fattispecie di erogazione di contributi pubblici a privati), 20.11.2007, n.
24002 e 18.7.2008, n. 19815.
L’innovativa posizione del Giudice regolatore della giurisdizione è stata fatta propria,
senza esitazioni, dalla giurisprudenza contabile: possono ricordarsi in particolare, tra le
tantissime, Corte dei conti, Sezione I d'appello, 1.6.2010, n. 387, 15.10.2009, n. 581 e
5.8.2008, n. 361; Sezione III d'appello, 16.3.2010, n. 202 e 2.10.2009, n. 397; Sezione
giurisdizionale Lazio, 29.3.2010, n. 719; Sezione giurisdizionale Calabria, 17.2.2010, n. 170;
Sezione giurisdizionale Sicilia, 27.11.2009, n. 2996; Sezione giurisdizionale
Sardegna, 18.1.2008, n. 123.
2.3. Orbene, ritiene il Collegio che siano sufficienti le notazioni innanzi esposte, per
evidenziare la piena sussistenza, nel caso all’esame, di tutti gli elementi caratterizzanti la
giurisdizione contabile di responsabilità, secondo la giurisprudenza sopra riportata.
Invero, non v’è dubbio che l’irregolare utilizzo delle risorse pubbliche ricevute dal
privato per la realizzazione di un programma di promozione di un settore produttivo da parte
della P.A., crei un danno per l’ente che tali risorse ha erogato, in relazione al concreto
andamento del programma al quale il contributo stesso era funzionalizzato. In altri termini, in
tutti i casi – come in quello odierno – in cui l’erogazione di fondi pubblici a privati avviene in
forza dell’adesione ad un programma di attività varato dall’ente erogatore, il privato
medesimo diventa compartecipe fattivo di quell’attività pubblica, contribuendo a realizzare le
finalità perseguite con il programma stesso ed instaura, perciò, con il predetto ente un
rapporto funzionale di servizio (v. Corte dei conti, Sezione III app., n. 202/2010, cit.).
Insomma, ciò che è decisivo, ai fini del radicamento della giurisdizione contabile di
responsabilità amministrativa, non è l'utilizzo degli strumenti giuridici prescelti (di diritto
privato o pubblico) o la natura (pubblica o privata) del soggetto agente, ma l’oggettivo
perseguimento dei pubblici interessi e la qualificazione pubblica delle risorse gestite
(elementi, entrambi, qui indiscutibili): in caso di erogazione di contributi pubblici a soggetti
privati, nell’ambito di un programma imposto dalla Pubblica amministrazione, alla cui
realizzazione il privato è chiamato a partecipare con l’atto di concessione del contributo, si è
in presenza di un danno erariale, con conseguente giurisdizione del giudice contabile,
qualora il privato abbia inciso negativamente sul programma medesimo determinando, con
le proprie azioni, uno sviamento dalle finalità perseguite. E comunque, ogni qual volta si
discuta se le sostanze pubbliche siano state correttamente utilizzate e siano effettivamente
servite per realizzare finalità di pubblico interesse, non può essere revocabile in dubbio che
il Giudice deputato nel nostro ordinamento a tale tipo di verifica, ai sensi dell’art. 103,
comma 2, Cost., è appunto questa Corte dei conti.
In conseguenza di quanto innanzi precisato, si appalesa priva di fondamento la
pretesa dell’appellante, di considerarsi estraneo al perseguimento di fini istituzionali: il fatto
che egli nella vicenda in esame perseguisse in via prioritaria il suo egoistico e privato
interesse commerciale (com’è ovvio e giusto che sia), non esclude affatto che, in relazione
all’utilizzo delle quote di provenienza pubblica, egli contribuisse anche a realizzare quella
specifica finalità di carattere generale, in difetto della quale non avrebbe mai avuto diritto a
percepire quelle somme. La giurisprudenza civile e quella contabile, in materia, su ricordate,
sono chiarissime in proposito.
Il Collegio deve, dunque, affermare la propria giurisdizione in materia, con
conseguente rigetto del relativo motivo d’appello.
2.4. Allo stesso modo, non merita accoglimento il profilo di gravame relativo alla carenza
di legittimazione passiva dell’appellante, il quale ritiene di essere stato ingiustamente
chiamato in giudizio in proprio, dal momento che la società cooperativa che percepì i
finanziamenti sarebbe l’unico soggetto interessato, il cui patrimonio dovrebbe essere
aggredito per il ristoro del danno erariale lamentato.
In proposito, va osservato che il dr. Molinaro era organo rappresentativo della società
cooperativa, con sicura immedesimazione organica della persona fisica-agente in quella
giuridica, che si avvale ordinariamente dell’operato dei suoi rappresentanti ai fini dello
svolgimento della propria attività istituzionale.
Non avrebbe quindi senso invocare il principio della personalità della responsabilità
amministrativa (art. 1 L. n. 20/1994), che anzi appare ben rispettato nella fattispecie: nella
presente vicenda, infatti, si discute delle personali responsabilità del dr. Molinaro, il quale
avrebbe causato un ingiustificato e non dovuto esborso di somme pubbliche, a causa
dell’ipotizzata falsificazione di documentazione amministrativa e contabile, e comunque del
mancato svolgimento delle attività cui quelle erogazioni erano finalizzate (costruzione
di due centri per l’allevamento di conigli).
In altri termini, appare improprio far apparire la (dedotta) attività dolosa come riferibile
alla sola cooperativa rappresentata; anzi, a ben vedere, il principio qui invocabile potrebbe
semmai essere quello, opposto, di cui all’art. 5, 2° comma, del D.Lgs. 8.6.2001, n. 231, cioè
la sostanziale irresponsabilità della persona giuridica, nel caso in cui i suoi amministratori
abbiano agìto nel loro esclusivo interesse.
Per concludere sul punto, va respinta, siccome priva di pregio, la doglianza relativa al
preteso difetto di legittimazione passiva, avanzata dall’appellante dr. Molinaro.
3. Va poi scrutinata la richiesta, avanzata dall’altro appellante sig. Capponi, di riforma
della prima sentenza, laddove non ha accolto l’eccezione di incompetenza territoriale della
Sezione Molise.
Dispone in proposito l’art. 2 della legge 8 ottobre 1984, n. 658 (norma la cui
applicazione per la generalità dei giudizi contabili è stabilita dall’art. 1, comma 3 della legge
14 gennaio 1994, n. 19, di conversione del D.L. n. 453/1993): “Sono attribuiti alla sezione di
cui al precedente articolo, in base alle norme e ai principi concernenti l'attività giurisdizionale
della Corte dei conti: a) i giudizi di conto e di responsabilità e i giudizi a istanza di parte in
materia di contabilità pubblica riguardanti i tesorieri e gli altri agenti contabili, gli
amministratori e i funzionari e agenti della regione, delle province, dei comuni e degli altri
enti locali nonché degli enti regionali; b) i giudizi di conto e di responsabilità e i giudizi a
istanza di parte riguardanti gli agenti contabili, gli amministratori e funzionari, impiegati e
agenti di uffici e organi dello Stato e di enti pubblici aventi sede o uffici nella regione,
quando l'attività di gestione di beni pubblici si sia svolta nell'ambito del territorio regionale,
ovvero il fatto da cui deriva il danno siasi verificato nel territorio della regione; (…)”.
La norma di cui al citato art. 2, lett. b) – quella cioè che riguarda l’odierna fattispecie –
si riferisce dunque al criterio penalistico del forum commissi delicti (art. 8 c.p.p.), qualora
risultino coinvolti soggetti (agenti contabili, amministratori, funzionari e impiegati)
legati da rapporto di servizio con uffici o organi dello Stato o con enti pubblici aventi sede
nella regione e l’attività di gestione di beni pubblici si sia svolta nell’ambito del territorio
regionale, ovvero il fatto da cui deriva il danno si sia verificato nel territorio della regione.
Per quel che riguarda l’effettiva portata e i limiti di applicazione del su detto criterio
normativo, hanno chiarito le Sezioni riunite di questa Corte dei conti (sentenza 13.2.2002, n.
4/QM) che “il criterio principale per l'attribuzione di competenza alle Sezioni regionali della
Corte dei conti è costituito dall'incardinazione del pubblico amministratore o dipendente -
supposto autore del comportamento illecito - nella sede o ufficio ubicati nella regione,
mentre, qualora nella produzione del danno contabile concorrano o confluiscano più
comportamenti illeciti di soggetti incardinati presso uffici o sedi di diverse regioni, criterio
ulteriore per determinare il giudice competente è dato dall'individuazione del fatto giuridico
(o dell'attività gestoria) necessariamente causativo del danno e la sua ascrizione al soggetto
che lo ha posto in essere, in forza dell'incardinazione presso una sede, un ufficio, un organo
dello Stato o di un ente pubblico”.
E dunque, nell’odierna fattispecie a nulla rileva che il danno è stato arrecato ad un
soggetto (Ministero) non avente sede nella regione Molise, né che l’appellante fosse un
funzionario statale, perché ciò che conta, ai fini del radicamento della competenza
territoriale, è che all’azione produttiva di danno abbiano concorso (anche) soggetti avente
sede in quella regione (appunto, i soggetti condannati unitamente al sig. Capponi): in altri
termini, qui opera il criterio, innanzi esposto, secondo cui la competenza spetta alla Sezione
giurisdizionale della regione in cui ha avuto luogo l'attività da ritenere causativa del danno
(v. Corte dei conti, Sezione III app., 14.1.2010, n. 23).
Né potrebbe avere rilievo alcuno la circostanza – peraltro non dimostrata
dall’interessato - che il soggetto agente non avesse la propria sede di servizio nella regione
(come invece sembra ritenere l’appellante); altrimenti si avrebbe il risultato, paradossale
sotto il profilo interpretativo, di lasciare fuori dalla previsione normativa dell’art. 2, lett.
b), cit. ogni ipotesi in cui il soggetto agente abbia la propria sede di servizio al di fuori del
territorio della regione in cui si svolge l'attività, e si costringerebbe l'interprete ad attribuire
prevalenza al criterio della sede di servizio rispetto a quello del luogo in cui si è svolta
l'azione o si è verificato l'evento, il che sarebbe in contrasto sia con la lettera che con la ratio
della norma medesima (v. Corte dei conti, Sezione giurisdizionale Toscana, 11.2.2009, n.
94). E dunque, l'individuazione del giudice contabile competente in tali casi non può che
ottenersi identificando il territorio regionale con quello in cui svolge l'attività gestoria dei beni
pubblici o (in subordine) si è prodotto il danno (giurisprudenza pacifica: v. ex multis, oltre alle
sentenze appena citate, Corte dei conti, Sezione giurisdizionale Emilia Romagna,
30.5.2007, n. 445; Sezione giurisdizionale Campania, 10.5.2007, n. 877; Sezione
giurisdizionale Lombardia, 22.2.2006, n. 114; Sezione giurisdizionale Puglia, 7.10.2005, n.
788).
Del tutto corretta, perciò, si appalesa la scelta compiuta in proposito dal primo
Giudicante.
4. L’appellante dr. Molinaro lamenta ancora, in via preliminare, l’erroneità della prima
sentenza, in punto di mancata declaratoria della prescrizione quinquennale dell’azione di
responsabilità: i fatti sono accaduti, al più tardi, nel 1997, mentre l’invito a dedurre è stato
notificato all’appellante solo nel settembre 2007. Ritiene in proposito l’interessato che l’inizio
del decorso del termine debba coincidere con la conoscibilità dei fatti e, nel caso di specie,
tale momento non potrebbe non corrispondere con l’erogazione del saldo, tenuto conto che
nessuna dimostrazione sarebbe fornita circa la mancata conoscenza dei fatti a quella data.
Anche tale doglianza va respinta, siccome infondata.
4.1. Va premesso al riguardo che, ai sensi dell'art. 1, comma 2 della legge 14.1.1994 n.
20 (come successivamente modificata dalla legge 20.12.1996 n. 639), il diritto al
risarcimento del danno si prescrive in ogni caso in cinque anni, decorrenti dalla data in cui si
è verificato il fatto dannoso, ovvero, in caso di occultamento doloso del danno, dalla data
della sua scoperta. La prescrizione, dunque, decorre dalla data in cui si è verificato il fatto
dannoso e tale data è stata identificata dalla giurisprudenza in quella in cui si è verificato il
danno quale componente del “fatto“ (ex plurimis, v. Corte dei conti, SS.RR., 29 gennaio
1997, n. 12 e Cassazione civile, Sez. III, 12 agosto 1995, n. 8845); in particolare, per quel
che qui interessa, si ricorda che il Legislatore, con le norme appena citate, ha sancito
espressamente il principio secondo il quale, nel caso di occultamento doloso, il termine di
decorrenza della prescrizione non può che decorrere dalla data della sua scoperta.
Orbene, ritiene questo Giudice che nei casi – come quello all’esame - di indebita
percezione di denaro, collegata con la consumazione di fatti delittuosi, si deve ritenere in re
ipsa la sussistenza di un doloso occultamento del danno: cfr., in proposito, Corte dei conti,
SS.RR., 15.2.1999, n. 3 e 11.2.1994, n. 929; Sezione I app., 25.11.2008, n. 508; Sezione II
app., 13.4.2000, n. 134; Sezione III app., 2.4.1999, n. 63. Tale situazione, a sua volta,
comporta un obiettivo impedimento ad agire, di carattere giuridico e non di mero fatto: ciò
implica che l’azione contabile può essere iniziata solo allorchè il fatto comportante
responsabilità amministrativa viene non meramente scoperto, ma quando esso assume una
sua concreta qualificazione giuridica, atta ad identificarlo come presupposto di una
fattispecie dannosa.
Non vi è allora dubbio che l’inizio del termine di prescrizione debba essere
individuato, in tali evenienze, nel momento in cui il danno stesso è stato delineato in tutte le
sue componenti, a seguito del provvedimento di rinvio a giudizio in sede penale: momento
che indubbiamente rappresenta, anche in virtù di quanto disposto dall’art. 2935 del c.c. (“la
prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”) il dies a
quo di decorrenza, secondo quanto ampiamente chiarito dalla pacifica giurisprudenza di
questa Corte dei conti, che questo Collegio condivide appieno: cfr., ex plurimis, SS.RR.,
sentenza 25.10.1996, n. 63; Sezione I app., 5.2.2008, n. 64; id., 4.12.2007, n. 497; id.,
11.7.2007, n. 194; id., 16.4.2007, n. 94; id., 8.3.2007, n. 45; id., 18.3.2003, n. 103;
Sezione II app., 7.6.2004, n. 184; id., 2.2.2004, n. 29; id., 29.5.2003, n. 208; Sezione III
app., 26.3.2007, n. 73; id., 16.1.2002, n. 10; Sezione app. Sicilia, 22.4.2004, n. 66.
4.2. Da quanto riferito innanzi, consegue l’infondatezza della tesi di parte appellante,
secondo la quale il termine iniziale di decorrenza della prescrizione andrebbe fissato alla
data di percezione delle somme in contestazione; tesi che contrasta, invero, non solo con la
lettera e la stessa ratio del su ricordato art. 1, comma 2, L. 20/1994 (il quale postula, in caso
di occultamento doloso, la scoperta del danno da parte dell’amministrazione o del PM
contabile), ma anche con lo stesso art. 129, comma 3, disp. att. c.p.p., il quale per parte sua
prevede l’obbligo di informativa, da parte del PM penale, solo al termine della fase delle
indagini preliminari.
Ed infatti, nell’odierna fattispecie è ben vero che la materiale liquidazione delle
somme in contestazione è avvenuta al massimo nel 1997, ma la scoperta degli illeciti, senza
i quali le erogazioni medesime sarebbero state perfettamente legittime, si è avuta solo il
17.11.2005, data del rinvio a giudizio in sede penale; in relazione a ciò l’invito a dedurre del
2007, come pure la citazione del gennaio 2008, si pongono entrambi come tempestivi.
Non v’è dubbio, in conclusione, che la doglianza relativa alla prescrizione debba
essere respinta, siccome infondata.
5. Va poi respinta la deduzione del sig. Capponi, relativa alla pretesa impossibilità di
una condanna da parte di questo Giudice, che si porrebbe a suo avviso come violativa del
principio ne bis in idem (duplicazione di domande risarcitorie): in sede penale è stata già
disposta la confisca di beni di sua proprietà, per un importo persino superiore a quello oggi
in esame.
La doglianza si appalesa priva di pregio.
Sotto il profilo generale, vale marcare e ribadire i differenti ambiti e finalità della
giurisdizione civile (sia pure esercitata in sede penale), rispetto a quella di responsabilità
amministrativa e contabile, intestata alla Corte dei conti: la prima tende al reintegro
degli elementi del patrimonio di un soggetto (ingiustamente) danneggiato, la seconda è
invece finalizzata ad accertare e sanzionare le responsabilità degli agenti pubblici che
abbiano, con comportamenti contra legem, inferto una lesione all'efficienza dell'azione
amministrativa, nonché alla sua indipendenza, buon andamento ed imparzialità. Ciò in
astratto, secondo una certa interpretazione, ben potrebbe giustificare l’esistenza di due
contemporanee azioni innanzi alle due diverse giurisdizioni, attivate da soggetti differenti,
senza che ciò comporti necessariamente la violazione né del principio del giusto processo,
né di quello del ne bis in idem, dal momento che comunque, in sede esecutiva, si dovrebbe
comunque tenere conto di quanto già risarcito per effetto di precedenti condanne (cfr. Corte
dei conti, Sezione I app., 20.5.2010, n. 364, 22.1.2002, n. 16 e 14.11.2000 n. 331; Sezione
III app., 18.1.2002, n. 10).
Ma, in ogni caso, è certo che soltanto la definitiva conclusione della vicenda
processuale in sede civile potrebbe comportare la preclusione dell'azione di responsabilità
amministrativa nei confronti del reo, e solo in ordine al medesimo fatto per il quale fu definito
quel giudizio (giurisprudenza costante: cfr, in terminis, Corte dei conti, Sezione II, 11.2.1985,
n. 19; Sezione I, 28.10.1991, n. 325; SS.RR., 17.2.1992, n. 752; Sez. II app., 4.7.2001, n.
237).
Orbene, nella presente fattispecie dirimente appare la circostanza che il giudice
penale ha disposto solo una confisca di beni dell’interessato, ma non risulta sia finora
iniziato (né tanto meno concluso) il relativo giudizio civile.
Da ciò consegue l’infondatezza del dedotto motivo d’appello, e comunque la
doverosità di una pronunzia da parte di questo Giudice, fermo restando – si ripete – che in
sede esecutiva si terrà comunque conto di eventuali recuperi già effettuati ad altro titolo per
la stessa causale.
6. Entrambe le difese hanno pure addotto la pregiudizialità del procedimento penale
pendente per gli stessi fatti rispetto al presente giudizio di responsabilità amministrativa,
sostenendo che la sentenza di primo grado, che ha respinto la relativa eccezione, dovrebbe
essere riformata.
Al riguardo questo Giudicante ritiene necessario anzi tutto evidenziare – con
riferimento ai rapporti tra giudizio penale e giudizio di responsabilità amministrativo-
contabile, quando i due giudizi vertono sullo stesso soggetto e sullo stesso fatto - che il
nuovo codice di procedura penale, introdotto nel 1988, ha eliminato dall’ordinamento non
solo l’art. 3 del precedente c.p.p., ma anche ogni riferimento ad esso dal testo novellato
dell’art. 295 c.p.c.; in conseguenza di ciò, è pacifica la conclusione secondo cui il nostro
ordinamento non è più ispirato al principio di pregiudizialità obbligatoria del processo penale,
del quale la vecchia norma era espressione: non esiste più, nei rapporti fra i due giudizi, la
c.d. pregiudiziale penale, e i giudizi medesimi si pongono in autonomia e separatezza fra
loro, essendo i reciproci effetti disciplinati nel nuovo codice di procedura penale nei termini e
nei limiti indicati dagli artt. 651 e 652 c.p.p..
Tale principio, affermato per la prima volta dalle Sezioni Riunite di questa Corte nel
1990 (sentenza 5.2.1990, n. 648), è stato più volte ribadito anche in epoca recente, per cui
può senz’altro sostenersi che nel sistema del nuovo codice, improntato alla separatezza dei
processi, non esiste un’ipotesi di sospensione necessaria del giudizio di responsabilità
amministrativa in rapporto alla pendenza di un giudizio penale (cfr. Corte dei conti, Sezione I
app., 3.12.2008, n. 532; 24.1.2008 n. 54; 23.3.2005 n. 100; 17.9.2001 n. 266; Sez. II app.,
10.9.2001 n. 291 e 16.10.2001 n. 330; Sez. III app., 19.5.2008 n. 171); e difatti, le due
ipotesi di sospensione necessaria contemplate nel terzo comma dell’art. 75 c.p.p. (azione
proposta in sede civile dopo la costituzione di parte civile nel processo penale o dopo la
sentenza penale di primo grado) riguardano esclusivamente il processo civile e, quindi, non
potrebbero trovare applicazione nel giudizio contabile (Sez. II app., 27.7.1998 n. 186).
E’ stato pure sostenuto (Corte dei conti, Sezione I app., 16.7.1991, n. 250) che -
proprio in ragione della su evidenziata autonomia dei due processi - ben può questo
Giudice contabile conoscere e valutare per il proprio convincimento gli elementi e le prove
acquisiti nel procedimento penale, senza dover attendere la pronuncia penale definitiva,
soprattutto in presenza di altri concordanti elementi di valutazione (Corte dei conti, Sezione I
app., 23.3.2005, n. 100; 17.9.2001, n. 266; Sezione giurisdizionale Umbria, 22.1.2001, n.
34).
Nello stesso senso è anche la giurisprudenza della Corte di Cassazione (Cass. civ.,
29.5.2000, n. 7057 e 24.5.2000, n. 6792). In ogni caso, la Corte Costituzionale, con la
sentenza n. 272/2007 ha fugato ogni dubbio circa la non necessità della sospensione.
E, venendo alla fattispecie all’esame, deve ritenersi che essa si presenti
sufficientemente chiara nella sua realtà fenomenica, risultando la condotta illecita degli
odierni appellanti (tra gli altri) già delineata e provata da quanto emerge dalla
documentazione acquisita anche in sede penale.
E difatti, dagli atti trasmessi dal pubblico ministero penale, come pure dalle indagini
svolte dalla Guardia di finanza, si evincono una molteplicità di elementi probatori a conforto
dell’originaria ipotesi accusatoria, come del resto ritenuto anche dal Collegio di prime cure
nella motivazione della sentenza di condanna.
In conseguenza di quanto precede, la richiesta degli appellanti, di sospensione del
presente giudizio in attesa dell’esito del processo penale, deve essere respinta.
7. Nel merito, come appena anticipato, risultano più che chiare le responsabilità dei
due appellanti nella produzione dell’ingiusto danno patrimoniale per il Ministero, con
conseguente doverosità di integrale conferma delle impugnate statuizioni di cui alla
sentenza appellata; allo stesso modo, e per converso, generiche e indimostrate si
appalesano le doglianze spese dai due interessati nel merito della vicenda che li riguarda.
Per quel che riguarda il sig. Capponi, il quale si limita a dedurre la violazione della
norma di cui all’art. 1 L. n. 20/1994 in tema di personalità della responsabilità amministrativa
(il Procuratore regionale non avrebbe indicato gli esatti addebiti a lui mossi), è appena
il caso di richiamare gli atti del processo penale, tra cui la sentenza del GUP presso il
Tribunale di Campobasso n. 140 del 27.11.2007, con la quale l’interessato è stato
condannato a 4 anni e 6 mesi di reclusione ex art. 444 c.p.p., in relazione alla vicenda della
costruzione del centro allevamento conigli della cooperativa “San Tommaso”, proprio in
quanto “… dalla documentazione in atti emergono più che sufficienti elementi di
responsabilità penale”.
Anche la restante, amplissima mole di documenti presenti nel fascicolo del giudizio
(verbali e informative della Guardia di finanza, atti dell’istruttoria penale) dimostra più che a
dovere tutti gli illeciti dolosi commessi dal funzionario pubblico, che hanno causato la
liquidazione di contributi non dovuti all’altro appellante, con grave danno per il pubblico
erario (occultamento dei due fascicoli originari, creazione di due nuovi fascicoli,
predisposizione di illegittimi decreti di proroga e voltura): comportamenti che, si ripete,
l’appellante non ha neppure specificamente contestato, anzi ha tranquillamente (e
ripetutamente) ammesso, nell’ambito dell’istruttoria penale: v. le pagg. 41 e segg.
dell’ordinanza di applicazione delle misure cautelari del GIP presso il Tribunale di
Campobasso in data 25.6.2003.
Con riferimento invece al sig. Molinaro – il quale lamenta di essere stato ritenuto
responsabile solo in virtù della qualità formale rivestita come Presidente della società
cooperativa – è sufficiente richiamare gli stessi atti dell’istruttoria penale e le relazioni della
Guardia di finanza; si veda in particolare – tra gli altri - il verbale di cui alla nota n. 3041
dell’8 aprile 2008, da cui risulta, a seguito di sopralluogo effettuato presso il comune di
Fossalto, contrada S.Tommaso (ove era appunto prevista la realizzazione delle opere in
questione), che “i due capannoni ad uso zootecnico finanziati con i progetti 33/C/2268/AG e
33/C/2269/AG sono risultati inesistenti”. Non senza richiamare, anche qui, l’ordinanza del
GIP presso il Tribunale di Campobasso del 25.6.2003, in specie le pagg. 39 e segg..
Insomma, non possono sussistere dubbi in ordine alla piena colpevolezza dei due
appellanti per i fatti loro addebitati dalla sentenza impugnata, che merita dunque piena ed
integrale conferma.
8. Né, infine, può esservi spazio alcuno per una riduzione dell’addebito ex art. 52 R.D.
n. 1214/1934, dato appunto il carattere doloso della condotta dei due condannati, che per
giurisprudenza costante esclude la possibilità di esercizio del potere riduttivo (così, ex
plurimis, SS.RR., 17.9.1986, n. 513/A; Sezione III app., 1.7.2002, n. 228 e Sezione II app.,
6.11.2000, n. 338).
9. In conclusione, per tutto quanto innanzi esposto, la sentenza appellata si appalesa
immune da censure e gli appelli proposti vanno entrambi rigettati, con conseguente integrale
conferma delle statuizioni di prime cure.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e devono essere poste a carico dei
ricorrenti, in solido e in parti uguali.
P. Q. M.
La Corte dei conti – Sezione prima giurisdizionale centrale d’appello, definitivamente
pronunziando, previa riunione in rito, ogni contraria istanza ed eccezione reiette,
RESPINGE
gli appelli proposti, con integrale conferma dell’impugnata sentenza di prime cure;
CONDANNA
i ricorrenti, in solido e in parti uguali, alla rifusione delle spese del presente grado di giudizio
in favore dello Stato; spese che, all'atto della presente decisione, sono liquidate in €
219,30 (€
DUECENTODICIANNOVE/30).
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 13 maggio 2011.
L'ESTENSORE
(f.to Piergiorgio Della Ventura)