Torino, 20/03/2007
Oggetto: presentazione progetto di ricerca anno 2007
Titolo: Studio in-vitro dell’effetto di neurosteroidi ed inibitori
del proteasoma in cellule di pazienti con Atassia Telangiectasia:
possibili approcci terapeutici alla malattia.
Responsabili : Dott. Alfredo Brusco e Dott.ssa Simona Cavalieri
Dipartimento di Genetica, Biologia e Biochimica, via Santena 19, 10126
Torino,
Tel. 011.6334480, Fax. 011.6705668,
e-mail: [email protected]
Timbro e firma del responsabile scientifico
Dott. Alfredo Brusco Ricercatore, Facoltà di Medicina Dipartimento di Genetica, Biologia e Biochimica
Università degli Studi di Torino
Introduzione
Le patologie neurodegenerative sono caratterizzate da una progressiva
disfunzione e morte delle cellule nervose. Tra le cause che
maggiormente contribuiscono alla morte delle cellule nervose ci sono
fattori genetici, difetti nel trasporto e nel metabolismo del sodio e del
calcio intracellulari, difetti nel funzionamento dei mitocondri, produzione
di citochine infiammatorie ed endotossine e lo stress ossidativo causato
dall’accumulo di elevati livelli di specie reattive dell’ossigeno (ROS).
Queste molecole sono costantemente prodotte dalle cellule, ed i loro
livelli fisiologici sono importanti per varie funzioni cellulari, quali ad
esempio la regolazione dell’espressione genica. A livello endogeno (cioè
dentro le cellule) i ROS sono prodotti dai processi metabolici, ad
esempio all’interno dei mitocondri, e da processi patologici quali
l’infiammazione. Le radiazioni ionizzanti o le sostanze radiomimetiche,
sono invece fonte di ROS esogeni.
Numerosi studi hanno evidenziato che patologie causate da danno nei
meccanismi di riparazione del DNA, quali l’Atassia Telangiectasia (A-T)
sono associate a danni prodotti dai ROS (stress ossidativi). Nel caso
della A-T, l’inattivazione della proteina ATM nei pazienti può portare
all’accumulo di DNA danneggiato e all’alterazione dell’equilibrio ossido-
reduttasico.
Ad oggi, il preciso meccanismo attraverso il quale la proteina ATM
interviene nel controllo dei livelli di ROS e dello stress ossidativo non è
ancora chiaro. Si pensa che possa agire attraverso due vie:
indirettamente, ATM potrebbe regolare l’espressione di geni che
codificano per enzimi coinvolti nei processi antiossidanti (quali le
catalasi) o modificarne la loro attività enzimatica (attraverso processi
post tradizionali). La regolazione dello stato ossidoreduttasico delle
cellule avviene principalmente nel citoplasma. Mentre ATM è collocata in
maggior percentuale nel nucleo delle cellule in continua divisione, a
livello delle cellule già differenziate (quali quelle del sistema nervoso) è
presente principalmente nel citoplasma. Tra le cellule del sistema
nervoso particolarmente sensibili ad elevati livelli di ROS ci sono le
cellule di Purkinjie del cervelletto, in cui la frazione citoplasmatica di
ATM è particolarmente elevata; il cervelletto è l’area cerebrale più
colpita nei pazienti A-T. Inoltre è dimostrato che i pazienti A-T
presentano, anche nel plasma ridotte capacità antiossidanti rispetto a
controlli normali, e che in topi ATM -/- (con mutazioni simili a quelle che
si trovano nei pazienti A-T) la regolazione dei ROS attraverso ATM è
essenziale per una corretta risposta ai danni alla doppia elica del DNA.
Negli ultimi anni, alcuni studi condotti su patologie neurodegenerative
per alcune caratteristiche simili all’A-T, si sono dedicati alla ricerca di
molecole con possibili finalità terapeutiche, mirate al controllo dei ROS
intracellulari, con lo scopo di limitare i danni neurodegenerativi e di
invecchiamento cellulare precoce.
Sulla base di queste osservazioni sono iniziati per alcune patologie in cui
i ROS sembrano avere un ruolo importante, trial terapeutici limitati, con
l’introduzione nella dieta dei pazienti di molecole antiossidanti, quali
vitamina E, vitamina C, N-acetilcisteina e acido alfa-lipoico. Questa
strada non ha ancora mostrato risultati definitivi. Non si conosce quindi
l’effetto, né si sa se possa rallentare il decorso della malattia.
Neurosteroidi
Recentemente, in un bimbo affetto da Atassia Telangiectasia, è stato
dimostrato il potenziale effetto del betametasone, un corticosteroide
(Zannolli et al., Arch Neurol 63, 2006). In seguito a somministrazione di
betametasone, il fenotipo atassico del bimbo è migliorato
considerevolmente. I miglioramenti, visibili già dopo 2-3 giorni, si erano
manifestati chiaramente dopo le 4 settimane di trattamento. Purtroppo
però, la sostituzione del betametasone nelle successive 3 settimane, con
un composto della stessa categoria, ma con meno effetti collaterali, non
aveva dato gli stessi benefici. Inoltre, terminata la terapia il paziente era
tornato a manifestare i segni neurologici tipici della malattia. A causa dei
troppi effetti collaterali, questo farmaco non può essere somministrato
per lunghi periodi, e i suoi effetti secondari nei pazienti A-T sono
imprevedibili. Sono tuttavia in corso proposte per trial terapeutici
limitati, per confermare i dati e verificare la possibilità di dosi e tempi di
somministrazione.
Stanno assumendo sempre maggiore interesse molecole di origine
steroidea chiamate “neurosteriodi”; studi recenti, hanno indicato come i
neurosteroidi siano composti endogeni con proprietà neuroprotettive.
Questo li rende interessanti come molecole per il trattamento di
patologie in cui la neurodegenerazione è caratteristica predominante.
Tali molecole agiscono su diversi tipi cellulari a livello del sistema
nervoso. I neurosteriodi sintetizzati a partire dal colesterolo in presenza
di enzimi steroidogenici sono il pregnanolone, il progesterone e il
deidroepiandrosterone e l’allopregnanolone.
Gli effetti neuroprotettivi dei neurosteroidi sono stati già dimostrati
(wojtal et al., 2006, Pharmacol Rep), mediante studi in vitro e su
modelli murini, in diverse patologie neurodegenerative, quali l’Alzehimer,
il morbo di Parkinson e la malattia di Niemann Pick (Griffin et al., 2004,
Nat Med). Gli effetti di protezione cellulare sono in alcuni casi visibili
anche nelle colture di fibroblasti, come dimostrato per la malattia di
Niemann Pick (Griffin et al., 2004, Nat Med).
I dati relativi a tali studi e ad altri inerenti l’effetto neuroprotettivo dei
neurosteriodi sulle cellule del sistema nervoso e il loro potenziale
terapeutico nel trattamento di alcune patologie neurodegenerative e di
danni cerebrali indotti da traumi sono stati discussi in un recente
congresso svoltosi a Torino dal 17 al 21 febbraio 2007 dal titolo
“Steroids and Nervous system”.
Dopo la partecipazione al congresso il nostro interesse si è focalizzato
sul possibile utilizzo dei neurosteroidi nell’Atassia Telangiectasia.
Al fine di indagare alcuni possibili approcci terapeutici a questa
patologia, ci proponiamo di studiare l’effetto che i neurosterodi possono
avere, in prima istanza, sul fenotipo cellulare dei pazienti A-T.
Questo studio verrà condotto analizzando i seguenti punti:
1) Analisi in vitro su linee cellulari di pazienti AT e di controlli sani
del livello delle specie reattive dell’ossigeno (ROS) prima e dopo
trattamento delle stesse cellule con diverse concentrazioni di
allopregnenolone. Gli esperimenti verranno condotti utilizzando
come tipo cellulare le linee linfoblastoidi (LCL) di pazienti A-T in
quanto già presenti nel nostro laboratorio. Sebbene non esistano
dati in letteratura riguardanti esperimenti di misurazione dei ROS
su LCL umane, ma solo in linee di fibroblasti, in un recente
articolo pubblicato su J.Immunology (Keisuke et al.2006) è stato
dimostrato che a seguito del trattamento di topi ATM -/- con N-
acetilcisteina , ridotti livelli di ROS sono stati dimostrati sia in
vivo, sia in vitro su timociti e su cellule B prelevate dalla milza dei
topi A-T.
Questi esperimenti verranno condotti sia su linee LCLs di pazienti
omozigoti per una sola mutazione nel gene ATM (mutazioni
frameshift che portano alla formazione di una proteina tronca o di
mutazioni che causano skipping esonico) o su pazienti eterozigoti
composti.
In un secondo tempo, gli stessi esperimenti verranno condotti su
linee di fibroblasti. In questo caso le cellule verranno acquistate
attraverso il Coriell Institute for Medical Research (USA), un Istituto
americano di ricerca biomedica . Accanto ai fibroblasti di pazienti A-T
e di controlli sani sarà in questo caso possibile avere come controlli
positivi cellule di pazienti affetti da Niemann-Pick, in cui si è già
dimostrata la riduzione dei livelli di ROS dopo trattamento con
Allopregnanolone.
2) Analisi del livello di apoptosi delle stesse cellule sottoposte a
stress ossidativo sia prima che dopo trattamento con
Allopregnanolone mediante misurazione citofluorimetrica
dell’Annessina V, un marcatore apoptotico che misura cioè la
morte cellulare. L’Annesina V è una proteina con elevata affinità
per la fosfatidilserina (PS). Poichè l’esposizione della PS sulla
membrana cellulare estera è associata alle fasi iniziali
dell’apoptosi (prima della frammentazione del DNA), questo
saggio è un metodo precoce ed efficace per la visualizzazione
dell’apoptosi. La marcatura con Annessina è rapida e il saggio è
molto sensibile.
La possibilità di controllare ed diminuire i livelli di specie reattive
dell’ossigeno e l’apoptosi attraverso il trattamento con
Allopregnenolone in cellule in vitro potrebbe essere seguita da studi
sul modello animale.
Inibizione del proteasoma
Una seconda serie di esperimenti, sempre con lo scopo di
identificare molecole attive in grado di migliorare il fenotipo cellulare
di A-T, è legato all’idea di poter ripristinare una piccola percentuale
di proteina ATM funzionante. Dati in letteratura indicano che anche
solo un 10% di proteina ATM normale, è in grado di garantire un
corretto svolgimento delle normali funzioni fisiologiche della cellula.
Questo è di solito associato a fenotipi A-T lievi. Invertendo il
ragionamento, un aumento, seppur modesto di proteina, potrebbe
consentire un miglioramento del quadro di malattia.
I pazienti affetti da A-T sono nella maggior parte dei casi eterozigoti
composti e le mutazioni più frequenti sono nonsenso o frameshift,
che portano alla formazione di una proteina tronca, e per questo
non funzionante. Alcune mutazioni tuttavia, potrebbero produrre una
proteina funzionante, che però, non essendo completa, viene
eliminata. Questo avviene mediante un processo detto di
“ubiquitinazione e digestione nel proteasoma”. Il sistema ubiquitina-
proteasoma è il sistema proteolitico più diffuso in tutte le cellule
eucariote e degrada proteine che sono state marcate attraverso
l’attacco di numerose molecole di ubiquitina.
Un’aumentata attività del proteasoma è associata ad alcune
patologie genetiche come l’atrofia muscolare spinale (SMA) e la
distrofia muscolare di Duchenne. In particolare, in quest’ultima
patologia si è dimostrato che nel modello murino, il blocco
dell’attività del proteasoma attraverso specifici inibitori (MG-132)
porta ad un ripristino dei livelli di espressione e di localizzazione in
membrana della distrofina e delle altre molecole ad essa legate
(Bonuccelli et al., 2003, Am J Pathol). La distrofina, pur se in forma
tronca, sarebbe in grado di portare in membrana le altre molecole
garantendo così alle cellule muscolari un corretto funzionamento. E’
in studio la somministrazione di molecole simili a MG-132, ma meno
tossiche, con attività d’inibizione dell’attività del proteasoma come
approccio terapeutico alla distrofia muscolare di Duchenne.
I pazienti A-T presentano livelli nulli o appena rilevabili di proteina
ATM; questi livelli sono correlati alle diverse mutazioni. Mutazioni
missenso o che causano la perdita di un singolo esone lasciando la
proteina “in fase”, possono invece portare a una proteina in parte in
grado di svolgere molte sue funzioni e quindi ad un fenotipo
patologico più lieve, se non fosse degradata. Proprio in pazienti in
cui almeno una delle due mutazioni è una missenso o uno skipping
di un singolo esone, l’inibizione del processo di degradazione della
proteina ATM mutata potrebbe permettere l’espressione di livelli
minimi di proteina almeno in parte funzionante e forse in grado di
svolgere le normali funzioni fisiologiche.
Ci proponiamo di fare esperimenti su linee linfoblastiodi di pazienti
A-T, con il fine di verificare se i livelli di proteina ATM aumentano nel
caso di inibizione del proteasoma. Le cellule in coltura verranno
trattate con diverse concentrazioni dell’inibitore MG-132 come
riportato in letteratura e a seguito del trattamento verranno lisate
per l’estrazione delle proteine nucleari e l’analisi dei livelli di proteina
ATM. La funzionalità della protena ATM espressa verrà analizzata
attraverso studi funzionali in vitro, quali la capacità di fosforilare
substrati a valle (p53 e H2AX) o la capacità di ridurre i livelli di ROS
in cellule esposte a agenti radiomimetici.
Ci proponiamo in conclusione di verificare in vitro, su cellule di
pazienti A-T, due ipotesi: 1) il possibile effetto protettivo di un
ormone neurosteroideo (allopregnanolone); 2) l’effetto di inibitori del
proteasoma sui livelli di proteina ATM. Questi studi, se daranno
risultati positivi, procederanno cercando di verificare l’effetto di
molecole simili con bassi livelli di tossicità, ed eventualmente,