Download - Sentenza pantani
Motivazione
L’odierna imputazione trae origine dal seguente fatto: in data 18/10/95 alle ore 15 il
corridore professionista Marco Pantani durante lo svolgimento della gara ciclistica Milano-
Torino entrava in collisione con un automezzo (vedi segnalazione di incidente stradale
Polizia Municipale Torino 14/11/95 aff. 3/38 faldone 1). Nel sinistro venivano coinvolti
anche i corridori Secchiari Francesco e Dall’Olio Davide, che riportavano le ferite descritte
nelle rispettive cartelle cliniche, acquisite in atti.
Trasportato presso il Pronto Soccorso del Centro Traumatologico Ortopedico di Torino
Pantani veniva ricoverato con la seguente diagnosi: “frattura esposta pluriframmentaria
tibia e perone sinistro, ematoma post-traumatico coscia sinistra, contusioni multiple
escoriate “.
Allo scopo di sottoporre in tempi rapidi il ferito ad intervento chirurgico per riduzione ed
osteosintesi della frattura, all’atto del ricovero lo stesso veniva sottoposto a un prelievo di
sangue . Dal referto ematologico in atti, rilasciato alle ore 15.20 (vedi aff. 2/13 faldone 1),
si evinceva che Patani presentava valori ematologici profondamente alterati rispetto al
range di normalità, e precisamente 60,1% di ematocrito, 20,8 gr. per 100 millilitri di
emoglobina, 6.690.000 di globuli rossi per millimetro cubo. Tali valori rendevano necessaria
prima dell’intervento un’infusione di tre litri di soluzione fisiologica, elettrolitica bilanciata,
glucosata ed emogel per via venosa (vedi sul punto spiegazione Benzi pag. 68 trascr. ud.
13/10/2000). Il paziente veniva perfuso con tale soluzione (ulteriori 2,5 litri) per altre 16
ore susseguenti all’intervento e precisamente sino alle ore 16 del giorno successivo.
Un ulteriore esame ematologico eseguito alle ore 19.40 dello stesso giorno, mentre era
ancora in corso la trasfusione del sangue, evidenziava i seguenti valori: 42.3 di ematocrito,
14,6 di emoglobina e 4.730.000 di globuli rossi.
Nei giorni successivi Pantani evidenziava una crescente anemizzazione che ne metteva in
pericolo la stessa vita (sul punto tutti i consulenti sono stati concordi) e portava lo staff
medico curante, in data 25/10/95, di fronte a un valore di emoglobina di 5.8 e a un
ematocrito di 15.9, a sottoporre il paziente a una trasfusione di sangue.
In seguito ad indagini particolarmente articolate ed approfondite e all’esperimento di una
complessa consulenza tecnica il Pubblico Ministero di Torino dott. Raffaele Guariniello,
ritenendo che i succitati abnormi valori ematologici riscontrati all’atleta al momento del
ricovero presso il CTO di Torino fossero dovuti all’assunzione di medicamenti atti a
stimolare l’eritropoiesi in vista della gara Milano-Torino 1995 e più complessivamente
delle competizioni da svolgersi in quella stagione agonistica, al fine di potenziare
fraudolentemente il proprio rendimento in gara, elevava nei confronti di Pantani
l’imputazione di cui all’art.1 L. 401/89.
I difensori dell’imputato depositavano alla Procura di Torino istanza di trasmissione degli
atti al Pubblico Ministero di Forlì, rigettata dal dott. Guariniello ma accolta, su ricorso della
difesa, dalla Suprema Corte.
Il Procuratore di Forlì avanzava richiesta di archiviazione del procedimento, la quale veniva
rigettata dal Gip di Forlì dott. Leoni che restituiva gli atti al PM per l’esercizio dell’azione
penale.
A dibattimento Marco Pantani rimaneva contumace.
Preliminarmente la difesa chiedeva al giudice di assolvere l’imputato ex art. 129 cpp
sostenendo che il fatto ascritto allo stesso non era previsto dalla legge penale come reato.
Il Pubblico Ministero aderiva a tale richiesta.
Il giudice pronunciava l’ordinanza in atti, la cui motivazione deve intendersi qui richiamata,
con la quale rigettava l’istanza e disponeva procedersi oltre.
Le parti concordavano ex art. 493/3 cpp l’acquisizione al fascicolo del dibattimento delle
sommarie informazioni rese in fase di indagini preliminari dai seguenti testi, con la
documentazione allegata in tale sede da ciascuno degli stessi: Aiello Giacomo, Cerutti Gian
Carlo, Standali Marcello, Lavarda Angelo, Massaro Anna, Castellardo Carmine, Cannavò
Candido, Grazi Giovanni, Mazzoni Gianni, Rempi Roberto, Borghi Remo, Pierfederici
Marco Tonino, Forconi Riccardo, Ferrari Chiara, Falai Giovanni, Secchiari Francesco,
Dall’Olio Davide, Pitrolo Guglielmo, Tarsi Daniele, Potena Alfredo, Levi Marco, Tredici
Giovanni, Magdani Marco, Martinelli Luigi, Piutti Gilda, Salsano Anna, Rossi Paolo,
Grosso, Flavio, Imbesi Carmela, Caronne Marcello, Vanni Federica, Bufalo Ivan,
Carboinella Angelo, Vincenzo Ida Emilia, Cartesegna Massimo, Cacaci Francesco, Gandolfi
Carmen, Giugiaro Pier Mario, Palumbo Antonio, Willy Voet, Inselvini Umberto, Dei Cas
Stefano, Pizzini Leone, Stagno Davide, Giancarlo Gamberini, Mecca Isabella, Pagliarini
Eddi, Busi Alessandro, Scalia Margherita, Fanini Ivano, Capiello Enrico, Griffero Rita,
Vincenzo Ida Emilia, Schattemberg Leo Bernard Josef Antoine.
Ex artt. 493/3 le parti concordavano altresì per l’acquisizione al fascicolo del dibattimento
della refertazione medica inerente il ricovero di Marco Pantani presso l’Ospedale di Rimini
avvenuto in data 1/5/95.
Nell’istruttoria dibattimentale veniva acquisita svariata documentazione, prodotta da PM e
difesa.
A dibattimento venivano sentiti altresì i consulenti del Pubblico Ministero prof. Benzi e
prof. Ceci, i consulenti della difesa prof. Tura e prof. Froldi (tra i quali, all’esito dei
rispettivi esami, veniva disposto dal giudice un confronto), i seguenti testi la cui audizione
era chiesta dal Pubblico Ministero: Dall’Olio Davide, Cacaci Francesco, Pizzini Leone,
Tarsi Daniele, Borchi Remo, Fiorio Carla, Faina Marcello, Stagno Davide, nonché Rempi
Roberto, il quale ultimo veniva esaminato quale imputato di procedimento connesso ai sensi
dell’art. 210 cpp e si avvaleva della facoltà di non rispondere, i seguenti testi chiesti sia dal
Pubblico Ministero che dalla difesa: Vincenzo Ida Emilia, Cartesegna Massimo e Grazi
Giovanni, il quale ultimo veniva esaminato anch’esso ex art. 210 cpp quale imputato di
procedimento connesso e si avvaleva della facoltà di non rispondere, nonché i seguenti testi
chiesti dalla difesa: Giugiaro Pier Mario e Palumbo Antonio.
In data 6/11/2000 i difensori dell’imputato depositavano fuori udienza dichiarazione di
ricusazione di questo giudice per valutazioni dallo stesso espresse nell’ordinanza
pronunciata all’udienza 20/10/2000, con cui venivano rigettate alcune istanze istruttorie
avanzate dalla difesa.
All’udienza 10/11/2000 il giudicante si asteneva dal proseguire l’istruttoria dibattimentale
in attesa della decisione della Corte d'Appello di Bologna.
In data 14/11/2000 la predetta Corte dichiarava inammissibile l’istanza di ricusazione
formulata dalla difesa per tardività della stessa, precisando però che il giudizio di valore
espresso da questo magistrato non implicava affatto una indebita manifestazione del
convincimento sui fatti oggetto dell’imputazione, e motivando nel merito tale valutazione.
Avverso la suddetta ordinanza la difesa proponeva ricorso per Cassazione, sul quale la
Suprema Corte non si era ancora pronunciata nel momento in cui veniva depositata questa
sentenza.
All’udienza 11/12/00, prima della discussione, la difesa produceva scritto autografo
dell’imputato con il quale lo stesso si rivolgeva al Giudice asserendo di non essersi mai
sottoposto a pratiche dopanti con uso di eritropoietina o di altri prodotti vietati e citando, a
conferma di ciò, il fatto che, di fronte agli innumerevoli controlli antidoping previsti a tutela
dell’atleta dai regolamenti sportivi, cui nell’arco della sua carriera era stato sottoposto, non
era mai risultato positivo.
All’esito del dibattimento PM e difesa concludevano come in atti.
Questo Giudice decideva come da dispositivo.
Nel merito si osserva quanto segue.
Preliminarmente è necessario affrontare il problema relativo all’interpretazione del disposto
normativo richiamato in imputazione, al fine di chiarire se esso comprenda o meno tra i
comportamenti illeciti ivi sanzionati il cosiddetto doping autogeno e cioè l’assunzione da
parte dell’atleta, partecipante a una gara, di prodotti farmacologici destinati a migliorare
artificiosamente la propria prestazione agonistica.
La norma si articola nella previsione di due distinte condotte criminose: la prima configura
una vera e propria istigazione alla corruzione in ambito sportivo, concretizzantesi nella
promessa o offerta di denaro o di altra utilità o vantaggio formulate a favore di taluno dei
partecipanti a una competizione sportiva organizzata dal CONI, dall’U.N.I.R.E. o da altri
enti sportivi riconosciuti dallo Stato e dalle associazioni ad essi aderenti, al fine di ottenere
il raggiungimento di un risultato diverso da quello conseguente al leale svolgimento della
competizione, la seconda prevede una condotta, residuale e onnicomprensiva, che si
sostanzia in qualsiasi altro atto fraudolento idoneo a minare la correttezza di una
competizione sportiva rientrante tra quelle sopraindicate, e ad alterarne potenzialmente il
risultato finale. Entrambe le condotte debbono quindi essere finalisticamente orientate e cioè
caratterizzate dal dolo specifico del raggiungimento di un risultato diverso da quello che
sarebbe conseguito al corretto e leale svolgimento di una competizione sportiva.
Il principale problema ermeneutico che si pone in relazione alla succitata norma è quello
dell’individuazione del soggetto attivo del reato, giacchè l’art.1 L.401/89, pur delineando
due distinte condotte criminose, si rivolge a un solo soggetto definito come “chiunque”.
La giurisprudenza, nelle esigue pronunce reperibili sul punto, si è divisa, ritenendo in via
maggioritaria – in tal senso si è tra l’altro espressa anche la Suprema Corte, intervenuta in
merito con un’unica sentenza – che autore del reato di cui alla norma succitata possa essere
soltanto un soggetto estraneo alla competizione sportiva, sulla base del seguente
ragionamento: poichè la prima modalità commissiva del reato delineata dal predetto articolo
prevede che il partecipante alla gara sia il destinatario dell’offerta o della promessa e vede
quindi quest’ultimo come soggetto ricevente l’offerta e non già come autore del reato
(tant’è che il secondo comma della norma in esame disegna un’autonoma ipotesi di reato nel
caso in cui il partecipante alla gara accetti l’offerta del corruttore) e poichè la seconda
condotta criminosa prevista dal primo comma dell’art.1 L. 401/89 deve essere considerata
come una modalità sussidiaria azionabile astrattamente dallo stesso soggetto autore della
corruzione sportiva, necessariamente estraneo alla gara, ne discende che il compimento di
altri atti fraudolenti non possa vedere il partecipante come autore della condotta criminosa
ma esclusivamente come vittima della stessa (vedi Gip Pretura Roma, sent. Del 21/2/1992,
Giudice Monastero; Pretore Trento, sentenza del 24/5/93, Giudice Serao; Cass. Pen. Sez. 6,
sent. 03011 del 26/3/96, ud. 25/1/96) .
La giurisprudenza che invece, in via minoritaria, si è espressa sul punto in modo difforme,
ha ritenuto che il succitato articolo 1/1 L.401/89 contempli una disposizione a più norme (e
non, come afferma il Gip Pretura Roma Monastero nella sent. del 21/2/1992 sopracitata
“una norma a più fattispecie”) una delle quali, e specificatamente quella relativa al
compimento di “altri atti fraudolenti “ volti al conseguimento di “un risultato diverso da
quello conseguente al corretto e leale svolgimento della competizione“, veda come
potenziale soggetto attivo, ricompreso nel generico “chiunque”, anche il solo atleta
partecipante alla gara (vedi Gip Pretura Circondariale Roma sentenza a seguito di giudizio
abbreviato del 7/1/93, nonché ordinanza GIP Forlì del 20/4/2000, la quale, rigettando la
richiesta di archiviazione del procedimento n. 1038/00 a carico di Pantani Marco e
ordinando al PM di esercitare l’azione penale, ha dato origine al presente processo).
A parere di questo giudice il dato puramente lessicale non è risolutivo per escludere la
punibilità del partecipante alla gara che compia, da solo o in concorso con altri, atti
fraudolenti, giacchè così come si può sostenere che la connessione letterale tra le due
disposizioni ha carattere funzionale ed opera in termini di “sussidiarietà residuale per la
seconda modalità e cioè gli altri atti fraudolenti”, come sostiene , in dottrina, Tullio
Padovani (vedi commento all’art.1 –Frode in competizioni sportive- La legislazione
penale,1990,fasc.1-2, pt. 2, pag. 91-96), ugualmente può ragionevolmente affermarsi che il
legislatore non ha ripetuto il “chiunque“ che regge la prima parte del primo comma della
norma in esame per mere ragioni sintattiche, considerazione dalla quale discende la
seguente conseguenza: in base al disposto normativo può ragionevolmente ritenersi punibile
anche “chiunque”- compreso l’atleta- “compia altri atti fraudolenti (espressione di per se
stessa onnicomprensiva), diversi dall’offerta o promessa di denaro”.
A favore di quest’ultima interpretazione si può per altro osservare che se il legislatore
avesse inteso indicare con l’espressione “chiunque” un unico soggetto attivo per tutte e due
le condotte criminose previste dalla norma, e cioè l’offrire denaro o altra utilità e il
compiere altri atti fraudolenti, non avrebbe previsto due distinte ipotesi che appaiono
disgiuntive cioè coprenti due campi non necessariamente coincidenti, tanto più che non vi
era alcuna difficoltà sintattica ad aggiungere anche la seconda proposizione, concernente il
compimento di altri atti fraudolenti, nel primo periodo del primo comma dell’art. 1
L.401/89, formulando la norma come segue: ”Chiunque offre o promette denaro o altra
utilità …ovvero compie altri atti fraudolenti al fine di raggiungere un risultato diverso da
quello conseguente…” .
E’ del pari dubbio che, come sostenuto ad esempio dal Pretore di Roma, sent. del
21/2/1992 sopracitata, possa validamente restringere l’ampio significato del pronome
indefinito “chiunque” il riferimento al disposto del secondo comma dell’articolo in esame,
“il quale- secondo uno schema ricorrente nei delitti “di istigazione”- adempie unicamente
alla funzione di estendere le pene previste per l’ ”istigatore” a colui che, aderendo alle sue
illecite profferte, si inserisca volontariamente nel disegno criminoso …”, come osservato,
correttamente a parere di questo giudice, da parte della dottrina (vedi Roberto Borgonovo
in Archivio penale 492 pag. 610-626).
In mancanza, infatti, della previsione del secondo comma dell’art.1 L.401/89, il
partecipante destinatario dell’offerta che abbia accettato la stessa non potrebbe essere
punito, essendo la condotta criminosa delineata con il termine ” chiunque offre “ e non
potendosi pertanto, attesa la dizione letterale della norma, applicare l’art. 110 cp per
raggiungere il sopraindicato fine di estensione della punibilità.
Quanto poi all’equazione operata dalla Suprema Corte sintetizzabile nella seguente
proposizione: “rapporto sinallagmatico uguale necessario coinvolgi-mento di un extraneus e
pertanto non punibilità dell’atto fraudolento compiuto dal partecipante alla gara“, ritiene
questo giudicante, in accordo con quanto osservato dal GIP sede nell’ordinanza del
20/4/2000, in atti, che tale ragionamento sia apodittico e non trovi riscontro nella lettera
della legge, posto che la stessa attività di corruzione e cioè l’offerta al partecipante di
denaro o altra utilità ben può essere posta in essere da un altro partecipante alla
competizione (si pensi al caso di un atleta che, in discipline come il tennis e la boxe, offra
denaro all’avversario perché si lasci battere) .
L’incertezza in cui lascia l’interprete un’esegesi puramente letterale della norma impone
pertanto, alla luce del disposto dell’art. 12 preleggi, non “essendo palese il significato delle
parole secondo la loro connessione”, l’esame dell’intenzione del legislatore.
La Corte Suprema nella sentenza sopracitata desume in proposito dai lavori preparatori e
dall’intestazione stessa della L. 401/89, nonché dalle norme in essa raccolte “volte tutte ad
evitare l’irruzione nel mondo dello sport dell’attività di gioco e di scommesse clandestine “
che “l’ambito di applicazione della legge in esame non si estenda ai fenomeni autogeni di
doping, che trovano adeguata sanzione negli ordinamenti sportivi”.
L’intestazione della predetta legge abbina gli “interventi nel settore del giuoco e delle
scommesse clandestini“ alla “tutela della correttezza nell’ambito delle competizioni
agonistiche”, e l’ampiezza di tale intestazione ben può pertanto lasciare spazio
all’individuazione di più oggetti giuridici tutelati dalla normativa in esame e cioè non
solo quello della correttezza del risultato di una competizione collegata a concorsi e
scommesse, con dimensione offensiva essenzialmente di natura patrimoniale, ma anche
quello della salvaguardia nel campo dello sport della correttezza nello svolgimento delle
competizioni agonistiche, intesa come corrispondenza al dettato dell’etica sportiva.
Rileva poi il giudicante che dalla lettura dei lavori preparatori della legge in esame non si
evince come unica ratio quella indicata dalla Suprema Corte.
In sede deliberante della Commissione Giustizia del Senato (seduta del 9/11/89, in cui l’art.
1 del disegno di legge in oggetto è stato approvato), il relatore Gallo, riferendo sui lavori del
comitato ristretto ha osservato: ”…al comma 1- dell’art.1- si è ritoccata l’impostazione di
fondo, per cui il perno di quel testo risiede non tanto e non solo nella mera persecuzione
delle scommesse clandestine, a tutela di quelle lecite, quanto principalmente nell’esigenza
di garantire il corretto e leale svolgimento delle competizioni sportive col punire le forme di
frode nelle medesime competizioni”.
Anche analizzando il dibattito parlamentare che condusse all’approvazione del disegno di
legge di iniziativa governativa, ultimo di una serie di proposte succedutesi nelle varie
legislature, è possibile individuare ulteriori spunti che evidenziano l’esigenza di assicurare,
con la nuova figura criminosa, un’efficace tutela penalistica della correttezza e lealtà delle
gare agonistiche complessivamente intese.
In sede legislativa presso la Commissione Giustizia della Camera, ad esempio, e cioè nella
seduta del 21/9/88, il parlamentare Forleo, esprimendo l’assenso del proprio gruppo a
licenziare nel più breve tempo possibile il disegno di legge in esame, indicando gli obiettivi
sottesi al suddetto provvedimento ha affermato: “Ritengo che il principale di essi sia quello
di salvaguardare l’ambiente sportivo e la possibilità di esercitare le varie discipline in
condizioni di normalità. La formulazione della norma (che identifica nella frode una
fattispecie un po’ atipica del nostro ordinamento) è indubbiamente originale. E’ vero infatti
che uno degli obiettivi è reprimere tali frodi, ma vi è anche la necessità di esercitare
un’azione di prevenzione e di salvaguardia dell’attività sportiva“.
Quanto poi alla necessaria sinallagmaticità dell’attività fraudolenta sanzionata dalla norma,
così come individuata dalla Suprema Corte nella pronuncia sopra citata, con inevitabile
coinvolgimento in tale attività fraudolenta di due soggetti e cioè un extraneus e un
partecipante alla gara, va rilevato come proprio nella seduta 21/9/88, sopracitata, il
parlamentare Mastrantuono ha affermato: “Credo pertanto che il disegno di legge
elaborato dal Governo – poi divenuto Legge 401/89 - costituisca un punto di partenza per
pervenire in tempo utile all’approvazione di una normativa di carattere organico, volta a
preservare le manifestazioni sportive da fenomeni degenerativi individuali e collettivi“,
espressione, quest’ultima, certamente non conciliabile con l’interpretazione della “voluntas
legis“ operata dalla Suprema Corte. (Vedi Lavori preparatori alla Legge 13/12/89 n.401,
Camera dei deputati, Servizio studi del Dipartimento Giustizia, luglio 1999).
Né il fatto che la norma protegga non la correttezza dell’attività sportiva in quanto tale ma la
sola correttezza dell'attività sportiva esplicantesi sotto la tutela di un ente pubblico può
essere inteso a parere di questo giudice come una conferma del fatto che l’oggetto giuridico
tutelato dalla legge in esame sia essenzialmente di tipo economico, posto che, come
acutamente osserva Tullio Padovani nella nota più sopra citata “…Appare del tutto
plausibile che la tutela si rivolga soltanto alle competizioni sportive pubbliche. L’importanza
ch’esse assumono proprio perché svolte nel contesto organizzativo pubblico, se da un lato
incrementa l’aspettativa di correttezza, dall’altro la qualifica in termini di rilevanza
giuridica: com’è ovvio, ciascun partecipante o ciascuno spettatore di una gara svolta sotto
l’egida di un ente pubblico si attende legittimamente che il suo svolgimento corrisponda
puntualmente alle norme dell’etica sportiva”.
Se poi il profilo di tutela della norma in esame fosse esclusivamente quello di
salvaguardare l’interesse al corretto andamento dei concorsi pronostici mediante la
sottoposizione a sanzione penale della sola condotta fraudolenta tenuta da soggetti estranei
alla competizione sportiva, con l’eventuale collaborazione dei partecipanti alla gara, al fine
di indirizzare la competizione verso un esito prestabilito per procurarsi indebite vincite in
scommesse e concorsi pronostici clandestini ad essa collegati, non avrebbe ragion d’essere
il disposto di cui al terzo comma dell’art. 1 L.401/89, dove è prevista come aggravante
speciale proprio la circostanza che il risultato della competizione sia “influente ai fini dello
svolgimento di concorsi pronostici e scommesse regolarmente esercitate”, il che dimostra a
parere di questo giudice, in accordo con quanto sostenuto da Borgonovo nell’op.
sopracitata, che l’oggetto giuridico tutelato dal primo comma della norma in esame è più
ampio.
Se in definitiva l’analisi della ratio legis così come sopra operata porta ad individuare i beni
giuridici tutelati dalla norma in esame nella intrinseca correttezza e lealtà delle competizioni
sportive oltre che nell’interesse al corretto andamento dei concorsi pronostici (in sintonia
per altro con quanto affermato in via maggioritaria dalla dottrina), è evidente che ledono o
mettono in pericolo tali oggetti giuridici tutte le condotte dirette ad alterare con la frode il
risultato della competizione sia che provengano da soggetti estranei alla gara sia che
provengano dagli stessi partecipanti ad essa. Correttamente evidenzia in proposito un autore
(vedi Vidiri, Frode sportiva e repressione del gioco e delle scommesse clandestine, La
Giustizia Penale 1992, parte seconda pag. 648 e ss.) che non risponde ad alcuna accettabile
logica considerare sanzionabili con severità comportamenti messi in atto dagli “esterni” alla
competizione e negare di contro analoga reattività da parte dell’ordinamento statale in
presenza di condotte implicanti certamente un maggior tasso di pericolosità sociale, per
provenire da soggetti che, prendendo parte alla gara, sono in grado, più di ogni altro, di
influenzarne il regolare svolgimento e lo stesso esito finale .
Va infine sottolineato che l’esclusione di questi ultimi, posto che nulla si oppone sul piano
testuale e sistematico a che anche l’atleta possa essere autore del reato di “frode in
competizioni agonistiche”, comporterebbe tra l’altro una violazione del principio
fondamentale di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge dettato dall’art. 3 della
Costituzione.
Manca infatti una esplicita esclusione da parte del legislatore della punibilità dell’atleta
dopato, supportata per esempio dalla considerazione di quest’ultimo quale vittima o anello
debole della catena (scelta che invece il Parlamento ha esplicitamente effettuato, nel caso
dei reati di sfruttamento della prostituzione e spaccio di sostanze stupefacenti, nei confronti
delle prostitute e dei consumatori di sostanza stupefacente, i quali non sono stati ritenuti
passibili di sanzione penale dal legislatore).
Quanto poi alla previsione di cui all’art. 5 L.401/89, da cui entrambe le parti processuali
hanno tratto argomenti per desumere la non applicabilità dell’art. 1 L.401/89 all’ipotesi del
doping autogeno dell’atleta, rileva il giudicante che le pene accessorie ivi previste sono
all’evidenza alternative tra loro e tra di esse quella del divieto temporaneo di accedere a
luoghi ove si svolgono competizioni agonistiche ben può essere logicamente applicata
all’atleta che, avendo praticato doping autogeno al fine di alterare il corretto svolgimento di
una competizione agonistica, ha tradito lo spirito di correttezza e lealtà che deve animare il
mondo dello sport e per tale ragione legittimamente viene temporaneamente allontanato
dall’ambiente sportivo.
Restano da ultimo da prendere in considerazione le comprensibili perplessità destate in
alcuni interpreti della norma in esame dalla mancata individuazione, in sede di lavori
preparatori della legge 401/89, del contrasto al doping quale obiettivo, sia pure secondario,
del disposto normativo .
Al fine di contestualizzare tale articolo di legge, per giungere a un interpretazione
congruente con la realtà su cui lo stesso è destinato ad incidere, va rilevato in proposito
come probabilmente il doping non è stato oggetto di specifico dibattito nel corso dei lavori
preparatori della L. 401/89 perché all’epoca il fenomeno non era esteso in modo così
allarmante come nella realtà contemporanea, nella quale può sicuramente essere definito,
attese le dimensioni assunte a livello mondiale, soprattutto in settori come l’atletica e il
ciclismo, come il problema più importante dello sport, così grave da minarne credibilità e
valori.
Si pensi, per rimanere al caso concreto in esame, che, stando a stime riportate dal
giornalista Morbello (vedi Giorgio Morbello, Il pusher nello spogliatoio, in Narcomafie,
settembre 1998 pag. 6 e ss. del dossier doping), l’eritropoietina, a detta del succitato
giornalista avente un fatturato pari a quello del quarto o quinto farmaco al mondo, per il
93 % non sarebbe utilizzata per i fini terapeutici per i quali era stata creata, e cioè per
aumentare nei pazienti malati di tumore o sottoposti a dialisi la capacità del sangue di
trasportare ossigeno, ma bensì per migliorare la resistenza alla fatica in discipline sportive
aerobiche come il ciclismo, l’atletica, lo sci di fondo.
I consulenti del Pubblico Ministero hanno fornito sul punto dati ancor più precisi ed
allarmanti.
All’udienza 13/10/2000 (vedi trascrizioni pag. 188 e ss.) gli stessi hanno precisato che
l’eritropoietina, inizialmente considerato “farmaco orfano” perché utilizzato per patologie
numericamente limitate (“anemia in corso di nefropatia grave, anemia in corso di
trattamento con particolari medicamenti antitumorali, preparazione ad interventi chirurgici
d’elezione e non d’urgenza in soggetti modicamente anemizzati“) è oggi il numero tre come
volume di vendita in tutto il mondo“. I consulenti hanno poi riferito che in base a
un’indagine fatta dal Ministero della Sanità (su iniziativa per altro della prof. Ceci, che,
come da lei dichiarato a pag. 216 trascr. ud 13/10/2000, ha lavorato come esperta della
Commissione Sanità del Senato per la elaborazione del testo di legge anti-doping di recente
approvazione) nel 1998 tale farmaco è risultato il quindicesimo come fonte di spesa del
servizio sanitario nazionale mentre nel 1999 è passato addirittura al tredicesimo posto, con
una escalation non indifferente.
Tale dato va drammaticamente associato alla seguente ulteriore circostanza: ben il 50% di
tutta la quantità di eritropoietina che, in base ai dati forniti dalle case farmaceutiche
produttrici, è stata venduta in Italia non è stato registrata negli appositi registri tenuti
dall’Asl e dagli Ospedali e pertanto, non risultando a carico del sistema sanitario nazionale,
va a sommarsi alla quantità di epo indicata nel paragrafo che precede.
Se si pensa che, come specificato dai consulenti del Pubblico Ministero, le indicazioni per
tale farmaco si limitano a malattie rare è quindi evidente che un consumo così ampio di
eritropoietina si giustifica solo con un massiccio utiliz-zo fattone dagli atleti,
professionisti e non, al fine di aumentare i globuli rossi circolanti e quindi apportare più
ossigeno ai muscoli, con aumento della erogazione del processo aerobico e quindi della
prestazione di fondo (vedi dichiarazioni prof. Benzi pag. 136 ud. 13/10/2000).
Questa constatazione è allarmante, sol che si rifletta sui gravissimi danni alla salute che
provoca l’assunzione prolungata di epo, nelle dosi che solitamente prendono gli atleti per
accrescere il proprio rendimento agonistico (il prof. Benzi -vedi trascr. ud. 13/10/2000 pag.
143 e trascriz. pag. 191 e ss ud. 20/10/2000- ha infatti spiegato in proposito che solo sopra
la soglia del 50 % di ematocrito la quantità di ossigeno che viene trasportata è
significativamente diversa da quella normalmente veicolata dal sangue, ragion per cui le
dosi di epo assunte dagli atleti per incrementare la loro prestazione agonistica sono sempre
massicce). Dando l’imprinting per i globuli rossi, la assunzione di epo, come ben spiegato
dai consulenti del Pubblico Ministero, va sempre accompagnata a somministrazione di
ferro, per evitare la messa in circolo di globuli rossi ipocromici, i quali non svolgerebbero
utilmente la funzione di maggior trasporto di ossigeno (vedi trascrizioni ud.13/10/2000 pag.
162). Il ferro però permane nell’organismo, si deposita nei tessuti, in particolare pancreas e
fegato, cagionando gravissimi danni epatici. La prof. Ceci all’udienza 13/10/2000 trascriz.
pag. 163 ha in merito affermato: ”queste sono persone che vivono meno, muoiono
precocemente per cirrosi ed anche tumore epatico “. Altri gravissimi rischi per la salute
nascono dal fatto che l’aumento dell’ematocrito provocato con somministrazione esogena di
epo, rendendo il sangue più denso, contrasta la tendenza dell’organismo umano, sotto
sforzo, ad operare una emodiluizione “naturale”, al fine di salvaguardare il flusso cerebrale
del sangue. Come spiegato dal prof. Benzi (vedi trascr. ud 13/10/2000 pag. 145), sotto
sforzo aumentano le resistenze nel cervello, in particolare nelle zone profonde, e
l’organismo si difende diluendo (il predetto consulente ha specificato sul punto che il
soggetto sotto sforzo, da studi compiuti, risulta avere nelle zone profonde del cervello
ematocrito pari al 28 %, 29%, 30 %, mentre perifericamente ha un ematocrito pari al 45%).
E’ intuibile comprendere quali immensi rischi possa avere per il flusso cerebrale
l’artificioso contrasto di quella che il prof. Benzi ha definito “l’arma dell’emodiluizione”.
Proprio alla luce del dilagare della piaga doping il nostro legislatore ha recentissimamente
approntato una tutela ben più incisiva rispetto a quella dettata dalla L. 1099 del 1971
nonché dall’art. 1 L.401/89, mediante la legge intitolata: ”Disciplina della tutela sanitaria
delle attività sportiva e della lotta contro il doping”, approvata in via definitiva dal Senato il
16/11/2000 e non ancora pubblicata, nella quale sono previste pesanti sanzioni penali
(reclusione da tre mesi a tre anni e multa da 5 milioni a 100 milioni) non solo per chi offre
(come invece disponeva la normativa originariamente approvata dal Senato), ma anche per
chi assume sostanze dopanti al fine di alterare la prestazione atletica agonistica.
Quanto alla succitata L. n.1099/71, dedicata alla “Tutela sanitaria dell’attività sportiva”, la
stessa, all’art. 3/1, sanziona la condotta degli “atleti partecipanti a competizioni sportive
che impiegano, al fine di modificare artificialmente le proprie energie naturali, sostanze che
possono risultare nocive per la loro salute”, prevedendo quale sanzione la sola ammenda.
La norma risulta però depenalizzata ai sensi della legge 689/81.
In epoca precedente all’approvazione della “Disciplina della tutela sanitaria delle attività
sportive e della lotta contro il doping” vi era chi interpretava il mancato raccordo tra la L.
1099/71 e la L.401/89 come indizio della volontà del legisla-tore di escludere, al di là del
profilo relativo alla tutela sanitaria dell’atleta, ogni ulteriore rilevanza penalistica al
fenomeno del doping.
Ritiene questo giudicante che, nonostante l’innegabile mancanza di un opportuno
coordinamento tra le normative sopra indicate, la succitata interpre-tazione non fosse da
condividersi posto che le due normative hanno oggetti giuridici palesemente diversi. La
legge del 1971 tutela infatti l’interesse collettivo alla salvaguardia dell’integrità fisica di
quanti si dedicano alla pratica sportiva. E’ volta pertanto a sanzionare la pratica del doping
essenzialmente nell’ottica dei rischi per l’incolumità dello sportivo e la sua ratio bene è
stata individuata dalla dottrina in quella di “salvaguardare la stessa funzione sociale della
pratica sportiva inconciliabile con il ricorso a sostanze capaci di incidere in termini negativi
sulle doti fisiche e morali di quanti si dedicano a pratiche sportive“ (vedi Guido Vidiri, Il
doping tra normativa sportiva e ordinamento statale, il Foro Italiano 1991, fasc.4,
pagg.225,230).
Il reato di frode nelle competizioni sportive, reato plurioffensivo, mira invece, come sopra
già sottolineato, ad approntare una difesa contro la slealtà sportiva complessivamente
intesa, sul presupposto che l’atleta che pone in essere una attività fraudolenta per alterare
l’esito della gara (comprendendosi in quest’ambito anche l’alterazione chimica della
capacità di prestazione dello sportivo) danneggia l’immagine dello sport agendo in modo
moralmente scorretto verso tutti gli altri protagonisti dell’attività sportiva agonistica, inclusi
i tifosi che la seguono. L’oggetto giuridico tutelato da quest’ultima normativa è dunque non
l’integrità psicofisica degli atleti ma la “genuinità del risultato sportivo”.
Né si può desumere dall’approvazione della recentissima legge sulla “disciplina della tutela
sanitaria delle attività sportive e della lotta contro il doping” la precedente non punibilità del
doping autogeno, ai sensi del disposto di cui all’art. 1 L.401/89, posto che l’intervento
innovativo del legislatore è stato appunto ispirato, oltre che dal fine di fare ulteriore
chiarezza in una materia particolarmente contorta, che ha dato origine, come sopra
evidenziato, a contrasti interpretativi a tuttoggi non risolti, dall’esigenza di sanzionare più
pesantemente di quanto non facessero le norme previgenti (compreso l’art. 1 L.401/89) i
fenomeni di fraudolenta alterazione dell’esito della gara mediante doping dello sportivo
partecipante alla stessa, i quali, come già ricordato, sempre più pesantemente avvelenano il
mondo dello sport e pongono in serio pericolo la salute degli atleti.
Va infine affrontato un ultimo problema interpretativo e cioè se l’assunzione di sostanze
“dopanti“ da parte dell’atleta impegnato in una competizione integri o meno il requisito
della “fraudolenza“ che sostanzia la modalità alternativa della condotta prevista dall’art. 1
L.401/89, circostanza quest’ultima fin qui presupposta dal giudicante, ma che necessita di
un approfondimento specifico .
Posto che secondo lo schema prefigurato dalla L.401/89 (vedi in particolare art. 2 della
predetta legge) i rapporti tra l’ordinamento sportivo e quello statale risultano ispirati alla
libera autodeterminazione di ciascuno di essi in ordine alla rilevanza da attribuire ai vari
comportamenti, fondamentale diviene il compito di individuazione della linea di confine tra
illecito sportivo e frode sportiva penalmente sanzionata.
Ritiene questo giudice condivisibile, in via interpretativa, quanto sostenuto sul punto dalla
maggior parte della dottrina (vedi ad esempio Vidiri, La frode sportiva: soggetti e condotta
del reato – art.1 L 401/89, Rivista di diritto sportivo 1992, fasc.1, pag. 129-134) e cioè che
la condotta penalmente sanzionata non possa consistere in una mera violazione delle regole
del gioco, sanzionabile tuttalpiù dall’ordinamento sportivo, ma debba sostanziarsi in un
“quid pluris”, in un artificio, che operi sulla realtà esterna modificandola,
“fraudolentemente” appunto, al fine di alterare lo svolgimento normale di una competizione
sportiva.
E ciò sulla base dell’interpretazione del termine “fraudolentemente“, utilizzato dal
legislatore nella norma in esame, così come esplicitata dal Gip sede, il quale, nell’ordinanza
20/4/2000, in atti, pienamente condivisa sul punto da questo giudice, rifacendosi alla
nozione di “artifici” emergente dalla più recente giurisprudenza della Suprema Corte, ha
precisato che: ”Non realizzano una frode …i casi…in cui la violazione delle norme sportive
è immediatamente rilevabile ictu oculi, oppure attraverso il diretto controllo della
sussistenza dei requisiti o la diretta applicazione di canoni e misure, senza la mediazione di
un’indagine su pratiche o espedienti simulatori o dissimulatori” mentre “rientra nella
categoria dei mezzi fraudolenti il doping, che è un espediente occulto per simulare, e quindi
far risultare artificiosamente, una capacità di prestazione che non risponde a quella reale
dell’atleta”.
Essendo innegabile che l’assunzione di una sostanza dopante costituisce un “artificio
idoneo a snaturare la correttezza della competizione sportiva e ad alterarne potenzialmente il
risultato finale“, questo giudice ritiene in definitiva che il cosiddetto doping autogeno posto
in essere dall’atleta, da solo o in concorso con il soggetto fornitore della sostanza dopante,
al fine di alterare l’esito naturale di una competizione agonistica configuri,
indipendentemente dall’effettivo raggiungimento di tale obiettivo, il delitto di cui all’art. 1
L.401/89.
Tale norma disegna infatti un reato “attraverso il quale il legislatore ha voluto esprimere
una tutela avanzata al bene (inteso qui in senso lato) della correttezza nello svolgimento
delle competizioni agonistiche, senza tuttavia richiedere il concreto verificarsi di un evento
lesivo dello stesso bene“ (così testualmente Umberto Izzo, Quando l’atleta è in ritiro: il
soggetto attivo e l’elemento soggettivo del reato di frode in competizioni sportive, Rivista di
diritto sportivo 1993, fasc. 2 e 3, pag. 507-512).
L’atleta cioè che si sottopone in vista di una stagione agonistica o frazione di stagione
agonistica a un trattamento farmacologico dopante, in quanto tale certamente migliorativo
della propria capacità di prestazione in gara, commette il reato in oggetto (sussumibile,
essendo l’elemento oggettivo dello stesso costituito da “atti diretti a“, nella categoria dei
reati a consumazione anticipata), indipendentemente dall’effettiva incidenza che la capacità
di prestazione “potenziata” dal trattamento dopante avrà in concreto sull’esito della o delle
gare alle quali l’atleta si era prefisso di partecipare e abbia poi in concreto partecipato.
Quanto alla pretesa mancanza di tassatività della norma in oggetto così interpretata e della
potenziale incostituzionalità della stessa ex art. 25 Cost., eccepita dalla difesa in sede di
arringa, questo giudice osserva quanto segue.
Talvolta accade che la legge penale non tipicizzi in modo diretto e compiuto il reato ma si
limiti a richiamare, come nel caso della norma indicata in rubrica, modi sociali di
comportamento.
E’ il cosiddetto ricorso a “elementi vaghi della fattispecie”, che il Pagliaro (vedi voce Legge
penale, in Enciclopedia del diritto) così definisce: ”quei contrassegni che definiscono il fatto
non in maniera perfettamente netta, né secondo linee determinabili con sicurezza, ma si
giovano piuttosto di modi di pensare o di esprimersi che sono propri dell’uso comune, ma
non possono essere definiti nei dettagli con mezzi naturalistici “. Tra gli esempi di tali
elementi vaghi Pagliaro cita appunto gli “artifici o raggiri“, quali elementi essenziali della
truffa.
Nella categoria succitata vanno senz’altro ricompresi anche “gli atti fraudolenti” menzionati
nella norma oggi ascritta all’odierno imputato .
Tale espressione non contrasta a parere del giudicante con il principio di legalità essendo
facilmente interpretabile secondo il significato umano e sociale che è insito nella stessa e la
determina, e presupponendosi inoltre, atteso il disvalore insito nel dolo di una condotta
diretta ad immutare la realtà per uno scopo tipizzato, una rapporto di maggiore
consapevolezza da parte dell’autore di tale condotta del disvalore della stessa rispetto al
soggetto attivo di altre fattispecie criminose, descritte con elementi ugualmente elastici ma
non caratterizzati dalla frode.
Il consociato che pone in essere una certa condotta precisamente connotata dall’immutare
un elemento della realtà al fine specifico di alterare artificiosamente l’esito di una gara
sportiva sarà perfettamente in grado di valutare (anche per la certa consapevolezza di chi è
interno al mondo dello sport dei meccanismi e regole che lo dominano) se la propria
condotta comporti o meno la commissione di un atto fraudolento, cosiccome il giudice che
dovrà decidere se la predetta condotta corrisponda o meno alla figura legislativa potrà
limitarsi a espletare una semplice operazione interpretativa, non fondata sull’arbitrio ma
sul significato che il termine “atti fraudolenti” ha nell’uso comune.
Il giudicante ritiene pertanto che il precetto legislativo di cui all’art. 1 L.401/89 non
contrasti con il principio costituzionale di legalità essendo la norma perfettamente
intelleggibile e interpretabile in base al significato umano e sociale della condotta criminosa
ivi descritta.
L’eccezione di incostituzionalità della norma sollevata dalla difesa deve ritenersi dunque
manifestamente infondata.
Dopo aver analizzato il problema della qualificazione giuridica dell’autodoping dell’atleta
chi scrive ritiene di dover affrontare il tema probatorio centrale in questo processo e cioè
quello inerente la sussistenza o meno della prova circa l’assunzione esogena di
eritropoietina da parte dell’imputato in epoca precedente alla gara Milano-Torino del
18/10/95, e in vista della stessa, allo scopo di alterarne frudolentemente il risultato.
Fondamentale è a questo proposito l’analisi del contributo scientifico portato in questo
processo dai consulenti delle parti, con considerazioni che si sono venute approfondendo e
precisando nel corso del dibattimento attraverso i complessi esame, controesame e
confronto tra gli stessi espletati in tale sede.
Questo giudice ritiene di muovere dall’analisi di quanto riferito dai consulenti del Pubblico
Ministero, integrando la ricostruzione logica scientifica effettuata dagli stessi con gli
apportati offerti all’istruttoria dibattimentale dal testimoniale, generalmente composto
anch’esso da testi cosiddetti qualificati, in prevalenza medici, in quanto l’analisi del
contributo fornito dai consulenti della difesa, più frammentario e concretizzatosi in una
serie di critiche volte a mettere in discussione l’argomentare dei consulenti della pubblica
accusa, ha come presupposto logico la previa esposizione del ragionamento logico-
scientifico svolto da questi ultimi.
I professori Benzi e Ceci hanno utilizzato nella loro consulenza un approccio indiretto che
ha portato ad individuare con precisione la causa dell’abnorme aumento del numero di
globuli rossi riscontrato a Pantani in data 18/10/95, all’atto del ricovero presso il CTO di
Torino, all’esito di un lungo percorso articolatosi nell’analitico esame di tutte le possibili
cause del succitato innalzamento, alternative al trattamento con farmaci eritropoietici.
La qualificazione dei consulenti, docenti universitari, Benzi di farmacologia e Ceci di
ematologia pediatrica, è sembrata al giudicante molto alta, anche per l’esperienza specifica e
pluriennale di entrambi nell’ambito dei problemi di biologia, farmacologia e ematologia nel
mondo degli atleti, attestata anche dal fatto che tutti e due i consulenti, per anni e sino al
mese di ottobre 2000, sono stati componenti della Commissione Scientifica antidoping del
CONI, e, per quanto riguarda la prof. Ceci, la stessa è stata esperta della Commissione
Sanità del Senato in relazione all’elaborazione della già citata legge, cosiddetta
“antidoping”, di recentissima approvazione. L’interesse scientifico specifico da parte dei
consulenti e la loro competenza circa le caratteristiche fisiologiche e biochimiche degli
atleti di alto livello e la conseguente particolare attendibilità del loro elaborato peritale, sono
attestati anche dal fatto che gli studi sperimentali richiamati in consulenza e i dati utilizzati
per le comparazioni hanno come campione analizzato atleti di alto livello e non soggetti
comuni, cioè non atleti.
Tale specifica competenza inerente il settore degli atleti si è mostrata invece assente nei
consulenti della difesa, dato quest’ultimo confermato all’udienza 20/10/2000 dallo stesso
prof. Tura il quale, a domanda del giudice, ha testualmente risposto: ”Dipende lo sport come
viene fatto. Io non ho notizie, non sono un uomo che si interessa dello sport“.
Tornando all’esposizione del ragionamento peritale svolto dai consulenti del Pubblico
Ministero, va ricordato come gli stessi hanno preso le mosse dall’evidenziazione
dell’abnormità dei valori ematologici riscontrati a Pantani nel prelievo delle ore 15.20 del
18/10/95, sia rispetto ai valori medi rilevati su atleti di alto livello dal CONI e dall’U.C.I.
negli anni 1998-1999 (vedi tabella 1.1 riportata a pag. 6 dell’elaborato scritto depositato in
atti dai consulenti, dove si ricava che il valore medio di ematocrito per i ciclisti si attesta sul
44,6 %, quello di emoglobina intorno al 15 e quello di globuli rossi intorno ai 4,85 milioni)
sia rispetto agli stessi valori medi dell’atleta, emergenti dai dati forniti, per l’arco
temporale 1995- 1999, essenzialmente dai medici della F.C.I. Grazzi e Rempi, tramite le
cartelle cliniche della F.C.I. (vedi tabella 1.2 pag.8 dell’elaborato scritto e aff. 244/271
power point proiettati dai consulenti in sede di esame all’udienza 13/10/2000, faldone 4,
nonché tabella 2.3 pag. 18 dell’elaborato peritale) da cui si evince che il valore medio di
ematocrito dello stesso Pantani era intorno al 45, i globuli rossi 4,94 milioni, l’emoglobina
15,2 (dati questi ultimi che escludono pertanto che i valori ematologici riscontrati a Pantani
in data 18/10/95 fossero congeniti).
Osserva il giudice in proposito che i valori sulla base dei quali sono state calcolate tali
medie sono stati ricavati da un lato dai dati forniti da fonti ufficiali come il Coni e l’UCI,
inerenti una popolazione di atleti-ciclisti di alto livello, e quindi correttamente paragonati a
Pantani, dall’altro, per quanto concerne i valori ematologici inerenti lo stesso imputato, dai
dati forniti dagli stessi medici sportivi dell’atleta, provenienti da laboratori pubblicamente
riconosciuti, tra i quali sono compresi anche quegli stessi laboratori UCI che hanno
analizzato i valori ematologici degli altri atleti sopraindicati.
Quanto alla validità del valore di ematocrito pari a 45 ed emoglobina pari a 15,2
corrispondente al prelievo effettuato dal dott. Grazi il 6/6/95 (vedi sempre tabella 2.3 pag.
18 elaborato peritale Benzi e Ceci), messa in discussione dai legali della difesa in seda di
arringa, attesa l’imputazione di cui al capo o) dell’avviso di chiusura indagini preliminari
Procura di Ferrara emesso a carico anche del Grazi (prodotto in atti aff. 260/12 faldone 4),
in cui il predetto medico è imputato di aver fatto false attestazioni nella cartella clinica della
Federazione Ciclistica Italiana di Pantani Marco, da cui sono stati estrapolati i succitati
valori , osserva il giudicante quanto segue: da una parte si può osservare che i valori
ematologici rilevati il 6/6/95 rappresentano solo uno tra i tanti parametri ematologici
misurati a Pantani tra il 1995 e 1999, in base ai quali sono stati elaborati i valori medi
dell’atleta sopra elencati, dall’altra parte è anche logico pensare che se effettivamente il
dott. Grazi ha falsificato i dati ematologici di Pantani nel giugno 1995, stagione di gara,
così come imputatogli dal magistrato di Ferrara, ciò significa che il medico sportivo doveva
coprire, tramite falsificazione delle cartelle FIC, i reali valori ematologici di Pantani,
evidente-mente particolarmente elevati in quel periodo a causa di una stimolazione
farmacologica (come sembrano attestare, del resto, anche gli elevatissimi valori
ematologici riscontrati nell’incidente occorso a Pantani in Santarcangelo appena un mese
prima del giugno 1995, a distanza di due giorni dall’inizio del giro d’Italia, evento che verrà
più oltre preso in esame) poiché se tali valori ematologici non si fossero abnormemente
alzati per stimolazione farmacologica ma per altre cause non ci sarebbe stato alcun bisogno
per il medico di nascondere artificiosamente tale dato.
Tornando al giudizio di abnormità circa i valori ematologici riscontrati a Pantani il 18/10/95,
tale valutazione è confermata in atti dalle dichiarazioni rese in data 17/6/99 avanti al PM
Guariniello dal dott. Palumbo (ematologo che, in data 26/10/95, fu chiamato per un consulto
su Pantani), il quale ha in tale sede testualmente affermato: ”Un paziente che presenta un
ematocrito di 60.1 è da considerarsi al di fuori dei limiti della norma, anche per uno
sportivo…un valore di ematocrito di questo tipo non è compatibile in una persona sana ed è
invece compatibile con un quadro di policitemia primaria o secondaria o con trattamento
farmacologico”.
Che cosa ha dunque determinato il succitato innalzamento dei valori ematologici di Pantani?
I consulenti del Pubblico Ministero escludono che lo stesso sia stato causato o concausato
dalla disidratazione dovuta all’impegno agonistico profuso dall’atleta nella gara ciclistica
Milano-Torino, e ciò sulla base di una motivazione estrema-mente argomentata e
approfondita, il cui nucleo centrale, a parere del giudicante, è rappresentato dal fatto che tale
disidratazione è esclusa in radice dai referti biochimico clinici (vedi elaborato scritto
pag.16, tabella 2.1, nonché dichiarazioni rese sul punto dai periti sia all’udienza 13/10/2000
che 20/10/2000).
Come ben spiegato dai professori Benzi e Ceci e confermato in atti anche dalle
dichiarazioni rese dalla dott. Vincenzo sia in fase di indagini preliminari (in data 5/7/99) che
a dibattimento (vedi trascr. ud. 28/11/2000 pag. 94), la disidratazione porta necessariamente
a una alterazione dei valori ematochimici .
Attraverso la sudorazione si perde infatti, come chiarito dalla prof. Ceci, più liquido che
ioni (e cioè sodio, potassio ecc.). Per cui all’interno di un sangue disidratato così come si
trovano più globuli rossi si trovano anche più ioni, dato quest’ultimo non presente nel
sangue di Pantani.
Il prof. Benzi ha ulteriormente specificato che anche la creatinina, espulsa solo tramite le vie
urinarie, non può non aumentare in percentuale nel soggetto disidratato, nel quale si ha
sempre una contrazione della diuresi, mentre tale ultimo valore dall’analisi chimica
effettuata sul campione di sangue prelevato a Pantani alle ore 15.20 del 18/10/95 era
risultato nella norma.
Tutte le rimanenti considerazioni svolte dai suddetti consulenti, e cioè la avvenuta
dispersione del calore durante la gara essenzialmente per convezione, trattandosi di una
corsa in linea svolta in condizioni di fresco (tra i 7 e i 19 gradi), l’avvenuto regolare
rifornimento idrico in gara (dato quest’ultimo confermato a dibattimento dai testi Dall’Olio
e Pizzini), l’osservazione clinica che all’atto del ricovero ha fatto definire nella cartella
anestesiologica alla dottoressa Vincenzo l’aspetto del paziente come “normale” (vedi
documentazione medica in atti), le dichiarazioni rese in data 5/7/99, più sopra già
richiamate, dalla dott. Vincenzo, nelle quali l’anestesista ha precisato di aver ipotizzato una
disidratazione di Pantani all’atto del ricovero sulla sola base degli alti valori ematici e non di
dati clinici ed ematochimici, le dichiarazioni rese dal chirurgo che operò Pantani,
Cartesegna, in data 16/6/99, avanti al Pubblico Ministero che condusse le indagini
preliminari, laddove lo stesso ha chiarito che il giudizio formulato con l’anestesista
Vincenzo di un’eventuale disidratazione in atto era ipotetico e non era stato “suggerito da
una qualsiasi realtà clinica”, sono tutte circostanze significative di per se stesse ma che di
fronte a una risposta certa già fornita sul punto disidratazione dai valori ematochimici nella
norma, così come rilevati a Pantani al momento del ricovero, possono ritenersi non
fondamentali se non come conferma del dato sopra evidenziato.
Per quanto concerne il referto di tali esami ematochimici, che porta l’indicazione delle ore
15.54 e la data 18/10/95, lo stesso è riportato nella cartella clinica inerente il ricovero di
Pantani (vedi aff. 2/57, faldone 1, cartella in copia e aff. 262/9 faldone 5 cartella in
originale), contrariamente alla prassi, su un foglio volante non spillato assieme agli altri
esami. Il 12/6/99, data in cui la cartella in originale è stata consegnata alla Procura della
Repubblica di Torino –come si evince dal verbale di acquisizione in atti– tale referto non
era rintracciabile nella stessa, come riferito all’udienza 28/11/00 dal consulente Benzi, che
ha precisato che il succitato documento è stato reperito e consegnato successivamente dalla
dott. Fiorio. Quest’ultima circostanza è documentalmente attestata dal verbale di consegna
di tale referto datato 19/7/99, presente in atti all’aff. 45/1 faldone 2, laddove la dott. Florio
così dichiara: ”Produco copia degli esami ematochimici effettuati in urgenza il giorno
18/10/95 sul paziente Marco Pantani presenti in cartella, ed inoltre la stampa dal nostro
archivio informatico -esami di routine- nel periodo 19/10/95 sino al 27/10/95“.
Copia del succitato referto è inserita anche -vedi aff. 63/123 faldone 3- all’interno della
pratica assicurativa relativa al sinistro occorso in data 18/10/95 a Pantani, acquisita dalla
PG della Procura di Torino in data 22/9/99 presso la Reale Assicurazione e consegnata alla
predetta assicurazione da Pantani o da chi agiva nel suo interesse presumibilmente nel
novembre 1995, come si evince dall’ultimo atto di tale cartella, presente nell’originale
cartaceo, così come acquisito dalla Procura di Torino presso la Reale assicurazioni, che è
stato consegnato in udienza dibattimentale dal prof. Benzi. Tale ultimo atto (aff. 265/128
faldone 5) attesta infatti che la suddetta copia della cartella clinica è stata rilasciata ai
richiedenti dalla direzione sanitaria del CTO di Torino in data 8/11/95.
Che la copia del referto in esame presente nella pratica assicurativa sia stata fotocopiata
direttamente dalla cartella clinica si evince anche dalle righe orizzontali che caratterizzano i
vari fogli della cartella clinica, su uno dei quali evidentemente il referto era all’epoca
appuntato (vedi sul punto puntuale osservazione del prof. Benzi, pag. 43 ud. 28/11/2000).
La dott. Vincenzo all’udienza 28/11/00 (vedi trascriz. pag. 89) ha riferito di aver visionato il
referto inerente gli esami ematochimici prima che Pantani fosse operato, e tale circostanza è
anche provata dall’annotazione effettuata dalla stessa dott. Vincenzo nella cartella
anestesiologica in atti, dove l’anestesista in data 18/10/95 annota HB 20,8, altri in ordine,
riferendosi evidentemente (come dalla teste già precisato in sede di indagini preliminari, in
data 5/7/99 e 19/7/99), agli esami ematochimici.
Tutto ciò significa tre cose: la prima che certamente tali esami furono fatti all’ingresso del
paziente in ospedale, il 18/10/95, e che in un primo tempo, perlomeno sino al novembre
1995, rimasero in cartella; la seconda che in un secondo tempo, per evento fortuito o meno,
il referto inerente i succitati esami scomparve dalla cartella clinica, la terza che tale referto
fu reperito successivamente, e cioè nel luglio 1999 (per altro, come riferito dal prof. Benzi,
in seguito a pressanti richieste della Procura di Torino).
La temporanea scomparsa del referto dalla cartella è fenomeno preoccupante, anche in
relazione alla delicatezza del caso in esame.
Per gli eventuali profili penali ravvisabili in merito appare opportuna una trasmissione
degli atti alla Procura della Repubblica di Torino, competente per il reato di cui all’art.476
cp, ipoteticamente configurabile allo stato a carico di ignoti.
Tornando all’ipotesi di una disidratazione da gara in Pantani che abbia determinato o
concorso a determinare un’emoconcentrazione, la stessa è stata sostenuta dai consulenti
della difesa in modo del tutto apodittico.
Il prof. Tura, docente universitario di ematologia ha infatti ipotizzato che Pantani avesse
avuto un aumento dell’ematocrito di 5 punti per sforzo da gara (quindi per disidratazione),
giustificando tale affermazione con il solo richiamo a quanto riferito in sede di indagini
preliminari, in data 21/8/99, dal dott. Rempi, e precisamente: “in base alla mia esperienza
alla fine di una gara l’ematocrito può anche aumentare sino a 4-5 punti“.
In realtà all’udienza 28/11/00 il dott. Tarsi, anch’egli medico sportivo di ciclisti
professionisti, addirittura per 15 anni (per altro il teste è apparso visibilmente imbarazzato
nel rispondere alle domande sul doping nel mondo del ciclismo), sul punto disidratazione in
gara ha confermato quanto già riferito in sede di indagini preliminari in data 18/9/99, e cioè
che misurazioni dell’ematocrito effettuate dall’UCI dopo un allenamento intenso fatto in
Sicilia, in condizioni di caldo torrido, hanno rilevato negli atleti un aumento medio
dell’ematocrito di 2-3 punti, aumento dunque ben inferiore a quello dato per scontato dai
consulenti della difesa, pur in condizioni climatiche completamente diverse (ottobre- Nord
Italia), comportanti certamente una minor disidratazione.
La succitata affermazione dei consulenti della difesa è da reputarsi oggettivamente priva di
qualunque documentato riferimento scientifico (come evidenziato dai consulenti del
Pubblico Ministero nei power point proiettati all’udienza 13/10/2000 e prodotti in atti
-aff.244/302 faldone 4-).
Né possono ritenersi affidabili sul punto le dichiarazioni rese in fase di indagini preliminari
dal dott. Rempi, medico sportivo abilitato a prestare assistenza medico sanitaria a Pantani
dal 1997 in poi, deferito per altro in data 23/6/99 dall’Ufficio Procura antidoping del Coni
ai competenti organi di giustizia sportiva della FCI per comportamento contrario alle
disposizioni sulla tutela della salute dei corridori approvate dal Consiglio federale della FCI
in data 15/2/98 (come si evince dal relativo provvedimento in atti, aff. 8/1 e ss, faldone 1) e
ciò all’esito dell’indagine, condotta appunto dalla predetta Procura sportiva, originata dagli
elevati valori di ematocrito (52%) riscontrati a Pantani, in seguito a un controllo di idoneità
sportiva effettuato da medici UCI nel corso del Giro d’Italia, e precisamente in data 5/6/99
a Madonna di Campiglio, a cui seguì la sospensione dell’atleta dall’esercizio dell’attività
agonistica per un periodo di 15 giorni.
Come già ricordato il dott. Rempi a dibattimento ha provato con produzione documentale la
propria qualità di imputato in procedimento connesso e, sentito pertanto ex art. 210 cpp, si è
avvalso della facoltà di non rispondere.
Il prof. Tura ha comunque poi convenuto nel corso dell’istruttoria dibattimentale, in accordo
sul punto con i consulenti del PM, (vedi trascrizioni udienza 20/10/2000, pag.138), che una
grande disidratazione “modifica gli elettroliti“, ammettendo poi, in seguito a domanda del
giudice, che per portare a una emoconcentrazione la disidratazione deve essere notevole. Per
tale ragione anche il fatto che il teste Palumbo a dibattimento abbia parlato di “lieve
disidratazione” dell’atleta, circostanza richiamata in sede di arringa difensiva, non rileva
sotto il profilo in esame e cioè dell’effetto emoconcentrativo di tale disidratazione .
Si può dedurre infatti da tutto quanto sopra richiamato che la supposta disidratazione di
Pantani non avendo portato a una modifica degli elettroliti, e non essendo quindi
qualificabile dal punto di vista medico come importante, non può aver determinato o
concorso a determinare l’emoconcentrazione e quindi l’aumento dell’emocromo riscontrati
in Pantani in data 18/10/95.
Altra possibile causa o concausa dell’innalzamento abnorme dell’ematocrito riscontrato in
Pantani in data 18/10/95, presa in considerazione in modo estremamente approfondito dai
consulenti del Pubblico Ministero, è stata quella della permanenza in quota di Pantani.
Dal 23 settembre al 10 ottobre l’atleta è stato infatti in Columbia, a un altezza di mt. 2.525
sul livello del mare, ove si è allenato ed ha partecipato ai campionati del mondo
classificandosi terzo.
I consulenti del Pubblico Ministero hanno ricordato in proposito come la diminuzione della
pressione parziale dell’ossigeno che si determina in quota cagiona un fenomeno di ipossia
renale che stimola la liberazione di eritropoietina.
Mancando dati diretti, considerato che in Columbia o subito dopo tale permanenza non
erano stati fatti all’atleta controlli ematologici, i predetti consulenti hanno ricostruito in via
induttiva quali potessero essere gli effetti residuali della permanenza in altura in Pantani alla
data del 18/10/95.
Tale ricostruzione, riportata nella tabella 2.12, pag.34 dell’elaborato peritale, ha portato i
consulenti a calcolare un aumento di 3 punti di ematocrito e 0,7 punti di emoglobina sulla
base dell’applicazione agli ultimi valori ematologici rilevati in data antecedente al
18/10/1995, e cioè quelli misurati all’atleta il 6/6/95 (sui quali più sopra il giudicante si è
già soffermato e che, come già rilevato, sono comunque corrispondenti ai valori medi
dell’atleta dal 1995 al 1999), delle variazioni percentuali medie dovute alla permanenza in
altura riscontrate nelle ricerche sperimentali, in particolare quelle di Gore C et al 1998 e
Levine Bd et al 1997, scelte dai periti dell’accusa fra tutte le ricerche pubblicate sul tema in
sede internazionale in epoca relativamente recente come le sole utilizzabili per un raffronto
nel caso di specie, in quanto condotte in condizioni simili e quindi correttamente
paragonabili a quelle vissute da Pantani e cioè su atleti che avevano svolto per un periodo
di tempo di 3-4 settimane allenamento di fondo a una quota compresa tra i 2.200 e i 3000
metri. Il metodo con cui è stato operato tale calcolo è apparso al giudicante particolarmente
rigoroso dal punto di vista scientifico e quindi del tutto attendibile.
Le conclusioni cui sono giunti sul punto i consulenti del Pubblico Ministero sono per altro
rafforzate da quanto riferito a dibattimento dal teste Faina, il quale, confermando quanto già
dichiarato in sede di indagini preliminari, ha ricordato che, in base a uno studio
commissionato nel 1994 dalla FIC all’Istituto di scienza della sport e all’ospedale
Sant’Orsola di Bologna nel 1994, sugli adattamenti in quota compiuto su atleti allenatisi in
Equador a un altitudine di mt 2.900 per un periodo variante tra i 21 giorni e il mese, i valori
dell’ematocrito erano risultati aumentare nei primi 4-5 giorni di 3-4 punti in percentuale,
rimanendo poi stabili nei giorni successivi. Il teste, medico sportivo, ha anche precisato che
in base alla sua esperienza e per le sue conoscenze, nel giro di una settimana dal ritorno in
pianura l’ematocrito si riporta ai valori e alle condizioni ante quota.
Il teste Borchi, ex medico della nazionale ciclismo su strada, ha dichiarato che, da studi
letti, gli risultava che l’ematocrito di atleti allenatisi all’altezza di oltre 2000 metri
aumentava di circa 3-4 punti, senza riuscire però a precisare quali fossero i suoi parametri
di riferimento.
Sulla succitata ricostruzione dei consulenti del Pubblico Ministero nulla ha del resto
obiettato il prof. Tura, salvo poi dichiarare (vedi trascrizioni ud. 20/10/2000 pag. 57) che
l’ematocrito di Pantani alla data 18/10/95 era aumentato per la permanenza in altura da 45 a
49 punti. Il predetto consulente ha in merito asserito erroneamente che tale dato era quello
indicato dai consulenti del Pubblico Ministero (vedi esame Tura pag. 57 trascrizioni ud.
20/10/2000: ”Il Pantani nel settembre 1995 si reca in Columbia….in questo periodo ha
sicuramente uno stimolo della produzione dei globuli rossi e, quindi, sposta l’ematocrito da
45 a 49, che è quanto gli stessi periti mi concedono in questa ricostruzione”).
Tale errato riferimento alla consulenza dei prof. Benzi e Ceci è sembrato al giudicante
indice del fatto che l’analisi della stessa è stata fatta dai consulenti della difesa in modo non
adeguatamente approfondito, posto che i consulenti del Pubblico Ministero hanno più volte
ricordato, sia nell’elaborato scritto che nell’esame dibattimentale, che il ritorno in pianura
porta a una parziale normalizzazione del quadro ematologico, specificando letteralmente a
pag. 33 dell’elaborato peritale: ”Ciò porta criticamente a ritenere che nel periodo dal 10 al
18 ottobre 1995 Pantani abbia diminuito da 0,4 a 0,7 punti l’eventuale innalzamento
dell’emoglobina e da 1 a 2 punti percentuali l’eventuale incremento del valore
dell’ematocrito determinato dalla precedente permanenza in altura in Columbia”.
Tale considerazione, che ha determinato i consulenti del Pubblico Ministero a ritenere che
al 18/10/95 l’innalzamento dell’ematocrito di Pantani per permanenza in altura fosse
calcolabile non in 4 bensì in 3 punti (con consequenziale innalzamento dell’ematocrito
dell’atleta da 45 a 48), evidente-mente è sfuggita all’attenzione del prof. Tura.
I consulenti della difesa ritengono poi che possa aver contribuito ad alzare il livello di
ematocrito di Pantani da un lato il trauma con frattura esposta patita dallo stesso, dall’altro
le modalità, secondo i predetti consulenti non ottimali, con cui il prelievo del 18/10/95 è
stato praticato (considerazioni sintetizzate nei power point prodotti dal prof. Tura a
dibattimento, aff. 246/17 e 246/18 faldone 4).
Quanto al primo punto il ragionamento svolto è sostanzialmente il seguente: prova della
circostanza che Pantani era un soggetto emoconcentrato e non policitemico è data dal fatto
che il paziente non è stato sottoposto a salasso ma emodiluito, trattamento che secondo il
prof. Tura deve invece essere rigorosamente limitato ai soggetti emoconcentrati, giacchè la
diluizione operata con l’infusione praticata al paziente policitemico avrebbe durata del tutto
momentanea, poiché, dopo l’eliminazione del liquido infuso, tramite diuresi, il rapporto
plasma-globuli ritornerebbe quello di partenza .
Su tale punto, sul quale il predetto ematologo è stato categorico (vedi elaborato scritto
nonché trascrizioni pag. 63 ud. 20/10/2000, ove il consulente della difesa ha testualmente
affermato: ”…è impossibile che un medico, che ha una grossa responsabilità, che si trova in
un pronto soccorso, che si trova davanti a un policitemico che deve essere operato in tre ore,
non lo salassi, cioè non faccia o l’eritrocitoaferosi o non faccia il doppio o triplice salasso
che si può fare nel giro di quelle ore che sono state necessarie e che sono intercorse tra
l’osservazione e l’intervento chirurgico“) radicali smentite sono giunte non solo dai
consulenti del Pubblico Ministero ma anche dai dottori Vincenzo e Cartesegna, che hanno
cooperato tra loro nell’intervento chirurgico di Pantani rispettivamente come anestesista e
chirurgo-ortopedico, i quali hanno concordemente escluso l’opportunità di abbassare i valori
ematologici di Pantani con un salasso anziché, come fu fatto, con un emodiluizione,
trattandosi di un paziente sanguinante (vedi in particolare pag. 90 trascriz. ud 28/11/2000
l’anestesista dott. Vincenzo, la quale alla domanda del giudice: ”Per abbassare questi valori-
ematici, trattandosi di un paziente con frattura esposta, sarebbe stato indicato fare un
salasso?” ha testualmente risposto: ”No, perché nel paziente traumatizzato non esiste che si
faccia un salasso”).
Ulteriore argomentazione difensiva che è necessario analizzare è la seguente: posto che
Pantani dopo l’intervento, e precisamente alle ore 19.40, presentava un ematocrito di 42 %,
e che tale ematocrito ha continuato a scendere nei giorni successivi sino ad arrivare al livello
di 28 (dato di cui peraltro il prof. Tura, il quale ha presupposto che non vi fossero
emorragie in atto, non è riuscito a dare alcuna spiegazione), è da escludersi che Pantani
potesse essere, al momento del ricovero, policitemico, mentre bisogna concludere per il
fatto che l’atleta, causa disidratazione e plasmorragia da trauma, fosse emoconcentrato.
Solo quest’ultima ipotesi infatti, sempre secondo il consulente della difesa, sarebbe in grado
di spiegare il perché, finita l’infusione, il valore dell’ematocrito non si sia rialzato ai valori
iniziali. Riassumendo il predetto perito ha sostenuto che il 60 di ematocrito era non un
valore reale, ma, come ben sintetizzato dalla prof. Ceci, “l’effetto ottico di una
emoncentrazione“, ragion per cui, eliminata la componente emoconcentrazione e restituiti al
soggetto i liquidi normali, l’ematocrito, percentuale complessiva del volume dei globuli
rossi in una data quantità di sangue -vedi glossario aff. 244/ 254 pwer point prodotti da
Benzi e Ceci all’udienza 13/10/2000- è ritornato, tramite l’infusione di liquidi, a un valore
normale pari a 42.
In realtà il prof. Tura in questa sua ricostruzione, fondata sull’ipotesi di
un’emoconcentrazione cagionata congiuntamente dai fenomeni della disidratazione e della
plasmorraggia, da un lato non riesce a confutare validamente i ragionamenti fatti dai
consulenti del Pubblico Ministero circa la insussistenza di un fenomeno di importante
disidratazione, tale da comportare correlativa emoconcentrazione, dall’altro non riesce
nemmeno a provare l’ipotesi della cosiddetta plasmoraggia, e cioè fuoriuscita dai vasi di
solo plasma, posto che, come sottolineato dai consulenti del Pubblico Ministero (vedi
trascrizioni pag. 33 e ss. ud. 20/10/95) all’atto del ricovero il valore delle proteine nel
sangue di Pantani era normale, mentre la plasmorraggia comporta necessariamente una
caduta delle proteine plasmatiche.
Tale caduta non si è verificata né nel caso di Pantani né nel caso di Dall’Olio e Secchiari,
che furono ricoverati assieme all’imputato e subirono come lui traumi molto rilevanti (e
precisamente il primo la frattura scomposta pluriframmentaria del femore e il secondo
numerose fratture scomposte alla branca ileo e ischio pubica e all’acetabolo destro). I
suddetti traumi, pertanto, avrebbero dovuto comportare anch’essi, secondo la tesi di Tura,
una plasmorragia e una conseguente emoconcentrazione, esclusa invece dai valori
ematologici, risultati assolutamente nella norma, rilevati ai due atleti al momento del
ricovero (sul punto il prof. Tura, a specifica domanda del giudice, non è stato per altro in
grado di fornire alcun valido chiarimento, come si evince dalle trascriz. pag.204, ud.
20/10/2000).
La professoressa Ceci ha ulteriormente specificato (vedi trascrizioni ud. 20/10/2000 pag. 34)
quale sia la differenza tra emorragia e plasmorraggia, chiarendo che l’evento emorragico,
dovuto a rottura dei vasi, comporta perdita di tutte le componenti del sangue, mentre la
cosiddetta plasmorraggia comporta “la perdita selettiva di proteine e accompagna i
fenomeni che coinvolgono maggior-mente la permeabilità del vaso“ e si verificano in
seguito a un fatto infiammatorio o a un fatto contusivo. Tale concetto è stato ulteriormente
chiarito dal prof. Benzi nel seguente modo (vedi pag. 32 ud. 20/10/2000): ”Le proteine
escono in plasmorragia con l’alterazione dei capillari“. Il predetto consulente ha poi
precisato, rispetto al caso di specie: ”Nel post traumatico non c’è nessuna perdita di
proteine, il plasma rimane tutto lì“, mentre un abbassamento delle proteine si ha invece in
seguito al secondo evento traumatico rappresentato appunto dall’intervento chirurgico per la
riduzione della doppia frattura esposta, il quale ha comportato sia perdita di liquido
plasmatico (con formazione di edema) che di sangue. Tale affermazione è effettivamente
confortata dalla documentazione medica acquisita in atti, posto che negli esami ematologici
fatti su prelievo delle ore 15.20, e cioè mezzora dopo il fermo corsa e prima di qualsiasi
provvedimento terapeutico effettuato al CTO, le proteine di Pantani sono pari a 7 g/dl,
rispetto a un range di normalità di 6,5 – 7,8 (vedi power point prodotti dai consulenti Benzi
e Ceci all’udienza 13/10/2000 aff. 244/324 faldone 4), mentre dal prelievo effettuato il
giorno successivo –vedi diario clinico 19/10/95 in atti– emerge un abbassamento delle
proteine a 4.9.
Il prof. Tura, in sede di confronto, non ha saputo validamente spiegare, a parere del giudice,
come si potesse conciliare l’ipotesi da lui fatta di importante plasmorragia conseguente al
trauma da incidente stradale (letteralmente il consulente a pag. 214 delle trascrizioni ud.
20/10/2000 ha così descritto il fenomeno “se non piace il termine plasmorragia, io uso
l’uscita di plasma e proteine dal letto ematico realizzando l’emoconcentrazione“) con il
range di normalità della proteine totali nel sangue di Pantani all’atto del ricovero, e cioè alle
ore 15.20. Rispetto alla succitata circostanza il consulente (vedi trascriz. pag. 141 ud.
20/10/2000), alla domanda del giudice: ”Come spiega che Pantani avesse 7 di proteine, cioè
delle proteine normali in presenza di plasmorragia ?” ha così risposto: ”Il plasma è uguale a
liquidi più proteine, se lei perde plasma perde anche le proteine“. Non si comprende per
altro come una rilevante perdita di una certa componente selettiva del sangue, quali le
proteine plasmatiche, possa conciliarsi con il fatto che i valori relativi a tale componente
rimangano nella norma.
I consulenti della difesa ritengono infine, come già ricordato, nella loro ricostruzione
alternativa a quella operata dai consulenti del Pubblico Ministero circa le cause
dell’abnorme valore di ematocrito riscontrato a Pantani all’atto del prelievo operato il
18/10/95 alle ore 15.20, che le modalità di prelievo siano state non ottimali e per tale
ragione si possa presumere un aumento fittizio di tale valore di due punti (vedi trascrizioni
pag. 60 ud 20/10/95, dove il prof. Tura ha dichiarato: ”Io non penso che nel prelievo per
l’ematocrito non ci sia stato l’errore del 2%”, nonchè power point prodotti dalla difesa
all’udienza 20/10/2000). Tale affermazione, pur sfumata rispetto a quella contenuta
nell’elaborato scritto consegnato dal prof. Tura in udienza dove si parla in proposito di
“variabile in grado di influenzare il valore dell’ematocrito dell’ordine di 3-4 punti“ appare
apodittica, assolutamente indimostrata alla luce delle risultanze probatorie acquisite.
Il teste Stagno, sentito a dibattimento, ha dichiarato infatti di aver effettuato personalmente
il prelievo all’atleta utilizzando il sistema Vacutainer, ed operando secondo protocollo.
L’infermiere ha anche precisato di aver utilizzato le provette colorate deputate a raccogliere
i campioni di sangue per l’esecuzione di tutti gli esami standard, compresi quelli
ematochimici. Dalle dichiarazioni rese dalla dott. Carla Florio (dirigente all’epoca e a
tuttoggi del laboratorio analisi del CTO di Torino), in fase di indagini preliminari e a
dibattimento, si evince, a conferma di quanto dichiarato dal teste Stagno, che l’ospedale
CTO si avvale e si avvaleva all’epoca sia per i pazienti ricoverati che per i pazienti esterni
del sistema Vacutainer, il quale presuppone, come precisato dalla dott. Florio, l’utilizzazione
di provette sotto vuoto con scadenza riportata su ognuna, tappo di sicurezza a colori
differenti a seconda dei test da eseguire (il sistema è quindi di per se stesso particolarmente
affidabile come affermato dal prof. Benzi all’udienza 13/10/2000 pag. 176 trascriz.). La
dott. Florio ha altresì riferito sul punto (vedi trascriz. pag. 14 ud. 17/11/2000): ”Le analisi
ematologiche vengono ripetute sistematicamente nel momento in cui il tecnico che le esegue
si trova di fronte a un valore patologico. Inoltre le macchine usate per il conteggio
automatico vengono controllate con un sangue apposta, detto di controllo standard, che ci
viene fornito dalla ditta …”, precisando ulteriormente: ”l’attenzione per gli esami eseguiti in
urgenza direi che è un pochino maggiore di quello che si fa in una routine, proprio perché è
l’urgenza stessa che lo richiede…”.
La teste ha infine dichiarato, su domanda del Pubblico Ministero, che i valori
dell’emoglobina e dei globuli rossi non variano a seconda che il paziente esegua l’esame a
stomaco pieno o vuoto, ed anche tale punto è significativo, posto che i dubbi sollevati dai
consulenti della difesa circa il corretto esito dell’analisi ematica apparivano motivati anche
dal fatto che il paziente alle ore 15.20 presumibilmente non era a stomaco vuoto.
E’ stata acquisita pertanto nel corso dell’istruttoria dibattimentale ampia rassicurazione
sulla qualità della metodologia con cui nel 1995 si eseguivano i prelievi e si effettuavano le
analisi del sangue presso il CTO di Torino, noto e accreditato ospedale, dotato di pronto
soccorso ortopedico grandi traumi e quindi particolarmente attrezzato a trattare urgenze
quali quella in esame (vedi sul punto deposizione Stagno).
Correttamente hanno poi osservato i consulenti del Pubblico Ministero che non vi è alcuna
ragione per ritenere eseguito non a regola d’arte un prelievo che ha dato come esito analitico
per Pantani un profilo ematologico alterato, evidenziando però al contempo valori
ematochimici perfettamente nella norma, poiché è logico pensare che se il prelievo non
fosse stato correttamente eseguito anche tali valori sarebbero risultati alterati.
Perfettamente nella norma sono risultati del resto anche tutti i valori ematologici di
Secchiari e Dall’Olio, parimenti gravemente traumatizzati come Pantani, ricoverati quasi
contestualmente all’imputato nello stesso ospedale, e quindi presumibilmente sottoposti a
un prelievo di sangue effettuato con analoghe modalità .
Sul punto la stessa dott. Fiorio in sede di dichiarazioni rese al Pubblico Ministero in data
22/12/99 ha testualmente affermato: ”Con riferimento agli esami ematologici e
ematochimici di Marco Pantani refertati alle ore 15.42 del 18/10/95 posso precisare che i
valori ematochimici riscontrati, rientrando nei limiti di normalità, garantiscono
verosimilmente una buona qualità del prelievo eseguito”.
Esaurito l’esame critico delle obiezioni mosse dai consulenti della difesa alle
argomentazioni svolte dai professori Benzi e Ceci per escludere possibili cause atte a
giustificare gli abnormi valori ematologici riscontrati a Pantani, alternative alla
somministrazione esogena di eritropoietina, debbono ora essere esaminate le conclusioni
cui sono pervenuti i consulenti del Pubblico Ministero .
Dopo aver escluso che i valori ematologici di Pantani, così come riscontrati il 18/10/95,
all’ingresso in ospedale del paziente, avessero avuto origine nelle cause succitate, dopo
aver cioè escluso patologie policitemiche, situazioni genetiche, condizioni di disidratazione,
condizioni derivanti da adattamento all’altura, i periti hanno concluso che la abnorme
situazione ematologica riscontrata a Pantani il 18/10/95 fosse dovuta a una stimolazione
farmacologica del midollo eritroide.
Tale giudizio è stato ulteriormente validato da ulteriori considerazioni medico
farmacologiche, fondate sulla comparazione dei dati ematologici dell’atleta così come
rilevati presso il CTO di Torino con i dati, , definenti il caratteristico profilo ematologico
dell’assuntore di eritropoietina, presentati da uno studio recente, condotto da Dine G. nel
1999 e pubblicato sulla rivista Hematologica di tale anno, compiuto su un numero
consistente di atleti che avevano confessato di aver assunto elevate dosi di eritropoietina.
I parametri da considerare secondo lo studio di Dine G. sono otto, nel cui ambito il variare
contestuale al di sopra di una soglia stabilita inerente contemporanea-mente almeno tre
degli stessi è indice di pregressa assunzione di eritropoietina.
Fondamentale viene ritenuto in tale ricerca il dato indicatore della ferritinemia.
Gli sportivi che prendono farmaci stimolanti l’eritropoiesi, infatti, hanno sempre, come
sopra già ricordato, una massiccia supplementazione di ferro sia allo scopo di eludere una
caduta dei valori della ferritinemia per incrementata formazione di emoglobina, sia per
evitare che i globuli rossi formatisi in seguito alla sollecitazione eritropoietica siano
ipocromici, abbiano cioè un ridotto contenuto di ferro al loro interno e quindi non svolgano
la funzione di trasporto di gas cui la loro produzione, esogenamente stimolata, è finalizzata.
La circostanza del necessario abbinamento epo-ferro, peraltro non contestata dai consulenti
della difesa, è stata approfonditamente analizzata dai consulenti del Pubblico Ministero. Gli
stessi, a riprova di quanto affermato, hanno prodotto la scheda tecnica dell’eritropoietina,
nella quale è scritto espressamente che l’inizio della terapia con eritropoietina può essere
fatto solo se i dati di ferro di deposito che già ha l’individuo sono sufficientemente buoni, e
comunque sempre somministrando ferro insieme all’eritropoietina (vedi sul punto scheda
tecnica in atti e dichiarazioni rese dalla dott. Ceci pag. 214 trascriz. ud 13/10/2000; il prof.
Benzi ha in proposito altresì sottolineato come anche nel lavoro sperimentale
sull’assunzione di Epo cui hanno fatto riferimento i consulenti della difesa, quello avente
come capofila Parisotto, la somministrazione, in via sperimentale, di eritropoietina, è
sempre stata associata alla somministrazione di ferro per via intramuscolare o orale -vedi
trascrizioni ud. 20/10/2000, pag. 185-).
Nell’ambito dei parametri ematici evidenziati da G. Dine, nello studio sopraindicato, come
indicatori di trattamento con epo, i consulenti del Pubblico Ministero ne hanno isolati ben
cinque contemporaneamente fuori norma, così come dimostrato dalle analisi ematiche fatte
a Pantani al momento del ricovero presso il CTO di Torino il 18/10/95 (per quanto concerne
il valore inerente la ferritinemia, lo stesso, in verità, è stato rilevato successivamente, nelle
analisi fatte in data 27/10/95, ma è comunque validamente utilizzabile come parametro non
trattandosi di valore suscettibile di improvvise significative oscillazioni nel breve periodo,
dato quest’ultimo su cui vi è accordo tra tutti i consulenti).
I cinque valori contemporaneamente fuori norma sono i globuli rossi a 6,69, di fronte a un
valore limite individuato di 5,5; il volume di distribuzione percentuale a 17,4, di fronte a un
valore limite di 15; l’emoglobina a 20,8, di fronte a un valore limite di 16,5; l’ematocrito a
60,1 di fronte a un valore limite di 47 e la ferritinemia a 1.500, di fronte a un valore limite
di 500 (vedi in particolare trascrizioni udienza 20/10/2000, pag. 191).
Quanto alla ferritinemia, ha rilevato la difesa in sede di arringa che tale valore non sarebbe
attendibile poiché la misurazione fu fatta al paziente dopo che, come si evince dalla terapia
effettuata durante il ricovero (vedi aff. 262/48 e ss. faldone 5, cartella clinica in originale in
atti), Pantani, nei giorni antecedenti alla misurazione del succitato valore, fu sottoposto a
somministrazione di ferro.
Questo dato non è a parere del giudicante significativo giacchè (vedi tabella 2.3 pag.18
elaborato peritale Benzi e Ceci), la ferritinemia di Pantani, come dimostrano i dati
emergenti dalle cartelle cliniche della F.C.I dal 95 al 99, si è sempre aggirata su una media
pari a 940, con un valore quindi quasi doppio al parametro limite di 500 indicato da G. Dine
nello studio sopraindicato.
In data 27/10/95 tale valore è comunque giunto addirittura, come visto, a 1500.
Evidentemente su tale ulteriore aumento, che ha portato la ferretinemia dell’atleta
addirittura “fuori scala”, ha inciso la somministrazione di ferro fatta in ospedale al
paziente, senza che fosse stato previamente accertato il bisogno di tale somministrazione.
Un importantissimo elemento a convalida dell’argomentare dei consulenti del Pubblico
Ministero è fornito poi dal seguente riscontro, più sopra già richiamato: in data 1/5/95, due
giorni prima l’inizio del giro d’Italia, Pantani durante un allenamento e ad appena 30 Km
dalla propria abitazione, precisamente in Santarcangelo, è stato vittima di un incidente
stradale.
In tale occasione, in assenza di qualsiasi possibile residuale effetto da permanenza in quota
o da disidratazione da sforzo, l’atleta, che era in fase di riscaldamento, ricoverato al Pronto
Soccorso dell’Ospedale di Rimini risultò avere (vedi sul punto documentazione medica in
atti) i seguenti valori ematologici: 57,6 di ematocrito, 6 milioni di globuli rossi, 18/,2 di
emoglobina (valori dunque simili a quelli riscontrati in Torino il 18/10/95 e simili anche a
quelli riscontrati all’atleta, come sopra già ricordato, il 5/6/99 in Madonna di Campiglio
durante il giro d’Italia del 1999, laddove la percentuale di ematocrito rilevata, pari al 52 %,
era parimenti fuori norma sia rispetto ai valori di ematocrito congeniti dell’atleta sia
rispetto alla soglia di pericolo individuata dai regolamenti medico sportivi).
Tale innalzamento dell’ematocrito accertato nel corso di una stagione agonistica è
certamente confermativo del fatto che l’origine di tale alterazione sia da addebitarsi al
ricorso ripetitivo a una stimolazione esogena con farmaci eritropoietinici, farmaci assunti
appunto in prossimità di importanti gare per incrementare, come ben spiegato dal
consulente prof. Benzi (vedi pag. 136 e ss. trascr. ud. 13/10/2000) la prestazione di fondo
dell’atleta tramite l’aumento di globuli rossi normocromici circolanti con consequenziale
incremento del trasporto di ossigeno ai muscoli, e traduzione da parte di questi ultimi della
tale maggior quantità di ossigeno circolante in aumento di energia.
Sul punto il consulente della difesa Tura (vedi trascrizioni ud. 20/10/2000), ha ribattuto
sostenendo che per identificare l’eritropoiesi stimolata si dovesse far capo ai parametri
indicati da Parisotto (vedi studio sopra richiamato), e cioè l’ematocrito, il valore dei
reticolociti, il dosaggio dell’eritropoietina, il dosaggio dell’emoglobina e il volume
corpuscolare medio, asserendo che, avendo i consulenti del Pubblico Ministero considerato
tra questi solo due parametri e cioè l’ematocrito e l’aumento dell’emoglobina, gli stessi non
erano giunti a conclusioni scientificamente attendibili.
Prescindendo dal dato dell’impossibilità per i consulenti del Pubblico Ministero di prendere
in esame dati non presenti nella documentazione medica acquisita in atti, come appunto i
reticolociti e il volume corpuscolare medio, appare al giudice decisivo elemento che
testimonia il rigore e la validità scientifica delle valutazioni peritale svolte dai consulenti
Benzi e Ceci, e quindi l’attendibilità delle conclusioni cui gli stessi sono giunti, la
circostanza che i predetti per comparare il profilo ematologico di Pantani abbiano scelto i
parametri, individuati da G. Dine e sopraindicati, emergenti dall’unico studio recente,
accreditato su una rivista internazionale prestigiosa, a tuttoggi compiuto su un campione di
atleti professionisti, in tutto, e cioè sia per condizioni psicofisiche che per presumibile
modalità temporale e quantità di assunzione di eritropietina, assimilabili a Pantani, atleti che
hanno confessato di aver a lungo assunto epo, “che si riempiono di ferro e
contemporaneamente di eritropoietina, per i quali paradossalmente diventa il ferro
l’indicatore” (vedi trascrizioni Benzi pag. 188 e 189 ud. 20/10/2000).
In questo senso i dati di ferritinemia di Pantani, più sopra già richiamati, con varie punte
oltre il valore mille e un valore medio di 940, rispetto a un valori normali che variano da 18
a 370 ng/ml, sono davvero impressionanti.
Dell’origine di tali valori di ferritinemia, per altro giudicati abnormi dallo stesso prof. Tura,
il predetto consulente della difesa non ha saputo fornire alcuna valida spiegazione
alternativa rispetto a quella individuata dai consulenti del Pubblico Ministero, così come
non ha saputo confutare efficacemente, a parere del giudice, la attendibilità scientifica dello
studio di G.Dine cui si sono richiamati i consulenti del Pubblico Ministero.
Quanto alla ferritinemia di Pantani Tura ha affermato testualmente (vedi pag. 128 trascr. ud.
20/10/2000): “Un individuo, chiamiamolo Marco Pantani in questo momento qui, anche due
o tre anni fa, ha assunto del ferro non perché stava pigliando Epo, ma perché c’è stato un
errore diagnostico, per una sua condizione ematologica, gli sono state fatte 20 fiale di ferro
in endovena e lui mantiene due grammi di ferro nei depositi con una ferritinemia di 1000”
-affermazione quest’ultima del tutto indimostrata e palesemente inconciliabile con
l’oscillazione e crescita negli anni della ferritinemia di Pantani – vedi il valore di 1163 del
28/10/99, il valore di 1133 del 30/6/99 rispetto al valore di 850 del 21/5/97-, nonché
incompatibile con il fatto che tale atleta era perennemente seguito da un nutrito staff
medico, il quale non avrebbe potuto compiere, reiteratamente, l’errore sopra ventilato dal
prof. Tura .
Quanto poi allo studio di Gerard Dine il suddetto perito ha dichiarato (vedi pag. 199 trascr.
ud. 20/10/2000) che non riteneva validi i parametri ivi indicati: ”Perché la fisiologia dice
che l’aumento della ferritina e l’aumento di globuli rossi non è quello che documenta una
eritropoiesi stimolata”, dimenticando così, che l’aumento della ferritinemia è stato
descritto dai suoi contraddittori oltre che dal succitato studioso G. Dine come conseguenza
non della somministrazione di epo ma della contestuale e inevitabile somministrazione di
ferro, che sempre accompagna il trattamento con eritropoietina.
La scelta dei consulenti della difesa di ritenere unici parametri scientifici indicativi di
assunzione di epo quelli indicati nello studio di Parisotto sopra richiamato e non quelli
indicati nello studio di G. Dine, appare in definitiva strumentale a una messa in discussione
a tutti i costi dell’attendibilità del lavoro dei consulenti del Pubblico Ministero, posto che
rispetto ai parametri indicati da Parisotto solo l’emoglobina e l’emocromo erano utilizzabili
da questi ultimi, non essendo stati gli altri valori, indicati nella ricerca succitata, rilevati
all’atleta al momento del ricovero.
A prescindere dal fatto che emoglobina e emocromo sono, ai fini dello accertamento di una
somministrazione esogena di epo, parametri comunque di estrema significatività,
soprattutto alla luce dell’esclusione di altre cause che abbiano cagionato l’abnorme
innalzamento di tali valori, vi è inoltre da rilevare che il campione studiato da Parisotto nel
caso di specie non era validamente utilizzabile dal punto di vista scientifico, come si evince
da quanto sostenuto dal Prof. Benzi a pag.186 delle trascriz. ud. 20/10/2000 (non contestato
per altro dai consulenti della difesa), giacchè il campione su cui Parisotto e i suoi colleghi
hanno compiuto la ricerca succitata è rappresentato da soggetti non atleti ai quali, per
periodi limitati, è stata somministrata una quantità di eritropoietina e di ferro modesta,
tant’è che all’esito della somministrazione i valori di ferritina dei soggetti sottoposti alla
somministrazione risulta pari a 120-130. Si tratta in sostanza di soggetti e valori
astralmente lontani dall’atleta Pantani e dai valori allo stesso riscontrati (si pensi solo al
fatto, più volte già ricordato, che la ferritina di Pantani si è aggirata negli anni 1995-1999
intorno ai 1000 nanogrammi per millilitro).
In conclusione il giudicante, dopo aver criticamente valutato le risultanze peritali dei
consulenti del Pubblico Ministero e le obiezioni alle stesse mosse dai consulenti della difesa
ritiene di dover prestare piena adesione alle conclusioni cui sono pervenuti i professori
Benzi e Ceci, ritenendole affidabili per il rigore logico argomentativo che le ha supportate,
per l’evidente approfondito studio che le ha precedute, perché infine non risulta in alcun
modo dimostrata, anche all’esito del confronto tra periti disposto dal giudice, l'idoneità delle
obiezioni mosse dai consulenti della difesa a mettere in discussione l’attendibilità scientifica
del ragionamento peritale accusatorio.
Vi è infine da rilevare, a riprova della fondatezza della valutazione più sopra espressa da
questo giudice, quanto segue: mentre l’ipotesi dei consulenti della difesa, e cioè quella di
un soggetto emoconcentrato reidratato, non affetto da eventi emorragici, non spiega in alcun
modo il decorso clinico di Pantani dal punto di vista ematologico, poiché se, come
sottolineato dalla prof. Ceci pag. 153 trascriz. ud. 20/10/2000, la correzione dell’ematocrito
fosse stata affidata solo alla diluizione una volta ritrovato il valore normale lo stesso
avrebbe dovuto permanere inalterato con il passare delle ore e dei giorni, fatto che invece
non si è verificato (in proposito, alla domanda del giudice: ”Secondo lei perché Pantani ha
avuto valori progressivamente calanti di emoglobina e di ematocrito a tal punto da porne in
pericolo la vita ?…”, il prof. Tura ha letteralmente risposto: ”Lei ha focalizzato bene solo
che non lo sappiamo mica …” - vedi trascrizioni pag. 78 ud. 20/10/2000), la ricostruzione
medica fatta dai prof. Benzi e Ceci offre invece una spiegazione coerente ed esaustiva di
tutto il decorso clinico del paziente, dal momento del ricovero alla sua dimissione. La stessa
si può così riassumere: Pantani è un soggetto politraumatizzato che presenta all’ingresso
una moderata emorragia, che è poi proseguita per tutta la durata del decorso clinico,
svuotando piano piano le sue riserve (così prof. Ceci pag. 153 trascr. ud. 20/10/2000) e
portando così a valori ematologici francamente patologici. Tale ricostruzione è stata
esplicitata in sede di controesame dei predetti periti e di confronto tra gli stessi e i
consulenti della difesa, all’udienza 20/10/2000, giacchè nella prima udienza, svoltasi il
13/10/2000, i professori Benzi e Ceci si sono limitati a ad esporre analiticamente la
risposta da loro stessi fornita ai quesiti posti dal Pubblico Ministero delle indagini
preliminari, i quali non comprende-vano una valutazione del decorso clinico del paziente.
Le considerazioni esposte dai consulenti del Pubblico Ministero sul punto trovano conforto
nelle risultanze probatorie, testimoniali e documentali.
Una emorraggia del paziente è stata infatti ipotizzata anche dal prof. Potema (vedi
dichiarazioni rese dal predetto in sede di indagini preliminari in data 15/9/99, acquisite in
atti all’aff. 27/1 faldone 1), il quale, in una data compresa tra il 25 e il 28 ottobre, su
richiesta del medico sportivo Grazzi, visitò Pantani presso il CTO ove l’atleta era
ricoverato e parlò con il primario Cartesegna. Quest’ultimo, a suo dire, “gli descrisse il
caso ed espresse il concetto che si potesse trattare di una anemia post emorragica”. Potema,
per altro, ha affermato nelle sommarie informazioni sopra richiamate, in relazione alla
brusca caduta dei valori emoglobinici di Pantani: ”Una tale caduta non poteva essere
giustificata se non da un fatto emorragico importante e ciò era testimoniato anche dal valore
del volume globulare...".
Anche la dott. Fiorio ha espresso il suo parere sul punto dichiarando a dibattimento: ”Dopo
l’intervento -Pantani- aveva perso evidentemente del sangue e si era anemizzato. Questo è
quello che ricordo come la cosa più eclatante …ho visto la cartella…suppongo che avesse
perso del sangue perché uno, in un intervento chirurgico di quella portata, di sicuro doveva
secondo me, con quei valori, aver avuto una sorta di emorragia “ (vedi trascr. pag. 13 e 15
ud. 17/11/2000).
Ancor più precisi sono stati in proposito il dott. Cacaci, ortopedico che assieme al primario
Cartesegna operò Pantani e l’anestesista Vincenzo, i quali all’udienza 28/11/00 hanno
dichiarato che Pantani presentava un sanguinamento del canale midollare dell’osso
fratturato non violento ma continuo, tale da portare nel tempo, attraverso un perdurante
stillicidio, a problemi di anemizzazione (vedi rispettivamente Cacaci trascriz. pag. 77 e
Vincenzo trascriz. pag 91). E’ appunto quella “perdita di sangue … che piano piano svuota
le riserve di Pantani“ di cui ha parlato a dibattimento la prof. Ceci - vedi trascriz. pag. 153
ud. 20/10/2000.
I fenomeni emorragici che colpiscono Pantani nel corso del suo ricovero presso il CTO di
Torino sono del resto riscontrabili nei dati obiettivi emergenti dalla lettura della cartella
clinica in atti.
Nella diagnosi di ingresso si parla, infatti, come già sottolineato, “ di ematoma -formato
appunto da sangue, come precisato dalla prof. Ceci a pag. 36 trascr. ud. 20/10/2000- post
traumatico coscia sinistra”. Nella risonanza magnetica alla coscia sinistra del 20/10/95 si
legge: ”Il muscolo quadricipite appare vistosamente tumefatto con evidenza di un esteso
focolaio contusivo del vasto intermedio ove si riconoscono imponente edema e soffusione
emorragica, quest’ultima apparentemente organizzata in un piccolo ematoma al terzo medio
prossimale… focolai contusivi, anche se di entità assai meno cospicua, sono inoltre
riconoscibili a carico dei muscoli, rispettivamente vasto laterale e vasto mediale, nonché dei
muscoli aduttore lungo e sartorio…”. Il 21/10/95 in consulenza anestesiologica è annotato:
”anemizzazione progressiva in paziente con ematoma -quindi con manifestazione
emorragica- coscia sinistra e concomitanza di terapia anticoaugulante e antiflogistica in
corso“. Nella consulenza ematologica del 26/10/95 si legge invece: “Importante anemia
normocromica dopo trauma alla tibia e perone. Il quadro è compatibile con anemia post-
emorragica o lisi eritrocitaria”. Nel referto della risonanza magnetica al bacino e coscia
sinistra del 30/10/95 è scritto infine: ”Persiste l’edema congestizio…al controllo odierno
risulta meglio delimitabile un voluminoso ematoma con estensione cranio caudale di circa
20 cm situato cranialmente tra il muscolo retto anteriore e il vasto intermedio…”.
Questa emorragia, inizialmente definita dal prof. Benzi “moderata “, si è quindi protratta
per molti giorni portando alla progressiva anemizzazione del paziente.
La prof. Ceci giudica però tale anemizzazione emorragica eccessiva rispetto all’entità della
situazione traumatica (e tale giudizio pare essere condiviso anche dal prof. Cartesegna, che,
evidentemente preoccupato, richiede una consulenza ematologica, e dal prof. Palumbo, che
nella consulenza ematologica espletata in data 26/10/95 parla, come già ricordato, di
“importante anemia normocromica “). I consulenti del Pubblico Ministero ipotizzano
quindi tra le cause di un anemia così rilevante una difficoltà del midollo di Pantani a
riprendersi, proprio a causa dell’uso prolungato di eritropoietina (la prof. Ceci parla in
proposito, vedi pag. 212 trascriz. ud. 13/10/2000 e pag. 159 ud. 20/10/2000, di “dipendenza
dall’eritropoietina” e di “midollo meno responsivo“).
Sul punto anemizzazione all’udienza 11/12/00 il teste Palumbo ha precisato: “Ci sono tre
cause di anemizzazione, si è anemici perché il midollo osseo non produce, si è anemici
perché si perde sangue da qualche parte, si è anemici perché i globuli rossi vengono distrutti
dentro il ciclo vascolare”, aggiungendo poi che quest’ultima ipotesi gli sembrava
impossibile essendo rimasto inalterato il quadro della coaugulazione, dato quest’ultimo
incompatibile con la lisi eritrocitaria.
In merito a questa minor responsività del midollo nell’abituale assuntore di eritropoietina il
prof. Benzi (vedi trascr. pag. 160, ud. 20/10/2000) ha richiamato le osservazioni svolte sul
punto nel numero 6 dell’anno 2000 della rivista internazionale Hematologica dal Prof.
Cazzolla, riportandole testualmente, tramite contestuale traduzione orale dall’inglese, come
segue: ”Preliminari osservazioni suggeriscono che l’abuso di eritropoietina ricombinante
possa determinare il rischio di una deficienza dopo il trattamento, cioè sospendendo il
trattamento, nella produzione dell’eritropoietina endogena, inducendo una anemia di grado
elevato. In particolare questi individui sarebbero non abili a sviluppare una adeguata
risposta eritropoietica alle condizioni di stress. Più in generale noi non conosciamo gli
effetti del trattamento a lungo termine con l’eritropoietina ricombinante, ma osservazioni
suggeriscono che questi corrono il rischio di sviluppare disordini mieloproliferativi”.
Le considerazioni scientifiche svolte dai consulenti del Pubblico Ministero sulle
conseguenze provocate dall’uso prolungato e massiccio di eritropoietina, pur affacciantesi
su una materia ancora oggetto di studi sperimentali, sono parse al giudicante particolarmente
documentate e degne pertanto di credito. Le stesse sono per altro suffragate anche dalle
dichiarazioni formulate in merito, in fase di indagini preliminari, dal prof. Cartesegna (vedi
sit 16/6/99 aff. 38/1 faldone 2), il quale in tale sede ha testualmente affermato: ”Ad un certo
punto, tra le ipotesi che mi si presentarono alla mente, per comprendere la causa dei valori
ematici, ci fu quella che il paziente potesse aver utilizzato stimolatori dell’eritropoiesi. Mi
feci la predetta ipotesi per il fatto notorio che la sospensione di un trattamento continuativo
con i citati stimolatori può determinare fenomeni inibitori di feed back. Tanto che posi una
precisa domanda, ripetutamente, ai due medici sociali, nel senso che chiesi loro di dirmi se
il paziente avesse fatto uso dei predetti stimolatori …ma in proposito i due medici sociali
non mi diedero alcuna risposta, tergiversarono, non mi dissero né sì né no…”. A
dibattimento (vedi ud. 28/11/2000 pag. 112 trascriz.) il teste ha ribadito tale concetto
specificando che il dubbio di pregressi trattamenti del paziente con stimolatori
dell’eritropoiesi gli è sorto “…verso la fine, quando non riuscivamo a comprendere come
mai questo paziente, a differenza di altri suoi coetanei e di pazienti simili a lui come tipo di
patologia, come mai non riprendeva la salita ematologica che normalmente osserviamo in
questi pazienti“.
Significativamente nello stesso allegato A al regolamento del controllo antidoping della
Federazione Ciclistica Italiana 1995, riportante “la lista delle categorie di sostanze e metodi
doping”, dell’eritropoietina viene data la seguente definizione (vedi in atti aff. 10/53
fascicolo 1): “Si tratta di un ormone glicoproteico prodotto dai reni che regola,
apparentemente con un meccanismo a feed back negativo, la velocità di produzione dei
globuli rossi”.
Lo stesso prof. Tura (vedi trascriz. pag. 80 ud. 20/10/2000) ha per altro ammesso che una
assunzione cronica del medesimo prodotto porta a un riposo dell’organo produttivo,
negando però che tale fenomeno fosse riscontrabile nel caso di specie nel paziente Pantani,
sul presupposto che in data 25/10/95 all’atleta (singolarmente 4 ore prima di infondergli la
sacca di sangue) è stata misurata l’eritropoietina che ha dato un valore molto alto, pari a 86,
il quale quindi testimonierebbe la perfetta funzionalità del midollo eritroide (così pag. 76 ud.
20/10/2000).
La prof. Ceci ha commentato il succitato valore (vedi trascriz. 203 ud. 13/10/2000) nel
seguente modo: ”se io dovessi andare a guardare la griglia di cui ho parlato prima –il
riferimento è alla scala elaborata dal ricercatore francese Dine G sopra richiamata– questo
valore di 86 rappresenterebbe un ulteriore dato da mettere nel profilo biologico che viene da
questi colleghi francesi considerato come espressione di uno stimolo eritropoietico”,
ricordando in proposito come il range di normalità dell’eritropoietina per atleti sani sia da
6 a 16.
La circostanza poi che il valore di 86 di eritropoietina, così come rilevato a Pantani il
25/10/95, fosse concomitante con un ematocrito di 15,9%, un emoglobina pari a 5,8 e
globuli rossi pari a 4,7 ha fatto ipotizzare ai consulenti del Pubblico Ministero che
l’eritropoietina possa essere stata reintrodotta al paziente dall’esterno (vedi prof. Ceci pag.
213 ud. 13/10/95). La prof. Ceci ha chiarito tale ipotesi (vedi pag. 157 ud. 20/10/2000) nel
modo che segue: ”Pantani verso la fine della sua degenza comincia a stare meglio, meglio
più di quanto ci si aspetterebbe dopo aver infuso due sacche di sangue, e questa ripresa è
accompagnata da un aumento di reticolociti -trattasi come spiegato dalla prof. Ceci nel
prosieguo dell’esposizione, dei globuli rossi più immaturi- che in precedenza erano 1,5% e
nel secondo controllo sono 4,5% e da un valore di eritropoietina dosata pari a 86. Qui le
strade sono entrambe aperte: o c’è finalmente una ripresa del midollo, tardiva rispetto a tutto
quello che è successo nei giorni precedenti o… si può anche immaginare che -Pantani-
abbia ripreso una stimolazione con eritropoietina e che quindi lo aiuta a uscire fuori dal
tunnel”.
Quest’ultima ipotesi, sottoposta dai consulenti all’attenzione del giudice in modo molto
prudente non risultando documentata in cartella, è stata fatta propria anche dal Primario
Cartesegna, il quale, all’udienza 28/11/00, alla domanda del giudice: ”Questo atteggiamento
dei medici di Pantani e dello stesso Pantani –il riferimento era una mancata preoccupazione
dei predetti soggetti rispetto alla grave caduta ematologica del paziente, atteggiamento che
aveva lasciato molto perplesso Cartesegna, così come da lui stesso riferito in sede di
indagini preliminari– congiunto con questa immediata risalita dei valori ematologici
successivamente alla trasfusione del 25/10/95, congiunto altresì al fatto che alle 8 di mattina
del 25/10/95 Pantani aveva 86 di eritropoietina, mentre i valori normali sono più bassi:
questi vari elementi che le ho ricordato le fanno ritenere ipotizzabile che a sua insaputa,
dentro l’ospedale CTO di Torino, qualcuno, non dico del suo staff, abbia somministrato
dell’eritropoietina a Pantani?” ha testualmente risposto: ”Mi spiace ammetterlo ma sì. Mi
spiace ammetterlo perché è avvenuto all’insaputa, ma sì”, precisando poi ulteriormente che
quella sopraindicata era una ipotesi alla quale aveva pensato anche autonomamente.
I dati sopra richiamati vanno letti a parere del giudicante alla luce di singolari eventi di
contorno: primo il fatto che l’eritropoietina è stata misurata alle ore 8 del mattino del
25/10/95, e cioè 4 ore circa prima di infondere al paziente la prima sacca di sangue e un
giorno prima di richiedere la consulenza ematologica -mentre sarebbe stato effettivamente
più logico anteporre la consulenza alla trasfusione-, secondo che lo stesso Primario non è
stato in grado di riferire a dibattimento chi potesse aver suggerito l’effettuazione di tale
esame (esame che il dott. Cartesegna ha peraltro dichiarato di non aver mai visto in vita sua
prima di quel momento), terzo che l’ematologo Palumbo all’udienza 11/12/2000 ha riferito
di essere stato lui a suggerire a Cartesegna di sottoporre Pantani alla misurazione
dell’eritropoietina, salvo cadere poi in contraddizione su quando e perché prescrisse tale
esame -vedi trascrizioni ud. succitata pag. 40 e 41-.
Alla luce della prova logica sin qui esposta ritiene il giudicante che sia altamente probabile
il fatto che Pantani sia stato clandestinamente sottoposto a somministrazione di
eritropoietina in Ospedale, a causa della intensa anemizzazione che lo affliggeva. Tale fatto
è di indiscutibile gravità e determina l’obbligatoria trasmissione degli atti alla Procura della
Repubblica di Torino per il reato di cui all’art. 445 cp a carico di persona da identificare,
ravvisabile nella condotta di somministrazione di eritropoietina procurata in modo
illegittimo e iniettata al paziente in assenza di specifica prescrizione medica.
Tale farmaco è infatti sottratto per legge al libero circuito di vendita, normativamente
sottoposto all’obbligo di ricetta medica specialistica fatta da un ematologo, un nefrologo o
un pediatra e l’ impiego dello stesso in un nosocomio deve essere obbligatoriamente
annotato in un apposito registro dell’AUSL ospedaliera (vedi sul punto dichiarazioni dott.
Ceci ud. 13/10/2000 pag 187).
Considerato tutto quanto fin qui esposto nella motivazione il delitto contestato in
imputazione deve ritenersi provato nei suoi elementi oggettivo e soggettivo, posto che è
stata raggiunta a parere del giudicante la piena prova del fatto che l’imputato si sia
consapevolmente (e non potrebbe che essere così attesa la maturità sportiva ed umana
dell’atleta e le modalità, esclusivamente per via endovenosa, di assunzione del farmaco, che
quindi non può essere stato ragionevolmente somministrato a Pantani a sua insaputa),
sottoposto a trattamento esogeno con eritropoietina in funzione della propria partecipazione
a competizioni sportive, in particolare alla gara ciclistica Milano-Torino del 18/10/95,
compiendo in tal modo atti fraudolenti a fine di raggiungere, attraverso il miglioramento
della prestazione agonistica così artificialmente determinato, un risultato diverso da quello
conseguente al leale e corretto svolgimento della competizione.
Né può inficiare tale prova il fatto che l’atleta, tramite la missiva prodotta all’ultima
udienza, si sia protestato innocente, atteso che, come per tutti gli imputati, una
affermazione di non colpevolezza proveniente da colui che è sottoposto a un processo
penale non ha valore probatorio se non supportata da riscontri concreti. Né certamente si
possono ritenere tali i numerosi controlli antidoping al quale l’atleta è risultato negativo,
come dallo stesso ricordato nel suo scritto.
Vale la pena di ricordare in proposito le drammatiche dichiarazioni rese al Pubblico
Ministero delle indagini preliminari il 22/12/99 da Voet Willy Lodewijk Elisabeth,
massaggiatore in più squadre di ciclisti professionisti sin dal dal 1972, autore del libro
“Massacro alla catena, tutto il male del doping”, il quale ha sul punto testualmente riferito:
“Il controllo dell’UCI sul sangue viene fatto al mattino prima della gara e di questo
controllo viene dato avviso al direttore sportivo della squadra circa un’ora prima della sua
esecuzione. In questo caso se il corridore, cui sarebbe stato fatto il prelievo di sangue, aveva
un ematocrito troppo alto, allora provvedevamo subito a somministrargli una soluzione
fisiologica, al fine di abbassare rapidamente il livello di ematocrito. La somministrazione
della soluzione fisiologica avveniva per via endovenosa, durava circa 20 minuti ed era
normalmente di un litro ma poteva arrivare anche a due litri se l’ematocrito fosse stato di
circa 55/56 punti” (vedi in atti aff. 47/2, faldone 2).
Né è senza significato, sempre in tema di efficacia dei controlli antidoping, quanto riportato
nel più volte citato provvedimento di archiviazione 23/6/99 del procedimento di indagine n.
84/99 Procura antoidoping del CONI, dove si legge testualmente (vedi in atti aff. 8/8
faldone 1): “Il medesimo medico –Rempi- dichiarava tuttavia di essere a conoscenza del
fatto che Pantani era solito controllarsi da solo il livello dell’ematocrito come altri 4 atleti
della Mercatone Uno per il tramite di una apparecchiatura denominata “centrifuga” e di
prestare affidamento sui risultati di tale controllo”.
Considerato quanto sopra è legittimo dunque nutrire, sull’efficacia di quei “controlli
antidoping previsti dai regolamenti sportivi”, menzionati da Pantani nella succitata missiva
11/12/2000, qualche ragionevole dubbio.
Ad abbundantiam, circa la sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto in esame,
sottolinea il giudicante che la convenzione europea contro il doping, sottoscritta a
Strasburgo il 16/11/89, elenca in allegato tra le sostanze vietate gli ormoni peptidici ed
affini (nella cui categoria è ricompreso anche l’ormone dell’eritropietina) nonché tra i
metodi di doping vietati l’autoemotrasfusione (come chiarito dal prof. Benzi all’udienza
13/10/2000, pag. 137 e ss, tale metodo ha preceduto storicamente quello della
somministrazione esogena di eritropoietina, ed è ugualmente finalizzato, tramite iniezione
nel corpo di atleti di sangue preso da sacche, a far circolare più globuli rossi e in tal modo
ad aumentare la disponibilità di ossigeno per gli elementi muscolari che trasudano energia e
cioè i mitocondri, con consequenziale aumento della erogazione del processo aerobico e
quindi incremento della prestazione di fondo). Tale convenzione, fondamentale per il mondo
dello sport europeo e il cui contenuto è corretto pertanto presupporre fosse conosciuto da
tutti i campioni che, come Pantani, a tale livello gareggiavano, è stata poi ratificata dallo
Stato Italiano con la legge 29/11/95 n. 522.
Certamente comunque era noto all’atleta il regolamento antidoping della Federazione
Ciclistica Italiana del 1995 (acquisito in copia in atti aff. 10/30 e ss faldone 1 e più sopra già
richiamato), che indica nella lista delle categorie di sostanze e metodi doping (vedi allegato
A del predetto regolamento), approvata dal comitato direttivo dell’UCI il 18/8/94, e in
vigore dal 1/11/94, tra i metodi dopanti il doping ematico e tra le sostanze vietate gli ormoni
peptidici. Con il titolo “esempi e specificazioni”, al punto D del predetto allegato, sotto la
voce “ormoni peptidici” ed analoghi, è appunto indicata l’eritropietina (epo).
Per quanto concerne infine la “Disciplina della tutela sanitaria delle attività sportive e della
lotta contro il doping”, più volte già ricordata e non ancora pubblicata, va ricordato che
anche se il predetto testo normativo fosse già entrato in vigore, andrebbe in ogni caso
applicato, ai sensi dell’art. 2/3 cp, il testo normativo le cui disposizioni sono più favorevoli
al reo tra la legge vigente al tempo del commesso reato e quella posteriore, nel caso di
specie quindi certamente la disposizione di cui all’art. 1 L.401/89.
Se la succitata disciplina fosse già stata promulgata al momento della pronuncia del
dispositivo di questa sentenza, il giudicante avrebbe dovuto infatti operare la comparazione
prevista dall’art. 2 cp, giacchè la “Disciplina della tutela sanitaria delle attività sportive e
della lotta contro il doping“ è finalizzata alla protezione di due beni giuridici
precedentemente tutelati da due differenti normative, e precisamente la salute dell’atleta,
oggetto giuridico della L. 1099/71 e la correttezza nello svolgimento di competizioni
agonistiche, oggetto giuridico della L. 401/89, ed ha, a parere di questo giudice, abrogato
in parte (e cioè in relazione ai fenomeni di doping, autogeno e non, finalizzato
all’alterazione del risultato della gara) l’art.1 L.401/89, e ciò ai sensi dell’art. 15 delle
preleggi, regolando la nuova normativa, sul punto, materia già regolata da legge anteriore.
Attesa la statura dell’atleta in oggetto, indiscusso campione del ciclismo professionistico,
nazionale e internazionale, e quindi l’entità dell’offesa arrecata al bene giuridico protetto, e
cioè la correttezza nello svolgimento di competizioni agonistiche, molto maggiore rispetto
alla potenziale offesa arrecabile da atleti dilettanti o comunque, anche nell’ambito del
professionismo, da atleti che non abbiano uno standard di prestazione e notorietà quale
quello vantato da Marco Pantani, si stima equo irrogare all’imputato, previa concessione, in
considerazione dell’incensuratezza dello stesso, delle attenuanti generiche, una pena non
attestata sui minimi di legge, pari a mesi tre di reclusione e £.1.200.000 di multa (pena base
mesi quattro e £.1.500.000, diminuita come sopra per le attenuanti generiche).
Vista l’assenza di precedenti penali dell’imputato è possibile formulare una prognosi
favorevole di non recidiva e concedere a Marco Pantani i doppi benefici .
La condanna alle spese segue come per legge.
Vanno altresì comminate all’imputato ai sensi del disposto dell’ art. 5 L.401/89 le pene
accessorie del divieto di accedere a luoghi ove si svolgono competizioni agonistiche nonchè
dell’interdizione temporanea dagli uffici direttivi delle società sportive, la cui durata si stima
equo contenere, per entrambe le summenzionate pene accessorie, nei limiti di legge , in
ragione dell’incensuratezza dell’imputato .
Atto dovuto è per questo giudice, in seguito alla richiesta formulata dal Pubblico Ministero
in sede di requisitoria, la trasmissione di copia degli atti alla Procura Tribunale per le
valutazioni di competenza in ordine alle dichiarazioni rese in sede di esame dibattimentale
dai testimoni Cartesegna e Palumbo.
P.Q.M.
Visto l’art.533,535 cpp dichiara l’imputato colpevole del reato a lui ascritto e concesse le
attenuanti generiche lo condanna alla pena di tre mesi di reclusione e £.1.200.000 di multa,
oltre al pagamento delle spese processuali .
Visto l’art. 5 L.401/89 commina altresì all’imputato le pene accessorie del divieto di
accedere ai luoghi ove si svolgono competizioni agonistiche nonché dell’interdizione
temporanea dagli uffici direttivi delle società sportive entrambe per la durata di mesi 6.
Commina all’imputato le pene accessorie rispettivamente del divieto di accedere a luoghi
ove si svolgano competizioni agonistiche e dell’interdizione temporanea dagli uffici direttivi
di società sportive entrambe per la durata di mesi sei.
Pena sospesa e non menzione.
Dispone la trasmissione di copia degli atti alla Procura della Repubblica presso il Tribunale
di Torino per i reati rispettivamente di cui agli artt. 476 cp e 445 cp, entrambi a carico di
persone allo stato da identificare.
Dispone la trasmissione di copia degli atti alla Procura Tribunale sede per le valutazioni di
competenza in ordine alle dichiarazioni rese a dibattimento dai testi Cartesegna e Palumbo
come richiesto dal Pubblico Ministero.
Forlì 11/12/00 Il Giudice