Solidarietà, partecipazione e convivenza nella diversità nello spazio europeo.
Títolo del libro: ASISTENCIA SOCIAL, PARTICIPACIÓN Y RECONOCIMIENTO DE LA DIVERSIDAD. Un estudio comparado entre Alemania, España, Francia e Italia, ed. Adoración Castro Jover, ed. Libellula, 2015.
AbstractLa migrazione di massa che coinvolge l’Europa produce un mutamento profondo delle appartenenze religiose in Europa: questo fenomeno avviene mentre il sistema di welfare del modelo sociale europeo attraversa una crisi profonda. Al tempo stesso il processo di costruzione dell’Unione europea si caratterizza per il ricorso al principio di sussidiarietà in modo da assicurare anche ai privati l’accesso al mercato di erogazione dei servizi alla persona. In questa prospettiva le comunità religiose divengono interlocutori privilegiati. Emergono problemi in ordine alla tutela delle esigenze identitarie e confessionali quando ad erogare i servizi sono soggetti che si qualificano come appartenetti a confessioni religiose. Sorgono notevoli difficoltà alla prestazione di servizi alla persona in regime di neutralità con gravi rischi per la coesione sociale. L’A. individua nelle strutture a gestione pubblica un ruolo di garanzia per l’equilibrio del sistema e uno spazio nel quale elaborare i concetti di servizio standard e di neutralità della prestazione.
Parole chiave: migrazione, sussidiarietà. servizio publico, servizio pubblico- privato, prestazioni standard
1. 1. Il mutamento delle appartenenze religiose in Europa. 1. 2. La costruzione di servizi alla persona e il ruolo delle comunità religiose. 1. 3. Le esigenze identitarie e confessionali e la prestazione dei servizi. 1. 4. La neutralità della prestazione come elemento di coesione sociale. 1. 5. Il ruolo di equilibrio di sistema svolto dalle strutture a gestione pubblica.
1.1. Il mutamento delle appartenenze religiose in Europa.
Il territorio europeo è oggi sottoposto a una relativa mutazione della composizione della sua
popolazione dalla quale il continente uscirà certamente diverso. A produrre questo cambiamento
non è solo la naturale evoluzione del costume e la progressiva laicizzazione della società, che
comunque sembra essere in crescita costante1, ma anche la migrazione di intere popolazioni che ha
assunto dimensioni che non hanno eguali in epoche storiche recenti. L’immissione massiccia di
nuove popolazioni nel continente viene percepita e vissuta2 da una parte crescente degli autoctoni
come una invasione che porta allo sradicamento dell’identità, dei valori, delle tradizioni, delle
1 Secondo numerose indagini statistiche, malgrado la cosiddetta rinascita del sacro, il processo di laicizzazione della società europea nel suo complesso sembra in crescita. Contribuiscono a questo fenomeno – ad avviso di chi scrive – la struttura stessa della società consumistica, l’evoluzione della morale sociale dominante che sostiene l’emancipazione della donna e la parità di genere, l’allungamento del tempo di vita che pone il problema della gestione del fine vita e dilata i tempi del matrimonio, incidendo sulla sua durata, il riconoscimento di uno status civile ai rapporti omosessuali, la riduzione delle nascite per l’effetto combinato di ragioni economiche, di una ridotta fertilità, della diversificazione dei valori. G. Cimbalo, Appunti sulla vita, sui valori e sulla morte, “Antipodi”, n. 1, 2004, 41-43 Questo orientamenti sono confermati da numerose rilevazioni statistiche. Significativa in tal senso l’evoluzione dell’istituto matrimoniale: C. Conti, G. Gualtieri Matrimonio all’italiana…o forse no, Neodemos, 24 settembre 2014-2 Ad esempio in Italia i migranti rappresentano secondo tutte le rilevazioni una percentuale non superiore all8% della popolazione totale ma la dimensione percepita è quella del 30% !
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lingue e delle culture storiche del continente3. Uno degli elementi di differenza tra i vecchi e i nuovi
abitanti dei territori europei è la diversità di appartenenza religiosa e ciò pone le premesse di un
possibile scontro valoriale, religioso ed etnico.
Sia nel caso in cui l’emigrazione avviene da est a ovest del continente sia che provenga da
altre aree del mondo, i migranti portano con sé una diversa visione del ruolo che l’appartenenza
religiosa svolge nella società, delle sue implicazioni con la morale sociale, con le abitudini e i
costumi. Diverso è anche nella loro visione il rapporto tra lo Stato e le comunità religiose, il ruolo
pubblico delle religioni, se si guarda alle relazioni tra le diverse componenti organizzate che
caratterizzano i corpi sociali intermedi, le formazioni sociali religiose4. A essere rimesso in
discussione è un assetto che sembrava ormai consolidato e soprattutto la tendenza alla
secolarizzazione della società e dei suoi valori.
Arroccarsi su posizioni meramente difensive, credendo in tal modo di evitare l’insorgere
stesso dei problemi è inutile e perciò conviene attrezzarsi per governare il fenomeno, piuttosto che
limitarsi a cercare di contrastarlo, costruendo muri e rinunciando a una delle conquiste più preziose
dell’Unione: la libertà di circolazione al suo interno.
Notiamo allora che l’ingresso nella parte occidentale dell’Europa di popolazioni della più
diversa provenienza ha aperto il mercato religioso a nuovi culti o va rafforzando la presenza di
alcuni di essi5. Non si tratta certamente di un fenomeno nuovo perché, soprattutto nel secolo appena
3 I dati sulle migrazioni internazionali ci dicono che a muoversi sono circa 60 milioni e dunque la quota di migranti che
impatta sull’Europa è decisamente marginale a livello globale. I numeri tuttavia sono destinati a crescere e il problema viene certamente gonfiato dai mass media, tacendo sul fatto che per l’Europa la migrazione è un fenomeno necessario per affrontare la progressiva decrescita e invecchiamento della sua popolazione. Si calcola infatti che nel corso del secolo il continente avrà bisogno di un incremento esterno di popolazione pari alla metà dei suoi attuali abitanti. P. Episcopio, La migrazione non è un problema europeo, “Neodemos”, 23 luglio 2015.4 La crescita della popolazione islamica in Europa viene al momento senza dubbio esagerata. “L’accesso dei Paesi della ex-Jugoslavia e dell’Albania, attualmente fuori dalla UE (ma ne costituiscono una enclave e appaiono “destinati” ad essere incorporati, prima o poi) aggiungerebbe una popolazione musulmana autoctona considerevole (pari oggi a 7-8 milioni), ma pur modesta relativamente alla consistenza di oltre mezzo miliardo della popolazione dei 27 paesi. Al netto dei futuri accessi, la stima attuale (2010) della popolazione di religione islamica è di circa 19 milioni, pari al 3,8 per cento della popolazione totale. “Solo in Bulgaria – tra i paesi che fanno attualmente parte della U.E, la comunità islamica (circa un milione) ha radici antiche. Sui problemi di integrazione dell’islam bulgaro: K. Petrova Ivanova, La Bulgaria e l’islam. Il pluralismo imperfetto dell’islam bulgaro, Bononia University Press, Bologna, 2015. Negli altri paesi la presenza islamica ha origine, per lo più, nell’immigrazione dell’ultimo mezzo secolo. L’incidenza più alta (a parte la Bulgaria e Cipro, casi particolari) è in Francia (7,5%) seguita da Belgio, Austria e Olanda (5,5-6%); tra il 4 e il 5% si situano Danimarca, Germania, Svezia e Regno Unito; tra il 2 e il 3%, Italia, Spagna, Slovenia, Norvegia e Lussemburgo; negli altri paesi (paesi baltici, dell’Europa orientale, Portogallo e Malta) tale proporzione – meno dell’1% – è trascurabile”. M. Livi Bacci, Il futuro delle popolazioni islamiche in Europa, “Neodemos”, 13 genn. 2015.5 Occorre distinguere e analizzare il diverso impatto che la componente islamica della migrazione ha sulla parte occidentale del continente e su quella orientale. A occidente si crea una nuova presenza i cui caratteri tendono a riprodurre quelli dei paesi d’origine. per cui le comunità si suddividono spesso a seconda delle origini nazionali e del particolare islam del quale esse sono portatrici. Ciò non toglie che alcuni paesi come, ad esempio, il Belgio, nel riconoscere una rappresentanza istituzionale all’islam, stiano operando nella direzione di promuovere un islam belga, con caratteristiche proprie, dettando regole sulla composizione delle rappresentanze della comunità nel momento in cui l’islam vuole utilizzare le risorse dello Stato e stabilire relazioni con esso. Sul punto: G. Cimbalo, Federalizzazione dello Stato e rapporti con le confessioni religiose in Belgio, in Giorgio Feliciani (a cura di), Federalismo e confessioni
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trascorso, la platea dei culti presenti sui territori dell’Europa occidentale si era notevolmente
allargata dopo la fine del colonialismo, per effetto della prima grande ondata migratoria proveniente
dalle ex colonie. La crescita di questo fenomeno è stata sollecitata anche dai bisogni del mercato del
lavoro, a fronte di una popolazione europea falcidiata dalla guerra che ha richiesto e consentito
l’afflusso di forza lavoro (seconda ondata migratoria). Alla differenziazione religiosa e alla
presenza di nuovi culti ha contribuito lo sviluppo delle comunicazioni di massa e quindi la
circolazione delle idee. La vastità e profondità del mutamento ha inciso sul sentire delle popolazioni
autoctone, sul cambiamento nella gerarchia di valori, indotto dal consumismo. Si è così generata
una crisi etico-sociale che ha portato alla ricerca di nuovi approdi, anche in campo religioso. La
laicizzazione della società ha favorito senza dubbio il processo di disaffezione dei cittadini dalla
religione e l’abbandono di tradizioni e appartenenze consolidate, riducendo il ruolo sociale e
pubblico delle confessioni religiose.
Ciò che c’è di diverso nell’attuale fase migratoria è che l’introduzione di componenti sociali
non secolarizzate, provenienti sia dall’est del continente sia dal sud del mondo, ha cambiato il
panorama sociologico delle aggregazioni e dei gruppi etnico religiosi presenti sui territori,
fenomeno che in passato gli Stati hanno cercato di arginare, mettendo a punto modelli
d’integrazione che avrebbero dovuto consentire una migliore gestione dei migranti6. Gli strumenti
utilizzati erano costituiti dall’esistenza di servizi pubblici neutrali e laici, di sistemi scolastici
pubblici inclusivi, che consentivano una trasmissione di valori che dava vita a una compagine
religiose, Le confessioni religiose nella prospettiva di una riforma federale dello Stato (Piacenza, 17-18 novembre 1997), Il Mulino, Bologna, 2000, 167-197.Per quanto riguarda l’est Europa la migrazione di popolazioni mussulmane e il loro insediamento in quei paesi ha il doppio effetto di “importare” in molti casi un islam di tradizione sunnita che non solo deve confrontarsi con la tradizione hanafita, ma è molto più legato a una interpretazione classica del Corano e della sharīa. In tal modo vengono annullati gli effetti di una progressiva integrazione ed europeizzazione dell’islam balcanico, in particolare, avvenute nei secoli attraverso un lungo, travagliato e doloroso processo di integrazione in questi paesi. Vedi ancora: K. Petrova Ivanova, La Bulgaria e l’islam, cit., passim; G. Cimbalo, L’esperienza dell’Islam dell’Est Europa come contributo a una regolamentazione condivisa della libertà religiosa in Italia, in (a cura di Roberta Aluffi Peccoz), Identità religiosa e integrazione dei Musulmani in Italia e in Europa, Giappichelli, Torino, 2011, 71 – 104; Id., Contributo allo studio dell'Islam in Europa, in Aequitas sive Deus, Studi In onore di Rinaldo Bertolino, Giappichelli, Torino, 2011, 557 – 574; ID., Le confraternite islamiche nei Balcani. Un modello di Islam europeo plurale , in “Daimon” 9/2009, pp.225-245. ID., Religione e diritti umani nelle società in transizione dell'Est Europa., in (a cura di V. Possenti ) Diritti umani e libertà religiosa, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli, 2010, pp. 137 – 164.6 Si discute molto dei diversi modelli d’integrazione delle popolazioni migranti: qui ci limitiamo a segnalare quelli principali. Sui diversi modelli di integrazione vedi: A. Facchi, Immigrati, diritti e conflitti: Saggi sul pluralismo normativo, Clueb, Bologna, 1999; Id., I Diritti nell’Europa multiculturale: Pluralismo normativo e immigrazione, Laterza, Roma-Bari, 2001; G. Rossi, Quali modelli di integrazione possibile per una società interculturale? in D. Bramanti (a cura di), Generare luoghi di integrazione. Modelli di buone pratiche in Italia e all'estero, Franco Angeli, Milano, 2011; D. Goodhart, The British Dream: Successes and Failures of Post-War Immigration , Atlantic Books, London, 2014; M. Sorel-Sutter, Immigration-intégration: le langage de vérité, Mille et une nuit, Paris, 2011; M. Tribalat, Assimilation: la fin du modèle français ArTilleurs, Château-Thierry, 2013; D. Costantini (a cura di), Multiculturalismo alla francese? Dalla colonizzazione all’immigrazione, Firenze, University Press, Firenze, 2009; J. Habermas, L’inclusione dell’altro, Feltrinelli, Milano, 1998; L. Zanfrini, Sociologia della convivenza interetnica, Laterza, Milano, 2010; R. T. Riphahn, M. Sander, and C. Wunder. The Welfare Use of Immigrants and Nativesin Germany: The Case of Turkish Immigrants, LASER Discussion, Paper 44, 2010.
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sociale non segmentata a seconda delle appartenenze alle comunità linguistiche, religiose ed etniche
che tendevano a formarsi sul territorio, esercitando una efficace funzione di integrazione.
La crisi dello Stato sociale e quindi il venir meno di strumenti inclusivi e di inserimento
sociale, quella dei sistemi scolastici in molti paesi d’Europa fanno sì che il flusso migratorio
alimenti la tendenza alla creazione sul territorio di strutture di comunità che sono incentivate dalla
legislazione vigente a prendere il posto delle strutture pubbliche. Le ragioni sono da ricercare nella
crisi strutturale dei sistemi di welfare e il ricorso a questo tipo di soluzione risiede nel dato di fatto
che le migrazioni avvengono spesso seguendo le catene familiari e l’insediamento sul territorio
avviene guardando alla comunanza di lingua e di tradizioni, nonché all’appartenenza religiosa. Ma
soprattutto il formarsi della comunità costituisce una reazione di difesa collettiva dei nuclei
minoritari, come risposta alla tendenza delle popolazioni ospitanti a marginalizzare e circoscrivere i
nuovi venuti, erigendo dei muri che li separino dal contesto territoriale Si creano cosi delle enclave
omogenee e all’interno di queste comunità si riproduce la struttura delle società di provenienza, che
tende a diventare sempre più coesa quanto più la comunità si caratterizza e si differenzia dalle altre
con le quali è in competizione rispetto alle società ospitanti. Per funzionare come spazio di
protezione degli interessi di coloro che ne fanno parte, le comunità migranti sviluppano una naturale
tendenza alla conservazione, poiché i valori, la lingua, le abitudini, la struttura sociale, tendono a
restare integri e fissi nel tempo, in quanto ciò fa parte del loro corredo identitario e giustifica e
assicura la sopravvivenza comunitaria. Ciò avviene soprattutto quando il rafforzamento
dell’identità, poggia sull’appartenenza religiosa e viene a contatto con le comunità preesistenti sul
territorio, provocando una reviviscenza dell’appartenenza degli autoctoni al proprio gruppo
religioso, appartenenza utilizzata come elemento identitario, come narrazione alternativa a quella
dei nuovi venuti. Si creano così le condizioni perché si renda necessaria una ripartenza del processo
di laicizzazione. Anche se muovendo da posizioni più arretrate, riparte il contrasto/confronto tra
confessionalismo e laicità.
Combattere le tendenze centrifughe appena descritte è oggi essenziale in quanto esse
contrastano con l’idea stessa di Europa unita, legata a una società caratterizzata dalla solidarietà,
dalla partecipazione e dalla convivenza nella diversità. In questo processo gioca un ruolo essenziale
l’utilizzazione del principio del margine di apprezzamento che può costituire per gli Stati uno
strumento per resistere al prevalere del multiculturalismo e perseguire la conservazione
dell’identità, ma è anche strumento per alimentare diseguaglianze e contrapposizioni, ostacolando i
processi di amalgama della compagine sociale. Da questa contraddizione si esce facendo sì che il
progetto di costruzione dell’Europa unita per realizzarsi possa disporre di un ambito più vasto di
quello delle relazioni con le comunità religiose; le interconnessioni di carattere economico e sociale
4
che rendono i diversi paesi interdipendenti, in uno spazio economico di dimensioni competitive a
livello mondiale hanno una rilevanza e un peso ben maggiore !
Costituiscono perciò un necessario punto di riferimento il Trattato sul funzionamento
dell’Unione Europea del 1957 che fissa le basi delle relazioni all’interno dell’Unione, individuando
nei comuni interessi economici degli Stati contraenti le ragioni della convivenza e del
coordinamento delle proprie economie e quindi della struttura delle diverse società nazionali7.
Questi obiettivi sono stati sviluppati dal Trattato di Maastricht (1992)8, che ha preceduto la
sottoscrizione della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea firmata il 7 dicembre 2000 a
Lisbona, che lo sostituisce a decorrere dall'entrata in vigore del Trattato, inglobandone e
sviluppandone le linee guida9.
Particolare attenzione viene dedicata nella Carta di Lisbona agli strumenti istituzionali
attraverso i quali costruire una nuova entità economica, politica e sociale, ponendo al centro gli
interventi per promuovere la solidarietà sociale attraverso la partecipazione e coinvolgendo le
popolazioni nello sviluppo di strutture territoriali e di servizi alla persona, con il concorso del
privato sociale, coinvolto grazie all’applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale10. È in
questa prospettiva che gli accordi citati si intersecano in particolare con la Carta europea delle
autonomie locali del 1988 e i suoi sviluppi11 che ha individuato nel governo locale dei territori lo
strumento operativo attraverso il quale procedere alla omogeneizzazione delle diverse presenze nel
7 Per Trattato di Roma si intende il primo di questi documenti, il cui nome è stato successivamente cambiato in Trattato che istituisce la Comunità europea (TCE) all'entrata in vigore del Trattato di Lisbona. 8 Il Trattato di Maastricht introduce negli ordinamenti degli Stati europei il principio si sussidiarietà (art. 3 B, oggi art 5 del Trattato CE), riprendendo questo principio dall’Atto unico europeo che nel 1986 aveva modificato il Trattato di Roma del 1957. Sul punto vedi anche il Protocollo sui principi di sussidiarietà e proporzionalità (n.2) allegato al Trattato di Lisbona del 2009 che, rimaneggiando il precedente protocollo allegato al trattato di Amsterdam, ha fortemente rafforzato il principio di sussidiarietà, introducendo numerosi meccanismi di controllo per verificarne la corretta applicazione. Oggi le fonti della normativa europea sono costituite dal Trattato dell’Unione Europea (TUE) e dal Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) di pari valore e dalla Carta dei diritti che benché non inserita in nessuno dei Trattati è esplicitamente richiamata dall’art. 6 del TUE che le conferisce lo stesso valore dei Trattati.Il principio di sussidiarietà è rafforzato da quello di attribuzione che vincola l’Unione ad agire nei limiti delle competenze conferitile dai Trattati e da quello di proporzionalità che le impone di utilizzare i mezzi occorrenti per realizzare gli obiettivi prefissi solo nella misura necessaria. L’introduzione di questo insieme di principi ha portato alla ridistribuzione dei poteri e alla revisione delle competenze nell’organizzazione degli Stati. Per quanto riguarda gli effetti e le tappe di questo processo si veda: G. D’Angelo, Principio di sussidiarietà ed enti confessionali, ESI, Napoli, 2003, 47-53.9 Vedi :M. C. Folliero, Enti religiosi e non profit tra welfare state e welfare community. La transizione, Giappichelli, Torino, 2010, passim. L’A. dopo una attenta ricostruzione del dibattito sulla sussidiarietà e in particolare su quella orizzontale analizza con acutezza e attenzione l’intera problematica ponendo in relazione la crisi del welfare e il ruolo degli enti non profit e for profit con particolare attenzione a quelli di natura ecclesiastica, evidenziando le contraddizioni e limiti dell’attuale legislazione di favore. Attenzione costante viene dedicata alla incompatibilità tra rispetto del principio di laicità e neutralità dei servizi erogati e gestione confessionale delle strutture, elementi che costituiscono il filo rosso che collega il lovoro dell’A.10 E. Menichetti, I Servizi sociali nell’ordinamento comunitario, in Servizi di assistenza e sussidiarietà, Albanese A. e Marzuoli C., (a cura di), Bologna, il Mulino, 2003.11 G. Cimbalo, I poteri locali e il ruolo delle città nella costruzione dell’unità europea, in Adoracion Casto Jover (directora), Diversidad religiosa y gobierno local. Marco jurídico y modelos de intervención en España y en Italia, Aranzadi, Cizur Menor (Navarra), 2013.
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territorio, consentendo la partecipazione paritaria dei nuovi cittadini al processo di crescita della
convivenza e alla creazione di una più generale solidarietà sociale.
In particolare la dichiarazione n° 11, allegata al Trattato di Maastricht, ha previsto la
collaborazione dell’Unione con le confessioni religiose e le associazioni filosofiche non
confessionali, soggetti individuati come possibili partner per interventi di carattere sociale, in
applicazione del principio di sussidiarietà, fatto proprio dall’Unione con l’ articolo 5, paragrafo 3,
del trattato sull'Unione europea (trattato UE) e dal protocollo n. 2 sull'applicazione dei principi di
sussidiarietà e di proporzionalità. Questo schema di relazioni è stato poi ripreso dall’art. 3 e
dall’art. 17 del Trattato di Lisbona e costituisce oggi uno dei punti di riferimento essenziali della
strategia per la costruzione dell’Europa.
Ciò avviene perché l’Unione assume la solidarietà come valore comune, posto che nello
spazio europeo sono presenti popolazioni aventi lingue e tradizioni diverse, usi e costumi differenti,
la cui diversificazione è accentuata oggi dalla presenza di popolazioni migranti della più varia
provenienza, componente questa destinata ad accrescersi. Dalla gradualità con la quale avverrà
l’incorporamento dei nuovi venuti e dalle strategie di integrazione utilizzate, dipenderà la
sopravvivenza delle istituzioni, ma anche la persistenza dei valori fondanti dell’Europa per come
l’abbiamo conosciuta. Da qui l’importanza dell’analisi dei fenomeni in atto e la necessità di partire
da dati reali, il primo dei quali è costituito dal fatto che nello spazio europeo operano numerose
confessioni religiose con le quali occorre trovare le modalità per stabilire una partnership al fine di
sviluppare percorsi di convivenza e di integrazione sociale. Solo la partecipazione può permettere di
creare uno spazio d’incontro e dialogo tra culture, religioni e persone con differenti tradizioni
etniche, culturali e religiose, in modo da consentire un dialogo costruttivo nella diversità.
Per una corretta e coerente costruzione e l'articolazione del sistema, è importante notare che
i diritti dei cittadini passano oggi, non solo per il riconoscimento del diritto di tutti a una serie di
prestazioni e servizi, ma anche per il diritto di differenza, considerando i principi di uguaglianza e
di equità, in modo che venga garantito l'accesso al sistema senza discriminazioni, fatta salva
l'integrazione di molteplici prospettive – quali quella di genere, sessuale, interculturale, della
diversità inter-generazionale, dell’accessibilità universale per tutti e l'attuazione di azioni positive e
di pari opportunità e trattamento. Il perseguimento di questi obiettivi di fondo deve fare i conti con
le diverse strategie applicate nella costruzione dell’Unione Europea.
Vi è chi persegue la costruzione dell’Europa attraverso il mercato, come frutto dei comuni
interessi degli Stati nazionali, ritenendo che ciò spingerebbe ineluttabilmente verso la convergenza
dei sistemi giuridici e sociali e quindi verso l’unità. In questa visione lo strumento monetario -
utilizzando la moneta unica - dovrebbe produrre di per sé l’unità politica. La convergenza
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istituzionale perseguita avverrebbe attraverso i Trattati, gli strumenti giuridici, le azioni comuni,
volte alla costruzione di idonee strutture di governo comunitario grazie al mercato.
Non sfugge anche a un osservatore superficiale che questa strategia incontra oggi molti
ostacoli a fronte della crisi di relazioni in atto tra i paesi aderenti all’Unione, vuoi per l’insufficienza
dello strumento monetario, a fronte della congiuntura economica attuale, vuoi per le differenze di
progetto politico e di carattere strategico che sembrano emergere con sempre più evidenza tra i
diversi Stati, sotto la spinta di una crescente insofferenza delle diverse componenti delle
popolazioni d’Europa, vuoi, infine, per le differenti posizioni in materia di politica migratoria e di
accoglienza dei richiedenti asilo e dei migranti economici. I recenti avvenimenti in Europa, la crisi
del processo unitario, l’insorgere di particolarismi nazionali, la risposta differenziata al problema
migratorio, dimostrano l’insufficienza della sola leva economica a produrre l’aggregazione.
Eppure, problema comune a tutti i paesi europei, è la diminuzione della popolazione attiva, il
progressivo invecchiamento che producono la crisi del welfare e dei sistemi pensionistici, per cui il
mercato del lavoro dell’Unione ha bisogno di nuovi apporti e quindi del contributo strutturale
dell’emigrazione. Il decremento della crescita demografica, che sembra destinato a crescere, almeno
nel breve e medio periodo, ha bisogno di apporti esterni in grado di riequilibrare il rapporto tra
popolazione attiva e quella anziana che può avvenire solo attraverso l’arrivo dei migranti. Perché
questi vengano inseriti in modo armonico nel tessuto sociale occorre fornire a essi la possibilità di
beneficiare dei diritti di cittadinanza e dei servizi sociali che tuttavia vanno garantiti anche a quella
parte della popolazione europea autoctona che nei diversi paesi vive in una situazione di povertà
strutturale, se non si vuole alimentare un conflitto, in parte latente e in alcuni casi già manifestatosi,
tra i vecchi abitanti e i nuovi venuti, alimentando così il razzismo e la xenofobia. Un primo passo è
quello di fornire servizi alla persona diretti a tutti, mettendo in campo delle strategie per superare la
crisi crescente del welfare e dei sistemi pensionistici che non possono reggersi solo sul sostegno
prevalente dei migranti, come avviene in misura sempre maggiore.
Da qui la strategia di uscita dalla crisi del welfare che punta al coinvolgimento nella fornitura
dei servizi alla persona delle strutture di comunità, e tra queste delle comunità religiose,
tendenzialmente portate, non solo per lo svolgimento di attività caritatevoli, ma anche con obiettivi
proselitistici a organizzare interventi e attività di carattere sociale. Una scelta che rende però più
difficile assicurare la neutralità dei servizi erogati, in un quadro di garanzia della libertà religiosa e
di coscienza, libera dai condizionamenti derivati dall’appartenenza a una confessione e dettata dal
bisogno di supplire a un welfare pubblico sempre più inesistente. Una scelta che ha come effetto
quello di rilanciare il ruolo pubblico delle confessioni religiose, ridurre i livelli di laicizzazione,
strutturare la società per appartenenze religiose, rischiando di produrre una rinascita del sacro
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drogata dal bisogno di servizi e solidarietà.
2. La costruzione di servizi alla persona e il ruolo delle comunità religiose.
Il coinvolgimento delle comunità religiose nell’erogazione di servizi alla persona si
colloca dunque all’interno di una diversa strategia volta all’unificazione tendenziale e
all’omogeneizzazione del tessuto sociale della UE. Questo obiettivo va perseguito sul territorio
attraverso la creazione di una struttura di servizi alla persona che avvicini le popolazioni residenti e
non solo i cittadini, nelle loro diverse componenti sociali, e le coinvolga in un progetto di
convivenza comune, caratterizzato dal pluralismo, dalla multiculturalità, dall’accettazione delle
tradizioni reciproche, delle diversità etniche e linguistiche e, non da ultimo, di quelle religiose.
Operare in questa direzione significa superare il limite costituito dal possesso della cittadinanza12, in
una fase delicata di trasformazione della struttura istituzionale nella quale è necessario affievolire i
poteri degli Stati nazionali per fare emergere quello dell’Unione. Il bisogno di consenso di cui
questa trasformazione necessita potrebbe essere recuperato offrendo alle popolazioni un comune e
uniforme sistema di fruizione dei diritti, in modo da rispondere agli interessi generali della società.
È anche per questo motivo che gli Stati, preoccupati delle trasformazioni in atto, riscoprono oggi gli
interessi particolari e la dimensione nazionale, credendo in tal modo di governare il cambiamento,
resistendo ai processi di internazionalizzazione e globalizzazione13.
12 In Francia, la disciplina della cittadinanza è contenuta nel Codice civile. Sull’acquisizione della cittadinanza da parte del figlio di stranieri si vedano gli artt. 19-3 e 21-7. quest’ultimo modificato dalla legge di riforma del 16 marzo 1998, n. 98-170, In Germania, la legge sulla cittadinanza (Staatsangehörigkeitsgesetz – StAG) del 22 luglio 1913, è stata modificata dalla legge di riforma del diritto sulla cittadinanza (Gesetz zur Reform des Staatsangehörigkeitsrecht) del 15 luglio 1999, entrata in vigore il 1 gennaio 2000 e la recente grande migrazione ha riacceso il dibattito. Su Francia e in Germania, v. l’approfondito studio di R. Brubaker, Cittadinanza e nazionalità in Francia e in Germania, trad. it., Il Mulino, Bologna 1997; V. Placidi, Sviluppi nella disciplina tedesca in materia di cittadinanza, in Quad. Cost., 2003, p. 91-112.Nella legislazione del Regno Unito, la disciplina della cittadinanza è dettata dal British Nationality Act del 1981, più volte riformato nel corso degli anni, mentre in Spagna, la materia è disciplinata dal Codice civile (artt. 17-28), modificati con la legge n. 36 del 2002. In Italia la materia è regolata dalla legge n. 91 del 1992 oggetto di ben 12 proposte di riforma per lo più tendenti ad introdurre lo ius soli. Sul punto: V. Lippolis, Il significato della cittadinanza e le prospettive di riforma della legge n. 91 del 1992, in Rass. Parl., 2010, p. 151-164; Cittadinanza e diritti politici, in Archivio Giuridico, 2003, p. 363-380, in part. 372-377. Su questa complessa materia v. E. Castorina, Introduzione allo studio della cittadinanza, Giuffré, Milano 1997, in part. 200-206; C. Corsi, Diritti fondamentali e cittadinanza, in Dir. Pubb., 2000, p. 793-816, in part. 805 ss.13 La crisi grande migrazione attraverso i Balcani ha coinvolto i paesi di quell’area e quelli dell’Europa centrale costringendoli ad affrontare il problema costituito dall’imposizione di quote di accoglienza dei migranti sollevando non poche resistenze sia tra i governi che tra le popolazioni. Ciò è avvenuto non solo a causa delle difficoltà attraversate dalle economie di questi paesi, i quali come altri del continente vedono ridursi la propria popolazione e quindi avrebbero in molti casi un bisogno strutturale di migranti. Il vero problema p costituito dalla fragilità del sistema sociale di questi paesi che hanno attraversato una fase di scontri etnico-religiosi che in molti di essi hanno portato alla guerra e alla pulizia etnica. Pertanto vedersi riproporre per il tramite dei migranti che si insediano nei loro territori problemi che pensavano di aver superato significa dover accettare una regressione verso quella integrazione alla pari con il resto d’Europa. Bisogna prendere atto che molta parte dell’Est del continente è impreparata nel dover accettare una
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Tuttavia l’universalità della prestazione appare l’unica soluzione attraverso la quale è
possibile unificare gli interessi delle popolazioni. Procedere all’estensione dei diritti, malgrado la
crisi economica contingente, è la sola strada ragionevole per far ripartire la crescita economica e
creare un nuovo equilibrio tra i cittadini e la popolazione attiva e residente, trovando in tal modo le
risorse necessarie a sostenere lo sviluppo economico e sociale. Assicurare la sopravvivenza del
welfare significa mantenere in vita il carattere identitario della forma di Stato, di società e di
governo che ha guidato il processo di unificazione europea e proseguire nel processo di
allargamento e di consolidamento dell’Unione.
In quest’ottica i criteri per fruire della prestazione di servizi non possono essere subordinati
dall’esistenza di un rapporto di lavoro legalmente contrattualizzato, oppure alla circostanza di
essere destinatari di interventi di carattere assicurativo privato a seguito di polizze stipulate,
possibilità d’altra parte concesse esclusivamente alle persone che risiedono legalmente nel territorio
dello Stato. Esistono un insieme di diritti essenziali, un nucleo essenziale di essi, che vanno
garantiti a tutti coloro che sono presenti sul territorio degli Stati, a cominciare dalla fruizione dei
beni comuni per passare poi al diritto alla salute e a quello all’istruzione, a quelli di status. Dalla
fruizione di questi diritti non possono essere escluse le fasce povere di popolazione residente: ne
nascerebbe una contrapposizione tra autoctoni e nuovi venuti con effetti devastanti sulla coesione
sociale.
Il riconoscimento di questi diritti è connesso allo status di rifugiato e di migrante, come del
resto avviene quando, sotto la spinta di esigenze emergenziali, si consente l’accoglienza. Oggi,
invece, l’accesso ai servizi è comunque precluso a quella parte di popolazione presente illegalmente
sul territorio o comunque non titolare di rapporti di lavoro e/o assicurativi: è il caso di molta parte
della popolazione migrante e di quella nomade, alla quale va ad aggiungersi una quota crescente di
cittadini a causa del numero sempre maggiore di essi che vivono al di sotto della soglia di povertà.
Il progetto di unità dell’Europa, per poter progredire ha bisogno di giustizia, sociale di uguaglianza
di solidarietà, di diritti uguali per tutti,
Alle carenze appena segnalate si tenta di supplire con un intervento di tipo emergenziale che
fa ricorso all’attività di volontariato, inteso come uno degli strumenti principali di erogazione
dell’assistenza, che assume le forme dell’intervento caritatevole, attività nella quale è rilevante la
presenza di comunità religiose Tuttavia, un tal modo di procedere, benché dettato a volte dalla
necessità e da situazioni contingenti ed emergenziali, non offre una soluzione razionale del
problema, costituito dall’eguale accesso al godimento dei diritti essenziali. È dunque necessaria
un’azione in campo sociale che assuma come obiettivo l’erogazione di servizi sociali di base a tutti,
trasformazione della società in senso multi etnico e multi religioso. Vedi: K. Petrova Ivanova, La Bulgaria e l’islam.cit., passim
9
cittadini e non, per potere produrre il benessere sociale delle popolazioni.
D’altra parte le attività di volontariato attingono risorse solo in parte dall’intervento
caritatevole dei privati e sempre più spesso, per poter erogare i loro servizi, dipendono da risorse
provenienti della fiscalità generale. Agli enti che svolgono tali attività gli Stati riconoscono con
apposite leggi il diritto di perseguire un utile di impresa, sia pur ponderato, poiché il mercato dei
servizi alla persona è divenuto un’attività economica al pari di quelle che riguardano le attività del
settore primario e di quello della trasformazione e terziario; e tuttavia a tali attività gli Stati
concedono un trattamento fiscale favorevole e l’esenzione dal pagamento di alcune imposte, quando
esse dichiarano di operare perseguendo fini sociali e di solidarietà14. La fornitura diretta di servizi
da parte degli Stati attraverso la propria amministrazione e quindi a loro diretta gestione si restringe
progressivamente, Si crea così un mercato parallelo di erogazione di servizi che opera in condizioni
di maggior favore rispetto al privato imprenditore che svolge le medesime attività, dando vita a una
palese penalizzazione del secondo tipo di operatori.
Da questa situazione scaturisce la necessità di approfondire le dinamiche dell’assistenza
erogata secondo quest’ultima ipotesi e in particolare le modalità con le quali vengono gestiti i
servizi alla persona e viene garantita l’erogazione dei servizi di carattere sociale, suscettibili di
produrre integrazione sul territorio quando ciò avviene a cura delle confessioni religiose, nonché di
verificare quale può essere il ruolo delle formazioni sociali, in particolare di quelle religiose, o
dichiaratamente non confessionali, in questo processo.
Quella che è entrata ovunque in crisi è la gestione in regime di monopolio amministrativo
dei servizi alla persona e tuttavia occorre verificare se nella legislazione dei vari Stati ciò risponde a
realtà e a quali forme di contratto l’amministrazione ricorre per affidare all’esterno la gestione di
questi servizi. Bisogna tenere conto che sia le Costituzioni nazionali sia quella europea, assegnano
ruoli molto ampi d’intervento alle formazioni sociali intermedie nella gestione della società e nella
costruzione degli strumenti che consentono la convivenza, in un quadro di pluralismo culturale,
religioso e sociale, rafforzano in tal modo la funzione delle comunità e specialmente di quelle
religiose. Inoltre. la legislazione comunitaria individua un nucleo di servizi essenziali che devono
essere assicurati dallo Stato, o direttamente oppure attraverso contratti pubblici monitorati,
adottando comunque regole di trasparenza nella gestione del servizio e nella sua erogazione,
individuando – come vedremo - una qualità standard della prestazione.
Di fronte a questo problema alcuni Stati di recente ingresso in Europa, (ad es. la Romania),
sollecitati dalla necessità di applicare il principio di sussidiarietà, sono giunti al punto di
autolimitare la propria sovranità in materia di interventi sui servizi di inclusione sociale, stipulando
14 T. Melotti, Per una sintesi tra iniziativa privata e utilità sociale nel contesto dell’integrazione comunitaria, in Unione Europea e limiti sociali del mercato, S. Prisco (a cura di), Torino, Giappichelli, 2002
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specifici accordi di preventiva consultazione con le confessioni religiose maggiormente
rappresentative, in quanto corpi intermedi interessati alla fornitura di servizi la cui erogazione
sembra presentare implicazioni di carattere religioso e rispondere ai fini istituzionali delle Chiese e
perseguire l’obiettivo della coesione sociale15.
A riguardo un riferimento importante è costituito dall’analisi dei cosiddetti criteri di
Copenaghen del 1993, migliorati in occasione del Consiglio europeo di Madrid nel 1995,16 in base
ai quali ogni nuovo Stato che aderisce all’Unione deve ottemperare a tre criteri distinti:
a) sul piano politico esso deve disporre di istituzioni stabili che garantiscano la democrazia,
lo Stato di diritto, i diritti dell'uomo, il rispetto delle minoranze e la loro tutela;
b) sotto il profilo economico deve dotarsi di un'economia di mercato affidabile e della
capacità di far fronte alle forze del mercato e alla pressione concorrenziale all'interno dell'Unione;
c) deve possedere l'attitudine necessaria per accettare gli obblighi derivanti dall'adesione e
poter perseguire, gli obiettivi dell'unione politica, economica e monetaria.
Questi impegni sollecitano tra l’altro una tendenziale omogeneizzazione degli ordinamenti
verso la costruzione di un sistema di intervento pubblico-privato nella fornitura di servizi alla
persona.
Occorre tuttavia domandarsi come i diversi modelli d’intervento tengano conto da un lato
del principio di sussidiarietà e dall’altro della necessità di garantire la neutralità della prestazione
erogata, caratteristiche queste che sembrano essere fatte proprie dall’ordinamento comunitario là
dove esso vuole assicurare a ognuno la libertà di orientamento religioso e culturale.
C’è da ricordare che le Costituzioni nazionali degli Stati d’Europa, sia pure in misura e con
modalità diversificate assicurano tutte la libertà religiosa e di coscienza, l’uguaglianza almeno
tendenziale, la solidarietà sociale, valori ribaditi da numerose Carte dei diritti, prime tra tutte la
15 Si vedano a riguardo gli accordi che prevedono la preventiva concertazione con lo Stato relativamente all’emanazione di norme di inclusione sociale in Romania. Cfr.: Protocol de Cooperare, în domeniul incluziunii sociale între Guvernul României şi Patriarhia Română, http://licodu.cois.it/?p=1355; Protocol de cooperare. în domeniul incluziunii sociale, În vederea reglementării acţiunilor de cooperare dintre Guvernul României şi Conferinţa Episcopilor din România – CER. http://licodu.cois.it/?p=1357. Per un commento approfondito e un inquadramento nella strategia europea di applicazione diffusa del principio di sussidiarietà come metodo operativo, e dei principi di attribuzione e proporzionalità: F. Botti, Le confessioni religiose e il principio di sussidiarietà nell’Unione europea: un nuovo giurisdizionalismo attraverso il mercato, in “Stato, chiese e plur. conf.”, [Riv. Tel.], gen. 2011.16 I criteri vennero definiti per regolamentare l'allargamento dell'Unione Europea verso i paesi dell'Europa dell'Est, già appartenenti all'ex blocco socialista. L’adesione all'Unione è prevista dall'articolo 49 (ex articolo O) del Trattato sull'Unione europea. Per avviare i negoziati, il Consiglio si pronuncia all'unanimità, previa consultazione e previo parere conforme del Parlamento europeo. Le condizioni per l'ammissione, gli eventuali periodi transitori e gli adeguamenti dei Trattati sui quali è fondata l'Unione formano l'oggetto di un accordo tra gli Stati membri e lo Stato candidato. Per entrare in vigore, l'accordo necessita della ratifica di tutti gli Stati contraenti secondo le rispettive norme costituzionali.Il Consiglio europeo, di Madrid del 15 e 16 dicembre 1995, ha adottato decisioni sull'occupazione, la moneta unica, la Conferenza intergovernativa e l'allargamento verso l'Europa centrale e orientale e verso il Mediterraneo. In particolare la creazione della moneta unica è diventato l’asse portante della strategia di unificazione, rafforzamento e integrazione
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Convenzione internazionale dei diritti dell’uomo e pertanto non basta che i servizi vengano erogati
dando a tutte le comunità religiose, in quanto operatori privati, la possibilità di fornirli alla propria
comunità di riferimento, in imperfetto regime di concorrenza. Occorre anche che le prestazioni
raggiungano quella parte della popolazione che non ha e non vuole avere alcuna afferenza religiosa
o di comunità, tanto più che le risorse provengono dalla fiscalità generale. Ne consegue che anche
quando si ricorre al privato gestore di un servizio alla persona vi sia sempre e comunque un servizio
alternativo a quello confessionale, che – a nostro avviso - non può essere che a gestione pubblica
Inoltre se la costruzione del processo di unificazione parte dal basso verso l’alto, ovvero
presuppone la necessità di creare un tessuto sociale coeso nei territori; non si possono limitare le
tutele ai soli cittadini, ma occorre estenderle alle popolazioni residenti, al fine di evitare la
frammentazione territoriale e la creazione di enclave sul territorio. È quanto viene suggerito dalle
evoluzione della Carta delle autonomie, come abbiamo avuto modo di evidenziare in una
precedente ricerca17.
Proprio in relazione a questo problema acquistano importanza le società intermedie e tra
queste le comunità a base etnica o religiosa, in quanto possono fungere da tramite per dar vita a
strutture disseminate sul territorio e collegate ai gruppi etnico religiosi, nonché alle categorie sociali
destinatarie delle prestazioni e a sviluppare posizioni dialoganti, inglobando la diversità attraverso
politiche di inclusione sociale che riguardino sia la popolazione autoctona sia quella residente e
priva di cittadinanza.
Lo strumento giuridico attraverso il quale queste strutture sociali possono operare nei diversi
ordinamenti europei è costituito dall’introduzione sia a livello comunitario sia dei singoli Stati del
principio di sussidiarietà orizzontale che consente una governance nella quale le competenze
pubbliche sono ripartite tra soggetti pubblici e istanze private e da queste promosse e gestite.18
17 A. Castro Jover, La tutela de la diversidad religiosa en el ámbito local entre reglas jurídicas y buenas práticas. El contexto español. in Diversidad religiosa y gobierno local. Marco jurídico y modelos de intervención en España y en Italia, Adoracion Casto Jover (directora), Aranzadi, Cizur Menor (Navarra), 2013, pp 53-86.18 Nella Costituzione italiana del 1948 la sussidiarietà non risulta espressamente indicata. Non furono infatti accolti gli ordini del giorno presentati da Dossetti e Moro affinché essa fosse esplicitamente menzionata. Tuttavia la formulazione dell’art. 2 fa riferimento al ruolo delle formazioni sociali il cui ruolo e importanza costituisce uno dei punti di riferimento dell’architettura costituzionale. V.; Cerulli Irelli e M. Cammelli, Il principio di sussidiarietà orizzontale nei lavori dell’Assemblea Costituente, www,Astid on-line.it; T. E. Frosini Voce Sussidiarietà (diritto costituzionale). in E Enciclopedia del diritto. Annali, Vol. 2, Giuffrè, Milano 2008, pp. 1133 ss.La sussidiarietà orizzontale è stata introdotta nella legislazione italiana dall’art. 4 c. 3 della L. n. 59/1997 (Legge Bassanini) che ha introdotto la riforma della Costituzione ”a testo invariato”. Lo stravolgimento della Carta costituzionale è stato riconfermato dal Testo unico sugli enti locali (18 ag. 2000, n.267, art. 3 c. 5). Solo nel 2001 l’anomalia veniva sanata con la riforma costituzionale del Titolo V della Carta e il principio di sussidiarietà riceveva definitivo impulso trasformando il quadro istituzionale consentendo attraverso la sussidiarietà orizzontale la partecipazione di interessi settoriali e privati alla determinazione e gestione delle politiche pubbliche. M. Cammelli, Principio di sussidiarietà e sistema amministrativo nel nuovo quadro costituzionale, in G. Berti e G. C. De Martin, (a cura di), Il sistema amministrativo dopo la riforma del Titolo V della Costituzione , Atti del Convegno, Roma, 31 gennaio 2002, Luiss Edizioni, Roma, 2002, 45 ss., spec. 82-83; A. Vitale, Diritto pubblico, Giuffrè, Milano 2004, Epe-597; A. Albanese, C. Marzuoli (a cura di), Servizi di assistenza e sussidiarietà, il Mulino, Bologna 2003, 11 ss.
12
Prende forma così un sistema duale in cui pubblico e privato si integrano ai fini di una
erogazione diffusa del servizio non sempre equilibrata, in quanto sovente l’operatore privato opera
là dove migliori e più remunerative in termini di costi e ricavi sono le prestazioni erogate, mentre
spetta al pubblico farsi carico di assicurare la generalità del servizio, anche in quelle aree
periferiche, disagiate o critiche dove i costi sono maggiori. Un tal modo di procedere crea una
disarmonia nelle strategie operative dell’erogazione del servizio in quanto l’ente gestore non può
compensare con i ricavi eventuali delle prestazioni nelle condizioni più favorevoli quelle erogazioni
di servizi forniti in condizioni di criticità. Si tratta insomma di un sistema che consente la
privatizzazione dei profitti e la pubblicizzazione delle perdite19.
È quanto si verifica nei casi in cui nella prestazione di servizi vengono coinvolti
imprenditori che svolgono la loro attività di intrapresa nei settori di erogazione di servizi sociali,
che utilizzano la struttura giuridica della cooperativa sociale o quella di ASP, quando non assumono
addirittura la forma di ONLUS o di enti ecclesiastici o confessionali e agiscono come gestori di
risorse erogate dagli enti pubblici territoriali o dallo Stato, in esecuzione di contratti per la fornitura
di servizi alla persona, di fatto ricavando un profitto di impresa dalla loro attività.
Ebbene, uno degli elementi fondanti della Unione Europea è quello di garantire e tutelare la
concorrenza e tale compito si estende a tutti quei soggetti che operano nel campo dell’erogazione
dei servizi, posto che la scelta economica operata dalle istituzioni politiche è stata quella di aprire il
settore della prestazione di servizi al profitto, considerando gli enti preposti a svolgere queste
attività alla stregua di una qualunque impresa. Perciò occorrerà verificare come la messa in rete
delle attività svolte da soggetti non istituzionali, e in particolare dalle confessioni religiose, impatta
con le attività analoghe svolte da privati (imprese di servizi e il cosiddetto privato sociale), in modo
da assicurare il rispetto della concorrenza, evitando che alcuni settori vedano un intervento
fortemente sostenuto dagli aiuti statali Unione Europea con conseguente violazione dei principi
della concorrenza. Questo a meno di non considerare come sottratti o sottraibili all’iniziativa dei
privati imprenditori alcuni di questi settori, in ragione della presenza di interessi sociali prevalenti
da tutelare.
Si dirà che l’esigenza di garantire la neutralità dei servizi erogati potrebbe essere raggiunta
attraverso l’individuazione di standard di qualità, ai quali gli enti gestori di tali servizi dovrebbero
rispondere, anche in ordine al rispetto dei diritti fondamentali di libertà di coscienza e di identità
culturale. In particolare l’esigenza del rispetto di standard qualitativi in ordine alla professionalità, 19 Una gestione economicamente corretta dei servizi pubblici presuppone che l’ente erogatore si faccia carico della erogazione dei servizi a tutti gli utenti, provvedendo attraverso un’accorta politica tariffaria a distribuire i costi tra quelle situazioni che richiedono una spesa minore e quelli invece che necessitano un maggior impiego di risorse. E’ ad esempio il caso dell’erogazione di acqua o gas ad un condominio rispetto a singole utenze localizzate in zone disagiate o periferiche. Ebbene, la dove il privato erogatore di servizi si assume esclusivamente la gestione di quelli più redditizi sono maggiori i costi che ricadono sulla fiscalità generale e sulle prestazioni fornite direttamente dalla P: A.
13
anche tecnica della prestazione (si pensi ad esempio al campo sanitario), potrebbe indurre la
formazione sociale, quale ente gestore, ad affidare in pratica il servizio a operatori professionali,
superando in tal modo nel concreto astratte differenze e diffidenze ideologiche e conferendo alla
prestazione una dimensione standard.
Tuttavia, fino a che punto l’esigenza del rispetto di standard incide sulla libertà e identità
della confessione religiosa, quale possibile erogatrice del servizio, snaturandone i valori in quanto è
possibile l’insorgere di un conflitto tra la prestazione richiesta dall’utente e i principi basici e gli
elementi valoriali della confessione quale ente gestore? È il caso dell’aborto praticato o non
praticato in una struttura sanitaria gestita da religiosi, ma consentito dalla legge dello Stato; delle
trasfusioni da eseguire in una struttura sanitaria gestita da Testimoni di Geova, certamente lecite in
un nosocomio pubblico; del ricorso all’eutanasia in una struttura gestita da una confessione
religiosa e praticata invece nelle strutture sanitarie di quei paesi che hanno legiferato sulle pratiche
eutanasiche.
A fronte di queste situazioni è inevitabile chiedersi fino a che punto viene meno la libertà
dell’utente del servizio, posto che comunque le strutture delle quali si parla verrebbero finanziate
dalla fiscalità generale e andrebbero comunque a far parte di un servizio integrato di prestazioni alla
persona con la pretesa di supplire ad una struttura pubblica inesistente. Oppure fino a che punto è
lecito imporre l’erogazione di una prestazione a una struttura religiosamente orientata in palese
contrasto con i valori religiosi che la ispirano. Da qui il bisogno di riflettere sull’opportunità di
assicurare comunque la presenza di enti erogatori di servizi a diretta gestione pubblica. In questo
senso il dibattito sull’elaborazione della nozione di servizi standard che affronteremo è nodale per
rispondere alle domande poste ed è e sarà oggetto dell’attività empirica della ricerca.
Ben consapevole dell’esistenza di questi problemi la UE aveva individuato come prioritari
nell’agenda sociale europea del 2001 gli obiettivi appena descritti, che tuttavia sono stati disattesi
con la firma del Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell'unione economica e
monetaria (fiscal compact), approvato il 2 marzo 2012 da 25 dei 28 Stati membri dell'Unione
Europea20 entrato in vigore il 1º gennaio 2013. Esso impegna i paesi sottoscrittori a inserire in
ciascun ordinamento statale, ricorrendo a norme di rango costituzionale, o comunque alla
legislazione nazionale ordinaria, diverse clausole o vincoli tra i quali l’obbligo del perseguimento
del pareggio di bilancio (art. 3, c. 1) che verrà verificato dalla Corte europea di giustizia. Gli Stati
20 Il patto di stabilità non è mai passato al vaglio del Parlamento Europeo, né è stato proposto come direttiva dalla Commissione (deputata dai trattati di Maastricht e di Lisbona a implementare le politiche europee stabilite in sede di Consiglio europeo). https://it.wikipedia.org/wiki/Patto_di_bilancio_europeo - cite_note-1, Il Parlamento europeo con una mozione votata a larga maggioranza, si è espresso contro il "fiscal compact", senza che questo pronunciamento abbia avuto valore cogente. Il Parlamento europeo non gode infatti di iniziativa legislativa, ma può solo limitarsi ad approvare o respingere direttive della Commissione. Il Patto di stabilità non è stato sottoscritto da Regno Unito, Repubblica Ceca e Croazia.
14
firmatari assumono l’obbligo di non superamento della soglia di deficit strutturale superiore allo
0,5% del PIL e superiore all'1% per i paesi con debito pubblico inferiore al 60% del PIL, di
rientrare entro tale soglia nel giro di vent’anni, a un ritmo pari a un ventesimo dell'eccedenza in
ciascuna annualità e l'obbligo per ogni Stato di garantire correzioni automatiche con scadenze
determinate quando non sia in grado di raggiungere altrimenti gli obiettivi di bilancio concordati.
Il Trattato impone inoltre la significativa riduzione del rapporto fra debito pubblico e PIL,
pari ogni anno a un ventesimo della parte eccedente il 60% del PIL e l’impegno a coordinare i piani
di emissione del debito con il Consiglio dell'Unione e con la Commissione europea (art. 6).;
l'obbligo di mantenere il deficit pubblico sempre al di sotto del 3% del PIL, come previsto dal Patto
di stabilità e crescita; in caso contrario scatteranno sanzioni semi-automatiche21.
Con l’inserimento in Costituzione del vincolo di pareggio di bilancio i paesi sottoscrittori
hanno posto una pesante ipoteca sulla possibilità di sviluppare politiche pubbliche e posto le
premesse strutturali per la dissoluzione del welfare in Europa22. Quindi la strategia appena descritta
viene rimessa in discussione e c’è chi punta a una partnership pubblico privato per attuarla, senza
fare chiarezza sul prezzo da pagare alle formazioni sociali religiose e alle comunità per portare
avanti un progetto di inclusione sociale che si fonda pressoché esclusivamente sulle loro forze e che
contiene in sé molti pericoli in quanto prefigura una società segmentata per gruppi di interesse a
carattere religioso.
21 Benché sia stato negoziato da 25 Paesi dell'Unione europea, l'accordo non fa formalmente parte del corpus normativo dell'Unione. Con trio l’inserimento del fiscal compact nella Costituzione degli Stati Uniti si sono espressi alcuni premi Nobel dell’economia affermando che "Inserire nella costituzione il vincolo di pareggio del bilancio rappresenterebbe una scelta politica estremamente improvvida. Aggiungere ulteriori restrizioni, quale un tetto rigido della spesa pubblica, non farebbe che peggiorare le cose" e "avrebbe effetti perversi in caso di recessione. Nei momenti di difficoltà diminuisce infatti il gettito fiscale (per concomitante diminuzione del PIL) e aumentano alcune spese pubbliche tra cui i sussidi di disoccupazione. Questi ammortizzatori sociali fanno dunque aumentare il deficit pubblico, ma limitano la contrazione del reddito disponibile e quindi del potere di acquisto (che influiscono sul consumo o domanda di beni o servizi)". Nell'attuale fase economia "è pericoloso tentare di riportare il bilancio in pareggio troppo rapidamente. I grossi tagli di spesa e/o gli incrementi della pressione fiscale necessari per raggiungere questo scopo, danneggerebbero una ripresa economica già di per sé debole".Nell'appello si afferma che "anche nei periodi di espansione dell'economia, un tetto rigido di spesa potrebbe danneggiare la crescita economica, perché gli incrementi degli investimenti a elevata remunerazione - anche quelli interamente finanziati dall'aumento del gettito - sarebbero ritenuti incostituzionali se non controbilanciati da riduzioni della spesa di pari importo".Infine i sottoscrittori dell’appello dichiarano che l’adozione di "un tetto vincolante di spesa comporterebbe la necessità, in caso di spese di emergenza (per esempio in caso di disastri naturali), di tagliare altri capitoli del bilancio mettendo in pericolo il finanziamento dei programmi non di emergenza". Firmato: Kenneth Arrow, Peter Diamond, William Sharpe, Eric Maskin e Robert Solow, L’appello dei premi Nobel contro il pareggio di bilancio, Keines Blog, 12 marzo 2012. Hanno sottoscritto inoltre questo appello Charles Schultze, Consigliere economico di J.F. Kennedy e Lindon Johnson; Alan Blinder, Direttore del Centro per le ricerche economiche della Princeton University; Laura Tyson, ex Direttrice del National Economic Council. (consultato il 30/9/2015).22 Il premio Nobel Paul Krugman da parte sua ha sostenuto che l’adozione del fiscal compact da parte degli Stati europei segna la fine dello stato sociale per come l’abbiamo conosciuto e crea le premesse di una recessione economica che avrà pesanti conseguenze sulle libertà politiche e sociali del continente. P. Krugman Suicide by economic crisis, “The Times”, 15 apr. 2012
15
Non si tratta di una situazione nuova in Europa. Basti ricordare la struttura sociale dello
Stato olandese nel XVIII° secolo, segmentato e diviso per appartenenze confessionali. In quel caso
la crescita progressiva della secolarizzazione ha impedito e prevenuto un conflitto dissolutore, in
una prima fase aggredendo il potere confessionale, poi costringendo in nome degli interessi comuni
le diverse confessioni religiose a superare le proprie divergenze per cercare un accordo di
cogestione del potere con le componenti laiche della società. Si istaurava così nel paese un sistema
di potere spartitorio appropriativo che attribuiva a ognuna delle componenti una parte di ricchezze e
potere. Il confronto continuo, il passare del tempo, l’evoluzione della società, hanno consentito poi
di rompere questa struttura. Ma è stato necessario che trascorresse un secolo perché la società
olandese si aprisse al superamento delle appartenenze confessionali e non c’era in quel contesto una
differenziata appartenenza etnica alla comunità: le appartenenze si differenziavano solo per motivi
religiosi, il contesto culturale e sociale aveva notevoli elementi comuni e perciò fu possibile
pervenire all’accordo. Mettere a punto in questa situazione una strategia di progressiva
laicizzazione della società attraverso una gestione neutra dei servizi alla persona appare
problematico, ma è necessario anche per impedire il conflitto possibile per l’egemonia tra le diverse
comunità etnico/religiose presenti sul territorio, proprio sul tema molto delicato della gestione dei
servizi alla persona.
Il coinvolgimento così profondo delle comunità religiose nella gestione dei servizi alla
persona può produrre la rinascita drogata del sacro in quanto, l’appartenenza religiosa, le pratiche di
culto, il senso di comunità è sostenuto non solo da scelte spirituali, ma da un ben più sostanziale
interesse a essere destinatario e fruitore di servizi, parte di una rete di protezione che produce
appartenenza di gruppo e che tende a presentarsi sotto forma non solo di presenza organizzata in
campo politico e sociale, ma come portatrice di valori comportamenti e tradizioni. L’effetto è quello
di costituire un società segmentata per zuil e stroming23 riportando indietro l’orologio della storia e
obbligando le componenti laiche della società a ripercorrere il cammino verso la laicizzazione della
società imboccato alla metà del XIX secolo e faticosamente percorso in tutta l’Europa occidentale,
inducendole a battersi per la laicità dello Stato e la neutralità dei servizi pubblici sia relativamente
alla gestione sia al servizio erogato.
1. 3. Esigenze identitarie e confessionali e prestazione dei servizi
23 CIMBALO G., I rapporti finanziari tra Stato e Confessioni religiose nei Paesi Bassi, Milano, Giuffré, 1989; ID., Il consociativismo olandese alla prova della globalizzazione, La libertà di manifestazione del pensiero e la libertà religiosa nelle società multiculturali (a cura di N. Fiorita e D. Loprieno), Firenze University Press Firenze, 2009, 75-90
16
Dicevamo che nella costruzione dell’Unione Europea vengono applicate diverse strategie:
una di queste punta all’unificazione tendenziale e l’omogeneità di trattamento verso le popolazioni
perseguita sul territorio attraverso la creazione di un sistema di servizi standard e le avvicini e le
coinvolga in un progetto di convivenza comune nella fruizione dei diritti alla persona, caratterizzato
dal pluralismo, dalla multiculturalità, dall’accettazione delle tradizioni reciproche, delle diversità
etniche e linguistiche e, non da ultimo, di quelle religiose. Consapevole delle difficoltà di
perseguire questo obiettivo con le sole forze delle strutture pubbliche, l’Unione è intervenuta per
creare le condizioni istituzionali idonee a consentire alle formazioni sociali, e, tra queste, a quelle di
comunità e/o religiose, le migliori condizioni per operare nello spazio europeo.
La strada migliore è sembrata essere quella della dilatazione dell’applicazione del principio
di sussidiarietà orizzontale a tutti i settori concernenti la prestazione di servizi alla persona, il che ha
comportato l’inserimento in quello produttivo di tutti i beni e servizi, ammettendo per la loro
erogazione la possibilità del ricorso a soggetti diversi da quello pubblico e all’iniziativa privata con
carattere imprenditoriale24. Tutto questo avendo ben chiaro che la dimensione orizzontale della
sussidiarietà non cambia la natura e la sostanza di ciò che la sussidiarietà è: cioè un metodo. La
sussidiarietà in versione verticale, serve a graduare le relazioni legislative e funzionali tra i diversi
enti territoriali dello Stato; in versione orizzontale, serve a graduare le relazioni tra gli enti
territoriali, la c.d. società civile e i soggetti privati che si ritiene ne facciano espressamente parte.
Intendiamo riferirci agli enti confessionali e ai diversi soggetti non profit dotati di statuti giuridici
tra i più diversi e che godono in modo unitario, e talvolta cumulativo, della fiscalità di vantaggio
collegata alla disciplina degli enti non commerciali e delle Onlus e che si vedono così assicurate e
riconosciute particolari garanzie: il privato-religioso e al privato sociale. Questa scelta di politica
sociale ha fatto si che si sia attenuata la linea di frattura tra l'associazionismo non profit
(volontariato, cooperative sociali, enti religiosi, onlus), contraddistinto dalla gratuità dell'impegno
e dal solidarismo del fine e l'associazionismo c.d. far profit che intende tradurre in logiche di
profitto e di mercato l'imprenditorialità sociale.25
Costretto per ragioni di bilancio a smantellare gradualmente la struttura di servizi pubblici
gestiti in regime di monopolio amministrativo, faticosamente costruita e ritenendo che tale modalità 24 R. Manfrellotti, Per una sintesi tra iniziativa privata e utilità sociale nel contesto dell’integrazione comunitaria , in Unione Europea e limiti sociali del mercato, a cura Prisco S., Torino, Giappichelli, 2002.25 Nell’ordinamento italiano riguardano l’insieme del non profit la Legge 15 marzo 1997, n. 59, "Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa”, G. U., n. 63 del 17 marzo 1997; D. Lgl, 4 dic. 1997, n. 460, "Riordino della disciplina tributaria degli enti non commerciali e delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale", G. U, n. 1 del 2 genn. 1998 – Suppl. Ord. n. 1; la legge n. 328/2009 di riforma dell'assistenza e dei servizi sociali; la Legge 7 dic. 2000, n. 383, "Disciplina delle associazioni di promozione sociale", G. U., n. 300 del 27 dic, 2000 e prima ancora di queste della Legge 8 nov. 1991, n. 381, "Disciplina delle cooperative sociali", G. U. e dic 1991, n. 283. Tali provvedimenti includono nel loro ambito di efficacia tutti i soggetti di quest'area: dagli enti religiosi, al volontariato, alle cooperative sociale, alle Organizzazioni non governative.
17
di gestione sia più onerosa, lo Stato dismette la propria attività di gestione e incrementa in una
prima fase l’erogazione di servizi mediante contratti di appalto, per passare poi a una vera e propria
delega a queste formazioni sociali intermedie di tali attività, nella convinzione che tali associazioni
si caratterizzino per la loro prossimità alla persona, riconoscendo a esse una centralità assoluta.
Siamo di fronte in realtà a una modalità di procedere finalizzata ad aprire al mercato il settore della
prestazione di servizi alla persona, scelta che non produce alcun reale risparmio, prova ne sia che le
condizioni economiche alle quali gli enti non profit erogano il servizio sono almeno pari ai costi
standard delle analoghe strutture a gestione pubblica.26
Raccogliendo il frutto di una riflessione sviluppatasi soprattutto nella dottrina tedesca degli
anni cinquanta e sessanta27, la sussidiarietà entra dunque a far parte dei Trattati che presiedono al
funzionamento dell’Unione. L’intento è quello di consentire alle formazioni sociali intermedie.
siano esse no profit o for profit di svolgere in via primaria compiti per i quali esse sembrano
possedere gli strumenti più adeguati in base al principio di prossimità, essendo disseminate sul
territorio e direttamente a contatto con le popolazioni28.
Se le attività di queste formazioni sociali sono frutto della libera attività dei consociati è però
altrettanto vero che esse non sono economicamente sostenute dall’apporto economico spontaneo e
diretto degli attori che le fanno vivere, ma pretendono ed esigono il sostegno economico a carico
della fiscalità generale o sotto forma di finanziamento e/o di facilitazione fiscale, chiedendo di
essere esentate dal concorrere alla fiscalità generale in ragione della loro attività che provvede al
soddisfacimento dei bisogni attraverso un percorso particolare, riservato e diretto a specifici gruppi
26 Emblematico il caso della città di Bologna dove il 26 maggio 2013 si è tenuto un referendum consultivo promosso da numerose organizzazioni della società civile e da alcune Chiese protestanti, in occasione del quale il 59 % dei votanti si è espressa contro il finanziamento pubblico alle scuole materne private. Ebbene è emerso che il finanziamento da parte del Comune ai privati veniva calcolato moltiplicando il costo standard per classe per il numero delle classi gestite dai privati, costituiti in larghissima maggioranza da scuole cattoliche. G. Tassinari, Il referendum del 26 maggio, Intervento al Convegno su “I Beni Pubblici nella Costituzione. Attualità e prospettive” organizzato dall’Associazione MarxXXI, Bologna, 15 giugno 2013, pubblicato su “Inchiesta- online”.27 Il dibattito sul principio di sussidiarietà si sviluppò in occasione della discussione e approvazione della legge sulla gioventù (Jugendwohlfahrtsgesetz) del 1953, e fu ripreso dopo l’emanazione della Bundessozialhilfegesetz del 1961. Sul «dilemma tra la sussidiarietà e l’eguaglianza» che caratterizzò in quell’occasione la disputa fra neo-liberali e socialdemocratici. Cfr. C. Millon-Delsol, Lo Stato sussidiario, Casa Editrice CEL, Gorle, 1995, p. 201; O. Höffe, Subsidiarität als Staatsphilosophisches Prinzip, in K.W. Nörr – T. Oppermann (a cura di), Subsidiarität:Idee und Wirklichkeit, J.C.B. Mohr, Tübingen, 1997, p. 52. Sull’incidenza del principio di sussidiarietà sulla legislazione sociale, si vedano i saggi contenuti nel volume Subsidiarität Heute, J. Münder – D. Kreft (a cura di), Münster, 1990. Sul punto in generale e per i rilievi critici vedi: A. Albanese, Il principio di sussidiarietà orizzontale: autonomia sociale e compiti pubblici., “Diritto pubblico”, genn./ apr., 1 /2002, PP. 54-84; P. Häberle, Das Prinzip der Subsidiarität aus der Sicht der vergleichenden Verfassungslehre, in AÖR, 1994, pp. 170 ss.; M.E. Geis, Die öffentliche Förderung sozialer Selbsthilfe, Nomos-Verlags-Gesellschaft, Baden Baden, 1997, pp. 87 ss.; G. Cimbalo, J Alonso Perez, (a cura di), Federalismo regionalismo e principio di sussidiarietà, Giappichelli, Torino, 2005.28 La Commissione ha l’obbligo di presentare ogni anno al Consiglio e al Parlamento europeo una relazione sull'applicazione del principio di sussidiarietà. Si vediamo a riguardo anche l'art. 9.3 del Progetto di Trattato che istituisce una Costituzione per l'Europa (Salonicco, 20 giugno 2003) e il Protocollo sull'applicazione dei principî di sussidiarietà e di proporzionalità del 1997
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di utenti; sostengono cioè di svolgere un’attività a sgravio di quella che le strutture pubbliche
dovrebbero svolgere29. Ciò giustificherebbe il ricorso alla fiscalità generale.
Ne consegue una parcellizzazione della fornitura di servizi per appartenenza religiosa,
confessionale, etnica che alimenta le differenze di trattamento, con grave danno per il principio di
uguaglianza, e fornisce alle formazioni sociali religiosamente o comunitariamente caratterizzate che
lo promuovo un elemento motivazionale di tipo ideologico-fideistico, al servizio dei valori dei quali
il gruppo che consegue gli effetti della prestazione è depositario e fruitore.
Per contrastare almeno in parte questa tendenza alla parcellizzazione, questa rottura evidente
del principio di uguaglianza, si è affermato che le istituzioni pubbliche devono farsi carico almeno
della tutela dei beni comuni, ovvero di quei beni che sono universali, che appartengono a tutti e non
devono in nessun caso essere oggetto di appropriazione da parte delle autorità e/o degli interessi
privati, quei beni che, a prescindere dal regime proprietario, salvaguardano gli interessi di una
comunità. Si fa riferimento in questo caso all’applicazione della sussidiarietà verticale che collega
le diverse istanze territoriali di gestione unitaria del territorio, e li colloca in ambiti
progressivamente più ampi, a prescindere dalla presenza di specifici gruppi o organizzazioni
settoriali e ideologicamente o culturalmente o etnicamente orientati presenti sul quel territorio.
Esiste insomma una dimensione di comunità che prescinde dalle appartenenze ideologico valoriali e
religiose, la cui ragion d’essere sta nella condivisione dei beni comuni stessi.
Le istituzioni dell'Unione Europea, quali garanti delle libertà fondamentali, della pace, della
diversità culturale e del diritto, devono assicurarne il rispetto e la tutela, in quanto tali beni
appartengono alla collettività. L'acqua, la cultura, l'istruzione e la salute non possono essere trattate
come beni commerciali, ma in quanto patrimonio comune, vanno protetti. L’ambito della protezione
va allargato alla tutela dell’ambiente, al diritto alla casa, alla fornitura d’energia e al diritto alla
comunicazione (internet). In un contesto di crisi e di misure d'austerità, dove il trasferimento di
compiti dal pubblico al privato costituisce la tendenza prevalente, la diretta gestione pubblica dei
beni comuni rappresenta un’opportunità e una necessità.30 Ne consegue che i beni comuni devono
29 La nozione di servizio pubblico svolto a sgravio di costi che lo Stato dovrebbe comunque sostenere caratterizza la
legislazione scolastica dopo l’imposizione dell’obbligo scolastico per i minori e riguarda quelle aree del paese che non sono servite dalla scuola pubblica. I privati che svolgono il servizio con proprie strutture vengono finanziati dallo Stato. Questo concetto è stato fatto proprio dai sostenitori del finanziamento alle scuole private per sostenere l’adozione di buoni scuola per quelle famiglie che utilizzando la scuola privata farebbero risparmiare allo Stato la spesa da sostenere per l’erogazione del servizio scolastico ai propri figli. Tuttavia non di un risparmio si tratta, ma solo dell’abbattimento della possibilità di fare economia di scala attraverso un servizio unico gestito dallo Stato e diretto erga omnes e di una moltiplicazione dei centri di spesa, sussidiando la scuola privata. Vedi: G. Cimbalo, Le regioni alla ricerca di una identità inesistente: la strategia legislativa delle regioni per la gestione differenziata del sistema scolastico , Giappichelli, Torino 2003.30 Per questi motivi è nato nel Parlamento europeo un raggruppamento trasversale ai diversi partiti politici che chiede il riconoscimento della nozione di bene comune da parte del Parlamento Europeo e la sua integrazione nei testi legislativi europei. Molti governi locali e cittadini hanno già intrapreso azioni volte al riconoscimento e alla gestione dei beni
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essere protetti grazie a regole definite da e per tutti coloro che vivono sui territori dell’Europa.
Queste regole devono garantire il godimento dei diritti fondamentali di tutti gli individui, la
partecipazione e l'arricchimento culturale, morale e intellettuale.
Vi sono poi dei servizi che potremmo definire “a implicazione etica” quali scuole asili,
biblioteche e strutture culturali, regime alimentare, case di riposo, servizi ospedalieri e sanitari in
genere. Tali servizi possono essere forniti dall’autorità pubblica come da strutture di comunità e/o
religiose, o mediante strutture imprenditoriali, anche per il tramite di un contratto di appalto con
l’ente pubblico. L’accesso alla fornitura di servizi alla persona da parte di comunità etniche e/o
religiose richiede tuttavia a queste di fornire delle garanzie in ordine alle modalità di erogazione,
sui costi medi del servizio alla loro qualità e alle metodologie adottate in ordine all’accesso al
servizio, tali consentire sempre e comunque la fruizione dei diritti e delle prestazioni previste dalle
leggi e da produrre integrazione sul territorio, per verificare quale può essere il ruolo delle
formazioni sociali, in particolare di quelle religiose e di comunità, nel processo di costruzione e
consolidamento della coesione sociale, in quanto possono fungere da tramite per sviluppare
posizioni dialoganti e inglobare la diversità attraverso politiche d’inclusione31.
Le necessità di sviluppo del processo di integrazione certamente impongono di estendere
l’accesso al godimento dei servizi ai residenti e non solo ai cittadini, proprio al fine di evitare la
frammentazione territoriale e la creazione di enclave sul territorio. Si creerebbero in tal modo le
condizioni per uno status di apartheid di alcune categorie di persone. L’appartenenza a società
intermedie, alle comunità a base etnica o religiosa, non deve poter costituire la base di differenti
trattamenti nell’accesso ai servizi e alle prestazioni32.
Da qui l’importanza di analizzare le esperienze inclusive caratterizzate dal pluralismo
culturale e cultuale, in grado di gestire al meglio la convivenza, in un rapporto di collaborazione con
le diverse formazioni sociali e soprattutto con quelle religiose. Quest’ultimo aspetto è di estrema
comuni. Si veda la Carta Europea dei Beni Comuni, e l’iniziativa Cittadini Europei per l'acqua diritto umano alle quali hanno fatto seguito la rimunicipalizzazione dell'acqua nelle grandi città come Parigi e Napoli e gestione collettiva di molti teatri in Italia.31 E. Balboni, Il principio della coesione economica e sociale nell’ordinamento comunitario e nella recente esperienza dell’Unione, in La difficile costituzione europea, a cura di U. De Siervo, Bologna, il Mulino, 2001; C. Buzzacchi, Le politiche comunitarie e il principio della coesione economica e sociale, in La difficile costituzione europea, a cura di U. De Siervo, Bologna, il Mulino, 2001; L. Campiglio e F. Timpano, La dimensione economica della coesione sociale: lavoro, famiglia e welfare state, in Profili della Costituzione economica europea, a cura di A. Quadrio Curzio, Bologna, il Mulino, 2001.32 Diverso il caso delle strutture a gestione privata e imprenditoriale che perseguono il profitto dove la differenziazione della prestazione costituisce spesso la base e la ragion d’essere della loro esistenza. Non vi è dubbio che la restrizione delle prestazioni conseguente alla riduzione delle risorse pubbliche lascia inevase la domanda di un miglior servizio e soprattutto la richiesta di tempi più rapidi nell’erogazione della prestazione. Questa situazione fa crescere la domanda di intervento dei privati non solo quali erogatori del servizio ma anche la richiesta di far si che le strutture pubbliche facciano proprie metodi organizzativi e modalità privatistiche nell’erogazione del servizio. Si va dunque nella direzione di costruire sistemi integrati pubblico-privato come è avvenuto in Italia con la L. 8 nov. 2000, n. 328, "Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali" G.U. n. 265 del 13 nov. 2000 – Suppl. ord. n. 186.
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importanza se si guarda alle tensioni tra gruppi di persone appartenenti a diverse comunità religiose,
acuite dai tanti fondamentalismi33.
Perciò particolare attenzione dovrà essere dedicata alla configurazione giuridica che le
strutture erogatrici dei servizi assumono nell’ambito dei diritti e delle tradizioni religiose, con
specifica attenzione a quanto previsto dai diversi diritti religiosi.
Non bisogna infatti dimenticare che le strutture caritatevoli e/o di servizi alla persona sono
oggetto di normativa specifica all’interno degli ordinamenti giuridici propri delle diverse
confessioni religiose e il loro funzionamento e i loro scopi sono normati con attenzione al pieno
rispetto dei principi di fede della confessione, ovviamente improntati a obiettivi e valori non sempre
universalmente condivisi, soprattutto quando questi riguardano problematiche relative alla vita, alla
cura della malattia, alla morte, alle relazioni di coniugio o di parentela e agli interessi, anche
materiali, connessi a questi aspetti valoriali.
Ad esempio nelle attività al servizio degli anziani i cattolici utilizzano di solito strutture
inclusive, che essendo di fatto segreganti, come del resto quelle a gestione pubblica, in ragione delle
condizioni di salute del soggetto, tuttavia prevedono lo svolgimento di attività rituali di fatto
obbligatorie da parte di chi ne è ospite e alle quale il soggetto non può sottrarsi.
Nelle comunità islamiche a tali compiti presiede in genere un waqf, la cui attività può essere
finanziata sia dai soci fondatori come dai proventi della zakat, in questo caso volontariamente
versata all’istituzione. Negli Stati non islamici il wafq è sostenuto dai soggetti che lo hanno
costituito ed è alimentato sulla base di un preciso vincolo religioso che obbliga comunque al
pagamento della tassa a fini caritatevoli34. Anche in questo caso lo svolgimento delle pratiche
religiose avviene nelle medesime condizioni delle strutture analoghe a gestione cattolica. Lo stesso
dicasi per le strutture di sostegno erette dalle Comunità ebraiche e da esse gestite, anche se la forma
giuridica assunta è quella prevista dagli ordinamenti civili dei singoli Stati nei quali la Comunità
opera; anche in questo caso l’impronta confessionale si riflette sull’obbligo alle pratiche religiose.35
33 Nelle comunità migranti, soprattutto tra gli appartenenti alle seconde e terze generazioni il timore di perdere i principi valoriali originari genera scelte di tipo fondamentalista nel vivere l’appartenenza religiosa per cui quanto più il riferimento alla società di provenienza si fa incerto e confuso si tende a ricostruire queste immagini attraverso una rielaborazione che punta ai valori fondanti e distintivi della cultura di origine. Queste dinamiche valgono ancor più per l’appartenenza religiosa tanto che l’universo valoriale non è più filtrato attraverso la secolarizzazione indotta dal vissuto di ogni giorni ma è costituita da una astratta e radicale adesione ai principi. Seguendo questo percorso prendono vita i tanti fondamentalismi. Dare la possibilità di vivere la propria fede e i propri valori costringe invece i soggetti a confrontarsi con le concrete necessità della vita e li costringe a secolarizzarsi. 34 Nella gran parte degli Stati a maggioranza islamica la riscossione, l’utilizzazione della zakat è regolata per legge. Sulle modalità di utilizzazione e gestione della zakat vedi: F. Castro, Il modello Islamico, Giappichelli Editore, Torino 2007; A. Rahim, A. Rahman, A comparative study of zakah and modern taxation, J.KAU: Islamic Econ., Vol. 20, No. 1, pp. 25-40; C. Tripp, Zakat and Riba: instruments of the moral economy, Cambridge University Press, Cambridge, 2006; J. A. Clarke, Islam, Charity and Activism, Indiana University Press, Bloomington, 2004; M. El Idrissi, L’elemosina nell’Islam, IV giornata Caritas, Torino 20-21 marzo 1993 R. Russo, I pilastri dell’islam. Islam, Storie e dottrine, Giunti editore, Firenze, 2011.35 L’art. 1 dello Statuto della comunità ebraica italiana indica tra le attività comunitarie quelle di;
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Diversa la tradizione protestante, soprattutto nei paesi del nord Europa, che ricorre ai
béiguinage, strutture che per la loro configurazione organizzativa consentono una maggiore libertà
e autonomia degli ospiti e il cui peso economico ricade sulla confessione, la quale ne fa vanto e
motivo per svolgere un’attività di proselitismo. Di queste strutture esiste anche la versione laica, i
béiguinage solidaire, la cui gestione è di tipo partecipativo e assembleare, coinvolge gli utenti e il
cui finanziamento è a carico degli ospiti.
Queste diversità nelle caratteristiche proprie della forma giuridica assunta dagli enti
erogatori di servizi per conto delle confessioni/comunità religiose e la diversificazione in ordine alle
modalità di finanziamento, devono poter trovare accoglienza e attenzione nell’ordinamento
giuridico, attraverso il riconoscimento a ogni comunità religiosa di un margine di autonomia nella
gestione del servizio che riguarda non solo le modalità di accesso alla prestazione, ma anche e
soprattutto la loro autonomia nella scelta della organizzazione interna, la natura giuridica del
rapporto che lega coloro che prestano all’ente gestore la loro opera nella formazione sociale36,
elemento questo che incide sul rapporto tra strutture confessionali e gli operatori privati che
svolgono analoghe attività finalizzate al conseguimento di un profitto di impresa per
l’imprenditore..
Non è qui in discussione l’elemento, sia pure molto importante, delle condizioni contributive
e salariali degli addetti a tali servizi, ma il rapporto della prestazione con l’aderenza dei singoli
prestatori d’opera al patrimonio valoriale e/o fideistico dell’istituzione, il rapporto tra questi valori e
le caratteristiche della prestazione la dove potrebbero essere violati diritti fondamentali della
persona, a fronte delle modalità con le quali le prestazioni vengono erogate e alla natura delle
prestazioni stesse.
In queste situazioni l’ordinamento non può non rispettare l’orientamento della struttura
erogante il servizio, ma certo può condizionare la concessione di finanziamenti, la creazione di
rapporti convenzionali, la concessione di sgravi fiscali, subordinandoli al rispetto di determinati
parametri che non possono che essere desunti dalla legge dello Stato, la cui applicazione va
garantita ovunque sul territorio. Soprattutto la struttura non può essere inserita in un eventuale
“e) istituire, gestire e organizzare ospedali, ambulatori, campeggi, colonie, mense, orfanotrofi ed ogni altra struttura destinata al soddisfacimento delle esigenze sociali della collettività ebraica; f) esercitare attività assistenziali e previdenziali a favore degli anziani anche mediante l'istituzione e la gestione di case di riposo; g) provvedere all'assistenza e alla beneficenza; h) esercitare la vigilanza sugli enti ebraici civilmente riconosciuti che secondo i rispettivi statuti, hanno carattere locale assumendone l'amministrazione ove ne ricorrano i presupposti;”. Tali strutture sono riservate ai membri della comunità. V.: Statuto dell'ebraismo italiano approvato dal Congresso straordinario dell'Unione delle Comunità Israelitiche Italiane, 6-7-8 dicembre 1987.36 Si veda la direttiva 2000/78/CE. Per un commento: F. ONIDA, Il problema delle organizzazioni di tendenza nella direttiva 2000/78/EC attuativa dell’art. 13 del Trattato sull’Unione Europea, in “Dir. eccl.,” 2001, pp. 905 e ss.; A. VISCOMI, Osservazioni critiche sul lavoro e “tendenza” nelle fonti internazionali e comunitarie , in “Lavoro e diritto”, 4, 2003, p. 584 e ss.; ID., Organizzazioni eticamente fondate e rapporti di lavoro, in “Dir. lav. merc.”, 2, 2009, p. 381 e ss. In generale da ultimo: M. CORTI, Diritto dell’Unione europea e status delle confessioni religiose Profili lavoristici, in “Stato, Chiese e plur. conf.” [Riv. tel.] (www.statoechiese.it), febb. 2011, pp. 1-18.
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sistema pubblico/privato di erogazione del servizio. Nel caso di un contrasto insanabile tra
l’orientamento dell’ente gestore e la richiesta o le modalità di fruizione della prestazione, la sola
soluzione possibile è quella di ricondurre al trattamento proprio degli operatori privati del settore il
regime giuridico della struttura confessionale o comunitaria erogante.
Ciò che l’ordinamento non può fare è discriminare tra le forme giuridiche che le diverse
formazioni sociali deputate alla fornitura di servizi alla persona assumono nell’ordinamento
confessionale e quindi deve riconoscere a tutti la possibilità di optare per una forma organizzativa e
regole disciplinari proprie della confessione: ne va del rispetto del principio di autonomia delle
comunità religiose e del riconoscimento ad esse di un eguale trattamento sotto il profilo giuridico.
1. 4. La nozione di servizio standard e neutralità della prestazione come elemento di
uguaglianza e coesione sociale.
Nell’intento di stabilire i parametri identificativi di tale attività gli Stati dell’U. E. tendono a
individuare regole sui livelli generali di qualità da rispettare nell’erogazione di servizi considerati
essenziali o che comunque incidono in modo rilevante sulla vita degli utenti. Operare in questa
direzione significa superare il limite costituito dal possesso della cittadinanza, in modo da garantire
uno standard delle prestazioni in grado di rispondere agli interessi generali della società.
Per quanto riguarda l’individuazione dei settori nei quali vi è un diritto all’erogazione di
servizi alla persona si può fare riferimento alla Carta i diritti fondamentali riconosciuti a livello
dell'Unione europea37 dalla quale si può desumere quali debbano essere le prestazioni attraverso le
quali la solidarietà sociale rende operativa l’uguaglianza di trattamento e il rispetto della dignità
della persona, elementi costitutivi ed essenziali attraverso i quali va riconosciuta e garantita la
libertà, anche al fine di assicurare la coesione sociale38. La dignità sociale si realizza attraverso 37 Nel giugno 1999 il Consiglio europeo di Colonia ha ritenuto che fosse opportuno riunire in una Carta i diritti fondamentali riconosciuti a livello dell’Unione europea (UE), per dare loro maggiore visibilità. I capi di Stato e di governo ambivano ad includere nella Carta i principi generali sanciti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo del 1950 e quelli risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni dei paesi dell’UE.
La Carta è stata elaborata da una convenzione composta da un rappresentante di ogni paese dell’UE e da un rappresentante della Commissione europea, nonché da membri del Parlamento europeo e dei Parlamenti nazionali. Venne proclamata ufficialmente a Nizza nel dicembre 2000 dal Parlamento europeo, dal Consiglio e dalla Commissione. Sul punto 2001: S. Sciarra, Diritti sociali. Riflessioni sulla Carta europea dei diritti fondamentali, in ADL Argomenti di diritto del lavoro, 2001; O. De Schutter, La garanzia dei diritti e principi sociali nella “Carta dei diritti fondamentali”, in Diritti e Costituzione nell’Unione europea, G. Zagrebelsky, (a cura di), Roma-Bari, Laterza, 2003.38 P. Costanzo e S. Mordecchia (a cura di,), Diritti sociali e servizio sociale dalla dimensione nazionale a quella comunitaria, Milano, Giuffrè, 2005; R. Pillia, I diritti sociali, Napoli, Jovene, 2005; L.. Trucco, La nozione di “esclusione sociale” fra ordinamento comunitario e ordinamenti nazionali, in Diritti sociali e servizio sociale, cit pp.119 ss.
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l’uguaglianza di tutti davanti alla legge, a prescindere dalle differenze di genere, di razza, di lingua
e religione e opinioni politiche. Le condizioni personali e sociali non possono fungere da elementi
discriminanti per il godimento dei diritti della persona e questo perché il pieno sviluppo della
persona umana non può essere perseguito se si impedisce la libertà e uguaglianza dei cittadini. A
svolgere tale compito sono preposti sia strutture a gestione diretta dello Stato sia enti religiosi o di
comunità e soggetti privati appartenenti al cosiddetto privato sociale che forniscono le prestazioni,
in un rapporto di collaborazione con le istituzioni pubbliche39.
La necessità di garantire l’erogazione di questi servizi nelle condizioni migliori ha fatto sì che
venissero gradualmente messi a punto nei diversi paesi criteri stringenti e qualificanti che
caratterizzano le prestazioni, delineando veri e propri standard ai quali il servizio erogato deve
rispondere per qualità, caratteristica della prestazione, modalità di organizzazione, al fine di
assicurare ai destinatari una fruizione del servizio rispondente a criteri di uguaglianza. A tal fine è
stato attivato un processo molto articolato per l'individuazione dei servizi e dei relativi standard di
qualità, anche in considerazione della particolare rilevanza e ampiezza della mission affidata alle
strutture pubbliche, redigendo apposite Carte dei servizi in linea con la normativa vigente e, in
conformità con quanto deliberato dai singoli Stati sottoposti al vaglio di organismi esterni e
indipendenti di valutazione costituiti ad hoc, dette authority40.
Sono state cosi redatte vere e proprie mappe dei servizi, provvedendo a elencare e individuare
le prestazioni da erogare, analizzando le principali caratteristiche di ciascuna di esse, le modalità di
erogazione e la tipologia di utenza che ne usufruisce. L’insieme di queste caratteristiche costituisce
un punto di riferimento inderogabile sia per gli enti non profit sia per quelli for profit che si
propongono come erogatori dei medesimi servizi. Non si tratta di criteri definiti in astratto perché
per valutare coerenza e correttezza del lavoro svolto il punto di riferimento sono gli stakeholders,
ovvero i soggetti che di volta in volta sono i diretti destinatari del servizio, e/o le istanze intermedie
direttamente o indirettamente responsabili dell'erogazione del servizio finale.
Ma c’è di più. Sono state anche individuate le dimensioni ottimali delle strutture necessarie
per assicurare la qualità effettiva dei servizi, la loro diffusione sul territorio in modo da consentire
l'accessibilità, - articolata in accessibilità fisica e attraverso percorsi diversi - la tempestività, la
trasparenza, con riferimento ai costi associati all'erogazione del servizio richiesto, alla natura
giuridica del responsabile del servizio, ai tempi di erogazione, al risultato atteso e all'efficacia, 39 Sui servizi integrati pubblico privato vedi: Il sistema integrato dei servizi sociali: commento alla Legge n. 328 del 2000 e ai provvedimenti attuativi dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, Enzo Balboni (a cura di) Giuffrè, Milano, 2007.40 Le authority, o autorità amministrative indipendenti, sono enti di diritto pubblico dotati di personalità giuridica con il compito di controllare un particolare settore dell'economia, dell'ordinamento sociale, o particolari servizi, tutelando gli interessi della collettività e i diritti dei cittadini. Queste strutture sono espressione della deregulation del potere statale, Ogni authority è indipendente, cioè dotata di potere di vigilanza nel suo settore di competenza. Vedi; Le autorità indipendenti come istituzioni pubbliche di garanzia, F. Luciani (a cura di), ESI. Napoli, 2011.
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espressa in termini di conformità, affidabilità e compiutezza.
Questi criteri, anche se modellati rispetto a standard del servizio pubblico, dovrebbero essere
utilizzati per l’individuazione ed elaborazione di indicatori per la misurazione del livello di qualità
di tutti i servizi erogati e porre in grado gli organi pubblici preposti che svolgono azione di
vigilanza e coordinamento dei sistemi integrati pubblico-privato che sono il frutto di questi processi
di verificare il possesso di requisiti di rilevanza, accuratezza, temporalità, fruibilità, interpretabilità
e coerenza delle prestazioni41. A ciascuno degli indicatori individuati, che abbiamo citato in
precedenza, dovrebbe essere attribuito un valore programmato, che rappresenta il livello di qualità
da rispettare ogni volta che il servizio viene erogato.
Attraverso quelle descritte o mediante procedure simili è possibile redigere un elenco di
standard qualitativi relativi ai servizi erogati, che perché siano applicabili e costituiscano una
garanzia per gli utenti del servizio, dovranno essere resi noti ad essi mediante la pubblicazione sui
siti e sul materiale di informazione delle strutture che si assumono tale compito. Il lavoro di
definizione degli standard qualitativi e quantitativi rappresenta comunque un work in progress, in
quanto, per la complessa e variegata attività delle strutture che erogano servizi, sono necessari
continui aggiornamenti e una sempre migliore definizione, poste in relazione alle necessità
emergenti dei fruitori dei servizi.
La tendenza generale non potrà che essere quella di superare gli interventi emergenziali in
modo che le iniziative dei diversi soggetti eroganti il servizio vengano collocati all’interno della
programmazione del territorio anche perché solo in tal modo sarà possibile razionalizzare la spesa e
garantirne l’efficace controllo.42
Gli standard qualitativi, fissati con riferimento ai servizi erogati dovranno essere oggetto di
monitoraggio da parte dell’autorità pubblica che è titolare comunque del coordinamento del sistema
di erogazione delle prestazioni, anche al fine di garantire, la loro uniformità e interventi per
aumentarne il livello di qualità. Per assicurare la maggiore rispondenza possibile tra attività delle
strutture pubbliche e degli enti erogatori. sia privati con caratteristiche di impresa sia del privato
sociale, (ovvero for profit e non profit) dovranno essere consultati gli utenti e gli stakeholders che
potranno fornire eventuali indicazioni relativamente alle effettive esigenze che ritengano debbano
essere soddisfatte.43 Tali indicazioni potranno essere prese in considerazione in sede di
41 L’ordinamento italiano in materia di definizione degli standard qualitativi ed economici delle prestazioni e dei servizi resi dalle amministrazioni pubbliche fa riferimento per l’individuazione dei criteri all'art. 11, comma 2, del d.lgs. n. 286/99, così come sostituito dall'ad. 28, del d.lgs. n. 150/2009.42 F. Salmoni, Diritti sociali, Sovranità fiscale e libero mercato, Torino, Giappichelli, 200543 Ad esempio una normativa generale riguarderà le prestazioni sanitarie erogate sia da una struttura a gestione pubblica che di quelle gestite dal volontariato sociale che da operatori privati in modo da fornire una prestazione con caratteri uniformi, fermo restando – ad esempio in Italia – che qualora esse superino una determinata dimensione dovranno assicurare il pronto soccorso, contribuendo al presidio sanitario del territorio. Tale previsione è contenuta nei “Requisiti generali autorizzativi delle strutture sanitarie e sociosanitarie” in base ai quali la struttura deve fare accreditare la
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aggiornamento delle Carte dei servizi, comunque necessarie a delimitare le carri eristiche delle
prestazioni in un determinato settore44.
Un requisito fondamentale di questo sistema partecipato non può che essere la trasparenza,
intesa come accessibilità totale alle informazioni concernenti l'organizzazione e l’attività delle
pubbliche amministrazioni e dei privati erogatori di servizi alla persona, allo scopo di favorire
forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse
pubbliche, laddove le attività del privato sociale vengono finanziate attingendo alla fiscalità
generale. Non si tratta in questo caso dell’imposizione di controlli eccessivi imposti agli operatori
non pubblici perché la trasparenza, nel rispetto delle disposizioni in materia di utilizzazione dei dati
personali, concorre ad attuare il principio democratico e i principi costituzionali di eguaglianza, di
imparzialità, buon andamento, responsabilità, efficacia ed efficienza, nell'utilizzo di risorse
pubbliche, (essendo pubblici almeno in parte i finanziamenti) che in un sistema pubblico-privato
così strutturato si erogano e costituiscono una condizione per l’ingresso e la permanenza degli
operatori non pubblici nel settore. Se si vuole che l’apporto del non profit, e per alcuni versi del for
profit all’erogazione di servizi abbia un carattere strutturale e non emergenziale, occorre una
regolamentazione che utilizzi parametri trasparenti e uniformi per valutare la prestazione, anche in
relazione a un rapporto costi-benefici che assurge a punto di riferimento, tanto più quando si
utilizzano risorse provenienti dalla fiscalità generale45.
La provenienza del finanziamento – insomma - costituisce la motivazione giuridica
dell’attività di controllo per poter verificare l’effettivo e razionale utilizzo delle risorse pubbliche; in
effetti i principi che presiedono all’impiego delle risorse pubbliche obbligano ad una verifica sugli
effetti del loro impiego sui destinatari finali del servizio erogato. In quest’ottica la procedura di
accreditamento rappresenta la fase più delicata del rapporto pubblico-privato che s’instaura
attraverso relazioni convenzionali, quanto non mediante contratti di appalto da parte dell’ente
propria attività di Pronto Soccorso.44 La Carta dei servizi è un documento che ogni operatore è tenuto ad adottare per dare informazioni agli utenti sui servizi offerti, sui diritti e sugli obblighi discendenti dal rapporto contrattuale e sulla qualità che s'impegna a garantire agli utenti. Questo documento indicare termini e modalità di erogazione del servizio e di pagamento delle fatture, eventuali limitazioni tecniche per certi tipi di servizi; condizioni di recesso e di rinnovo; modalità per ricevere assistenza e presentare reclami; indennizzi riconosciuti in caso d’inadempimento da parte del gestore. Deve infine attivare strumenti di controllo della spesa o di limitazione dell'accesso al servizio (ad esempio per i minori); inserimento negli elenchi telefoniciAllo stesso modo di un contratto, la Carta dei servizi è vincolante per gli operatori ed è parte integrante della disciplina del rapporto con li utenti. Il contratto e la Carta dei servizi costituiscono, quindi, il riferimento per ogni informazione, obbligo e diritto che l'utente voglia conoscere e far valere. Per questa ragione, la Carta dei servizi deve essere resa disponibile agli utenti prima della conclusione del contratto e deve essere sempre consultabile nel corso del rapporto contrattuale anche attraverso l’uso eventuali di pagine web. 45 E’ opinione di chi scrive che l’insieme di operatori che provvedono all’erogazione di servizi in u determinato settore dovrebbero redigere delle carte dei servizi contenenti gli standard di qualità che si impegnano a garantire rendendo noti i costi contabilizzati, evidenziando quelli effettivamente sostenuti e quelli imputati al personale per ogni servizio erogato e il relativo andamento nel tempo; i tempi medi di erogazione dei servizi, con riferimento all'esercizio finanziario precedente, evidenziando gli eventuali profitti di gestione.
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pubblico con privati erogatori di servizi, poiché consente di concentrare in quel momento la fase di
verifica del possesso dei requisiti richiesti da parte dell’ente erogante prima che la sua attività
inizi.46
L’introduzione di principi privatistici nell’attività svolte dalla P. A., in particolare
l’utilizzazione di modelli contrattuali di natura privatistica con la quale si tende a gestire il rapporto
di lavoro del personale utilizzato nelle strutture pubbliche fanno pensare a una totale equiparazione
della prestazione nei diversi tipi di strutture che si presume uniforme a prescindere dalla natura
giuridica dell’ente gestore, ma ciò è invece tutto da dimostrare in quanto a qualità efficienza ed
efficacia della funzione svolta in mancanza dei scudetti controlli costanti e di verifica del prevalere
della tutela dell’interesse pubblico alla qualità della prestazione.
E in quest’ambito che va collocata la tutela della libertà religiosa da un lato e quella della
laicità e neutralità della prestazione un modo da rompere il cerchio della confessionalizzazione della
prestazione e consentire la corrispondenza di essa ai valori comuni e unificanti della compagine
sociale. Tuttavia la tutela di tali valori incontra un limite nelle strutture non profit gestite da
comunità religiose, limite costituito dal loro diritto a osservare e difendere il proprio specifico
patrimonio valoriale e di svolgere per questa via un’attività che ha valore di testimonianza di fede e
si concretizza di fatto in una attività proselitistica. Ma, quando l’osservanza di questi valori giunge
fino a escludere alcune prestazioni e a negare il soddisfacimento di diritti garantiti dalla legge dello
Stato, entra in crisi il rapporto convenzionale e l’inserimento della struttura nel sistema di
erogazione dei servizi pubblico-privato viene meno. E’ il caso della richiesta di interruzione della
gravidanza rifiutata da una struttura gestita da una comunità religiosa, del rifiuto delle trasfusioni,
dell’accanimento terapeutico o di alcuni trattamenti di fine vita, del rifiuto di fornire
un’alimentazione religiosamente coerente con il credo del soggetto ospitato. E’ il caso dell’obbligo
a partecipare a riti religiosi per gli utenti della struttura. In questi casi la prestazione erogata non ha
valore universale e vengono meno le prerogative della struttura per far parte di un servizio integrato
pubblico-privato.
Infatti se è tutelato il diritto a opporre l’obiezione di coscienza individuale all’effettuazione
della prestazione questa non può – ad avviso di chi scrive – riguardare ed essere invocata da una
intera struttura che dichiara di operare in funzione di erogazione di servizio finalizzato all’esercizio
di diritti assicurati dalla Carta dei diritti fondamentali e/o da specifiche norme della legge
nazionale.
A maggior ragione la pubblica amministrazione non potrà concludere alcun contratto di
46 In Italia vedi: D. Leg. 14 marzo 2013, n. 33 “Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni. (13G00076) (GU Serie Generale n.80 del 5-4-2013) Entrato in vigore il 20/04/2013.
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appalto47 per l’erogazione di servizi alla persona con strutture di questo tipo in quanto esse non sono
in grado di assicurare una prestazione con carattere di neutralità e universalità, ma si rivolgono a
specifici soggetti che hanno tutto il diritto di cercare il soddisfacimento delle loro richieste, purché
senza oneri per la fiscalità generale e alle condizioni offerte dal mercato delle prestazioni private di
servizi. Ne risulterebbe altrimenti un finanziamento indiretto alle entità confessionali, realizzato per
il tramite e con la motivazione del valore sociale e solidaristico della prestazione, quando invece ciò
che viene richiesto è un atto che costituisce una testimonianza di appartenenza al culto e che
riguarda uno specifico segmento di popolazione.
Va da se che accettare queste condizioni può significare dover sacrificare la propria identità al
fine di ottenere il finanziamento pubblico, con conseguente mortificazione della libertà religiosa
individuale e collettiva.
1. 5. Il ruolo di equilibrio di sistema svolto dalle strutture a gestione pubblica
La necessità delle economie avanzate di aprire il settore dei servizi al mercato, affinché
venisse offerta al capitale di investimento una nuova occasione di profitto risponde alla progressiva
saturazione della capacità espansiva dei settori produttivi primari e secondari.48 La scelta del
potenziamento del settore terziario non poteva fare a meno delle grandi possibilità di business
offerte dagli investimenti nei servizi che costituiscono una parte qualificante per lo sviluppo e il
sostegno della domanda interna, tanto necessaria a una moderna economia di mercato. Questa
scelta passava necessariamente per l’abolizione della presenza esclusiva dello Stato nel settore
pubblico nella erogazione dei servizi, in quanto la gestione di questi in regime di monopolio
amministrativo sottraeva un largo spazio di operatività sul mercato ai capitali in cerca di una
proficua e remunerativa collocazione.
Tutto il XIX secolo e i tre quarti del XX si erano caratterizzati in Europa per l’avocazione
allo Stato della titolarità della fornitura di un insieme di servizi strutturali quali la fornitura di acqua,
quella di nettezza urbana, di energia, di trasporti, attività rispetto alle quali lo Stato rivendicava la 47 Gli appalti pubblici, pur appartenendo alla sfera contrattuale (che, per tradizionale e generale principio, è rimessa all'assoluta o quasi discrezione delle parti), per le peculiarità che presentano sono sottoposti ad una normativa inderogabile di carattere sia interno che comunitario. A riguardo il legislatore interno mira a garantire i principi di imparzialità e trasparenza dell'amministrazione nazionale, mentre la normativa comunitaria, avendo come fondamentale obiettivo quello di garantire la massima ampiezza del mercato interno, ha l'intento di assicurare a tutti gli interessati la possibilità di partecipare a procedure d'appalto, bandite in uno Stato membro, in condizioni di parità con le imprese appartenenti a tale Stato.48 J. Le Grand, Knights and knaves return: public service motivation and the delivery of public ervices , “International Public Management Journal”, 13 (1). 56-71; G. Gruening, Origins and theoretical basis of New Public Management, “International Public management Journal”, 4. pp. 1-25.
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diretta e esclusiva gestione in regime di monopolio amministrativo. Dopo la crisi del 1929 molti
Stati europei decidono di intervenire nella erogazione di servizi alla persona: nascono così le prime
esperienze di welfare che si generalizzano gradualmente nei paesi del nord Europa e in Inghilterra
dopo la fine della seconda guerra mondiale. Nei paesi mediterranei del continente la situazione è
diversa e le fasi di sviluppo del welfare sono differenti.
In Italia, sostenendo di voler abbattere o comunque ridimensionare la presenza
confessionale nell’erogazione dei servizi alla persona lo Stato già nel XIX secolo aveva esteso il
suo intervento, costituendo una rete pubblica di scuole, ospedali, istituti di ricovero per anziani e
indigenti, dando vita a un sia pur limitato sistema pubblico di servizi sociali. Quale esclusivo
gestore dell’erogazione di questi lo Stato, come in altri paesi d’Europa, aveva avocato a se la
proprietà di molti beni ecclesiastici, assumendo a motivo che la costituzione di quei patrimoni era in
molti casi il frutto di donazioni modali finalizzate all’erogazione di prestazioni caritatevoli.49
Quindi, assumendo la funzione esclusiva di erogatore della prestazione prevista dai donatori lo
Stato poteva rivendicare a ragione il possesso delle risorse a ciò destinate, che andavano ad
aggiungersi agli investimenti provenienti dalla fiscalità generale50. Nasceva così il welfare pubblico
in Italia che raggiungeva la sua massima espansione, rastrellando come ovunque risorse attraverso
le tasse sui lavoratori attivi che venivano destinate a finanziare i servizi, di fatto stipulando un patto
tra generazioni di contribuenti. I futuri occupati avrebbero sostenuto il welfare di quelli in attività.
Indipendentemente dalla strada percorsa dai diversi paesi per costruire il welfare pubblico
questo viene messo in crisi negli anni recenti dal progressivo restringersi della base produttiva,
soprattutto nei paesi europei, dovuto all’ingresso sul mercato mondiale di nuovi produttori. La crisi
è generale e vengono rimessi in discussione i vari modelli di welfare in Europa; le cause di quanto
49 La politica liberale della fine del XIX secolo è caratterizzata dall’espropriazione dei beni ecclesiastici e soprattutto dalla pubblicizzazione degli enti pubblici di assistenza e beneficienza. Nell’Italia liberale tutti gli enti che perseguivano finalità di assistenza e beneficenza sorgevano secondo la forma dell’istituzione pubblica, regolata dalla legge 17 luglio 1890, n° 6972, art. 1, meglio nota come legge Crispi, poi modificata dall’art. 1 del R.D. 30 dicembre 1923, n° 2841. Il Governo, con legge delega 22 luglio 1975, n° 382, emanò il D.P.R. 24 luglio 1977, n° 616, che doveva ridisegnare l’assetto delle funzioni amministrative, di cui agli artt. 117/118 della Costituzione, trasferite dallo Stato alle Regioni. Successivamente, con la legge delega 382 del 1975 è stato superato il regime monopolistico voluto dalla legge Crispi sulla obbligatorietà della pubblicizzazione di tutte le Istituzioni di assistenza e beneficenza applicando l’ultimo comma dell’art. 38 della Costituzione sul principio di libertà nel settore dell’assistenza privata. L’art. 14 del D.P.R. 24/07/77, n° 616, prevedeva che le associazioni, le fondazioni e le altre istituzioni di carattere privato potessero acquistare personalità giuridica di diritto privato mediante il riconoscimento concesso con decreto del Presidente della Repubblica; ai sensi dell’art. 12 del codice civile. La Corte Costituzionale, con decisione n° 396 del 7 aprile 1988, nel dichiarare l’illegittimità dell’art. 1 della legge 17 luglio 1890, n° 6972 "nella parte in cui non prevede che le I.P.A.B. regionali e infraregionali possano continuare a esistere assumendo la personalità giuridica di diritto privato", ha tuttavia consentito la sopravvivenza delle IPAB regionali ed infraregionali non soppresse dal DPR 616/77, le quali assumono (con gli opportuni requisiti improntati a criteri organizzativi su base privatistica) personalità giuridica di diritto privato.50 La nascita del welfare avviene nei diversi paesi con tempi e modalità differenti. In Italia essa è legata alle grandi lotte operaie dell’inizio degli anni settanta che producono la riforma sanitaria, rafforzano la scuola pubblica, attuano una prima riforma pensionistica, gettano le basi di un welfare certamente meno generoso di quello dei paesi del nord Europa, ma comunque raccolgono la sfida dell’estensione dei servizi alla persona erga omnes. V.: L. Graziano, S. Tarrow, La crisi italiana, (a cura di),vol. I – II, Einaudi, Torino, 1979.
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avviene vanno ricercate anche nelle politiche demografiche: diminuisce la natalità e invecchia
progressivamente la popolazione. Il calo dell’occupazione e la diminuzione della popolazione
attiva rendono non più sostenibili il finanziamento del sistema. Sia l’unione Europea che gli Stati
nazionali ritengono che per affrontare la situazione una delle soluzioni possibili è costituita dalla
progressiva restituzione all’iniziativa dei privati dello spazio di azione in questo settore, gestendo
per questa via la rinascita della presenza degli operatori privati sul mercato dei servizi alla
persona.51
Il passo successivo è quello del varo di una legislazione di favore per tali enti, in quanto al
controllo sullo svolgimento delle loro attività e l’approvazione di una legislazione fiscale di favore.
soprattutto verso gli enti confessionali che, per la verità, almeno in Italia non era venuta mai
completamente meno. Sulla spinta delle scelte dell’U. E. nei vari paesi si assiste al varo di una
legislazione sulle imprese di utilità sociale e sulle cooperative sociali, dedite soprattutto
nell’erogazione di servizi in appalto o in convenzione con l’ente pubblico.52
Si dovrebbe produrre per questa via una diminuzione dei costi dell’apparato dello Stato ma
questo, se da una parte sembra dismettere attività, dall’altra mantiene il peso degli oneri derivanti
51 La politica sociale oltre la crisi del welfare State, R. De Vita, P. Donati, G. B. Sgritta, (a cura di), Franco Angeli, Milano, 1994; Servizio sociale e crisi del welfare, Maggioli editore, Roma, 2013; A. Vittoria, Il welfare oltre lo Stato, Profili di storia dello Stato sociale in Italia, tra istituzioni e democrazia , Giappichelli, Torino, 2015; M. Mosca, M Baldascino, Sussidiarietà orizzontale, welfare comunitario ed economia sociale, De Frede, Verona, 2012; F. Fubini, «Non ci possiamo più permettere uno stato sociale». Falso!, Laterza, Roma, 2012.52 A partire dagli anni 80 del XX secolo vengono introdotte negli ordinamenti degli Stati d’Europa forme imprenditoriali e organizzative per perseguire finalità sociali, operando all'interno del mercato concorrenziale. nate per rispondere ai nuovi bisogni trascurati dall'impresa tradizionale e ai quali le politiche governative non erano più in grado di fare fronte in maniera adeguata a causa della crisi già manifesta delle strutture di welfare. In diversi paesi, le imprese sociali si sono configurate come esperienze di mutuo-aiuto fra portatori di bisogni, come espressioni delle comunità locali non istituzionali, che si sono dedicate in maniera diretta alla erogazione di beni e servizi. In Italia, la loro comparsa costituisce una risposta al ritrarsi dello Stato dall’erogazione di prestazioni di carattere sociale e ripropone il protagonismo di soggetti gestiti dalle comunità religiose e dalla imprenditoria privata che investono nel settore dei servizi..Con la legge 8 nov. 1991, n. 381 si detta la "Disciplina delle cooperative sociali", (Pubbl. in Gazz. Uff. 3 dicembre 1991, n. 283) e si stabilisce che “ Le cooperative sociali hanno lo scopo di perseguire l'interesse generale della comunità alla promozione umana e all'integrazione sociale dei cittadini attraverso: a) la gestione di servizi socio-sanitari ed educativi; b) lo svolgimento di attività diverse - agricole, industriali, commerciali o di servizi - finalizzate all'inserimento lavorativo di persone svantaggiate. Alle cooperative sociali, in quanto compatibili con questa legge, si applicano le norme relative al settore in cui le cooperative stesse operano.Per quanto riguarda le imprese di utilità sociale bisogna fare riferimento alla legge delega 13 giugno 2005 n. 118, le cui disposizioni furono attuate dal d.lgs 24 marzo 2006, n. 155 ("Disciplina dell'impresa sociale, a norma della legge 13 giugno 2005, n. 118").. Il 23 gennaio 2015 è stata depositata in Parlamento una proposta di emendamento al D. Lgs. n. 155/06 che vede come primo firmatario l’onorevole Luigi Bobba. La proposta: rende non facoltativa, ma obbligatoria l’assunzione dello status di impresa sociale per tutte le organizzazione che abbiano le caratteristiche individuate dalla normativa; allarga i settori in cui le imprese sociali possono svolgere la loro attività principale; introduce per tutte le imprese sociali costituite in forma di società, la possibilità di remunerare il capitale, seppur in misura limitata e non speculativa. In questo modo si intende favorire l’attrazione di capitale di rischio salvaguardando comunque la natura sociale dell’impresa, delle attività e degli investimenti che essa intende effettuare; riconosce le cooperative sociali come imprese sociali di diritto senza inutili modifiche statutarie o modifiche nella denominazione; riconosce la natura di Onlus di diritto, ed il conseguente regime fiscale, a tutte le organizzazioni che assumono la qualifica di impresa sociale, qualsiasi sia la forma giuridica adottata; semplifica le modalità di formazione e presentazione del bilancio sociale, pur mantenendone l’obbligatorietà, un buona sostanza aziendalizza l’intero settore. Si completa così il percorso di aziendalizzazione di queste strutture
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dalla erogazione dei servizi, accollandosi anche quello del profitto destinato al privato gestore
dell’attività. In Italia la cessione al privato della gestione diretta del servizio si rivela da parte
dell’ente pubblico appaltante più onerosa, anche a causa dell’incapacità dell’amministrazione
pubblica di provvedere ad una gestione diretta secondo criteri di economicità e buon
funzionamento. Si assiste alla degenerazione delle società partecipate dagli enti pubblici che
diventano un’occasione di occupazione di spazi di potere e di rendite da parte di una classe politica
parassitaria.53
In Italia la scelta di ricorrere alla gestione privata dei servizi viene così abilmente
mascherata attraverso la critica agli sprechi e alla mala gestione del settore pubblico, per cui in una
prima fase si introduce nel settore pubblico la privatizzazione del rapporto di lavoro: mutano non
solo le regole contrattuali, ma cambia anche lo status giuridico dei dipendenti pubblici.54 In una
seconda fase si moltiplicano le attività dei privati non profit e for profit nella gestione di servizi, la
cui azione dovrebbe essere caratterizzata dalla neutralità della prestazione, dalla laicità e
dall’assunzione di parametri valoriali che trovano il loro fondamento nella legge dello Stato. A
guidare il processo di trasformazione è invece l’intento di appropriarsi di una larga fetta del mercato
dei servizi, il cui costo è sussidiato dallo Stato. In questo mercato si inseriscono con forza le
confessioni religiose che per la verità avevano sempre conservato solidi presidi nel campo
dell’assistenza, della sanità, della scuola, delle prestazioni a carattere sociale, dichiarando di
rivolgersi prevalentemente alle fasce più deboli della popolazione.55
53 Da parte sua lo Stato procede con riluttanza allo smantellamento delle società partecipate un tempo costituite per erogare servizi ma, almeno in Italia, sono notoriamente ritenute uno strumento di sostentamento del sottobosco partitico. Piuttosto che provvedere ad una loro radicale riforma si è preferito procedere alla loro privatizzazione applicando la legislazione prima richiamata. 54 Il DPR 29/93 Decreto Legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, “Razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego” ha introdotto in Italia la privatizzazione della gestione del rapporto di lavoro pubblico presumendo che il ricorso agli strumenti contrattuali, organizzativi e normativi del privato datore di lavoro conferisse efficacia, efficienza e funzionalità all’attività della Pubblica Amministrazione. Nei fatti i suoi effetti si sono limitati a una destrutturazione del rapporto di lavoro pubblico che ha contribuito all’abbandono della gestione diretta dei servizi in regime di monopolio amministrativo. 55 L’attività delle confessioni religiose quali enti gestori di servizi alla persona costituisce una costante della struttura dei servizi nella gran parte dei paesi europei. In alcuni casi come ad esempio nel settore scolastico, questa presenza è prevalente in Spagna; in altre come in Olanda dopo una fase nella quale ospedali, scuole, servizi per gli anziani erano gestiti pressocché esclusivamente dalle confessioni religiose questa presenza è diminuita a vantaggio delle strutture pubbliche per poi riprendere quota.
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Queste strutture, nella nuova situazione, rivendicano un trattamento fiscale più favorevole,
che le privilegia anche rispetto all’operatore privato del settore, violando le regole della concorrenza
che vengono sanzionate dalla giurisprudenza nazionale56 e dalle istituzioni comunitarie.57.
Benché la strada della rinascita del privato sociale imbocchi nei vari paesi strade diverse il
bisogno di assicurare un effettivo pluralismo del servizio erogato, dovendo confrontarsi con la
necessità di garantire le scelte di tendenza o anche quelle solamente gestionali di questi nuovi attori
sul mercato, richiede comunque il mantenimento di un presidio a diretta gestione pubblica dei
servizi. Infatti l’iniziativa privata, le cui scelte sono guidate dal perseguimento del profitto, si fa
carico di quelle prestazioni dalle quali può ricavare un utile di gestione e ha la tendenza a lasciare
scoperte quelle aree o quelle situazioni nelle quali i costi di erogazione sono maggiori e la
prestazione non è economicamente conveniente. E’ pur vero che molti contratti di concessione
obbligano alla prestazione anche in aree disagiate, ma la distribuzione delle perdite non è un
patrimonio proprio del privato imprenditore, il quale tende a evitarle, facendo deperire la qualità del
servizio in queste aree, oppure introducendo tariffe differenziate a danno dell’utente.58
56 La Cassazione si pronunciava con due sentenze sia sul ricorso del Comune di Livorno (Sentenza n. 14225/2015) contro la Commissione Tributaria sia sul controricorso dell’Istituto religioso (Sentenza n. L14226/2015), rilevando sul piano generale che: «Lo svolgimento di attività didattiche si ritiene effettuato con modalità non commerciali se l'attività è paritaria rispetto a quella statale e la scuola adotta un regolamento che garantisce la non discriminazione in fase di accettazione degli alunni; sono comunque osservati gli obblighi di accoglienza di alunni portatori di handicap, di applicazione della contrattazione collettiva al personale docente e non docente, di adeguatezza delle strutture agli standard previsti, di pubblicità del bilancio; l'attività è svolta a titolo gratuito, ovvero dietro versamento di corrispettivi di importo simbolico e tali da coprire solamente una frazione del costo effettivo del servizio, tenuto anche conto dell'assenza di relazione con lo stesso». Né valeva invocare la circostanza che l’istituto in questione operasse in perdita, perché si doveva fare riferimento all’attività svolta in concreto e alle modalità della stessa57 Con il D.lgs. n. 23 del 14 marzo 2011 (artt. 7, 8 e 9) veniva introdotta l’IMU che avrebbe dovuto entrare in vigore nel 2014. Tuttavia il Governo Monti, con il D.l. n. 201 del 6 dicembre 2011, modificava la natura dell'imposta, rendendola di fatto un'ICI sulle abitazioni principali e ne anticipava l'introduzione, in via sperimentale, al 2012, prevedendone l'applicazione a regime dal 2015.Ai fini dell’applicazione di queste norme, per quanto riguarda le scuole cattoliche, veniva pubblicato nel novembre 2012 sulla Gazzetta Ufficiale il Regolamento del Tesoro riguardante il pagamento dell’IMU. Le scuole paritarie venivano esentate dal tributo se l'attività didattica era erogata gratuitamente o svolta dietro pagamento di una retta simbolica. Stesso criterio per attività assistenziali, sanitarie o alberghiere. Pagavano invece in misura proporzionale gli esercizi adibiti, anche parzialmente o temporaneamente, al commercio. Per beneficiare della disposizione si consentiva agli enti interessati di cambiare statuto entro il 31 dicembre 2012. Il nuovo statuto avrebbe dovuto prevedere: 1) il divieto di distribuire, anche in modo indiretto, utili; 2) l'obbligo di reinvestire gli eventuali utili per scopi istituzionali di solidarietà sociale; 3) l'obbligo di devolvere il patrimonio dell'ente non commerciale, in caso di suo scioglimento, ad altro ente non commerciale. Così, le scuole paritarie non avrebbero pagato l'IMU se l'attività fosse stata svolta a titolo gratuito o se il «corrispettivo simbolico è [era] tale da coprire solo una frazione del costo del servizio, tenuto conto dell'assenza di relazione con lo stesso». Il Governo dichiarava di riprendere una definizione utilizzata in una comunicazione della Commissione europea, mentre di "retta simbolica" aveva parlato anche il Consiglio di Stato, (Sezione Consultiva per gli Atti Normativi, Adunanza di Sezione del 8 novembre 2012. Numero Affare, 10380/2012) affermando che «soggetti in apparenza non commerciali possono, in taluni casi, trovarsi a svolgere attività economiche in concorrenza con analoghi servizi offerti da altri operatori economici» e che «su tre ambiti specifici – scuola, sanità, e alberghi – la retta “simbolica” in realtà maschera entrate ben definite e che per il diritto della UE gli immobili destinati a tali attività sono soggetti al pagamento dell’IMU e non possono beneficiare dell’esenzione». Invitava pertanto il Governo Monti a riscrivere il regolamento per evitare una nuova procedura di infrazione, come avvenuto nell’ottobre 2010.58 In Italia la modifica in corso della legge che regola l’attività delle imprese di utilità sociale, intervenendo anche sulle cooperative di utilità sociale, dovrebbe riconoscere il diritto di queste aziende a conseguire un profitto sotto forma di utile di gestione. In tal modo non fa che accentuare la loro propensione a trasformarsi in imprese tout court. Vedi nota
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Così, quando i servizi sono essenziali, spetta comunque all’ente pubblico l’onere di erogarli
ma in questo caso lo fa con maggiori costi, non avendo più la possibilità di distribuire le perdite
operando sui costi complessivi di gestione. Dal punto di vista generale si produce una situazione di
vantaggio per l’operatore privato il quale si ritaglia una normativa di settore di estremo favore ma
con maggiori costi per la collettività.
Quanto avviene in Italia dovrebbe costituire motivo di allarme in Europa sui pericoli di una
privatizzazione dei servizi alla persona attuata mediante la predisposizione di una legislazione di
favore che viola le leggi di mercato, tendenza faticosamente contrastata dalle istituzioni comunitarie
che con frequenza si vedono opporre dagli Stati l’applicazione del principio di apprezzamento.59
Nel caso dell’ente confessionale erogatore di servizi il rispetto dovuto ai suoi valori e la
garanzia che l’ordinamento deve accordare in ordine alla libertà religiosa, fa si che questi, anche
dove è erogatore unico di un servizio, non fornisca motivatamente alcune prestazioni, ovvero le
metta a disposizione con modalità lesive dei diritti di libertà, di laicità, di neutralità e trasparenza
alle quali ha diritto l’utente. Avanza riserve di carattere etico e morale all’erogazione della
prestazione, come è, il caso dell’interruzione della gravidanza, oppure quello dei trattamenti di fine
vita e molti altri esempi potrebbero essere fatti.
Il conflitto può essere risolto solo attraverso una dimensione pluralista del sistema integrato
pubblico-privato per cui la presenza dell’operatore pubblico ha funzione di presidio dei diritti
dell’utenza e costituisce il laboratorio attraverso il quale individuare i parametri relativi alle
caratteristiche nell’erogazione dei servizi ai quali abbiamo fatto riferimento nelle pagine precedenti.
Il principio di collaborazione tra lo Stato e le comunità religiose, sancito dall’art. 17 del
Trattato di Lisbona e l’applicazione dell’art. 5 in materia di sussidiarietà orizzontale non possono
tradursi in una negazione di quanto sancito dalla Carta europea dei diritti escludendo il diretto
coinvolgimento delle strutture pubbliche dalla erogazione delle prestazioni.
5259
Gli Stati hanno la tendenza a regolare attraverso specifiche norme ritagliate sulla tradizione religiosa del paese il fenomeno religioso. Vedi a riguardo per tutti: A. Licastro, Il diritto statale delle religioni nei paesi dell'Unione Europea. Lineamenti di comparazione, Giuffré, Milano, 2015.
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