Download - Un'Avventura Torinese
un ’A v v e n t u r aTORINESEP I E R L U I G I B A S S I G N A N A
ENTI E IMPRESE PER TORINORESTAURO, VALORI ZZAZ IONE, FRU I Z IONE
ENTI E IMPRESE PER TORINORESTAURO, VALORI ZZAZ IONE, FRU I Z IONE
un ’A v v e n t u r aTORINESEP I E R L U I G I B A S S I G N A N A
ENTI E IMPRESE PER TORINORESTAURO, VALORI ZZAZ IONE, FRU I Z IONE
un ’A v v e n t u r aTORINESEP I E R L U I G I B A S S I G N A N A
i n t r od u z i on e
La Consulta riunisce 30 aziende ed enti impegnati nella valorizzazione del patrimonio
artistico del territorio torinese ed ha celebrato i vent’anni della fondazione nel 2007.
Sono stati investiti più di venti milioni di euro, realizzati trentadue interventi di restauro
e fruizione in collaborazione con le Istituzioni e gli Enti di tutela.
Le scelte sono effettuate in base ai criteri di rilevanza e urgenza dell’intervento, rapidità
e certezze autorizzative di realizzazione, cadenza annuale o biennale e ritorno d’immagine.
Questo percorso ha consentito alla Consulta un riconoscimento a livello locale e nazionale,
con una ricaduta positiva sull’immagine delle aziende ed enti che ne fanno parte.
Si è creata una circolarità virtuosa tra Istituzioni, Soprintendenze, Responsabili di Musei,
Enti e Fondazioni che ha permesso di far conoscere la nostra Città oltre la tradizionale leadership
industriale.
Il mecenatismo si trasforma, si inaugurano nuove forme di collaborazione tra pubblico
e privato, tra Imprese e Beni Culturali. In parallelo agli interventi di restauro, l’attenzione è rivolta
a migliorare la valorizzazione e la fruizione dei beni culturali, anche utilizzando le professionalità
presenti nella gestione delle imprese, con l’intento di ampliare i pubblici interessati e utilizzare
meglio le risorse disponibili.
La Consulta è un “valore” per il territorio torinese. I Soci hanno dedicato tempo e impegno
e sentono la responsabilità di mantenere e sviluppare questo unicum che Torino ha rispetto
ad altre città italiane.
Il Presidente
Lodovico Passerin d’Entrèves
S I R I N G R A Z I A N O :
Accademia Albertina di Belle Arti
Archivio di Stato
Archivio Storico della Città di Torino
Biblioteca Reale
Città di Torino
Confraternita Santissimo Sudario
Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Piemonte
Fondazione Camillo Cavour
Fondazione Ordine Mauriziano
Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea
Museo Nazionale del Cinema
Museo Nazionale del Risorgimento Italiano
Palazzo Madama - Museo Civico d’Arte Antica
Provincia di Torino
Regione Piemonte
Società Promotrice delle Belle Arti
Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio del Piemonte
Soprintendenza per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico del Piemonte
Teatro Regio di Torino
Università degli Studi di Torino
F O T O G R A F I E :
Ove non altrimenti specificato, le fotografie sono di Bruna Biamino
1. INCOMINCIA L’AVVENTURA 2
2. Facciate 24
3. NUOVE ESPERIENZE 44
4. ritorno alle origini 70
5. un sogno a lungo coltivato 80
6. il fascino discreto della cultura 92
7. monumenti 104
8. un teatro d’acque 122
9. per fare bella torino 136
10. NUOVI PERCORSI 156
11. EFFETTI COLLATERALI 174
12. NEL SEGNO DELLA TRADIZIONE 199
13. CONTINUITA’ NELLA DIVERSITA’ 207
- 1987 -2010 gli interventi della consulta 210
- i soci della consulta 239
ENTI E IMPRESE PER TORINORESTAURO, VALORI ZZAZ IONE, FRU I Z IONE
P I E R L U I G I B A S S I G N A N A
u n ’A v v e n t u r aTORINESE
indice
2 un’Avventura TORINESE 1. incomincia l’avventura 3
I. INCOMINCIA L’AVVENTURA
In un assolato mattino d’inizio estate un gruppetto di torinesi si era
dato appuntamento in piazza CLN. Proteggendosi dal sole nell’ombra dei
portici, i cittadini colà radunati guardavano con attenzione le due sculture
addossate alla parte posteriore delle chiese che fanno da quinta alla piazzetta
proiettando l’attenzione dei passanti sulla statua di Emanuele Filiberto
collocata al centro dell’adiacente piazza San Carlo. Era il 24 giugno 2005,
giorno di san Giovanni, patrono della Città, e quelle persone attendevano
l’arrivo del sindaco che avrebbe dato inizio a una cerimonia che, nella
memoria di molti, presentava addirittura aspetti prodigiosi.
Il sindaco, infatti, munito di uno degli oggetti più emblematici
della nostra era tecnologica – il telecomando – avrebbe dovuto ridare
vita alle fontane sottostanti le due allegorie del Po e della Dora,
riattivando il nastro d’acqua che da tempo quasi immemo rabile
si era prosciugato, quasi si fosse interrato nelle viscere
della terra, negando ai torinesi, nei giorni estivi, quella
sensazione di refrigerio che ora erano costretti a ricercare
sotto i portici, accontentandosi delle lame d’ombra
proiettate dalle colonne.
E, puntualmente, all’arrivo del sindaco l’evento si verificò. Dopo il discorso di rito,
il telecomando non deluse le attese. Superato l’attimo di incertezza durante il quale ci
si chiede se l’aggeggio che stiamo manovrando funzionerà effettivamente, l’acqua prese
a sgorgare, limpida e apparentemente fresca, dalle fessure che tagliano a metà la base dei due
monumenti. Dopo anni di incuria, con lo smog impegnato ad annerire le statue e le vasche
trasformate in ricettacolo di cartacce, cicche e immondizie varie, il monumento era finalmente
restituito alla Città e alla fruizione dei cittadini.
Ma dietro a questo risultato non vi era nulla di prodigioso. Il prodigio, se tale può
essere considerato, consisteva invece nell’attività di un’istituzione cittadina che da tempo si
preoccupava di recuperare, ripristinandone l’antico splendore, pezzi significativi dell’identità
culturale torinese: la «Consulta per la valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino»,
meglio conosciuta come la «Consulta» tout court.
Questa è dunque la storia di un’istituzione fondata ufficialmente nel 1987 e dei
risultati da essa conseguiti in venti anni di attività. Una storia che, attraverso gli uomini,
le iniziative, le realizzazioni, ha fatto della Consulta un unicum nel panorama dei soggetti che
in Italia si occupano, a vario titolo, di arte, della sua salvaguardia e della sua promozione.
Al momento della sua costituzione, la Consulta veniva a colmare, a Torino, un vuoto
che in tutto il Paese diventava di giorno in giorno più evidente, e per molti versi imbarazzante,
non soltanto per ciò che riguardava la tutela e la salvaguardia dei monumenti, ma ancor
più sotto il profilo dello stimolo e del coordinamento, alla cui concretizzazione il Ministero
per i Beni Culturali, benché creato nel 1974, non aveva ancora dato, verso la metà degli anni
Ottanta, un contributo significativo.
In effetti, lungo tutto il decennio 1970 gli interventi rivolti alla tutela e conservazione del
patrimonio artistico nazionale erano stati pochi, frutto più di scelte occasionali ed estemporanee,
che non di una politica coerente e razionale. Poteva capitare che una singola impresa,
per celebrare una qualche ricorrenza aziendale, decidesse di intervenire a proprie spese per
il recupero di questo o quel monumento, per il restauro di questo o quel ciclo di affreschi. Come
pure poteva avvenire che fossero assegnati fondi per il restauro d’urgenza di qualche edificio
pubblico, salvo, poi, lasciare il cantiere interrotto quando le risorse a disposizione si esaurivano.
1VILLA DELLA REGINA, VISTA DALLA GROTTA
DEL RE SELVAGGIO,
DOPO I RESTAURI
4 1. incomincia l’avventura 5un’Avventura TORINESE
Altre erano, in quel periodo, le priorità che il settore pubblico era chiamato
ad affrontare. Non è superfluo, infatti, ricordare che gli anni successivi al 1969, e sino al 1980,
si caratterizzarono, oltre che per le conseguenze dell’«autunno caldo» e della conflittualità
permanente, anche per altri eventi traumatici: dai tentativi di destabilizzazione provocati
da frange terroristiche, alle ricorrenti crisi petrolifere; eventi tutti, a fronte dei quali la società
italiana, nel suo complesso, si trovò sostanzialmente impreparata. A partire dal 1973 i prezzi
dell’energia e delle materie prime raggiunsero livelli inusitati e imprevedibili, collocando
stabilmente l’inflazione al di sopra del dieci per cento, con il risultato finale di una dinamica
del costo del lavoro eccessivamente accelerata.
Capitava dunque che anche quando, per avventura, venivano reperite risorse
da destinare a interventi di restauro, esse si rivelassero ben presto insufficienti ad assicurare
il completamento dell’opera. E comunque, l’incertezza sull’andamento dei costi era tale
da scoraggiare anche i più volenterosi dallo sviluppare programmi organici d’intervento.
Ma in realtà le risorse non c’erano, perché la finanza pubblica versava in pieno
dissesto, reso manifesto dal crescente deficit del bilancio dello Stato. I fabbisogni del settore
pubblico allargato stavano assorbendo più del dieci per cento del reddito nazionale,
provocando la paralisi di qualsiasi politica, minimamente decorosa, di investimenti pubblici.
Se non c’erano quattrini per l’ordinaria manutenzione della viabilità, era quasi impensabile
che se ne trovassero per il restauro di monumenti.
Restavano soltanto le iniziative estemporanee, come quella che, per rimanere
a Torino, alla fine del decennio, ebbe per oggetto il monumento di piazza San Carlo, dedicato
a Emanuele Filiberto. L’evento, a livello torinese, ebbe risonanza, ma più per le circostanze
che lo accompagnarono che non per l’importanza intrinseca dell’operazione.
Per effetto di agenti atmosferici e batterici, il monumento versava effettivamente
in condizioni di notevole degrado, ed era urgente provvedere. Normalmente, in casi del genere
– come confermano anche i più recenti interventi, uno dei quali in corso su quello stesso
monumento – si costruisce attorno all’opera da restaurare un apposito riparo, al cui interno
gli specialisti incaricati della bisogna procedono alle operazioni ritenute necessarie. In quella
circostanza, invece, l’amministrazione cittadina ritenne più proficuo spettacolarizzare l’evento,
rimuovendo la statua dal basamento. Si riteneva che l’immagine del cavallo, sollevato dal suo
piedistallo e penzolante sulla testa dei torinesi che passavano da quelle parti avrebbe
certamente fatto il giro, se non del mondo, almeno dei borghi cittadini, a maggior gloria
di chi l’aveva voluta.
Ma i proponenti avevano fatto male i loro calcoli. Bisogna ricordare che il gruppo
bronzeo era rimasto al suo posto anche durante la prima fase della seconda guerra mondiale,
sino a quando, in conseguenza dei ripetuti
bombardamenti, si era ritenuto più
prudente smontarlo e trasferirlo altrove,
salvo poi ricollocarlo sul suo piedistallo nel
1946. Nel frattempo, però, le istruzioni
di fissaggio dei tre zoccoli del cavallo
al basamento, redatte all’atto della risi -
stemazione, erano andate smarrite, e si
pensava che fosse sufficiente imbragare
convenientemente la statua e farla solle -
vare da una gru appositamente convocata.
Il cavallo, però, non era della stessa
opinione; essendo riuscito a resistere
impavido alle bombe sganciate in grande
quantità sulla piazza dai Lancaster della RAF, non aveva nessuna voglia di farsi scalzare dal suo
piedistallo in una maniera così prosaica, per non dire ingloriosa. Non per nulla il cavaliere
che lo montava era noto anche come «Testa di Ferro».
Epica fu la resistenza del cavallo, che per ben due giorni si oppose agli assalti sempre
più pressanti del mezzo meccanico; poiché la situazione stava diventando imbarazzante, forse
troppo, non restava che adottare a mali estremi, estremi rimedi. E così, all’alba del terzo
giorno, il cannello della fiamma ossidrica permise di liberare i perni fissati nel cemento e final -
mente il destriero, vinto ma non domo, poté compiere il suo viaggio trionfale attraverso
la città, sino al laboratorio che avrebbe provveduto alla ripulitura.
Quell’episodio doveva rimanere, almeno per Torino, l’ultimo esempio di un’inter -
vento isolato nel campo della tutela delle opere d’arte, perché con gli anni Ottanta
il panorama migliorò sensibilmente. Intanto, mutarono le condizioni economiche generali.
Nel 1980 l’inflazione aveva toccato la punta più alta, attestandosi al 21,7 per cento
e rendendo evidente che l’opera di risanamento non poteva più essere rinviata.
Ad attuarla fu la Banca d’Italia. Se durante il decennio precedente la sua azione era
stata condizionata dal timore che una politica di rigore monetario avrebbe avuto come
conseguenza un aumento della disoccupazione, con la sconfitta del terrorismo maturavano
anche le condizioni per un’azione più rigorosa. Venivano così alzati sensibilmente i tassi
di interesse e si inaugurava una doverosa politica del cambio, che avrebbe condotto
all’apprezzamento della lira in conformità con il suo ingresso nel Sistema Monetario
Europeo.
ALFONSO BALZICOMONUMENTO
A FERDINANDO
DI SAVOIA,
1877
6 1. incomincia l’avventura 7un’Avventura TORINESE
Nell’immediato, la stretta creditizia che ne derivò avrebbe aumentato le difficoltà
del sistema, ma nella prospettiva di qualche anno lo avrebbe irrobustito. Se è vero che gli anni
1980-1983 sono ricordati come il «quadriennio nero», è anche vero che già nel 1984
l’inflazione, per la prima volta dopo molti anni, scese sotto il dieci per cento, e la discesa
sarebbe proseguita anche negli anni successivi, dando così inizio a quello che sarà ricordato
come il più lungo periodo ininterrotto di espansione dell’economia italiana.
Mutando in meglio le prospettive economiche, mutava anche l’atteggiamento
generale verso la tutela dei beni culturali. Con il ritorno a bilanci più floridi, aumentò
la propensione delle imprese a investire in immagine, al miglioramento della quale si riteneva
– e con ragione – che la sponsorizzazione di iniziative culturali di vasto respiro giovasse
in misura notevole. A favorire l’inversione di tendenza contribuì non poco l’approvazione
della legge 512 del 1982. Con quel provvedimento, infatti, veniva fissata tutta una serie
di incentivi rivolti a incoraggiare la proprietà privata a effettuare interventi di conservazione
e manutenzione degli edifici storico-artistici vincolati. Sino a quel momento i beni in
questione erano considerati dal fisco come generatori di reddito, destinato naturalmente
a incrementarsi e quindi a procurare risorse all’erario, anche quando essi non potevano avere,
per le loro caratteristiche, alcuna destinazione a finalità economiche. La nuova legge, invece,
stabiliva il principio che il proprietario del bene vincolato aveva la possibilità di dedurre
dal proprio imponibile gli oneri sostenuti per i restauri e la manutenzione degli edifici di sua
proprietà, sanando così l’anomalia consistente nell’assoggettare a imposizione spese per
lo più improduttive di reddito.
Ma ancor più importante ai fini della promozione di iniziative di restauro a opera
dei privati era quella parte della legge che considerava deducibili dall’ammontare dei redditi
«le erogazioni liberali in denaro a favore dello Stato, di enti o istituzioni pubbliche, di fondazioni,
di associazioni legalmente riconosciute che senza scopo di lucro svolgono o promuovono attività
di studio, di ricerca e di documentazione di rilevante valore culturale e artistico, effettuate
per l’acquisto, la manutenzione, la protezione o il restauro delle cose indicate nell’articolo 1 della
legge 1° giugno 1939, n. 1089 [omissis] comprese le erogazioni effettuate per l’organizzazione
di mostre e di esposizioni che siano di rilevante interesse scientifico-culturale delle cose anzidette,
e per gli studi e le ricerche eventualmente a tal fine necessari».
Anche se la deduzione dal reddito era soltanto parziale e le condizioni necessarie
per ottenerla non sempre facilmente realizzabili, si trattò di una vera e propria rivoluzione,
che vide moltiplicarsi in maniera impressionante, da parte delle imprese industriali e ancor
più del sistema bancario, i casi di sponsorizzazione di interventi di restauro e recupero,
nonché di iniziative le più svariate, purché potessero fregiarsi dell’appellativo di «culturali».
Dieci milioni qui, dieci milioni là, le domande arrivano a centinaia, rivoli di denaro
che a fine anno rappresentano, per le aziende, miliardi, ma anche uno degli aspetti credibili
della vita culturale torinese.
Forse le cose non stavano proprio come scriveva La Repubblica del 13 settembre
1991, ma indubbiamente, nel volgere di pochi anni, il clima era completamente mutato, anche
perché nel frattempo stavano mutando i soggetti e i contenuti del complesso rapporto che
intercorre tra l’opera d’arte, o più in generale il bene culturale, e la sua tutela, la sua
valorizzazione, la sua promozione. Alla figura del mecenate tradizionale, persona fisica,
singolo protettore illuminato delle arti e degli artisti, si stava sostituendo con frequenza
crescente il mecenate collettivo rappresentato dall’impresa o, comunque, dal soggetto
con finalità economiche, che non si identificavano più in questo o quell’individuo, ma
nel marchio, o «logo», sociale.
Certo, anche l’impresa, talvolta, era indotta a comportarsi come il mecenate
tradizionale, ad esempio facendosi progettare gli immobili sociali da architetti di grido, e poi,
una volta ultimati, abbellendoli con statue di artisti famosi e arredando le sale con dipinti
di pittori celebrati. Ma si trattava di una coperta che diventava sempre più stretta, e che,
soprattutto, non assicurava visibilità.
DOMENICO FERRI E GIUSEPPE BOLLATIPALAZZO CARIGNANO,
FACCIATA, 1864-1871
8 1. incomincia l’avventura 9un’Avventura TORINESE
Questa poteva essere garantita soltanto da interventi rivolti al pubblico,
possibilmente condivisi dalla collettività entro la quale venivano posti in essere, e perciò
stesso riconoscibili. E proprio l’attitudine dell’impresa a comportarsi di volta in volta sia come
mecenate tradizionale sia come mecenate collettivo dimostrava quanto fosse artificiosa
la distinzione, che pure da qualche parte era stata adombrata, fra il mecenate, persona
disinteressata, mossa unicamente dal sacro fuoco dell’arte, e lo sponsor, soggetto mosso
da finalità meno nobili, come potevano essere il ritorno d’immagine, o addirittura il ricavo
economico.
L’impresa era dunque il nuovo mecenate. Se questa affermazione era vera, allora,
come osservava il Lessico dei beni culturali, «occorre che il mecenatismo testimoni
la responsabilità etica e sociale dell’impresa e contribuisca a sviluppare una relazione positiva
tra questa e il contesto esterno. Perché ciò avvenga le imprese debbono tralasciare iniziative
estemporanee e disparate e diventare protagoniste stabili dell’attività artistica, culturale,
ecologica, umanitaria attraverso la realizzazione di un progetto di lungo periodo, fondato
su una continuità di valori condivisi. Devono, insomma, ascoltare di più
la società e rispondere alle esigenze che essa manifesta, non solo in
termini economici, ma anche mettendo a disposizione la propria
struttura e le proprie risorse manageriali e organizzative».
Non era dunque improprio che i media parlassero di un
"nuovo Rinascimento", individuando negli imprenditori i nuovi
mecenati destinati a rinverdire le gesta dei loro predecessori: «Nel
Rinascimento erano principi e signori amanti delle belle arti, adesso
PELAGIO PALAGIPALAZZO REALE,
CANCELLATA,
1834
10 1. incomincia l’avventura 11un’Avventura TORINESE
sono banche e società assicurative. Una volta finanziavano costruzioni, edifici, affreschi
e ritratti, chiese e basiliche, ora parte delle loro ricchezze le impiegano per mantenere restauri,
consolidamenti, salvataggi, scoperte». Ma a ben guardare, la situazione, rispetto al primo
Rinascimento, non era poi molto cambiata: in fondo, anche i Medici avevano iniziato come
operatori economici…
A destare l’interesse, e l’ammirazione, della stampa era la natura privatistica degli
interventi, la capacità delle imprese di macinare profitti su profitti, dopo gli anni opachi e per
molti versi preoccupanti del decennio 1970-1980. E, accanto a questi risultati, destavano
ammirazione anche la volontà delle imprese di investire una parte dei profitti in cultura
e la loro capacità di gestire proficuamente risorse anche su terreni certamente poco familiari,
quali quelli del recupero e del restauro dell’opera d’arte.
In sostanza, sosteneva l’articolista, «le strutture private quando affrontano
problematiche legate ai beni culturali hanno sempre la loro costante e giusta conduzione
imprenditoriale e dimostrano, soprattutto, di essere in grado di affrontare problemi
di carattere socio-culturale, in chiave economica, meglio dello Stato». Donde la provocazione:
«E se privatizzassimo l’assessorato ai Lavori Pubblici?».
In questa scoperta della capacità del privato sul pubblico vi era forse un eccesso
di enfasi, ma indubbiamente le realizzazioni che si potevano concretamente verificare erano
molte, e tutte importanti. Gli anni attorno al 1990 rappresentarono per molti versi
un momento magico per la sponsorizzazione di grandi interventi, che coinvolsero molti
degli edifici-simbolo della realtà torinese. In un arco di tempo brevissimo si ebbero interventi
di grande portata sulla Basilica di Superga, il Museo Egizio, la chiesa dei Santi Martiri
(tutti sponsorizzati dalla neonata Compagnia di San Paolo); altri interventi riguardarono
invece la Palazzina di Caccia di Stupinigi, il Castello di Rivoli, il primo piano di Palazzo Reale
(sponsorizzati da Fiat e Fondazione CRT). Contemporaneamente, sempre a cura degli stessi
soggetti venivano allestite grandi mostre come «Da Leonardo a Rembrandt» o quella delle
«Porcellane e Argenti del Palazzo Reale di Torino» o ancora quella sulla pittura russa
al Lingotto.
Tutti impegni, come si può notare, di notevole rilievo, che comportavano
investimenti di molte decine di miliardi, e quindi alla portata di grandi realtà economiche,
e dai quali restava pertanto esclusa tutta una serie di soggetti che, se pure estremamente
significativi nel panorama industriale ed economico cittadino, non erano adusi a stanziare
singolarmente le ingenti risorse necessarie a realizzare sponsorizzazioni individuali.
La risposta era nelle cose. La forma associativa poteva dare voce a questi soggetti
e consentire loro, con investimenti individuali adeguati, di realizzare interventi di rilievo.
Qualcosa del genere stava avvenendo anche a Bologna, dove 76 industriali si erano
associati, sotto l’egida dell’Unione Industriale, in un’alleanza degli imprenditori per la cultura,
impegnandosi a fornire le risorse necessarie per salvare dal degrado la statua del
Giambologna in piazza Maggiore. Quella poteva essere una prima risposta, ma era soltanto
parziale, in quanto prendeva in considerazione un singolo intervento senza darsi prospettive
di continuità, e inoltre l’adesione di un numero così elevato di imprese era dovuta al carattere-
simbolo dell’opera che si intendeva restaurare. Tutti i bolognesi, infatti, si identificavano
nel popolarissimo «Gigante», come confidenzialmente veniva chiamata la statua del Nettuno.
Se anziché intervenire su un monumento emblematico si fosse dovuta operare una scelta
fra diverse opzioni, fatalmente le opinioni, e gli interessi, avrebbero preso a divaricarsi
e sicuramente l’adesione al progetto non sarebbe stata così elevata.
A Torino si cercò di evitare questi inconvenienti dando vita a un organismo che fin
dall’inizio presentò caratteristiche originali. L’idea prese corpo nel corso del 1986 attraverso
una serie di incontri informali fra alcune persone che, a titolo privato e per ragioni
di lavoro, erano coinvolte nella vita sociale di Torino. Preoccupate, da un lato, per le evidenti
necessità culturali della città e, dall’altro, per il fatto che la mancanza di risorse pubbliche
generava una proliferazione di richieste, cercarono di rispondere con una distribuzione
razionale dei finanziamenti.
Per evitare, o quanto meno cercare di ridurre, questi inconvenienti, si suggeriva
che fra i soggetti interessati venissero organizzate delle riunioni che consentissero di operare
FILIPPO JUVARRAARCHIVIO DI STATO,
FACCIATA, 1731
12 1. incomincia l’avventura 13un’Avventura TORINESE
scelte collettive in grado di evitare duplicazioni d’interventi e, soprattutto, di individuare
un ordine di priorità, così da concentrare di volta in volta le risorse disponibili su pochi
obiettivi, ma di vasto respiro.
È opportuno ricordare quali furono le aziende iniziatrici: Utet, SKF, Gruppo GFT, Fiat,
Cassa di Risparmio di Torino, Sai-Società Assicuratrice Industriale, SEI, Toro Assicurazioni,
Ilte, Recchi Costruzioni, Martini & Rossi, con l’Unione Industriale di Torino a fare da trait-d’union.
La presenza di grandi realtà come Fiat e Cassa di Risparmio di Torino, che già operavano
a tutto campo per conto loro, non deve stupire. Da un lato era loro utile interagire con altri
soggetti, perché gli interventi realizzati in forma associata potevano assicurare meglio che
non nel caso della scelta operata singolarmente le condizioni di riconoscibilità e condivisibilità
che sono alla base del gradimento sociale dell’impresa. Dall’altro lato, la presenza delle grandi
imprese consentiva a tutti gli aderenti di accedere a forme di competenza e di esperienza
su terreni ancora poco familiari. Coerentemente con il carattere subalpino dell’iniziativa,
in un primo momento si decise di non isti -
tuzionalizzare gli incontri né, tanto meno, di dare
forma giuridica (associazione, fondazione) al
nuovo organismo che si veniva creando.
I partecipanti dovevano ritenersi vincolati ad
adottare regole comuni di comportamento sulla
base di una semplice «dichiarazione di intenti»
che ciascuno di essi era chiamato a sottoscrivere.
Muovendo «dal comune intento di
migliorare, anche mediante un’azione libera -
mente concertata, la situazione del patrimo -
nio culturale torinese, importante ma in grave
degrado e scarsamente valorizzato», i sotto -
scrittori manifestavano l’intenzione «di scam -
biarsi i dati in proprio possesso sulla situazione
anzidetta, di informarsi reciproca mente sulle
attività e progetti propri e altrui riguardanti i beni
culturali cittadini, di consultarsi per individuare,
scegliere e organizzare iniziative non effimere
a beneficio di tali beni, da sponso rizzarsi con
il concorso di tutti gli aderenti» ed even tual -
mente anche di terzi.
Ad accentuare il carattere informale dell’iniziativa, si escludeva che potesse esservi
una sede fissa: le riunioni sarebbero state ospitate, di volta in volta, presso una delle imprese
partecipanti e sarebbero state presiedute dal rappresentante dell’ente ospitante.
Al più, si sarebbero affidati eventuali compiti di segreteria all’Unione Industriale.
Un’organizzazione, dunque, estremamente flessibile e leggera, che non voleva neppure
gravarsi di oneri amministrativi, prevedendo fin dall’inizio che eventuali finanziamenti per
iniziative da sponsorizzare in comune sarebbero stati versati «singolarmente a un ente
esterno, da designarsi di comune accordo, validamente strutturato per effettuare le necessarie
erogazioni e per compiere tutti quegli altri atti, anche nei confronti di terzi, necessari o utili
per realizzare concretamente l’iniziativa». La configurazione dell’organismo che scaturiva dalla
lettera d’intenti non solo corrispondeva ai requisiti della legge 512/1982 (dal momento che
si trattava di erogazioni liberali in favore di un ente – da individuare – legalmente riconosciuto
e senza scopo di lucro, che fosse in grado di attivare tutte le iniziative necessarie per realizzare
il progetto), ma corrispondeva anche alle
aspettative, e diciamo pure alla cautela, delle
imprese partecipanti. Tanto che, a conclusione
del documento, si avvertiva ancora la necessità
di precisare che «non si intende[va] costituire
alcuna associazione, comitato od altra entità
autonoma giuridicamente rilevante, ma si voleva
soltanto stabilire alcune regole di compor -
tamento per realizzare un’efficace azione
concertata a beneficio dei beni culturali della
città di Torino». In sostanza, erano i principi di
correttezza e buona fede a regolare i rapporti
fra i sottoscrittori. In questa fase, la deno -
minazione di «Consulta» incominciava a circo -
lare ed era riportata in testa ai documenti che
venivano prodotti in occasione delle diverse
riunioni, ma non era ancora ufficializzata,
né l’organismo disponeva di un logo proprio.
Ora, l’esperienza insegna che orga -
nismi siffatti, privi di una struttura permanente,
costituiti su base volontaristica, mancanti di
una sede stabile, anche quando sono composti
UMBERTOMASTROIANNITEATRO REGIO,
ODISSEA MUSICALE,
1994
PALAZZO CARIGNANOAULA
DEL PARLAMENTO
SUBALPINO,
1848
14 1. incomincia l’avventura 15un’Avventura TORINESE
da persone fortemente calate nella realtà economica e produttiva – come sono, appunto,
i responsabili di impresa – raramente riescono a superare lo stadio dell’infanzia; di solito
vanno ad arenarsi sulle secche dell’impegno quotidiano, che non lascia tempo e spazio per
divagazioni certamente piacevoli, ma altrettanto sicuramente non prioritarie. Molto spesso,
una volta conclusa l’iniziativa che aveva determinato l’aggregazione dei soggetti, e prima
che le circostanze suggeriscano di dar loro veste più istituzionale, questi organismi si
sciolgono, se non formalmente, almeno di fatto: le riunioni si diradano, le discussioni si fanno
più svogliate, i tempi di decisione si dilatano. E poi più nulla.
Che una simile sorte non sia toccata alla Consulta, ma che anzi essa abbia potuto
raggiungere la maturità, superando la fase dell’aggregazione informale per darsi veste
e sostanza di associazione, è un evento raro, da studiarsi, nel caso specifico, con la massima
attenzione. È probabile che all’origine del successo della Consulta vi sia stata la rapidità
di decisione nella scelta del primo intervento. In questo caso, la scelta non si prospettava per
nulla facile, poiché tali e tante erano le situazioni di degrado di importanti edifici storici
cittadini, che diventava arduo individuare un ordine di priorità. La chiesa di San Filippo era un
esempio illuminante: come riferiva La Repubblica, l’edificio presentava «tetti parzialmente
sfondati, pareti intrise di umidità; stucchi e marmi del pronao corrosi dallo smog».
A complicare le cose, l’incertezza sulla titolarità del soggetto in capo al quale sarebbe
toccato provvedere anche soltanto all’ordinaria manutenzione: se il demanio, cui l’edificio
era stato conferito in base alla legge sull’avocazione dei beni ecclesiastici, o i padri filippini,
ai quali esso era stato successivamente riaffidato, pur mantenendone lo Stato la proprietà.
In realtà, non c’era che l’imbarazzo della scelta. A convincere i promotori della
Consulta della necessità e urgenza di intervenire, si inserì anche una severa, e impietosa,
critica proveniente dall’estero. In un lungo articolo comparso sull’edizione europea
dell’Herald Tribune, e rilanciato da La Stampa, venivano raccontate le impressioni prodotte
dalla visita a tre importanti strutture museali di Torino: il Museo d’arte antica di Palazzo
Madama, la Galleria Sabauda e il Museo Egizio. Nel primo caso si faceva riferimento a opere
di primissimo piano, capolavori assoluti, annegati fra opere mediocri e quasi nascosti.
Come nel caso del Ritratto di Ignoto di Antonello da Messina, che secondo l’autore
dell’articolo avrebbe meritato «uno spazio tutto suo al Metropolitan Museum di New York»,
mentre giaceva mimetizzato fra opere di secondo piano. E analoga sorte toccava alla Vergine
e il Bambino, di Ambrogio Benson, quasi nascosta.
La situazione, poi, non era migliore per il Museo Egizio, che pur essendo molto
conosciuto nel mondo, lasciava molto a desiderare. Pur esponendo statue come quelle dei
faraoni Thutmosi III e Ramsete II, invidiate dal Louvre e dal British Museum, e collezionando
16 1. incomincia l’avventura 17un’Avventura TORINESE
capolavori di scrittura su papiri di cui era difficile trovare traccia, aveva
preferito mettere in risalto altri reperti più tradizionali. Per non parlare,
poi, della Galleria Sabauda, dove «una coppia di angeli in volo del Beato
Angelico, un’Incoronazione della Vergine di Bernardo Daddi e un San
Francesco che riceve le stimmate di Van Eyck sono soltanto citati
saltuariamente nelle guide del Museo e non sono nemmeno raffigurati
con una foto».
Anche la conclusione della Stampa era altrettanto severa, per non
dire polemica. Quelli posti dall’Herald Tribune erano «interrogativi
imbarazzanti, a cui ieri le autorità cittadine non hanno potuto rispondere:
il sabato è festa». In realtà, i responsabili avrebbero risposto qualche
giorno più tardi, rispolverando le consuete giustificazioni legate alla mancanza di risorse,
al fatto di aver utilizzato a scopi museali edifici progettati per altri usi; più in generale,
respingendo con aristocratico sussiego la concezione del museo come «vetrina da grande
magazzino» che, secondo loro, le critiche dell’Herald Tribune lasciavano sottintendere.
Ma il sasso nello stagno era stato lanciato al momento giusto. Già fin dal 13 ottobre
1986 gli aderenti alla Consulta, nel corso di un’apposita riunione, avevano preso in esame
diverse opzioni, che andavano dalla sistemazione dell’Aula del Parlamento Subalpino,
in Palazzo Carignano, al restauro delle facciate delle chiese di San Carlo e Santa Cristina,
al riordino dell’Armeria Reale, cui si aggiungeva la proposta di organizzare una mostra
dei disegni leonardeschi conservati nella Biblioteca Reale. Erano tutte situazioni delle quali
la Consulta avrebbe avuto modo di occuparsi in seguito, come pure si sarebbe occupata della
chiesa di San Filippo, ma nell’immediato si ritenne più opportuno saggiare la propria capacità
operativa con interventi che richiedessero un impegno gravoso, in termini sia di risorse sia
di difficoltà tecnica. Fra le diverse opzioni allo studio venne perciò approvata la proposta
di finanziare il rifacimento dell’impianto antincendio e la ripulitura del soffitto dell’Aula
del Parlamento Subalpino in Palazzo Carignano, che proprio per le sue carenze in materia
di sicurezza era chiusa ormai da anni, e quindi sottratta alla fruibilità di quanti visitavano
il Museo Nazionale del Risorgimento.
Anche se si trattava di un intervento con una previsione di spesa che non superava i
cinquanta milioni di lire, esso aveva comunque il pregio di consentire una verifica accurata
della capacità di dialogo fra la Consulta e l’ente al quale sarebbe andata – in ottemperanza
alle disposizioni della legge 512/82 – l’erogazione liberale da essa predisposta perché
provvedesse alla «manutenzione, protezione o restauro» dell’Aula in questione, entro i limiti
fissati. Per ottemperare a questa disposizione, era stato stipulato un accordo con la Società
DISEGNO DEL SALONE
DI S.A.S. IL PRINCIPE
DI CARIGNANO,
NEL MODO
CHE FU ORNATO
PER LA MAGNIFICA
FESTA DA BALLO
DEL MEDESIMO DATASI
IN OCCASIONE
DEGLI SPONSALI
DELLE LL.AA.RR.
IL DUCA
E LA DUCHESSA
DI SAVOIA
1750,
BIBLIOTECA REALE
PALAZZO CARIGNANO
LA FOLLA DAVANTI
AL PALAZZO
IL GIORNO
DELL’INAUGURAZIONE
DEL PARLAMENTO
18 1. incomincia l’avventura 19un’Avventura TORINESE
in uno Stato moderno, in grado di sostenere con successo il peso della seconda guerra
d’Indipendenza. Ma soprattutto furono i dibattiti – anche quelli minori – che si svolsero in
quell’Aula a fare del Regno di Sardegna l’unico esempio di democrazia parlamentare esistente
in quel momento in Italia. Mentre tutti gli altri sovrani d’Italia, e quasi tutti quelli d’Europa,
si erano prontamente rimangiati le concessioni che i moti di piazza del 1848 avevano
strappato loro, il re di Sardegna aveva mantenuto fede all’impegno assunto con lo Statuto.
L’Aula del Parlamento Subalpino, ripetutamente modificata per ottemperare a nuove
esigenze, avrebbe ospitato anche le prime sedute del Parlamento Italiano, per cessare
definitivamente di essere utilizzata il 18 ottobre 1860, quando i deputati del neonato Regno
d’Italia si trasferirono nella sala provvisoriamente costruita nel cortile del palazzo stesso.
Da quel momento, per l’Aula iniziò una nuova vita. Essa venne ripetutamente
utilizzata per ospitare congressi di particolare importanza, e fu il fulcro delle mostre storiche
che periodicamente vennero organizzate a Torino, finché, trasferito a Palazzo Carignano
il Museo Nazionale del Risorgimento, entrò naturalmente a far parte del percorso museale,
del quale costituiva la componente più significativa.
In tutta questa lunga vicenda l’Aula era già stata oggetto di ripetuti interventi:
specialmente nel 1948, in occasione del centenario dello Statuto, e nel 1961, per le
celebrazioni del centenario dell’Unità nazionale. Interventi, va detto subito, non sempre
meditati, condotti più col criterio della manutenzione, che comporta la sostituzione delle parti
usurate, che non con quello del restauro, che punta invece al recupero dell’esistente.
Si doveva perciò operare un intervento di carattere esclusivamente conservativo, attenendosi
all’immagine che l’Aula presentava al momento della sua ultima seduta e non a quello della
sua nascita. Innanzitutto si doveva seguire un criterio assolutamente omogeneo nel trattare
le numerose parti decorative dorate che, da seggi, lampadari, cornici, capitelli, festoni,
mensole, connotavano l’insieme e che in passato erano state svilite da riprese con bronzine,
e attualmente risultavano pericolanti per effetto di estesi sollevamenti.
Quindi bisognava operare per il consolidamento e la pulitura delle parti originarie,
procedendo a un’integrazione contenuta, per non cadere nel tranello di una sfavillante,
e stucchevole, ridoratura. Analogamente ci si doveva comportare per il consolidamento
dell’apparato ligneo e dei lampadari a muro, nonché per la pulitura e il consolidamento delle
parti tessili. Poiché non era più previsto che l’Aula venisse utilizzata per riunioni, ma avesse
una destinazione esclusivamente museale, fu possibile escludere interventi di sostituzione
o di rifacimento che avrebbero in qualche misura snaturato l’insieme.
L’intenzione di procedere al restauro dell’Aula del Parlamento Subalpino venne
presentata alla cittadinanza e alla stampa il 19 ottobre 1987, in concomitanza con
Piemontese di Archeologia e Belle Arti in base al quale essa, con le risorse messe
a disposizione dalla Consulta, avrebbe dovuto realizzare, previo riconoscimento di una quota
di servizio, l’intervento che era stato deciso.
Era però di tutta evidenza che la modestia dell’impegno che stava assumendo non
avrebbe consentito alla Consulta di presentarsi all’opinione pubblica in modo adeguato
all’importanza delle aziende che ne facevano parte e, soprattutto, al ruolo che essa intendeva
assumere nel panorama culturale torinese. Il fatto che dodici fra i nomi più importanti
dell’industria e della finanza cittadine si impegnassero a sostenere un intervento del valore
complessivo di circa cinquanta milioni di lire, rischiava addirittura di essere controproducente.
Bisognava perciò pensare a un intervento di maggiori dimensioni che, al momento della
presentazione ufficiale, assicurasse alla Consulta la necessaria visibilità.
Vennero prese in esame diverse opzioni. Fra le altre, si pensò di procedere
al restauro delle facciate delle chiese di San Carlo e Santa Cristina. L’idea però venne
accantonata, sia perché il progetto di restauro risultava troppo oneroso (un miliardo
e quattrocento milioni per le sole facciate, escludendo le statue), ma soprattutto perché
avrebbe richiesto troppo tempo, mentre vi era la necessità di individuare «progetti di più facile
e pronta realizzazione e di immediata efficacia nei confronti del pubblico». La soluzione più
ragionevole non poteva che essere quella di ampliare l’intervento su Palazzo Carignano.
E così, ad appena una settimana dalla precedente decisione, si stabilì di «aggiungere
ai due interventi su Palazzo Carignano […] il restauro dell’Aula del Parlamento Subalpino,
portando la spesa totale a 220 milioni»: un onere significativo e al tempo stesso compatibile
con l’impegno economico che gli aderenti alla Consulta intendevano assumere.
Questa decisione aveva un forte significato simbolico. Il Palazzo Carignano, già
dimora avita di Carlo Alberto, era stato da questi ceduto al demanio all’atto della sua
proclamazione a re di Sardegna e aveva subito alcuni rimaneggiamenti per renderlo adatto
a nuovi usi, come l’insediamento della Direzione Generale delle Regie Poste. Promulgato
lo Statuto il 4 marzo 1848, si erano trovati in Palazzo Madama gli spazi idonei per l’Aula del
Senato, e si era scelto il Salone da ballo di Palazzo Carignano per ospitare l’Aula della Camera
dei Deputati. I lavori, condotti con straordinaria celerità, consentirono di tenere la prima
riunione già l’8 maggio. Da quel momento quell’Aula rappresentò il cuore, l’epicentro delle
aspirazioni nazionali dei patrioti italiani. È lì che si sarebbero prese le grandi decisioni, quelle
che, attraverso sconfitte e vittorie, delusioni e speranze, avrebbero portato – sempre nello
stesso luogo – alla proclamazione del Regno d’Italia. È lì che Cavour avrebbe condotto quelle
battaglie parlamentari che consentirono di trasformare, nel «decennio di preparazione»,
il Piemonte da una condizione statica, di piccola realtà marginale in ritardo sul progresso,
1. incomincia l’avventura 2120 un’Avventura TORINESE
la presentazione ufficiale della Consulta. Era la prima volta, come ebbe modo di sottolineare
nella conferenza stampa il coordinatore del gruppo e direttore generale della Martini & Rossi,
Aimone di Seyssel d’Aix, «che dodici aziende ed enti decidono di mettersi insieme
per concentrare le proprie disponibilità economiche e utilizzare le proprie capacità tecniche
e professionali per la salvaguardia e la valorizzazione delle ricchezze storiche, artistiche
e culturali della città».
La costituzione della Consulta venne accolta con grande plauso dai rappresentanti
dell’amministrazione cittadina, intervenuti alla presentazione, ma furono soprattutto i giornali
a cogliere appieno il senso e la portata dell’iniziativa. Come osservava qualche giorno dopo
in un suo editoriale Italia Oggi, «Torino ha dunque voglia di vincere. Da tempo non
si accontenta più di essere la città dell’auto o di ospitare la massima concentrazione di robot
e di laser, di controllare più del 30 per cento della Borsa o di possedere imprese e società
in mezzo mondo. Oggi vuole darsi una nuova immagine e contare davvero anche nel mondo
della cultura».
In quel 19 ottobre – che può essere assunto come data ufficiale di nascita della
Consulta – il battesimo era dunque riuscito e il primo intervento avviato con unanime
consenso. Diventava quindi necessario che il sodalizio superasse la fase sperimentale
per darsi un assetto più stabile e, soprattutto, più strutturato. Non era immaginabile, infatti,
che la gestione di interventi complessi e costosi – prevedibilmente più complessi e più costosi
di quello riguardante l’Aula di Palazzo Carignano – potesse rimanere affidata al buon volere
e alla disponibilità di tempo di persone che, per l’importanza dei ruoli rivestiti, erano già
naturalmente oberate di impegni; né era più sostenibile che per gli interventi futuri dovesse
continuare a valere il principio dell’unanimità. In altre parole, occorreva che la Consulta
si desse uno statuto attraverso il quale si definissero gli organi direttivi, i criteri di formazione
delle decisioni, la titolarità della rappresentanza verso terzi. Inoltre, pur mantenendo
la Consulta tutta l’agilità e la flessibilità che l’avevano caratterizzata sin dall’inizio era
indispensabile che si dotasse di un minimo di struttura, in grado di assicurare continuità
all’azione burocratico-amministrativa, specialmente nei confronti delle pubbliche autorità
e delle istituzioni di tutela, come era richiesto dalla natura stessa degli interventi che
si intendeva realizzare.
In altre parole, era indispensabile che, da sodalizio informale come era stata sino
a quel momento, la Consulta si trasformasse in un’associazione vera e propria, dotandosi di
uno statuto in grado di regolare i rapporti fra gli aderenti, «che rafforzi i legami tra gli enti
partecipanti e dia alla Consulta una organizzazione più stabile ed efficiente»; questa esigenza
era già stata espressa in una riunione del 17 giugno 1987, e quindi ben prima della
presentazione ufficiale. La Consulta aveva finalmente una sede riconosciuta, stabilita presso
l’Unione Industriale; si dava degli organi direttivi – presidente, consiglio –; prevedeva incarichi
operativi – segretario, tesoriere –; fissava i poteri e l’ambito di validità delle deliberazioni
dell’assemblea. Di particolare rilievo era la disposizione secondo la quale competeva
all’assemblea «l’approvazione dei progetti culturali da finanziarsi», approvazione che
richiedeva, per diventare operativa, la «maggioranza assoluta dei soci». Non era una novità
di poco conto. Infatti, fin dall’inizio, le decisioni venivano assunte all’unanimità.
Anche nel prosieguo dell’attività era auspicabile che le scelte venissero approvate
dalla totalità degli aderenti, e nei fatti il principio dell’unanimità continuò a trovare
applicazione, ma, in prospettiva, non si poteva razionalmente escludere che sorgessero
divergenze di opinione, sempre possibili anche per effetto dell’allargamento del numero
dei soci, provocando approfondite mediazioni.
PALAZZO CARIGNANO
AULA
DEL PARLAMENTO
SUBALPINO,
1848
l’attenzione si concentrasse anche sull’organismo che aveva consentito quel risultato.
E anche se, oggettivamente, quel restauro andava considerato come un intervento
medio, soprattutto rispetto a molti di quelli che sarebbero venuti in seguito e che avrebbero
comportato ben altri impegni di risorse finanziarie e tecniche, ciò non toglie che, come
sottolineava La Stampa «la riapertura dell’aula deve essere considerata come un avvenimento
eccezionale nel panorama sinistrato dei monumenti storici torinesi. Dimostra in modo
inequivocabile come l’intervento dei privati […] consente di compiere rapidamente imprese
altrimenti impossibili per l’amministrazione pubblica».
La prova del fuoco era stata superata; ora la navicella della Consulta poteva
avventurarsi in mare aperto.
1. incomincia l’avventura 2322 un’Avventura TORINESE
PALAZZO CARIGNANOAULA
DEL PARLAMENTO
SUBALPINO,
1848
In questo modo, invece, la Consulta si presentava come un organismo originale, se
non addirittura unico, nel panorama delle iniziative culturali italiane. Con lo statuto, nasceva
una struttura democratica, costituita su basi paritarie, nella quale tutti gli aderenti, quale che
fosse la loro forza economica, contribuivano in misura uniforme per «migliorare, nell’ambito
della Regione Piemonte, la situazione del patrimonio culturale piemontese, organizzando
iniziative a beneficio di tali beni»; iniziative che, comunque, per venire assunte avrebbero
dovuto presentare, a livello di pubblica opinione, i requisiti della massima condivisione
e riconoscibilità.
Nel consolidare l’avvio dell’attività della Consulta, la scelta di intervenire sull’Aula del
Parlamento Subalpino si rivelò particolarmente felice, in quanto assicurò all’intervento ampia
risonanza. L’inaugurazione dei restauri, avvenuta l’8 maggio 1988, a centoquarant’anni esatti
dalla prima seduta, trovò notevole eco sui quotidiani e sulle riviste dell’epoca, e fornì ampi
spunti per una rilettura in chiave patriottica delle vicende risorgimentali e del ruolo che la città
di Torino ebbe a svolgere in quelle circostanze.
Poiché l’Aula era rimasta chiusa per parecchio tempo, non erano molti coloro che
ricordavano com’era. E allora non stupisce che molti si meravigliassero delle sue ridotte
dimensioni. «A vederla ora, la piccola aula quasi intenerisce: non solo perché la sua data
di nascita ci riporta indietro a un momento tumultuoso e drammatico della nostra storia […]
ma anche perché, minuscola com’è, con quel suo aspetto composto di teatrino di corte,
le manca del tutto la plumbea imponenza dei luoghi della storia».
Ma di storia, in quell’Aula, se pure aveva funzionato per un tempo certamente non
lungo, ne era passata molta. Era lì che per la prima volta un Parlamento liberamente eletto
discusse e assecondò «l’ambizioso disegno strategico che doveva porre il Piemonte alla guida
del moto unitario». Certo, quei deputati erano espressione di un corpo elettorale ristretto,
rappresentativo soltanto di una parte esigua della popolazione – quella che poteva contare
su un censo annuo di quaranta lire in Piemonte e di venti in Liguria e Savoia –
ma rappresentavano una «classe dirigente di alto livello morale», sulla quale rifulgeva
la «figura di Cavour che riuscì a sferrare il colpo decisivo per creare in un regno costituzionale
un governo parlamentare». Come ebbe modo di sottolineare Giovanni Spadolini, in quel
momento presidente del Senato, nell’inaugurare l’Aula restaurata, «le spinte ideali
e i movimenti politici che hanno indotto le diverse forze della Costituente repubblicana
si sono ispirate a quei valori risorgimentali, tuttora presenti con la difesa dell’unità nazionale,
l’amore per la libertà e il rifiuto di ogni suggestione totalitaria»; valori che la «piccola»
aula bene simboleggiava.
Era inevitabile che, riaccendendo i fari su un luogo-simbolo dell’unificazione nazionale,
2. facciate 2524 un’Avventura TORINESE
2. FACCIATE
La prima uscita pubblica della Consulta sortì l'effetto del classico sasso
nello stagno, le cui onde si propagano per cerchi concentrici sempre più larghi.
I giornali, ma anche le pubbliche autorità e più in generale l'opinione pubblica,
si accorgevano che era sorto un organismo che, operando con serietà
e costanza, riusciva a dare qualche risposta concreta per contrastare il degrado
del patrimonio storico e artistico della Città. E vi riusciva - fatto ancor
più sorprendente - rispettando i tempi di realizzazione previsti. In un Paese
nel quale qualsiasi intervento richiedeva per essere completato ripetute
proroghe dei termini, il rispetto delle previsioni era qualcosa di inusitato,
comunque un fatto di cui si era persa la memoria.
Non stupisce, quindi, che sull'onda di quel primo successo altri enti
e istituzioni abbiano cercato di esportarlo. Partendo dalla constatazione che
«il matrimonio tra impresa e cultura nel nostro Paese è ormai un dato
consolidato nella sua molteplicità di espressioni», la Confindustria, in
occasione della prima «Settimana della Comunicazione d'Impresa» iniziata
il 2 maggio 1988, per consolidare e razionalizzare l'intervento delle aziende
in campo culturale propose la costituzione di «una consulta permanente
di imprese pubbliche e private».
Nelle intenzioni della Confindustria doveva trattarsi di «uno strumento
operativo con funzioni interne di coordinamento e servizio e di approccio
esterno con il sistema pubblico, destinato soprattutto alle piccole e medie
imprese».
La proposta presentava alcuni aspetti interessanti, soprattutto per quel che
riguardava il coinvolgimento delle imprese pubbliche. In effetti, le aziende che allora facevano
capo al sistema delle Partecipazioni Statali, forse anche perché a differenza dei privati
dovevano rispondere a un azionariato più attento alle ragioni della politica che a quelle
dell'economia, avevano meno difficoltà ad accogliere le richieste di sponsorizzazione di
interventi di recupero o di restauro provenienti dalle pubbliche amministrazioni.
Come veniva ricordato al Convegno «Memorabilia. Il futuro della memoria», che
si era svolto a Roma nei primi giorni del dicembre 1988, l'Italstat aveva realizzato sino a quel
FILIPPO JUVARRAARCHIVIO DI STATO,
FACCIATA, 1731
26 2. facciate 27un’Avventura TORINESE
momento circa cento interventi, «come nessuna impresa non solo in Europa, ma nel mondo».
Un'attività che non si limitava alla pura e semplice sponsorizzazione, ma prevedeva
anche una presenza attiva come esecutori, promotori e organizzatori degli interventi».
Unire il know how, la capacità tecnica e l'esperienza delle aziende pubbliche
e private, poteva dunque essere una buona cosa.
Dove, invece, la proposta mostrava il fianco a critiche era nelle funzioni di «coor -
dinamento» che essa intendeva svolgere. Come venne detto molto chiaramente, la consulta
che si intendeva costituire non poteva «essere uno strumento per consentire allo Stato
di ordinare ai privati gli interventi da compiere».
La precisazione era quanto mai opportuna. Nel fervore di dibattiti che caratterizzò gli
ultimi anni Ottanta capitava di ascoltare le proposte più disparate. Da quelle più ragionevoli,
che riconoscevano ai nuovi mecenati il diritto a gestire in prima persona i fondi che
erogavano, per ottenerne in cambio un ritorno d'immagine da concordarsi semmai, questo
sì, con le Soprintendenze; a quelle più radicali, secondo le quali il privato doveva solo mettere
i soldi, riservandosi alle strutture pubbliche la fase di progettazione e gestione del recupero.
Di fatto, poi, il coordinamento si
sarebbe dovuto applicare a situazioni forte -
men te diversificate, come dimostrava fra l'altro
lo studio intitolato: «Il matrimonio fra industria
e cultura», presentato in quella stessa circo -
stanza dalla Confindustria come il «primo
catalogo delle sponsorizzazioni culturali
italiane». Come osservava il Corriere della Sera,
in quel catalogo si trovava un po' di tutto:
«Il contributo alla settimana musicale accom -
pagnandosi al restauro di un crocefisso, il dono
di un calcolatore a un museo al contributo alla
rassegna espositiva, il documentario affian -
candosi al premio di «fedeltà alle origini»,
il restauro e il riuso di un'antica dimora alla
pubblicazione di un catalogo, i «pro totipi»
di mobili al laboratorio fotografico».
Nella confusione imperante, era quasi
inevitabile che non si andasse oltre la fase della
discussione e che l'idea di dar vita a un orga -
nismo di governo delle sponsorizzazioni finisse per rimanere lettera morta. Del resto,
a un risultato ugualmente negativo doveva pervenire una proposta maturata nel corso del 1988
in ambito esclusivamente piemontese, che coinvolgeva direttamente la Consulta torinese.
La proposta, partita dall'Assessorato alla Cultura del Comune di Torino, mirava
all'istituzione di un comitato per la realizzazione di un programma di iniziative culturali da
svilupparsi nel corso del 1990. In quell'anno si sarebbero svolti i Campionati mondiali di calcio
e anche Torino sarebbe stata interessata all'evento; di qui l'intento di pervenire
«all'elaborazione e alla pubblicazione di un programma completo delle iniziative da realizzarsi
[…] in coincidenza con il prevedibile maggiore afflusso turistico indotto dalle manifestazioni
sportive di quell'anno».
La proposta diede luogo a numerose discussioni che portarono all'idea di costituire
un'associazione, denominata Sviluppo Iniziative Culturali Torinesi (SICT), che avrebbe dovuto
darsi numerose finalità: dal promuovere l'immagine di Torino e del Piemonte, all'analizzarne
la situazione culturale; dal coordinare le iniziative progettate da singoli soggetti, al fornire
indirizzi generali nella pianificazione e organizzazione di programmi culturali.
L'intento era forse eccessivamente
ambizioso, ma il progetto avrebbe comunque
meritato di andare in porto, e la Consulta fu in
prima linea fra coloro che ne studiarono
con attenzione le possibilità di realizzazione.
Se in definitiva non se ne fece nulla, fu
perché ancora una volta si peccò di un eccesso
di razionalizzazione. L'idea di coordinare le
iniziative dei singoli soggetti, rischiava di cozzare
contro le esigenze di visibilità di ciascuno di essi.
Anche se non era detto chiaramente
da nessuna parte, era noto che la filosofia
pre valente in sede ministeriale e presso le So prin -
ten den ze prevedeva che fossero gli orga ni
di tutela a identificare gli interventi di restauro,
a stabilirne le priorità e a gestirli, riservando allo
sponsor unicamente la funzione di ufficiale
pagatore. Il che era l'esatto contrario di quanto
intendeva praticare la Consulta, la quale, per
giunta, grazie anche a una rete di buoni
FILIPPO JUVARRAARCHIVIO DI STATO,
FACCIATA, 1731
2. facciate 29
rapporti personali, era riuscita a creare con le locali Soprintendenze un clima di reciproca
collaborazione, riuscendo a contemperare le prerogative dell'organo di tutela con le
esigenze degli sponsor. Esigenze che, nel caso di un soggetto collettivo come la Consulta,
assumevano caratteristiche particolari. Quieta non movere. Meglio dunque proseguire lungo
il tragitto indicato dalla prima esperienza concreta, la cui felice conclusione lasciava
ben sperare per il futuro. Tanto più che le situazioni alle quali potevano applicarsi i criteri di
«necessità e urgenza» richiesti dalle Soprintendenze per autorizzare l'intervento si sprecavano.
Non c'era che da scegliere, e non era dunque difficile individuare il bene culturale in grado
di soddisfare, di volta in volta, le esigenze di visibilità dei soci della Consulta.
Di fatto, fin da quando era stata avviata la discussione che avrebbe portato alla scelta
di intervenire sull'Aula del Parlamento Subalpino, erano state prese in considerazione varie
opzioni. Fra tutte, a primeggiare era quella riguardante la sistemazione e l'attrezzatura
di qualche locale della Biblioteca Reale, in grado di ospitare un'esposizione, che si sarebbe
desiderata permanente, dei disegni di Leonardo di proprietà della Biblioteca medesima.
Si riteneva infatti che una simile iniziativa rispondesse all'esigenza di rilanciare
l'immagine di Torino e, al tempo stesso, fosse in grado di soddisfare le esigenze di visibilità
dei soci della Consulta. Tentativi in quella direzione erano stati compiuti ripetutamente, ma
avevano sempre cozzato con il fatto che, date le condizioni esistenti, l'esposizione avrebbe
comportato gravi rischi per le opere, non offrendo gli spazi disponibili sufficienti garanzie.
A nulla erano valse le reiterate richieste dell'amministrazione. Come osservava
sconsolato nel settembre 1987 l'assessore alla cultura del Comune di Torino: «Sono partito
chiedendo una mostra che durasse sei mesi per arrivare ad accontentarmi di un mese.
Sarebbe stato importante per Torino poter offrire, ad esempio in occasione di Settembre
Musica che richiama visitatori d'ogni parte d'Italia e del mondo, un appuntamento di questo
prestigio». Ma i tempi non erano maturi, neppure per la Consulta che, dopo aver condotto
un'istruttoria approfondita, dovette riconoscere di non essere in grado di quantificare i costi
dell'operazione e, ancor più, le modalità operative con le quali avrebbe dovuto svolgersi.
Venivano perciò prese in considerazione altre possibilità, in particolare il restauro delle
facciate delle chiese di San Carlo e di Santa Cristina. Situati nella piazza che rappresenta
il fulcro della vita cittadina, i due edifici assicuravano certamente quella visibilità che i soci
della Consulta desideravano, ma anche qui i costi dell'intervento risultavano troppo elevati,
soprattutto se confrontati con quello sostenuto per l'Aula di Palazzo Carignano.
Con tipica prudenza subalpina si optò perciò per una terza soluzione, più tranquilla
sotto il profilo dei costi e più tranquillizzante dal punto di vista tecnico: il restauro della
facciata juvarriana dell'Archivio di Stato.
L'intervento che si intendeva realizzare riguardava indubbiamente un edificio
di grande prestigio. L'Archivio non era nato, infatti, come un qualsiasi edificio da destinare
a uffici governativi non importa di che genere, ma fin dalla progettazione era stato destinato,
con lungimiranza, alla funzione specifica di garantire al sovrano la conservazione e l'efficace
uso dei titoli giuridici e della documentazione necessaria per una politica interna ed estera
di largo respiro. È nelle carte conservate nell'Archivio e nella facilità della loro reperibilità
grazie a una sistemazione razionale, che veniva documentata ed esibita la legittimità del sovrano,
che venivano avallate le sue pretese di dominio sui territori al di qua e al di là delle Alpi.
E non è un caso che l'Archivio sia stato costruito a fianco del Palazzo Reale, al quale
era, ed è ancora, direttamente collegato attraverso l'edificio, che pure si stava costruendo
negli stessi anni, delle Segreterie di Stato.
In fondo, occuparsi dell'Archivio di Stato, aveva la stessa valenza simbolica
dell'intervento realizzato sull'Aula del Parlamento Subalpino. In quest'ultimo caso si era
intervenuti sul luogo che conservava le memorie più sacre dell'epopea risorgimentale;
nell'altro si interveniva sull'edificio che conservava le memorie del lungo cammino compiuto
28 un’Avventura TORINESE
PALAZZO DELL’ACCADEMIA MILITARE E DELL’ARCHIVIO DI STATOPRIMA DEL 1943
30 2. facciate 31un’Avventura TORINESE
dal Piemonte e dalla dinastia dei Savoia per affermarsi come potenza europea, trasformando
il semplice ducato in un Regno.
L'edificio, di estrema semplicità strutturale e di straordinaria modernità sotto il profilo
archivistico, costituito secondo il progetto di Juvarra da un unico corpo di fabbrica a tre piani
fuori terra, con cinque grandi saloni per ogni piano e alcuni locali minori, oltre alle scale, alle
due estremità, da oltre cinque anni celava alla vista la facciata, gravemente deteriorata.
Era dunque urgente intervenire, ma l'intervento poneva, proprio per quanto
riguardava la facciata, delicate questioni, come il completamento delle parti mancanti rispetto
al disegno originario e il raccordo agli edifici laterali, costituiti, da un lato, da una parete cieca
retrostante l'attuale palazzo del tribunale militare, dall'altro, il tratto trasversale retrostante
la facciata verso piazza Castello, realizzata a chiusura del tratto tra il Teatro Regio ricostruito
e l'area distrutta.
I bombardamenti della seconda guerra mondiale, che avevano danneggiato in modo
irreparabile l'edificio costruito fra il 1675 e il 1677 da Amedeo di Castellamonte come Scuola
dei Paggi, posto a lato dell'Archivio, e gli interventi di Carlo Mollino per la ricostruzione del
Teatro Regio avevano alterato completamente la situazione urbanistica entro la quale
l'Archivio era collocato. E questa situazione rendeva particolarmente complessa anche solo la
scelta a livello di restauro della coloritura della facciata. L'opzione più immediata poteva
essere quella di recuperare la coloritura ottocentesca, meno aggressiva; si preferì invece
seguire la strada più complessa consistente nel recuperare l'aulicità del discorso juvarriano.
Si pervenne così a una rigorosa ricostruzione dell'immagine originaria, come conseguenza
di quest’ultima scelta, di completare le parti dell'edificio ancora mancanti.
La restituzione dell'Archivio di Stato al suo antico splendore e il completamento del
progetto juvarriano rappresentavano indubbiamente un altro successo della Consulta.
Successo tanto più significativo se si considera la brevità del tempo - poco più di quattro mesi -
impegnato per ultimare il restauro. Un aspetto, questo, che la stampa, non solo cittadina,
colse immediatamente. Nel restauro della facciata dell'Archivio di Stato «si fondono insieme
il rispetto e il culto di un passato storico da valorizzare e lo spirito di iniziativa di una
istituzione nuovissima, la “Consulta”, che è nata con lo scopo dell'intervento “immediato”
verso opere nei confronti delle quali, spesso, le pubbliche istituzioni non possono agire con
tempestività per mancanza di fondi».
La Consulta, si disse, «gioca sui tempi dell'imprenditoria privata in un settore in cui,
purtroppo, giorni, mesi e anni hanno ancora quantificazioni temporali confuse».
Tutto bene, dunque, ma con un piccolo neo: la collocazione dell'edificio. Situato
com'è all'interno di uno spazio chiuso - l'attuale piazza Mollino - l'Archivio di Stato non
poteva assicurare quelle condizioni di visibilità che i soci della Consulta legittimamente
si attendevano dallo sforzo compiuto.
L'importanza dell'intervento rischiava perciò di essere conosciuta e apprezzata
soltanto dagli addetti ai lavori e da pochi altri. Il rischio era noto fin dal momento in cui si era
deciso di intervenire, e già allora era stato individuato il modo per ovviarvi. Posto che l'edifico
si collocava al di fuori delle correnti di traffico, bisognava fare in modo di attirare l'attenzione
del pubblico con qualche iniziativa che portasse anche quanti non avevano l'abitudine
di frequentare la sala di studio dell'Archivio a recarsi in piazza Mollino, per vedere i tesori
in essa custoditi e contemporaneamente la qualità del restauro realizzato.
Fu così, dunque, che
nell'inaugurare il restauro venne
presentata anche la mostra
«Il tesoro del Principe», nella
quale veniva mostrato un
numero ristretto, ma altamente
significativo, dei «tesori» conser -
vati nell'Archivio. Davanti agli
occhi dei visitatori si dipanavano
tredici secoli di storia, che pren -
devano le mosse dal documento
del 726 con il quale Abbone,
governatore di Moriana e di
Susa, per conto di Teodorico IV
re dei Franchi, fondava il mona -
stero della Novalesa «per la
salute dell'anima sua e per la
stabilità del regno franco» e ne nominava abate Godone, per giungere sino alle lettere patenti
con le quali Carlo Alberto attribuiva ai valdesi tutti i diritti civili e politici.
Lungo il percorso, poi, il visitatore poteva imbattersi in altri documenti altrettanto
significativi: dal Trattato di Utrecht del 1713 all'originale in lingua francese dello Statuto
carloalbertino. E per la prima volta si potevano ammirare autentici tesori, come la Cronaca del
monastero della Novalesa, l'unico componimento letterario conosciuto scritto su rotolo
pergamenaceo anziché su codici; o come il testo originale, firmato dal re, del Codice Civile
per gli Stati di S.M. il Re di Sardegna. Un centinaio di documenti, tutti altamente significativi,
attraverso i quali veniva comprovato il «ruolo svolto dalle scritture d'archivio quali strumento
ARCHIVIO DI STATOUNA SALA
DEGLI ARCHIVI
DI CORTE
(Fotografia
di Paolo Robino)
32 2. facciate 33un’Avventura TORINESE
di governo e supporto giuridico all'attività dello stato». Un tema certamente non facile, che
però il pubblico, accorso numeroso a visitare la mostra e con essa anche il museo storico
dell'Archivio normalmente precluso ai visitatori, dimostrò di apprezzare e, soprattutto,
comprendere. La vicenda dell'Archivio di Stato aveva inserito un elemento nuovo nel modus
operandi della Consulta; l'idea di allestire una mostra che fungesse da cassa di risonanza,
amplificando i risultati promozionali e d'immagine del restauro, sarebbe stata utilizzata anche
in altre circostanze, nei confronti di altri interventi. In questo modo, l'oggetto dell'attività della
Consulta inizialmente consistente nella semplice individuazione di un bene sul quale
convogliare le risorse in vista del suo recupero o restauro, e nella conseguente gestione
dell'intervento, si trasformava sensibilmente, facendo del sodalizio un organismo di
promozione culturale complesso. L'organizzazione di mostre su argomenti specifici
e necessariamente diversificati di volta in volta richiedeva infatti l'acquisizione di metodologie
diverse, e molto più variegate, di quelle utilizzate negli interventi sugli edifici.
La stessa comunicazione diventava più complicata.
Nell'immediato, però, quello dell'Archivio di Stato era destinato a rimanere un caso
isolato, in quanto gli interventi successivi decisi dalla Consulta, per loro natura, non offrivano
spunti per l'organizzazione di mostre. Visto il positivo risultato sulla facciata dell'Archivio,
la Consulta aveva deciso, infatti, di operare su quelle della chiesa di San Carlo
e, successivamente, di Santa Cristina. In effetti le due chiese necessitavano di interventi
urgenti, a causa di un degrado che era già stato messo in evidenza fin dal 1986, quando,
a seguito di un sopralluogo effettuato il 10 ottobre di quello stesso anno, la Soprintendenza
per i Beni Ambientali e Architettonici aveva prodotto una lunga lista di interventi necessari
per porre rimedio alla grave situazione dei due edifici. Interventi che andavano dal
risanamento dei tetti alla pulitura e al consolidamento della pietra, dalla sostituzione delle
pietre più degradate alla soluzione dell'annoso problema dei colombi, che le due chiese
condividevano con altri importanti edifici cittadini.
La lettera concludeva ricordando che «data la delicatezza e la particolare natura
e complessità dell'intervento si dovrà richiedere la consulenza dell'Istituto Centrale del
Restauro a Roma, soprattutto per quanto riguarda i particolari problemi connessi al restauro
delle statue di Santa Cristina».
Quella prima sollecitazione della Soprintendenza non era andata in porto, forse
perché prevedeva un intervento complessivo e contemporaneo sulle due chiese.
L'idea, invece, di dividere l'intervento in due momenti successivi, ripartendone i costi
su più esercizi, rendeva l'operazione fattibile. Logicamente la Consulta iniziò dal restauro della
facciata e del campanile di San Carlo, che poneva problemi più semplici, anche in
considerazione del fatto che l'edificio era stato completato soltanto nel 1834. In pratica,
l'intervento sulla facciata di San Carlo veniva visto come propedeutico rispetto a Santa
Cristina, la cui facciata, oltre a essere più importante dal punto di vista artistico, era stata
realizzata fra il 1715 e il 1718, e presentava quindi problemi di conservazione più delicati
e complessi. Inoltre, a fronte delle numerose statue che fin da prima del 1740 ornavano
il frontone di Santa Cristina, sulla facciata di San Carlo si doveva solamente intervenire
sul bassorilievo raffigurante l'episodio storico di Emanuele Filiberto che riceve la comunione
ARCHIVIO DI STATOBIBLIOTECA ANTICA
DEGLI ARCHIVI
DI CORTE
(Fotografia
di Paolo Robino)
34 2. facciate 35un’Avventura TORINESE
da San Carlo Borromeo, giunto a Torino per venerare la Sindone, e sulle due statue dedicate
a San Francesco di Sales e al Beato Bonifacio di Savoia, opera di Stefano Butti.
Nel corso degli anni, il complesso monumentale era stato oggetto di numerose
modifiche, come l'ampliamento realizzato da Carlo Ceppi fra il 1863 e il 1866, e di interventi
conseguenti alle scelte urbanistiche di Torino, come quello reso indispensabile
dall'abbattimento della vecchia via Roma. Nel 1974, poi, la facciata era già stata oggetto di una
prima ripulitura sponsorizzata dall'Italgas. Era però bastato un tempo relativamente breve
perché l'azione dello smog si facesse sentire nuovamente in modo pesante, al punto non solo
di annerire completamente la facciata, ma di rendere praticamente illeggibile lo stesso
bassorilievo. I piccioni, poi, avevano fatto il resto.
Per tali ragioni, l'intervento richiedeva l'adozione di tecniche diverse da quelle
impiegate appena sedici anni prima, sia per le parti architettoniche, sia, ancor più, per quelle
scultoree. Per le statue, i capitelli e il bassorilievo si dovette procedere a un'opera
di preconsolidamento, condotta con resine appropriate, cui fece seguito un primo tentativo
a base di leggerissime miscele di polvere non abrasiva e acqua. I modesti risultati conseguiti
in questo modo consigliavano perciò di proseguire con un lavaggio approfondito, completato
da un velo di speciali resine antismog.
In tal modo, le tonalità dominanti del rosa e del grigio, proprie della pietra di Gassino
e del granito di Baveno utilizzati dal Caronesi nella costruzione della facciata tornavano
a risplendere e la piazza incominciava a ritrovare i colori che le erano propri quando era stata
pensata e costruita, tanto da far scrivere che «quello dei marmi bianchi e grigi e del granito
rosa sul fronte della Chiesa, riportati agli splendori ottocenteschi» era «uno spettacolo
che nessun torinese d'oggi può vantarsi d'aver visto». Spettacolo reso tanto più emozionante
dal contrasto con la «gemella» chiesa di Santa Cristina «con la facciata ancora sporca di smog
e guano di colombi»: quasi un invito a procedere.
Che il risultato complessivo fosse in qualche misura abbagliante, lo confermavano
«la coloritura silicata adottata per il campanile o il rame delle gronde, oggi caratterizzate
da antiestetici riflessi d'acciaio che certo il passare del tempo smusserà».
Ma siccome l'intervento era stato realizzato a Torino, Città che, com'è noto, incorpora
nel proprio DNA una visione minimalista dell'esistenza e ha una spiccata vocazione per
il ruolo del bastian contrario, era quasi inevitabile che non tutti fossero convinti del risultato.
Certamente non ne era convinto quel signore che, incurante della collocazione delle due
chiese, si rivolgeva a Specchio dei Tempi, indispensabile ricettacolo delle proteste dei cittadini,
osservando: «A sinistra la chiesa di San Carlo [situata in realtà a destra, N.d.A.] pur
necessitando di restauri è arricchita dalla patina del tempo, mentre a destra [cioè a sinistra]
CHIESA DI SAN CARLO
FACCIATA DURANTE
IL RESTAURO,
CON IL TELONE
ILLUSTRATIVO
DELL’INTERVENTO
36 2. facciate 37un’Avventura TORINESE
la chiesa di Santa Cristina è lustrata e splendente come una torta di compleanno; su di essa
troneggia una candela: il campanile di un giallo canarino da fare inorridire!». E concludeva.
«Non è possibile fare restaurare le opere d'arte da gente con un po' più di buon gusto?».
L'interrogativo del lettore avrebbe ottenuto risposta, a stretto giro di posta, dal
responsabile dei lavori, il quale, dopo aver osservato che il restauro di un immobile storico
non è tanto questione di buono o cattivo gusto, bensì applicazione di una scienza quasi
esatta, sottolineava come la tanto declamata «patina del tempo» sovente non sia altro che
«impasto di particolati da ossido di carbonio degli scarichi delle auto, oppure di anidridi
solforose dei camini o di guano dei colombi», in ogni caso da rimuovere, per recuperare
il colore originario, ivi compreso il «giallo canarino» del campanile.
A meno che non lo si volesse colorare «in guisa da accontentare il lettore e il suo
personale e particolare “buon gusto”».
Rimaneva - croce di ogni centro urbano - il problema dei piccioni. Per contrastarli
furono avanzate varie proposte. Come ebbe a scrivere un giornale dell'epoca, «tra bande
chiodate e avveniristici sistemi a ultrasuoni è stata avanzata anche l'ipotesi di piazzare, qua
e là sulle balaustre, serpentelli di gomma colorata, di quelli che si trovano comunemente
in tabaccheria per scherzi di dubbio gusto. Pare funzioni: i volatili, che non possiedono olfatto
e, a scanso d'equivoci, prima di “atterrare” danno un'occhiata, fuggono terrorizzati».
Evidentemente i responsabili del restauro non nutrivano altrettanta fiducia nella
capacità dissuasiva dei serpenti di plastica, perché, dopo attenta valutazione, optarono per
«un impianto a base di spuntoni anti-piccione, scelto in alternativa al più costoso e complicato
impianto a impulsi elettromagnetici […]» e «applicato con colle a base di resina siliconata
che comunque agevoleranno l'eventuale asporto futuro degli spuntoni in questione,
escludendo il benché minimo danno».
Ma per la Consulta il restauro di San Carlo ebbe anche un altro importante
significato: fu in quella occasione, infatti, che per la prima volta venne adottato il sistema
di fasciare i ponteggi con un trompe-l'oeil che richiamasse direttamente l'oggetto
dell'intervento. L'idea che aveva spinto i responsabili della Consulta a adottare quella
soluzione - una novità per Torino - nasceva dal fatto che, trattandosi del luogo universalmente
considerato come il «salotto» della Città, anche il cantiere che su di esso insisteva doveva
avere caratteristiche di «eleganza». Quindi, non antiestetici teloni stesi sul ponteggio
a trattenere polvere e residui, ma un velario ben congegnato che, oltre a raggiungere lo stesso
scopo, servisse in qualche modo a esaltare quanto si stava facendo all'interno.
Nel caso specifico, il telo non presentava una riproduzione fedele a grandezza
naturale di come sarebbe apparsa la chiesa dopo il restauro, ma proponeva una specie
di riassunto delle vicende che ne
avevano accompagnato la costruzione.
In una metà, il grande telone
riproduceva il primo disegno eseguito
nel 1715 da Filippo Juvarra per la
facciata e nell'altra metà il progetto
predisposto 119 anni dopo, e succes -
sivamente realizzato, da Caronesi.
L'idea col tempo sarebbe diventata
per la Consulta quasi un marchio di
fabbrica e, al tempo stesso, avrebbe
fatto scuola; infatti, nella quasi totalità
dei successivi interventi, non importa
da quale ente promossi, sarebbero comparsi teli a documen tare come sarebbe stato
il risultato dei lavori quando questi si fossero conclusi.
Tolti dalla facciata di San Carlo, i ponteggi sarebbero ricomparsi ben presto su quella
di Santa Cristina. La scelta era in qualche misura inevitabile: avendo provveduto al restauro di
una delle due chiese «gemelle», la Consulta non poteva certo disinteressarsi della sorte
dell'altra che ora, per contrasto, appariva ancora più sporca e degradata, al punto che neppure
l'abbondante nevicata caduta sulla città qualche giorno prima dell'inizio dei lavori, avviati
il 4 febbraio 1991, era riuscita a mitigare il grigiore che avvolgeva l'edificio.
La decisione di intervenire era già stata adottata sin dal luglio precedente ed era stata
accolta con viva soddisfazione dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici e Ambientali,
la quale, nell'esprimere il proprio compiacimento per l'intervento in questione, ricordava che
«lo stato di conservazione delle sculture e di tutto l'apparato lapideo della facciata è da tempo
in condizioni allarmanti» e conseguentemente «non può che essere benvenuta, pertanto,
la proposta di codesta Consulta che dimostra ancora una volta la qualità e sensibilità culturale
dei propri componenti».
Che si trattasse di un intervento delicato e complesso, era testimoniato dalle vicende
stesse dell'edificio. La chiesa di Santa Cristina era stata pensata, infatti, assieme alla
contemporanea chiesa di San Carlo, come quinta di chiusura della Piazza Reale (oggi San
Carlo) che Carlo di Castellamonte stava realizzando nel quadro del primo ampliamento di
Torino, voluto dal duca Carlo Emanuele I. La chiesa, inaugurata nel 1639, benché ancora
soggetta a opere di completamento da parte di Amedeo di Castellamonte, era stata affidata
dalla duchessa Cristina di Francia alle Carmelitane Scalze, giunte dalla Lorena.
FILIPPO JUVARRASTUDI
PER LA FACCIATA
DI SANTA CRISTINA,
WASHINGTON,
NATIONAL GALLERY
OF ART
38 2. facciate 39un’Avventura TORINESE
chiesa». Par di capire che quella pulizia sia stata condotta più con la tecnica propria dei vigili
del fuoco - che prevede getti d'acqua ad alta pressione - anziché con quella del restauro
conservativo, a base di acqua nebulizzata!
Inutile sottolineare che la complessità e l'ampiezza degli interventi necessari
per riportare l'edificio agli antichi splendori comportavano una spesa nettamente superiore
a quella - già non lieve - richiesta da San Carlo: il che poneva alla Consulta delicati problemi
di bilancio. Il sodalizio era nel frattempo cresciuto, giungendo a raggruppare, dai dodici
iniziali, diciotto soci, ma anche così l'impegno economico richiesto a ciascuno di essi, rischiava
di essere eccessivo. La soluzione
venne trovata nello spalmare su
un esercizio e mezzo l'onere
complessivo, destinando la
quota residua del secondo
esercizio a un intervento, per
così dire «leggero».
Risolto questo non tra -
scurabile dettaglio, i lavori pote -
vano iniziare.
A riprova della com -
plessità degli interventi richiesti,
vale la pena di riportare qualche
stralcio della relazione predi -
sposta dalla società incaricata
dei lavori di restauro. «Dopo
una prima pulitura è emersa la
presenza di diffuse stuccature
di non grandi dimensioni in
ce men to, dovute a diversi re -
stau ri risalenti forse alla prima metà dell'Ottocento, fino al l'ultimo eseguito negli anni '60.
La deturpazione este tica di tali inserti è però assai grave nel contesto architettonico
unitario in pietra bianca, per cui è in corso un'opera di riplasma zione, lisciatura e rifinitura
delle stuccature da mantenere in situ, […] per conferire maggiore tenuta alle parti pericolanti
si è proceduto a una revisione dei giunti della pietra, per impedire infiltrazioni, e alla pulitura
con acqua nebulizzata su tutta la superficie, che ha permesso di sciogliere le croste nere
indurite e riportare gran parte del materiale lapideo all'originale».
Nel 1715, poi, la reggente Maria Giovanna Battista di Savoia Nemours aveva
incaricato Filippo Juvarra di progettare una nuova facciata: compito che l'architetto messinese
svolse, dopo aver preso in considerazione alcune varianti, ispirandosi a modelli romani del
Borromini (San Carlo alle Quattro Fontane) e del Fontana (San Marcello al Corso).
La fronte della facciata, su preciso ordine di Juvarra, fu ornata con statue: alla
maestria dello scultore luganese Carlo Antonio Tantardini vennero affidate le raffigurazioni dei
santi Francesco di Sales, Agostino e Maurizio, nonché delle due Allegorie delle Virtù teologali
e cardinali, mentre al parigino Pierre Legros si debbono le due statue di Santa Teresa e Santa
Cristina, mai collocate sulla
facciata, dove invece compaio no
due copie realizzate da Giuseppe
Nicola Casana. Nel periodo
napo leonico la chiesa era stata
trasformata in Borsa per la
contrattazione delle merci, e dal
complesso monumentale erano
stati sottratti, assieme agli arredi
sacri, anche i due gruppi statuari
del Legros, ora ospitati in Duomo.
Con la Restaurazione,
venne incaricato l'architetto
Ferdinando Bonsignore di prov -
vedere agli interventi del caso,
e nel 1871 la chiesa e l'adiacente
convento, affidati sin dal 1844
alla Pia Unione del Sacro Cuore
di Maria, passavano in proprietà
al Comune. Nel 1935, poi, il
rifacimento della via Roma, avrebbe comportato, come anche per San Carlo, la parziale
demo lizione del convento e della sacrestia.
Una vicenda, dunque, lunga e complessa, che nel corso del tempo aveva richiesto
già numerosi interventi, non sempre condotti con la necessaria perizia. In particolare, il
lavaggio dei marmi, effettuato l'ultima volta nel 1975, aveva procurato più danni che vantaggi.
Come ricordava il parroco «si trattò di un intervento non solo ininfluente ma
addirittura rischioso, in quanto l'acqua produsse delle pericolose colature nell'interno della
FILIPPO JUVARRACHIESA
DI SANTA CRISTINA,
FACCIATA,
1715-1718
(Fotografia
di Paolo Robino)
FERDINANDO CARONESICHIESA
DI SAN CARLO,
FACCIATA,
1834
2. facciate 4140 un’Avventura TORINESE
Interventi altrettanto delicati, ma decisi, venivano poi adottati per i gruppi statuari.
Particolarmente impegnativo risultava il restauro dell'Allegoria delle Virtù cardinali, dove
si era dovuto ripulire della macchia nera che lo deturpava il volto della giovane figura
femminile che regge un neonato. Anche il problema dei piccioni trovava adeguata soluzione
grazie all'innesto di punte acuminate e alle piccole scosse elettromagnetiche prodotte dalle
piastre inserite sui terrazzi e sui cornicioni.
«Con la conclusione del recupero della facciata di Santa Cristina, piazza San Carlo
è veramente una delle più belle d'Italia»: così La Stampa nel fare la cronaca dell'inaugurazione.
A fronte della legittima soddisfazione per avere completato con successo
un intervento tanto importante e, per quel che più conta, nel rispetto dei tempi previsti,
si poneva però anche prepotentemente all'attenzione un nuovo problema: quello della
conservazione del restauro. Pur nella consapevolezza che nulla è eterno, e che dunque anche
l'intervento della Consulta col tempo sarebbe andato incontro a un progressivo decadimento,
vi era - come vi è tuttora - il pericolo che l'azione dello smog, delle piogge acide e degli stessi
colombi, temporaneamente sconfitti ma non domi, vanificasse rapidamente gli sforzi profusi
e le risorse impiegate.
Già la relazione dei lavori di restauro concludeva con un monito ben preciso:
«La durata dell'intervento attuale non potrà […] essere garantita per decenni se non
si provvederà a pur minime operazioni di manutenzione, quali il lavaggio dei depositi
di guano sugli aggetti dell'architettura, la spolveratura e l'applicazione della resina protettiva
almeno ogni dieci anni». Si ponevano così le basi per un dibattito - sulla manutenzione dei
restauri - che sarebbe proseguito negli anni successivi e che avrebbe investito direttamente
FILIPPO JUVARRACHIESA
DI SANTA CRISTINA,
FACCIATA,
1715-1718
FERDINANDO CARONESICHIESA
DI SAN CARLO,
FACCIATA, 1834
2. facciate 4342 un’Avventura TORINESE
l'attività della Consulta, come uno dei protagonisti principali.
Ma per il momento la questione era ancora di là da venire. Gli uomini della Consulta
potevano guardare con fiducia al futuro, forti anche del consenso riscosso presso l'opinione
pubblica, tanto da far scrivere al Sole 24 ORE che «lo stile sabaudo torna a far scuola».
Sabaudi, forse; innamorati della propria Città, sicuramente.
FILIPPO JUVARRACHIESA
DI SANTA CRISTINA,
FACCIATA,
PARTICOLARE
DELLO SCUDO,
DEL FINESTRONE
E DELLE ALLEGORIE
DELLE VIRTÙ
CARDINALI
E TEOLOGALI,
1715-1718
(Fotografia
di Paolo Robino)
3. nuove esperienze 4544 un’Avventura TORINESE
CHIESA DI SAN FILIPPO NERI
FACCIATA E PRONAO
3. NUOVE ESPERIENZE
Se ha avuto la pazienza di giungere sino a questo punto, il lettore
ricorderà che per l'intervento sulla facciata della chiesa di Santa Cristina erano
state impegnate risorse corrispondenti a un esercizio finanziario e mezzo,
riservandosi la Consulta di utilizzare altrimenti la parte residua. In pratica,
il cantiere di piazza San Carlo aveva assorbito tutti gli stanziamenti deliberati
per il 1991 e una quota di quelli previsti per il 1992. Concluso felicemente
il restauro, si trattava ora di individuare quale iniziativa assumere
e, ovviamente, doveva trattarsi di un intervento per così dire «di peso»,
che riuscisse a reggere il confronto con quelli realizzati sino a quel momento.
Per la verità, le proposte non mancavano. Grazie all'autorevolezza che
già aveva saputo conquistarsi, la Consulta veniva sempre più vista, da molte
parti, come un interlocutore che andava comunque interpellato,
indipendentemente dall'esito della richiesta. In questo senso, all'attenzione
del consiglio direttivo erano giunte proposte riguardanti il restauro della
facciata di Palazzo Madama; la sistemazione di piazza Mollino con
la realizzazione di un trompe-l'oeil sul muro dell'ex Accademia Militare;
interventi vari a completamento di quanto già effettuato sulla facciata
dell'Archivio di Stato.
A un primo orientamento, assunto nel corso dell'assemblea del
24 settembre 1991, favorevole all'intervento su Palazzo Madama, facevano
seguito numerose perplessità derivanti soprattutto dal fatto che l'opera della
Consulta sarebbe andata a inserirsi in un restauro già avviato, che sino a quel
momento aveva dato risultati discutibili, rendendo difficoltoso un eventuale
proseguimento da realizzarsi con più adeguate metodologie.
Oltre a ciò, emergevano anche problemi di intesa fra le Soprintendenze
competenti per quanto atteneva alla direzione dei lavori.
Accantonato dunque il progetto di Palazzo Madama, venivano prese in
considerazione altre richieste, nel frattempo pervenute, che andavano ad aggiungersi alle
precedenti. Di fatto, nei sei mesi intercorrenti fra l'assemblea del 24 settembre 1991 e la
successiva del 4 marzo 1992, il numero delle segnalazioni era aumentato considerevolmente
46 3. nuove esperienze 47un’Avventura TORINESE
in quanto alle precedenti si erano aggiunte quelle riguardanti la chiesa di San Filippo, le Porte
Palatine, il Teatro Regio, l'Accademia di Medicina, la Cappella del Rosario in San Domenico,
le chiese di San Francesco da Paola, San Rocco, la Santissima Annunziata. Al di fuori, poi,
dei classici interventi di restauro, veniva richiesto l'acquisto di una tavola di Gaudenzio Ferrari
e si proponeva la sistemazione dell'ex zoo di Parco Michelotti.
Fra tutte le proposte, la Consulta ritenne di prendere in considerazione, per
un esame più approfondito, quelle riguardanti San Filippo, le Porte Palatine e il Teatro Regio.
A far pendere definitivamente l'ago della bilancia per l'intervento su San Filippo
furono molti fattori, come, ad esempio, la mancata quantificazione dell'onere per il Teatro
Regio, mentre l'intervento sulle Porte Palatine avrebbe dovuto collocarsi all'interno di un più
ampio progetto di riqualificazione di tutta l'area, al quale non poteva rimanere ovviamente
estraneo il Comune di Torino. Ma probabilmente la ragione decisiva che fece convergere
su San Filippo la scelta finale fu la campagna di stampa promossa dalla Repubblica
che identificava in quel monumento, il «patrono del degrado cittadino».
Poiché San Filippo avrebbe assorbito i residui del 1992 e tutto il bilancio 1993, restava
ancora da identificare un intervento, per così dire, «leggero», da realizzarsi in tempi brevi
e a costi ridotti, che servisse a qualificare l'azione della Consulta nel 1992. Per questo aspetto,
cogliendo l'opportunità offerta dalle iniziative che il Comune di Torino stava assumendo per
il rilancio della Fondazione Cavour (restauro del Castello di Santena; schedatura di tutto
il patrimonio di arredi, documenti e libri; inserimento del Castello nel circuito delle residenze
storiche piemontesi) la Consulta decise di aderire alla richiesta di provvedere al restauro delle
dodici Nature morte e animali, una delle quali sarebbe da attribuirsi all'opera di Angelo Maria
Crivelli, detto il Crivellone, mentre le altre undici sono dovute alla mano di suo figlio Giovanni,
il «Crivellino». Le dodici tele erano pervenute al Castello di Santena negli anni Ottanta
dell'Ottocento nel quadro di una serie di trasferimenti di opere d'arte e arredi effettuata dalla
nipote di Cavour, Giuseppina Alfieri di Sostegno, che aveva riacquistato l'edificio dal conte
Roussy di Sales appena qualche anno prima, e collocate nella Sala da Pranzo.
I dipinti in questione si presentavano in cattivo stato di conservazione; il problema
fondamentale era costituito dall'indebolimento del supporto dovuto all'allentamento della
tela, tesa su vecchi telai, non originali, di pessima qualità. A questo inconveniente
si aggiungeva poi la stesura sulle tele di spessi strati di vernici alterate, che appiattivano
i dipinti limitando di molto la leggibilità dei particolari, essenziale nel caso di una pittura
d'effetto come quella rappresentata dalle Nature morte. Si dovette perciò procedere a un
intervento rigorosamente conservativo, consistente nel rimuovere le vernici e le ridipinture
alterate, foderare le singole tele e disporle su nuovi telai, stuccare con gesso e colla,
CHIESA DI SAN FILIPPO
NERIPARTICOLARE
DEL PRONAO
(Fotografia
di Mariano Dallago)
48 3. nuove esperienze 49un’Avventura TORINESE
e successivamente reintegrare ad acquerello tutte le lacune esistenti. Il restauro, iniziato a fine
marzo 1992, nella prima decade di luglio era già concluso. Si trattava certamente di un
intervento neppure lontanamente paragonabile a quelli effettuati in precedenza, ma si
sbaglierebbe a giudicarlo un'operazione in qualche misura «minore». In effetti esso
rappresentò un'occasione preziosa per fare esperienza in un settore del restauro - quello dei
dipinti - sino a quel momento non praticato dalla Consulta. E di fatto, come si vedrà, da quella
prima volta sarebbero derivati interventi ben altrimenti impegnativi.
Mentre procedeva il restauro delle tele dei Crivelli, si avviò anche il cantiere per
l'intervento sulla chiesa di San Filippo. Apparentemente, per la Consulta si trattava di un
ritorno all'antico, una nuova applicazione delle metodologie utilizzate in precedenza per
il restauro delle facciate. In realtà la situazione era più complessa e poneva problemi nuovi,
consentendo alla Consulta di aggiungere una nuova esperienza a quelle già maturate.
In effetti, le cause del grave degrado che affliggeva la chiesa - che con i suoi 2600
metri quadri di superficie è la più vasta di Torino - erano da ricercarsi, oltre che negli agenti
atmosferici che colpiscono tutti i monumenti, nelle cattive condizioni della copertura, la cui
pessima tenuta aveva avuto conseguenze devastanti, in quanto, penetrando dai tetti
sconnessi, la pioggia si impastava con secoli di calcinacci accumulati nei sottotetti. Si formava
così uno strato di umidità che danneggiava gravemente le volte sottostanti e persino l'organo.
Del resto, l'edificio aveva avuto una vicenda lunga e tormentata. I lavori erano stati
iniziati nel 1675 dall'architetto luganese Antonio Bettino, su incarico dei padri filippini, per
i quali aveva già costruito la chiesa di San Filippo in Chieri. Bettino era stato assistente
di Guarini, con il quale aveva collaborato anche per la cappella della Sindone, e proprio
al Guarini si debbono due progetti per San Filippo, uno dei quali venne posto in opera, tanto
che nel 1703 la fabbrica risultava già coperta ed era già avanzata la costruzione della cupola.
Poi la guerra e l'Assedio di Torino - ma soprattutto dubbi sulla solidità delle strutture, dubbi
confermati nel 1714 dal crollo delle pareti e della cupola - provocarono la fermata del cantiere.
Come per molti altri edifici torinesi, anche in questo caso toccò a Filippo Juvarra mettere
mano al progetto di ricostruzione che, avviata nel 1722, dopo varie vicissitudini fatte
di interruzioni e di riprese, e per l'inattività imposta dall'occupazione napoleonica, ebbe
termine solo nel 1854, sotto la direzione di Giuseppe Talucchi, con l'apposizione della
cancellata fra le colonne della facciata. In realtà, la conclusione definitiva si sarebbe avuta
soltanto nel 1891, a opera di Ernesto Camusso, con la costruzione del timpano e delle
balaustrate laterali di coronamento.
La chiesa, poi, proprio per le vicissitudini legate alla sua costruzione, era già stata
oggetto di un pesante restauro, poco meditato, a cavallo fra Ottocento e Novecento, anch'esso
da annoverarsi fra le cause del degrado; dopo di che non era successo più nulla sino al 1987-
88, quando un modesto stanziamento, peraltro assorbito quasi per metà dal costo dei ponteggi,
aveva consentito di rifare il tetto sovrastante il presbiterio. L'intervento che la Consulta si
accingeva a compiere consisteva perciò anche nella rimozione delle conseguenze più deleterie
di quell'infelice precedente restauro ottocentesco. La situazione era dunque tale da rendere in
certo qual modo obbligatoria la via da seguire. In pratica, era indispensabile operare in due fasi,
la più importante e urgente delle quali consisteva nella manutenzione straordinaria completa
delle coperture, delle navate e dei tetti bassi dell'area presbiteriale.
La prima fase doveva perciò necessariamente riguardare lo smontaggio del manto di
tegole, il rifacimento della piccola e media orditura (ormai irrecuperabili), la revisione delle
CHIESA DI SAN FILIPPO NERIFACCIATA E PRONAO
50 3. nuove esperienze 51un’Avventura TORINESE
grandi capriate (generalmente in buone condizioni) e la pulizia completa del sottotetto, dal
quale doveva essere scaricata la bellezza di 500 metri cubi di macerie colà abbandonate nel
tempo. Le tegole, poi, venivano esaminate a una a una; parecchie di esse, di epoca ancora
juvarriana, recavano ben visibili le impronte digitali degli artigiani che le avevano plasmate.
Quelle ancora utilizzabili sarebbero state selezionate, accantonate e successivamente utilizzate
per formare il manto superiore del nuovo tetto, dove venivano ancorate, dopo il rifacimento
dell'orditura secondaria, su tegole nuove, fermate con ganci di rame. In tal modo, l'intervento
risultava praticamente invisibile, pur consentendo di raggiungere l'obbiettivo voluto: non
lasciar più filtrare acqua all'interno dell'edificio.
L'imponenza dell'intervento era testimoniata dalle cifre. Complessivamente venivano
risanati circa 3000 metri quadri di tetto e risultavano impiegati 31.360 ganci per fermare
le tegole. Accanto a tutto questo, e a completamento dell'intervento sulle coperture, oltre agli
indispensabili fermaneve si provvedeva alla revisione dei serramenti delle aperture, tanto
nella parte vetraria che in quella lignea, e alla ritinteggiatura di quest'ultima; infine, l'edificio
veniva protetto con la posa di reti antipiccione in maglia di rame. Procedendo con la consueta
efficienza, i lavori, iniziati nella primavera del 1992, risultavano ultimati nell'ottobre dello
stesso anno, nel pieno rispetto dei tempi previsti.
Si è trattato, dunque, di un intervento estremamente impegnativo che è servito
a qualificare ulteriormente non solo l'attività della Consulta, ma anche il suo modus operandi,
la filosofia alla quale si ispira nella scelta degli interventi. Rifare il tetto di un edificio,
a differenza del restauro di una facciata, è operazione anonima, in certo senso invisibile,
che quindi come tale non da lustro né, tanto meno, assicura prestigio allo sponsor. Va perciò
dato atto alla Consulta, che ha accettato di operare per un'intera stagione in condizioni
di quasi anonimato, di una grande sensibilità e intelligenza. Pochi, o forse nessuno, sponsor
avrebbero accettato di investire una somma cospicua come quella richiesta dall'intervento sui
tetti - circa un miliardo di lire - non accompagnata da condizioni, pur legittime, di visibilità.
Più probabilmente, altri sponsor avrebbero optato per intervenire unicamente sulla facciata,
demandando magari all'ente pubblico, o comunque a un soggetto diverso, l'onere
di provvedere al tetto.
Messo finalmente in sicurezza l'edificio, si trattava ora di provvedere al restauro della
facciata e del pronao, che richiedevano interventi complessi su materiali molto diversi: pietra,
stucchi, ferri, legni, intonaci. Le infiltrazioni di acque meteoriche, i depositi di particellato
e di guano dei colombi avevano prodotto un pesante degrado degli elementi decorativi,
in particolare degli stucchi, grave al punto da lasciare scoperta, in alcuni casi, l'armatura
metallica che sosteneva candelabri e puttini. In altri casi, invece, le pessime condizioni erano
la conseguenza di un precedente restauro, che aveva alterato la lettura stessa del prospetto
della chiesa.
Si dovette quindi procedere ad asportare tutti gli elementi incongrui aggiunti e a
pulire con spazzole morbide l'intera superficie interna del pronao, eliminando innanzitutto
l'orribile, perché antiestetico, «effetto schiuma» causato dal rigonfiamento del gesso.
Immediatamente dopo si passò al preconsolidamento degli stucchi e alla pulizia a bisturi
dei depositi, operando al contempo minime integrazioni delle immagini, onde consentirne
una migliore leggibilità.
Per quanto riguarda invece la parte esterna del pronao, che soffriva dei tipici fattori
di deterioramento dei materiali lapidei in ambiente urbano - gas di scarico delle auto, depositi
di guano, erosione provocata dal ruscellamento delle acque piovane - si rese necessario
procedere innanzitutto al lavaggio dei vasi posti sulla sommità degli attici laterali e dei
pilastrini della balconata, e successivamente al lavaggio della facciata con acqua nebulizzata.
Quest'ultima operazione consentì alla pietra, in particolare a quella delle colonne,
di recuperare l'originario colore bianco paglierino. L'intervento venne poi completato con
la rimozione degli strati di vernice che ricoprivano la cancellata, sulla quale si applicò
SANTENACASTELLO CAVOURSALA DA PRANZO
CON I DIPINTI
OPERA DEI CRIVELLI
52 3. nuove esperienze 53un’Avventura TORINESE
un trattamento a «canna di fucile»; in questo contesto anche le lance in legno furono
completamente revisionate, e quelle mancanti, sostituite.
Il complesso degli interventi della Consulta sulla chiesa di San Filippo, ufficialmente
presentato ai torinesi e alla stampa il 19 novembre 1993, venne accolto con favore da tutta
l'opinione pubblica, della quale riscosse il plauso e l'ammirazione. Nel dare la notizia, così
La Stampa riassumeva, quasi stupita, l'entità e l'importanza dei lavori effettuati: «Sono state
risanate 12 capriate lignee e 20.000 tegole storiche, su una superficie di 2000 metri quadri,
restaurati con 30.000 coppi nuovi. Nel sottotetto sono stati rimossi 1220 metri cubi di macerie
antiche. Riparate le finestre della navata, [i restauratori] hanno ripulito la facciata con
nebulizzatori d'acqua, microsabbiature e bisturi, rimuovendo smog e guano da pietre
e stucchi. Il tutto in due anni».
E La Repubblica con -
cludeva: «non resta che apprez -
zare il prodigioso salvataggio
della facciata, del pronao e
della copertura di una chiesa
che v ide misurars i l 'es t ro
creativo dei due più grandi
architetti sabaudi, Guarino
Guarini e Filippo Juvarra.
Con due anni di lavoro
e un f inanz iamento d i un
miliardo e mezzo stanziati dalla
Consulta […] si è finalmente
arginato il dilagare del degrado.
Infiltrazioni, guano di piccioni, vandalismi e interventi sommari del passato avevano reso
ormai praticamente illeggibili decorazioni e stucchi splendidamente congegnati e portati
a termine in un arco di tempo che va dal 1675 al 1891». Certo, rimanevano ancora
da restaurare la grande aula interna, le cappelle laterali e il presbiterio. Ma il peggio era stato
scongiurato. Ora la Consulta poteva concentrarsi su altre emergenze; che, per la verità, erano
piuttosto numerose.
Fra le tante, una riguardava il Teatro Regio. Da anni l'atrio d'ingresso al Teatro
era diventato oggetto di atti vandalici e scritte imbrattanti, mentre la sua superficie, vasta
e perfettamente liscia, rappresentava il terreno ideale di prova per gare di pattini a rotelle,
skate-board e roller-blade. Come se non bastasse, quando non c'era spettacolo, o alla
conclusione di quest'ultimo, il luogo diventava ricovero e giaciglio di non troppo desiderati
ospiti notturni. Una situazione insostenibile che aveva spinto la Sovrintendenza del Teatro
a proporre la chiusura dell'atrio in questione, mediante il posizionamento di una cancellata
scorrevole, da aprirsi soltanto in occasione degli spettacoli e da lasciare chiusa per tutto
il tempo rimanente.
Se di per sé era stato semplice individuare una soluzione corretta al problema, molto
più complicato era invece scegliere quale tipologia di chiusura si sarebbe dovuto adottare.
La cancellata, infatti, avrebbe dovuto inserirsi in un «monumentale complesso
edilizio (ubicato in un contesto di eccezionale pregio storico-artistico, già oggetto di tutela
sugli edifici limitrofi) consistente nelle vestigia residue dell'incendio (anno 1936) del Regio
teatro alfieriano (1738-1740) identificabili nelle facciate prospettanti la piazza Castello e nelle
accluse e conglobate pertinenze costituite dalla moderna realizzazione molliniana del
ricostruito Teatro Regio, anch'essa dotata di chiaro interesse architettonico negli elementi
compositivi - scale, scale mobili, foyer, collegamenti in genere - appositamente collocati
e progettati quali cornici atte a valorizzare prospettiva, luce e condizioni di ambiente connesse
alle storiche strutture settecentesche oltre la piazzetta Carlo Mollino».
L'iniziale incertezza sulle scelte da compiere e la conseguente impossibilità
di definire l'ammontare delle risorse necessarie, avevano fatto sì che una prima segnalazione
della Sovrintendenza del Teatro alla Consulta non fosse stata presa in considerazione.
Ma ora, all'inizio del 1994, la situazione era sensibilmente mutata, in quanto già
da qualche tempo era stato individuato l'artista incaricato di realizzare l'opera. Si trattava
di Umberto Mastroianni, il quale, interpellato, dichiarava di accettare con entusiasmo,
rinunciando a qualunque forma di compenso perché, diceva, «ho 90 anni [in realtà, 84],
il tempo contato e tante cose da esprimere. Alla mia età non avrei accettato un compito come
questo se fosse stato solo un concorso. È invece per me un'occasione preziosa, per lasciare
qualcosa di mio a Torino, una città che rappresenta tradizioni e valori di correttezza
e concretezza, sempre più evanescenti in quest'Italia che va a rotoli».
Che dovesse trattarsi di Mastroianni e non di altro scultore era, per così dire,
nell'ordine naturale delle cose. L'artista di Fontana Liri non solo aveva perfezionato a Torino,
dove era giunto con la famiglia nel 1926, il suo percorso culturale e portato a maturazione
quello professionale, ma in questa città era riuscito anche a rinnovare lo spirito della scultura
celebrativa, dei valori spirituali dell'uomo. Con il Monumento alla Resistenza Italiana
di Cuneo, e con quelli alla Pace di Cassino e alla Resistenza di Tolentino, Mastroianni aveva
già offerto prove eloquenti della sua capacità di inserire, con effetti di forte emotività, gruppi
scultorei nel contesto urbano e paesaggistico. Capacità che aveva raggiunto forse il punto più
SANTENACASTELLO CAVOURANIMALI IN POSA DI
GIOVANNI CRIVELLI
54 3. nuove esperienze 55un’Avventura TORINESE
alto con il Monumento ai Caduti per la Libertà del Cimitero Monumentale di Torino,
realizzato in collaborazione proprio con Carlo Mollino, al quale era legato da affinità
di temperamento, di formazione e di espressione artistica. Ora, con la Cancellata, per un
singolare destino il sodalizio artistico fra il «pirata» Mastroianni e il «diabolico saraceno»
Mollino, come i due erano stati ribattezzati dagli amici all'epoca della loro frequentazione,
si riproponeva.
Chiarita, con la rinuncia, la questione del compenso all'artista, i costi dell'intera
operazione potevano essere quantificati in 750 milioni di lire, di cui 400 necessari per
la fusione dei gruppi scultorei, 150 per la realizzazione del modello in legno e 200 per
la costruzione e messa in opera del cancello vero e proprio, completo dei meccanismi
di scorrimento automatico. La richiesta di finanziare i 400 milioni necessari per la fusione
(mentre gli altri oneri sarebbero stati sostenuti dal Comune), venne accolta favorevolmente
dalla Consulta, la quale, dopo il grande sforzo compiuto per San Filippo, avvertiva la necessità,
per così dire, di «tirare il fiato», con un'operazione di costo contenuto, in attesa di individuare
altri interventi più impegnativi. In questo senso si era già espressa anche l'assemblea
del 13 luglio 1993, la quale aveva deliberato di «individuare, per il 1994, un intervento annuale
di entità possibilmente ridotta rispetto al passato, ma qualitativamente coerente agli obbiettivi
perseguiti fino ad oggi dalla Consulta». La Cancellata rispondeva perfettamente a entrambi
i requisiti.
Con questo intervento la Consulta apriva un nuovo fronte: quello dell'arte
contemporanea, fornendo un contributo che andava al di là del fatto puramente formale della
sponsorizzazione. Accettando di finanziare le sculture di Mastroianni, la Consulta dimostrava
di essere un organismo che sapeva colloquiare con l'insieme delle istituzioni cittadine e farsi
carico di problemi che esulavano dal puro e semplice recupero di edifici storici, per investire
direttamente i problemi del vandalismo e della salvaguardia da un uso improprio delle parti
«auliche» della città di Torino, accettando, e anzi incoraggiando, l'inserimento nel tessuto
tradizionale di elementi di forte contemporaneità. In un certo senso, con questo intervento
la Consulta interveniva nel dialogo sulle scelte urbanistiche della Città, assecondandone
una delle esigenze primarie: quella di salvare dal degrado non questo o quel palazzo,
non questo o quel monumento, ma la vita sociale della collettività nel suo insieme.
UMBERTOMASTROIANNITEATRO REGIO,
ODISSEA MUSICALE,
1994
56 3. nuove esperienze 57un’Avventura TORINESE
Il racconto scolpito nel bronzo, che Mastroianni, in omaggio al luogo e alla sua
destinazione a teatro lirico, aveva voluto intitolare Odissea Musicale si inserisce infatti in un
tessuto architettonico complesso, rispetto al quale intende proporsi come sipario, scenografia
e allo stesso tempo come recinzione: funzione non residuale, ma ragione di fondo per
la quale l'opera è stata realizzata. In ogni caso, l'artista doveva tenere conto del fatto che
in determinati momenti il complesso scultoreo si sdoppiava in due metà; le quali,
ricongiungendosi, avrebbero dovuto definire un ciclo completo, una descrizione narrativa
che tenesse conto del carattere «teatrale» del luogo.
Mastroianni riuscì a soddisfare questa esigenza incastonando sui due grandi pannelli
scorrevoli, lunghi 12 metri, alti 3,60 e composti da un telaio geometrico a maglia quadrata, tre
grandi gruppi di sculture modernamente ispirate alla rappresentazione teatrale - inquadrate
in una cornice continua di bassorilievi - che rappresentano, rispettivamente, la Danza,
la Tragedia e la Commedia. Attorno ai gruppi scultorei, le lesene verticali e il coronamento
costituiscono un bassorilievo continuo di «maschere» e di «figure drammatiche». In questo
modo, è stato scritto, «come una facciata, la cancellata risulta stratificata, scavata, scaglionata
per piani multipli; è un'indagine al limite del virtuosismo sulla tridimensionalità».
L'opera venne presentata ufficialmente al pubblico il 22 dicembre del 1994,
accompagnata da un volume che illustrava la personalità di Mastroianni, il suo percorso
artistico, e descriveva nel dettaglio il contenuto delle sculture e dei bassorilievi di cui era
composta. Per celebrare degnamente l'evento, era prevista per la sera dello stesso giorno
un'esecuzione dell'Orchestra del Teatro Regio, che però non ebbe luogo perché
gli orchestrali, con perfetto spirito autolesionista, preferirono scioperare, proprio quel giorno,
a sostegno di certe loro rivendicazioni. Il concerto si tenne ugualmente, benché ridotto alla
sola partecipazione di un soprano e di un tenore accompagnati da un pianoforte,
ma indubbiamente quella che poteva essere una vera festa per Torino, che si trovava arricchita
di un'opera d'arte di grande prestigio, riuscì soltanto a metà.
Né quella degli orchestrali fu l'unica protesta legata alla Cancellata. A protestare
furono anche gli acrobatici giovanotti che da molti anni ormai avevano eletto l'Atrio delle
Carrozze a palestra delle loro evoluzioni con lo skate-board e delle loro improvvisazioni rap.
Come diligentemente informava la Repubblica, costoro protestavano «con atteggiamenti
diversi a seconda dell'appartenenza alla tribù dei rappers o a quella degli skaters, due mondi
vicini ma ben distinti l'uno dall'altro. Simile il modo di vestirsi e identico il luogo di ritrovo,
ma con esigenze differenti». L'associazione Real World, nata con lo scopo di difendere
la cultura hip hop reagisce in maniera morbida. «Possiamo capire che non sia giusto rovinare
un monumento, - dice [bontà sua] Silvestro Ferrero, - ma continueremo a trovarci al Regio,
anche se siamo in trattative con il Comune per uno spazio in piazza d'Armi». Gli skaters invece
non sono così accomodanti. Raccontano Paolo Melzi e Giampaolo Zampa: «Se spendono oltre
un miliardo solamente per mandarci via, potevano ottenere lo stesso risultato con molto
meno. Se avessimo solo un decimo della cifra saremmo in grado di attrezzare uno skate-park
come a Marsiglia».
Come che sia, c'è da pensare che le aspirazioni degli uni e degli altri non siano state
soddisfatte, oppure che l'area di piazza Castello abbia continuato a esercitare un'irresistibile
attrattiva, visto che attualmente le due tribù hanno spostato le loro acrobatiche evoluzioni
soltanto di pochi metri, passando dall'Atrio delle Carrozze al basamento del prospiciente
monumento al Duca d'Aosta! Ma per lo meno, Odissea Musicale è rimasta salda al suo posto.
La somma delle esperienze maturate negli ultimi interventi - da quello sulle tele del
Castello di Santena alla realizzazione di Odissea Musicale - avrebbe poi reso possibile
l'intervento successivo, di gran lunga il più impegnativo fra quelli realizzati sino a quel
momento: il riallestimento della Pinacoteca dell'Accademia Albertina.
UMBERTOMASTROIANNITEATRO REGIO,
ODISSEA MUSICALE,
PARTICOLARE, 1994
58 3. nuove esperienze 59un’Avventura TORINESE
Il consiglio direttivo della Consulta aveva preso in considerazione la possibilità di
occuparsi della prestigiosa e antica istituzione artistica torinese fin dalla riunione del 24 marzo
1993, quando, ormai in dirittura d'arrivo il restauro di San Filippo, era giunto il momento di
individuare un altro intervento di grande rilievo, dopo quello «minore» (ma neppure tanto)
della Cancellata di Mastroianni. Per la verità, l'intenzione iniziale era quella di procedere alla
ristrutturazione della facciata principale dell'edificio che dal 1837, per volere di Carlo Alberto,
ospita l'Accademia. In sé, il restauro della facciata non avrebbe costituito un grande impegno,
soprattutto dal punto di vista finanziario, dal momento che su un costo totale stimato in 800
milioni era previsto un contributo di 500 milioni del Provveditorato alle Opere Pubbliche.
Ma di riunione in riunione il progetto prese a lievitare, orientandosi verso altre necessità
dell'Accademia. In particolare, poco più di un mese dopo la riunione nella quale si era deciso
di operare in quella direzione, il 4 maggio 1993, veniva presa in considerazione l'ipotesi
di provvedere al riassetto della Pinacoteca dell'Accademia, sia risistemando le sale esistenti sia
ampliandone il numero, così da poterne consentire l'apertura, almeno parziale, al pubblico.
In effetti, la storia della Pinacoteca Albertina se da un lato rappresenta una tipica
manifestazione dell'understatement subalpino, di solito riluttante e forse anche un po'
infastidito a mettersi in mostra, dall'altro è un altrettanto tipico caso di tesoro nascosto: uno
di quei tesori che la Città e i cittadini non sanno di possedere. Il nucleo iniziale della
Pinacoteca risale infatti al 1832, quando il marchese monsignor Vincenzo Maria Mossi
di Morano legò all'Accademia la sua quadreria, ricca di oltre duecento dipinti, che doveva
servire come strumento didattico per «favorire l'istruzione dei giovani inclinati alla bell'arte
del disegno e della pittura». Un insieme di capolavori ai quali si era ben presto aggiunta
la donazione, da parte dello stesso Carlo Alberto, di sessanta cartoni e disegni
cinquecenteschi già conservati nei Regi Archivi e connessi prevalentemente all'attività
di Gaudenzio Ferrari e della sua scuola, «nucleo - quest'ultimo - unico al mondo come
esempio delle procedure creative della bottega
cinquecentesca». In realtà, però, quasi tutti
i dipinti e le altre opere della Pinacoteca erano,
e sono, da ritenersi dei capolavori. Basterà
ricordare le splendide tavole di Filippo Lippi,
Defendente Ferrari, Giovanni Martino
Spanzotti; oppure la toccante Sacra Famiglia
di Bartolomeo Cavarozzi; e ancora, i maestri
fiamminghi fra i quali spiccano le due Nature
mor te di Nicas ius Bernaer ts , megl io
conosciuto come «Monsù Nicasio»; senza dimenticare, infine, l'arazzo di manifattura
fiamminga, e le terracotte dei fratelli Collino, accanto ai pregiati acquerelli del Bagetti
e Storelli, e alle testimonianze di importanti maestri e di loro allievi nell'Accademia di fine
Settecento.
Grazie a queste donazioni e ad altre successive, quantitativamente inferiori ma non
meno importanti, Torino ebbe «il privilegio unico, con Firenze, di possedere due ben distinte
e rilevanti collezioni d'arte: dell'Accademia e dello Stato [e cioè la Galleria Sabauda]».
Se non che, tutto questo giaceva, non abbandonato ma certamente affastellato,
in cinque sale-deposito. Con la conseguenza che le opere, peraltro sempre correttamente
conservate e restaurate in caso di necessità, non erano fruibili dagli allievi dell'Accademia
e praticamente precluse al pubblico. Soltanto agli addetti ai lavori, su specifica richiesta,
era consentito accedere alle sale in questione. Per la verità, la Pinacoteca non aveva mai avuto
vita facile. Anche se non erano mancati tentativi importanti di riordino, come quello affidato
nel 1932 a Lionello Venturi, ma non portato a termine, essa era stata spesso costretta
a traslocare da un piano all'altro dell'edificio; ma a dare il colpo di grazia erano stati,
ovviamente, i bombardamenti che avevano colpito Torino nella seconda guerra mondiale.
Successivamente, la cronica carenza di spazio e la necessità di adeguare e mettere
a norma gli impianti di sicurezza, per la quale le risorse latitavano, avevano fatto il resto.
ACCADEMIA ALBERTINAPINACOTECA,
SALA 5
DEDICATA
AL TEMA
DEL PAESAGGIO
ACCADEMIAALBERTINAPINACOTECA,
SALA 8 DEDICATA
AI MAESTRI
E AGLI ALLIEVI
DELL’ACCADEMIA
60 3. nuove esperienze 61un’Avventura TORINESE
di un secondo scalone, mentre il secondo lotto riguarda la sistemazione delle rimanenti sei
sale». In realtà, la previsione sarebbe stata sopravanzata dagli eventi. Alle otto sale
inizialmente preventivate se ne sarebbero aggiunte altre quattro, recuperate grazie
al trasferimento della Biblioteca storica, e al ripristino puro e semplice dei locali avrebbe fatto
seguito il progetto e la realizzazione dell'allestimento museale. Così, nuovi costi sarebbero
andati ad aggiungersi a quelli già previsti e a quegli altri che, se pure inizialmente non
prevedibili, finiscono inevitabilmente per gravare su iniziative dal carattere fortemente
aleatorio come sono i restauri di edifici storici.
L'importanza dell'intervento che la Consulta stava realizzando, viste le ricadute che
avrebbe potuto avere sull'insieme del sistema culturale torinese, richiedeva anche un
adeguato progetto di comunicazione. Così, lungo tutto l'iter dei lavori vennero tenute
conferenze stampa di aggiornamento; particolarmente importante quella del 20 febbraio
1996, che vide l'autorevole partecipazione di Federico Zeri. In quella occasione il noto critico
d'arte, oltre a sottolineare l'importanza artistica della quadreria dell'Accademia per l'eccelsa
qualità di molte delle opere presenti, mise in luce l'opportunità che veniva offerta alla Città
di Torino di dotarsi di un nuovo museo particolarmente prestigioso. «È uno Zeri entusiasta
e caustico - commentava La Stampa il giorno dopo - quello che ieri si è aggirato fra le opere
dell'Accademia. “Eccezionalmente belle. Ma dove le mettete? E come? Avete il locale?” […]
E Zeri proclama: “Sì, questa raccolta è di livello europeo. Vale il viaggio”». Un altro
appuntamento importante, anche se successivo alla riapertura della Pinacoteca riguardò
la presentazione dell'intera iniziativa, la sera del 18 marzo 1997, in uno degli «Incontri
del Martedì Sera» all'Unione Industriale, perché quell'incontro offrì anche l'occasione per
parlare della Consulta, di quanto aveva già realizzato e dei programmi che intendeva svolgere
nel futuro.
Rispettando anche questa volta i tempi stabiliti, l'intervento venne inaugurato
ufficialmente il 21 novembre 1996. Nelle dodici sale del complesso trovavano ospitalità oltre
duecento opere delle circa trecento appartenenti alla Pinacoteca, fermo restando che le
rimanenti non sarebbero state rinchiuse nell'oscurità di un deposito, ma sarebbero state
anch'esse esposte, a rotazione. L'apparente semplicità della collocazione sulle pareti delle
diverse sale delle opere più importanti e rappresentative rischiava di mettere in ombra
l'impegno profuso dalla Consulta, sotto l'alta sorveglianza della Soprintendenza per i Beni
Artistici e Storici del Piemonte, nel confrontarsi sul piano della museografia con i temi
e i problemi, certamente non facili, posti da una collezione come quella dell'Albertina.
Si trattava, infatti, di documentare e rendere percepibile il sottile fil rouge, il delicato
equilibrio che doveva necessariamente intercorrere tra la storia dell'istituzione, la rara
Nel 1994, però, venivano recuperati all'attività dell'Accademia i locali sino ad allora
occupati dal liceo artistico, e si creavano così gli ambienti per un'adeguata sistemazione dei
tesori della Pinacoteca, che adesso poteva disporre di una maggiore quantità di spazio. In più,
durante i lavori di rinforzo delle murature e di rifacimento degli intonaci venivano individuati
nei muri, tra sala e sala, ampi archi strutturali che si poterono liberare dai tamponamenti
e utilizzare come passate lungo il percorso. Il che permise di accentuare il carattere di
«galleria» della sequenza degli spazi, come del resto richiesto dalla destinazione museale dei
medesimi. È però evidente che un impegno come quello che la Consulta intendeva assumere
avrebbe richiesto uno sforzo finanziario di gran lunga superiore a quelli compiuti sino
ad allora, anche quando erano stati ripartiti a due esercizi successivi. E anche in questo caso,
dunque, si ritenne di suddividere l'intervento - il cui costo complessivo era stimato in oltre
due miliardi - in due moduli distinti da realizzarsi rispettivamente nel 1995 e nel 1996.
Come venne riferito nella riunione di direttivo del 10 novembre 1993, «si è verificata
la possibilità di realizzare due lotti di lavori funzionali, il primo relativo all'adeguamento di due
sale espositive, all'impiantistica di tutte le otto sale, alla creazione di un deposito, all'accesso
ACCADEMIA ALBERTINAPINACOTECA,
SALA 10
CON I CARTONI
GAUDENZIANI
3. nuove esperienze 6362 un’Avventura TORINESE
connotazione delle collezioni che vi erano confluite e la straordinaria qualità delle singole
opere. Senza con ciò lasciare in ombra lo scopo originario di un museo nato, cresciuto
e finalizzato per l'istruzione degli allievi dell'Accademia di Belle Arti. Al contempo, il minuzioso
lavoro scientifico per l’allestimento condotto da Giovanna Galante Garrone e Angela Griseri,
oltre a fornire un quadro preciso della consistenza artistica della Pinacoteca, permetteva di
formulare per alcune opere nuove attribuzioni, mentre in altri casi venivano effettuate
autentiche scoperte, come il dipinto di Francesco Cairo che giaceva ignorato nei depositi.
Tenendo conto di quest'insieme di necessità e di circostanze, il percorso museale
scelto si snoda attraverso le dodici sale con un itinerario che prevede, nelle prime sei,
l'esposizione delle opere provenienti dalla collezione Mossi di Morano. Così, nella prima sala
trovano collocazione i «primitivi», rappresentati dalle splendide tavole di Filippo Lippi,
Giovanni Martino Spanzotti, Defendente Ferrari, Francesco Francia, Martin Van Heemskerck.
La seconda sala è dedicata ai dipinti genovesi del primo Seicento, con altre opere
appartenenti al manierismo piemontese e lombardo. La terza sala è riservata ai pittori
caravaggeschi, dell'importanza di Bartolomeo Cavarozzi e di Mattia Preti. La quarta sala,
invece, propone dipinti olandesi e fiamminghi, mentre nella quinta si è voluto privilegiare
il tema del paesaggio, con dipinti che documentano alcuni dei filoni presenti nella raccolta.
Nella sesta sala, infine, si è dato spazio ad artisti romani come Trevisani e Casali, ancora
Seyter, per l'aggiornamento culturale della corte sabauda.
Dopo la presentazione del nucleo proveniente dalla donazione Mossi di Morano,
la Pinacoteca propone, nella settima e ottava sala, le testimonianze di importanti maestri
e di loro allievi nell'Accademia di fine Settecento e inizi Ottocento, documentando il passaggio
dal periodo napoleonico alla Restaurazione sabauda. Qui si impongono le sculture dei fratelli
Collino e di Spalla, accanto a una virtuosistica cornice del Bonzanigo, nonché importanti
acquisizioni, che vanno dalla Pala di Montemale del Moncalvo, alle tavole del Giampietrino
provenienti da Staffarda, o alla copia antica della Madonna del Velo di Raffaello. Nella nona
sala, invece, a carattere ancora provvisorio, viene proposto l'insieme di alcune preziose
donazioni di Carlo Alberto, quali l'arazzo fiammingo Ester ed Assuero, due disegni del
francese Lagneau, appositamente selezionati per l'Accademia Albertina da Roberto d'Azeglio,
accanto ad alcuni esempi di disegni e acquerelli di artisti particolarmente apprezzati dal re,
come Bagetti, Arienti e Storelli.
Di particolare impegno, anche sotto il profilo tecnico, la decima sala, nella quale sono
esposti i cinquantanove cartoni gaudenziani, che si è cercato di rendere integralmente
consultabili e confrontabili in contemporanea: mentre alcuni sono esposti a rotazione - si
tratta, per lo più di capolavori di Gaudenzio Ferrari, Gerolamo Giovenone e Bernardino
Lanino - altri sono appesi in penombra su pannelli scorrevoli su rotaie. Particolare importanza
è stata riservata, in questa come nella precedente sala, all'illuminazione, onde non
danneggiare con una luce eccessiva la qualità delle opere esposte. Mentre l'illuminazione
degli ambienti nel loro insieme è stata ottenuta con corpi a fluorescenza incassati nel
controsoffitto, così da ottenere una condizione di luce «calda» e uniforme sulle pareti, nelle
due sale in questione si è fatto ricorso alle fibre ottiche, in modo da realizzare una luce
attenuata, ma al tempo stesso sufficiente per assicurare la leggibilità dei cartoni, dell'arazzo
e degli acquerelli, senza contribuire per troppa luminosità al loro possibile deterioramento.
Per le ultime due sale, infine, è stata prevista una destinazione più flessibile: destinata
a mostre temporanee, la undicesima; dedicata ad alcune opere poco note del secondo
Ottocento e del primo Novecento, da Ludovico Raymond e Bonatto Minella, a Giacomo
Grosso e a Cesare Ferro, la dodicesima.
L'importanza dell'intervento della Consulta è stata determinante, poi, per attivare
anche le pubbliche istituzioni, impegnandole a operare per la fruibilità del materiale della
Pinacoteca. In questo senso, mediante apposita convenzione, l'Assessorato alla Cultura della
Regione Piemonte si è fatto carico della gestione ordinaria: «Un nuovo museo torinese - come
ebbe a scrivere La Stampa - che merita una visita e una grande attenzione. Bisogna guardare
tutto, scoprire i particolari, le tonalità di colore, le composizioni». Ma è stato soprattutto
l'esempio fornito dalla Consulta a destare l'interesse e l'ammirazione degli organi di
informazione. Se il Giornale, a fronte della constatazione che «purtroppo in Italia ci sono
ancora altre migliaia, decine di migliaia forse, di capolavori che ammuffiscono “imprigionati”
in umidi e bui scantinati» si augurava che «l'Accademia Albertina rappresenti un esempio, per
ACCADEMIAALBERTINAPINACOTECA,
SALA 3
CON I PITTORI
CARAVAGGESCHI
3. nuove esperienze 6564 un’Avventura TORINESE
molti, per tutti», il Corriere della Sera andava ancora oltre. «L'esperienza di questa Consulta -
scriveva il quotidiano milanese - è davvero molto interessante. Un esempio da seguire.
Dobbiamo rendercene conto: è talmente grande il patrimonio dei beni culturali italiani,
che da sole le istituzioni pubbliche non potranno mai riuscire a restaurarlo quando occorre,
a mantenerlo, a tenerlo a disposizione del pubblico. Il capitale privato deve intervenire.
Ne ha l'obbligo morale, potremmo dire. Ed è un obbligo che molti rispettano,
evidentemente. Molti, anche se non abbastanza. Viene in mente la Pinacoteca di Brera,
a Milano, costretta in uno spazio limitatissimo. Capolavori restano al buio, sepolti nei
magazzini. Musei interi, invisibili, nascosti sotto il museo visibile. Tesori nascosti, appunto.
Così, tutti noi siamo un po' più poveri. Perché anche a Milano non si mettono insieme le forze
disposte a finanziare il restauro e la riqualificazione di opere d'arte, di architetture?».
Le domande che si poneva il cronista del Corriere erano legittime, e in parte
potevano valere anche per Torino, poiché l'intervento della Consulta era valso, sì, a smuovere
le acque, ma molte zone d'ombra rimanevano ancora. In una sorta d'inventario del
patrimonio artistico torinese «negato» alla fruibilità dei cittadini, la Repubblica del 9 giugno
1995, nelle pagine regionali, sottolineava l'eccezionale valore di molti di questi «tesori».
«La porta è rigorosamente chiusa a chiave. È una camera buia, senza finestre, un po'
polverosa. Contiene enormi tubi, avvolti nella velina e in metri e metri di tela. Ai lati la tela
è stata arrotolata e annodata. Sembra una collezione di gigantesche caramelle: sono arazzi.
Centotrenta: il loro valore è inestimabile. Arazzi di casa Savoia, tra cui una preziosissima serie
seicentesca tratta dai cartoni di Rubens: quattrocento anni di storia nascosti nel magazzino
di Palazzo Reale». A quanto risulta, a più di un decennio di distanza gli arazzi sono ancora lì.
Con l'allestimento della Pinacoteca Albertina, nello spazio di un quinquennio - fra il
1992 e il 1996 - la Consulta aveva maturato una serie di esperienze nuove, che spaziavano dal
restauro di dipinti a interventi sull'arte contemporanea, dal risanamento di strutture edilizie
alla progettazione e realizzazione di percorsi museali, risolvendo in parallelo complessi
e delicati problemi di illuminotecnica e di controllo dell'umidità. Allo stesso tempo essa era
riuscita ad acquisire un'autorevolezza indiscussa, diventando punto di riferimento obbligato
per tutti gli attori dell'ambiente artistico e culturale torinese, rispetto ai quali esercitava un
notevole potere di attrazione. Ne fanno fede le proposte di intervento che continuavano ad
affluire e diventavano, senza eccezione alcuna, oggetto di istruttoria. Così, ad esempio,
il riepilogo delle ipotesi di nuovi interventi presentato al consiglio direttivo dell'11 marzo 1996,
contemplava ben diciotto proposte, riguardanti sia edifici storici o istituzioni culturali
(Biblioteca Reale, Museo Nazionale del Risorgimento, Museo Sindonologico, Villa della
Regina, Palazzo Madama, Palazzo Carignano, Accademia delle Scienze), sia, soprattutto, edifici
religiosi (Santuario della Consolata, Santa Teresa, San Lorenzo, Santa Trinità, Chiesa del
Carmine, San Domenico, nuovamente San Filippo, San Francesco d'Assisi, San Francesco da
Paola, Santa Pelagia, Cappella dei Mercanti). Alcune di tali proposte, nel tempo, avrebbero
trovato accoglimento, magari per interventi di natura diversa da quelli prospettati; altre
avrebbero trovato accoglienza da parte di istituzioni diverse dalla Consulta; per altre ancora
invece non sarebbe stato possibile prevederne l'accettazione. Tutte quante, messe
a confronto, fornivano una mappa precisa e documentata del degrado in cui versava una
parte non piccola del patrimonio artistico e culturale torinese, individuavano una scala
di priorità, mettevano la Consulta, forte delle esperienze maturate con gli ultimi interventi,
nella condizione di operare a tutto campo.
teatro regio - odissea musicale
70 un’Avventura TORINESE
4 . RITORNO ALLE ORIGINI
L'idea di celebrare il decennale di attività della Consulta con un
intervento dal sapore fortemente simbolico prese corpo nella riunione del
consiglio direttivo dell'11 marzo 1996. In quella circostanza, esaminate le circa
venti proposte pervenute, il consiglio decise all'unanimità di approfondire
tra gli interventi presentati «i seguenti: Biblioteca Reale, realizzazione
di un salone espositivo; Museo Nazionale del Risorgimento Italiano, restauro
dell'Aula del Parlamento Italiano; Museo Sindonologico, realizzazione
di un nuovo museo; Santuario della Consolata, restauro coperture e volte
affrescate». Tutte le altre proposte, invece, venivano accantonate, o perché
giudicate di scarso interesse o perché gravate da una serie di intoppi
burocratico-amministrativi che ne rendevano problematica la realizzazione.
Confermata dall'assemblea del 12 marzo 1996, la scelta si orientò
definitivamente sull'Aula del Parlamento Italiano nella successiva assemblea
del 7 novembre.
Né poteva essere diversamente. Ai soci della Consulta non sfuggiva il carattere anche
simbolico che tale scelta rappresentava. A dieci anni dal primo intervento, che aveva
riguardato l'Aula del Parlamento Subalpino, la Consulta ritornava sugli stessi luoghi per
completare, in un certo senso, l'opera. Dall'Aula dove erano echeggiati gli interventi di Cavour
e le prime prove parlamentari di Quintino Sella, si passava a quella che avrebbe potuto essere
la palestra politica delle generazioni successive a quelle che «avevano fatto l'Italia».
Le generazioni cui sarebbe toccato il compito di «fare gli italiani». E se la storia aveva
deciso altrimenti, se quell'Aula «avrebbe potuto essere, ma non fu» perché era stata portata
a termine quando ormai il baricentro politico-parlamentare dell'Italia si era spostato altrove,
ciò non toglie che essa potesse ancora rivestire un significato profondo.
Era già accaduto al momento delle celebrazioni di Italia '61, quando aveva ospitato
una grande coreografia di bandiere risorgimentali; ed era prevedibile che sarebbe accaduto
nuovamente. Nel 1998 cadeva infatti un altro appuntamento importante della storia
risorgimentale italiana: il centocinquantesimo anniversario della promulgazione dello Statuto
Albertino: quello Statuto che sarebbe rimasto legge fondamentale dello Stato italiano sino
alla proclamazione della Repubblica e all'entrata in vigore della nuova Costituzione.
PALAZZOCARIGNANO
AULA DEL
PARLAMENTO
ITALIANO, 1870
4. ritorno alle origini 71
Esposizioni cui anche Torino avrebbe dato un contributo non indifferente. E questo,
dell'inserimento di Torino nel dibattito culturale europeo, era forse l'aspetto più rilevante, dal
momento che, sotto un profilo puramente storico, l'Aula in questione non aveva mai ospitato
il Parlamento Italiano, proponendosi piuttosto come un monumento alle attese deluse dei
torinesi. Ben altra era invece l'importanza storica dell'Aula del Parlamento Subalpino
restaurata dieci anni prima. Inaugurata nel 1848, essa rivestì un'importante funzione politica
nel Regno sardo, prima, e in Europa e Italia, poi.
Sino al 1859, infatti, sui suoi banchi sedettero i deputati del Regno di Sardegna,
e successivamente anche i primi deputati che, in seguito alla politica delle annessioni,
rappresentavano gli ex Stati asburgici della Lombardia, dei ducati emiliani, della Toscana
e parte degli Stati della Chiesa. Per effetto di tali ampliamenti, il numero di deputati dagli
iniziali 204 giunse a 353. L'Aula che aveva ospitato i dibattiti sulle leggi Siccardi, sulla cessione
di Nizza e della Savoia alla Francia, dove l'oratoria di Cavour aveva convinto i deputati
ad approvare il traforo del Fréjus, la più importante e difficile opera di ingegneria ferroviaria
intrapresa sino a quel momento, diventava insufficiente ad accogliere anche i deputati
provenienti dalle regioni meridionali. Per ospitare un Parlamento composto ormai di 454
persone occorreva una nuova struttura, che Amedeo Peyron, su incarico di Cavour, riuscì
a realizzare in soli 113 giorni. E proprio in quell'Aula provvisoria, costruita in legno e tela
venne dichiarata Roma capitale, che Vittorio Emanuele II assunse per sé e per i propri eredi
il titolo di re d'Italia; ma fu anche in quell'Aula che venne firmata quella convenzione con
la Francia, la sciagurata «convenzione di settembre», che avrebbe tolto a Torino il rango
di capitale dello Stato. Per effetto di quest'insieme di avvenimenti, l'Aula che adesso
la Consulta si apprestava a restaurare non ebbe mai l'opportunità di ospitare il Parlamento
Italiano. Cavour, che nel 1860 aveva promosso la costruzione della nuova struttura, moriva
pochi mesi dopo e il trasferimento della capitale a Firenze avveniva prima che i lavori fossero
ultimati. La costruzione si sarebbe conclusa nel 1870 e l'inaugurazione ufficiale sarebbe
avvenuta l'anno successivo con un altro avvenimento, anch'esso dal sapore simbolico.
In quell'Aula, il 18 settembre 1871, veniva celebrata, con un banchetto di circa mille
invitati sistemati in cinque lunghe tavolate, l'apertura della galleria del Fréjus, l'ultimo atto,
se si vuole, dell'epopea risorgimentale torinese, o quanto meno l'ultima volta nella quale
Torino, ospitando la quasi totalità del Parlamento Italiano (ma non il re, che preferì continuare
la battuta di caccia a Valdieri), si sentì per un momento ancora capitale.
Impossibilitata a svolgere il compito per il quale era stata costruita, l'Aula ebbe varie
destinazioni successive: da sede del Club Alpino Italiano a deposito di libri per la Biblioteca
Civica, sino ad ospitare, dopo il 1876, alcuni mammiferi del Museo delle Scienze nel frattempo
72 4. ritorno alle origini 73un’Avventura TORINESE
Non era difficile prevedere che anche l'Aula del Parlamento Italiano sarebbe stata
la sede ideale per alcune delle manifestazioni previste a celebrazione dell'evento.
A suggerire l'intervento sull'Aula, vi erano dunque più motivi. Un promemoria
interno della Consulta così li sintetizzava: «Nel 1997 cade il decennale della costituzione della
Consulta, e nel novembre di quest'anno si celebreranno anche i 200 anni del Tricolore.
Nel 1998 cadranno invece i 150 anni dello Statuto Albertino, i 50 del Parlamento
della Repubblica Italiana e, nel maggio, i 10 anni del completamento del primo intervento
Consulta, ovvero il restauro dell'Aula del Parlamento Subalpino, sempre a Palazzo Carignano».
Luogo simbolico, ma non soltanto; allo stesso tempo, uno dei poli del centro storico cittadino,
un insieme architettonico che metteva visibilmente in luce l'interesse e l'attenzione dedicata
da Torino alle realizzazioni dell'eclettismo europeo nell'età delle Esposizioni Universali.
PALAZZOCARIGNANOAULA
DEL PARLAMENTO
ITALIANO, 1870
74 4. ritorno alle origini 75un’Avventura TORINESE
PALAZZO CARIGNANOAULA
DEL PARLAMENTO
ITALIANO,
VOLTA AFFRESCATA
DA FRANCESCO
GONIN, 1870
(Fotografia
di Mariano Dallago)
76 4. ritorno alle origini 77un’Avventura TORINESE
trasferito in Palazzo Carignano, ivi compreso il grande elefante indiano vissuto per molti anni
nel parco di Stupinigi, dono del bey di Algeri al re Carlo Felice. I molteplici usi ai quali venne
dedicata fecero sì che non le fosse riservata l'attenzione che, per i suoi contenuti artistici, essa
avrebbe meritato. Infatti, l'Aula, di metri 35 per 20, costruita unitamente alla facciata di Palazzo
Carignano verso piazza Carlo Alberto su progetto degli architetti Domenico Ferri e Giuseppe
Bollati, era stata affrescata da Francesco Gonin, che aveva cercato di riprodurre, con la tecnica
delle prospettive a fresco, il dialogo architettonico e di colore già impostato alla base fino
all'altezza della balconata lignea che corre tutt'intorno al salone. Per ottenere questo risultato,
Gonin utilizzò per le membrature a chiaroscuro della volta i colori tipici dei materiali in pietra
impiegati nell'Ottocento: il grigio verde della pietra di Malanaggio, i bianchi dei marmi di
Chianocco e le arenarie, più tenere e più lavorabili. In particolare, l'uso del colore bianco per
molti elementi della sala, rimandava all'immagine romantica che se ne aveva nel secolo XIX,
con chiari riferimenti all'arte classica greca resi evidenti dai grandi telamoni destinati
a sorreggere la balconata. Si trattava, dunque, di un insieme dalle tinte tenui e omogenee
sul quale, mancando una destinazione precisa della sala, l'incuria aveva provocato dissesti
della volta, distacchi di intonaco, infiltrazioni d'acqua, e causato danni di notevole entità.
A questi si era poi aggiunto il colpo di grazia dei lavori eseguiti al momento delle celebrazioni
di Italia '61, quando l'Aula era stata inserita nel percorso della Mostra Storica del Risorgimento,
come Sala XXXI, dedicata all'Unità d'Italia. Secondo quanto riportato dal Notiziario di Italia
'61, «oltre a preziosi cimeli racchiusi in nove vetrine, questa sala presenta una fantasiosa
e suggestiva sintesi dell'Unità; nella penombra potenti riflettori illuminano alcune bandiere
che garriscono, accompagnate dal suono di musiche e marce risorgimentali».
Peccato che, per rendere la sintesi dell'Unità ancor più «fantasiosa e suggestiva»
(anche se poi, per la verità, a molti visitatori, fra i quali lo scrivente, non era parsa quel gran
che), gli allestitori non avevano trovato di meglio che ricoprire con vernice acrilica nera tutte
le pareti, così da creare un gioco di contrasti con il bianco dei telamoni. Questo allestimento
così funereo, dal sapore vagamente sansepolcrista, aveva poi fatto da cornice, dopo
le celebrazioni, all'esposizione permanente della collezione di bandiere del movimento
operaio che il Museo Nazionale del Risorgimento aveva ricevuto in dono. Non meraviglia,
dunque, che la Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici del Piemonte sottolineasse
che «l'iniziativa della Consulta […] rende finalmente possibile procedere al restauro dell'Aula
del Parlamento Italiano, restauro in passato largamente e reiteratamente auspicato
non solamente per pervenire alla necessaria restituzione dell'immagine complessiva dell'Aula,
ma anche per risarcire una serie di danni verificatisi in passato a seguito di infiltrazioni
d'acqua, le cui cause sono state peraltro rimosse». Già, perché nel momento in cui la Consulta
PALAZZOCARIGNANOPARTICOLARE
DELL’AULA
DEL PARLAMENTO
ITALIANO,
PRIMA
DEL RESTAURO
(Fotografia
di Mariano Dallago)
4. ritorno alle origini 7978 un’Avventura TORINESE
poneva mano al suo primo intervento restaurando l'Aula del Parlamento Subalpino, si stava
concludendo l'intervento di consolidamento della volta di quella del Parlamento Italiano.
Dieci anni dopo era indiscutibilmente il momento di porre mano al resto, riportando l'Aula
alla sua immagine iniziale. Preliminarmente, però, occorreva rimuovere dalla sala
l'esposizione di bandiere e trovar loro una sistemazione, anche temporanea, in grado di
salvaguardare il delicato patrimonio tessile di cui erano composte. Per quanto riguarda
l'intervento sulla volta, se il grande medaglione centrale del Gonin, raffigurante Le deità che
presiedono alle scienze e alla letteratura che inviano i loro Genii a premiare il merito sulla
terra, non presentava soverchi problemi, diverso era il caso dei quattro gruppi angolari,
sempre del Gonin, consistenti in Allegorie della Medicina, della Letteratura, della Matematica
e della Giurisprudenza. Qui, infatti, lo spezzarsi delle architetture dipinte a inquadrare le
figure e l'assenza di parte dei panneggi frantumavano la lettura d'insieme della composizione;
si doveva perciò procedere alla ricostruzione delle parti mancanti, con integrazioni che da
lontano risultassero invisibili, mentre da vicino consentissero di individuare le parti integrate.
Analogamente, per quanto riguardava le pareti si dovette procedere alla rimozione
della pittura acrilica nera, asportandola sia mediante ricorso al vapore, sia con l'ausilio
di solventi organici, sia ricorrendo all'uso del bisturi. Operate le opportune integrazioni
riemergeva il gioco raffinatissimo delle partiture nel rapporto tra le tinte degli sfondati,
la definizione delle incorniciature, i delicati finti marmi delle lesene, la robusta concezione
plastica dei telamoni, e ancora il finto marmo della laccatura della balconata. Insomma, l'Aula
ritornava come era stata concepita al tempo di Cavour, per lo scopo che avrebbe dovuto
assolvere: ospitare i dibattiti del Parlamento Italiano.
Il restauro, al quale i giornali diedero ampio risalto, venne inaugurato ufficialmente
il 28 ottobre 1997 alla presenza dell'allora vicepresidente del Consiglio dei Ministri, Walter
Veltroni. Il consenso per la rinascita del «parlamento mancato», come ebbe a definirlo il Corriere
della Sera, fu unanime. «Oggi quel Palazzo - meglio: quell'immensa aula dai richiami barocchi,
dagli accenni corinzi e ionici, dalle volte affrescate di Francesco Gonin - ritrova il suo particolare
splendore e il ruolo che di diritto gli spetta nella memoria». E ancora, come ebbe a dire l'allora
assessore alla cultura della Regione Piemonte: «Un fondamentale monumento di arte e storia
rivive e ci rammenta, in un momento così delicato del nostro paese, quanto mai sia stato difficile
ma affascinante il percorso storico che portò dall'unificazione formale di una nazione alla
creazione di una coscienza civile e morale degli italiani che si deve ancora in parte costruire».
Quell'inaugurazione fu però anche occasione per una curiosa polemica a distanza fra
Denis Mack Smith e Indro Montanelli. Alla domanda della Stampa se fosse stato proprio
indispensabile trasferire la capitale a Firenze, lasciando inutilizzata l'Aula di Palazzo Carignano,
lo storico inglese aveva risposto affermativamente, sostenendo che si era trattato di una forma
di risarcimento per l'ex granducato di Toscana, che dal trasferimento avrebbe tratto grandi
vantaggi. Non l'avesse mai detto! Al lettore fiorentino indignato, che si chiedeva «ma quali
vantaggi!?», sostenendo che dal trasferimento della capitale Firenze aveva avuto solo danni,
faceva eco Indro Montanelli. Per il giornalista e storico, «i toscani non lo volevano
[il trasferimento], erano furibondi. Capivano che gli avrebbe portato uno sconquasso, del tutto
inutile, perché la capitale lì sarebbe durata poco». Quali le prove dello sconquasso?
«Gli sventramenti nel cuore della città, dove sparirono tante strade antiche per fare spazio
a piazza Vittorio Emanuele II, con imposizione - orrore - dei torinesi portici, ripugnanti al gusto
fiorentino», e poi «lo scempio dell'ultimo piano di Palazzo Vecchio, dove gli affreschi
rinascimentali erano stati imbiancati per accogliere gli uffici dei travet in arrivo».
PALAZZO CARIGNANOAULA
DEL PARLAMENTO
ITALIANO
DOPO IL RESTAURO,
PARTICOLARE
DELLA DECORAZIONE
5. Un sogno a lungo coltivato 8180 un’Avventura TORINESE
5 . UN SOGNO A LUNGO COLTIVATO
L'idea di creare le condizioni per un'esposizione, se non permanente
almeno prolungata e ripetuta, del corpus di disegni leonardeschi presente
nella Biblioteca Reale di Torino ha caratterizzato l'attività della Consulta
sin dai primi contatti informali per dare vita all'istituzione. In effetti, i disegni
in questione - primo fra tutti la celebre sanguigna che secondo molti
rappresenterebbe l'Autoritratto di Leonardo - costituiscono uno dei più
cospicui patrimoni culturali che Torino può vantare, e al tempo stesso
appartengono alla categoria di quei «tesori nascosti» che la Città sa
di possedere, ma è restia a mostrare. Inoltre non poteva, e non può tuttora,
sfuggire il forte richiamo, anche turistico - di un turismo di qualità - che
l'esposizione di tali opere avrebbe potuto rappresentare. Senza voler fare
paragoni irriverenti, non era difficile ipotizzare che i potenziali turisti, in fila
per ammirare l'Autoritratto, appartenessero alla stessa categoria di persone
che al Louvre si mettono in fila per contemplare la Gioconda.
Ipotesi, del resto, confermata dal successo della mostra di disegni
della Biblioteca Reale, l'ultima volta nella quale l'Autoritratto venne esposto
al pubblico, realizzata a Palazzo Reale nel 1975. Era quindi naturale che già
in occasione dei primi incontri informali, come quello del 13 ottobre 1986,
i partecipanti prendessero in considerazione l'ipotesi di una nuova mostra,
e si attivassero per verificare la possibilità di realizzarla. Valutate, nella
riunione del 19 marzo 1987, le difficoltà che si frapponevano a una sua
realizzazione, si diede incarico ad Angela Griseri di predisporre uno studio
di fattibilità, a seguito del quale, nelle due successive riunioni del 17 giugno
e 22 luglio 1987 si incaricarono gli architetti Roberto Gabetti e Aimaro Isola
di predisporre un progetto di massima.
In realtà, i tempi erano maturi.
Come denunciava La Stampa in un articolo del 22 settembre di quello stesso anno:
«Chiuso dentro un cassetto della Biblioteca Reale c'è uno dei più straordinari tesori d'arte
del mondo: il “Libro del Volo degli uccelli” di Leonardo da Vinci, il celebre Autoritratto
a sanguigna, lo studio per il volto dell’Angelo della Vergine delle rocce, disegni di anatomia
BIBLIOTECA REALELA SALA DI LETTURA
REALIZZATA
DA PELAGIO PALAGI
5. Un sogno a lungo coltivato 8382 un’Avventura TORINESE
umana ed equina. L'ultima volta in cui queste opere sono state tolte dal cassetto per essere
esposte risale a una dozzina di anni fa».
Certo, nessuno si nascondeva la delicatezza e la fragilità delle opere in questione.
«Una luce sbagliata, una temperatura troppo elevata o troppo bassa, un'umidità eccessiva
possono sbiadirle o cancellarle». Ma, ci si chiedeva, erano queste ragioni sufficienti per non
esporle, come invece avveniva in altri importanti musei del mondo, come la Tate Gallery
o l'Albertina di Vienna? O non era piuttosto un caso di mancanza di volontà? Interrogativi
ai quali la Consulta cercava di dare risposta, forte del responso dell'architetto Roberto Gabetti,
per il quale si trattava «di allestire uno spazio apposito in cui tali opere siano esposte, con
le massime garanzie di conservazione». Ciò che la relazione di Gabetti non diceva
espressamente, ma che si poteva leggere fra le righe, era che i problemi maggiori non erano
di natura tecnica, e probabilmente neppure finanziaria, ma essenzialmente burocratico-
amministrativa. Qui non si trattava, infatti, di allestire uno spazio temporaneo per una mostra
occasionale, per quanto importante, ma - sottolineava la Consulta - «l'allestimento di spazi
adatti doveva essere considerato come opportunità da dare in dotazione perenne
alla Biblioteca Reale, per l'esposizione nel tempo e su programmi da definire, di altri gruppi
di opere presenti nella biblioteca stessa e non conosciute dal grosso pubblico». In sostanza,
come veniva esplicitamente affermato, «verrà indicata fra le condizioni necessarie
per effettuare il progetto la garanzia di un regolare, anche se periodico, accesso del pubblico
alla mostra di disegni».
La preoccupazione della Consulta, di avere garanzie per un regolare utilizzo a fini
espositivi dello spazio che si intendeva allestire, sollevata nel corso della riunione del
10 dicembre 1987, era motivata non soltanto dall'importanza dei disegni leonardeschi, ma,
più in generale, dall'eccezionalità delle opere raccolte nella Biblioteca Reale nel corso della
sua lunga storia. Essa, infatti, era nata come «Libreria e Museo di cose rare e curiose», frutto
di un collezionismo ducale caratterizzato dalla presenza di manoscritti, quello eseguito su
commissione di Amedeo VIII e altri come gli Album naturalistici appartenenti a Carlo
Emanuele I, considerati prestigiosi esemplari di un collezionismo di alto livello per l'estrema
qualità artistica e scientifica. Si ricordano, al riguardo, l'Album degli uccelli, formato da sedici
tavole raffiguranti uccelli composti da piume applicate su un fondo di raso di seta di colore
affine alla tonalità dell'esemplare; l'Album dei pesci e dei cetacei, che nelle sue
settantaquattro tavole seicentesche, cui si aggiungono quelle unite a posteriori, presenta
animali marini, rettili, mammiferi, molluschi dipinti a tempera su cartoncino ritagliato
e incollato sui fogli; e infine l'Album dedicato ai fiori. Questo primo nucleo, già di per sé
cospicuo, venne progressivamente incrementato con la donazione di fondi sia provenienti
LEONARDO DA VINCICODICE SUL VOLO
DEGLI UCCELLI,
MANOSCRITTO
CARTACEO,
1505-1506,
TORINO,
BIBLIOTECA REALE
5. Un sogno a lungo coltivato 8584 un’Avventura TORINESE
dalle antiche collezioni ducali, sia con una copia, rarissima perché a colori, del Theatrum
Sabaudiae, racchiusa in una splendida legatura.
La svolta si ebbe nei primi anni di regno di Carlo Alberto, che si interessò attivamente
della Biblioteca non solo impreziosendola con importanti donazioni di manoscritti e libri rari,
ma ancor più dotandola di una nuova sede, individuata nel piano terreno dell'ala di levante
sotto la Galleria del Beaumont, in luogo dei locali a settentrione del primo piano di Palazzo
Reale, dove sino ad allora era collocata. Incaricato del progetto fu l'architetto regio Pelagio
Palagi, il quale realizzò un tipo di struttura ancora oggi unica nel suo mirabile effetto. Il Salone
del Palagi, con la volta affrescata secondo il gusto neoclassico, ospitò il nucleo bibliografico
iniziale, cui nel frattempo si sono aggiunti preziosi manoscritti miniati,
libri d'ore, pregevoli legature e opere rare selezionate dallo stesso
sovrano e dagli eruditi a lui vicini, quali Luigi Cibrario, Cesare Saluzzo
e, soprattutto, Domenico Promis, che aveva ceduto al re la sua
collezione di medaglie e monete.
La consacrazione definitiva della Biblioteca Reale come
centro primario di cultura si ebbe nel 1840, con l'acquisto da parte
di Carlo Alberto, per l'ingente somma di 50.000 lire, dei circa duemila
disegni che l'antiquario Giuseppe Volpato aveva messo insieme
in una lunga frequentazione delle più importanti aste europee.
Ivi compresi il Volto di fanciulla, e, soprattutto, l'Autoritratto.
Per comprendere l'importanza di quest'opera, e l'impatto che
avrebbe esercitato sulla cultura mondiale, vale la pena di riportare
un ampio stralcio dell'articolo comparso su La Stampa del 19 novembre
1998 a firma di Carlo Pedretti, allora direttore dell'Armand Hammer Center for Leonardo
Studies all'Università della California, e autore dell'edizione critica del Corpus dei disegni
di Leonardo nella Biblioteca Reale di Torino.
Scrive Pedretti: «A fine febbraio di ogni anno, dal 1967, i maggiori quotidiani
d'America recano, a piena pagina, la riproduzione dell'Autoritratto di Leonardo a Torino.
È questa una costosa inserzione pubblicitaria con la quale la Rockwell Corporation,
la grande compagnia californiana che lavora per la Nasa, annuncia i vincitori del “Premio
Leonardo”, il massimo riconoscimento riservato a sedici scienziati, ingegneri e astronauti dei
programmi spaziali. È così che milioni di americani sono ormai abituati all'appuntamento
annuale col simbolo più eloquente del genio universale per eccellenza.
Ma questo non è tutto. L'immagine della celebre sanguigna torinese si è imposta
negli Stati Uniti come ingrediente d'obbligo nella grande comunicazione. Non sorprende quindi
LEONARDO DA VINCIRITRATTO
DI FANCIULLA
RIFERITO AL VOLTO
DELL’ANGELO
DELLA VERGINE
DELLE ROCCE,
TORINO,
BIBLIOTECA REALE
GIRASOLEDISEGNO A TEMPERA,
INIZI DEL XVII SECOLO,
TORINO,
BIBLIOTECA REALE
5. Un sogno a lungo coltivato 8786 un’Avventura TORINESE
collocazione nei confronti dei disegni illuminati, dall'altro lato una attenta progettazione
dell'ambiente luminoso onde consentire il progressivo adattamento dell'occhio all'oscurità».
Altrettanto severe le prescrizioni per quanto riguardava la climatizzazione, per
la quale erano richiesti «valori di umidità relativa estremamente stabili (50% con massima
variazione giornaliera del 2%)», il che implicava «necessariamente la loro esposizione entro
vetrine climatizzate con dispositivi attivi, quali apparecchi per il trattamento dell'aria esterni
alla vetrina, oppure passivi, quali materiali tampone (silicagel) interni alla vetrina».
Occorreva dunque prevedere la costruzione di un locale ex novo, dotato di tutti gli
apparati tecnologici idonei a preservare i preziosi materiali. Quest'insieme di fattori concorre
a spiegare la cautela della Consulta, che, pur continuando a coltivare il progetto,
periodicamente riproposto nelle successive riunioni del consiglio direttivo, prima di dargli
attuazione intendeva disporre di tutti gli elementi di giudizio utili, anche in considerazione
degli interventi che da parte di altri enti, in particolare del Ministero per i Beni Culturali
si stavano nel frattempo realizzando. Grazie ai finanziamenti ministeriali, infatti, a partire
dal 1996 veniva realizzata la nuova scala di collegamento con il montacarichi tra la sala
di lettura e gli uffici del piano terreno con il piano interrato. In questa parte dell'edificio, grazie
che la copertina del poderoso volume delle “pagine gialle” della maggiore compagnia telefonica
d'America, la “Gte” rechi lo stesso autoritratto con un piccolo intervento: la mano sinistra
del genio porta il telefono all'orecchio, e sopra si legge: “Il libro per l'uomo che fa ogni cosa”.
Ma l'ultima, impensabile manipolazione del celeberrimo simbolo è quella di una
pagina pubblicitaria, apparsa l'11 settembre scorso nientemeno che nel prestigioso The Wall
Street Journal, il termometro della finanza mondiale. L'Autoritratto di Leonardo vi
è rappresentato mentre sta entrando in un imbuto che
va ad alimentare una complessa fotocopiatrice. Questo
per dimostrare che c'è voluta una intelligenza superiore
per inventare una macchina che digitalizza, riproduce
e trasmette tutto allo stesso tempo». Date le premesse,
la conclusione di Pedretti è quasi inevitabile: «Con un mito
come questo alle spalle, è facile immaginare cosa
significherebbe una mostra anche del solo Autoritratto
di Leonardo alla National Gallery a Washington o al
Metropolitan Museum a New York, per non dire del Getty
Museum a Los Angeles. Altro che le nostre code
interminabili per la Dama dell'ermellino [in quel momento
in esposizione a Milano]». L'importanza dell'Autoritratto, cui nel tempo si era aggiunta,
nel 1893, la donazione a Umberto I da parte del collezionista russo Teodoro Sabachnicov del
Codice sul volo degli uccelli, al completamento del quale provvedeva nel 1920 il ginevrino
Henri Fatio che donava le tre carte dello stesso Codice che erano state asportate, richiedeva
l'allestimento di un apposito spazio. Uno spazio che pareva di difficile individuazione, dal
momento che tutte le istituzioni ospitate nella manica fra Palazzo Reale e la Prefettura
lamentavano la scarsa disponibilità di locali, già soltanto per svolgere l'attività ordinaria, ma
che, in ogni caso, non poteva essere ricavato nei locali esistenti, in quanto non offrivano
sufficienti garanzie in termini di sicurezza degli impianti e di conservazione.
Infatti, per quanto riguardava in particolare la climatizzazione, una perizia,
commissionata già nel 1988, aveva fatto presente che «i disegni in questione, realizzati con
tecniche che impiegano la sanguigna, la matita, il carboncino, la penna e la punta d'argento
su carta preparata, richiedono un ambiente espositivo accuratamente controllato dal punto
di vista sia dell'illuminazione che della climatizzazione». Per quanto concerneva
l'illuminazione, il livello ottimale doveva essere inferiore a 50 lux, e inoltre non dovevano
essere presenti radiazioni ultraviolette e andavano limitate le infrarosse. Dal che discendeva
la necessità, da un lato, di «un'accurata scelta delle sorgenti luminose, e della loro
ALBUM DEGLI UCCELLIMANOSCRITTO
CARTACEO,
SEC. XVI,
TORINO,
BIBLIOTECA REALE
GIOVANNI TOMMASO BORGONIOTAVOLA MINIATA
DA HERCOLE
ET AMORE,
TORINO,
BIBLIOTECA REALE
88 un’Avventura TORINESE
a uno scambio di locali con l'Armeria Reale venivano realizzati i depositi e l'intercapedine
di risanamento, e si individuava lo spazio da destinare alla sala di esposizione. A questo punto
la Consulta riteneva di poter procedere e nella riunione di consiglio del 7 maggio 1997 veniva
deciso l'intervento relativo alla realizzazione della «Sala Leonardo», come iniziativa
da assumere per il successivo anno 1998.
L'intervento della Consulta consisteva nella
realizzazione, a livello di seminterrato, di un locale
concepito come una wunderkammer nella quale i
capolavori sarebbero stati custoditi ed esibiti, ma anche
soltanto consultati, nelle condizioni ottimali. Il locale,
con i lati di sei per dodici metri, garantisce coefficienti
costanti di temperatura e di umidità relativa, ed
è dotato, in caso di incendio, di un impianto di spe -
gnimento automatico a gas. La sicurezza all'intrusione
è garantita dalla blindatura della porta e delle pareti con
rilevatori di controllo a distanza. Il vano espositivo
è attrezzato con un tavolo centrale e con diciannove
vetrine-contenitori allineate lungo le pareti e divise
in tre settori: due per conservare disegni e manoscritti
e uno per l'esposizione dei pezzi più rari e preziosi.
La struttura dei contenitori è in ottone brunito
e legno di noce e ogni vetrina è protetta da cristalli
antisfondamento, mentre l'illuminazione è assicurata
da fibre ottiche a intensità regolabile. La nuova sala
venne ufficialmente inaugurata, a dieci anni dal primo
intervento della Consulta, il 19 novembre 1998 con
la prima delle mostre che, nel tempo, vi si sarebbero
succedute: «Leonardo e le Meraviglie della Biblioteca
Reale di Torino». La risonanza di quell'evento
fu notevolissima, amplificata anche dalle pagine
pubblicitarie che la Consulta acquistò, oltre che sui più
importanti quotidiani italiani, anche sui principali giornali di lingua francese, inglese, spagnola
e tedesca. A riprova del fascino che quell'austero ritratto esercita sull'immaginario collettivo,
si possono riportare le impressioni del cronista di Repubblica: «Questa non è una faccia,
questo è uno sguardo che scappa. Fila via di lato, alla sinistra del volto, dove gli occhi cercano
5. Un sogno a lungo coltivato 89
SALA DI LETTURA
SALA LEONARDO1998
LEONARDO DA VINCIAUTORITRATTO,
SANGUIGNA,
TORINO,
BIBLIOTECA REALE
5. Un sogno a lungo coltivato 9190 un’Avventura TORINESE
cose negate agli umani. Magari stanno solo osservando i muscoli di un cavallo, la testa
di un vecchio. Forse, stanno sognando un angelo[…]. L'Autoritratto […] non ha contorni, solo
aria disegnata, occhi, naso, bocca, capelli, barba, sfondo. Tutto scappa via, volando via. Il sogno
del volo, il sogno di Leonardo. Così leggero. Oppure quello non era un giorno di genio, magari
il sommo aveva mal di denti, era solo serio, triste, malinconico, può darsi che Leonardo quel
giorno stesse invecchiando male. Può darsi che guardasse di lato senza trovare nulla».
Enfasi retorica a parte, era quasi inevitabile che anche nel caso dell'Autoritratto
si manifestassero quei dubbi che periodicamente compaiono quando si espone un
capolavoro, occasione fra le più ghiotte perché i critici possano far parlare di sé. Di solito,
i dubbi finiscono per dare luogo a una delle seguenti affermazioni, secondo una graduazione
la cui logica sfugge ai comuni mortali: a) l'opera in questione è un falso; b) l'opera non è un
falso, ma non è di mano del Maestro; c) l'opera è del Maestro, ma riguarda un soggetto
diverso da quello sin qui ritenuto.
Nel caso specifico, fu l'ipotesi c) a tenere banco, rilanciata soprattutto in occasione
della seconda mostra legata all'Autoritratto, che si tenne l'anno successivo e che era dedicata
a «Leonardo e le Magnificenze del Sei e Settecento della Biblioteca Reale di Torino».
In tale occasione, quello stesso Pedretti che appena un anno prima aveva esaltato
l'importanza dell'Autoritratto, come simbolo del sapere e della scienza, intervistato
da Repubblica, affermava: «Nutro forti dubbi che il celebre Autoritratto a sanguigna
di Leonardo conservato nella Biblioteca Reale di Torino rappresenti il volto del grande artista
di Vinci. Devo essere obiettivo, non posso assoggettarmi al fascino di un mito nato all'inizio
dell'800, che ha suggestionato gli studiosi. Ora, la scoperta che le parole scritte in calce
al disegno devono essere lette in modo diverso, aggiunge forza alle mie perplessità».
A quasi cinque secoli di distanza, la certezza assoluta che si tratti dell'Autoritratto
nessuno può averla, ma un certo peso dovrebbe avere - se non altro per banale buon senso
- l'osservazione di Gombrich, secondo il quale «chi nel Cinquecento vi riconobbe Leonardo
stesso avrà pur avuto buone ragioni per farlo».
Naturalmente, una notizia in qualche modo scandalistica è autentica manna per
i quotidiani, soprattutto per quelli delle altre città, compuntamente, e malignamente, intenti
a esaltarla. Questo caso non fece eccezione. «Quello dell'Autoritratto non è il volto
di Leonardo» titolava perentoriamente Il Gazzettino di Venezia; «Leonardo, ma non
è autoritratto», incalzava La Nazione di Firenze; «Dubbi sull'Autoritratto di Leonardo a Torino»,
aggiungeva, con una certa prudenza, L'Eco di Bergamo. Sul contenuto della mostra, nella
quale tra le altre «meraviglie» erano esposte le tavole del Borgonio dedicate ai balletti di corte
e i famosi Album naturalistici di Carlo Emanuele I, nemmeno una parola. La notizia era troppo
ghiotta, per rischiare di inquinarla con notizie che avrebbero dovuto essere, necessariamente,
elogiative! In ogni caso, si può dire che lo scopo venne raggiunto. Venne raggiunto talmente
bene che la mostra, inaugurata il 30 ottobre, si trovò immediatamente al centro di insistenze
da parte delle autorità cittadine, che chiedevano di prorogarne la durata oltre la data
di chiusura prevista per il 12 dicembre.
Il sogno si era finalmente realizzato.
6. Il fascino discreto della cultura 9392 un’Avventura TORINESE
6 . IL FASCINO DISCRETO DELLA CULTURA
Fedele alla tradizione di incominciare a programmare l'intervento
successivo mentre si stava ancora concludendo il precedente, la Consulta prese
in considerazione la possibilità di intervenire sul Palazzo dell'Università degli
Studi già nella riunione di consiglio del 15 dicembre 1998.
Nessuno si nascondeva la difficoltà e la rilevanza economica
dell'intervento, che anche con una Consulta giunta ormai a contare una
trentina di soci non avrebbe mai potuto essere programmato su un solo
esercizio. Veniva infatti osservato che i costi stimati dell'operazione sarebbero
stati molto alti, attorno ai tre miliardi di lire, e quindi, prima di decidere,
si riteneva opportuno chiedere nuovi preventivi ad altre imprese specializzate
e ad altri restauratori. In realtà, il restauro si presentava particolarmente
complesso sia per la natura eterogenea dei materiali che dovevano essere
trattati, sia per le vicende che avevano accompagnato la storia dell'edificio,
sin dalla sua costruzione. Il Palazzo, affacciato «sulla contrada di Po e su
via Accademia» (oggi via Verdi), rientrava nei programmi di consolidamento
del potere assoluto perseguiti da Vittorio Amedeo II quando Torino, a seguito
della pace di Utrecht, era diventata la capitale di un Regno. Secondo
gli intendimenti del sovrano anche l'Università di Torino, vecchia ormai
di trecento anni (essendo stata fondata nel 1404), era chiamata a svolgere
un nuovo ruolo politico di controllo assoluto sulla formazione superiore.
Solo ad essa, infatti, era consentito negli Stati sabaudi rilasciare abilita -
zioni alle professioni, che dovevano essere confermate da una patente regia.
In questa prospettiva era perciò pre -
visto che, secondo i canoni dell'assolutismo,
anche il nuovo edificio venisse realizzato nella
cosiddetta «zona di comando», lungo un
percorso che portava alla piazza Castello,
cuore urbanistico e politico della Città, attorno
alla quale sorgevano il Palazzo Reale e il
Palazzo dei Regi Archivi, ma anche l'Acca -
MICHELANGELOGAROVEPALAZZO
DELL’UNIVERSITÀ,
CORTILE E LOGGIATO,
1712-1713
6. Il fascino discreto della cultura 95
ai lati dell'ingresso di via Po, si trovano oggi nell'Aula Magna. Sarà invece l'architetto Giuseppe
Talucchi a realizzare il grandioso portale d'ingresso dalla via Verdi. L'intervento che la
Consulta era chiamata a compiere riguardava dunque un edificio che aveva visto all'opera,
nell'arco di oltre un secolo, alcuni dei principali architetti attivi a Torino, fra quelli
che maggiormente avevano contribuito a delineare il volto urbanistico e architettonico della
Città, e sul quale si sarebbero poi abbattute le gravi sciagure del Novecento: il violentissimo
incendio che nel 1904 devasta la Biblioteca Nazionale Universitaria, alloggiata nei locali
dell'ex Cappella, e soprattutto, durante la seconda guerra mondiale, il bombardamento
dell'8 dicembre 1942. In quella circostanza, l'incursione di 133 aerei fra Lancaster, Wellington,
Halifax e Stirling della RAF provoca, oltre a 212 morti e 111 feriti, anche la distruzione
dello scalone che porta all'Aula Magna e dell'adiacente teatro per le pubbliche dimo stra -
zioni e conferenze, raggiunti da una bomba
incendiaria, comportando al tempo stesso
la caduta di numerosi stucchi. Ai danni
provocati dal bombardamento si sommano
poi quelli causati dal restauro e derivanti
dall'uso di materiali impropri, che deter mi -
nano, fra l'altro, anche il cambiamento dei
colori originali. In questo contesto, partico -
larmente grave sarebbe risultato il processo di
sbiancamento, inarrestabile, cui sono sotto -
poste le colonne in marmo di Gassino del
portico al piano terra e del loggiato, causato
dai reagenti chimici usati per la pulitura delle
stesse. E come se non bastasse, un ulteriore motivo di degrado derivava da fattori ambientali
provocati da un uso improprio del cortile, ridotto ad area di parcheggio per le automobili
dei dipendenti. In un quadro così complesso, era più che naturale che la Consulta non solo
volesse vederci chiaro, ma ponesse anche, come condizione necessaria per intraprendere
l'intervento, la clausola che l'Università si impegnasse a «liberare il cortile del Palazzo
dal parcheggio delle automobili».
Nella riunione del consiglio direttivo del 15 dicembre 1998, si stabiliva esplicitamente
che «è necessario preparare un protocollo d'intenti per stabilire un adeguato utilizzo
del cortile e del loggiato, che dovrebbe ospitare manifestazioni o eventi, mirati a rilanciare
questa prestigiosa istituzione». I problemi da affrontare erano certamente numerosi
e riguardavano principalmente il restauro dei rilievi in stucco delle pareti, per riportare
demia Militare (l'altro istituto di istruzione superiore del Regno sabaudo), la Cavallerizza
e la Zecca. Nell'incarico affidato all'architetto luganese Michelangelo Garove venne perciò
espressa l'esigenza che il nuovo palazzo fosse, in qualche modo, un moderno manifesto
del nuovo potere assunto dal sovrano. Esigenza che il Garove cercò di assolvere prevedendo,
al piano terreno, la presenza di botteghe e negozi per la realizzazione e la vendita di manufatti
artigianali: cornici, carte da parati, stoffe, stampe, libri. La via Po, che per la sua magnificenza
stava diventando uno dei luoghi deputati del grand tour e sotto i cui portici sarebbe transitata
una parte cospicua della cultura europea fra Sette e Ottocento, avrebbe fatto da cassa
di risonanza.
Alla morte del Garove, toccherà a Giovanni Antonio Ricca progettare la costruzione
del grandioso cortile con loggiato, concluso, per le parti decorative in stucco di porte
e finestre, da Filippo Juvarra, il quale, tra l'altro, proprio in quel Palazzo occuperà alcuni locali,
destinati a ospitare i grandi modelli lignei delle fabbriche che l'architetto messinese stava
realizzando, mentre altre stanze saranno destinate al suo assistente e agli artigiani luganesi
che lavoravano alla costruzione del complesso.
Ma Juvarra non si limita al completamento
del cortile e del loggiato. All'interno egli realizzerà,
infatti, il Teatro Anatomico, la Biblioteca e la
Cappella. Toccherà poi a Bernardo
Antonio Vittone, succeduto a Juvarra
dopo l 'al lontanamento di questi
da Torino, mettere mano all'edificio,
provvedendo a spostare i musei
a piano terra dall'originaria collocazione
al primo piano, mentre nel cortile fin dal 1718-
1720 erano già stati collocati a opera di Scipione
Maffei, erudito veronese, studioso dell'antichità,
importanti reperti archeologici. Nel secolo
successivo, poi, il loggiato è arricchito da statue,
da busti e dal gruppo marmoreo dedicato alla
Fama che incatena il Tempo, opera dei fratelli
Ignazio e Filippo Collino ai quali si devono
pure le due statue di Vittorio Amedeo II
e Carlo Emanuele III che, inizialmente
collocate nelle due nicchie
IGNAZIO E FILIPPO COLLINOLA FAMA
CHE INCATENA
IL TEMPO
MICHELANGELO GAROVEPALAZZO
DELL’UNIVERSITÀ,
LOGGIATO,
1712-1713
MICHELANGELO GAROVEPALAZZO
DELL’UNIVERSITÀ,
PARTICOLARE
LOGGIATO,
1712-1713
6. Il fascino discreto della cultura 9998 un’Avventura TORINESE
alla luce la finitura originale, e quello dei materiali lapidei, che andavano ripuliti dai depositi
di polvere e nerofumo, consolidati nelle parti sollevate e protetti con resine idrorepellenti.
Al di là degli aspetti tecnici, vi era poi l'elevato numero di pezzi da trattare: 38 busti
con lapidi; 6 statue a grandezza naturale; 9 lapidi; il gruppo scultoreo centrale dei fratelli
Collino; 62 colonne con capitelli; 112 metri lineari di balaustrata nel cortile. Interventi, tutti,
da realizzarsi in profondità, in quanto le condizioni generali delle finiture, delle pareti e delle
volte, mettevano in evidenza un degrado particolarmente pesante, come risulta dalla
relazione tecnica conseguente ai sondaggi effettuati nel dicembre 1998. «Le condizioni
generali delle finiture del cortile d'onore sembrano discretamente compromesse, soprattutto
a causa d'infiltrazioni d'acqua nelle volte, di eccessiva umidità, di uso improprio dell'ambiente
e di inadeguati interventi di restauro e manutenzione. Le pareti e le volte (al piano terra come
al piano nobile) risultano estesamente esfoliate; in più aree la pellicola pittorica si è crepata
ed è caduta o ha formato zone con perdita di aderenza e rigonfiamenti.
Numerosi elementi della decorazione in stucco (frontoni, capitelli, basi delle paraste)
risultano rotti e seriamente danneggiati da una massiccia presenza di sali solubili. I sali hanno
causato il sollevamento e la caduta degli strati pittorici che ricoprivano gli stucchi; infine
l'estesa fioritura dei sali cristallizzati ha intaccato anche la “pelle” degli stucchi originali.
Il degrado appare, inoltre, accelerato anche da impropri interventi di restauro,
condotti nel passato, che hanno comportato vaste stuccature a base di gesso un po' ovunque.
Infine la scelta di ridipinture a base di colori acrilici non ha permesso la corretta traspirazione
delle murature, generando estesi fenomeni di craquelure e distacco». Si trattava dunque
di un intervento particolarmente complesso, reso ancora più complicato dal fatto
che, dall'indagine condotta sulle superfici dei muri, è stato possibile riconoscere addirittura sei
diversi strati di pittura, prima di giungere al colore originario degli stucchi juvarriani.
Preliminarmente occorreva dunque precisare «natura e quantità delle modifiche distributive
e decorative dell'importante Palazzo. L'operazione era quanto mai delicata per la successione
di modifiche di aperture e di accessi, e di estesi completamenti, percepibili anche a vista sia
al piano terra sia al piano nobile nel loggiato, spazi suggestivi scanditi da uno spaesato museo
in pietra in cui il grande gruppo dei fratelli Collino si perdeva, annerito, contro pareti più volte
riprese e mortificate, dove anche gli infissi recenti denunciavano il rinnovo, non sempre
congruo, di percorsi e di usi».
A fronte di una simile situazione non stupiscono quindi né l'entità delle risorse
impegnate (consuntivate in due miliardi e quattrocento milioni di lire) né, tanto meno,
i due anni di tempo resisi necessari per condurre a termine l'intervento.
Preceduta da una conferenza stampa del 23 novembre 1999, che illustrava i lavori
eseguiti a metà del percorso, l'inaugurazione ufficiale del restauro sarebbe avvenuta
il 20 settembre 2000. E le potenzialità del cortile, finalmente liberato dalle automobili, e del
loggiato del Palazzo come sede di manifestazioni, mostre e concerti, si sarebbero potute
verificare già all'indomani, con un pomeriggio di festeggiamenti a ingresso libero, destinato
a durare fino a sera.
MICHELANGELO GAROVEPALAZZO
DELL’UNIVERSITÀ,
PARTICOLARE
DEL CORTILE
1712-1713
(Fotografia
di Ernani Orcorte)
palazzo dell’università
7. monumenti 105104 un’Avventura TORINESE
7 . MONUMENTI
Per quanto collocati in punti diversi della Città e appartenenti a due
ben distinte tipologie - la stele commemorativa, il primo; la statua equestre,
il secondo - i due monumenti a Vittorio Emanuele II e a Ferdinando di Savoia
presentano fra loro più similitudini di quanto a prima vista non possa
apparire. Intanto, i due personaggi raffigurati sono fratelli, figli di Carlo
Alberto, destinati l'uno a diventare re d'Italia, e capostipite della casata
di Genova, l'altro. Un legame di sangue che proseguirà anche nella generazione
successiva, quando la figlia di Ferdinando, Margherita, andrà sposa a Umberto,
figlio di Vittorio Emanuele, diventando così regina d'Italia quando il marito
succederà al padre.
Un altro elemento in comune fra i due personaggi è il coraggio individuale, del quale
entrambi ebbero occasione di dare ripetute prove sui campi di battaglia della prima guerra
d'Indipendenza. Da Goito e Peschiera sino alla fatal Novara. Infatti, Carlo Alberto nel dichiarare
guerra all'Austria aveva voluto che entrambi i figli vi prendessero parte e, con lui, fossero
presenti sul campo di battaglia. E così, mentre Vittorio Emanuele II era stato posto a capo
di una divisione di riserva delle Guardie, a Ferdinando era stato assegnato il comando
dell'artiglieria. E se il futuro re d'Italia ebbe modo di mettersi in luce a Goito, dove venne ferito
mentre alla testa delle sue Guardie respingeva il nemico, Ferdinando, cui si deve la caduta
di Peschiera, ebbe anche lui l'opportunità di scrivere una delle poche pagine luminose
nella tragica conclusione della guerra con la battaglia della Bicocca. Una terza somiglianza,
infine, è da ricercarsi nei tempi eccessivamente dilatati di realizzazione dei due monumenti.
Commissionato nel 1863, il monumento a Ferdinando di Savoia sarebbe stato inaugurato
solamente nel 1877; mentre, deliberato nei primi giorni del 1878, il monumento a Vittorio
Emanuele sarebbe stato esposto all'ammirazione dei torinesi addirittura oltre vent'anni più
tardi, nel 1899. A fronte di queste constatazioni, che la Consulta dovesse prima o poi occuparsi
di entrambi i personaggi, come a suo tempo era già avvenuto per le chiese di San Carlo e Santa
Cristina, era praticamente scritto nelle cose. Ed era altrettanto inevitabile che il primo intervento
riguardasse il monumento a Vittorio Emanuele II, per quanto cronologicamente più recente.
Da quando ne venne decisa la collocazione al centro dell'incrocio fra il corso che
proprio in occasione della morte del sovrano assumeva la denominazione di Vittorio Emanuele II
PIETRO COSTAMONUMENTO
A VITTORIO
EMANUELE II,
1879-1899
106 7. monumenti 107un’Avventura TORINESE
DESCRIZIONE
CARICATURALE
DEI BOZZETTI
DEL CONCORSO
BANDITO
PER IL MONUMENTO
A VITTORIO
EMANUELE II,
DA “IL FISCHIETTO”
108 7. monumenti 109un’Avventura TORINESE
(mentre sino ad allora era dedicato a San Avventore) e il corso Galileo Ferraris (che però allora
si chiamava ancora Siccardi), per i torinesi si è trattato del «monumento» per antonomasia,
e come tale non bisognoso di ulteriore specificazione. Un simbolo della Città, un segno di
identificazione per i torinesi, al pari della Mole Antonelliana (anch'essa sbrigativamente definita
«la mole»), significativamente costruita negli stessi anni in cui si verificava la difficile gestazione
del monumento. Se tutti gli altri interventi realizzati sino a quel momento erano stati
certamente importanti, questo certificava in maniera indiscussa la
«torinesità» della Consulta, nel solco della tradizione che aveva
già al proprio attivo il restauro dell'Aula del Parlamento Subalpino
e di quella cosiddetta del Parlamento Italiano. Il monumento con
il quale ora la Consulta intendeva misurarsi aveva avuto una
vicenda lunga e tormentata, per molti aspetti addirittura surreale.
Perché, se non era occorso molto tempo per deciderne l'erezione
e sceglierne la localizzazione, in compenso ne occorse moltissimo
perché l'insieme delle sculture e delle strutture in pietra destinate
ad accoglierle trovasse idonea sistemazione. L'idea di «erigere
un monumento che per la sua grandiosità non fosse inferiore
a quello che nelle stesse ore si stava deliberando a Roma» per
onorare la memoria del sovrano defunto, venne assunta dal
Consiglio comunale di Torino appena appresa la notizia della
morte di Vittorio Emanuele II.
Tale intenzione, tuttavia, venne immediatamente
superata dal tempestivo intervento del successore, Umberto I,
interessato a ristabilire con Torino e con i torinesi un clima più
disteso di quello che si era verificato a seguito del trasferimento
della capitale a Firenze, e al cui miglioramento non aveva
certamente giovato la decisione di seppellire il re defunto a Roma
anziché a Superga, come era nei voti, e nelle illusioni, dei torinesi.
Fu dunque sostanzialmente per indorare la pillola che
Umberto I, nella stessa lettera in cui annunciava di aver donato
alla Città di Torino l'elmo, la spada e le medaglie del padre,
manifestava l'intenzione di far erigere «un monumento che eterni
la memoria del Primo Re d'Italia», stanziando a tal fine la cospicua
somma di un milione di lire. Con un successivo telegramma
al sindaco, Umberto precisava poi che era suo desiderio che la
scelta del monumento da erigere avvenisse per pubblico concorso e affidava al Municipio
di Torino l'incarico di fissarne le condizioni e di seguire, successivamente, la realizzazione
dell'opera.
Detto, fatto. Il Municipio non perse tempo, tanto che già il 24 luglio dello stesso 1878
veniva pubblicato il bando di concorso, che fissava come termine ultimo per la presentazione
dei progetti il successivo 28 febbraio 1879. Al concorso parteciparono tutti i nomi più
importanti della scultura italiana; complessivamente furono presentati 46 bozzetti e 8 disegni.
Dopo una prima scrematura, che ridusse a 22 i progetti presi in considerazione,
alla fine l'attenzione dei sedici componenti della commissione esaminatrice si concentrò su tre
opere: quella degli architetti Rivalta e Castellazzi, che proponevano un monumento equestre;
quella di Augusto Passaglia, consistente in un arco trionfale; e infine quella di Pietro Costa,
che sarebbe risultata vincitrice con 14 voti contro 2. E che veniva così descritta: «Monumento
a base quadrata con gli angoli mozzi sporgenti; quattro aquile reggono stemmi sabaudi,
quattro colonne doriche formano il piedistallo. Alla base di esso vi stanno quattro figure
sedenti, l'Unità, la Libertà, la Fratellanza e il Lavoro, primi fattori del Risorgimento Italiano.
Sull'alto emerge la figura del re, in piedi, a capo scoperto, sopra un tappeto recante
le armi di Roma e la data 1870 in atto di pronunziare il motto “Siamo a Roma e ci resteremo”».
A far pendere l'ago della bilancia in favore del Costa fu probabilmente la freschezza
della sua ispirazione, a fronte di tanti altri bozzetti di artisti certamente più conosciuti, ma molto
più accademici e grondanti retorica. Si può dire che Costa, artista antiaccademico
per eccellenza, pur non avendo ancora compiuto i trent'anni (essendo nato a Celle Ligure
il 29 giugno 1849) stava vivendo il suo momento magico. Partendo dalla realizzazione di alcuni
monumenti funerari per il genovese cimitero di Staglieno, nello spazio di soli due anni gli
era riuscito di vincere il concorso per il fregio del coronamento della facciata del Palazzo
del Ministero delle Finanze; quello per la statua a Vittorio Emanuele II da collocarsi nella sala
del Consiglio provinciale di Roma (Palazzo Valentini) e per il monumento di Mazzini a Genova.
E infine il ben più impegnativo monumento a Vittorio Emanuele II per Torino.
Ma questo fu anche il suo canto del cigno, l'opera che lo impegnò, e si può anzi dire
che lo divorò, per il resto dei suoi giorni. Infatti, se erano bastati diciotto mesi dalla scomparsa
del sovrano per giungere alla scelta del bozzetto e alla proclamazione del vincitore, prima
di arrivare alla conclusione dell'opera sarebbero occorsi ben più dei sei anni previsti
dalla convenzione che regolava i rapporti fra il Costa e il Comune di Torino.
Sarebbero occorsi vent'anni. E non sarebbero neppure stati sufficienti se, a un certo
momento, l'autore non fosse stato esautorato, assumendo in proprio il Comune di Torino
la conclusione dei lavori. Probabilmente, alla morte del Costa, avvenuta nel 1901, l'opera
MONUMENTOA VITTORIO
EMANUELE IIIMPALCATURA ERETTA
DAL 1879 AL 1899
INAUGURAZIONE9 SETTEMBRE 1899
110 7. monumenti 111un’Avventura TORINESE
non sarebbe stata ancora ultimata. Dal momento della proclamazione del vincitore iniziò infatti
una vicenda surreale, nella quale confluirono varie componenti, che andavano dagli altri
impegni del Costa (la statua di Mazzini), alla sua scarsa propensione a impiantare lo studio
a Torino, a questioni tecniche, come la scelta dei materiali lapidei per il basamento
e le colonne, a questioni pratiche, come la scelta di fondere a Roma la statua del re. Un ruolo
non secondario lo giocarono poi questioni caratteriali, come il cattivo rapporto fra lo scultore
e il fonditore, la sospensione della fusione e la decisione del Costa di fondere in proprio,
nonostante la sua mancanza di esperienza in un settore così delicato. Ma anche la malasorte
vi mise lo zampino. Quando finalmente Costa si decise ad aprire lo studio a Torino,
il 13 gennaio 1883, una nevicata più abbondante del solito fece crollare il tetto di uno
dei lucernari dello studio sulla statua del re, rovinandola completamente e imponendone
il rifacimento. Superato il giro di boa del 1885, anno in cui, secondo la convenzione,
il monumento avrebbe dovuto esser inaugurato, la vicenda assume contorni kafkiani, con
il Costa che brilla per inerzia, dando segni di dinamismo soltanto nei momenti in cui deve
chiedere ulteriori proroghe al contratto, e il Comune di Torino, che brilla per eccesso
di pazienza, sempre disposto a concederle: anche quando l'imperizia dell'autore come
fonditore comporta il distacco di un braccio della statua della Libertà. Infatti non
fu quest'episodio a far uscire il Comune da un atteggiamento troppo remissivo, ma
l'esasperazione dell'opinione pubblica e l'atteggiamento dei giornali, che ormai criticavano
apertamente l'operato dell'amministrazione.
Finalmente, il Comune si risolse a procedere per le vie legali, ottenendo dal Tribunale
di Torino la condanna del Costa e riuscendo a entrare in possesso del monumento il 5 gennaio
1898 (quindi, vent'anni dopo la morte del sovrano, avvenuta il 9 gennaio 1878).
Completati gli ultimi interventi, finalmente il 9 settembre 1899 il monumento veniva
inaugurato alla presenza dei sovrani, in un tripudio
di manifestazioni e festeggiamenti che per tre giorni
fecero rivivere a Torino l'atmosfera e gli entusiasmi
del Risorgimento.
Negli oltre cento anni trascorsi da quel
momento, il «monumento» è stato ripetutamente
sottoposto a restauri parziali e soprattutto a verifi -
che intese a valutarne la stabilità: questo special -
mente dopo la seconda guerra mondiale. In effetti,
già al momento della collocazione la statua di Vittorio
Emanuele II aveva presentato non pochi problemi
PIETRO COSTAMONUMENTO
A VITTORIO
EMANUELE II,
PARTICOLARE
DELLE ALLEGORIE
E DELLE AQUILE
CON GLI STEMMI
SABAUDI,
1879-1899
PIETRO COSTAMONUMENTO
A VITTORIO
EMANUELE II,
1879-1899
7. monumenti 113112 un’Avventura TORINESE
di stabilità ai quali si era cercato di ovviare in vario modo: prima riempiendo di piombo
i pantaloni del sovrano e successivamente inserendo due tiranti nelle gambe. L'intervento
operato dalla Consulta è stato il primo a riguardare la totalità del monumento, le parti lapidee
non meno di quelle metalliche, e più precisamente una parte architettonica dove sono
impiegati due tipi diversi di granito, e una parte statuaria caratterizzata da nove gruppi scultorei
e altri elementi decorativi fusi in bronzo. Per quel che riguarda la parte bronzea,
la preoccupazione maggiore è stata per la conservazione della patina, la cui asportazione, oltre
a togliere uno degli elementi essenziali che connotano l'aspetto del bronzo, avrebbe esposto
la superficie metallica, resa «nuda», ad attacchi corrosivi diretti da parte degli agenti atmosferici
e di altri inquinanti naturali, come il guano di piccione.
Salvare la patina significava dunque assicurare una protezione che, se non eliminava
totalmente, quanto meno rallentava di molto i processi di degrado. In questo caso, escluso
il ricorso ad agenti chimici, la pulitura dei gruppi bronzei è stata effettuata utilizzando
un innovativo sistema di sabbiatura, mutuato da applicazioni industriali di alta precisione,
consistente nell'impiego di un abrasivo tenero, ricavato dalla macinazione dei gusci di noce.
Questi, più ricchi di lignina dello stesso legno e privi di olio, possono essere macinati a varie
granulometrie e presentano il vantaggio di consentire l'asportazione dello strato inconsistente
della patina (in pratica, lo sporco superficiale), conservandone però la parte più compatta,
in quanto il metallo non viene mai scoperto.
Un altro vantaggio di questo sistema consiste nel contenimento dei tempi, e quindi
dei costi, rispetto ai più tradizionali sistemi manuali, senza compromettere l'efficacia
dell'intervento. Nel caso specifico, sono stati impiegati gusci di noce macinati del calibro
di 0,2-0,5 millimetri. Ultimata la pulitura, i gruppi sono stati sottoposti a lavaggio con acqua
distillata, successivamente trattati con prodotti inibitori della corrosione e infine protetti con
resine acriliche e cera sintetica. Nel corso di queste operazioni si è anche proceduto ad alcuni
ripristini sul fodero della spada, sulle frange del tappeto su cui posa la figura di Vittorio
Emanuele II, e sulla sua gamba sinistra, già interessata da restauri nel passato.
Per quanto concerne, invece, la parte architettonica, i problemi sono stati meno
complessi, dal momento che la conservazione del granito in atmosfera urbana è normalmente
buona. Nel caso specifico si doveva operare su una base in granito grigio della Balma, con sei
gradini perimetrali, interrotti in corrispondenza degli angoli da quattro blocchi sul cui fronte
sono scolpite le date 1848 - 1859 - 1866 - 1870. La base serve da supporto alle quattro grandi
colonne doriche, realizzate in granito rosa di Baveno lavorato «a bocciarda», cioè con una
martellatura mediante strumento a testa dotata di fitte punte acuminate. Da notare che nelle
discussioni iniziali si pensava di realizzare le quattro colonne - alte dodici metri per due
di diametro - in blocchi monolitici. Qualcuno aveva addirittura avanzato l'ipotesi di ricorrere
alla cava egiziana di Assuan della regina Hatsepsut. Ovviamente, dopo alcune perizie sui costi
e sopralluoghi alle cave, si rinunciò all'opzione egiziana e si trovò ragionevole dividere ogni
colonna in tre rocchi! Trattandosi, in ogni caso, di materiale di buona qualità, poco assorbente,
fu sufficiente un lavaggio intensivo per riportare le pietre al loro colore originario, salvo poi
proteggerle con un materiale idrorepellente in grado di permettere l'evaporazione dell'umidità
dall'interno, impedendone l'assorbimento in caso di pioggia battente.
Un'ultima considerazione. La particolare collocazione del monumento e le perfette
proporzioni fra le sue varie parti, normalmente non consentono di coglierne appieno
le dimensioni, che in realtà sono imponenti: 2000 metri quadrati di superficie per un'altezza
di 38 metri. La sola statua di Vittorio Emanuele è alta oltre sei metri.
L'impalcatura costruita per l'occasione ha suggerito l'opportunità di consentire, non
soltanto agli addetti ai lavori ma anche alla cittadinanza torinese, di verificare con i propri occhi
la grandiosità del manufatto e, al tempo stesso, di osservare Torino dall'alto, con una
prospettiva decisamente inconsueta e certamente, almeno per molti anni, altrettanto
irripetibile. Sono state perciò organizzate, in giorni prefissati, visite guidate che hanno segnato
un notevole successo, inaugurando per questa via un altro canale di dialogo fra la Consulta
e la Città. Un dialogo amplificato anche dalla produzione di un numero monografico dedicato
alla storia del monumento e all'intervento della Consulta, diffuso tramite La Stampa, in circa
200.000 copie allegate a Torinosette. La presenza del Capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi,
il 20 novembre 2001 ha conferito particolare solennità all'inaugurazione del restauro.
Con queste premesse, era praticamente inevitabile che l'intervento successivo
riguardasse il Monumento a Ferdinando, duca di Genova; anche se le superfici da trattare
erano sensibilmente inferiori a quelle del monumento a Vittorio Emanuele II, i problemi erano
gli stessi e analoghe dovevano risultare le soluzioni da adottare. Nel caso specifico, l'intervento
della Consulta serviva poi anche a riportare all'attenzione dell'opinione pubblica la figura di un
personaggio che, per svariate ragioni, aveva perso immagine nella sensibilità collettiva
dei torinesi. Certamente, a questo scadimento d'immagine aveva contribuito anche, e non
poco, l'infelice collocazione del monumento, assediato dal traffico e fiancheggiato da capolinea
di autobus: e questo, prima ancora che comparissero all'orizzonte le strutture di Atrium, e che,
nei mesi invernali, cavallo e cavaliere venissero stretti nella morsa dell'anello dedicato
al pattinaggio sul ghiaccio. Eppure il personaggio meritava ben altra considerazione.
Ferdinando Maria Alberto di Savoia Carignano, duca di Genova, era nato
il 15 novembre 1822 a Firenze, dove il padre, Carlo Alberto, era stato per così dire «esiliato»
dal re Carlo Felice che lo sospettava di simpatie rivoluzionarie. Coraggio personale e amore
7. monumenti 115114 un’Avventura TORINESE
di riorganizzarsi, ricevere rinforzi e riprendere l'iniziativa. Nonostante il valore dei principi,
la guerra era definitivamente perduta.
Ma a Ferdinando erano richieste ancora altre prove di coraggio. Come spesso accade,
la sconfitta recava con sé sbandamento, diserzioni, disordini, specialmente in Novara, dove
- è sempre Bersezio a ricordarlo - «fremeva e ferveva una scellerata orgia di rapine
e di violenze. Gli sbandati, i fuggiti col pretesto di cercar cibo e bevanda saccheggiavano
abitazioni e botteghe; grida d'imprecazione, di minaccia, di lamento e di preghiera: colpi
di fuoco e di armi che scassinavano usci, finestre e forzieri, uno spettacolo indegno,
di vergogna e di dolore». A riportare l'ordine fu proprio Ferdinando, il quale, postosi a capo
di una squadra di cavalleria «spazzò per le strade a colpi di sciabola quella ciurmaglia pazza
e briaca». Ferdinando avrebbe avuto ancora occasione di dimostrare di che pasta era fatto
il 26 aprile 1852, in occasione dello scoppio della polveriera di Borgo Dora, quando lo si vide
lavorare alacremente a fianco dei soldati per spegnere l'incendio, incurante della possibilità
che si verificassero nuovi e ben più gravi scoppi. Il suo coraggio fu talmente apprezzato
che, per quell'operazione, avrebbe ricevuto la medaglia d'oro.
È possibile che all'origine del coraggio del duca vi fosse il presagio di una fine
imminente: egli sarebbe morto, infatti, il 10 febbraio 1855, stroncato da una forma gravissima
di mal sottile, malattia romantica per eccellenza, come romantico, in fondo, era stato il suo
personaggio. Venendo a cadere a breve distanza di tempo da quella della madre, la vedova
di Carlo Alberto, e della regina Maria Adelaide, moglie di Vittorio Emanuele II, deceduta appena
qualche giorno prima, la morte di Ferdinando trovò scarsa eco sui giornali e passò quasi
inosservata fra i torinesi. Intanto, altri eventi incombevano, la spedizione di Crimea era
alle porte, aprendo l'esaltante stagione che doveva concludersi con la seconda guerra
d'Indipendenza e la proclamazione del Regno d'Italia.
E così fu soltanto nel 1863 che Vittorio Emanuele decise di dedicare un monumento
alla memoria del fratello; il quale, peraltro, era già stato ricordato con una statua in marmo
dello scultore Giuseppe Dini, dedicatagli da un curioso e munifico personaggio piemontese,
Giovanni Mestrallet, collocata già nel 1858 sulla facciata del Palazzo comunale di Torino
assieme a quella del principe Eugenio. Incaricato di realizzare il monumento fu lo scultore
Alfonso Balzico, sia perché apprezzato per la sua abilità nel modellare animali, in particolare
cavalli, sia, soprattutto, perché Vittorio Emanuele II era rimasto favorevolmente impressionato
da un bozzetto - oggi al Museo Nazionale del Risorgimento di Torino - nel quale uno scugnizzo
napoletano fraternizzava con un bersagliere piemontese, a simboleggiare l'Unità Nazionale.
Il monumento si compone di un gruppo statuario e di due bassorilievi. Per il gruppo
statuario Balzico si ispirò a un episodio della battaglia della Bicocca, raffigurando il duca
ALFONSO BALZICOMONUMENTO
A FERDINANDO
DI SAVOIA, 1877
per lo studio furono le sue doti principali; in particolare coltivò con grande intelligenza gli studi
matematici e mise assieme una cospicua biblioteca, ricca di rari documenti tecnico-scientifici
e di preziosi manoscritti medievali, oggi in parte conservati in quella Biblioteca Reale
già oggetto di intervento da parte della Consulta.
Ma l'ammirazione che riuscì a suscitare nei torinesi suoi contemporanei non era
dovuta alla cultura, quanto alle ripetute prove
di coraggio che ebbe a dare nella sua breve
vita. A iniziare dalla parte che gli toccò di
interpretare nella prima guerra d'Indipen -
denza, soprattutto nelle tragiche fasi conclu -
sive, dopo che il 2 marzo 1849 era stato
denunciato l'armistizio. In quell'ultimo scorcio
di guerra, 100.000 austriaci, ben inquadrati ed
equipaggiati agli ordini del generale Radetzky
riuscirono a sconfiggere 120.000 piemontesi,
in gran parte nuove reclute e volontari
indisciplinati, agli ordini di un generale po -
lacco - il Chrzanowski - che anche per il solo
aspetto fisico non avrebbe potuto conquistarsi
il rispetto della truppa. Vittorio Bersezio che,
giovane studente, aveva preso parte come
volontario alla guerra, nelle memorie ne
fornisce un ritratto impietoso, ricordando
che i soldati gli trovavano «una faccia da
sacrestano».
Com'è noto, l'epilogo amarissimo
giunse qualche giorno dopo la ripresa delle
ostilità, il 23 marzo, quando 50.000 piemon -
tesi concentrati a Novara furono attaccati
da truppe austriache inferiori di numero al comando del generale D'Aspre, nei pressi della
cascina Bicocca, che fu presa e perduta per ben quattro volte. Nell'ardore della battaglia,
Ferdinando ebbe due cavalli uccisi da fucilate nemiche e un terzo ferito a morte. I piemontesi,
in netta superiorità numerica, avrebbero potuto volgere a proprio favore le sorti della battaglia
se i due principi, che si accingevano a sferrare l'attacco finale, non fossero stati bloccati,
per eccesso di prudenza, dallo stesso Chrzanowski, consentendo in tal modo agli austriaci
117
nel momento in cui si sente mancare sotto il cavallo che, ferito al petto, si ripiega cadendo
di fianco sulla gamba anteriore sinistra. Il duca è colto nell'atto di tirare fortemente le briglie,
onde tenere alta la testa del cavallo e potersi liberare degli arcioni, mentre con la spada
sguainata incita le truppe all'assalto. I bassorilievi invece richiamano i due episodi della prima
guerra d'Indipendenza che lo videro protagonista: l'Assedio di Peschiera e, appunto,
la Battaglia della Bicocca. Come sarebbe avvenuto per il monumento a Vittorio Emanuele II,
anche quello a Ferdinando andò incontro a ritardi biblici e poté essere inaugurato solamente
il 10 giugno 1877, tra le proteste dei torinesi che non poterono prendere parte diretta
alla cerimonia. La disposizione a cerchio attorno al monumento dei palchi riservati alla famiglia
reale e alle autorità impedì infatti alla moltitudine accorsa (era una domenica) la vista diretta
del gruppo statuario nel momento in cui veniva scoperto.
Mentre il giudizio sui bassorilievi fu unanimemente positivo, la scelta dell'artista
di raffigurare un episodio fortemente drammatico come la morte di un cavallo, e soprattutto
il modo in cui la realizzò, diede luogo a valutazioni contrastanti. I commenti furono
generalmente favorevoli per quanto riguardava il cavallo, anche se non mancarono gli ironici
commenti de Il Fischietto, dalle cui colonne due sedicenti, e saccenti, esperti di ippica
sentenziarono che «il cavallo è troppo stretto di spalle, e per un cavallo di sangue ha le gambe
ALFONSO BALZICOMONUMENTO
A FERDINANDO
DI SAVOIA, 1877
troppo grosse»; mentre altri, colpiti dal realismo con cui l'animale era stato raffigurato,
suggerivano di coprirgli il posteriore con mutandoni così da non turbare con spettacoli
impudichi la vista delle signore che passavano da quelle parti. L'Illustrazione Italiana riassunse
l'opinione generale sottolineando come si trattasse di un «lavoro d'arte splendidissimo».
Diverso il discorso, invece, per la statua del duca, alla quale si rimproverava un'eccessiva
staticità, una calma quasi innaturale, in forte contrasto con la figura fortemente drammatica
del cavallo morente. Era come se il duca, lungi dal balzare dall'arcione nella concitazione
della battaglia, scendesse tranquillamente da cavallo al termine di una parata. Nonostante
questa pecca, il gruppo scultoreo segnò sicuramente una svolta moderna, in chiave verista,
rispetto alla tradizione della scultura celebrativa italiana del XIX secolo, e la complessità
dell’insieme richiese sicuramente grande perizia tecnica al momento della fusione, realizzata
dalla fonderia Papi di Firenze. I problemi che la Consulta si è trovata ad affrontare erano
sostanzialmente analoghi a quelli riscontrati nel precedente intervento sul monumento
a Vittorio Emanuele II, causati da agenti inquinanti e atmosferici.
Al momento dell’intervento si era riscontrata su tutta la superficie una diffusa
formazione di croste nere e polveri compattate. Inoltre, nella parte alta del monumento erano
depositati residui di guano, mentre nelle parti in bronzo la patina, formatasi per processo
naturale di ossidazione, risultava aggredita da cloruri e solfati che avevano provocato una
colorazione variegata tendente al grigio. Per contro il basamento presentava anche alcune
sconnessioni in corrispondenza dei tre gradini posti alla base.
La metodologia impiegata è stata analoga a quella utilizzata per i gruppi bronzei del
monumento a Vittorio Emanuele II, anche se in questo caso, anzichè alla sabbiatura con granuli
ricavati dal guscio delle noci, si è preferito procedere ad un’azione di pulitura selettiva,
effettuata per mezzo di bisturi, martelletti e microspazzole. Quanto al basamento, è stato
consolidato, e successivamente sottoposto a pulitura mediante microsabbiatrice caricata con
polvere di ossido di alluminio. In conclusione, il restauro, attuato con criteri che hanno
privilegiato la rigorosa conservazione delle patine e secondo metodiche sperimentate
dall’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, ha consentito di bloccare e, per quanto possibile,
rimuovere le cause di degrado del monumento, restituendogli al contempo una parte
della visibilità oggi mortificata dall’incombente presenza delle due strutture, sperabilmente
provvisorie, realizzate per le Olimpiadi invernali del 2006. Che se poi, in attesa di restituire
alla piazza la sua fisionomia originaria, ci si vorrà astenere dall’assediare il monumento
con un’incongrua pista per il pattinaggio su ghiaccio, sarà possibile apprezzare in tutta
la sua bellezza un’opera fra le più significative del patrimonio artistico torinese, che l’intervento
della Consulta ha restituito all’ammirazione dei cittadini.
7. monumentiun’Avventura TORINESE116
villa della regina
8. Un Teatro d’Acque 123122 un’Avventura TORINESE
8 . UN TEATRO D’ACQUE
Dopo quindici anni di attività, la Consulta si presentava ormai come
una macchina ben rodata, nella quale tutti gli ingranaggi, perfettamente
oliati, rispondevano alle indicazioni del manovratore di turno, pronti
ad assolvere i compiti che li attendevano.
Di fatto, mentre si stavano completando i restauri del Monumento
a Ferdinando di Savoia, già era stato avviato l'iter che avrebbe portato alla
realizzazione dell'intervento successivo. In questo caso, muoversi per tempo,
con le idee ben chiare, era estremamente necessario, visto che si sarebbe
trattato dell'intervento di gran lunga più importante fra quelli realizzati dalla
Consulta sino a quel momento.
Un intervento che, anche alla luce di quelli successivi, è risultato
eccezionale non tanto, o soltanto, per le risorse impiegate che pure sono state
ingenti, ma per la complessità delle opere richieste, che non rimanevano fine
a se stesse (come era avvenuto in precedenza con il restauro delle facciate
e dei monumenti), ma che dovevano inserirsi in un contesto armonico
di interventi coordinati, sollecitando la partecipazione di un numero rilevante
di competenze diverse.
L'idea di intervenire per il restauro, il recupero e la riapertura al pubblico della Villa
della Regina risale al 1994, a quando cioè l'imponente complesso affacciato sui primi
contrafforti della collina torinese venne dato in consegna alla Soprintendenza per i Beni
Artistici e Storici del Piemonte.
Dopo un ventennio di incuria, l'insieme di edifici, giardini, prati, si presentava
in stato di deplorevole abbandono. Il rischio concreto che un luogo di straordinaria rilevanza
storico-artistica, ma anche ambientale e paesaggistica, andasse definitivamente perso era
già stato denunciato dalla Gazzetta Antiquaria fin dal 1990: «Affreschi, tempere e boiseries,
tra i più raffinati esempi delle arti e dei mestieri settecenteschi, sono intaccati da un degrado
così incalzante che rischia di confinare la residenza a pura memoria storica».
Altrettanto grave della situazione degli apparati decorativi degli interni era anche
quella del parco, «causa principale di umidità e corrosione». Il restauro dell'edificio doveva
VILLA DELLA REGINA
ASSE
DEL BELVEDERE
8. Un Teatro d’Acque 125124 un’Avventura TORINESE
dunque accompagnarsi a massicci interventi sulle fontane, sull'apparato idrico, sull'insieme
arboreo, che comportavano l'abbattimento delle alberature infestanti, il recupero del
disegno originale del parco e il ripristino dei giochi d'acqua e delle fontane.
Un intervento complessivo di questa portata risultava poi aggravato da una
complicata situazione giuridica, che non permetteva di definire chiaramente a chi
competesse la titolarità degli interventi. In pratica la Villa, pur essendo di proprietà del
Demanio, era in consegna provvisoria alla Provincia di Torino, cui spettava di concordare con
le Soprintendenze un progetto complessivo di recupero. In effetti, la vicenda di quella che
sarà poi detta Villa della Regina è lunga, complessa e tormentata.
La costruzione risale agli anni attorno al 1620 ed è voluta dal principe cardinale
Maurizio di Savoia (1593-1657), figlio del duca Carlo Emanuele I e di Caterina d'Austria.
Il cardinale, persona colta e raffinata, realizzò un complesso costituito dalla Villa
propriamente detta, con giardini all'italiana e Teatro d'acque, contornato da zone boschive
e agricole.
L'idea di costruire una residenza circondata da giardini disposti ad anfiteatro
si ispirava alle ville romane che il cardinale aveva avuto modo di vedere durante il suo
VILLA DELLA REGINA
ASSE
DEL BELVEDERE
8. Un Teatro d’Acque 127126 un’Avventura TORINESE
VILLA DELLA REGINAASSE
DEL BELVEDERE
8. Un Teatro d’Acque 129128 un’Avventura TORINESE
al collasso finale. In una situazione di questo genere, si comprende bene come il restauro
e il recupero non si sarebbero potuti realizzare in modo unitario e in un'unica soluzione, ma
si dovessero suddividere - secondo quanto previsto dai progetti esecutivi predisposti dalla
Soprintendenza fra il 1997 e il 2000 - in lotti funzionali con tempi di intervento
strettamente correlati, ponendosi come obiettivo l'ultimazione dei lavori entro il 2006.
Per quella scadenza era previsto che la Villa ospitasse un museo della residenza
(con visita degli appartamenti regi al piano nobile e percorsi storici nel giardino e nel parco),
un centro di documentazione e catalogo, un laboratorio storico-didattico legato al giardino.
I diversi lotti di intervento vennero suddivisi fra gli enti e le organizzazioni che
avevano manifestato l'intenzione di partecipare a questo importante recupero: Compagnia
di San Paolo, Fondazione CRT, Regione Piemonte e, ovviamente, la Consulta, che assunse
su di sé l'onere di restaurare l'Asse del Belvedere con il suo straordinario Teatro d'Acque.
Per la Consulta si è trattato di una sfida affascinante, certamente più impegnativa
di tutte quelle affrontate sino a quel momento, che ha visto coinvolta una folta schiera
di storici dell'arte, architetti, archeologi, restauratori, ingegneri, impiantisti e chimici.
L'Asse del Belvedere, che sorge alle spalle dell'edificio principale, si sviluppa su
un dislivello di circa trenta metri, cui si accede dalla corte d'onore settecentesca a pianta
semicircolare, chiusa da un muro con balaustra e nicchie decorate con rivestimenti rustici
in pietra calcarea. Al centro del perimetro del muro si apre una scalinata che conduce
alla Grotta del Re Selvaggio, situata al centro del Giardino dei Fiori.
soggiorno presso la corte papale. Alla morte del principe, la moglie, principessa Ludovica
di Savoia (che Maurizio aveva sposato appena quindicenne, dopo aver rinunciato alla dignità
cardinalizia), procedette all'ampliamento sia della Villa sia dei giardini, mentre importanti
aggiornamenti degli apparati decorativi furono realizzati successivamente da Anna Maria
d'Orléans, moglie di Vittorio Amedeo II, alla quale Ludovica aveva lasciato in eredità
il complesso.
Ma, anche in questo caso, gli interventi più importanti furono realizzati dopo il 1728
per la nuova regina Polissena d'Assia Rheinfelds, seconda moglie di Carlo Emanuele III,
da Filippo Juvarra, affiancato da Giovanni Pietro Baroni di Tavigliano; e ancora fra il 1760
e il 1780 per la nuova proprietaria, Maria Antonia Ferdinanda Borbone di Spagna, moglie
di Vittorio Amedeo III, allora duca di Savoia. In questo periodo vennero edificati il corpo
di guardia, le scuderie e il grande Palazzo Chiablese, pesantemente danneggiati
dai bombardamenti della seconda guerra mondiale e successivamente demoliti perché
non più recuperabili.
Il complesso mantenne la sua straordinaria unitarietà anche dopo il 1865, quando
venne ceduto all'Istituto per le Figlie dei Militari, che ne curò la conservazione sino al 1975,
quando l'ente venne sciolto. La mancata manutenzione, il progressivo abbandono degli
stabili, parziali smembramenti e modifiche d'uso nel frattempo intervenute, riparazioni dei
danni di guerra con interventi impropri sia sulle strutture edilizie sia su quelle botaniche
avevano progressivamente degradato il meraviglioso insieme, portandolo molto vicino
VEDUTA
DELLA VILLA
DELLA REGINA
E DELLA CITTÀ
DALL’ ASSE
DEL BELVEDERE
VILLA DELLA REGINAASSE
DEL BELVEDERE
8. Un Teatro d’Acque 131130 un’Avventura TORINESE
E salendo ancora si incontra il giardino ad anfiteatro, sovrastato a sua volta da tre
terrazzi, sull'ultimo dei quali si erge il Padiglione del Belvedere. Da questa costruzione,
l'acqua che sgorga da una semplice sorgente di falda ancora in funzione si insinua
nella Fontana del Mascherone, «colma una conchiglia, poi scompare, quindi riaffiora
dall'anfora di una Naiade e scende con dieci cascatelle fino a penetrare fra i mosaici
della Grotta del Re Selvaggio. Di qui sfocia in una peschiera, con zampillo. Poi si nasconde
di nuovo fino all'esedra, dove s'acquieta in una fontana», salvo poi scivolare sotto la Villa
e terminare la corsa nella Peschiera della Sirena prospiciente lo scalone d'ingresso.
Per recuperare una simile meraviglia dallo stato di abbandono in cui si trovava
e far nuovamente zampillare l'acqua, era indispensabile comprendere in via preliminare
il funzionamento del sistema impiantistico originario, nonché la consistenza e la tipologia
delle modificazioni introdotte nel passato per usufruire delle risorse idriche derivate dalla
presenza di sorgenti, a partire dalle nuove esigenze determinate dall'insediamento
dell'Istituto per le Figlie dei Militari. I rilievi effettuati hanno consentito di verificare
le condizioni degli impianti antichi (quasi tutti in muratura e in gran parte recuperati)
e valutare esattamente la natura degli impianti tecnologici da introdurre per restituire
funzionalità all'insieme. Altrettanta attenzione è stata dedicata al restauro e al recupero delle
parti edilizie e delle statue. Il grande Padiglione del Belvedere, che costituisce l'elemento
culminante della costruzione prospettica dei giardini e dell'intera proprietà e il cui stato
di conservazione era pessimo (mancanza di intonaci, ripristini con uso di malte e cemento,
infiltrazioni, attacchi biologici, incuria), è stato oggetto di particolari attenzioni.
Il cauto lavoro di indagine e di rilievo ha permesso di individuare ampie zone
di intonaci antichi che, una volta rimossa la vegetazione infestante, sono stati scoperti, puliti,
consolidati e integrati. Allo stesso modo, i rivestimenti in pietra calcarea sono stati restaurati
rispettando l'aggrappaggio delle singole parti alla muratura, costituito in gran parte da chiodi.
In modo analogo, nella sottostante fontana, si è provveduto a liberare
dalle concrezioni lo straordinario Mascherone centrale, scolpito e affiancato dalle due grandi
cariatidi, emerso durante i lavori, riportando al contempo alla luce la grande conchiglia
con putto, che le modifiche e gli interventi eseguiti all'inizio del Novecento avevano
occultato. La Fontana della Naiade e Pan e la Cascatella, sono state oggetto di un'attenta
opera di consolidamento e di impermeabilizzazione.
Un intervento particolarmente complesso ha riguardato, poi, la Peschiera e la Grotta
del Re Selvaggio. La vasca antistante la Grotta è stata riattivata e restaurata nell'invaso e nello
zampillo, al fine di poter essere utilizzata oltre che come elemento ornamentale, anche come
bacino di riserva per assicurare un'adeguata portata al sottostante sistema delle fontane.
VILLA DELLA REGINASALONE CENTRALE
8. Un Teatro d’Acque 133132 un’Avventura TORINESE
VEDUTA
DELLA VILLA
DELLA REGINA
E DELLA CITTÀ
DALL’ASSE
DEL BELVEDERE
8. Un Teatro d’Acque 135134 un’Avventura TORINESE
Invece la Grotta, tripartita, che ospita la statua del Re Selvaggio e altre due sculture
antiche, straordinario esempio di decorazione seicentesca con conchiglie, pietre di differenti
colori e metalli, ha richiesto un'attenta mappatura di tutti gli intonaci e l'uso dei materiali,
distinguendo quelli originali da quelli di ripristino, con il recupero di porzioni della
decorazione originale, occultate durante i lavori condotti negli anni Cinquanta per rimediare
ai danni di guerra. Infine, per la Vasca con Zampillo, situata al centro del cortile d'onore,
si è provveduto essenzialmente a liberare dagli interventi precedenti il bordo perimetrale
in pietra bianca, scolpito con motivi a mascherone, facendogli recuperare la maggior parte
delle sue qualità formali e cromatiche, e a ripristinare lo zampillo centrale, non più attivo
da tempo. L'intervento sulle parti edilizie si è poi concluso con il restauro e il completamento
corretto dei percorsi con cordoli, scalini e pavimentazione, nonché con il recupero
delle diverse opere in ferro, ringhiere, parapetti e cancelli, esistenti sul posto.
Altrettanta attenzione è stata posta per quanto riguarda gli apparati botanici.
Nel caso della Villa della Regina, infatti, la vegetazione svolge una significativa funzione
di arredo e di sottolineatura degli aspetti più propriamente architettonici. I pochi elementi
vegetali storicamente definibili e documentabili sono costituiti prevalentemente da siepi
di bosso e topiarie che fanno risaltare l'insieme delle costruzioni. Nel Giardino dei Fiori,
al piede dei muri di contenimento, sono stati collocati esemplari di peri a spalliera e altra
siepe di bosso destinata a delimitare i percorsi pedonali già esistenti.
Il delicato e lungo lavoro di restauro dell'Asse del Belvedere veniva inaugurato
e presentato alla cittadinanza il 5 novembre 2003, suscitando immediatamente l'entusiasmo
e l'interesse degli organi di stampa, che non mancavano di manifestare la loro ammirazione
per il modo in cui una parte così importante e qualificante del complesso monumentale era
stata recuperata. Se la Repubblica annunciava che: «Dopo anni di abbandono rinasce
Villa della Regina […]. Vasche e peschiere, viali e scalinate, preziosi mosaici e antichi
affreschi, l'intero sistema di edifici e giardini [sta ritornando] come ai tempi di Madama
reale», La Stampa non era da meno, informando i lettori che «la Villa è di nuovo Regina».
Dal canto suo, Il Giornale del Piemonte riassumeva il sentimento comune: «Villa
della Regina: prove di splendore». L'intervento della Consulta, che rappresentava la prima
realizzazione concreta del complesso programma di recupero, serviva a riaccendere
i riflettori su un pezzo importante del patrimonio edilizio storico torinese, ricordando
ai cittadini di quali «tesori» la Città fosse depositaria, e aprendo la via alla conclusione
dei successivi interventi. Il successo dell'intera operazione veniva poi certificato dalla grande
affluenza di pubblico che dalla riapertura ha potuto ammirare, dall'alto dell'Asse
del Belvedere, lo straordinario panorama di Torino che si offre alla vista.
VILLA DELLA REGINAASSE DEL BELVEDERE,
PARTICOLARE
9. Per fare bella Torino 137136 un’Avventura TORINESE
DOMENICO FERRI E GIUSEPPE BOLLATIPALAZZO CARIGNANO,
FACCIATA, 1864-1871
9 . PER FARE BELLA TORINO
Nel febbraio 2006 Torino avrebbe inaugurato la XX edizione dei Giochi
Olimpici Invernali e per due settimane si sarebbe trovata al centro
dell'attenzione internazionale, mentre per un periodo ben più lungo avrebbe
ospitato migliaia di addetti ai lavori, turisti, appassionati degli sport invernali.
Ovvio dunque che la Città si preparasse all'evento cercando di
presentare sia agli ospiti, sia a quanti l'avrebbero vista dagli schermi televisivi
il suo volto migliore; in altre parole, che non solo cercasse di «farsi bella»,
ma accompagnasse l'evento sportivo con una serie di iniziative collaterali,
in qualche misura preparatorie, tali da condurre progressivamente
i cittadini e gli ospiti all'appuntamento olimpico.
Era quindi altrettanto ovvio che anche la Consulta non rimanesse estranea
al processo di abbellimento, intervenendo con l'esperienza e l'efficienza che avevano sempre
caratterizzato le sue iniziative. Già fin dal novembre del 2002 - e dunque ben prima della
conclusione dell'impegnativo restauro dell'Asse del Belvedere - il presidente pro tempore
aveva annunciato che i «mecenati della Consulta» si sarebbero prodigati «in una serie
di interventi per restituire pieno decoro a tutto il centro storico». Il problema urgente non era
infatti quello di recuperare dal degrado importanti monumenti o chiese o statue. Per questo
aspetto, anche se restava ancora qualcosa da fare, molto era già stato fatto, oltre che dalla
Consulta, anche da parte degli altri enti e istituzioni interessati alla salvaguardia del patrimonio
storico-artistico torinese. Apparentemente il problema sembrava più semplice, risolvibile con
una serie di piccole-medie azioni, più di pulizia che di restauro vero e proprio, sui percorsi
che in misura maggiore sarebbero stati toccati dal flusso turistico e che sostanzialmente
coincidevano con il centro storico, dove erano ospitati i palazzi della zona di comando e quelli
dei principali musei. La realtà, invece, si sarebbe incaricata di smentire questa sensazione,
sia perché alcuni interventi sarebbero stati impegnativi al pari di molti di quelli che la Consulta
aveva realizzato sino a quel momento, ma anche perché dovevano essere programmati
con scadenze legate al tipo di evento che dovevano soddisfare.
Concluso nel novembre 2003 il recupero dell’Asse del Belvedere di Villa della Regina,
nei due anni successivi la Consulta avrebbe messo in opera quasi contemporaneamente
ben quattro cantieri, modulando l'andamento dei lavori sulla base delle necessità effettive.
I progetti presentati furono numerosi, ma tutti inconciliabili
fra loro: occorreva qualcuno che avesse la capacità e l'autorevolezza
necessarie per stabilire i tracciati e le norme edilizie di un piano unico
e definitivo. Il personaggio in questione venne identificato in Marcello
Piacentini, accademico d'Italia e architetto ufficiale del regime fascista,
autore di numerose fra le più importanti realizzazioni del periodo.
Il nodo urbanistico di più difficile soluzione riguardava gli
isolati che contengono le due chiese. Il problema poté essere
affrontato e risolto solamente nel 1935, quando l'Istituto Nazionale
della Previdenza Sociale si offrì di risanare interamente l'isolato
San Carlo e, contemporaneamente, le imprese Comoglio e le
Assicurazioni Generali si impegnarono a fare altrettanto per l'isolato
di Santa Cristina. La simultaneità degli interventi permise a Piacentini
di sviluppare un'idea definitiva unitaria, dando vita alla soluzione
attuale con la creazione sul retro delle chiese e in asse con via Roma
di una nuova piazza rettangolare, oggi conosciuta come piazza CLN.
In questo contesto venne adottato, per la parte retrostante
le due chiese, il progetto predisposto dall'ingegner Giuseppe Momo,
che prevedeva la «formazione di due facciate monumentali in pietra
da taglio verso la nuova piazzetta, […] che comprenderanno due
fontane con sculture allegoriche». Le statue destinate a ornare
le fontane avrebbero dovuto rappresentare il Po e la Dora.
Anche in questo caso il Comune bandì un concorso pubblico
aperto a tutti gli iscritti al Sindacato Interprovinciale fascista delle Belle
Arti di Torino, lasciando al libero giudizio dei concorrenti sia
l'atteggiamento sia le proporzioni delle statue, mentre sarebbe
toccato alla Municipalità scegliere il marmo per la loro realizzazione.
Fra i bozzetti presentati dai cinquantasei partecipanti al concorso, fu
selezionato come vincitore quello dello scultore torinese Umberto
Baglioni. A giudizio della commissione esaminatrice - composta, oltre
che dal podestà di Torino Paolo Thaon di Revel, dagli architetti Momo
e Piacentini, dal senatore Edoardo Rubino e dallo scultore Edoardo
De Albertis - si trattava di «due sculture riposate, serene, statiche,
sobrie, di buona seppur poco accademica modellatura, due sculture
sulla linea della nostra tradizione rinascimentale e più parti -
138 un’Avventura TORINESE
Per questa ragione, il primo cantiere a essere avviato fu quello concernente
il restauro delle Facciate della Palazzina della Promotrice delle Belle Arti, nel parco del
Valentino. Si era ovviamente al di fuori della zona aulica di Torino, ma l'urgenza
dell'intervento era determinata dal fatto che la Palazzina rinnovata avrebbe dovuto ospitare,
già nell’ottobre 2004 la mostra «Gli impressionisti e la neve», propedeutica all'evento
olimpico. Il Comune di Torino, proprietario dell'immobile, aveva provveduto alla ristrut -
turazione interna; la Consulta avrebbe completato l'opera con il restauro esterno.
Nel corso degli anni la Palazzina - la cui costruzione era stata avviata nel 1915
e conclusa nel 1919 in occasione dell'Esposizione Nazionale di Pittura, Scultura e Decorazione,
dopo essere stata utilizzata durante la prima guerra mondiale come convalescenziario - era
stata oggetto di una serie di trasformazioni e modificazioni che ne avevano sensibilmente
alterato l'impianto originale, ulteriormente compromesso dai bombardamenti della seconda
guerra mondiale che avevano danneggiato in modo irreparabile la decorazione interna.
Inoltre, una tinteggiatura non meditata e l'azione infestante della vegetazione rendevano
illeggibile la facciata, annullando l'effetto superficiale della pietra artificiale, un impasto
di cemento che cercava di simulare la pietra naturale, molto utilizzato in quel periodo anche
in numerose altre costruzioni, sia di civile abitazione sia destinate ad uso pubblico,
il cui esempio più cospicuo è forse il Borgo Medievale realizzato per l'Esposizione di Torino
del 1884.
Un provvedimento minore, dunque, ma accompagnato dalla quasi contemporanea
apertura del cantiere per il restauro e il risanamento conservativo delle Fontane raffiguranti
il Po e la Dora di piazza CLN. L'intervento era urgente. Intanto, le due Fontane si trovano
ai lati di via Roma, sul percorso che avrebbe portato la maggior parte dei visitatori verso piazza
Castello, da considerarsi il fulcro delle manifestazioni per il fatto che su di essa sarebbe sorta
la Medals Plaza, imponente struttura effimera dedicata alla premiazione dei vincitori, e dove
si sarebbero concentrati il maggior numero di festeggiamenti. In secondo luogo, anni e anni
di scarichi automobilistici e di emissioni in atmosfera avevano ricoperto di una patina grigia
uniforme il bianco del marmo delle statue, rendendo il tutto ancora più triste per la mancata
fuoriuscita d'acqua dalle sottostanti Fontane.
La realizzazione delle due Fontane si inserisce nel piano di rinnovamento di
via Roma, attuato a partire dal 1931 con l’avvio del primo lotto di lavori nel tratto compreso
fra piazza Castello e piazza San Carlo. Quando si trattò di affrontare il secondo lotto, quello
fra piazza San Carlo e piazza Carlo Felice, venne bandito un concorso di idee, nel quale
fu lasciata ampia libertà ai partecipanti, ponendo come uniche condizioni che fossero
mantenuti i portici e che si conservassero le due chiese di San Carlo e di Santa Cristina.
PALAZZINA DELLA PROMOTRICE
FACCIATA PRINCIPALE
PALAZZINA DELLA PROMOTRICE
INGRESSO
PALAZZINA DELLA PROMOTRICE
BASSORILIEVO REALIZZATO
DA EDOARDO RUBINO,
PARTICOLARI
(Fotografie
di Ernani Orcorte)
guano dei piccioni. E che il restauro, soprattutto nella parte
idraulica, si presentasse particolarmente complicato,
è comprovato dal fatto che, a pochi giorni dall'inaugurazione,
si dovette nuovamente sospendere l'erogazione dell'acqua,
a causa di nuove, se pur minime, infiltrazioni. Inconveniente
al quale si poté porre rimedio con una soluzione che si spera
di lunga durata, in tempo utile per la stagione olimpica.
Da allora, dicembre 2005, l'acqua non ha mai cessato di fluire.
Le stesse esigenze che erano state alla base dell'intervento sulle due Fontane
di piazza CLN, si riproponevano, ancora più pressanti, per la Cancellata monumentale che
separa la Piazzetta Reale da piazza Castello. Qui si era nel cuore dell'evento olimpico; dalle
strutture costruite per l'occasione le televisioni di tutto il mondo, trasmettendo le cerimonie
di premiazione degli atleti, avrebbero diffuso le immagini della parte aulica di Torino, il cui
Palazzo Reale sarebbe diventato familiare ai telespettatori dei cinque continenti. In questo
contesto, la Cancellata rischiava di fornire un'immagine negativa
della Città, nonostante tutti gli sforzi da essa compiuti
per presentarsi con il suo aspetto migliore.
Le analisi tempestivamente condotte avevano
infatti messo in evidenza la presenza di par ti rotte
e staccate, dovute ad assestamenti e cedimenti, fenomeni di
ossidazione e corrosione, con una vernice di copertura logora
e permeabile alle infiltrazioni d'acqua. Le statue dei Dioscuri
presentavano invece uno strato sottile di prodotti di corrosione
di colore verde chiaro, costituiti da carbonati e solfati
di rame, localizzati nelle zone più dilavate
colarmente cinquecentesca». A questo punto divenne
possibile dare inizio ai lavori, incominciando ovviamente dalle
Fontane, per le quali era previsto che ciascuna di esse
avrebbe dovuto far fuoriuscire, dalla fessura posta sul fronte
del piedistallo, un getto rettangolare di 2,80 metri e dello
spessore di 3 centimetri circa, con una portata di 150 litri
al secondo. Poiché una tale portata non poteva derivare
direttamente dall'acquedotto, ogni Fontana doveva essere
dotata di una pompa di circolazione dell'acqua azionata da motore elettrico.
Avviati i lavori nel corso del 1937, le vasche destinate a ricevere l'acqua vennero
rivestite con materiale ceramico, mentre per gli impianti di servizio si dovettero rivestire
i serbatoi con lastre di piombo, sistemare griglie, scarichi e bocche di immissione.
Giunse quindi il momento di collocare le due statue, da realizzarsi ciascuna in
un solo blocco di marmo di Serravezza. E infine, nel corso del 1938, il lavoro fu completato.
Ma da quel momento incominciarono i guai. La mancata impermeabilizzazione delle
vasche, rivestite unicamente di materiale ceramico, provocò gravi infiltrazioni nella sottostante
galleria metropolitana, ora adibita a parcheggio. L'acqua venne perciò erogata soltanto
a spizzichi e bocconi, con interruzioni sempre più frequenti, sino al 1987,
quando dopo un'ultima erogazione legata alle celebrazioni per
il cinquantenario della nuova via Roma, fu definitivamente sospesa
e nelle vasche - fortunatamente solo per breve tempo - trovarono
collocazione delle composizioni floreali.
Da quel momento si assiste a un progressivo abbandono delle
due Fontane, con le vasche trasformate in ricettacolo di rifiuti e le statue
aggredite oltre che dai depositi carboniosi, dall'immancabile
UMBERTO BAGLIONI
STATUA DEL PO,
1938
UMBERTO BAGLIONISTATUA
DELLA DORA,
1938
9. Per fare bella Torino 143
sui quali sono incardinate quattro campate diseguali, sostenute da colonne istoriate
sormontate da candelabri e da colonne intermedie a sezione minore.
Posta in opera fra il 1835 e il 1840 (ma le statue dei Dioscuri solo nel 1847), in realtà
la Cancellata non poté dirsi completata che molti anni più tardi, a Unificazione nazionale
già avvenuta, mentre ben presto si venivano manifestando esigenze di manutenzione
straordinaria e di interventi di restauro. Già nel 1861, infatti, diventava evidente la necessità
di pulire le superfici dalla polvere e dalla ruggine, di stuccare le sconnessioni, di spalmare olio
di lino cotto sui ferri e infine di procedere alla verniciatura.
Nel 1895, poi, veniva condotto un complesso intervento di manutenzione
straordinaria, che non poteva ritenersi conclusivo a causa di difetti intrinsechi della fusione
che permettevano infiltrazioni di acqua piovana all'interno della struttura, con conse -
guente formazione di ruggine nell'anima stessa dell'opera.
Particolarmente grave la situazione dei candelabri,
che a causa dell'ingresso d'acqua dai fori necessari al
passaggio dei tubi per l'alimentazione a gas dell'illuminazione,
furono i primi a disgregarsi, perché corrosi dalle ossidazioni,
seguiti ben presto da molte altre componenti.
Vista la situazione, nel 1932 venne assunta la drastica
decisione di rifondere completamente la Cancellata, conser -
vando al tempo stesso la finezza originaria dei dettagli proget -
tati da Palagi. Costruita con getti di maggiore entità di quelli
originari e sostituita con l'energia elettrica l'illuminazione dei
candelabri sino ad allora alimentati a gas, la nuova Cancellata
venne dipinta in verde, colore mantenuto sino al termine della seconda guerra mondiale,
quando venne rivestita con vernice ferro micacea che ne contraddistinse l'immagine
sino all'intervento della Consulta.
Date le vicende, e le traversie, della Cancellata non era consigliabile un intervento
di puro abbellimento, che si limitasse a una ripulitura, se pure a fondo, dell'insieme;
era invece auspicabile un intervento approfondito, preceduto da indagini fisico-chimiche
e mineralogiche che consentissero di individuare le tecniche e i materiali più idonei sia
per sconfiggere il degrado riscontrato, sia, soprattutto, per impedire che esso avesse
a ripetersi in futuro. Si è così costituito un gruppo di lavoro interdisciplinare che ha visto
la collaborazione dell'Università di Torino, del Politecnico di Torino, dell'Arcadia Ricerche,
coordinati dall'Università Ca' Foscari di Venezia, grazie al quale è stato possibile ricostruire
tutta la travagliata vicenda, specialmente per quanto riguarda la rifusione del 1932, realizzata
142 un’Avventura TORINESE
dalla pioggia, unitamente alle tipiche croste bruno-nerastre, costituite da calcare, pulviscolo
atmosferico e prodotti d'inquinamento. Infine, anche i basamenti delle due statue, rivestiti da
lastre di marmo, presentavano una superficie porosa, dovuta alle alterazioni provocate
dall'acqua e dallo smog, mentre le colature di acqua piovana che scendevano dalle statue
in bronzo, avevano provocato evidenti macchie di colore verde.
Si trattava di inconvenienti non nuovi, periodicamente riscontrati nell'imponente
struttura progettata da Pelagio Palagi nel 1834 su incarico di Carlo Alberto, onde dare una
sistemazione definitiva alla piazza, dopo che l'incendio del 1811 aveva devastato in maniera
irrecuperabile l'antico «Pavaglione», più volte utilizzato per l'Ostensione della Sindone.
Per soddisfare la richiesta del sovrano, Palagi progetta, appunto, la Cancellata in getto
di ghisa, addossata alle maniche laterali del complesso palatino e aperta al centro da un
grande varco idealmente protetto dalle statue equestri dei Dioscuri. Nonostante l'impressione
di leggerezza che la Cancellata lascia nell'osservatore a causa dell'effetto di trasparenza
ottenuto dal sapiente uso del materiale e dalla ricchezza della decorazione, in realtà si tratta
di una possente struttura architettonica, articolata su ciascun lato con tre pilastri in marmo
PELAGIO PALAGICANCELLATA
DI PALAZZO REALE,
1834
PELAGIO PALAGICANCELLATA
DI PALAZZO REALE,
PARTICOLARE
CON LA TESTA
DELLA MEDUSA
9. Per fare bella Torino 145144 un’Avventura TORINESE
nelle Officine Manfredi e Bongioanni di Fossano. Già i primi saggi di indagine sul vivo della
Cancellata avevano messo in evidenza che, al di sotto dei numerosi strati di colore che nel
tempo le erano stati applicati, la Medusa più vicina alla Galleria del Beaumont recava le tracce
inconfondibili dell'oro, che non avrebbero dovuto esserci se effettivamente tutta la Cancellata
fosse stata rifatta. Dai documenti depositati presso l'Archivio Storico della Soprintendenza per
i Beni Architettonici e il Paesaggio del Piemonte, si veniva a sapere che alcune parti
evidentemente ben conservate della Cancellata erano state mantenute e rimontate, proprio
quelle a ridosso della Galleria del Beaumont. È stato dunque dall'analisi di questa parte della
Cancellata che si è potuto risalire alla coloritura originaria, che secondo le istruzioni di Palagi
avrebbe dovuto essere verde bronzo, mentre gli inserti in oro daterebbero alla fine
dell'Ottocento o ai primi anni del Novecento. Come conclusione si è avuta una coloritura che
ha adottato la tonalità verde del bronzo dei cavalli dei Dioscuri, come risultava dopo
il restauro del metallo, sulla quale sono stati effettuati inserti dorati limitatamente alle punte
delle lance e alle teste delle Meduse.
Se la Cancellata vera e propria aveva richiesto la maggiore attenzione, anche le statue
dei Dioscuri e le parti architettoniche richiedevano di essere trattate con il dovuto impegno,
attraverso operazioni sia di pulitura dei bronzi, sia di consolidamento dei pilastri in pietra,
nonché attraverso il rifacimento completo dell'im pianto elettrico. Il restauro della Cancellata
venne inaugurato solennemente il 18 novembre 2005 in quella che, dato l'oggetto del
restauro, poteva essere considerata la sede più appropriata: il Salone degli Svizzeri di Palazzo
Reale. Al termine della cerimonia, uscendo sulla Piazzetta, i partecipanti ebbero l'opportunità
di assistere a uno spettacolo di suoni e luci,
destinato a esaltare le caratteristiche salienti
del restauro. Non si erano ancora spenti
i riflettori sulla Cancellata che era nuovamente
ora di procedere a un'altra inaugurazione:
quella del restauro della parte centrale della
Facciata ottocentesca di Palazzo Carignano.
Era la terza volta che la Consulta interveniva
su quel Palazzo, dove si erano compiuti
i destini d'Italia e dove erano conservate
le memorie più sacre dell'epopea nazionale.
Nelle due occasioni precedenti - Aule del
Parlamento Subalpino e Italiano - l'intervento
aveva riguardato parti interne dell'edificio; ora
ABBONDIOSANGIORGIO
DIOSCURI,
BRONZO, 1847
9. Per fare bella Torino 147146 un’Avventura TORINESE
9. Per fare bella Torino 149148 un’Avventura TORINESE
si trattava di mettere mano al suo aspetto esteriore. L'operazione era in certo qual modo
obbligata perché l'edificio, proprio per le sue caratteristiche, anche se non era collocato
sull'asse principale degli eventi olimpici rientrava fra quelli che avevano un ruolo importante
da svolgere nei confronti di turisti e spettatori. Trovandosi sull'angolo opposto del Collegio
delle Provincie, sede del Museo Egizio, i cui principali tesori campeggiavano riprodotti in molti
punti di Torino, sarebbe certamente stato notato da migliaia di persone, che coglievano
l'occasione delle Olimpiadi per compiere una visita più approfondita ai monumenti e alle
collezioni torinesi. Per tale ragione, la Compagnia di San Paolo si era assunta l'onere
di provvedere al restauro della Facciata principale del Palazzo, quella guariniana.
Per la stessa ragione, era opportuno che qualcuno provvedesse anche alla Facciata
ottocentesca, la quale, nei confronti dell'evento olimpico, aveva una funzione specifica.
La piazza Carlo Alberto stava infatti diventando la sede di «Casa Svizzera», ed era
ragionevole supporre che sarebbero stati in molti a visitarla. In più, la stessa piazza era inserita
nel circuito delle «Luci d'artista», che costituivano un altro motivo di attrazione. Anche
la Facciata rientrava, ovviamente, nel progetto di ampliamento di Palazzo Carignano,
deliberato all'indomani della proclamazione del Regno d'Italia, e ritenuto necessario per
ospitare in modo adeguato la Camera dei Deputati del nuovo Regno, al momento collocata
in una struttura provvisoria nel cortile dello stesso edificio. Al concorso indetto per l'occasione
vinse il progetto dell'architetto regio Domenico Ferri, cui si associò, come direttore di cantiere,
Giuseppe Bollati. I lavori, iniziati alla fine del 1863, dovevano ben presto subire una brusca
interruzione poiché la Convenzione di Settembre, spostando la capitale a Firenze, privava
la nuova struttura dello scopo per cui era stata pensata e creata.
Dopo un anno di blocco quasi totale del cantiere, i lavori ripresero dapprima
lentamente e poi a pieno ritmo a partire dal 1866. La costruzione doveva comunque essere
ultimata, e negli anni fra il 1867 e il 1869 vennero realizzate le sei statue monumentali
che ornano la Facciata. Nel 1871, tutta l'ala ottocentesca era conclusa e l'edificio iniziava una
vita autonoma, ospitando attività ed enti non sempre compatibili con la funzione originaria,
alle cui esigenze la costruzione si era ispirata. La Facciata, che pure era stata risparmiata dai
massicci bombardamenti che nel 1943 avevano colpito altre parti significative del complesso,
aveva subito nel tempo il degrado provocato dall'inquinamento e dall'esposizione agli agenti
atmosferici, particolarmente evidente nelle parti alte.
Già in occasione di un primo intervento effettuato nel corso degli anni Ottanta
del Novecento, si erano dovuti fasciare con appositi ferri i grandi vasi del coronamento, ma
il degrado era proseguito, tanto che nel 1998 il crollo del braccio della statua dell'Industria
aveva obbligato a transennare la Facciata.
E le transenne erano destinate a rimanere a lungo a causa delle continue cadute
di materiali, provocate dagli incollaggi realizzati in passato con resine, ormai polimerizzate,
che stavano progressivamente cedendo. Di fatto, da allora e sino al momento dell'intervento
della Consulta, le transenne non erano più state rimosse, manifestando ormai anch'esse
evidenti sintomi di degrado. L'intervento della Consulta è consistito, perciò, in una attenta
pulitura generale dell'insieme, accompagnata da un esteso lavoro di consolidamento
e protezione dei materiali lapidei danneggiati, che ha contemplato anche il restauro
delle statue, il rifacimento della faldaleria, la posa di un nuovo impianto di allontanamento
dei volatili. Al tempo stesso il restauro completo dei serramenti ha ripristinato l'originario
colore del legno e la Facciata così riequilibrata ha recuperato il rapporto cromatico tra le parti
in cotto e quelle in pietra, finalmente liberate dal velo che le offuscava.
Il cantiere, della durata di circa dieci mesi, venne smontato nel dicembre 2005,
mentre l'inaugurazione ufficiale si tenne, in concomitanza con l'inaugurazione del restauro
della facciata guariniana, il 18 gennaio 2006, a meno di un mese dall'inaugurazione
delle Olimpiadi. Ancora una volta tutti gli impegni assunti dalla Consulta per «fare bella
Torino» erano stati mantenuti.
CANCELLATA
DI PALAZZO REALE
DURANTE
LA CERIMONIA
DI PREMIAZIONE
DEI GIOCHI OLIMPICI
DI TORINO 2006
9. Per fare bella Torino 151150 un’Avventura TORINESE
PALAZZO CARIGNANOVEDUTA NOTTURNA
DELLA FACCIATA
OTTOCENTESCA
ILLUMINATA
DALLE
“LUCI D’ARTISTA”
Palazzo reale - cancellata
10. nuovi percorsi 157156 un’Avventura TORINESE
10. NUOVI PERCORSI
L’evento olimpico ha indubbiamente segnato un momento di svolta
negli orientamenti della Consulta, proprio per quel che riguarda la valorizzazione
del patrimonio artistico torinese. La necessità di presentare ad atleti e visitatori
il volto migliore possibile di Torino, con i tempi imposti dalla scadenza dell’evento,
aveva di fatto contribuito ad accelerare una serie di interventi che, senza
le Olimpiadi, avrebbero avuto una gestazione più lunga.
Nel frattempo, però, alcuni degli interventi realizzati in passato
incominciavano a mostrare i segni del tempo.
La necessità di una manutenzione programmata, tale da non vanificare l’impegno
di risorse tecniche ed economiche impiegate nel restauro, era diventata di tutta evidenza,
tanto che già in occasione dell’intervento sul Monumento a Vittorio Emanuele II, nel fascicolo
che ne raccontava le vicende, si sottolineava che «al fine di non inficiare i risultati ottenuti...
occorre una maggiore attenzione alla manutenzione ordinaria delle opere. Un tempo questa
importante operazione era svolta assiduamente e con puntigliosa regolarità.»
Non che la Consulta desiderasse accollarsi volentieri una simile incombenza.
Se il suo scopo primario - la ragione stessa della sua esistenza - era quello di salvare
i monumenti dal degrado, è evidente che la manutenzione, specie se ordinaria, avrebbe
dovuto essere assicurata dai soggetti, proprietari del bene restaurato.
Ma è altrettanto evidente che se questi, per le ragioni più svariate, non erano in grado
di adempiere a tale incombenza, ad incaricarsene non potevano essere che quegli stessi
soggetti che avevano effettuato l’intervento di restauro.
È in forza di questo ragionamento che la Consulta ritornava, sedici anni dopo,
in piazza San Carlo, ad interessarsi nuovamente della chiesa omonima, la cui facciata
necessitava ormai di un sostanzioso lavoro di ripulitura, con un impegno di risorse finanziarie
che, se anche non confrontabile con quello del primo intervento, risultava comunque di tutto
rispetto. Ma questo, per la Consulta, rappresentava una novità assoluta, un modo nuovo
e diverso di interpretare la propria missione. Qualche volta, nel passato, era capitato che
si dovessero effettuare piccoli interventi su restauri recenti, per rimediare a qualche
inconveniente emerso in un secondo momento. Così era avvenuto per il Monumento
a Vittorio Emanuele II, per eliminare tracce di umidità inopinatamente ricomparse
VENARIA REALESIMONE MARTINEZ,
LE QUATTRO STAGIONI,
1752
(Fotografia
di Ernani Orcorte)
10. nuovi percorsi 159158 un’Avventura TORINESE
operazioni di pulitura, senza ripristinare gli effetti di lucidatura. Il tutto adottando
la metodologia meno invasiva possibile, in modo da rimuovere le corrosioni senza eliminare
le patine di fonderia. Quanto alla pulitura, questa è stata differenziata in base alla superficie
trattata, mediante sabbiatura con microsfere di vetro. Grazie a questo intervento, l’opera
ha ritrovato tutta la maestosità iniziale, che però potrà essere preservata soltanto se per
il futuro verrà adottata una attenta programmazione della manutenzione ordinaria.
Negli ultimi anni, anche per effetto di interventi come quello sulla cancellata,
Consulta si è arricchita di un bagaglio di esperienze che le hanno consentito di individuare
nuove opportunità, che andavano ad aggiungersi a quelle tradizionali. I cantieri che ancora
restavano aperti risultavano, infatti, di dimensioni tali, e richiedevano una tale pluralità
di interventi, che ben difficilmente avrebbero potuto esser gestiti da un unico soggetto; tanto
meno da un soggetto privato come Consulta. Caso emblematico è quello della Reggia
di Venaria Reale: un complesso edilizio, in totale stato di abbandono, le cui dimensioni
non si discostano da quelle di Versailles e il cui recupero non avrebbe potuto avvenire senza
un massiccio intervento di fondi pubblici. In un caso del genere Consulta poteva offrirsi
di collaborare, non certo di gestire l’intervento in via esclusiva.
Una situazione analoga si era già verificata nel caso di Villa
della Regina, quando Consulta aveva assunto a proprio carico
il recupero dell’Asse del Belvedere, con le fontane e i giochi d’acqua
che ne accompagnavano lo sviluppo. Nel caso di Venaria Reale
l’intervento riguardò il restauro, il trasferimento e la ricollocazione
sul basamento; e nel caso delle Fontane di piazza
CLN si era dovuto rimediare ad una loro non
perfetta impermeabilizzazione. Questa era, invece,
la prima volta in cui l’intervento non era soltanto
una “coda” del restauro, ma la manutenzione
dell’edificio veniva assunta come iniziativa propria
per il 2006.
Un altro intervento del genere, ma più
complesso, veniva poi programmato nel 2009,
e riguardava “Odissea Musicale”, il complesso
scultoreo ideato da Umberto Mastroianni quale
Cancellata del Teatro Regio e realizzato nel 1994
dalla Consulta.
Nei 15 anni trascorsi dall’inaugurazione,
l’opera presentava un grave stato di degrado.
Da un lato, la cancellata, nonostante che fosse
collocata sotto il porticato e quindi preservata dalla corrosione dovuta all’azione dilavante
della pioggia e degli agenti atmosferici, non aveva potuto evitare gli effetti corrosivi provocati
dalle deiezioni dei cani sulle parti basse e da quelle dei piccioni in alto. Dall’altro lato, una
insufficiente manutenzione ordinaria aveva favorito il formarsi di accumuli di polveri,
soprattutto a causa dell’intenso traffico automobilistico e tranviario che le scorre dinnanzi.
Per effetto di questi fenomeni, l’originale impianto cromatico, costituito
dall’alternanza fra parti lucide, rugose, patinate e sabbiate, risultava profondamente alterato
non soltanto nell’aspetto superficiale, ma nel colore stesso che - a seconda della posizione
del singolo elemento nella composizione - andava dal bruno-rossiccio al bruno-verde.
In realtà in questo caso più che un intervento di manutenzione, si rendeva necessaria
una vera e propria operazione di restauro.
Operazione per la verità particolarmente complessa, dal momento che si trattava
di intervenire su un’opera contemporanea che - per la qualità dei materiali impiegati
e per le tecniche di esecuzione adottate - presentava problemi molto diversi da quelli
che abitualmente si riscontrano nel restauro di monumenti storici.
Si è trattato, dunque, di un restauro sperimentale, le cui scelte metodologiche sono
scaturite da lunghe discussioni. In mancanza di una adeguata documentazione di base, vi era
il pericolo che fossero adottate soluzioni arbitrarie tali da configurare, a restauro ultimato,
un vero e proprio falso storico. Per questa ragione si è ritenuto di fermare l’intervento alle sole
CHIESA DI SAN CARLO
TELONE
INSTALLATO
DURANTE
IL CANTIERE,
2006
GIARDINI REALILE QUATTRO STAGIONI,
SIMONE MARTINEZ,
1752
160 un’Avventura TORINESE
nucleo di un Museo imperiale di scultura.
E se il Museo, per le vicende della
storia impegnata a far tramontare l’astro
napoleonico, non vide mai la luce, in compenso
le statue mantennero la loro collocazione sino
a quando, nel quadro del grandioso restauro
di Venaria, non si ritenne di restituirle alla loro
sede originaria. Realizzate in marmo bianco
di Frabosa, e fortunatamente non troppo
danneggiate dall’incuria del tempo e dalle
vicende atmosferiche, le quattro statue,
opportunamente restaurate, oltre a ritornare
nel luogo per il quale erano state pensate,
preservano il loro splendore da ulteriori ingiurie.
Alla stessa tipologia di intervento
appartiene anche il restauro della serie
di Arazzi raffiguranti Le storie di Artemisia.
Si tratta di una serie di arazzi che Vittorio
Amedeo I aveva fatto acquistare a Parigi tra
il 1619 e il 1621 per ornare le sale del Palazzo
Ducale di Torino, dove rimasero almeno fino
al 1753, quando nove di essi vennero trasferiti,
per volere di Carlo Emanuele III in Palazzo
Chiablese, che Benedetto Alfieri stava
ristrutturando per essere adibito a dimora dell’ultimogenito del duca, Benedetto Maurizio
figlio della terza moglie Elisabetta di Lorena. Qui gli arazzi rimasero a lungo, traslocando
alcune volte da una sala all’altra sino a trovare dimora stabile nel “Gabinetto d’udienza
a Levante” (l’attuale Sala Arazzi). Solo dopo il secondo conflitto mondiale, e presumibilmente
per consentire il recupero dei locali danneggiati dai bombardamenti i nove arazzi vennero
trasferiti nei depositi di Palazzo Reale.
Il soggetto degli arazzi è tratto da un poema intitolato Histoire de la Reyne Arthemise,
composto nel 1561-62 da Nicolas Houel, mecenate e farmacista parigino in onore di Caterina
de’ Medici, al momento reggente la corona di Francia per la morte del marito Enrico II.
Il poema si ispira alle gesta di due antiche regine della Caria (costa Egea della Turchia):
la prima, alleata di Serse nella campagna contro i greci combatté nella battaglia di Salamina
delle statue di Simone Martinez raffiguranti Le Quattro Stagioni, sino a quel momento
collocate nei Giardini del Palazzo Reale di Torino, attorno alla fontana con Nereidi e Tritoni,
dello stesso autore.
Le vicende che riguardano queste statue sono, infatti, complesse e anche un poco
controverse. Realizzate fra il 1739 e il 1752 dal Martinez, nipote di Filippo Juvarra, pare che
inizialmente fossero destinate ad arricchire la Galleria del Beaumont di Palazzo Reale, dove
peraltro non furono mai collocate perché, all’ultimo momento, vennero destinate alla Reggia
di Venaria, allora in costruzione. Qui vennero collocate - in nicchie appositamente predisposte
- nella sala circolare che funge da cerniera fra la chiesa di Sant’Uberto e la manica
di collegamento con la Galleria di Diana. Attorno al 1810 le statue vennero trasferite da Venaria
a Torino e sistemate nei Giardini di Palazzo Reale, dove avrebbero dovuto costituire il primo
10. nuovi percorsi 161
PALAZZO CHIABLESESALA ARAZZI,
LE STORIE DI ARTEMISIA,
1619-1621
(Fotografia
di Ernani Orcorte)
PALAZZO CHIABLESESALA ARAZZI,
LE STORIE DI ARTEMISIA,
1619-1621,
PARTICOLARI
(Fotografie
di Ernani Orcorte)
10. nuovi percorsi 163
anni a Siviglia, e la sua estrema rarità risiede nel fatto che normalmente simili carte, quando
superate da nuove scoperte geografiche, venivano distrutte, anche per evitare il rischio
che cadessero nelle mani di concorrenti, interessati a contrastare la supremazia spagnola.
Il Planisfero della Biblioteca Reale - appartenuto a Giovanni Vespucci, nipote
del grande navigatore - sarebbe arrivato a Torino come dono di Carlo V in occasione
delle nozze di sua cognata Beatrice del Portogallo con Carlo III di Savoia e tosto trasferito
alla Libreria ducale, primo nucleo della futura Biblioteca.
Il tempo trascorso e le vicissitudini che hanno caratterizzato i beni librari
della dinastia sabauda - tra incendi, donazioni e spoliazioni napoleoniche - richiedevano che
il Planisfero fosse sottoposto ad un accurato intervento di restauro; al tempo stesso, però,
postulavano anche che l’importante documento, una volta restaurato, non venisse
nuovamente celato alla vista dei visitatori, come era avvenuto sino a quel momento,
ma potesse essere esposto in via permanente.
La Consulta era già intervenuta sulla Biblioteca Reale nel 1998, quando aveva
provveduto a realizzare la Sala Leonardo, dotandola di tutte le più avanzate realizzazioni
in campo museale per quanto riguarda l’esposizione di documenti scritti, particolarmente
influenzabili dalle condizioni di luminosità e di umidità. Era perciò naturale che anche questa
volta si attivasse non solo provvedendo al restauro della preziosa carta, ma realizzando anche
una teca apposita che, garantendo ottimali condizioni di conservazione, ne consentisse
l’esposizione permanente. Con l’occasione, Consulta provvedeva anche a restaurare altri
quattro portolani, risalenti al XVI e XVII secolo, appartenenti anch’essi alla Biblioteca.
(480 a. C.); la seconda, invece, vissuta un secolo più tardi, è ricordata per aver fatto costruire
in onore del marito il re Mausolo, il Mausoleo di Alicarnasso, una delle sette meraviglie
dell’antichità. Proprio perché concepito come una sorta di captatio benevolentiae di Caterina
de’ Medici, accostata alle due Artemisie dell’antichità, il tema divenne presto popolare e quella
di Artemisia divenne una delle serie di arazzi più replicate nel primo quarto del secolo XVII.
Realizzati in lana e seta con filati metallici d’oro e d’argento, al momento del restauro
i nove arazzi presentavano una significativa alterazione dei materiali costitutivi, provocata dal
tempo, dall’uso e dalle precedenti condizioni di esposizione, non idonee alla conservazione
delle fibre. Sostanzialmente, dovevano essere affrontate due aree di intervento: da un lato
si trattava di reinserire nell’ordito e nella trama i materiali mancanti, dall’altro si doveva
rimediare alla presenza dannosa di alcuni precedenti interventi di rammendo.
Ma prima di poter ricollocare gli arazzi nella loro sede storica era necessario
effettuare un altro intervento, ossia restaurare la sala destinata ad accoglierli, ad iniziare dalla
volta, dove era indispensabile ripulire le dorature degli stucchi dal particellato atmosferico
e da precedenti verniciature. Per proseguire poi sulle pareti, dove è stato riproposto
un rifacimento della tappezzeria settecentesca. Per finire con gli interventi sulle sovrapporte,
dove sono raffigurate Le Quattro Parti del Mondo dipinte da Francesco De Mura
sui lampadari, sul pavimento e sui quattro grandi candelabri figurati. A tutela del lavoro
effettuato, è stato poi installato un sistema di temperatura e umidificazione controllato,
accompagnato dall’installazione di pellicole protettive di ultima generazione.
Un altro intervento dello stesso segno ha riguardato il cosiddetto Planisfero di Torino,
un’altra delle tante meraviglie - non tutte conosciute come dovrebbero - della Biblioteca
Reale. Si tratta di una grande carta geografica, realizzata in pergamena, con un’estensione
di due metri e sessanta di lunghezza per un’altezza di centodieci centimetri e rappresenta
la più antica testimonianza conosciuta del lavoro che si svolgeva alla Casa de Contratacion
di Siviglia. Era questa una istituzione nata nel 1503 sull’onda delle scoperte di Cristoforo
Colombo e delle successive esplorazioni del Nuovo Mondo.
Alla Casa spettava infatti la regolamentazione dei viaggi di esplorazione, dei
commerci e della colonizzazione delle Americhe. In questo contesto, il dipartimento
geografico-nautico - inizialmente diretto niente meno che da Amerigo Vespucci - aveva
il compito di addestrare i marinai e curare la cartografia marittima attraverso la realizzazione
del Padron Real, ossia la carta nautica ufficiale della Spagna: una grande mappa su cui era
indicato ogni luogo del mondo conosciuto, costantemente aggiornata sulla base delle sempre
nuove scoperte che si andavano facendo, e dalla quale si ricavavano poi tutte le carte usate
dai navigatori. Il Planisfero di Torino è appunto uno dei Padronés Reales realizzati in quegli
162 un’Avventura TORINESE
BIBLIOTECA REALEGIOVANNI VESPUCCI,
PLANISFERO,
1523
(Fotografia
Fenucci - Y Press)
164 un’Avventura TORINESE
Di qui un drastico programma di abbattimento che, se aveva evitato il pericolo
di cadute, aveva però anche snaturato completamente il paesaggio attorno alla Palazzina.
Non solo: come si evince dai quadri del Cignaroli e dello Sclopis, gli alberi
in questione erano presenti anche lungo le principali rotte di caccia che dalla Palazzina
si diramavano; ma anche questi, venuto meno l’esercizio venatorio e aumentata la superficie
adibita a coltivazione a scapito di quella riservata alla caccia, erano progressivamente stati
abbattuti e non rimpiazzati. Cercare di recuperare il paesaggio illustrato da Cignaroli, nei limiti
consentiti dalle trasformazioni subite dal territorio nel corso del tempo è stato dunque
l’obbiettivo che la Consulta si è posto prevedendo il reimpianto di circa 1.700 pioppi.
Le piante in questione, alte fra 3 e 4 metri, con un diametro di 10-12 centimetri sono
state perciò impiantate ai lati della strada circolare, a ricomporre il paesaggio tradizionale
e lungo le due principali rotte di caccia che si staccano dal raccordo anulare: la Rotta Niccolò
e la Rotta Chisola. Per la buona riuscita dell’operazione sono stati necessari 450 quintali
di stallatico, oltre sette quintali di concime a lenta cessione ed è stato necessario posizionare
3.600 tutori e 1.800 retine anti-odori. Così, nello spazio di pochi anni la bellezza di un luogo
aulico e celebrato come la Palazzina di Caccia di Stupinigi, grazie al recupero dell’ambiente,
si proporrà al passante e al visitatore con ancora maggiore splendore.
Ma questo, del reimpianto delle alberate, non è l’unico intervento operato dalla
Consulta su terreni non ancora esplorati. Anche il successivo appartiene allo stesso genere.
Si tratta del riallestimento delle Cucine di Palazzo Reale: qui non vi sono quadri
da restaurare, facciate da ripulire, monumenti da riportare all’originario splendore.
Queste ultime iniziative dimostravano che
era giunto il momento di arricchire e ampliare l’azione
della Consulta. Gli interventi sin qui descritti, anche
se indirizzati verso obbiettivi di volta in volta diversi
- le statue di marmo, gli arazzi di lana e seta, le carte
nautiche di pergamena - potevano ancora considerarsi
in qualche misura tradizionali, trovando in essi
applicazione di consolidate tecniche di restauro.
Con l’intervento sulla Palazzina di Caccia
di Stupinigi si va oltre, passando dal restauro
degli objets d’art al restauro - o, se si preferisce, alla ricomposizione del paesaggio.
Com’è noto, la caccia specialmente nella forma aulica di vénerie, che consisteva
nell’inseguimento e nell’abbattimento del cervo, aveva occupato un posto importante presso
le corti europee lungo tutto il XVIII secolo. La corte sabauda non faceva eccezione, tanto
che nella prima metà del secolo, accanto alla Reggia della Venaria Reale, Palazzo di Piacere
e di Caccia, per esercitare questa attività era stata aggiunta la Palazzina di Stupinigi,
che fra i primi di settembre e il 3 novembre (giorno di Sant’Uberto) diventava il fulcro
di numerosi raduni della corte, impegnata a praticare nei terreni circostanti la Chasse
à courre, ossia, in una parola, a ”correre il cervo”. Di questa attività, dei numerosissimi
personaggi che, a vario titolo ne facevano parte, e del fasto che la circondava esistono
numerose testimonianze pittoriche disseminate nelle diverse residenze reali; le più
significative, quelle che meglio fanno comprendere le varie fasi entro le quali si articolava
l’avvenimento, e l’importanza che esso aveva per la vita di corte, sono indubbiamente quelle
dipinte da Vittorio Amedeo Cignaroli e conservate nella Sala degli Scudieri proprio a Stupinigi.
Si tratta di un ciclo pittorico formato da quattro grandi tele, numerosi quadri minori
e alcune sovrapporte, che fissano come veri e propri fotogrammi di un film, i momenti salienti
della caccia reale e molti degli episodi che normalmente si verificano in tale circostanza.
Ora, non è questa la sede per ripercorrere lo svolgimento della caccia così come
realisticamente rappresentato dal Cignaroli, quanto piuttosto di rilevare come nella maggior
parte dei dipinti le scene descritte siano inquadrate entro una cornice di alberi di alto fusto,
facilmente riconoscibili come pioppi cipressini. Del resto, sino a non molto tempo fa, alberi
di questa specie fiancheggiavano - e ancora qualcuno sopravvive - il tratto terminale del
vialone d’accesso alla Palazzina e contornavano l’anello stradale che racchiude il complesso.
Il tempo e la vetustà avevano reso quasi tutti gli alberi malaticci e fonte di pericolo, qualora
qualche agente atmosferico ne avesse provocato la caduta sulla strada.
10. nuovi percorsi 165
PALAZZO REALELE CUCINE
(Fotografia
di Ernani Orcorte)
STUPINIGIPALAZZINA DI CACCIA,
REIMPIANTO
ALBERATE STORICHE
(Fotografia
di Franco Borrelli)
10. nuovi percorsi 167166 un’Avventura TORINESE
Vi sono invece cucine, dispense, cantine, legnaie, ghiacciaie - tutti luoghi certamente
non aulici - accanto a fornelli, vasellame, bottiglie, pentolame, da riportare
alle condizioni originarie, ricostruendo, o comunque mantenendo in efficienza gli impianti
originari, così come si presentavano durante il loro impiego. Operazione questa non sempre
facile perché contrastante con le norme di sicurezza via via entrate in vigore, e certamente
lontane anni-luce dai sistemi in vigore quando di norme non ve ne era nessuna.
Si è trattato di una operazione certamente stimolante, in certo senso una sfida
intellettuale prima ancora che una dimostrazione di capacità operativa. In questo caso, infatti,
ci si muove in un’area sconosciuta dove non esistono regole o protocolli facilmente
applicabili. Ogni caso - e cioè ogni cucina - risente delle abitudini alimentari e delle condizioni
di protocollo di ognuna delle corti che è chiamata a soddisfare: di qui una accurata ricerca
filologica che parte dalle caratteristiche del
personale impiegato e giunge sino all’addobbo
della tavola da pranzo, passando attraverso
i menù e il loro modo di definire i cibi.
Nel corso del tempo le cucine
avevano subito vari spostamenti correlati
ai lavori di ampliamento e di trasformazione
del Palazzo. Attualmente si trovano nei
sotterranei dell’ala di levante verso i giardini:
un complesso di oltre venti locali popolati
da cucine per cuocere carni, pesci e dolci, forni
e ceppi, spiedi e mortai, pozzi e ghiacciaie,
dispense e una grande cantina. E se venti
stanze possono sembrare troppe, occorrerà
ricordare che in esse lavoravano 14 cuochi,
3 garzoni, 4 uscieri di cucina cui andavano
aggiunti i maggiordomi, 5 fruttieri, 3 pasticcieri,
25 gentiluomini di bocca, 4 scudieri, 5 guardia
vaselle, 2 maestri di sala; e per finire, alcuni
credenzieri e sommellieri di bocca.
Un piccolo esercito di persone,
ciascuna con una funzione ben precisa,
deputato a soddisfare le esigenze alimentari
della famiglia reale lungo un anno formato
PALAZZO REALELE CUCINE,
PARTICOLARE
DELLA CANTINA
(Fotografia
di Ernani Orcorte)
PALAZZO REALELE CUCINE,
PARTICOLARE
(Fotografia
di Ernani Orcorte)
da 224 giorni di grasso e 141 di magro, in realtà ripartito in quattro distinte cucine: quella
privata del re, la cucina reale, quella del principe di Carignano e quella del conte di Robilant.
Inevitabilmente, per soddisfare esigenze di tali dimensioni occorrevano ghiacciaie
e dispense di dimensioni non comuni; e per quanto riguarda le cantine basterà ricordare
che la dotazione normale di vini consisteva mediamente di 900 bottiglie di champagne,
700 di bordeaux, 500 di jerez, oltre ad una quantità imprecisata ma certamente notevole,
di vini italiani e francesi. Il complesso aveva funzionato egregiamente sino a quando
la famiglia reale aveva occupato stabilmente il Palazzo, ed aveva avuto ancora un sussulto
di attività in occasione della permanenza torinese del principe ereditario Umberto
con la consorte Maria José, dopo di che era stato abbandonato, entrando progressivamente
in condizione di degrado, come sempre avviene quando un locale si trasforma da centro
di attività in deposito di materiali dismessi.
Negli ultimi sessant’anni vi era stato
portato di tutto. “Dove erano risuonate
le grida dei garzoni, gli ordini sibilati
del maggiordomo sul sottofondo degli
sfrigolii delle carni arrostite, i passi
frettolosi dei valletti, i richiami dei cuochi
attraverso i fumi dei grandi forni, non
restavano che silenzio, mobili malamente
accatastati, vecchie plance, cassettiere aperte
e sventrate, forni in ghisa corrosi dalla
ruggine, canaline elettriche vecchie e recenti,
allestimenti di mostre dimenticate, persino
una betoniera, macerie, cassoni, polvere,
polvere, polvere”.
Una descrizione che ricorda molto
da vicino un girone dantesco, e a fronte
della quale non restava che mettersi
le mani nei capelli; salvo poi,
immediatamente dopo, come in effetti
è avvenuto, rimboccarsi le maniche
e cominciare ad operare. Il recupero
dei locali delle cucine faceva, infatti, parte
del grande progetto di restauro del Palazzo
PALAZZO REALELE CUCINE, PARTICOLAR
(Fotografia
di Ernani Orcorte)
10. nuovi percorsi 169168 un’Avventura TORINESE
Reale, avviato immediatamente dopo l’incendio della Cappella della Sindone, del quale
rappresentava in certo senso la fase conclusiva. Di particolare importanza, viste le condizioni
di partenza, la fase preliminare dei lavori, consistente nella documentazione dello stato
di fatto e nel successivo sgombero dei materiali accatastati, seguito da una attenta
catalogazione dell’esistente. Solo dopo aver completato queste prime incombenze, sì è potuto
passare alla fase successiva, consistente nel riadeguamento impiantistico, nel restauro
architettonico e degli oggetti: fra questi, oltre duemila pezzi in rame, dalle grandi pesciere
ai piccoli stampi per dolci e biscotti! Il successo dell’iniziativa è stato reso possibile anche
grazie ad una rigorosa divisione dei compiti: gli interventi di natura architettonica a carico
del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, il restauro degli arredi fissi e dei materiali
metallici, nonché la predisposizione degli allestimenti, a cura della Consulta.
Nonostante la complessità della situazione che ci si è trovata di fronte, gli interventi
sono riusciti a rispettare il più possibile l’impostazione originaria delle cucine, senza trascurare
le trasformazioni intervenute nel corso del tempo. Così, per quanto riguarda gli impianti, le
strutture preesistenti sono state ripristinate rendendo visibili le sovrapposizioni storiche, grazie
anche al fatto che molte componenti, per quanto vetuste, sono giunte sino ai giorni nostri
senza essere demolite: rubinetti, vasche in rame, ascensori, montavivande, radiatori, valvole
in bronzo, tubazioni... E, al contrario, occultando quelle installazioni che, dettate dalle
moderne norme di sicurezza, non erano previste quando le cucine erano in funzione:
dall’impiantistica elettrica a quelle antifurto e antincendio, passando attraverso le telecamere
della videosorveglianza. Un occultamento certamente facilitato dalle caratteristiche degli
ambienti, dove abbondano passaggi naturali, canne fumarie, camini, passaggi inutilizzati.
Particolarmente delicati gli interventi sull’utensileria di cucina, costituita per lo più da recipienti
di rame, con l’interno frequentemente rivestito da uno strato più o meno spesso di stagno.
Su tali superfici, residui di cibo o altre sostanze estranee, hanno
provocato trasformazioni del metallo, sottoponendolo a processi
di invecchiamento caratterizzati da formazione di ossidi e, in qualche
caso, di sali che hanno dato vita ad efflorescenze. In realtà non vi erano
situazioni di particolare degrado, ma più che altro uno stato di vetustà
derivata dal mancato uso degli oggetti; per tale ragione gli interventi
sono consistiti principalmente in operazioni di lavaggio mirate
alla rimozione dei depositi, precedute da test di prova.
Per quanto riguarda, invece, gli altri materiali metallici, costituiti
principalmente da ghisa e ferro - stufe, scaldavivande, lavandini, cisterne,
montacarichi - il restauro è consistito essenzialmente nella rimozione
PALAZZO REALELE CUCINE
(Fotografia
di Ernani Orcorte)
10. nuovi percorsi 171170 un’Avventura TORINESE
degli strati di ossido che li ricoprivano, operazione che ha permesso di riportare in luce
i marchi delle ditte che avevano costruito tali oggetti. Per altri aspetti poi da un lato si
è proceduto alla sostituzione dei mattoni refrattari disgregati di cui era costituita l’anima
interna dei forni, mentre le maniglie di ottone e rame sono state per lo più pulite mediante
impacchi di acido citrico. In conclusione, come è stato sottolineato, “si è cercato
di rendere quel senso di vissuto meravigliando il visitatore con
le dimensioni dei forni, delle mensole, delle dispense, degli utensili”.
E se fino a qualche tempo fa le cucine di un complesso
monumentale rientravano fra quelle sale che il pubblico non
avrebbe dovuto visitare, perché considerate la parte “sporca”
del complesso, locali di nessun pregio, l’intervento realizzato con
il concorso della Consulta ha permesso di verificare come
anch’esse contribuiscano a comprendere la quotidianità di una
organizzazione complessa come quella che regola la vita e le attività
di un Palazzo Reale. Al momento dell’inaugurazione il percorso
di visita, appositamente studiato, si concludeva nell’Appartamento
di Madama Felicita, con uno sguardo sull’addobbo dei locali che
costituiscono lo sbocco finale di quanto prodotto nelle cucine: la Sala
da pranzo, ove si poteva ammirare la tavola apparecchiata con un servizio
di porcellana della Manifattura Reale di Berlino su tovaglia di Fiandra,
commemorativa della Guerra di Crimea; il salottino della cioccolata,
dove facevano bella mostra alcune tazze di porcellana con vedute
architettoniche molto particolari e un servizio d’argento; infine,
la stanza della prima colazione dove erano esposti alcuni vassoi
d’argento preparati con tazze da tè e da caffè con lo stemma
sabaudo, teiera e caffettiera d’argento e piattini per biscotti e paste.
Un allestimento raffinato che, se pure destinato a durare
un tempo molto breve nulla aggiunge alla suggestione delle cucine
vere e proprie, non semplicemente locali di servizio, ma depositarie
di una tradizione e di un costume che, senza la loro testimonianza
diretta, sarebbe difficile immaginare.
Dalla concretezza delle necessità alimentari alla spensieratezza delle celebrazioni
dinastiche. Concluso il restauro delle cucine, l’intervento successivo della Consulta riguarda
quello che uno scrittore di mistery potrebbe agevolmente intitolare “Lo strano caso dei dodici
Medaglioni”. L’oggetto dell’intervento è costituito, infatti, da dodici Medaglioni in legno
STUPINIGISERIE DEI MEDAGLIONI
DELLA GENEALOGIA
SABAUDA,
UMBERTO III,
XVIII SECOLO
(Fotografia Laboratorio
Nicola Restauri)
STUPINIGISERIE DEI MEDAGLIONI
DELLA GENEALOGIA
SABAUDA,
BEROLDO E UMBERTO II,
XVIII SECOLO
(Fotografie Laboratorio
Nicola Restauri)
172 un’Avventura TORINESE
Al tempo stesso, la Consulta
ha potuto approfondire l’esperienza
nel campo del restauro di materiali
lignei.
Se è vero, infatti, che anche in
passato in occasione di precedenti restauri,
si erano dovute prendere in considerazione
anche parti in legno, questa era la prima volta in
cui il restauro era tutto concentrato su questo
materiale, ponendo problemi, e sollecitando
soluzioni, in precedenza mai affrontati.
di grandi dimensioni, scolpiti e dipinti ad imitazione del bronzo sui cui supporti lignei sono
state applicate le figure in altorilievo dei primi conti di Savoia: da Beroldo, figlio di Ugone
di Sassonia, vissuto fra il 980 ed il 1027, a Pietro, figlio di Tommaso I (1203-1268).
La fonte cui lo scultore si è ispirato per modellare i ritratti è nota e consiste nelle incisioni
realizzate da George Tasnière per l’opera Augustae Regiaeque Sabaudiae Domus Arbor
Gentilitia compilata dall’abate Ferrero di Lavriano e pubblicata nel 1703.
Ma questa è l’unica certezza. Allo stato attuale delle ricerche, infatti, non si conosce
altro. Non si sa, ad esempio, per quale circostanza siano stati commissionati e realizzati,
né chi ne sia stato l’autore. È molto probabile che servissero per decorare qualche apparato
effimero realizzato in occasione di qualche celebrazione dinastica - verosimilmente,
un matrimonio - ma non è dato sapere di quale si trattasse né presso quale residenza sabauda
la cerimonia si sia svolta.
I Medaglioni sono stati rinvenuti nella Palazzina di Caccia di Stupinigi, di proprietà
della Fondazione Ordine Mauriziano, ma nulla autorizza a pensare che siano stati realizzati
per quelle sede. Così pure, la presenza di fori simmetrici su ciascun medaglione farebbe
supporre una loro collocazione, successiva all’evento per il quale erano stati realizzati,
in qualche dimora sabauda: ma non si sa in quale, anche se si può sicuramente escludere
che si tratti di Stupinigi. Insomma, tutta una serie di interrogativi, alimentati dalla mancanza
di documentazione - inusuale per un’amministrazione come quella sabauda, attenta
a registrare anche la più piccola voce di spesa - che vanno ad aumentare il fascino
e l’interesse per gli oggetti in questione, sollecitandone un pronto e totale restauro.
I medaglioni venuti dal nulla si presentavano in diverse condizioni di degrado.
A fronte di alcuni sostanzialmente in buone condizioni, ve ne erano altri sui quali le ingiurie
del tempo e del clima avevano procurato gravi danni: porzioni di medaglione andate perdute;
elementi decorativi di contorno ai ritratti distaccati; supporti solcati da profonde fenditure;
il tutto inevitabilmente ricoperto da strati di sporco.
Il restauro, iniziato nella primavera del 2009, ha dovuto quindi operare a tutto
campo, ad iniziare da un fissaggio preliminare per salvaguardare la finitura cromatica
originale. Si è poi dovuto provvedere allo smontaggio parziale e provvisorio di tutti
gli elementi decorativi distaccati e ad inserire innesti a cuneo in corrispondenza delle
fenditure. Al tempo stesso si è dovuto procedere alla ricostruzione volumetrica delle porzioni
di medaglione andate perdute e alla pulitura completa di tutte le superfici. Il riassemblaggio
dei medaglioni risanati e restaurati viene poi seguito dalla stesura di un protettivo.
Si è in tal modo recuperato un complesso decorativo di grande suggestione,
destinato ad arricchire il percorso di visita della Palazzina di Stupinigi.
10. nuovi percorsi 173
11. effetti collaterali 175174 un’Avventura TORINESE
11. EFFETTI COLLATERALI
Un’esperienza così varia, giocata sulla quasi totalità degli aspetti -
dall’architettura alla scultura, dalla pittura al paesaggio, dall’arte raffinata degli
arazzi alla cultura materiale delle cucine, dal marmo, al bronzo all’ottone - che
concorrono a formare il patrimonio artistico di una città, non poteva non produrre
anche effetti, per così dire, collaterali. In altre parole, non poteva non produrre
iniziative che, se pure non si collocano direttamente sul terreno del restauro o del
recupero, presentano anch’esse una elevata valenza artistica, proprio sul terreno
della valorizzazione. È il caso delle mostre.
In questo campo la Consulta aveva già dimostrato la propria capacità al momento
della realizzazione della Sala Leonardo della Biblioteca Reale: sala appositamente dedicata
alla conservazione e all’esposizione dei materiali più preziosi in possesso della biblioteca.
Si è trattato, in quel caso, di mostre collegate ad un evento specifico e alla normale
destinazione d’uso della sala. In tempi più recenti, invece, con la contrazione delle risorse
pubbliche destinate alla valorizzazione, l’organizzazione di mostre è diventata, in pratica, una
seconda missione della Consulta che, anche in questo caso, ha spaziato in più campi, esplorando
più terreni: dalla pittura alla cartografia alla ceramica.
Si tratta di mostre che recano indiscutibilmente l’impronta della Consulta: eventi
organizzati non per una generica valorizzazione di questo o quell’aspetto dell’arte esistente sul
territorio, ma rigorosamente finalizzati, da un lato, a focalizzare l’attenzione dei visitatori sul luogo
destinato ad ospitarle e, dall’altro ad offrire l’opportunità per una valutazione più approfondita
delle opere esposte, tale da far compiere qualche passo avanti alla critica d’arte.
Così è avvenuto per la mostra “Bartolomeo Cavarozzi. Sacre Famiglie a confronto”,
organizzata presso l’Accademia Albertina nel periodo a cavallo fra il 2005 e il 2006. L’intento
era quello di far conoscere ed apprezzare i tesori della Pinacoteca, già oggetto di intervento
della Consulta dieci anni prima, e non adeguatamente apprezzata dal pubblico, non soltanto
torinese, abituato a destinare le sue attenzioni soltanto alla Galleria Sabauda.
Fra le opere più pregiate conservate nella Pinacoteca, collocata al posto d’onore,
vi è la celeberrima Sacra Famiglia di Bartolomeo Cavarozzi, giunta all’Albertina nel 1828,
proveniente dalla collezione genovese di Costantino Balbi. Un’altra Sacra Famiglia di Cavarozzi
era poi arrivata a Torino attorno al 1990, acquistata dal Fondo Pensioni dell’Istituto Sanpaolo.
PINACOTECAACCADEMIAALBERTINABARTOLOMEO
CAVAROZZI,
SACRA FAMIGLIA,
INIZIO XVII SECOLO
11. effetti collaterali 177176 un’Avventura TORINESE
di Giovanni Vespucci e di altri quattro portolani di proprietà
della Biblioteca Reale. Anche in questo caso l’occasione
di far conoscere ad un vasto pubblico le opere restaurate
è coincisa con l’opportunità di rilanciare le potenzialità
espositive della Sala Leonardo attraverso l’esposizione
dei materiali di natura geografica più significativi di proprietà
della biblioteca stessa. La Biblioteca Reale, voluta da Carlo
Alberto nel 1831, e inizialmente alimentata da opere
di proprietà del sovrano, molte delle quali acquistate
sul mercato antiquario europeo, per la varietà del contenuto,
si configura come una sorta di “camera delle meraviglie”,
le cui collezioni rivelano un interesse variegato e dalle origini
antiche nella presenza di libri d’ore, romanzi cortesi
e cavallereschi, trattati militari, codici secenteschi illustranti
balletti di corte, ricche genealogie e codici di araldica,
manoscritti orientali, relazioni di viaggio e rari statuti,
preziose legature, lettere e documenti di principi sabaudi, pergamene, incunaboli spesso unici,
incisioni e disegni, fondi fotografici di eccezionale interesse storico e, naturalmente, carte
geografiche e portolani”. Di questi ultimi documenti - spesso disegnati con inchiostri di vari colori
su pergamene e sovente arrotolati su bastoni per poter essere meglio conservati e consultati -
la Biblioteca Reale contiene una notevole raccolta, mentre altri materiali, altrettanto importanti,
sopravvissuti all’incendio del 1904, sono conservati presso la Biblioteca Nazionale Universitaria.
È stato perciò naturale raccogliere attorno al Planisfero di Torino una selezione delle opere
più significative. I visitatori hanno così potuto ammirare, tra le altre preziosità, il Theatrum orbis
terrarum, eseguito da Juan Baptista Lavagna e Luis Teixeira fra il 1597 e il 1611 per la duchessa
Caterina d’Austria, moglie di Carlo Emanuele I: documento di elegantissima fattura composto
di 32 fogli di pergamena, separati l’uno dall’altro da fogli di seta colore cremisi, che riassumono
lo stato delle conoscenze astronomiche, geografiche, nautiche, climatiche e cartografiche dell’epoca.
Così, mentre viene riportata la recente scoperta della Nuova Zelanda, si dichiara senza
difficoltà di non conoscere ancora i confini settentrionali del continente americano. In compenso
il Theatrum è il primo documento geografico a riportare l’indicazione della presenza della Grande
Muraglia cinese. Nonostante le mancanze dichiarate e le inevitabili imprecisioni, il Theatrum offre
un’immagine del nostro pianeta già notevolmente più precisa rispetto a documenti precedenti.
Fra quelli in mostra, il documento più antico è senza dubbio il Commentarius in Apocalypsim
et alia, del monaco Beato di Liébana, composto fra XI e XII secolo, nel quale compare
Ecco allora che, disponendo in partenza di due opere sullo stesso tema del medesimo
autore, che più volte lo aveva replicato, diventava spontaneo immaginare una mostra che
accostasse le due tele presenti a Torino, mettendole a confronto con altre due ospitate altrove:
una proveniente da Genova e depositata presso la Galleria Nazionale della Liguria in Palazzo
Spinola; l’altra proveniente, invece, da una collezione privata e presentata per la prima volta
in pubblico. Bartolomeo Cavarozzi, nato a Viterbo nel 1587 e spentosi a Roma nel 1625 si ispirò
all’arte del Caravaggio, dal quale mutuò lo spiccato senso naturalistico e il gusto per la serialità,
che spiega il cospicuo numero di Sacre Famiglie a lui attribuite. La giustapposizione di quattro
di esse, ha permesso di rilevare l’impatto unitario e il rigoroso impianto luministico che
caratterizza le prime tre (le due di Torino e quella di Genova): “trasposizione quasi metafisica -
come è scritto nel catalogo - della probabile stanza in cui si trovava il pittore con i suoi modelli,
attraverso raffinate capacità luministiche nel suggerire ora una roccia, per metà inghiottita
dall’ombra e per metà svelata da un riflesso di luce, ora un terreno con arbusti, sassi, pianticelle,
proiettati da un pennello indagatore in una dimensione atemporale”. Mentre, per quanto
riguarda la quarta tela “si assiste a una notevole evoluzione compositiva e linguistica”, tale
da suggerire suggestivi raffronti con altre opere, non soltanto dello stesso autore.
Una mostra piccola, dunque, altamente specialistica, ma di indubbio valore culturale,
sia sotto il profilo della riscoperta dell’autore, sia sotto il profilo del metodo comparativo utilizzato.
Un caso analogo ha riguardato la mostra successiva, originata dal restauro del Planisfero
BIBLIOTECA REALEJACOPO RUSSO,
CARTA NAUTICA
DEL MEDITERRANEO,
1565
(Fotografia
Fenucci - Y Press)
BIBLIOTECA REALENUNO GARÇIA
DE TORENO,
CARTA NAUTICA
DELLE INDIE
E DELLE MOLUCCHE,
1522
(Fotografia
Fenucci - Y Press)
178 un’Avventura TORINESE
una rappresentazione della terra nota come il Mappamondo di Torino. Frutto ancora della
cosmologia tolemaica, il Commentarius la terra come un disco piatto, diviso in tre continenti:
tanti quanti erano i figli di Noè a cui, secondo la genesi, erano stati assegnati Al di fuori, oltre i
confini delineati, si sarebbe situata la terra degli Antipodi, il quarto mitico continente, sconosciuto
e inaccessibile. Benché privo di intenti pratici, il Mappamondo è interessante non soltanto per la
sua antichità, ma anche perché accanto a notazioni di regioni geografiche - Francia, Germania,
Gallia Belgia, Dardania... - esso presenta anche nomi di popoli - Suebi, Sarmati... - e di città:
Ravenna, Roma, Tolosa, Costantinopoli, Salerna, Cesaraugusta, Narbona e Aquileia. In
complesso, il Mappamondo esprime il “clima culturale dell’epoca, un cui tutto lo scibile umano
veniva riproposto attraverso il filtro della Chiesa”: lettura, questa, avvalorata dalla
rappresentazione di Adamo ed Eva e da alcuni riferimenti geografici particolari, come
il monte Sinai. Visione tolemaica, si diceva. E anche l’opera originale, la Geographia di Claudio
Tolomeo è presente in mostra, in una bella edizione del 1541, di notevole interesse perché,
accanto alle ventisette carte originali - andate perdute e ricostruite sulla base delle descrizioni
dall’erudito bizantino Massimo Planude nel XIV secolo - ne compaiono altre ventitrè che, da un
lato, completano e correggono le prime; e dall’altro forniscono, sempre in chiave geocentrica,
informazioni relative alle nuove scoperte, come quella, popolata di cannibali, che mostra le coste
americane. Non è questa la sede per illustrare singolarmente i materiali esposti. Ma uno ancora
merita di essere richiamato, per l’importanza che ebbe agli albori dell’arte della stampa,
e il folgorante successo che conobbe presso i “lettori” dell’epoca: il Liber chronicarum, noto
anche come Cronaca di Norimberga di Hartmann Schedel, pubblicato nel 1493.
Opera enciclopedica, che si propone di raccontare la storia del mondo divisa in sei età,
deve molto della sua fama alle numerosissime illustrazioni: oltre milleottocento xilografie
che accompagnano il testo offrendo al lettore immagini di divinità greche e martiri cristiani, eclissi
e comete, papi e imperatori, creature fantastiche, città, filosofi, eretici, genealogie bibliche.
Il planisfero presente nella descrizione della seconda età del mondo, di classica
impostazione tolemaica, più che per la rappresentazione cartografica, è interessante per le
immagini che le fanno da corredo: immagini fantastiche di popoli mostruosi, indiani con sei mani,
altri con sei dita nelle mani e nei piedi, altri ancora metà uomini e metà cavalli, donne pelose
simili a gorilla, altre barbute ma completamente calve, per finire con i Nisicaste, abitanti l’Etiopia
occidentale, che dispongono di quattro occhi.
Bastano queste poche descrizioni per comprendere quale sia stato l’interesse suscitato
da “Terrae Cognitae, La cartografia nelle collezioni sabaude”, come significativamente si intitolava
la mostra. Se poi si aggiunge che il visitatore poteva ammirare altri capolavori, quali l’Atlante
del genovese Battista Agnese, le carte nautiche di Vesconte Maggiolo e la stupenda tavola miniata
11. effetti collaterali 179
BIBLIOTECA REALEBATTISTA AGNESE,
ATLANTE, 1534-1564
(Fotografia
Fenucci - Y Press)
BIBLIOTECA REALEATLANTE,
XVI SECOLO
(Fotografia
Fenucci - Y Press)
11. effetti collaterali 181
episodi dell’epopea virgiliana (le sovrapporte: Venere appare ad Enea, Enea e Didone colti dalla
tempesta, Venere consegna le armi ad Enea, Enea sacrifica ad Apollo, Apparizione di Mercurio,
Partenza di Enea da Cartagine; e le sovrafinestre: Ascanio ferisce il cervo, Enea raccoglie il ramo
d’oro). Di eccezionale valore pittorico, l’intero ciclo era stato trasferito da Villa della Regina
al Quirinale nel 1893 in occasione dei festeggiamenti per celebrare il venticinquesimo
anniversario di nozze dei sovrani d’Italia e destinate a decorare l’appartamento che avrebbe
ospitato il sovrano di Germania Guglielmo II.
Il napoletano Giaquinto era giunto a Torino da Roma, dove stava operando già
da tempo, nel 1733, chiamato da Juvarra per decorare gli ambienti di Villa della Regina in fase
di veloce ristrutturazione. La scelta del soggetto, tratto da Virgilio, era perfettamente consono
ai gusti dell’epoca e confermava l’adesione del Giaquinto ai canoni dell’Arcadia.
Nella prima metà del Settecento, Virgilio stava conoscendo una nuova fortuna sia per
la traduzione in “ottava rima toscana” dell’Eneide, ad opera di Bartolomeo Beverini, sia,
da Jacopo Russo di Messina - in tutto ventuno capolavori - si comprende facilmente come anche
questa iniziativa, nata per celebrare il restauro di una importante carta nautica, sia stata
un importante momento culturale per Torino. La tappa successiva di questo percorso
ha riguardato, invece, Villa della Regina, sulla quale la Consulta era già intervenuta in passato
restaurandone il Belvedere e le fontane. Qui i problemi erano sensibilmente diversi.
Non si trattava, infatti, di valorizzare, o restaurare un edificio o un opera d’arte, ma di contribuire
a ricercare, e possibilmente a recuperare l’identità storica dell’edificio, dopo i restauri, durati molti
anni, che ne avevano impedito il definitivo degrado.
Com’è noto, Villa della Regina aveva avuto molte traversie, cambiando anche
profondamente destinazione d’uso; in particolare, fra il 1868 ed il 1975 era stata utilizzata come
collegio femminile per le figlie dei militari; il che aveva comportato la trasformazione di molti
ambienti, e fra essi alcuni dei più importanti - il Salone, le Camere da letto e i “Gabinetti
alla China” - come aule e sale da ricevimento. Ambienti, peraltro, in qualche caso già depauperati
con il trasferimento di rilevanti elementi d’arredo - come la “Libreria verso mezzanotte e Ponente”
del Piffetti e i papiers peints che rivestivano le pareti del “Gabinetto verso Levante alla China” -
a Roma nel Palazzo del Quirinale.
Altri danni, poi, erano stati provocati dagli spezzoni incendiari lanciati dall’aviazione
alleata durante i bombardamenti del 1942 e 1943. Per non parlare dei danni provocati dai furti
che si erano susseguiti nei circa quindici anni intercorrenti tra l’abbandono dell’edificio da parte
dei militari e l’inizio dei lavori di restauro. Si era perciò venuta configurando una situazione per
la quale Villa della Regina mentre aveva sostanzialmente recuperato - con il restauro delle parti
auliche, dei giardini all’italiana e del teatro d’acque - la sua identità, molto più difficile, se non
impossibile, risultava restituire ai singoli ambienti l’aspetto che presentavano quando erano
occupati dagli arredi tradizionali. Anche se una parte degli oggetti originali aveva potuto essere
recuperata dai depositi in cui erano conservati, o da collocazioni improprie, se non addirittura
ritrovati dai Carabinieri del Nucleo Tutela del Patrimonio Artistico, risultava comunque
improponibile una ricostruzione completa, non foss’altro che per l’impossibilità di riportare
in loco gli arredi trasferiti al Quirinale. Di qui l’idea di procedere, dove non era più possibile
disporre dell’originale, a “evocazioni” e, nei casi più favorevoli, a “ritorni temporanei” degli oggetti
mancanti. Alcuni di questi ultimi, infatti, per le loro caratteristiche, bene potevano, e possono,
essere rimossi dal luogo in cui si trovano collocati, per essere “prestati” temporaneamente
all’edificio che li aveva visti nascere. Questo è stato il caso della Mostra “Juvarra a Villa della
Regina. Le Storie di Enea di Corrado Giaquinto”, organizzata fra il novembre 2008 e il gennaio
2009. Le storie in questione erano raccontate in sei sovrapporte e due sovrafinestre
che originariamente decoravano l’Anticamera e la Camera da letto del Re, e riproducevano alcuni
180 un’Avventura TORINESE
VILLA DELLA REGINACORRADO GIAQUINTO,
SOVRAPPORTE
CON LE STORIE DI ENEA,
1735 CA.
(Fotografia Paolo Robino)
182 un’Avventura TORINESE
Si è trattato di un intervento fortemente innovativo che testimonia
dell’attitudine della Consulta di affrontare il difficile compito della
valorizzazione percorrendo strade nuove; e che, si può esserne certi, troverà
sicuramente altre applicazioni. I risultati conseguiti con le mostre dedicate a
Cavarozzi e a Giaquinto hanno poi incoraggiato la Consulta a proseguire
sulla stessa strada anche nella mostra successiva, abbinando a opere
presenti nelle raccolte torinesi altre provenienti da musei stranieri. Il punto
di partenza è stato il restauro, curato dalla Consulta, di dieci tele della
Galleria Sabauda, in previsione del trasferimento in altra sede della
pinacoteca. I quadri presi in considerazione erano fra i più importanti del
museo ed è apparso logico presentare al pubblico il risultato del restauro. È
nata così la mostra “Meraviglie della Galleria Sabauda”, aperta dal 23 febbraio
al 23 maggio 2010.
Il termine “meraviglie” non stupisca: i quadri restaurati sono infatti
altrettanti capolavori di primissimo piano di una galleria che, certamente,
in fatto di capolavori, non difetta. Otto di essi provengono dalle collezioni
di pittura fiamminga e olandese, che sono le più ricche fra quelle ospitate
nella Galleria, e il cui nucleo principale è costituito dalle opere provenienti
dalla quadreria del principe Eugenio di Savoia-Soissons, nel Palazzo del
Belvedere di Vienna. Le altre due tavole, invece, erano state donate nel 1930 da Riccardo
Gualino con le loro cornici di collezione e appartenevano alla ricchissima raccolta di
oggetti d’arte che abbellivano la sua dimora di via Bernardino Galliari. Nel 1933 le due tavole
vennero trasferite a Londra per abbellire la sede dell’Ambasciata d’Italia, e solo fra il 1948 e il
1950 sono state recuperate alla pinacoteca torinese. Le due tavole, che raffigurano
rispettivamente la Vergine addolorata e San Giovanni, tradizionalmente attribuite a Lorenzo
Veneziano, mentre la critica più recente le ritiene opera del suo maestro Paolo Veneziano
furono composte probabilmente fra il 1340 e il 1345, e in ogni caso prima del 1362, anno
della morte di Paolo. Esse dovevano costituire i due tabelloni “a vento” laterali di una grande
croce dipinta per una sede importante che non è stato possibile identificare, anche se un
esempio di come poteva essere l’insieme lo si può ancora vedere nella chiesa dei domenicani
di Dubrovnik (Ragusa), opera anch’esso di Paolo Veneziano. Il restauro ha restituito ai due
“fondi oro” lo “straordinario fulgore cromatico, permettendo finalmente di cogliere nella loro
pienezza le alte qualità pittoriche nella stesura raffinata degli incarnati e nella grande forza
espressiva dei dolenti”.
Dalle collezioni dei fiamminghi sono stati scelti, invece, quattro nature morte e due
soprattutto, per il successo riscosso dalla Didone abbandonata di Pietro
Metastasio, una delle opere più rappresentative della cultura arcadica.
L’opera era ben conosciuta, ed apprezzata, anche a Torino, dove era stata
oggetto, nel 1727, di ben quattro rappresentazioni al Teatro Regio, e dove
sarebbe stata riproposta ancora nel 1736. Grazie alla collaborazione con il
Segretariato Generale della Presidenza della Repubblica è stato dunque
possibile procedere alla ridefinizione e proposizione di ricostruzioni, anche
virtuali degli ambienti della Villa. Ragioni di natura conservativa, ma anche
motivi contingenti, non hanno consentito di reinserire i dipinti del
Giaquinto nei loro spazi originari, ossia nelle cornici delle sovrapporte della
Camera da letto del Re. E questo anche perché, nell’adattamento agli spazi
del Quirinale, due tele erano state ridotte di dimensioni in alto e in basso.
Si è scelta dunque la strada di presentare i sei quadri, montati su supporti
mobili, nel Salone dove, tra l’altro si poteva anche operare un suggestivo
confronto con le storie mitologiche affrescate sulle pareti dallo stesso
pittore. Per dare, invece, un’idea di come era la Camera da letto in origine,
si è provveduto ad inserire nelle cornici delle sovrapporte delle perfette
riproduzioni degli originali. Analogamente, per la Libreria del Piffetti e per
la boiserie del Gabinetto alla China, anziché pensare ad una fedele
ricostruzione degli ambienti originari, si è ritenuto preferibile procedere ad una loro
“rievocazione”. Nel caso del Gabinetto, questa è stata realizzata mediante la riproduzione su
teli a larga trama dei motivi che ornano i pannelli oggi al Quirinale, a seguito di un puntuale
rilievo fotografico. È stata una scelta innovativa che ha consentito al visitatore di rendersi
conto contemporaneamente di come si presentava il locale all’origine e di come si presenta
oggi. Per la Libreria, invece, dove il problema era quello di recuperare la tridimensionalità
dell’oggetto, partendo dai rilievi fotografici e dimensionali, utilizzando un software dedicato,
si è ottenuta la ricostruzione tridimensionale dell’oggetto, derivandone un’immagine in
movimento che restituisce la libreria nella sua forma originaria e nella sala per cui era stata
concepita. Il risultato è stato particolarmente suggestivo.
All’arrivo del visitatore la sala appariva spoglia, solo parzialmente illuminata
nella parte di pavimento ancora originale e negli affreschi che ornano il soffitto. Un sensore
di presenza segnalava l’arrivo del visitatore e, attraverso un sistema di controllo, determinava
l’abbassamento delle luci, mentre in retroproiezione appariva la ricostruzione virtuale
della Libreria. Anche in questo caso, il pubblico vedeva inizialmente l’ambiente odierno, cui
si veniva a sovrapporre in trasparenza l’immagine di come era in origine.
11. effetti collaterali 183
GALLERIA SABAUDAPAOLO VENEZIANO,
LA MADONNA
ADDOLORATA
GALLERIA SABAUDAPAOLO VENEZIANO,
SAN GIOVANNI BATTISTA
11. effetti collaterali 185184 un’Avventura TORINESE
quadri di genere. Le prime sono dovute: a Jan Davidsz (1606-1683/84) e Cornelis (1631-1695)
De Heem, Frutti, fiori, funghi, insetti, lumache e rettili; a Abraham Mignon (1640-1679),
Tronco d’albero con fiori, insetti, lumache, un cardellino in un nido e rane in uno stagno;
ancora a Cornelis De Heem, Vaso con fiori e insetti; e ancora a Abraham Mignon, Vaso
con fiori, insetti e due pannocchie di granoturco. I due quadri di genere sono invece opera
di Antoine Sallaert (1590-1658), Processione delle fanciulle dal Sablon a Bruxelles; e di Anton
Van Dyck (1599-1641) e bottega, Amarilli e Mirtillo.
Ma fra le opere restaurate a cura della Consulta, quelle che hanno maggiormente
caratterizzato la mostra, facendone un evento di rilevanza nazionale, sono state le ultime due:
la tavola di Bernard van Orley (1488-1541) Carlo Magno depone nella Cattedrale di Aquisgrana
il piatto e il calice della cena di Cristo; e i due pannelli laterali del Trittico dell’Annunciazione
realizzato nell’atelier di Rogier van der Weyden, risalente al periodo 1435-1440.
Le due opere avevano un passato in parte misterioso e in parte turbolento.
In particolare, il Trittico dell’Annunciazione faceva parte delle collezioni sabaude fin dal 1635,
ma la tavola centrale era stata portata a Parigi nel 1799, durante l’occupazione napoleonica,
dove era destinata a rimanere in via permanente, inserita nelle collezioni del Louvre.
A lungo incerta, invece, l’origine della tavola di Bernard van Orley. Proveniente
dalla collezione genovese dei Durazzo, ancora a fine Ottocento si era ritenuto che facesse
parte di un polittico commissionato al pittore dalla confraternita di Santa Croce di Furnes,
GALLERIA SABAUDABERNARD VAN ORLEY,
CARLO MAGNO DEPONE
NELLA CATTEDRALE
DI AQUISGRANA
IL PIATTO D’ARGENTO
E IL CALICE DELLA CENA
DI CRISTO,
BRUXELLES, MUSÉES ROYAUX DES BEAUX-ART DE BELGIQUEBERNARD VAN ORLEY,
SANT’ELENA DI FRONTE
A PAPA SILVESTRO
GALLERIA SABAUDAROGER VAN DER
WEYDEN, TRITTICO
DELL’ANNUNCIAZIONE,
DONATORE E LA
VISITAZIONE
L’ANNUNCIAZIONE,
MUSEO DEL LOUVRE
11. effetti collaterali 187186 un’Avventura TORINESE
nelle Fiandre. Solo nel 1930, infatti, si era potuto stabilire un collegamento fra questa tavola
ed una conservata a Bruxelles, Sant’Elena e Costantino davanti a papa Silvestro a Roma.
Come era già avvenuto nel caso della mostra su Cavarozzi, diventava naturale pensare
di poter ricostituire, sia pure solo temporaneamente, l’unità delle due opere ottenendo
dai musei che le custodivano le parti mancanti.
Il parere favorevole del Museo del Louvre e dei Musées Royaux des Beaux Arts
di Bruxelles ha consentito al pubblico di ammirare ricomposto il Trittico di Van der Weyden
e le due ante conosciute del Polittico di Van Orley. Si è trattato di un evento straordinario
e, probabilmente irripetibile.
PALAZZO MADAMAMOSTRA
CERAMICA LENCI,
MARZO-AGOSTO 2010
PALAZZO MADAMAELENA KOENIG SCAVINI,
COLPO DI VENTO,
1934,
COLLEZIONE PRIVATA
11. effetti collaterali 189188 un’Avventura TORINESE
e gli animaletti di panno usciti dall’atelier di via Cassini, ma anche perché le vicende di questa
industria - che tale è stata - sono intimamente legate con la vita torinese nel periodo fra le
due guerre.
La fabbrica di bambole Lenci nasce infatti nel 1919 ad opera dei coniugi Enrico
Scavini ed Elena König, alla quale si devono i primi modelli, realizzati in pezza e stracci.
Il momento è favorevole, la guerra ha lasciato come strascico una forte inflazione che falcidia
i salari, ed anche i giocattoli per bambini risentono di questa situazione. Le bambole
tradizionali, con il volto e gli arti in ceramica e gli abiti con crinoline, oltre ad essere molto
costose sono anche fragili. Le bambole Lenci, che verranno presto realizzate con
un particolare tipo di panno, oltre a costare meno sono anche più facilmente maneggiabili,
e quindi più adatte ai bambini.
Il successo è immediato, favorito anche dalla partecipazione alle grandi rassegne del
tempo, come la Prima Esposizione
Internazionale delle Arti Decorative,
tenutasi a Monza nel 1923, o la Exposition
Internationale des Arts Décoratifs et
Industriels Modernes, nel 1925 a Parigi,
prodighe entrambe di premi per la fabbrica
torinese: che, incoraggiata dai risultati,
amplia la produzione dedicandosi, oltre
che alle bambole, anche ad altri giocattoli
per bambini e agli accessori femminili.
L’occupazione, nel 1925, raggiunge le 600
unità. Con il successo, arrivano però anche
i problemi. La concorrenza non tarda a
farsi sentire, immettendo sul mercato
imitazioni, spesso grossolane, dei prodotti
Lenci. Ma il mercato, che si rivolge ad un
pubblico infantile poco attento alla qualità,
assorbe anche questi prodotti, provocando
un danno economico quantificabile in una
sensibile caduta dei ricavi.
Ed è per colmare il “buco” che si
sta verificando nei conti aziendali, che la
Lenci decide di produrre ceramiche d’arte,
Ma le sorprese non erano terminate. Sul retro della tavola di Bruxelles, Bernard van
Orley aveva dipinto una Andata al Calvario, mentre sul retro di quella di Torino non era visibile
nessun tipo di intervento. In fase di restauro, la ripulitura della parte posteriore della tavola
ha fatto emergere una composizione complementare a quella visibile nella tavola di Bruxelles.
In particolare, mentre su quest’ultima è raffigurata la scena di Cristo che porta la croce
condotto al Calvario da tre sgherri, sulla tavola di Torino si vedono un Sgherro reggifune,
Madonna dolente, San Giovanni e il donatore.
Un’autentica scoperta destinata ad aprire nuovi orizzonti sull’originaria destinazione
del complesso figurativo, che ancora una volta testimonia della capacità di Consulta
non soltanto di valorizzare il patrimonio artistico torinese, ma anche di stimolare la ricerca
e la critica d’arte. Se fino ad ora le mostre promosse dalla Consulta avevano per oggetto
importanti documenti artistici e culturali di un passato più o meno remoto, presenti in musei
ed istituzioni cittadine, era giunto il
momento di occuparsi anche di arte in
qualche misura “contemporanea”, come già
era accaduto nel caso della Cancellata di
Umberto Mastroianni. L’occasione per
intervenire venne offerta dalla presenza a
Torino di collezionisti importanti, uno t ra
loro soc io d i Consul ta , e dall’acquisto
dell’Archivio Lenci da parte del Comune di
Torino. Vista la disponibilità dei collezionisti
a consentire l’esposizione dei loro pezzi
migliori, era quasi naturale che Consulta
pensasse ad organizzare una mostra.
L’evento, realizzato in collaborazione con
Palazzo Madama, che per l’occasione
metteva a disposizione il Salone del Senato,
si è svolto fra l’aprile e l’agosto 2010,
riscuotendo un grande successo di
pubblico. Indubbiamente il nome di Lenci a
Torino continua ad essere molto
popolare, non foss’altro per il fatto che
alcune generazioni di bambini - femmine e
maschi - hanno giocato con le bambole
PALAZZO MADAMAMARIO STURANI,
MAIALETTO,
1928,
COLLEZIONE PRIVATA
PALAZZO MADAMAMARIO STURANI,
VASO PAESAGGIO,
1936,
COLLEZIONE PRIVATA
190 un’Avventura TORINESE
chiamando a raccolta i migliori artisti operanti in quel momento a Torino: da Gigi Chessa a
Giovanni Grande, da Felice Tosalli a Teonesto Deabate, da Sandro Vacchetti a Mario Sturani.
Nonostante il buon successo che anche le ceramiche riscuotono, l’azienda non riesce
a risalire la china; la Grande Crisi del 1929, soprattutto le conseguenze che ne deriveranno ai
mercati europei, faranno il resto, dando il colpo di grazia. Nel 1933 la coppia Scavini-König è
obbligata a far entrare altri soci, e nel 1937 dovrà cedere definitivamente la mano. Ristrutturata
e trasformata, l’azienda rimarrà in vita sino al 2002, quando sarà dichiarata fallita, dopo essere
passata di mano nel 1997.
La mostra curata da Consulta - 134 ceramiche e 30 bozzetti - copre dunque un periodo,
tutto sommato breve, della storia della Lenci, che però è il periodo certamente più creativo, ed
ha il grande merito di accendere i riflettori su un capitolo di storia torinese normalmente poco
praticato: quello riguardante la Torino di Riccardo Gualino e l’esperienza artistica del secondo
futurismo. Molti degli artisti impegnati nella realizzazione delle ceramiche provengono infatti dalla
cerchia dell’industriale - mecenate e sono le figure di punta delle iniziative artistiche che si
realizzano in quegli anni a Torino, dove già nel 1922 era stata allestita l’Esposizione Futurista
Internazionale, sfociata l’anno successivo nella costituzione del Movimento Futurista Torinese.
Se questa benefica incursione nella cultura artistica torinese della prima metà
del Novecento trovava il suo punto di forza nella popolarità dei protagonisti, a cominciare
dalla signora Lenci, l’iniziativa successiva della Consulta nasceva dal constatato attaccamento
dei torinesi ad uno dei simboli più venerati della loro Città: la Santa Sindone, ossia il lenzuolo
sul quale sono riprodotte le fattezze di Colui che molti - moltissimi - ritengono essere il Cristo.
Occasione dell’intervento è stata l’Ostensione, evento eccezionale che si ripete
soltanto a distanza di decenni richiamando ogni volta milioni di pellegrini. Nel corso
dei secoli, dacché il Sacro Lenzuolo è stato trasferito a Torino da Chambery, accanto alle
ostensioni si sono avute molte acquisizioni di oggetti sacri e di uso liturgico che, nel tempo,
sono andati a formare il “Tesoro” della Sindone. Conservato nella Sacrestia della Cappella
guariniana, il tesoro consiste in un ricco e variegato patrimonio di oltre 700 pezzi: arredi,
oggetti e paramenti liturgici, fra i quali spicca, per importanza la Rosa d’Oro, preziosissimo
vaso con fiori stilizzati realizzato in oro battuto, argento dorato, cesellato e sbalzato, legno
intagliato e smalto, realizzato alla metà dell’Ottocento e donato dal papa Pio IX alla regina
Maria Adelaide Asburgo Lorena in occasione della nascita della principessina Maria Pia.
Benché depauperato nel corso dei secoli da spoliazioni e trasformazioni (molti
degli oggetti in argento sono stati rifusi per produrne altri), il Tesoro della Sindone continua
a rappresentare una straordinaria collezione che permette di delineare un profilo delle scelte
artistiche effettuate dalla committenza sabauda fra il XVII e il XX secolo. Questo grande
11. effetti collaterali 191
PALAZZO REALE MOSTRA
“IL TESORO
DELLA SINDONE”,
MAGGIO-APRILE 2010
11. effetti collaterali 193192 un’Avventura TORINESE
patrimonio sinora non era mai stato esposto al pubblico, ed è quindi merito della
Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici aver provveduto a colmare la lacuna
esponendo il Tesoro della Sindone nei luoghi della Sindone: la Sacrestia, la Galleria,
la Cappella Regia e le Tribune Reali. A quest’evento, di per sé eccezionale, mancava però
un tassello che lo avrebbe reso ancora più straordinario: l’esposizione delle oltre 30 incisioni,
quadri e disegni che raffigurano le principali ostensioni svoltesi a Torino fra il 1578 e il 1931:
incisioni che facevano parte della collezione di Umberto II e che attualmente sono in
dotazione alla Fondazione Umberto II e Maria José di Savoia, presieduta dalla figlia Maria
Gabriella. A presentare adeguatamente questa sezione della mostra ha dunque provveduto
la Consulta, in collaborazione con Martini & Rossi. Si è trattato di un evento, a modo suo,
straordinario, perché i preziosi materiali raccolti da Umberto II erano stai esposti una volta
soltanto in occasione dell’Ostensione del 1931. Successivamente, vicende belliche e dinastiche
avevano danneggiato in misura sensibile la raccolta, nuovamente ricostituita, per quanto
possibile, durante gli anni dell’esilio. Questa è dunque la prima volta in cui l’importante
documentazione viene esposta al pubblico, proponendo più di un motivo di curiosità.
Un nucleo considerevole di stampe della collezione rappresenta, infatti, alcune tra le
principali Ostensioni avvenute a Torino nel corso dei secoli. Spiccano, fra le altre, l’incisione
di F. Ber, Il verissimo ritratto del Santissimo Sudario di Nostro Signore Giuesu Christo -
Ostensione della Santa Sindone nel 1663; e quella di Giovanni Fayneau, Ostensione della
Santa Sindone nel 1684. In generale, nelle incisioni esposte, accanto a una dettagliata
illustrazione del Sacro Lenzuolo, vengono mostrate le strutture effimere realizzate per
l’occasione e si vedono scorci di Torino (Piazza del Castello) che forniscono una suggestiva
immagine della città colta nei momenti in cui, più che in ogni altro, veniva proposta
al pubblico la magnificenza della dinastia detentrice della più importante reliquia
della cristianità. Che è, poi, un altro modo di “leggere” la storia di Torino.
Nel 2009 si è aggiunta anche un’altra opportunità per consentire ai visitatori una
migliore fruibilità del patrimonio artistico disponibile attraverso l’utilizzo di nuove tecnologie,
così da rendere accessibili materiali in precedenza non visibili. Il primo intervento di questo
genere ha riguardato il Museo Nazionale del Cinema, che fin dalla sua inaugurazione nel 2000
si è affermato come il museo cittadino più visitato e amato dai frequentatori, stabilmente
collocato oltre le 500.000 unità annue. A questo risultato hanno certamente concorso la
caratteristica straordinaria - per non dire unica - dell’edificio che lo ospita, e l’allestimento
progettato da François Confino che ha saputo conciliare, con felice sintesi, la valorizzazione
delle collezioni museali con la considerazione per la rilevanza architettonica del monumento.
Come il cinema che ne costituisce l’oggetto, anche il Museo è un’opera in progress,
MUSEO NAZIONALEDEL CINEMA COLLEZIONE
DEI MANIFESTI STORICI
(Fotografia
di Francesca Brizi)
che se da un lato deve testimoniare il passato, dall’altro
non può sottrarsi alle suggestioni offerte dalla tecnologia
più avanzata, chiamata di continuo a superare se stessa,
grazie a sempre nuove innovazioni. Così, l’allestimento di
grande impatto scenografico è gestito da una struttura
tecnologica complessa e delicata; ma, soprattutto, una
struttura suscettibile di trasformazioni, modifiche,
adeguamenti.
L’intervento della Consulta, sollecitato dal Museo
nella previsione delle celebrazioni per il 150° anniversario
dell’Unità Nazionale, ha preso in considerazione entrambi
gli aspetti. Un capitolo particolarmente impegnativo ha
riguardato la grande Aula del Tempio, dove sono collocati
due grandi schermi sui quali vengono proiettati filmati di montaggio, realizzati con materiali di
proprietà del Museo, che si alternano con videoproiezioni sulla volta interna della cupola. Le
esigenze legate a questo duplice alternarsi di proiezioni poneva non facili problemi
di illuminazione, ai quali sin dall’inizio si è ovviato attraverso un sistema di tende comandate
elettricamente secondo un programma di gestione che sincronizza i movimenti con i cicli
di proiezione. Le tende, collocate davanti a tutti i finestroni che danno luce alla grande sala,
servono infatti a garantire un’illuminazione diffusa durante le proiezioni, non disturbate
dalla luce proveniente dall’esterno; mentre, quando vengono sollevate, lasciando penetrare
la luce esterna e consentono di apprezzare le caratteristiche strutturali dell’edificio.
Dopo nove anni di onorato servizio, il sistema installato all’atto dell’inaugurazione
nonostante la costante manutenzione, manifestava tutta la sua vetustà, al punto da non essere
più riparabile. Di qui l’intervento della Consulta, che ha provveduto al rifacimento completo
dell’impianto, garantendone la fruibilità per un congruo numero di anni.
Ma se in questo caso si è trattato quasi soltanto di un intervento di manutenzione,
di diverso genere sono gli altri due realizzati nella stessa circostanza. Il primo riguarda
i cosiddetti “effetti speciali”, la cui illustrazione, nella sezione che li ospita, costituisce una
delle principali attrattive del Museo, molto frequentata dal pubblico, soprattutto per
la possibilità che gli è offerta di intervenire in modo interattivo. La sezione comprende
la ricostruzione di un effetto meccanico pionieristico inventato da Meliès, la riproduzione
di un matt painting (procedimento in uso nel cinema americano negli anni ’60 e 70’) e, infine,
la dimostrazione pratica delle possibilità offerte dalla tecnologia digitale di inserire una ripresa
dal vivo (il visitatore ripreso da una telecamera) all’interno di una sequenza filmata
11. effetti collaterali 195194 un’Avventura TORINESE
preesistente. In quest’ultimo caso il visitatore “partecipa” direttamente all’azione proiettata
sullo schermo, secondo un modello di apprendimento dinamico che abbina la dimensione
didattica a quella ludica. Il sistema in vigore, realizzato alla fine del 2005, oltre a dimostrarsi
inadeguato sia perché di difficile comprensione, sia perché sovente fermo a causa di guasti,
forniva immagini a bassa definizione, e quindi scarsamente leggibili. Il rifacimento patrocinato
da Consulta, oltre a garantire un perfetto funzionamento dell’installazione propone anche un
immagine ad alta definizione, in grado di emulare il livello di compiutezza proprio degli effetti
speciali che si vedono al cinema. Questo risultato è dovuto all’impiego di una videocamera
HD e alla sostituzione dello schermo di tela con due monitor LCD in Full HD. Ma il pezzo forte
dell’intervento è ancora un altro, e riguarda la fruizione dell’imponente collezione di manifesti
in possesso del Museo, per sua natura difficilmente consultabile con mezzi ordinari.
Per ovviare a questa difficoltà è stata progettata una sorta di “libreria” interattiva
nella quale vengono raccolti, digitalizzati, gruppi di immagini suddivisi per argomento.
Il modulo espositivo adottato racchiude al proprio interno un sistema di proiezione,
un sistema di elaborazione dati e un sistema tracking. Grazie ad uno schermo ad alta
luminosità e definizione il visitatore può accedere all’archivio, mentre il sistema tracking
è in grado di percepire il movimento della mano che indica una particolare immagine.
In questo modo il visitatore può scegliere di “sfogliare” una determinata serie
di manifesti, selezionata fra le tante offerte dal menu principale.
In questo modo l’immagine esce dalla sua sede e si dispiega di fronte all’osservatore
con un effetto di grande spettacolarità. Il visitatore può poi continuare a consultare la serie,
eseguendo il semplice gesto di sfogliare nell’aria, senza essere costretto ad azionare alcun
dispositivo. Si tratta dunque di un intervento di avanguardia, che oltre a facilitare l’accesso
ai manifesti, raggiunge anche l’obbiettivo di stupire e divertire.
Sulla stessa linea dell’intervento al Museo Nazionale del Cinema, se ne collocano
altri, anche se più tradizionali e sono costituiti dalle audioguide che Consulta ha realizzato per
facilitare la visita delle collezioni di Palazzo Madama e del Museo di Arte Orientale, mentre
è in fase di realizzazione quella riguardante il Museo del Risorgimento, il cui nuovo
allestimento viene completato, come è noto, per le celebrazioni del centocinquantesimo
dell’Unità d’Italia. Tali interventi non presentano caratteristiche di particolare rilievo; qui
vengono ricordati unicamente per sottolineare la grande varietà di interessi che muove la
Consulta, sempre più orientata ad operare a tutto campo e ad esplorare nuovi territori.
E uno degli obiettivi primari perseguito dalla Consulta è certamente quello
dell’ottimizzazione delle risorse disponibili: sostanzialmente si tratta di far sì che le risorse
messe a disposizione dai Soci vengano effettivamente impiegate per il raggiungimento degli
scopi per i quali sono state conferite. Il
problema non riguarda tanto la
necessità di evitare sprechi o di
controllare la congruità delle spese: le
capacità tecniche, finanziarie ed
imprenditoriali dei Soci sono tali da
mettere al riparo da questi pericoli,
impedendo che si commettano errori o
sviste significativi. Il pericolo vero - ma
più che un pericolo, una situazione di
fatto - riguarda i costi derivanti dagli
adempimenti burocratici, amministrativi
e fiscali imposti dalla legislazione
italiana. Per molto tempo sono state
queste incombenze a rendere poco
attraente per le imprese la partecipazione
a programmi di valorizzazione delle
risorse artistiche e culturali del territorio.
Capire in che modo luoghi d’arte,
musei e centri espositivi possano
rendersi più attraenti per le imprese e i
finanziatori privati; ragionare sulle
opportunità per le imprese italiane di presenza internazionale offerte dall’arte; riflettere su
come comunicare con il consumatore d’arte, parte di un pubblico fatto di persone diverse,
con culture diverse e con diversi approcci; e, infine, approfondire il delicato problema degli
incentivi fiscali e del ritorno per le imprese: sono questi i temi che Consulta ha affrontato nel
corso di tre distinte giornate di studio, in occasione delle Settimane della Cultura d’Impresa di
Confindustria. La prima “Il finanziamento privato dei Beni Culturali: ruolo delle imprese
prospettive e percorsi innovativi” si è tenuto nell’ottobre 2007, in concomitanza con le
celebrazioni per il ventennale dalla fondazione di Consulta. Al fitto programma di lavori hanno
preso parte, oltre al presidente di Confindustria, una nutrita schiera di specialisti - soprintendenti,
direttori di musei, tecnici del restauro, funzionari ministeriali.
Il tema degli incentivi di natura fiscale ha poi costituito oggetto della seconda
giornata, che si è tenuta nel novembre 2008: “Fiscalità - Beni Culturali - Imprese”. In quella
occasione obbiettivo primario è stato quello di fornire alle imprese una descrizione chiara ed
CENTRO CONGRESSIUNIONE
INDUSTRIALEDI TORINO
WORKSHOP 2007, 2008
(Fotografie
Franco Borrelli)
11. effetti collaterali 197196 un’Avventura TORINESE
esaustiva degli strumenti e della normativa che tendono ad incentivare, attraverso un
trattamento fiscale più favorevole, gli investimenti sul patrimonio artistico. Operazione
indispensabile, dal momento che le opportunità esistenti molto spesso non vengono
adeguatamente utilizzate: o perché scarsamente conosciute, o perché di difficile
interpretazione e applicazione. Al tempo stesso, attraverso un attento esame dei regimi
esistenti negli altri paesi europei che dispongono di un importante patrimonio artistico,
si è voluto stimolare la riflessione sulle innovazioni e miglioramenti che si potrebbero
apportare alle attuali disposizioni legislative e regolamentari.
Nella riflessione di Consulta, il problema centrale rimane sempre lo stesso:
comprendere come e con quali mezzi la sponsorizzazione culturale può avere ricadute
positive sulle imprese che la praticano.
A questo interrogativo ha risposto la terza giornata di studio del novembre 2009,
“La sponsorizzazione dei Beni Culturali, nuovo media per le imprese? Opportunità
ed esperienze”. Se è vero che il museo, o comunque il luogo dell’arte, persegue una missione
che riflette - e non potrebbe non riflettere - un radicamento nel territorio, molte imprese
finiscono per essere i naturali interlocutori.
E se è vero che la tecnologia sta rivoluzionando il mondo dell’arte, sono anche
mutate le aspettative del pubblico circa il ruolo della pubblicità, che deve essere in grado
di promuovere stili di vita e di consumo più responsabili. La conclusione cui perviene
la giornata di studio è quasi obbligata. Nuova vitalità dei musei, progetti culturali forti,
opportunità e interazioni con aziende innovative, rivoluzione tecnologica nel mondo dell’arte,
contenuti valoriali nel mondo della pubblicità: tutto questo richiede un cambiamento
profondo anche alle imprese, ai centri media e alle agenzie di pubblicità e il coraggio
e la creatività per cogliere le occasioni che i beni culturali offrono per parlare in modo diverso,
originale, esclusivo con i propri clienti. L’insieme delle tre giornate di studio, raccolto
in volume può essere considerato come l’inventario più attuale dei problemi, delle
opportunità, dei risultati, ma anche delle necessità, che ruotano attorno al complesso
problema del rapporto fra imprese e cultura, fra sponsor e mondo dell’arte. Una iniziativa che
poteva scaturire soltanto da una realtà come Consulta, forte della sua più che ventennale
esperienza. Ma l’esperienza della Consulta ha trovato modo di essere utilizzata anche in altre
direzioni; non soltanto in fase applicativa, con interventi diretti, ma anche in fase progettuale,
proponendo soluzioni rivolte a risolvere problemi vecchi e nuovi, in qualche modo collegati
alla fruizione del patrimonio artistico e architettonico della Città; o, più semplicemente,
proponendo quelle soluzioni che - proprio sulla base dell’esperienza maturata in tutti questi
anni - sono ritenute le più idonee ad essere apprezzate dal pubblico dei potenziali fruitori.
Così, è stato avviato uno studio per un progetto didattico riguardante la fruizione della
Pinacoteca dell’Accademia Albertina, mentre un altro studio si è interessato della futura
sistemazione del cosiddetto “Polo Reale”.
Importante e attuale, in questo capitolo dell’attività della Consulta è stato il progetto
relativo alla risistemazione e riqualificazione di piazza Valdo Fusi.
Si tratta di un argomento quanto mai spinoso e controverso. La piazza, sorta sulle
macerie dell’edificio costruito per ospitare il Regio Museo Industriale e la Scuola di
Applicazione per Ingegneri, enti poi confluiti nel Politecnico, per oltre un cinquantennio era
stata adibita a semplice parcheggio, punteggiato da alberi di modeste dimensioni. Una
soluzione che non poteva durare in eterno, anche per il fatto che l’area in questione era
circondata da palazzi di alto valore architettonico, di ieri e di oggi, come l’antico Ospedale di
TORINOPIAZZA VALDO FUSI
PROGETTO
DI RIQUALIFICAZIONE
San Giovanni e la più recente sede della
Camera di Commercio di Carlo Mollino.
L’occasione per pensare ad una
sistemazione definitiva, tale da valorizzare tutto
il complesso architettonico dell’area si presentò
in concomitanza con la realizzazione, nel sotto-
suolo, di un parcheggio automobilistico, ma
il progetto, ultimato nel 2004, che creava
barriere e strutture fisse sui lati delle vie
Cavour e Giolitti, si rivelò ben al di sotto anche
delle più modeste aspettative.
Le critiche furono immediate e parve ai più come un pugno nell’occhio, una ferita aperta
nel cuore aulico della città. Innumerevoli furono le proteste dei cittadini sulla stampa locale, tanto
che lo stesso Sindaco si rifiutò di partecipare all’inaugurazione.
Quasi subito prese corpo l’idea che quella sistemazione andasse, se non rifatta
completamente, almeno modificata, in modo da renderla meno offensiva per la vista
dei cittadini e meno penalizzante per l’importanza dell’area. Per iniziativa di alcuni cittadini,
si costituì un Comitato con lo scopo di bandire, solo con sponsor privati e grazie ai fondi raccolti
con pubblica sottoscrizione, un concorso di progettazione di alto livello per elaborare proposte
alternative per una nuova sistemazione del Piazza Valdo Fusi e delle aree versi adiacenti, l’Aiuola
Balbo e Piazza Carlina. Al concorso, bandito a livello internazionale, partecipano numerosi studi
di architettura, ed alla fine risulta vincitore il progetto presentato dalla berlinese Gabriele Kiefer.
I buoni propositi del Comitato si infrangono però contro gli scogli della mancanza di risorse.
Il Sindaco esclude la possibilità di poter disporre di fondi pubblici ed anzi esorta il Comitato
a proseguire nella ricerca di sponsor privati anche per questa seconda fase, senza peraltro
impegnarsi a confermare l’effettiva volontà del Comune di Torino di risistemare il piazzale.
È a questo punto che, per iniziativa dello stesso Comitato, sciolto alla fine del 2008, entra in scena
la Consulta, che dimostra interesse dichiarandosi disponibile a proseguirne l’attività, incaricando
i vincitori del concorso di ripensare il progetto sia sotto il profilo della fattibilità, sia - cosa ancor più
importante - alla luce delle nuove esigenze nel frattempo insorte.
Capita che il Museo Regionale di Scienze Naturali manifesti la necessità di poter disporre,
oltre all’ingresso principale di via Giolitti, di un ingresso anche sul lato della via Accademia Albertina.
Lo studio, aggiornato secondo le indicazioni della Consulta, nonostante le difficoltà derivanti
dalla delicatezza del momento economico, è testimonianza della buona volontà dimostrata da enti
e privati cittadini e si auspica che possa entrare in fase realizzativa.
MUSEO NAZIONALEDEL CINEMA
STARK INTERACTIVE
WALL,
GALLERIA
DEI MANIFESTI
(Fotografia
di Francesca Brizi)
198 un’Avventura TORINESE 12. nel segno della tradizione 199
12. NEL SEGNO DELLA TRADIZIONE
Le attività descritte nel capitolo precedente dimostrano che la Consulta
ha affiancato agli interventi che avevano rappresentato la ragione stessa per
la quale essa si era costituita - i restauri, il risanamento di edifici, la pulitura
di monumenti - un’importante attività di valorizzazione.
La possibilità di operare in campi diversi fra loro, mettendo a frutto l’esperienza
maturata, è tanto maggiore se questa esperienza si arricchisce continuamente grazie a nuovi
interventi. Saggiamente quindi la Consulta, mentre da un lato si avventurava su terreni nuovi,
dall’altro manteneva dritta la barra continuando ad operare nei settori tradizionali.
Per verificare l’attendibilità di questa affermazione è sufficiente verificare l’attività
della Consulta negli ultimi tre anni. Così, nel 2008, accanto alla realizzazione del nuovo
TEATRO CARIGNANOIL TRIONFO DI BACCO,
PLAFONE,
1845
(Fotografia Laboratorio
Nicola Restauri)
12. nel segno della tradizione 201200 un’Avventura TORINESE
BIBLIOTECA REALE FRANCESCO GONIN,
IL TRIONFO DI BACCO,
BOZZETTO
E PARTICOLARE
DEL PLAFONE DIPINTO.
1845
percorso delle Cucine storiche di Palazzo Reale, e alla mostra con i dipinti del Giaquinto
a Villa della Regina, ha provveduto al restauro del plafone dipinto da Francesco Gonin
sul soffitto del Teatro Carignano. Si è trattato di un intervento particolarmente impegnativo
soprattutto per le caratteristiche non solo del dipinto, ma anche dell’edificio.
Il teatro del Principe di Carignano era stato fondato nel
1709 ed era entrato in funzione nel 1711.
Nei tre secoli successivi, ovviamente, molte erano
state le vicende e le vicissitudini che il locale si era trovato
ad affrontare. Ad iniziare da un incendio che, nel 1786
distruggeva completamente la struttura.
In occasione della ricostruzione, la decorazione
del plafone della platea venne affidata a Bernardino Galliari,
che vi dipinse il Giudizio di Paride. Dopo di che, nel 1818
il futuro re Carlo Alberto promuoveva alcuni restauri, ultimati
nel 1824, in occasione dei quali il pittore Luigi Vacca sostituì
la precedente decorazione del plafone con la raffigurazione
di Apollo circondato dalle Muse.
Nel 1845, infine, in concomitanza con il rifacimento
del vestibolo e la trasformazione della decorazione dei palchi,
della loggia centrale, dell’arco di proscenio e del velario,
Francesco Gonin veniva incaricato di rifare la decorazione
del plafone, dipingendovi il Trionfo di Bacco: soggetto rimasto
sino ai giorni nostri.
Dopo quella data, nel teatro era tutto un succedersi
di interventi, motivati dalle più disparate necessità, che
andavano dall’installazione, nel 1876, dell’illuminazione a gas,
al rifacimento dell’intero apparato strutturale con l’impiego
di calcestruzzo armato sul quale veniva ricollocata tutta la parte
in legname.
In occasione di quest’ultimo intervento, del 1936,
reso necessario dal fatto che, con l’incendio del Teatro Regio,
il Carignano diventava l’edificio più rappresentativo per gli
spettacoli torinesi, e pertanto doveva essere completamente
rinnovato: anche il plafone fu oggetto di interventi ad opera
del pittore Carlo Gaudina.
Risparmiato il teatro dai bombardamenti della
seconda guerra mondiale, il plafone fu ancora oggetto
di altri due interventi, per la verità poco invasivi, del 1958
e del 1983.
Tutta una serie di interventi, quindi, che hanno
influito non poco sulla “leggibilità” del plafone,
compromettendo - e spesso anche nascondendo -
la versione originaria del Gonin.
Era perciò naturale che, in occasione del restauro
e della ristrutturazione del Teatro, anche il plafone fosse
oggetto di una attenta ricostruzione della stesura
originaria.
Ed in effetti, l’osservazione ravvicinata dei dipinti
e i saggi stratigrafici, hanno messo in luce la successione
di interventi verificatisi nel corso del tempo.
Sono state infatti ritrovate le tre stesure
pittoriche storicamente documentate e cioè: la coloritura
esistente al momento della ricostruzione del teatro, dopo
CHIESA DEL SANTO SUDARIO,FACCIATA
E PARTICOLARE
DEL TIMPANO,
1734
12. nel segno della tradizione 203202 un’Avventura TORINESE
l’incendio del 1786; l’intervento del 1824-1826; infine, la terza stesura con le figure mitologiche
distribuite nei quattordici campi che suddividono il soffitto, dovuta a Francesco Gonin.
Su quest’ultima, poi erano evidenti i segni dei successivi interventi, sino all’ultimo
del 1983. Di fatto, la stesura del Gonin si trovava in una situazione conservativa non buona,
molto frammentaria e spesso tenacemente attaccata agli strati di pittura applicati successivamente.
L’intervento di recupero è risultato perciò particolarmente delicato e complesso.
Preliminarmente si sono dovuti, ovviamente, rimuovere i depositi superficiali derivanti
dall’azione del tempo; dopo di che si è potuto ristabilire l’adesione del dipinto al supporto
murario e all’intonaco. Si è proceduto quindi alla rimozione delle ridipinture e dei fissativi,
nonché delle stuccature eseguite nei precedenti interventi, come pure all’asportazione
di elementi metallici (chiodi, perni, ecc.). Si è quindi passati alla fase della stuccatura
delle lacune, propedeutica all’intervento finale di reintegrazione pittorica e velatura.
L’intervento successivo rientra fra quelli che, sin dall’inizio, hanno maggiormente
caratterizzato l’attività della Consulta: il restauro della facciata della Chiesa del Santo Sudario,
che, dal 1998, ospita nella cripta il Museo della Sindone. L’avvicinarsi dell’Ostensione del Sacro
Lenzuolo, avvenuta fra aprile e maggio 2010, suggeriva infatti di intervenire per valorizzare
e migliorare la fruibilità di questa importante raccolta di documenti e testimonianze che offre
una panoramica completa sulle ricerche sindonologiche dal 1500 ad oggi.
Si è trattato, sostanzialmente, di un intervento di natura conservativa, al fine di rendere
omogenea la lettura delle facciate della Chiesa e dell’edificio confinante. La chiesa del Santo
Sudario era nata infatti come cappella interna all’Ospedale dei Pazzerelli, per concessione
di Vittorio Amedeo II. La realizzazione dell’edificio data dal 1734, su progetto dell’ingegnere
Mazzone; la decorazione era affidata al quadraturista veneziano Pietro Alzeri, mentre la pala
dell’altare è opera di Michele Antonio Milocco.
Nel 1764 il re concedeva il permesso di aprire la chiesa al pubblico, e in quell’occasione
veniva costruito il campanile e sostituito l’altare maggiore. Superato il periodo napoleonico,
la chiesa veniva restaurata e riaperta al pubblico nel 1821, mentre altri restauri la avrebbero
interessata nel 1895.
L’intervento di restauro conservativo realizzato dalla Consulta, ha riguardato le facciate
della Chiesa e del Museo. Preliminarmente sono state effettuate analisi stratigrafiche molto
accurate sia sugli intonaci che sugli apparati decorativi.
Tali analisi hanno messo in luce diverse stratificazioni di colore, dovute ad interventi
successivi, mentre la stesura originale, che pure emergeva in zone molto estese, si presentava
in condizioni degradate e particolarmente frammentarie.
Per rendere omogenea la lettura delle facciate, la Soprintendenza competente
MUSEOSINDONOLOGICOGIOVANNI BATTISTA
DELLA ROVERE,
SEPOLTURA DI CRISTO,
1625 CA.
204 un’Avventura TORINESE
al di sotto della Cappella del Castello di Santena, una piccola
cripta mortuaria, che venne successivamente ampliata, dopo
la morte di Camillo.
Questi, infatti, aveva voluto per testamento essere
sepolto a Santena, accanto al nipote Augusto e agli altri
famigliari: oltre ai Benso di Cavour, i Clermont - Tonnerre,
i Sellon, i Sales.
Per rispettare la volontà di Camillo, il fratello
Augusto dovette rifiutare la sepoltura “di stato” che Vittorio
Emanuele II voleva fosse celebrata nella Basilica di Superga.
Nel 1911, in occasione del cinquantenario della morte
dello statista e della proclamazione del Regno d’Italia,
la tomba venne dichiarata “monumento nazionale”.
12. nel segno della tradizione 205
SANTENACAPPELLA CAVOUR
FACCIATA,
XIX SECOLO
e l’Ufficio del Colore della Città di Torino hanno deciso che si procedesse con la stesura
di intonaci a calce basati su una bicromia rosa-beige, che bene legava con il colore azzurro
del palazzo storico con cui la chiesa confina. A coronamento dell’intervento, una piccola
sorpresa. Durante la fase di pulitura della facciata principale, al di sopra del timpano è emerso
un bassorilievo in stucco - del quale, per essere stato ricoperto da strati di intonaco, si era persa
la memoria - raffigurante la Santa Sindone, in perfetto stato di conservazione.
Non poteva esserci viatico migliore per l’imminente Ostensione.
L’intervento si concludeva, poi, con la consegna alla Confraternita del Santo Sudario
di una miniatura ad olio su seta, firmata Giovanni Battista della Rovere e databile al 1625
raffigurante la Sepoltura di Cristo e tre angeli sorreggono la Santa Sindone.
La miniatura in questione, acquistata dalla Consulta per arricchire le collezioni
del Museo, apparteneva alla serie dei “ritratti del Santo Sudario miniati” fatti realizzare
dal Duca Carlo Emanuele I. La corte sabauda era infatti molto attenta alla diffusione capillare
del grande tema della morte e resurrezione
di Cristo che trovava nella Sindone
l’espressione più efficace.
Di qui la realizzazione di numerose
rappresentazioni, realizzate con precisione
e raffinatezza nello stile tardo cinquecentesco.
Grazie alla Consulta, il Museo della Sindone
veniva così ad arricchirsi di un documento
storico di notevole importanza.
L’intervento successivo - l’ultimo,
in ordine di tempo - s’inserisce anch’esso
nel filone tradizionale dei restauri di edifici
e riguarda la Cappella funeraria dei Benso
di Cavour, le cui vicende sono intimamente
legate con la storia italiana del XIX secolo.
La tomba in questione venne infatti
edificata dopo la restaurazione.
Originariamente, infatti, il sepolcro
della famiglia Benso era a Chieri, nella Chiesa
di San Francesco.
Quando questa, sotto il governo
francese, venne distrutta, si provvide a costruire,
SANTENACAPPELLA CAVOURPARTICOLARI DELL’INTERNO,
XIX SECOLO
Avvicinandosi il centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia, era naturale che
anche la tomba di colui che è conosciuto come il “tessitore” ed è considerato fra i principali -
se non il principale in assoluto - artefici del Risorgimento, fosse oggetto di particolari attenzioni,
tanto più necessarie in quanto l’ultimo intervento di consolidamento del complesso funerario
risaliva al 1932.
Il tempo trascorso, e soprattutto gli agenti atmosferici, avevano procurato numerosi
danni, sintetizzabili sostanzialmente nella presenza di umidità diffusa, estesa su quasi tutte le
superfici esterne ed interne, provocata sia da fenomeni di risalita capillare, sia da infiltrazioni
provenienti dalla cappella sovrastante, esposta all’aggressione delle acque meteoriche per
l’inefficiente sistema di smaltimento del tetto.
Le conseguenze di questa situazione sulla struttura erano drammaticamente evidenti:
fessurazioni, macchie, erosioni, rigonfiamenti, esfoliazioni, distacchi di porzioni di pietra
e dell’intonaco, deformazioni.
Da mettere in conto, inoltre, colature al di sotto e di fianco ad alcune lapidi, attacchi
biologici, depositi superficiali. Fenomeni analoghi, cui andava aggiunto anche un pesante
degrado dei serramenti lignei, erano riscontrabili anche all’esterno della Cappella.
In conclusione, uno stato di abbandono e di incuria non più tollerabile
nel momento in cui tutto il Paese si accingeva a celebrare il centocinquantesimo anniversario
dell’Unità d’Italia e che - ove fosse rimasto - avrebbe di fatto impedito l’accesso ad uno
dei luoghi-simbolo del processo unitario.
La Consulta, che aveva iniziato l’attività nel 1987 occupandosi di un altro luogo
dell’unificazione nazionale - l’Aula del Parlamento Subalpino - e che anche in seguito
era ripetutamente intervenuta nella stessa direzione con il restauro, sempre in Palazzo
Carignano, dell’Aula del Parlamento Italiano e della Facciata Ottocentesca, non poteva
ovviamente mantenersi estranea ad un intervento di così grande significato come quello
sulla tomba di Cavour.
L’intervento, particolarmente delicato, ha inteso non soltanto rimuovere tutti
gli inconvenienti provocati dall’umidità, ma, per evitare o almeno limitare la possibilità che tali
inconvenienti abbiano a presentarsi ancora in futuro, ha realizzato anche un intervento
di bonifica del terreno dell’area circostante la tomba mediante la formazione alla base dell’edificio
di condotte di aerazione che consentano l’evaporazione dell’acqua di risalita capillare.
Al tempo stesso, la sistemazione di gronde e tubazioni più efficienti dovrebbe evitare
ogni tipo di infiltrazione dall’alto. Il 6 giugno, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano,
inaugurando le celebrazioni per il centocinquantesimo anniversario, rendeva omaggio
all’illustre statista nella tomba restaurata.
206 un’Avventura TORINESE 13. continuità nella diversità 207
13. CONTINUITÀ NELLA DIVERSITÀ
Restauri, progetti, interventi di valorizzazione, mostre, monumenti, arazzi,
materiali in laterizio, in pietra, in ferro, in legno, in pergamena, recupero dell’identità
storica e del paesaggio, monumenti del passato ed opere contemporanee. In quasi
un quarto di secolo di attività la Consulta ha dimostrato una invidiabile capacità
di adattamento, grazie alla quale ha potuto esplorare sempre nuovi territori, senza venire
meno alla vocazione originaria, alla “mission” quale è indicata nella denominazione
ufficiale del sodalizio: la “valorizzazione dei beni artistici e culturali di Torino”.
Già, Torino. L’ambito territoriale entro il quale è circoscritta l’attività della Consulta
è una delle ragioni del suo successo: gli enti e le imprese che ne fanno parte sono infatti ben radicati
nel territorio cittadino, lo conoscono sin nelle più minute pieghe, sono perfettamente in grado
di valutarne punti di forza e di debolezza, e va indubbiamente iscritto a loro merito il fatto di aver
puntato sulla promozione dei beni artistici della Città, anziché su altre espressioni della vita sociale
e cittadina. Anche lo sport e lo spettacolo sono attività meritevoli di attenzione, alle quali
non sarebbe improprio dedicare maggiori risorse. La Consulta si è dedicata, invece, all’arte,
scegliendo all’interno di questo grande contenitore, soprattutto quegli aspetti che il pubblico
maggiormente percepisce come “torinesi”: le Chiese di San Carlo e Santa Cristina, Palazzo
PALAZZO CIVICOSALA ROSSACERIMONIA
DI CONSEGNA
DELLA TARGA RICORDO
DA PARTE
DEL SINDACO DI TORINO
AI SOCI DELLA CONSULTA,
MAGGIO 2007
13. continuità nella diversità 209208 un’Avventura TORINESE
torinese, basterà ricordare il recupero alla piena fruizione, dopo lunghi periodi di incuria, se non
di vero e proprio abbandono, di monumenti quali la Villa della Regina e la Reggia di Venaria.
Oggi, la lente del pendolo pare essere ritornata ai primi anni ottanta, perché, se anche
l’attenzione sui problemi dei beni artistici rimane desta, sono nuovamente carenti le risorse.
La crisi che ha investito le economie occidentali, costringendo i governi ad adottare rigide politiche
di austerità non consente di effettuare previsioni favorevoli. Ma c’è anche qualcosa di più, perché
la similitudine fra ieri e oggi va anche oltre il dato puramente economico della carenza di risorse.
Se allora a lanciare il sasso nello stagno era stato l’Herald Tribune denunciando il disinteresse
della pubblica autorità verso i tesori conservati nei musei torinesi (si faceva il caso del Ritratto
d’Ignoto di Antonello da Messina), adesso - luglio 2010 - è la volta del New York Times a denunciare
la trascuratezza dell’amministrazione capitolina per i monumenti antichi di Roma, a fronte invece
di un notevole attivismo nei riguardi dell’arte moderna. Si tratta di critiche forse eccessive e, per molti
versi ingenerose, che però portano a ritenere che le risorse per la salvaguardia e la valorizzazione
dei beni artistici e culturali continueranno, almeno nell’arco di tempo prevedibile, a mantenersi
desolantemente scarse. In questa situazione ritorna d’attualità l’interrogativo che già ci si poneva
negli anni ottanta. A riproporlo è Angelo Panebianco, il quale in un articolo comparso sul “Corriere
della Sera” del 5 luglio 2010 si chiede se, a fronte dei “tagli” che le amministrazioni, ad ogni livello,
sono necessitate a compiere, “le borghesie cittadine, imprenditori in testa, non dovrebbero [...]
mobilitarsi per subentrate, in tutto o in parte, a Stato, regioni, comuni? Ci fu un tempo in cui
il mecenatismo privato fece ricca la vita culturale delle città italiane”.
È una domanda alla quale la Consulta, come del resto altre istituzioni - banche, industrie,
assicurazioni - ciascuna nell’ambito delle proprie disponibilità ha continuato, e continuerà, a dare
risposta, come del resto riconosce lo stesso Panebianco: “Il mecenatismo privato, naturalmente,
qua e là, esiste ancora. Ci sono aziende, alcune di rilievo nazionale, che lo praticano con generosità.
E ci sono, nelle città, privati che danno contributi per le attività culturali”.
Fra questi, la Consulta spicca per l’unicità della sua esperienza, che la porterà ad essere
ancora protagonista della politica di valorizzazione del patrimonio torinese. Tanto che le prossime
tappe del percorso che ha preso le mosse più di venticinque anni or sono con il restauro dell’Aula
del Parlamento Subalpino, sono già state individuate. Consulta ha appena concluso il restauro del
Gabinetto Cinese del secondo piano di Palazzo Reale e in prospettiva sta avviando il restauro
della Peota, la sontuosa barca da cerimonia commissionata da Carlo Emanuele III all’Arsenale
di Venezia e giunta a Torino al termine di un viaggio difficoltoso attraverso mille peripezie. Queste
iniziative dimostrano la volontà di Consulta di continuare ad essere presente su grandi temi nei luoghi
simbolo della cultura artistica torinese come la Galleria Sabauda, la Palazzina di Caccia di Stupinigi,
la Pinacoteca dell’Accademia Albertina e la Galleria d’Arte Moderna. Insomma, l’avventura continua...
Carignano, per fare qualche esempio, ma anche le Ceramiche Lenci sono percepite come un bene
caratteristico della Città. Lo testimoniano gli oltre centomila visitatori della mostra ad esse dedicata.
Insomma, la Consulta come risorsa per la Città, un valore da preservare per Torino. Caratteristiche,
queste, ben comprese dall’Amministrazione cittadina, che in occasione del ventennale
di costituzione del sodalizio, ha voluto conferire per mano del Sindaco, una targa ricordo ad ogni
singolo Socio. Non bisogna però dimenticare che gli enti e le imprese che hanno dato vita alla
Consulta sono in primo luogo soggetti economici, abituati a valutare ogni loro intervento in termini
di costi e benefici, anche quando il vantaggio che ci si ripromette è per sua natura immateriale,
difficilmente quantificabile con parametri economici. Nel caso in esame, a spingere i Soci Consulta
a programmare sempre nuovi interventi vi è non soltanto un senso di responsabilità sociale verso
il territorio, ma anche la convinzione che la valorizzazione del patrimonio artistico rappresenti,
per quanti vi dedicano risorse, un buon affare. In tempi di globalizzazione, l’arte conferisce valore
aggiunto alle capacità tecniche e progettuali delle imprese operanti sui mercati esteri.
Le aziende in questione dispongono certamente di un know how di tutto rispetto;
ma al tempo stesso provengono da un territorio che conserva l’Autoritratto di Leonardo alla
Biblioteca Reale: un unicum, conosciuto in tutto il mondo perché spesso utilizzato a fini pubblicitari,
alla cui fruizione esse hanno partecipato direttamente. O, per altro verso, hanno sede in una Città
che conserva la Sindone, uno degli oggetti più venerati e studiati al mondo, indipendentemente
dalle convinzioni religiose delle persone. Ed anche in questo caso Consulta ha contribuito
a valorizzarne la conoscenza. L’arte come biglietto da visita delle imprese. Indubbiamente all’inizio
l’attività di Consulta è stata favorita dal degrado in cui versava il patrimonio artistico torinese,
conseguente se non al disinteresse per questo bene, alla necessità di far fronte ad altre priorità.
In questo caso, la sostituzione da parte di privati, di incombenze che sarebbero spettate
alla mano pubblica, è stata favorita dall’introduzione di un trattamento fiscale più favorevole,
anche se non (ancora) completamente soddisfacente.
Poi la situazione si è gradualmente modificata, gli enti pubblici competenti hanno
progressivamente dimostrato un maggiore attivismo, convogliando su questo settore una maggiore
disponibilità di risorse. Sono stati effettuati interventi importanti: e, per quanto riguarda l’area
PALAZZODELL’UNIVERSITÀ
CONCERTO
INAUGURALE,
2000
INUGURAZIONE
DEL MONUMENTO
A VITTORIO
EMANUELE II,
2001
1987-2010 gli interventi della consulta 211
Gli aspetti più significativi delle politiche generali adottate dalla Consulta nella scelta degli interventi sono
stati precedentemente delineati, perciò questo contributo vuole fornire solo alcune informazioni aggiuntive
sui processi che hanno portato alle decisioni e sui contributi di tutti gli enti e professionalità coinvolti nell’organizzare
le varie realizzazioni.
La scelta del primo intervento di recupero del patrimonio storico-artistico con cui la Consulta
si è presentata alla Città è stata guidata soprattutto da un aspetto di carattere simbolico, considerando che l’Aula
del Parlamento Subalpino rappresenta l’espressione concreta dell’attività del governo sabaudo che portò Torino
a guidare la realizzazione dell’Unità nazionale.
Questo spazio architettonico, fulcro della composizione guariniana in Palazzo Carignano, contraddistinto
oltre che da valori simbolici da evidenti qualità artistiche, necessitava di opere che consentissero nuovamente
al pubblico l’accesso in sicurezza e la fruizione di una così rilevante testimonianza di storia e di arte, pericolosamente
compromessa da un degrado crescente. La realizzazione di questo primo progetto ha consentito di costituire
un modello organizzativo che sarebbe poi stato esteso, con i dovuti adeguamenti suggeriti dalle esperienze, a tutti
gli interessi successivi.
La Consulta ha deciso di mettere a disposizione della Città, oltre alle necessarie risorse economiche, anche
le proprie competenze manageriali, contribuendo ad accelerare un costruttivo rapporto tra la proprietà del bene,
le istituzioni pubbliche (Stato, Regione, Provincia, Comune) le Soprintendenze preposte alla tutela, gli storici dell’arte,
i progettisti ingegneri e architetti, le maestranze impegnate nelle varie tipologie di restauro e in generale tutte
le professionalità coinvolte nei progetti di recupero del patrimonio culturale.
Il tutto in un quadro di certezza e rapidità di esecuzione, di controllo di tempi, di costi e di qualità che
ha contraddistinto anche gli interventi successivi. Il lavoro svolto nell’Aula è stato poi raccolto in un agile volume
a stampa, quale contributo alla divulgazione delle esperienze scientifiche acquisite durante i lavori, così come
è avvenuto a conclusione delle principali altre realizzazioni della Consulta. Il modello prevedeva infine, e prevede
tuttora, un’occasione inaugurale di presentazione al pubblico, agli esperti e alla stampa, con il sostegno di documentazione
fotografica e video, allietata a volte da un concerto e un rinfresco per gli invitati. Gli interventi dei primi anni tra
il 1989 e il 1993 sono stati contraddistinti soprattutto dall’esigenza di riportare allo stato originario le facciate
di alcuni tra i più rilevanti monumenti cittadini che per molte e diverse ragioni avevano perso la leggibilità dei partiti
architettonici ed erano a rischio di conservazione per il degrado causato dal tempo e dagli agenti atmosferici.
La facciata dell’Archivio di Stato e le chiese di San Carlo, di Santa Cristina e di San Filippo sono
pertanto diventati laboratori di restauro per le componenti strutturali e decorative esterne degli edifici,
in questo senso il citato approccio interdisciplinare ha consentito la definizione dei più adeguati modelli
di restauro e l’impiego di tecnologie innovative di consolidamento e conservazione.
Più recentemente anche la facciata orientale di Palazzo Reale, quella della Promotrice delle Belle Arti
al Valentino e quella ottocentesca di Palazzo Carignano, in collaborazione con le Soprintendenze competenti, hanno
beneficiato di interventi di restauro conservativo a opera della Consulta. Queste realizzazioni possono essere
inquadrate nel filone “restauri del patrimonio architettonico”, dove la valenza principale è stata, al di là dell’ovvia
necessità di conservazione dei singoli monumenti, soprattutto relativa al miglioramento dell’immagine
complessiva della città nei suoi nodi urbanistici più significativi. Negli interventi successivi, a partire dalla metà
1987-2010Gli interventi della Consultaa cura di Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri
210 un’Avventura TORINESE
212 un’Avventura TORINESE 1987-2010 gli interventi della consulta 213
degli anni Novanta, si sono venuti precisando nuovi filoni tematici. L’attenzione si è infatti spostata dalla pura
conservazione all’arricchimento del patrimonio artistico e storico, da un lato, nonché alla valorizzazione di “luoghi”
cittadini emblematici, da un altro lato.
Si è inteso in tal modo privilegiare progetti strettamente collegati alle caratteristiche di eccellenza
di Torino, utilizzando la credibilità acquisita dalla Consulta con i primi lavori per contribuire più incisivamente
al potenziamento dell’offerta di attrattive culturali e turistiche per la Città.
Nel filone “arricchimento del patrimonio artistico e storico” si collocano la nuova Cancellata del Teatro
Regio, la ristrutturazione e la riapertura della Pinacoteca dell’Accademia Albertina, la valorizzazione della Biblioteca
Reale con la realizzazione della nuova Sala Leonardo finalizzata all’esposizione delle preziose raccolte. Questa
tendenza era già stata anticipata con la decisione di restaurare alcuni dipinti che ornano la sala da pranzo
del Castello Cavour di Santena. In queste occasioni il modello di intervento di cui si è fatto cenno all’inizio
si è allargato anche alle problematiche di tipo gestionale, in accordo con la Regione Piemonte, per assicurare
la fruizione di importanti collezioni d’arte, scarsamente o per nulla accessibili al pubblico torinese e ai turisti in visita
alla Città.
La Cancellata del Teatro Regio ha costituito sì una valida protezione di uno spazio cittadino molto
gradevole purtroppo soggetto a un uso improprio, ma ha soprattutto arricchito la Città con una grande
e complessa opera dell’ingegno di un illustre artista, Umberto Mastroianni.
Per quanto attiene all’intervento sulla Cancellata palagiana che delimita la piazzetta antistante il Palazzo
Reale si è trattato sia di un restauro conservativo per quanto riguarda la stabilità di un manufatto di ghisa
particolarmente degradato, sia della restituzione all’originario splendore di un manufatto contraddistinto
da rilevante valore artistico.
Al tema della “valorizzazione di luoghi emblematici” si possono ricondurre il recupero architettonico
dell’Aula del Parlamento Italiano che è diventato luogo d’eccellenza per importanti manifestazioni cittadine,
la messa in sicurezza e la visibilità ricorrente delle collezioni della Biblioteca Reale, il recupero del cortile,
del loggiato e degli scaloni del prestigioso Palazzo dell’Università aperto allo svolgimento di significativi eventi culturali
dell’ente, il restauro delle statue del Po e della Dora in piazza CLN dove, con la collaborazione del Comune
di Torino, si è potuto restituire alla Città anche la frescura e il suono delle cascate d’acqua da tempo dimenticate.
Non si è quindi trattato in questi casi soltanto di provvedere a restauri sugli edifici e sulle opere d’arte, ma da un lato
di valorizzare intere collezioni e dall’altro lato di mettere in grande risalto quegli spazi in cui la Città e le istituzioni
possono organizzare significativi eventi di portata internazionale.
Qualunque sia la finalità che ha ispirato la scelta degli interventi di valorizzazione dei beni artistici
e culturali di Torino, certamente la Consulta ha cercato di rimanere coerente e fedele a un modello di azione che
si è sempre ispirato ai criteri di utilità cittadina, rilevanza architettonica e artistica, rapidità esecutiva, efficienza
gestionale e certezza del risultato, ritorno di immagine per le aziende, sinergie tra realtà pubblica e privata, proficuo
rapporto con le istituzioni e gli organi di tutela, impulso alla ricerca e divulgazione scientifica, sviluppo di capacità
imprenditoriali e di competenze artigiane, coinvolgimento di professionalità intellettuali e consulenze tecniche.
L’AULA DEL PARLAMENTO SUBALPINO IN PALAZZO CARIGNANO
Un particolare ringraziamento a: imprese, restauratori, professionisti e tecnici per gli interventi realizzati.
CRONOLOGIA: 1679: inizio della costruzione di Palazzo Carignano, progettato da Guarino Guarini.
1681-1682: sono documentati i lavori per la copertura del corpo centrale.
1775: in occasione delle nozze di Carlo Emanuele IV con Maria Clotilde di Francia, la sala ellittica viene destinata a salone da ballo,
su progetto di Filippo Giovanni Battista Nicolis di Robilant, con la collaborazione dei Galliari per gli affreschi della volta.
1799: il Palazzo diventa sede della Prefettura e del Dipartimento del Po; nel 1831 Carlo Alberto, diventato re di Sardegna,
lo cede al Demanio che lo destina a Direzione Generale delle Poste.
1848-1860: la sala guariniana è trasformata in Aula del Parlamento Subalpino. Il progetto è affidato a Carlo Sada e ad Ernst Melano;
le opere pittoriche sono affidate a Francesco Gonin, Angelo Capisani, Angelo Moja e Giovanni Rusca, le opere
in muratura a Bartolomeo Pezzi, Luigi Piola e Pietro Ferraris, le decorazioni in stucco a Diego Marielloni, le tappezzerie
a Giuseppe Trivella, mentre l’apparato dei seggi viene affidato all’ebanista del re, Gabriele Capello detto il Moncalvo.
1935-1937: revisione strutturale e primo parziale restauro in occasione della Mostra del Barocco del 1937.
1948: lavori in occasione del centenario dello Statuto.
1961: interventi di manutenzione in occasione delle celebrazioni per il centenario dell’Unità d’Italia.
INTERVENTO DELLA CONSULTA 1987-1988:Completo restauro conservativo realizzato dalla Consulta, diretto da Clara Palmas, Soprintendente per i Beni Ambientali
e Architettonici del Piemonte e da Carla Enrica Spantigati, Soprintendenza Beni Artistici e Storici del Piemonte.
Coordinamento dei restauri e del progetto di illuminazione: Bartolomeo Aimar
Ponteggi: C.V.B., Torino con i calcoli eseguiti da Mimmo Chissotti e Guido Morgante
Impianto elettrico: Angelo Franzosi, responsabile Sergio Cortellini
Restauratori: Guido Nicola, Anna Rosa e Nicola Pisano (apparato decorativo); Dino Aghetta e Renato Bulgarelli (apparato ligneo); Laura
Chiotasso (tessuti); Domenico Collura (lampadari a muro, orologio e datario)
Gestione amministrativa: Francesco Malaguzzi, Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti
Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno
In occasione del restauro, è stato pubblicato il volume: Il Parlamento Subalpino in Palazzo Carignano. Strutture e restauro, Torino 1988.
LA CONSULTA: SOCI: Cassa di Risparmio di Torino, Fiat, Gruppo Gft, Ilte, Martini & Rossi, Recchi Costruzioni Generali, Skf Industrie,
Sai - Società Assicuratrice Industriale, Sei - Società Editrice Internazionale, Toro Assicurazioni, Unione Industriale di Torino, Utet.
COMITATO DIRETTIVO: presidente Aimone di Seyssel d’Aix (Martini & Rossi), Roberto Balma (Gruppo Gft), Sergio Finesso (Sai), Luciano
Lenotti (Skf), Giovanni Merlini (Utet), Lodovico Passerin d’Entrèves (Toro Assicurazioni), Mario Verdun di Cantogno (Fiat), tesoriere Giovanni
Ciarlo (Cassa di Risparmio di Torino) e segretario Renato Ricci (Unione Industriale di Torino).
LA FACCIATA JUVARRIANADELL’ARCHIVIO DI STATO
LA FACCIATA E IL CAMPANILE DELLA CHIESA DI SAN CARLO
214 un’Avventura TORINESE 1987-2010 gli interventi della consulta 215
CRONOLOGIA: 1730-1731: realizzazione del nuovo edificio per l’Archivio di Corte, progettato da Filippo Juvarra, inserito nel grandioso piano urbanistico
di Carlo e Amedeo di Castellamonte. Le strutture edilizie sono affidate a Pietro Filippo Somasso e Giuseppe Viseti; la fornitura
dei cantonali e delle lose è richiesta a Giovanni Battista Darbesio di Avigliana. La complessa struttura lignea del tetto è costruita
da Domenico Cantone, Bartolomeo Mossino e Domenico Pezzi; porte, finestre, chiassili, poggioli e ringhiere di ferro sono
realizzati da Giacomo Panavallo, Bartolomeo Badarello e Giovanni Battista Faciolo.
1734: trasferimento dei Regi Archivi nella nuova sede juvarriana.
1981-1993: totale ristrutturazione dell’edificio.
INTERVENTO DELLA CONSULTA 1988-1989:La facciata juvarriana viene restaurata dalla Consulta sotto l’alta sorveglianza di Clara Palmas, Soprintendente Beni Ambientali e Architettonici
del Piemonte, con la direzione lavori di Roberto Pagliero e Stefano Trucco.
Impresa: Zoppoli & Pulcher Costruzioni Generali
Fotografie: Paolo Robino; Foto Chomon
Progettazione grafica: Studio Bocchio e Palmieri
Allestimento mostra: Mostre & Fiere
Gestione amministrativa: Francesco Malaguzzi, Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti
Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri
In occasione del restauro è stata organizzata l’esposizione “Il Tesoro del Principe. Titoli, carte e memorie per il governo
dello Stato”, allestita da Roberto Pagliero e Stefano Trucco; relativo catalogo curato da Marco Carassi, Angela Griseri, Isabella Massabò Ricci,
Elisa Mongiano
LA CONSULTA: SOCI: Cartiere Burgo, Cassa di Risparmio di Torino, Fiat, Fornara, Gruppo Gft, Ilte, Istituto Bancario San Paolo di Torino, Lavazza,
Martini & Rossi, Recchi Costruzioni Generali, Sai-Società Assicuratrice Industriale, Sei-Società Editrice Internazionale, Skf Industrie,
Toro Assicurazioni, Unione Industriale di Torino, Utet.
COMITATO DIRETTIVO: presidente Aimone di Seyssel d’Aix (Martini & Rossi), Roberto Balma (Gruppo Gft), Sergio Finesso (Sai),
Luciano Lenotti (Skf), Giovanni Merlini (Utet), Lodovico Passerin d’Entrèves (Toro Assicurazioni), Mario Verdun di Cantogno (Fiat),
tesoriere Giovanni Ciarlo (Cassa di Risparmio di Torino), segretario Renato Ricci (Unione Industriale di Torino), consulente storico-artistica
Angela Griseri.
CRONOLOGIA: 1619: inizio della costruzione della chiesa, con annesso il convento degli Agostiniani, su progetto di Maurizio Valperga.
Nel corso del XVII secolo, proseguono i lavori per le cappelle, dedicate a committenti illustri come i Turinetti, i Bruco e i Broglia.
Per la direzione dei lavori e per l’altare maggiore era stato richiesto Amedeo di Castellamonte, e con lui erano attivi Bernardino
Quadri e Tommaso Carlone per l’apparato grandioso degli stucchi.
Tra i dipinti più significativi: San Carlo che visita a Vercelli il duca Carlo Emanuele e San Carlo accolto dai duchi
di Savoia, opera di Giovanni Paolo Recchi; San Giuseppe che colpisce con un dardo sant’Agostino, di Charles Claude Dauphin
e, per l’altare maggiore, San Carlo che visita la Sindone, di Giacomo e Giovanni Andrea Casella.
1834: decisivo per la facciata, rimasta incompiuta, l’intervento di Ferdinando Caronesi di raffinato gusto neoclassico evidente anche
nel bassorilievo e nelle statue realizzate da Stefano Butti.
1837: la chiesa passa all’Ordine dei Servi di Maria.
1862: primi interventi di restauro.
1863: lavori di ingrandimento per l’interno su progetto di Carlo Ceppi; a questi stessi anni sono databili gli affreschi di Rodolfo
Morgari.
1935-1937: seguono altri interventi di restauro in parallelo alla realizzazione della nuova via Roma, realizzata da Giuseppe Momo
e Marcello Piacentini.
1974: pulitura della facciata.
INTERVENTO DELLA CONSULTA 1989-1990:Restauro della facciata principale e del campanile, diretto da Franco Ormezzano, Soprintendenza Beni Ambientali e Architettonici,
e per la direzione storico-artistica di Michela di Macco, Soprintendenza Beni Artistici e Storici del Piemonte.
Impresa: Gastone Guerrini Costruzioni Generali
Rilievi: Giovanni Pierro
Opere di restauro: Laboratorio Rava
Opere in ghisa, realizzazione telo con illuminazione: Gruppo Bodino
Progettazione grafica: Studio Bocchio e Palmieri
Fotografie: Bruna Biamino
Gestione amministrativa: Francesco Malaguzzi, Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti
Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri
In occasione del restauro è stata pubblicata la brochure Sui tetti e oltre per Torino
Nel 2006 la Consulta ha realizzato la manutenzione straordinaria della facciata.
LA CONSULTA: SOCI: Cartiere Burgo, Cassa di Risparmio di Torino, Fiat, Fornara, Gruppo Gft, Ilte, Istituto Bancario San Paolo di Torino, Lavazza, Martini
& Rossi, Recchi Costruzioni Generali, Sai-Società Assicuratrice Industriale, Sei-Società Editrice Internazionale, Skf Industrie, Toro Assicurazioni,
Unione Industriale di Torino, Utet.
COMITATO DIRETTIVO: presidente Giovanni Merlini (Utet), Roberto Balma (Gruppo Gft), Aimone di Seyssel d’Aix (Martini & Rossi),
Sergio Finesso (Sai), Luciano Lenotti (Skf), Lodovico Passerin d’Entrèves (Toro Assicurazioni), Mario Verdun di Cantogno (Fiat), tesoriere
Giovanni Ciarlo (Cassa di Risparmio di Torino), segretario Renato Ricci (Unione Industriale di Torino), consulente storico-artistica Angela Griseri.
LA FACCIATA DELLA CHIESA DI SANTA CRISTINA
1987-2010 gli interventi della consulta 217216 un’Avventura TORINESE
LE DODICI TELE DEL CASTELLO CAVOUR DI SANTENA
CRONOLOGIA: 1639: inaugurazione della chiesa, voluta dalla duchessa Cristina di Francia, affidata alle Carmelitane Scalze. Progetto di Carlo
di Castellamonte.
1653: Carlo di Castellamonte informa la duchessa della costruzione della “muraglia verso la piazza, che formerà parte
della facciata”.
1715-1718: Maria Giovanna Battista di Savoia Nemours affida a Filippo Juvarra l’incarico per la nuova facciata, arricchita con le statue realizzate
da Carlo Antonio Tantardini per i Santi Francesco di Sales, Agostino e Maurizio e le due Allegorie delle virtù cardinali e teologali.
Le statue della Santa Teresa e Santa Cristina sono richieste al parigino Pierre Legros: queste due statue non saranno
mai collocate in facciata, ma trasferite nel Duomo di Torino; al loro posto saranno sistemate altre, realizzate nel 1737
da Giuseppe Nicola Casana in marmo bianco di Frabosa.
1819: Vittorio Emanuele I incarica Ferdinando Bonsignore di procedere ad alcuni lavori all’interno.
1840: la chiesa passa all’Ordine dei Servi di Maria, sostituiti nel 1844 dalla Pia Unione del Sacro Cuore di Maria, ente morale fondato
da Carlo Alberto.
1935-1937: parti della chiesa e del convento vengono demolite durante il rifacimento di via Roma.
1960-1970: alcuni interventi di ripristino realizzati con integrazioni a cemento.
INTERVENTO DELLA CONSULTA 1990-1991:Restauro conservativo della facciata, sotto la direzione dei lavori di Franco Ormezzano, Soprintendenza Beni Ambientali e Architettonici
del Piemonte e di Emanuela Recchi, e la direzione storico-artistica di Michela di Macco, Soprintendenza Beni Artistici e Storici del Piemonte.
Impresa: Zoppoli & Pulcher Costruzioni Generali; direzione cantiere: Luigi Rocchia
Rilievi: Giovanni Pierro
Opere di restauro: Laboratorio Rava
Opere in legno: Aldo Zengiaro
Rinforzi strutturali in titanio: Ginatta Torino Titanium
Progettazione grafica: Gabriella Bocchio e Giulio Palmieri
Fotografie: Paolo Robino
Gestione amministrativa: Francesco Malaguzzi, Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti
Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri
In occasione del restauro è stata pubblicata la brochure La Chiesa di Santa Cristina. Relazione sull’intervento di restauro
LA CONSULTA: SOCI: Banca Brignone, Cartiere Burgo, Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Torino, Cassa di Risparmio
di Torino, Fiat, Fornara, Gruppo Garosci, Gruppo Gft, Ilte, Istituto Bancario San Paolo di Torino, Lavazza, Martini & Rossi, Recchi
Costruzioni Generali, Sai-Società Assicuratrice Industriale, Sei-Società Editrice Internazionale, Skf Industrie, Toro Assicurazioni, Unione
Industriale di Torino, Utet.
COMITATO DIRETTIVO: presidente Giovanni Merlini (Utet), Angelo Ascheri (Ilte), Aimone di Seyssel d’Aix (Martini & Rossi), Giuseppe
Lignana (Cartiere Burgo), Giannicola Pivano (Sei), Emanuela Recchi (Recchi Costruzioni Generali), tesoriere Giovanni Ciarlo (Cassa
di Risparmio di Torino), segretario Renato Ricci (Unione Industriale di Torino), consulente storico-artistica Angela Griseri.
COMMISSIONE COMUNICAZIONE: Lodovico Passerin d’Entrèves (Toro Assicurazioni).
COMMISSIONE TECNICA: Mario Verdun di Cantogno (Fiat).
CRONOLOGIA: 1712-1720: viene edificato il Palazzo Cavour, opera di Francesco Gallo.
1773: è documentato l’intervento di Ignazio Amedeo Galletti.
1774, 1776-1777: Giovanni Battista San Bartolomeo è documentato quale autore delle decorazioni a stucco del Salone.
1878-1879: altri lavori affidati allo studio di architettura e ingegneria di Amedeo Peyron e Melchior Pulciano.
1884: Giuseppina Benso di Cavour continua il generale rinnovamento decorativo dell’edificio; tra i lavori, significativo
il progetto di Francesco Cavalla per l’arredamento della Sala da pranzo dove vengono adattate entro specchiature le dodici
tele raffiguranti Animali in posa, realizzate da Angelo Maria Crivelli, detto il Crivellone, agli inizi del secolo XVIII
e da Giovanni Crivelli, detto il Crivellino, verso il 1730 circa.
1955: la marchesa Margherita Visconti Venosta istituisce la Fondazione Camillo Cavour, a seguito della donazione da parte
del marchese Giovanni Visconti Venosta di tutto il complesso di Santena alla Città di Torino.
1985-1986: è avviata la ristrutturazione complessiva del Castello, comprendente anche il parco monumentale, progettata e diretta
da Ippolito Calvi di Bergolo.
INTERVENTO DELLA CONSULTA 1992:Restauro e ricollocazione originaria delle dodici tele raffiguranti Animali in posa, con la direzione storico-artistica di Michela di Macco,
Soprintendenza Beni Artistici e Storici del Piemonte. Restauro eseguito dal Consorzio Arkè, Roma.
Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri.
LA CONSULTA: SOCI: Banca Brignone, Cartiere Burgo, Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Torino, Compagnia di San Paolo,
Fiat, Fondazione Crt, Fornara, Gruppo Garosci, Gruppo Gft, Ilte, Lavazza, Martini & Rossi, Recchi Costruzioni Generali, Sai-Società
Assicuratrice Industriale, Sei-Società Editrice Internazionale, Skf Industrie, Toro Assicurazioni, Unione Industriale di Torino, Utet.
COMITATO DIRETTIVO: presidente Giovanni Merlini (Utet), Angelo Ascheri (Ilte), Aimone di Seyssel d’Aix (Martini & Rossi), Giuseppe
Lignana (Cartiere Burgo), Giannicola Pivano (Sei), Emanuela Recchi (Recchi Costruzioni Generali), tesoriere Giovanni Ciarlo (Fondazione Crt),
segretario Renato Ricci (Unione Industriale), consulente storico-artistica Angela Griseri.
COMMISSIONE COMUNICAZIONE: Lodovico Passerin d’Entrèves (Toro Assicurazioni).
COMMISSIONE TECNICA: Mario Verdun di Cantogno (Fiat).
CHIESA DI SAN FILIPPO NERI
1987-2010 gli interventi della consulta 219218 un’Avventura TORINESE
ODISSEA MUSICALE: LA CANCELLATA DEL TEATRO REGIO
CRONOLOGIA: 1675: il duca Carlo Emanuele II lascia alla Congregazione dell’Ordine dei Filippini l’appezzamento di terreno per la costruzione
della grandiosa sede. Il progetto di Guarino Guarini è affidato ad Antonio Bettino, suo assistente.
1686-1703: si costruiscono la navata centrale, il presbiterio con l’altare maggiore e le sacrestie.
1703: la fabbrica risulta coperta e prosegue la costruzione della cupola.
1706: interruzione dei lavori dovuta all’Assedio di Torino da parte dei francesi.
1714: crollo della cupola e delle pareti, a esclusione del presbiterio e delle prime due cappelle.
1715: i Padri Filippini incaricano Filippo Juvarra della ricostruzione dell’edificio; i lavori riprendono nel 1732 per la facciata e il pronao,
con l’impiego della pietra di Brusasco e di quella di Gassino.
1735: sono messi in opera i medaglioni lapidei, sopra le porte laterali, realizzati da Giovanni Baratta.
1737: Giovanni Battista Sacchetti sostituisce Juvarra nella direzione del cantiere; a lui subentra Ignazio Baroni di Tavigliano.
1770: la volta e la copertura a capriate lignee vengono completate sotto la direzione di Michele Barberis.
1823: Giuseppe Maria Talucchi assume la direzione dei lavori per la chiesa, ancora incompiuta; nel 1854 si appone la cancellata
fra le colonne della facciata.
1891: Ernesto Camusso costruisce il timpano e le balaustrate laterali di coronamento.
1960-1965: le decorazioni in stucco del pronao sono rivestite da altro gesso.
INTERVENTO DELLA CONSULTA 1992-1993:Si decide di procedere a un intervento biennale; il primo lotto di lavori è incentrato sul restauro delle coperture e il secondo lotto
sul restauro della facciata e del pronao, compresi tutti gli apparati decorativi esterni.
Alta sorveglianza: Daniela Biancolini, Soprintendenza Beni Ambientali e Architettonici del Piemonte e Michela di Macco, Soprintendenza
Beni Artistici e Storici del Piemonte
Direzione lavori: Roberto Pagliero e Stefano Trucco
Impresa: Zoppoli & Pulcher Costruzioni Generali; direzione cantiere: Luigi Rocchia
Rilievi: Giovanni Pierro
Analisi mineralogiche e petrologiche: Giacomo Chiari, Università di Torino
Opere di restauro: Valentina Barbareschi e Gianguido Dragoni
Restauro portali: Aldo Zengiaro
Progettazione grafica: Gabriella Bocchio e Giulio Palmieri
Fotografie: Mariano Dallago
Gestione amministrativa: Francesco Malaguzzi, Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti
Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri
In occasione del restauro è stata ristampata e aggiornata la brochure Sui tetti e oltre per Torino.
LA CONSULTA: SOCI: Banca Brignone, Cartiere Burgo, Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Torino, Fiat, Fondazione
Crt, Fornara, Gruppo Garosci, Gruppo Gft, Ilte, Istituto Bancario San Paolo di Torino, Lavazza, Martini & Rossi, Recchi Costruzioni
Generali, Sai-Società Assicuratrice Industriale, Sei-Società Editrice Internazionale, Skf Industrie, Toro Assicurazioni, Unione Industriale
di Torino, Utet.
COMITATO DIRETTIVO: presidente Lodovico Passerin d’Entrèves (Toro Assicurazioni), Ascheri (Ilte), Giovanni Merlini (Utet), Giannicola
Pivano (Sei), Emanuela Recchi (Recchi Costruzioni Generali), Giovanni Roggero Fossati (Compagnia di San Paolo), Tullio Toledo
(Lavazza), tesoriere Giovanni Ciarlo (Fondazione Crt), segretario Renato Ricci (Unione Industriale), consulente storico-artistica Angela Griseri.
COMMISSIONE TECNICA: Mario Verdun di Cantogno (Fiat).
CRONOLOGIA: 1738: Carlo Emanuele III affida la costruzione del Teatro Regio a Benedetto Alfieri, conclusa nel 1740.
1936: un incendio distrugge completamente l’edificio; l’anno successivo viene indetto un concorso nazionale, vinto da Aldo Morbelli
e Robaldo Morozzo della Rocca; la ricostruzione del Teatro viene rimandata a causa delle vicende belliche.
1966: affidamento di un nuovo progetto a Carlo Mollino; il teatro veniva inaugurato nel 1973.
INTERVENTO DELLA CONSULTA 1993-1994:Per salvaguardare l’“Atrio delle carrozze”, dedicato a Francesco Tamagno, si realizza la fusione in bronzo della nuova Cancellata, Odissea
Musicale, opera di Umberto Mastroianni, con la direzione dei lavori di Silvano Cova, Teatro Regio di Torino e di Lino Malara, Soprintendente
Beni Ambientali e Architettonici del Piemonte
Città di Torino: Antes Bortolotti, dirigente fabbricati per la cultura; Franco Pennella, ingegnere capo
Realizzazione delle cere: Laboratorio Anselmi, Roma
Fusioni in bronzo: Fonderia Fratelli Barberis, Torino
Coordinamento delle fusioni: Massimo Locci, Roma
Fotografie: Daniele Regis
Progettazione grafica: Gabriella Bocchio e Giulio Palmieri
Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri
In occasione del restauro è stato pubblicato il volume Mastroianni. Odissea musicale. La Cancellata scultorea di Umberto Mastroianni
per il Teatro Regio di Torino, Torino 1994.
LA CONSULTA: SOCI: Arthur Andersen, Axa Assicurazioni, Banca Brignone, Cartiere Burgo, Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Torino,
Compagnia di San Paolo, Fiat, Fondazione Crt, Gruppo Garosci, Ilte, Lavazza, Martini & Rossi, Recchi Costruzioni Generali, Sai-Società
Assicuratrice Industriale, Sei-Società Editrice Internazionale, Skf Industrie, Toro Assicurazioni, Unione Industriale di Torino, Utet.
COMITATO DIRETTIVO: presidente Lodovico Passerin d’Entrèves (Toro Assicurazioni), Angelo Ascheri (Ilte), Gianni Merlini (Utet),
Giannicola Pivano (Sei), Dario Disegni (Compagnia di San Paolo), Tullio Toledo (Lavazza), tesoriere Giovanni Ciarlo (Fondazione Crt),
segretario e consulente storico-artistica Angela Griseri.
COMMISSIONE COMUNICAZIONE: Luciano Lenotti (Skf Industrie)
COMMISSIONE FINANZIARIA: Giuseppe Lignana (Cartiere Burgo)
COMMISSIONE TECNICA: Mario Verdun di Cantogno (Fiat)
LA PINACOTECA DELL’ACCADEMIA ALBERTINA
1987-2010 gli interventi della consulta 221220 un’Avventura TORINESE
L’AULA DEL PARLAMENTO ITALIANOIN PALAZZO CARIGNANO
CRONOLOGIA: 1824-1829: l’arcivescovo casalese Vincenzo Maria Mossi di Morano dona la collezione di oltre duecento dipinti all’Accademia Albertina
per favorire “l’istruzione dei giovani inclinati alla bell’arte del disegno e della pittura”.
1832: Carlo Alberto dona la rarissima collezione dei sessanta cartoni e disegni cinquecenteschi, realizzati da Gaudenzio Ferrari
e dalla sua scuola; seguono altri lasciti e donazioni.
1933: Noemi Gabrielli, Soprintendente alle Gallerie del Piemonte, pubblica il fondamentale Inventario delle collezioni di pittura
e di scultura, purtroppo stipate in cinque sale e nei depositi e inizia il restauro programmatico delle opere, con specifici
interventi continuati fino a oggi.
1993-1994: Carlo Giuliano, direttore dell’Accademia, recupera gli spazi prima occupati dal liceo artistico, dando seguito allo spostamento
della Biblioteca storica e degli uffici.
INTERVENTO DELLA CONSULTA 1995-1996:Totale ristrutturazione e adeguamento museale della Pinacoteca: dalle iniziali cinque sale espositive si passa così a dodici sale,
che permettono di presentare le opere più significative, dai cosiddetti “primitivi” ai caravaggeschi, fino alle testimonianze dei più importanti
maestri e allievi dell’Accademia dell’Ottocento e del Novecento. Particolare attenzione è stata dedicata alla sala dei cartoni gaudenziani:
si è cercato di renderli integralmente consultabili grazie alla creazione, su una delle pareti, di supporti metallici scorrevoli. Il nuovo allestimento
è stato particolarmente meditato e seguito da Giovanna Galante Garrone, Soprintendenza Beni Artistici e Storici, con la direzione dei lavori
di Roberto Pagliero e Stefano Trucco; la Regione Piemonte si è fatta carico delle spese di gestione per l’apertura al pubblico della Pinacoteca
e continua, ancora oggi, a sostenere questa realtà museale
Impresa: Zoppoli & Pulcher Costruzioni Generali
Consulenza per il progetto illuminotecnico: Sergio Berno, Jeannot Cerutti
Impianto illuminazione: Pietranera Impianti Elettrici
Opere in metallo: Salgipa di Salvati & C.
Opere in legno: Boglione
Grafica e comunicazione: Gabriella Bocchio e Giulio Palmieri
Gestione amministrativa della Pinacoteca: Associazione Piemontese Arte
Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri
Nel 2005, la Consulta e la Compagnia di San Paolo hanno sponsorizzato la mostra “Bartolomeo Cavarozzi. Sacre Famiglie
a confronto”, curata da Daniele Sanguineti, Soprintendenza Patrimonio Storico Artistico del Piemonte.
LA CONSULTA: SOCI: Arthur Andersen, Axa Assicurazioni, Banca Brignone, Bicc Ceat Cavi, Cartiere Burgo, Camera di Commercio Industria Artigianato
e Agricoltura di Torino, Compagnia di San Paolo, Elah Dufour, Fiat, Fondazione Crt, Gruppo Garosci, Gruppo Gorla, Ilte, Italgas, Lavazza,
Martini & Rossi, Recchi Costruzioni Generali, Sai-Società Assicuratrice Industriale, Sei-Società Editrice Internazionale, Skf Industrie,
Toro Assicurazioni, Unione Industriale di Torino.
COMITATO DIRETTIVO: presidente Giuseppe Lignana (Cartiere Burgo), Marco Brignone (Banca Brignone), Bruno Cerrato (Camera
di Commercio), Luigi Garosci (Gruppo Garosci), Elio Giordano (Compagnia di San Paolo), Lodovico Passerin d’Entrèves (Toro Assicurazioni),
Tullio Toledo (Lavazza), tesoriere Giovanni Ciarlo (Fondazione Crt), segretario e consulente storico-artistica Angela Griseri.
COMMISSIONE COMUNICAZIONE: Luciano Lenotti (Skf Industrie).
COMMISSIONE FINANZIARIA: Angelo Ascheri (Ilte).
COMMISSIONE TECNICA: Emanuela Recchi (Recchi Costruzioni Generali), Mario Verdun di Cantogno (Fiat).
CRONOLOGIA: 1860-1865: Camillo Cavour affida ad Amedeo Peyron la realizzazione, nel cortile, di un’Aula provvisoria, mentre procedono i lavori
per quella definitiva, che avrebbe dovuto ospitare le sedute del Parlamento Italiano.
1864-1872: la Città di Torino incarica Domenico Ferri e Giuseppe Bollati di realizzare la parte ottocentesca di Palazzo Carignano.
1870: Francesco Gonin affresca la volta con il medaglione centrale dedicato a Le Deità che presiedono alle scienze e alla letteratura
inviano i loro Genii a premiare il Merito sulla Terra; nei gruppi angolari la Medicina, la Letteratura, la Matematica e la Giurisprudenza.
1871: l’Aula viene inaugurata ufficialmente con un banchetto per circa mille invitati, per festeggiare la conclusione dei lavori al traforo
del Frejus.
1876: trasferimento delle collezioni del Museo di Zoologia.
1937-1938: si destina il Palazzo a sede del Museo Nazionale del Risorgimento Italiano.
1961: in occasione delle celebrazioni per il centenario dell’Unità d’Italia, le pareti dell’Aula vengono ricoperte da una vernice
acrilica grigia.
1983: si esegue un pronto intervento, finalizzato al fissaggio degli intonaci e delle volte.
INTERVENTO DELLA CONSULTA 1996-1997:Il restauro conservativo riporta l’Aula al suo aspetto originario, e recupera le delicate cromie ottocentesche, con la direzione dei lavori
di Carla Enrica Spantigati, Soprintendenza Beni Artistici e Storici del Piemonte e di Valerio Corino, Soprintendenza Beni Ambientali
e Architettonici del Piemonte.
Progetto delle opere provvisionali: Lorenzo Buonomo
Rilievi: Andrea Megna
Impresa: Zoppoli & Pulcher Costruzioni Generali
Opere di restauro: Laboratorio Rava
Restauro bandiere: Cinzia Oliva
Progetto illuminotecnico: Sergio Berno
Impianti: Pietranera Impianti elettrici
Progettazione grafica comunicazione: Gabriella Bocchio e Giulio Palmieri
Progettazione grafica della mostra: Studio Mark di Paolo Bertolino
Allestimento mostra: Gruppo Bodino; Fotografie: Mariano Dallago
Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri
In occasione del restauro e dei dieci anni di attività, è stata realizzata una mostra fotografica sugli interventi realizzati dalla Consulta.
LA CONSULTA: SOCI: Arthur Andersen, Axa Assicurazioni, Banca Brignone, Bicc Ceat Cavi, Cartiere Burgo, Camera di Commercio Industria Artigianato
e Agricoltura di Torino, Compagnia di San Paolo, Elah Dufour, Fiat, Fondazione Crt, Gruppo Garosci, Gruppo Gorla, Ilte, Italgas, Lavazza,
Martini & Rossi, Recchi Costruzioni Generali, Sai-Società Assicuratrice Industriale, Sei-Società Editrice Internazionale, Skf Industrie, Toro
Assicurazioni, Unione Industriale di Torino.
COMITATO DIRETTIVO: presidente Giuseppe Lignana (Cartiere Burgo), Bruno Cerrato (Camera di Commercio), Luigi Garosci (Gruppo
Garosci), Giorgio Introvigne (Axa Assicurazioni), Lodovico Passerin d’Entrèves (Toro Assicurazioni), Giacomo Vitali (Italgas), Mario Zibetti
(Arthur Andersen), tesoriere Giovanni Ciarlo (Fondazione Crt), segretario e consulente storico-artistica Angela Griseri.
COMMISSIONE COMUNICAZIONE: Luciano Lenotti (Skf Industrie).
COMMISSIONE FINANZIARIA: Angelo Ascheri (Ilte).
COMMISSIONE TECNICA: Emanuela Recchi (Recchi Costruzioni Generali) e Mario Verdun di Cantogno (Fiat).
LA SALA LEONARDO DELLA BIBLIOTECA REALE
1987-2010 gli interventi della consulta 223222 un’Avventura TORINESE
IL PALAZZO DELL’UNIVERSITÀ:CORTILE, LOGGIATO E SCALONI
CRONOLOGIA: Agli inizi del Quattrocento viene costruita una Galleria di collegamento tra il Palazzo del Vescovo (Palazzo Reale) e Palazzo Madama,
poi demolita agli inizi dell’Ottocento. Tra il 1605 e il 1607 Carlo Emanuele I la fa splendidamente decorare da un’équipe di artisti guidata
da Federico Zuccari e la destina a ospitare le sue collezioni artistiche inserite in parte nella “Libreria e Museo di cose rare e curiose”.
1837-1842: Carlo Alberto affida a Pelagio Palagi la realizzazione della nuova sede della Biblioteca Reale, individuata al piano terreno dell’ala
di levante di Palazzo Reale sotto la Galleria del Beaumont; la volta del Salone viene decorata dai pittori Angelo Moja e Marco
Antonio Trefogli.
1840: Carlo Alberto acquista da Giuseppe Volpato la consistente collezione di disegni, comprendente anche quelli di Leonardo da Vinci.
1893: il collezionista russo Teodoro Sabachnicov dona a Umberto I il Codice sul volo degli uccelli di Leonardo da Vinci.
INTERVENTO DELLA CONSULTA 1997-1998:Realizzazione della nuova “Sala Leonardo”, progettata come un caveau al piano seminterrato, attrezzato con le più moderne tecnologie:
climatizzato, dotato di un sistema di spegnimento automatico in caso di incendio, di una porta blindata e di rilevatori con controllo
a distanza. La sala è attrezzata con diciannove vetrine-contenitori, in ottone brunito e legno di noce, suddivisi in tre settori: due per la
conservazione di disegni e manoscritti e uno mediano per l’esposizione. L’illuminazione è realizzata con fibre ottiche a intensità regolabile.
Progetto e direzione lavori: Roberto Pagliero, Stefano Trucco e Roberto Vincenzi
Progetto illuminotecnico: Sergio Berno
Impresa: Zoppoli & Pulcher Costruzioni Generali
Impianti: Pietranera Impianti Elettrici
Arredi della sala: Salgipa di Salvati & C.; Garau Arredamenti & Design; Montanaro; Rech & C.; Nova Impianti di Abrami Mario; Interlegno;
Sipariette di Corronca; Aldo Zengiaro; Mario Sezzano
Fotografie: Mariano Dallago
Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri
In occasione della realizzazione della Sala Leonardo è stata organizzata, con il contributo della Regione Piemonte, la mostra “Leonardo
e le Meraviglie della Biblioteca Reale di Torino”, con catalogo a cura di Giovanna Giacobello Bernard.
LA CONSULTA: SOCI: Arthur Andersen, Axa Assicurazioni, Banca Brignone, Bicc Ceat Cavi, Cartiere Burgo, Camera di Commercio Industria Artigianato
e Agricoltura di Torino, Compagnia di San Paolo, Elah Dufour, Ersel, Fiat, Fondazione Crt, Gruppo Garosci, Gruppo Gorla, Ilte, Italgas, L’Oreal,
La Piemontese Assicurazioni, Lavazza, Marco Antonetto Farmaceutici, Martini & Rossi, Reale Mutua Assicurazioni, Recchi Costruzioni
Generali, Sai-Società Assicuratrice Industriale, Toro Assicurazioni, Unicem, Unione Industriale di Torino e Utet.
COMITATO DIRETTIVO: presidente Giuseppe Lignana (Cartiere Burgo), Bruno Cerrato (Camera di Commercio di Torino), Luigi Garosci
(Gruppo Garosci), Giorgio Introvigne (Axa Assicurazioni), Lodovico Passerin d’Entrèves (Toro Assicurazioni), Giacomo Vitali (Italgas),
Mario Zibetti (Arthur Andersen), tesoriere Giovanni Ciarlo (Fondazione Crt), segretario e consulente storico-artistica Angela Griseri.
COMMISSIONE COMUNICAZIONE: Luciano Lenotti (Skf), Tullio Toledo (Lavazza).
COMMISSIONE FINANZIARIA: Dario Disegni (Compagnia di San Paolo).
COMMISSIONE TECNICA: Emanuela Recchi (Recchi Costruzioni Generali), Mario Verdun di Cantogno (Fiat).
CRONOLOGIA: 1712-1713: Per volontà di Vittorio Amedeo II, Michelangelo Garove progetta la nuova sede del Palazzo
dell’Università (istituzione fondata nel 1404); il progetto viene continuato da Giovanni Antonio Ricca
per l’impostazione del grandioso cortile con loggiato.
1715-1720: Filippo Juvarra realizza le parti decorative in stucco di porte e finestre, e il portale in marmo di Chianocco
su via Po.
1718-1720: l’erudito Scipione Maffei chiede di collocare nel cortile importanti reperti, accanto a un Gabinetto
di curiosità che ospita oggetti relativi alla fisica, alla matematica e alla botanica.
Fine secolo XVIII-inizi secolo XIX: il loggiato è arricchito da statue, busti e dal gruppo in marmo “La Fama che incatena il Tempo”, opera
dei fratelli Ignazio e Filippo Collino, destinato in realtà al mausoleo sabaudo di Saint-Jean de Maurienne.
1834: Giuseppe Maria Talucchi realizza il portale principale su via Verdi.
INTERVENTO DELLA CONSULTA 1999-2000:Restauro conservativo del cortile, dei due scaloni e del loggiato. L’intervento comprende il restauro di: sei statue, trentotto busti, il gruppo
scultoreo dei fratelli Collino, le iscrizioni, l’orologio antico, sotto l’alta sorveglianza di Paola Salerno, Soprintendenza Beni Ambientali
e Architettonici del Piemonte e di Cristina Mossetti, Soprintendenza Beni Artistici e Storici del Piemonte.
Ricerche storiche: Rita Binaghi, Università di Torino
Rilievi e responsabile del procedimento: Daniele Cappello, Ufficio tecnico dell’Università di Torino
Analisi: Oscar Chiantore, Dipartimento di Chimica, Giacomo Chiari, Dipartimento Scienze Mineralogiche e Petrologiche, Università di Torino;
Antonietta Gallone, Dipartimento di Fisica del Politecnico di Milano; Lorenzo Apollonia, Soprintendenza di Aosta
Impresa: Borini Costruzioni; direzione cantiere: Alberto Chiesa
Decoratori: Sa.Ma.Ra.
Restauro: Laboratorio Giorgio Gioia con Chiara Giani; per le opere in bronzo: Tiziana Igliozzi e Valeria Borgialli; per il gruppo dei Collino
(con la tecnica a laser): Anna Brunetto
Responsabile per la sicurezza e progetto illuminotecnico: Sergio Berno
Fotografie: Blue Skies Studio di Ernani Orcorte
Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri
Pubblicazione del volume Tra restauro e recupero. La Consulta dal 1987 ad oggi, a cura di Pier Luigi Bassignana e Angela Griseri.
LA CONSULTA: SOCI: Arthur Andersen, Axa Assicurazioni, Banca Brignone, Bicc Ceat Cavi, Buzzi Unicem, Cartiere Burgo, Camera di Commercio
Industria Artigianato e Agricoltura di Torino, Compagnia di San Paolo, Ersel, Ferrero, Fiat, Fondazione Crt, Garosci, Gruppo Gorla, Ilte, Italgas,
La Piemontese Assicurazioni, Lavazza, L’Oreal, Marco Antonetto Farmaceutici, Martini & Rossi, Pininfarina, Reale Mutua Assicurazioni, Sagat Turin
Airport, Sai-Società Assicuratrice Industriale, Skf, Toro Assicurazioni, Unione Industriale di Torino e Utet.
COMITATO DIRETTIVO: presidente Luigi Garosci, Giuseppe Dondona (Gruppo Gorla), Massimo Geroli (Bicc Ceat Cavi), Giuseppe Lignana
(Cartiere Burgo), Enrico Marenco di Moriondo (Reale Mutua Assicurazioni), Alessandro Rosboch (La Piemontese Assicurazioni), Giacomo
Vitali (Italgas), tesoriere Giovanni Ciarlo (Fondazione Crt), segretario e consulente storico-artistica Angela Griseri.
COMMISSIONE COMUNICAZIONE: Luciano Lenotti (Skf), Lodovico Passerin d’Entrèves (Toro Assicurazioni),
Tullio Toledo (Lavazza).
COMMISSIONE FINANZIARIA: Dario Disegni (Compagnia di San Paolo), Marco Navone (Ilte).
COMMISSIONE TECNICA: Mario Verdun di Cantogno (Fiat).
1987-2010 gli interventi della consulta 225224 un’Avventura TORINESE
IL MONUMENTO A FERDINANDO DI SAVOIA
IL MONUMENTO A VITTORIO EMANUELE II
CRONOLOGIA: 1878: Umberto I dona al Municipio di Torino l’ingente somma di un milione di lire finalizzata a realizzare il monumento in memoria del padre
Vittorio Emanuele II. Il Consiglio comunale indice un concorso, a cui vengono inviati 46 bozzetti e 8 disegni.
1879: la commissione, composta da Carlo Ceppi, Andrea Gastaldi e Francesco Gonin, assegna l’incarico a Pietro Costa, il cui bozzetto spicca
per “novità di impostazione”; il termine dei lavori viene fissato al 1885. Tantissimi i problemi da affrontare: dalle questioni tecniche
per la scelta dei materiali del basamento e delle colonne, a questioni pratiche come la scelta del Costa di far realizzare la fusione
della statua del re a Roma.
1882: posa della prima pietra del monumento.
1885: i quattro gruppi allegorici – la Libertà, la Fratellanza, il Lavoro, l’Unità – con le aquile sono ancora da realizzare e rimane
da completare la parte muraria e lapidea.
1897: la Città di Torino condanna il Costa a consegnare il monumento, se pure incompleto, e ne entra in possesso l’anno successivo.
1899: solenne inaugurazione alla presenza dei sovrani.
INTERVENTO DELLA CONSULTA 2000-2001:Per le parti in bronzo si procede a intervenire con un sistema di sabbiatura effettuato con un abrasivo tenero, ricavato dalla macinazione dei gusci
di noce; questo metodo permette di non togliere la patina originaria, quindi di non scoprire il metallo e non esporlo ad attacchi corrosivi diretti.
Le operazioni di restauro durano otto mesi: 2000 metri quadri di superficie da trattare distribuiti su 38 metri di altezza, 3000 chili di graniglia vegetale
per la pulitura, 300 litri di miscele di inibitori di corrosione, 150 chili di cera microcristallina e 600 litri di resina acrilica per la protezione superficiale.
Alta sorveglianza artistica e tecnica: Leonardo Mastrippolito, Ufficio tecnico della Città di Torino; Daniela Biancolini, Soprintendenza Beni
Architettonici e per il Paesaggio del Piemonte e Paolo Venturoli, Soprintendenza Patrimonio Storico Artistico e Demoetnoantropologico
del Piemonte
Progettista, direzione lavori e responsabile sicurezza: Giancarlo Mezzo
Consulenza strutturale: Paolo Napoli; responsabile dei lavori: Gianfranco F. Lo Cigno
Opere provvisionali: Impresa Borini Costruzioni; direttore di cantiere: Alberto Chiesa
Progetto per la comunicazione di cantiere: Mix p.r. Comunicazione; realizzazione: Sipea
Consulenza specifica per il restauro: Sergio Angelucci, Roma; Opere di restauro: Laboratorio Rava
Indagini e analisi: Guido Biscontin, Venezia con la collaborazione di Arcadia Ricerche, Marghera
Fotografie: Mariano Dallago, Maurizio Roatta, Davide Schirripa; Revisione illuminazione: Aem
Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri
In occasione del restauro, è stata realizzata la pubblicazione Vittorio Emanuele II. Un Monumento restituito alla Città, a cura di Pier Luigi
Bassignana e Angela Griseri.
LA CONSULTA: SOCI: Arthur Andersen, Banca Brignone, Buzzi Unicem, Cartiere Burgo, Compagnia di San Paolo, Ersel, Ferrero, Fiat, Fondazione Crt, Garosci,
Gruppo Gorla, Ifi-Istituto Finanziario Industriale, Ilte, Italgas, La Piemontese Assicurazioni, Lavazza, L’Oreal, Marco Antonetto Farmaceutici, Martini
& Rossi, Pininfarina, Pirelli, Reale Mutua Assicurazioni, Sagat Turin Airport, Sai-Società Assicuratrice Industriale, Seat Pagine Gialle, Skf, Telecom
Italia, Toro Assicurazioni, Unione Industriale di Torino e Utet.
COMITATO DIRETTIVO: presidenti: Luigi Garosci e Renzo Giubergia (Ersel), Massimo Antonetto (Marco Antonetto Farmaceutici), Maria Luisa Buzzi
(Buzzi Unicem), Filippo Ferrua (Ferrero), Enrico Marenco di Moriondo (Reale Mutua Assicurazioni), Sulo Resuli (L’Oreal), tesoriere Giovanni Ciarlo
(Fondazione Crt), segretario e consulente storico-artistica Angela Griseri, consulente Mario Verdun di Cantogno.
COMMISSIONE COMUNICAZIONE: Luciano Lenotti (Skf), Lodovico Passerin d’Entrèves (Ifi), Tullio Toledo e Alessandra Bianco (Lavazza).
COMMISSIONE FINANZIARIA: Dario Disegni (Compagnia di San Paolo), Marco Navone (Ilte).
COMMISSIONE TECNICA: Giuseppe Lignana (Cartiere Burgo).
CRONOLOGIA: 1863: Vittorio Emanuele II decide di dedicare un monumento al fratello Ferdinando Alberto Maria di Savoia Carignano, purtroppo
morto di mal sottile a soli trentatrè anni; il principe si era distinto valorosamente nella Battaglia della Bicocca (1849), l’episodio
conclusivo della prima guerra d’Indipendenza. Alfonso Balzico è lo scultore scelto dal re, particolarmente apprezzato
per il disegno e la modellazione rivolta al tema dei cavalli, dal 1866 nominato “scultore della casa reale”. Il monumento
rappresenta il principe nel momento in cui sente mancare il cavallo che, colpito, cade a terra; nei due bassorilievi l’Assedio
di Peschiera e la Battaglia della Bicocca vicino a Novara.
1867: consegna del modello in gesso alla Fonderia Papi di Firenze per la fusione, realizzata nell’arco di tre anni. Per motivi diversi,
il monumento viene concluso e inaugurato solo nel 1877.
INTERVENTO DELLA CONSULTA 2001-2002:Il restauro ha rimosso la diffusa formazione di croste nere e polveri compattate. Nelle parti in bronzo, notevoli erano le ossidazioni alla patina,
colpita da cloruri e solfati che avevano causato una colorazione variegata tendente al grigio. Dopo accurato controllo statico, si è passati
alla pulitura del monumento effettuata con bisturi, martelletti e microspazzole, alla rimozione dei depositi polverosi, all’esecuzione di piccole
saldature e sigillature. L’intervento ha rivelato una qualità tecnica e compositiva straordinaria del monumento, restituendo quella “visibilità”
che il tempo e la scarsa manutenzione gli avevano tolto.
Alta sorveglianza artistica e tecnica: Leonardo Mastrippolito, Ufficio tecnico della Città di Torino; Paola Salerno, Soprintendenza Beni
Architettonici e per il Paesaggio del Piemonte e Bruno Ciliento, Soprintendenza Patrimonio Storico Artistico e Demoetnoantropologico
del Piemonte
Opere provvisionali: Impresa Zoppoli & Pulcher Costruzioni Generali, direzione cantiere: Luigi Rocchia
Consulenza per il restauro: Paolo Nencetti, Opificio delle Pietre Dure di Firenze; Opere di restauro: Arte Restauro Conservazione
di Cristina Maria Arlotto
Indagini e analisi: Rankover, Cultura e Tecnologia del restauro, Verona
Progetto per la comunicazione di cantiere: Massimo Venegoni, Studio Dedalo; realizzazione cartelloni: Sipea
Fotografie: Marco e Paolo Gonella, Blue Skies Studio di Ernani Orcorte
Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri
In occasione del restauro è stata pubblicata la brochure Restauro del Monumento. Ferdinando di Savoia Duca di Genova,
a cura di Pier Luigi Bassignana e Angela Griseri
LA CONSULTA: SOCI: Arthur Andersen, Banca Brignone, Buzzi Unicem, Cartiere Burgo, Compagnia di San Paolo, Ersel, Ferrero, Fiat, Fondazione Crt,
Garosci, Gruppo Gorla, Ifi-Istituto Finanziario Industriale, Ilte, Italdesign-Giugiaro, Italgas, Lavazza, L’Oreal, Marco Antonetto Farmaceutici,
Martini & Rossi, Pininfarina, Pirelli, Reale Mutua Assicurazioni, Sagat Turin Airport, Sai-Società Assicuratrice Industriale, Seat Pagine Gialle,
Skf, Telecom Italia, Toro Assicurazioni, Unione Industriale di Torino, Utet.
COMITATO DIRETTIVO: presidente Renzo Giubergia (Ersel), Massimo Antonetto (Marco Antonetto Farmaceutici), Maria Luisa Buzzi (Buzzi
Unicem), Filippo Ferrua (Ferrero), Luigi Garosci, Enrico Marenco di Moriondo (Reale Mutua Assicurazioni), Sulo Resuli (L’Oreal), tesoriere
Giovanni Ciarlo (Fondazione Crt), segretario e consulente storico-artistica Angela Griseri, consulente Mario Verdun di Cantogno.
COMMISSIONE COMUNICAZIONE: Luciano Lenotti (Skf), Lodovico Passerin d’Entrèves (Ifi), Tullio Toledo e Alessandra Bianco (Lavazza).
COMMISSIONE FINANZIARIA: Dario Disegni (Compagnia di San Paolo), Marco Navone (Ilte).
COMMISSIONE TECNICA: Giuseppe Lignana (Cartiere Burgo).
1987-2010 gli interventi della consulta 227226 un’Avventura TORINESE
PALAZZINA DELLA PROMOTRICELE FACCIATE
L’ASSE DEL BELVEDERE DI VILLA DELLA REGINA
CRONOLOGIA: 1615, 1618-1619: sono documentati lavori alla Villa, tradizionalmente attribuita ad Ascanio Vitozzi. La costruzione è voluta dal principe
cardinale Maurizio di Savoia sul modello delle ville romane.
1657: la moglie, principessa Ludovica, amplia fabbricati e giardini; altri importanti aggiornamenti decorativi sono avviati nel 1692
da Anna d’Orléans, moglie di Vittorio Amedeo II.
1728: Filippo Juvarra riceve l’incarico di ridefinire complessivamente gli spazi e i rapporti con il giardino per la nuova regina
Polissena d’Assia; Juvarra viene affiancato da Giovanni Pietro Baroni di Tavigliano, quest’ultimo ancora attivo tra il 1760
e il 1780 per Maria Antonia Ferdinanda di Borbone: si realizzano le scuderie, il Palazzo del Chiablese, danneggiati e demoliti
dopo la seconda guerra mondiale.
1994-2005: tutto il complesso passa in consegna alla Soprintendenza per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico
del Piemonte che redige, avvia e realizza il Progetto generale di restauro e riapertura al pubblico.
INTERVENTO DELLA CONSULTA 2002-2003:Il recupero dell’Asse del Belvedere è un tassello significativo che si inserisce nel restauro ambientale e paesaggistico, finalizzato
a valorizzare l’immagine scenografica di tutto il complesso, in prospettiva finale dell’asse storico urbano che congiunge via Po con via Villa
della Regina. Continui approfondimenti, indagini e ricerche, anche in corso d’opera, hanno permesso di comprendere le ragioni del dissesto
e del degrado e quindi di recuperare correttamente il sistema idraulico, gli impianti decorativi e architettonici nelle loro diverse fasi storiche
e tecniche. Particolarmente complessi i lavori alla Peschiera e alla Grotta del Re Selvaggio, straordinario esempio di decorazione sei-settecentesca
con conchiglie e materiali lapidei di differenti colorazioni, ampiamente integrati. Molto nutrito il gruppo di lavoro dei professionisti e degli studiosi,
diretto con grande capacità da Cristina Mossetti, Direttrice di Villa della Regina per la Soprintendenza Beni Artistici, Storici ed Etnoantropologici
del Piemonte, in collaborazione con Maria Carla Visconti per la Soprintendenza Beni Architettonici e per il Paesaggio del Piemonte.
Progettazione, direzione scientifica e operativa: Federico Fontana con Alessandra Perugini; Cristina Mossetti con Anna Maria Bava
e Roberta Bianchi, Maria Carla Visconti
Responsabile del procedimento: Carla Enrica Spantigati, Soprintendente Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico del Piemonte
Rilievi: Federico Fontana, Stephane Garnero, Giorgio Rolando Perino; Rilievi stereofotogrammetrici: Foart
Direzione dei lavori: Federico Fontana; Direzione e diagnosi delle opere strutturali: Paolo Sorrenti, Cesare Berti
Coordinatore per la sicurezza: Roberto Mortarino
Opere provvisionali, edili e strutturali: Impresa Zoppoli & Pulcher Costruzioni Generali; Impianti idraulici: Piero Bianchi
Opere di restauro: Koinè; Novaria Restauri (per la Grotta del Re Selvaggio); Opere da giardiniere: F.lli Airaudi
Fotografie: Giacomo Gallarate, Giacomo Lovera
Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri
LA CONSULTA: SOCI: Banca Popolare di Bergamo/Banca Brignone, Buzzi Unicem, Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Torino, Cartiere Burgo,
Compagnia di San Paolo, Deloitte & Touche, Ersel, Ferrero, Fiat, Fondazione Crt, Fondiaria-Sai, Garosci, Gruppo Canale & C., Ifi-Istituto Finanziario
Industriale, Italdesign-Giugiaro, Italgas, Lavazza, L’Oreal Saipo, Marco Antonetto Farmaceutici, Martini & Rossi, Pininfarina, Pirelli, Presider, Reale Mutua
Assicurazioni, Seat Pagine Gialle, Skf, Telecom Italia, Toro Assicurazioni, Unione Industriale di Torino, Utet.
COMITATO DIRETTIVO: presidente Renzo Giubergia (Ersel), Massimo Antonetto (Marco Antonetto Farmaceutici), Maria Luisa Buzzi (Buzzi
Unicem), Filippo Ferrua (Ferrero), Luigi Garosci, Enrico Marenco di Moriondo (Reale Mutua Assicurazioni), Sulo Resuli (L’Oreal Saipo), tesoriere
Giovanni Ciarlo (Fondazione Crt), segretario e consulente storico-artistica Angela Griseri, consulente Mario Verdun di Cantogno.
COMMISSIONE COMUNICAZIONE: Lodovico Passerin d’Entrèves (Ifi), Marco Sobrero (Ersel), Tullio Toledo e Alessandra Bianco (Lavazza),
Fabrizio Vignati (Fondiaria-Sai).
COMMISSIONE FINANZIARIA: Dario Disegni (Compagnia di San Paolo).
COMMISSIONE TECNICA: Giuseppe Lignana (Cartiere Burgo).
CRONOLOGIA: 1842: è fondata la Società Promotrice delle Belle Arti, finalizzata a favorire il mercato d’arte attraverso l’acquisto
e l’esposizione di opere d’arte, presentate in rassegne annuali. Il suo ruolo diventa quello di struttura espositiva ufficiale
della capitale subalpina, in stretto rapporto con l’Accademia Albertina.
1860 circa: la Società è ospitata nel Palazzo progettato da Alessandro Mazzucchetti, Carlo Ceppi e Cimbro Gelati in via della Zecca 25;
le esposizioni sono invece allestite in locali provvisori situati all’interno del parco del Valentino, messi a disposizione dal Comune.
1914-1923: la Società, direttore Davide Calandra, decide di stanziare 200.000 lire per costruire la nuova sede in viale Balsamo Crivelli.
Progettista è l’ingegnere Bonicelli che prevede otto sale e un grande salone centrale, illuminati da ampi lucernari; Edoardo
Rubino viene incaricato dei lavori per le parti esterne in pietra artificiale, arricchite da un bassorilievo raffigurante le Arti Liberali,
mentre la decorazione di tutti gli interni è affidata a Giulio Casanova.
1923-1925: lavori di ampliamento realizzati da Giovanni Chevalley.
INTERVENTO DELLA CONSULTA 2004:Il restauro si è incentrato sull’architettura esterna, dedicando particolare attenzione alle decorazioni e ai fregi, opera dello scultore
Edoardo Rubino; preliminarmente sono state eseguite approfondite analisi e indagini stratigrafiche in accordo con le Soprintendenze
competenti e con l’Ufficio Colore della Città, per consolidare e integrare gli intonaci e gli apparati decorativi delle facciate.
Questo intervento ha costituito il tassello finale, ma significativo, all’interno della completa ristrutturazione della Palazzina, finalizzata
a restituire una maggiore funzionalità a questa storica e prestigiosa sede espositiva.
Alta sorveglianza: Daniela Biancolini, Soprintendenza Beni Architettonici e per il Paesaggio del Piemonte e Cristina Mossetti,
Soprintendenza Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico del Piemonte
Progettazione, direzione lavori, sicurezza: Cosimo Turvani, Studio Icis
Responsabile dei lavori: Adriano Borello
Opere di restauro: Spada & Spada
Restauro degli apparati decorativi: Barbara Rinetti
Progetto grafica di cantiere: Supermaxistudio
Fotografie: Blue Skies di Ernani Orcorte
Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri
Si ristampa il volume istituzionale Per Torino. Gli interventi della Consulta dal 1987 ad oggi, a cura di Pier Luigi Bassignana e Angela Griseri.
Creazione di un sito web: www.consultaditorino.it realizzato da Shorr-Kan.
LA CONSULTA: SOCI: Banca Popolare di Bergamo-Gruppo Bpu Banca, Buzzi Unicem, Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Torino,
Cartiere Burgo, Compagnia di San Paolo, Deloitte & Touche, Ersel, Ferrero, Fiat, Fondazione Crt, Fondiaria-Sai, Garosci, Gruppo
Canale & C., Ifi-Istituto Finanziario Industriale, Italdesign-Giugiaro, Italgas, Lavazza, Marco Antonetto Farmaceutici, Martini & Rossi,
Pininfarina, Pirelli, Presider, Reale Mutua Assicurazioni, Skf, Telecom Italia, Toro Assicurazioni, Unione Industriale di Torino, Utet.
COMITATO DIRETTIVO: presidente Luigi Garosci, Maria Luisa Buzzi (Buzzi Unicem), Dario Disegni (Compagnia di San Paolo), Alberto
Fumagalli (Italdesign-Giugiaro), Tullio Toledo (Lavazza), tesoriere Giovanni Ciarlo (Fondazione Crt), segretario e consulente storico-artistica
Angela Griseri, consulente Mario Verdun di Cantogno.
COMMISSIONE COMUNICAZIONE: Alessandra Bianco (Lavazza), Lodovico Passerin d’Entrèves (Ifi), Sulo Resuli (L’Oreal Saipo),
Marco Sobrero (Ersel), Fabrizio Vignati (Fondiaria-Sai).
COMMISSIONE FINANZIARIA: Filippo Beraudo di Pralormo (Fiat).
COMMISSIONE TECNICA: Giuseppe Lignana (Cartiere Burgo).
1987-2010 gli interventi della consulta 229228 un’Avventura TORINESE
LA CANCELLATA DI PALAZZO REALE
LE FONTANE DEL PO E DELLA DORA IN PIAZZA cln
CRONOLOGIA: 1936: il Comune approva il progetto di Giuseppe Momo e Marcello Piacentini relativo alla sistemazione del secondo tratto
di via Roma, prevedendo “la formazione di due facciate monumentali in pietra da taglio verso la nuova piazzetta: le due facciate
comprenderanno due fontane con sculture allegoriche”. Le statue, realizzate in marmo di Serravezza, raffigurano i due fiumi, il Po
e la Dora, il Comune assegna il lavoro allo scultore Umberto Baglioni. Seguono le opere relative all’esecuzione dell’impianto delle
elettropompe necessarie a garantire l’acqua alle fontane; a conclusione le vasche saranno rivestite con materiale ceramico.
1987: in occasione del cinquantenario di via Roma, l’architetto Rosenthal allestisce una mostra nella piazza e, per pochi giorni, le fontane
vengono riattivate.
INTERVENTO DELLA CONSULTA 2005:L’intervento, per le parti lapidee, è consistito nel preconsolidamento delle zone disgregate, per passare alla pulitura dei depositi carboniosi
e all’asportazione dei depositi acidi tramite l’uso di acqua nebulizzata e impacchi di polpa di carta. A seguire, stuccatura di tutte le fessure,
crepe e lacune con una malta a calce idraulica e con polvere di marmo; a conclusione, applicazione di un protettivo superficiale. Il secondo
lotto di lavori ha riguardato la complessa opera di impermeabilizzazione delle vasche, in collaborazione con la Smat - Società Metropolitana
Acque Torino che ha provveduto al rifacimento dell’impianto idrico, con un contributo del Lions Club International Distretto 108.
Alta Sorveglianza: Paola Salerno, Soprintendenza Beni Architettonici e per il Paesaggio del Piemonte e Bruno Ciliento, Soprintendenza
per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico del Piemonte; Leonardo Mastrippolito, Città di Torino, Settore Edifici per la Cultura
Progettazione, direzione lavori e sicurezza: Marco Abbio, Giuseppe Depascale
Opere di restauro: Doneux e Soci Restauro Opere d’Arte; direttore tecnico: Kristine Doneux; direttore di cantiere: Federico Doneux
Opere provvisionali ed edili: Sivim, Alessandria
Opere di impermeabilizzazione: Emilio Borgatta
Impianti idrici: Piergiorgio Bertero, Smat - Società Metropolitana Acque Torino.
Impianto illuminazione: Felice Serra e Alessandra Paruzzo, Azienda Energetica Metropolitana Torino
Fotografie: Giacomo Lovera, Blue Skies di Ernani Orcorte
Progettazione grafica: Supermaxistudio; realizzazione: Format
Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri
LA CONSULTA:SOCI: Banca Popolare di Bergamo-Gruppo Bpu Banca, Buzzi Unicem, Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Torino,
Cartiere Burgo, Compagnia di San Paolo, Deloitte & Touche, Ersel, Ferrero, Fiat, Fondazione Crt, Fondiaria-Sai, Garosci, Gruppo
Canale & C., Ifi-Istituto Finanziario Industriale, Italdesign-Giugiaro, Italgas, Lavazza, Marco Antonetto Farmaceutici, Martini & Rossi,
Pininfarina, Pirelli, Presider, Reale Mutua Assicurazioni, Skf, Telecom Italia, Toro Assicurazioni, Unione Industriale di Torino, Utet
COMITATO DIRETTIVO: presidente Luigi Garosci, Maria Luisa Buzzi (Buzzi Unicem), Dario Disegni (Compagnia di San Paolo), Alberto
Fumagalli (Italdesign-Giugiaro), Tullio Toledo (Lavazza), tesoriere Giovanni Ciarlo (Fondazione Crt), segretario e consulente storico-artistica
Angela Griseri, consulente Mario Verdun di Cantogno.
COMMISSIONE COMUNICAZIONE: Alessandra Bianco (Lavazza), Lodovico Passerin d’Entrèves (Ifi), Marco Sobrero (Ersel), Fabrizio Vignati
(Fondiaria-Sai).
COMMISSIONE FINANZIARIA: Filippo Beraudo di Pralormo (Fiat).
COMMISSIONE TECNICA: Giuseppe Lignana (Cartiere Burgo).
CRONOLOGIA: 1834: Carlo Alberto incarica Pelagio Palagi di realizzare il progetto per la nuova Cancellata.
1835: Giovanni Colla e Chiaffredo Odetti ricevono in pagamento 145.500 lire per la “formazione e collocamento di una grande cancellata
in ferro fuso lavorato avanti il reale Palazzo Grande” e per “dare colore ad olio a due mani ad ambe le parti”.
1842: Giovanni Battista Viscardi e Luigi Manfredini realizzano la fusione in bronzo di Castore e Polluce a cavallo, opera di Abbondio
Sangiorgio; le forme in gesso erano state eseguite da Diego Marielloni; solo nel 1847 le statue vengono collocate sui pilastri
in marmo della Valle San Martino, opera di Farinelli e Gaggini.
Il Palagi completa la cancellata con otto candelabri in ferro fuso, alimentati a gas, tecnologia allora molto innovativa.
1895: l’architetto di corte Emilio Stramucci richiede una manutenzione; lo stato di conservazione della cancellata risulta precario in quanto
la fusione originaria è stata suddivisa in troppe parti, determinando molteplici infiltrazioni d’acqua.
1932: la Real Casa decide di sostituire la cancellata con un’altra nuova in ghisa; la rifusione viene affidata alla ditta
Manfredi & Bongioanni di Fossano.
INTERVENTO DELLA CONSULTA 2004-2005:Dopo un approfondito rilievo, con relativa mappatura del degrado, sono state eseguite numerose indagini preliminari. La doratura,
rintracciata nelle punte e nelle teste di Medusa, non era stata realizzata a foglia d’oro ma a porporina dorata; le uniche tracce di foglia d’oro
si riscontrano, all’interno della Piazzetta Reale, sulla prima Medusa, quella verso la Biblioteca Reale. La Cancellata presentava parti rotte
e staccate: le cause principali erano imputabili sia ad assestamenti e a cedimenti sia a fenomeni di corrosione e di ossidazione; la vernice
color ferro micacea, risalente a una manutenzione degli anni Ottanta del Novecento, era ormai consumata e molto permeabile alle
infiltrazioni di acqua; dopo la pulitura e il consolidamento, è stato steso un color verde bronzato, in sintonia con quello delle statue equestri.
Progettazione e direzione lavori: Daniela Biancolini, Soprintendenza Beni Architettonici e per il Paesaggio del Piemonte
Alta sorveglianza: Carla Enrica Spantigati e Paola Astrua, Soprintendenza per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico del Piemonte
Rilievi: Studio Vinardi: Monica Fantone e Barbara Vinardi; Sicurezza: Gianfranco Vinardi
Indagini diagnostiche: Emma Angelini e Sabrina Grassini, Politecnico di Torino; Marcello Baricco e Paola Rizzi, Università di Torino;
Guido Biscontin, Università Cà Foscari di Venezia; Guido Driussi, Arcadia Ricerche, Marghera (Ve)
Consulenza per restauro Dioscuri: Giuseppe Longega, Università di Venezia
Opere provvisionali: Co.velt; Opere di restauro: Novaria Restauri; direttore di cantiere: Sonia Segimiro; direttore tecnico: Giovanna
Mastrotisi; responsabile di cantiere: Alessandro Segimiro; Opere da fabbro: Bessone Livio & C.
Adeguamento dell’impianto di illuminazione: Aem - Azienda Energetica Metropolitana Torino; Fotografie: Giacomo Gallarate
Progettazione grafica: Supermaxistudio; Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri
LA CONSULTA: SOCI: Banca Popolare di Bergamo - Gruppo Bpu Banca, Buzzi Unicem, Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura
di Torino, Cartiere Burgo, Compagnia di San Paolo, Deloitte & Touche, Ersel, Ferrero, Fiat, Fondazione Crt, Fondiaria-Sai, Garosci, Gruppo
Canale & C., Ifi-Istituto Finanziario Industriale, Italdesign-Giugiaro, Italgas, Lavazza, Marco Antonetto Farmaceutici, Martini & Rossi,
Pininfarina, Pirelli, Presider, Reale Mutua Assicurazioni, Skf, Telecom Italia, Toro Assicurazioni, Unione Industriale di Torino, Utet.
COMITATO DIRETTIVO: presidente Luigi Garosci, Maria Luisa Buzzi (Buzzi Unicem), Dario Disegni (Compagnia di San Paolo), Alberto
Fumagalli (Italdesign-Giugiaro), Tullio Toledo (Lavazza), tesoriere Giovanni Ciarlo (Fondazione Crt), segretario e consulente
storico-artistica Angela Griseri, consulente Mario Verdun di Cantogno.
COMMISSIONE COMUNICAZIONE: Alessandra Bianco (Lavazza), Lodovico Passerin d’Entrèves (Ifi), Sulo Resuli (L’Oreal Saipo),
Marco Sobrero (Ersel), Fabrizio Vignati (Fondiaria-Sai).
COMMISSIONE FINANZIARIA: Filippo Beraudo di Pralormo (Fiat); COMMISSIONE TECNICA: Giuseppe Lignana (Cartiere Burgo).
1987-2010 gli interventi della consulta 231
LE STATUE DELLE QUATTRO STAGIONI
CRONOLOGIA: 1741-1752: Simone Martinez, nipote di Filippo Juvarra, realizza le statue delle Quattro Stagioni, in marmo di Frabosa, inizialmente
concepite per la Galleria del Beaumont di Palazzo Reale, in realtà collocate nella Reggia di Venaria nella Galleria
di collegamento tra l’Appartamento del duca di Savoia e la Cappella, il cosiddetto Rondò progettato dall’architetto Benedetto Alfieri.
1810: le statue vengono trasportate nei Giardini di Palazzo Reale, restaurate dallo scultore Giacomo Spalla: questo intervento rientra
nel progetto dell’architetto Giuseppe Battista Piacenza di realizzare un museo imperiale di scultura.
Sono state riportate nuovamente a Venaria nel 2007, riproponendo la loro collocazione nelle nicchie del Rondò alfieriano.
INTERVENTO DELLA CONSULTA 2007:Le statue erano molto danneggiate dall’incuria del tempo e dalle condizioni atmosferiche.
Direzione lavori storico-artistici: Carla Enrica Spantigati, Soprintendente Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico del Piemonte;
Mirella Macera, Soprintendenza Beni Architettonici e per il Paesaggio del Piemonte
Responsabile dei Lavori e Coordinamento sicurezza: Studio Vinardi
Opere provvisionali: Co.velt
Opere di restauro: Cooperativa per il Restauro, Milano
Indagini chimiche: Alessandro Princivalle
Rilievo a laser scanner: Cat-Consorzio Arte Tecnologia
Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri
CRONOLOGIA: 1619-1621: Vittorio Amedeo I fa acquistare gli arazzi a Parigi per ornare le sale del Palazzo Ducale di Torino, dove rimangono fino al 1753
quando nove di essi sono trasferiti a Palazzo Chiablese. Il soggetto degli arazzi è tratto dal poema Histoire de la Reyne
Arthemise composto nel 1561-1562 da Nicolas Houel, mecenate e farmacista parigino, in onore di Caterina de’Medici. Si ispira
alle gesta di due antiche regine della Caria. Gli arazzi sono realizzati in lana e seta, con filati metallici d’oro e d’argento.
INTERVENTO DELLA CONSULTA 2008:Gli arazzi presentavano una significativa alterazione dei materiali costitutivi, provocata dal tempo, dall’uso e dalle precedenti condizioni
di esposizione, non adatte alla conservazione delle fibre. Il restauro è stato diviso in due aree di intervento: da una parte si trattava
di reinserire nell’ordito e nella trama i materiali mancanti, dall’altra si doveva rimediare alla presenza dannosa di alcuni precedenti
interventi di rammendo.
Direzione lavori storico-artistici: Roberto Medico, Soprintendenza per i Beni Architettonici e il Paesaggio del Piemonte
Restauro Arazzi: Tissage di Donatella Mascalchi, Firenze
Fotografie: Archivio Soprintendenza Beni Architettonici Piemonte; Ernani Orcorte
Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri
LA CONSULTA: SOCI: Armando Testa, Banca Popolare di Bergamo-Gruppo Bpu Banca, Burgo Group, Buzzi Unicem, Camera di Commercio di Torino,
Compagnia di San Paolo, Deloitte & Touche, Ersel, Ferrero, Fiat, Fondazione Crt, Fondiaria-Sai, Garosci, G. Canale & C., Ifi-Istituto
Finanziario Industriale, Intesa SanPaolo, Italdesign-Giugiaro, Italgas, Lavazza, Marco Antonetto Farmaceutici, M. Marsiaj & C., Martini & Rossi,
Pirelli, Presider, Reale Mutua Assicurazioni, Skf, Telecom Italia, Toro Assicurazioni, Unione Industriale di Torino, Vittoria Assicurazioni.
COMITATO DIRETTIVO: presidente Luigi Garosci, Renzo Giubergia (Ersel), Maria Luisa Buzzi (Buzzi Unicem) Dario Disegni (Compagnia
di San Paolo), Alberto Fumagalli (Italdesign-Giugiaro), Tullio Toledo (Lavazza), tesoriere Giovanni Ciarlo, segretario e consulente storico-artistica
Angela Griseri, consulente tecnico Mario Verdun di Cantogno.
COMMISSIONE COMUNICAZIONE: Lodovico Passerin d’Entrèves (Ifi), Alessandra Bianco (Lavazza), Alberto Fumagalli (Italdesign-Giugiaro),
Marco Sobrero (Ersel), Fabrizio Vignati (Fondiaria-SAI).
COMMISSIONE FINANZIARIA: Filippo Beraudo di Pralormo (Fiat).
COMMISSIONE TECNICA: Giuseppe Lignana (Burgo Group).
LE STORIE DI ARTEMISIAGLI ARAZZI DI PALAZZO CHIABLESE
230 un’Avventura TORINESE
LA FACCIATA OTTOCENTESCA DI PALAZZO CARIGNANO
CRONOLOGIA: 1860-1865: Camillo Cavour affida ad Amedeo Peyron la realizzazione, nel cortile, di un’Aula provvisoria, mentre procedono i lavori
per quella definitiva, che avrebbe dovuto ospitare le sedute del Parlamento Italiano.
1864-1872: la Città di Torino incarica Domenico Ferri e Giuseppe Bollati di realizzare la parte ottocentesca di Palazzo Carignano.
1876: trasferimento delle collezioni del Museo di Zoologia.
1937-1938: si destina il Palazzo a sede del Museo Nazionale del Risorgimento Italiano.
INTERVENTO DELLA CONSULTA 2004-2005:La facciata presentava un fortissimo degrado provocato dall’inquinamento e dall’esposizione agli agenti atmosferici: i grandi vasi
a coronamento erano già stati cerchiati con appositi ferri. Nel 1998 si verificavano altri distacchi, tra questi la caduta del braccio e della lancia
della statua rappresentante l’Industria, in marmo di Carrara; anche le balaustrate in granito bianco e rosa denotavano grossi problemi
di conservazione e vistosi distacchi. La Consulta ha finanziato il restauro della parte centrale della facciata, aggiungendo così un tassello
molto significativo, a completamento del restauro delle facciate e degli scaloni guariniani, finanziati dalla Compagnia di San Paolo
e dalla Soprintendenza Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico del Piemonte.
Direzione scientifica: Alessandra Guerrini, Soprintendenza Patrimonio Storico Artistico del Piemonte con la collaborazione
e l’alta sorveglianza di Francesco Pernice e Valerio Corino, Soprintendenza Beni Architettonici e per il Paesaggio del Piemonte
Progetto: Alessandra Guerrini con Salvatore Simonetti e Barbara Rinetti
Rilievi: Noemi Gallo
Diagnostica: ICVBC-CNR, Firenze – Fabio Fratini, Susanna Bracci con Maurizio Gomez Serito, Alessandro Princivalle
Ricerche storiche: Andrea Longhi, Vittorio Natale
Direttore lavori: Salvatore Simonetti con la collaborazione di Barbara Rinetti, Roberto Mortarino, Eleonora Graziani e Valentina Troina
Responsabile del procedimento: Carla Enrica Spantigati, Soprintendente Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico del Piemonte
Opere provvisionali ed edili: Zumaglini & Gallina; direttore di cantiere: Fabrizio Steffani, capocantiere: Massasso
Opere di restauro: Cooperativa per il restauro, Milano; direttore operativo: Simona Offredi; capocantiere: Annalisa Ghizzardi
Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri
LA CONSULTA: SOCI: Banca Popolare di Bergamo-Gruppo Bpu Banca, Buzzi Unicem, Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Torino,
Cartiere Burgo, Compagnia di San Paolo, Deloitte & Touche, Ersel, Ferrero, Fiat, Fondazione Crt, Fondiaria-Sai, Garosci, Gruppo
Canale & C., Ifi-Istituto Finanziario Industriale, Italdesign-Giugiaro, Italgas, Lavazza, Marco Antonetto Farmaceutici, Martini & Rossi,
Pininfarina, Pirelli, Presider, Reale Mutua Assicurazioni, Skf, Telecom Italia, Toro Assicurazioni, Unione Industriale di Torino, Utet.
COMITATO DIRETTIVO: presidente Luigi Garosci, Maria Luisa Buzzi (Buzzi Unicem), Dario Disegni (Compagnia di San Paolo), Alberto
Fumagalli (Italdesign-Giugiaro), Tullio Toledo (Lavazza), tesoriere Giovanni Ciarlo (Fondazione Crt), segretario e consulente storico-artistica
Angela Griseri, consulente Mario Verdun di Cantogno.
COMMISSIONE COMUNICAZIONE: Alessandra Bianco (Lavazza), Lodovico Passerin d’Entrèves (Ifi), Sulo Resuli (L’Oreal Saipo),
Marco Sobrero (Ersel), Fabrizio Vignati (Fondiaria-Sai).
COMMISSIONE FINANZIARIA: Filippo Beraudo di Pralormo (Fiat).
COMMISSIONE TECNICA: Giuseppe Lignana (Cartiere Burgo).
1987-2010 gli interventi della consulta 233232 un’Avventura TORINESE
PALAZZINA DI CACCIA DI STUPINIGIREIMPIANTO ALBERATE
INTERVENTO DELLA CONSULTA 2007-2008:Il progetto ha previsto il reimpianto di circa 1.700 pioppi cipressini (P. nigra pyramidalis) ai lati della strada circolare e lungo le due
principali rotte di caccia che si staccano dal raccordo anulare, ovvero la Rotta Niccolò e la Rotta Chisola. L’attuazione di tale progetto
è stata sviluppata su un periodo di 3 anni circa, utilizzando i mezzi tecnici ed il personale agrario dipendente del Settore Tecnico Agrario
della Fondazione Ordine Mauriziano, che ha effettuato le seguenti operazioni colturali: misurazione e picchettatura, formazione di buche
con trivella, concimazione di base con stallatico (450 quintali) e concime a lenta cessione (7,5 quintali), irrigazione dell’impianto.
CRONOLOGIA: 1709: voluto dal principe di Carignano, il Teatro entra in funzione nel 1711; nel 1786 un incendio distrugge completamente la struttura.
In occasione della ricostruzione, la decorazione del plafone della volta viene affidata al pittore Bernardino Galliari, che dipinge
il Giudizio di Paride.
1818: il futuro re Carlo Alberto promuove alcuni restauri; in quest’occasione il pittore Luigi Vacca sostituisce la decorazione del plafone
con Apollo circondato dalle Muse.
1845: altro rifacimento da parte di Francesco Gonin che dipinge il Trionfo di Bacco. Nel 1876 viene installato l’impianto di illuminazione
a gas; nel 1936 l’intero apparato strutturale del teatro è rifatto con l’impiego del calcestruzzo armato sul quale vengono ricollocate
le parti in legno, mentre al pittore Carlo Gaudina è affidato un intervento di manutenzione del plafone.
INTERVENTO DELLA CONSULTA 2008:I diversi interventi pittorici documentati sul plafone avevano influito molto sulla “leggibilità” dell’opera, compromettendo la versione
originaria dipinta dal Gonin. In occasione del restauro, le indagini e i saggi stratigrafici hanno messo in luce la presenza di tre stesure
pittoriche: la coloritura esistente al momento della ricostruzione del teatro dopo l’incendio del 1786, quella del 1824-1826 e la terza
stesura con le figure mitologiche dovuta a Francesco Gonin, che si trovava in condizioni molto frammentarie, tenacemente attaccate
agli strati di pittura applicati successivamente.
Direzione scientifica: Cristina Mossetti, Soprintendenza Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico del Piemonte
Direzione dei lavori: Studio Marconi, Roma
Opere provvisionali: Zoppoli & Pulcher
Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri
LA CONSULTA: SOCI: Armando Testa, Burgo Group, Buzzi Unicem, Camera di Commercio di Torino, Compagnia di San Paolo, Deloitte & Touche, Ersel,
Ferrero, Fiat, Fondazione Crt, Fondiaria-Sai, Garosci, G. Canale & C., Gruppo Ferrero-Presider, Ifi-Istituto Finanziario Industriale, Intesa
Sanpaolo, Italdesign-Giugiaro, Italgas, Lavazza, Marco Antonetto Farmaceutici, M. Marsiaj & C., Martini & Rossi, Pirelli, Reale Mutua
Assicurazioni, Skf, Telecom Italia, Toro Assicurazioni, Unione Industriale di Torino, Vittoria Assicurazioni.
COMITATO DIRETTIVO: presidente Lodovico Passerin d’Entrèves, Luigi Garosci, Dario Disegni (Compagnia di San Paolo), Fabrizio Vignati
(Fondiaria-Sai), Renzo Giubergia (Ersel), Filippo Beraudo di Pralormo (Fiat) tesoriere Giovanni Ciarlo, segretario e consulente storico-
artistica Angela Griseri, consulente tecnico Mario Verdun di Cantogno.
COMMISSIONE COMUNICAZIONE: Alessandra Bianco (Lavazza), Giampaolo Desderi (Skf), Alberto Fumagalli (Italdesign-Giugiaro),
Marco Sobrero (Ersel).
COMMISSIONE FINANZIARIA: Maria Luisa Buzzi (Buzzi Unicem), Silvio Boccardo (Fondazione Crt).
COMMISSIONE TECNICA: Giuseppe Lignana (Burgo Group).
BIBLIOTECA REALE – MOSTRA “TERRAE COGNITAE.LA CARTOGRAFIA NELLE COLLEZIONI SABAUDE”La Biblioteca Reale, voluta da Carlo Alberto nel 1831, conserva nelle sue collezioni anche preziose carte geografiche e portolani, disegnati
con inchiostri di vari colori su pergamene; tra questi il Planisfero di Torino di Giovanni Vespucci, 1523, il Theatrum orbis terrarum di Juan
Baptista Lavagna e Luis Texteira, 1597-1611, il Commentarium in Apocalypsim et alia del monaco Beato di Liébana, XI-XII secolo, la Cronaca
di Norimberga di Hartmann Schedel, 1493.
INTERVENTO DELLA CONSULTA 2007:Le pergamene si presentavano in condizioni assai critiche a causa di pregressi e maldestri interventi di allestimento, sia sui supporti
membranacei che sulle relative pellicole pittoriche. La Consulta ha finanziato il restauro di cinque portolani e, per il Planisfero di Torino,
ha realizzato un apposito tavolo che permette la conservazione e l’esposizione permanente della carta nautica nella Sala Leonardo,
voluta dalla stessa Consulta nel 1998. Per gli altri portolani sono stati realizzati dei contenitori-custodia a struttura rigida ma nello stesso
tempo mobile per facilitare la movimentazione permanente delle opere, montate su un supporto di policarbonato e carta giapponese.
Progetto mostra: Maria Letizia Sebastiani, Clara Vitulo, con la collaborazione di Maria Gattullo, Franca Porticelli, Eliana Angela Pollone
Progettazione tavolo di conservazione e allestimento mostra: Roberto Pagliero, Stefano Trucco
Realizzazione tavolo di conservazione: Salgipa
Opere di restauro: Studio Crisostomi
Ricerche storiche: Andrea Longhi, Vittorio Natale
Direttore lavori: Salvatore Simonetti con la collaborazione di Barbara Rinetti, Roberto Mortarino, Eleonora Graziani e Valentina Troina
Allestimento e restauri in mostra: Véronique Cachia, Santo Maccarone, con la collaborazione di Angela Audino e Vincenzo Terracino
Opere provvisionali ed edili: Zumaglini & Gallina; direttore di cantiere: Fabrizio Steffani, capocantiere: Massasso
Progettazione grafica e fotografie: Fabrizio Fenucci, Y Press
Comunicazione multimediale: Gaetano Di Marino
LA CONSULTA: SOCI: Armando Testa, Banca Popolare di Bergamo- Gruppo BPU Banca, Burgo Group, Buzzi Unicem, Camera di Commercio di Torino,
Compagnia di San Paolo, Deloitte & Touche, Ersel, Ferrero, Fiat, Fondazione Crt, Fondiaria- Sai, Garosci, G. Canale & C., IFI- Istituto
Finanziario Industriale, Intesa SanPaolo, Italdesign-Giugiaro, Italgas, Lavazza, Marco Antonetto Farmaceutici, M. Marsiaj & C., Martini & Rossi,
Pirelli, Presider, Reale Mutua Assicurazioni, Skf, Telecom Italia, Toro Assicurazioni, Unione Industriale di Torino, Vittoria Assicurazioni.
COMITATO DIRETTIVO: presidente Lodovico Passerin d’Entrèves, Luigi Garosci, Dario Disegni (Compagnia di San Paolo), Fabrizio Vignati
(Fondiaria-Sai), Renzo Giubergia (Ersel), Filippo Beraudo di Pralormo (Fiat) tesoriere Giovanni Ciarlo, segretario e consulente storico-
artistica Angela Griseri, consulente tecnico Mario Verdun di Cantogno.
COMMISSIONE COMUNICAZIONE: Alessandra Bianco (Lavazza), Giampaolo Desderi (Skf), Alberto Fumagalli (Italdesign-Giugiaro),
Marco Sobrero (Ersel).
COMMISSIONE FINANZIARIA: Maria Luisa Buzzi (Buzzi Unicem), Silvio Boccardo (Fondazione Crt).
COMMISSIONE TECNICA: Giuseppe Lignana (Burgo Group).
LA VOLTA DEL TEATRO CARIGNANO
1987-2010 gli interventi della consulta 235234 un’Avventura TORINESE
VILLA DELLA REGINAMOSTRA E RICOSTRUZIONI VIRTUALI“Evocazioni e nuovi allestimenti nell’Appartamento del Re” ha voluto ricostruire, attraverso arredi storicamente documentati,
l’atmosfera e l’aspetto delle sale dell’Appartamento del Re nella prima metà del Settecento. Nel Salone centrale sono state esposte
le sei sovrapporte dipinte nel 1735 circa dal napoletano Corrado Giaquinto raffiguranti le Storie di Enea, commissionate per la Camera
da letto di Carlo Emanuele III, ritornate temporaneamente dopo centocinquant’anni dal Quirinale a Villa della Regina.
La mostra è stata arricchita da preziosi arredi di Pietro Piffetti, da un grande biliardo e da porcellane di manifattura occidentale
ed orientale. Scenografica la ricostruzione virtuale della Libreria di Piffetti e dei papiers-peints del Gabinetto verso Levante alla China:
questi arredi sono conservati al Palazzo del Quirinale.
Organizzazione mostra: Cristina Mossetti, Direttore di Villa della Regina, con Paola Traversi
Progetto allestimento: Cristina Mossetti; Maria Carla Visconti Cherasco, Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici
del Piemonte; Paola Traversi; Simona Albanese
Collaborazioni: Laura D’Agostino, Istituto Superiore per la Conservazione ed il Restauro, Silvana Pettenati, Lucia Caterina, Università
degli Studi di Napoli “L’Orientale”, Luisa Morozzi, Ufficio per la Conservazione del Patrimonio Artistico del Quirinale
Apparati didattici: Paola Manchinu
Restauri e interventi conservativi: Laboratorio Rinetti Barbara Conservazione e Restauro Opere d’Arte; Ester Giovacchini; Galleano
Giuseppe e figli; Aurifolia
Tappezzerie e tende: Calderan di Gianfranco Stella
Allestimento-progetto: Studio Dedalo; realizzazione: Bordi Allestimenti; audiovisivi: Video Telecom Project; ricostruzione virtuale: Hub-Edenlab
Trasporti e assistenza tecnica: Borghi International
Fotografie: Vincenzo Piccione e Ornella Savarino, Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici del Piemonte;
Paolo Robino; Maurizio Necci-Azimut; Giacomo Lovera
Sponsor tecnico per le coperture assicurative: Fondiaria-Sai
Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri
LA CONSULTA: SOCI: Armando Testa, Burgo Group, Buzzi Unicem, Camera di Commercio di Torino, Compagnia di San Paolo, Deloitte & Touche, Ersel,
Ferrero, Fiat, Fondazione Crt, Fondiaria-Sai, Garosci, G. Canale & C., Gruppo Ferrero-Presider, Ifi-Istituto Finanziario Industriale, Intesa
Sanpaolo, Italdesign-Giugiaro, Italgas, Lavazza, Marco Antonetto Farmaceutici, M. Marsiaj & C., Martini & Rossi, Pirelli, Reale Mutua
Assicurazioni, Skf, Telecom Italia, Toro Assicurazioni, Unione Industriale di Torino, Vittoria Assicurazioni.
COMITATO DIRETTIVO: presidente Lodovico Passerin d’Entrèves, Luigi Garosci, Dario Disegni (Compagnia di San Paolo), Fabrizio Vignati
(Fondiaria-Sai), Renzo Giubergia (Ersel), Filippo Beraudo di Pralormo (Fiat) tesoriere Giovanni Ciarlo, segretario e consulente storico-
artistica Angela Griseri, consulente tecnico Mario Verdun di Cantogno.
COMMISSIONE COMUNICAZIONE: Alessandra Bianco (Lavazza), Giampaolo Desderi (Skf), Alberto Fumagalli (Italdesign-Giugiaro), Marco
Sobrero (Ersel).
COMMISSIONE FINANZIARIA: Maria Luisa Buzzi (Buzzi Unicem), Silvio Boccardo (Fondazione Crt).
COMMISSIONE TECNICA: Giuseppe Lignana (Burgo Group).
LE CUCINE DEL PALAZZO REALE
INTERVENTO DELLA CONSULTA 2009Gli ambienti delle Cucine storiche sono stati completamente ristrutturati e allestiti: si tratta di venti sale composte da cucine per cuocere
carni, pesci, dolci, forni, ceppi, spiedi, ghiacciaie, dispense e una grande cantina. Sono stati ricostruiti modelli (i cosiddetti mock up) in scala
reale: dal cinghiale al quarto di bue, alla cacciagione; sono stati restaurati più di duemila rami, dalle grandi pesciere ai piccoli stampi
per dolci e biscotti.
Direzione lavori di restauro e allestimento: Daniela Biancolini in collaborazione con Enrico Barbero, Soprintendenza per i Beni
Archiettonici e Paesaggistici del Piemonte
Coordinamento restauro: Giuseppe Longega e Guido Biscontin, Venezia
Restauro rami: Arcadia Ricerche, Marghera
Restauro arredi fissi: Silvia Ciacera Macauda e Daniele Capella; Luigi Tanzillo
Realizzazione delle opere: Consorzio C.C.C.: Consorzio C.C.C.: EdilAtellana, C.I.T.E., Cellini
Realizzazione allestimento e installazioni: Little Bull, Armando Testa; Studio Guidone Associati
Mock-up: Vittorio Comi, Paderno d’Adda; Michele Guaschino
Progetto grafico e allestimento tavole: Consolata Pralormo Design
Referenze fotografiche: Archivio Fotografico della Soprintendenza per i Beni Archiettonici e Paesaggistici del Piemone; Riccardo Gonella,
Torino; Ernani Orcorte, Torino
Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri
LA CONSULTA: SOCI: Armando Testa, Burgo Group, Buzzi Unicem, Camera di Commercio di Torino, Compagnia di San Paolo, Deloitte & Touche, Ersel,
Ferrero, Fiat, Fondazione Crt, Fondiaria-Sai, Garosci, G. Canale & C., Gruppo Ferrero-Presider, Ifi-Istituto Finanziario Industriale, Intesa
Sanpaolo, Italdesign-Giugiaro, Italgas, Lavazza, Marco Antonetto Farmaceutici, M. Marsiaj & C., Martini & Rossi, Pirelli, Presider, Reale Mutua
Assicurazioni, Skf, Telecom Italia, Toro Assicurazioni, Unione Industriale di Torino, Vittoria Assicurazioni
COMITATO DIRETTIVO: presidente Lodovico Passerin d’Entrèves, Luigi Garosci, Dario Disegni (Compagnia di San Paolo), Fabrizio Vignati
(Fondiaria-Sai), Renzo Giubergia (Ersel), Filippo Beraudo di Pralormo (Fiat) tesoriere Giovanni Ciarlo, segretario e consulente storico-
artistica Angela Griseri, consulente tecnico Mario Verdun di Cantogno.
COMMISSIONE COMUNICAZIONE: Alessandra Bianco (Lavazza), Giampaolo Desderi (Skf), Alberto Fumagalli (Italdesign-Giugiaro),
Marco Sobrero (Ersel).
COMMISSIONE FINANZIARIA: Maria Luisa Buzzi (Buzzi Unicem), Silvio Boccardo (Fondazione Crt).
COMMISSIONE TECNICA: Giuseppe Lignana (Burgo Group)
237236 un’Avventura TORINESE
MUSEO NAZIONALE DEL CINEMA
INTERVENTO DELLA CONSULTA 2010:La Galleria dei Manifesti si è arricchita di un modulo espositivo interattivo, che racchiude al proprio interno un sistema di proiezione,
di elaborazione dati e di tracking. Uno schermo ad alta luminosità e definizione permette al visitatore, con un semplice movimento
della mano, di accedere all’archivio di immagini, ottenute con la digitalizzazione di soggetti provenienti dalla collezione dei manifesti
storici del museo.
Il rifacimento della cappella dedicata agli effetti speciali, denominata Chroma Key, propone una soluzione innovativa dal punto di vista
della qualità e dell’efficacia comunicativa per il pubblico: l’installazione è incentrata su alcune sequenze animate in computer grafica,
di forte impatto visivo.
Progetto scientifico: Alberto Barbera, direttore con il coordinamento di Angela Savoldi, con la collaborazione di Nicoletta Pacini, Sabrina
Mezzano, Leonardo Ferrante e Andrea Merlo
Stark Interactive Wall-Galleria dei Manifesti: Paolo Buroni, Stark architectural image projectors; Paola Gallarini, restauratrice; Roberto
Goffi, digitalizzazione manifesti
Effetti Speciali-La Macchina del Cinema: Futura Nt, progettazione sistema interattivo “Chroma Key”; Giordano Allestimenti; A.B.C. Elettrik;
Acuson
Sistema di oscuramento Aula del Tempio: Mottura, Roberto Lupo, Jvan Negro
Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri
La Consulta ha realizzato nel biennio 2008-2009 il restauro di alcuni dipinti fiamminghi provenienti dalle collezioni ducali, da quelle del
Principe Eugenio e dalla collezione di Riccardo Gualino. In particolare l’intervento sulla tavola di Bernard van Orley ha permesso di scoprire
sul retro del dipinto una composizione a monocromo raffigurante un particolare del Trasporto della Croce.
Il Museo del Louvre e i Musées Royaux des Beaux Arts di Bruxelles hanno eccezionalmente concesso il prestito di due tavole che hanno
permesso di ammirare ricomposto il Trittico dell’Annunciazione di Rogier van der Weyden e le due ante del Polittico commissionate
al pittore di corte Bernard van Orley.
Progetto e cura: Carla Enrica Spantigati, Paola Astrua, Anna Maria Bava, Soprintendenza Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico
del Piemonte:
Progetto di allestimento e grafico: Dedalo Architettura e Immagine
Realizzazione allestimento: Interfiere, Moncalieri
Grafica comunicazione: M.C. Grafica di Marco Clava
Trasporto e allestimento opere: Arteria, Torino; Borghi International Settore Opere d’Arte, San Mauro Torinese; Gerlach Art Packers
& Shippers BVBA, Bruxelles; L. P. Art, Parigi
Assicurazione delle opere: Léon Eeckman, Bruxelles
Restauro dipinti: Nicola Restauri, Aramengo (Asti); Cesare Pagliero, Savigliano (Cuneo); Barbara Rinetti Restauro opere d’arte, Torino
Fotografie: Giacomo Lovera; Nicola Restauri; Cesare Pagliero
Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri
LA CONSULTA: SOCI: Alleanza Toro Assicurazioni, Armando Testa, Burgo Group, Buzzi Unicem, Camera di Commercio di Torino, Compagnia di San
Paolo, Deloitte & Touche, Ersel, Exor, Ferrero, Fiat, Fondazione Crt, Fondiaria-Sai, Garosci, G. Canale & C., Gruppo Ferrero-Presider,
Intesa Sanpaolo, Italdesign-Giugiaro, Italgas, Lavazza, Marco Antonetto Farmaceutici, Martini & Rossi, M. Marsiaj & C, Pirelli, Reale
Mutua Assicurazioni, Skf, Telecom Italia, Unione Industriale di Torino, Vittoria Assicurazioni.
COMITATO DIRETTIVO: presidente Lodovico Passerin d’Entrèves, Luigi Garosci, Adriana Acutis (Vittoria Assicurazioni), Eugenio Bona
(Armando Testa), Maurizio Cibrario (Martini & Rossi), Filippo Ferrua (Ferrero), Giorgio Marsiaj (M: Marsiaj & C.), tesoriere Giovanni Ciarlo,
segretaria e consulente storico-artistica Angela Griseri, consulente tecnico Mario Verdun di Cantogno.
COMMISSIONE COMUNICAZIONE: Alessandra Bianco (Lavazza), Giampaolo Desderi (Skf), Donatella Mezzalama (Alleanza Toro Assicurazioni),
Marco Sobrero (Ersel).
COMMISSIONE FINANZIARIA: Mario Busso (Deloitte & Touche), Maria Luisa Buzzi (Buzzi Unicem), Silvio Boccardo (Fondazione Crt),
Giuseppe Donato (Skf), Dario Disegni (Compagnia di San Paolo).
COMMISSIONE TECNICA: Giuseppe Lignana (Burgo Group); Filippo Beraudo di Pralormo (Fiat).
CHIESA DEL SANTO SUDARIO E MUSEO SINDONOLOGICO - FACCIATE
CRONOLOGIA: Per la costruzione di una cappella interna all’Ospedale dei Pazzerelli, Vittorio Amedeo II concedeva nel 1728 alla Confraternita del Santo
Sudario un sito, verso Porta Susina nell’Isolato di San Isidoro. Solo nel 1734 veniva scelto il progetto dell’ingegnere Mazzone, mentre
la decorazione era affidata al quadraturista veneziano Pietro Alzeri, attivo con la collaborazione di Michele Antonio Milocco per le figure
e la pala d’altare. La facciata è attribuita all’architetto Giovanni Battista Borra. Dopo il periodo napoleonico, la chiesa veniva riaperta
e restaurata nel 1821; altri restauri nel 1895 sotto la direzione di Enrico Reffo e Angelo Reycend.
INTERVENTO DELLA CONSULTA 2009:L’intervento di restauro conservativo si è indirizzato alle Facciate della Chiesa e del Museo della Sindone. Sono state effettuate analisi
stratigrafiche sugli intonaci e sugli apparati decorativi per verificare le cromie originarie: si presentavano diverse stratificazioni di colore,
dovute ad interventi successivi; la stesura originale, emergeva, in zone molto estese, in condizioni degradate e molto frammentarie. Al fine
di rendere omogenea la lettura delle facciate, la Soprintendenza competente e l’Ufficio del Colore della Città hanno deciso di procedere
con la stesura di intonaci a calce incentrati su una bicromia rosa-beige, tenendo presenti le cromie azzurre del Palazzo storico con cui la
chiesa confina. Durante la fase di pulitura della facciata principale della Chiesa, al di sopra del timpano è emerso un bassorilievo eseguito
in stucco raffigurante la Santa Sindone.
La Consulta ha donato al Museo Sindonologico il dipinto di Giovanni Battista della Rovere, Sepoltura di Cristo, 1625 circa.
Alta sorveglianza: Paola Salerno, Soprintendenza Beni Architettonici e Paesaggistici per il Piemonte
Direttore dei lavori: Mario Cicala
Coordinatore sicurezza: Giuseppe Perfetto
Opere provvisionali: Co.velt
Opere edili: Co.ge.fa; direttore di cantiere: Luigi Rocchia
Opere di restauro: Ottaviano Conservazione e Restauro Opere d’Arte
Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri
LA CONSULTA: SOCI: Armando Testa, Burgo Group, Buzzi Unicem, Camera di Commercio di Torino, Compagnia di San Paolo, Deloitte & Touche, Ersel,
Ferrero, Fiat, Fondazione Crt, Fondiaria-Sai, Garosci, G. Canale & C., Gruppo Ferrero-Presider, Ifi-Istituto Finanziario Industriale, Intesa
Sanpaolo, Italdesign-Giugiaro, Italgas, Lavazza, Marco Antonetto Farmaceutici, M. Marsiaj & C., Martini & Rossi, Pirelli, Reale Mutua
Assicurazioni, Skf, Telecom Italia, Toro Assicurazioni, Unione Industriale di Torino, Vittoria Assicurazioni
COMITATO DIRETTIVO: presidente Lodovico Passerin d’Entrèves, Luigi Garosci, Dario Disegni (Compagnia di San Paolo), Fabrizio Vignati
(Fondiaria-Sai), Renzo Giubergia (Ersel), Filippo Beraudo di Pralormo (Fiat) tesoriere Giovanni Ciarlo, segretario e consulente storico-
artistica Angela Griseri, consulente tecnico Mario Verdun di Cantogno
COMMISSIONE COMUNICAZIONE: Alessandra Bianco (Lavazza), Giampaolo Desderi (Skf), Alberto Fumagalli (Italdesign-Giugiaro),
Marco Sobrero (Ersel).
COMMISSIONE FINANZIARIA: Maria Luisa Buzzi (Buzzi Unicem), Silvio Boccardo (Fondazione Crt).
COMMISSIONE TECNICA: Giuseppe Lignana (Burgo Group).
MOSTRA “MERAVIGLIE DELLA GALLERIA SABAUDA”
238 un’Avventura TORINESE
PALAZZO MADAMA - MOSTRA LENCI SCULTURE IN CERAMICA 1927-1937Negli anni tra il 1927 e il 1937 Lenci divenne famosa per una produzione ceramica di sculture d’arredo caratterizzate da soluzioni stilistiche
e tematiche assai originali. Le invenzioni della Lenci rispecchiano la ricchezza della scena artistica torinese tra le due guerre: Mario Sturani,
Giovanni e Ines Grande, Elena Koenig Scavini, Felice Tosalli, Gigi Chessa, Sandro Vacchetti, Abele Jacopi, Nillo Beltrami, Claudia Formica
sono gli artisti che hanno dato lustro alla manifattura. La mostra ha presentato un vasto repertorio di ceramiche, disegni e gessi preparatori,
provenienti da collezioni private, esposte per la prima volta al pubblico.
La facciata presentava un fortissimo degrado provocato dall’inquinamento e dall’esposizione agli agenti atmosferici: i grandi vasi
a coronamento erano già stati cerchiati con appositi ferri. Nel 1998 si verificavano altri distacchi, tra questi la caduta del braccio e della lancia
della statua rappresentante l’Industria, in marmo di Carrara; anche le balaustrate in granito bianco e rosa denotavano grossi problemi
di conservazione e vistosi distacchi. La Consulta ha finanziato il restauro della parte centrale della facciata, aggiungendo così un tassello
molto significativo, a completamento del restauro delle facciate e degli scaloni guariniani, finanziati dalla Compagnia di San Paolo
e dalla Soprintendenza Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico del Piemonte.
Curatori: Valerio Terraroli; Enrica Pagella, Direttore Palazzo Madama Museo Civico d’Arte Antica
Progetto dell’allestimento: Diego Giachello con Marco Gini e Elena Ciani
Progetto grafico ed immagine coordinata: Elio Vigna Design
Video in mostra: Pier Luigi Bassignana; Elena Romagnolo, Progetto Storia e Cultura delle Industrie del Nord/Ovest
Progetto impianti elettrici: Alfonso Famà
Coordinamento sicurezza in cantiere: Gianfranco Vinardi
Allestimento: Im.form - Impianto elettrico: Iem di Melissari
Grafica in mostra: Ideazione - Trasporti: Arterìa
Sponsor tecnico per le coperture assicurative: Vittoria Assicurazioni
Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri
La Cappella, costruita nel 1715 per volontà del conte Carlo Ottavio Benso, si trova all’interno del complesso del Castello; la cripta, edificata
nel 1861 su progetto dell’architetto Barnaba Panizza, conserva le spoglie dei Benso di Cavour, dei Clermont-Tonnerre, dei Sellon e dei Sales.
Camillo Cavour volle espressamente essere sepolto qui, accanto alle al nipote Augusto; dal 1911 è stata dichiarata Monumento nazionale.
Il restauro della Cappella è stato inaugurato il 6 giugno 2010 alla presenza del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
LA CONSULTA: SOCI: Alleanza Toro Assicurazioni, Armando Testa, Burgo Group, Buzzi Unicem, Camera di Commercio di Torino, C.L.N., Compagnia di San
Paolo, Deloitte & Touche, Ersel, Exor, Fenera Holding, Ferrero, Fiat, Fondazione Crt, Garosci, G.Canale & C., Gruppo Ferrero-Presider, Intesa
Sanpaolo, Italdesign-Giugiaro, Italgas, Lavazza, Marco Antonetto Farmaceutici, Martini & Rossi, M. Marsiaj & C., Pirelli, Reale Mutua
Assicurazioni, Skf, Telecom Italia, Unione Industriale di Torino, Vittoria Assicurazioni.
COMITATO DIRETTIVO: presidente Lodovico Passerin d’Entrèves, Luigi Garosci, Adriana Acutis (Vittoria Assicurazioni), Eugenio Bona
(Armando Testa), Maurizio Cibrario (Martini & Rossi), Filippo Ferrua (Ferrero), Giorgio Marsiaj (M: Marsiaj & C.), tesoriere Giovanni Ciarlo,
segretario e consulente storico-artistica Angela Griseri, consulente tecnico Mario Verdun di Cantogno.
COMMISSIONE COMUNICAZIONE: Alessandra Bianco (Lavazza), Giampaolo Desderi (Skf), Donatella Mezzalama (Alleanza Toro
Assicurazioni), Marco Sobrero (Ersel).
COMMISSIONE FINANZIARIA: Mario Busso (Deloitte & Touche), Maria Luisa Buzzi (Buzzi Unicem), Silvio Boccardo (Fondazione Crt),
Giuseppe Donato (Skf), Dario Disegni (Compagnia di San Paolo).
COMMISSIONE TECNICA: Giuseppe Lignana (Burgo Group); Filippo Beraudo di Pralormo (Fiat).
SANTENACAPPELLA CAVOUR
i soci della consulta
i soci della consulta 239
i soci della consulta 241240 un’Avventura TORINESE
ALLEANZA TORO assicurazioniAlleanza Toro Assicurazioni è la nuova Società del Gruppo Generali nata dalla fusione di due
leader di mercato, Alleanza Assicurazioni e Toro Assicurazioni.
Il nuovo polo assicurativo rappresenta, con i brand Alleanza, Toro, Lloyd Italico e le Società
Augusta e Das, la miglior risposta alle esigenze assicurative e previdenziali delle famiglie,
dei professionisti e delle imprese. L’integrazione di due marchi storici permette di ampliare
l’offerta commerciale creando nuove sinergie e maggiore competitività:
offerta a 360° - Un’offerta completa di prodotti, grazie ai know-how di Alleanza e Toro,
a disposizione delle reti di vendita. Soluzioni dedicate alla protezione della persona e della
famiglia; prodotti vita e previdenziali finalizzati al risparmio, alla protezione e all’investimento;
vicinanza alla clientela: - Alleanza Toro fa leva su più reti distributive differenziate (oltre 18.000
Agenti/Collaboratori), diffuse in modo capillare su tutto il territorio nazionale con circa 2.000
Agenzie/Punti Vendita.
Alleanza Toro si conferma, in un mercato in grande evoluzione, una Società fondata su valori
ispirati alla tradizione e al prestigio e nel contempo attenta alle innovazioni.
Arte, cultura, sport e charity sono le principali aree di intervento di Alleanza Toro.
Su questi presupposti si è concretizzata la collaborazione con la Consulta per la Valorizzazione
dei Beni Artistici e Culturali di Torino fin dalla sua nascita.
L’impegno nella diffusione della conoscenza, della produzione artistico-culturale e della sua
valorizzazione, testimoniano concretamente l’attenzione e la scelta degli interventi della Società.
ARMANDO TESTAIl Gruppo Armando Testa è il più grande gruppo indipendente italiano di comunicazione
oltre che la prima agenzia di advertising del Paese (fonte AssoComunicazione).
Nelle tre sedi italiane di Torino, Milano e Roma, il Palazzo della Comunicazione riunisce,
tutte le società del Gruppo: una struttura all’avanguardia concepita per fornire ai clienti
un servizio di comunicazione a 360°.
Fondato nel 1946 da Armando Testa, il più famoso creativo italiano in ambito internazionale,
oggi il Gruppo, sotto la guida del suo presidente Marco Testa, gestisce più di 100 clienti con
uno staff di oltre 300 persone. Peculiarità dell’Armando Testa sono i rapporti di lunghissima
durata con molti clienti, come Lavazza, da 50 anni o Lines, da oltre 40.
Il Gruppo comprende cinque società in un unico teamwork: Armando Testa s.p.a., agenzia
di advertising; Media Italia, Centro media/new media/telepromozioni; In Testa, agenzia
di corporate identity/packaging/in store promotion; Bitmama, agenzia creativa di comunicazione
digitale e interattiva; Little Bull, casa di produzione audiovisivi, product placement, eventi.
Fa parte del Gruppo anche Max Information s.r.l., agenzia di pubblicità con sede a Bologna.
Oltre alle sedi italiane, il Gruppo opera, da molti anni, con partner selezionati nei principali
mercati mondiali. Tra i principali clienti: Acraf, Barilla-Mulino Bianco, Esselunga, Fater,
Heineken, Lancia, Lavazza, Nestlè, Rcs, Sammontana, Martini.
burgo groupBurgo Group è uno dei maggiori produttori in Europa di carte per uso grafico. Offre una gamma
ampia di carte di grande qualità, pone particolare attenzione all’ambiente, sviluppa nuove
soluzioni in partnership con i propri clienti ed è costantemente impegnato nella ricerca e nello
sviluppo di nuovi prodotti: tutto questo si sintetizza nella continua volontà di proporsi come
partner affidabile ai settori della stampa, dell’editoria e della distribuzione di carta.
Grazie alla sua volontà di competere in un mercato complesso, Burgo Group è oggi un vero
“sistema” intorno al mondo della carta: produzione, distribuzione, riciclo della carta; gestione
di prodotti forestali; studio, progettazione, realizzazione ed engineering di impianti cartari;
factoring; produzione e commercializzazione di energia.
Buzzi unicemNel 2007 Buzzi Unicem ha compiuto 100 anni di vita. Cento anni scanditi da 4 generazioni
della famiglia Buzzi che, con grande capacità imprenditoriale, è stata in grado di crescere
con continuità, portando la produzione – in anni di mercato normale - a circa 33 milioni di t/anno
di cemento e 16 milioni di m3/anno di calcestruzzo.
Annoverata fra gli operatori di settore più importanti al mondo, Buzzi Unicem fattura circa 3 mld
€/anno, è presente in 12 nazioni con circa 12.000 dipendenti, 40 unità produttive per il cemento e 530 impianti di betonaggio. Cosciente del forte potenziale impatto sui territori in cui esercita
le proprie attività, Buzzi Unicem ha da sempre, ed in particolare negli ultimi anni, unito la crescita
economica ad una politica ambientale e di sviluppo sociale: il rispetto dell’ambiente e delle persone
è per l’azienda uno degli obiettivi da continuare a perseguire in futuro.
camera di commercioEspressione diretta delle categorie produttive e della società civile, la Camera di commercio
industria artigianato e agricoltura di Torino è orientata alla valorizzazione e alla tutela degli
interessi generali dell’economia provinciale. Alle oltre 235.000 imprese iscritte, l’ente offre servizi
anagrafico-amministrativi, attraverso una gestione telematica e di facile accesso, e numerosi
servizi promozionali che assistono le aziende fin dalla costituzione, supportandone la nascita
e favorendone lo sviluppo. Dalla formazione all’innovazione, dall’internazionalizzazione fino
a specifici interventi di sviluppo del territorio, l’attività camerale si articola in varie funzioni
per le imprese, gestite da un soggetto capace di comprenderne esigenze e problemi.
La Camera di commercio di Torino rappresenta un interlocutore di rilievo del dialogo fra
le componenti economiche del territorio, operando a favore della trasparenza del mercato,
con servizi di prevenzione e composizione delle controversie, oltre a quelli di vigilanza e tutela
della fede pubblica.
In coordinamento con gli enti locali e le principali istituzioni pubbliche e private, la Camera
di commercio partecipa ai più importanti progetti di sviluppo dell’economia, della cultura
e della formazione, mettendo a disposizione risorse finanziarie, progettuali e organizzative,
per contribuire ad uno sviluppo armonico dell’economia locale.
i soci della consulta 243242 un’Avventura TORINESE
C.L.N.La Società C.L.N., fondata nel 1948 dal Cavaliere Mario Magnetto, nasce come Centro di Servizi
Siderurgici a Caselette ed è cresciuta in modo da costituire oggi uno dei gruppi principali
europei con tre settori:
SSC - distribuzione di laminati piani;
Divisione Automotive - progettazione, stampaggio ed assemblaggio di componenti metallici
e sottogruppi;
Divisione Ruote - progettazione e produzione di ruote in acciaio ed alluminio per autovetture,
veicoli commerciali leggeri e pesanti e per motocicli.
Il Gruppo è presente in quattro continenti con 30 siti produttivi ed impiega circa 8.000
dipendenti. Joint Ventures e collaborazioni con altre società del settore hanno ulteriormente
rafforzato la posizione del Gruppo nel mondo.
Compagnia di san paoloLa Compagnia di San Paolo è una delle maggiori fondazioni private in Europa e trae le sue
origini da una Confraternita costituita nel 1563, trasformata in seguito in Istituto bancario
e caritatevole sui generis. Oggi è retta da un nuovo statuto adottato nel marzo 2000.
La Fondazione partecipa attivamente alle attività della società civile, perseguendo finalità
di interesse pubblico e utilità sociale, allo scopo di favorire lo sviluppo civile, culturale
ed economico delle comunità in cui opera. La Compagnia di San Paolo è attiva nei seguenti
settori: Ricerca e istruzione superiore; Patrimonio artistico; Attività culturali; Sanità e Politiche
sociali. La Compagnia definisce i propri obiettivi attraverso una programmazione annuale
e pluriennale e opera sia attraverso erogazioni a soggetti pubblici e no-profit, sia tramite altre
modalità, tra cui i programmi che essa gestisce direttamente e l’azione di “enti strumentali”
specializzati, fondati e sostenuti dalla Compagnia, talvolta in cooperazione con altre istituzioni,
in settori di interesse.
La Compagnia è membro del Centro Europeo per le Fondazioni, con sede a Bruxelles, e dell’Acri,
l’Associazione Italiana delle Fondazioni di Origine Bancaria di Roma.
deloItte & toucheDeloitte Touche Tohmatsu è un network di entità legali operanti in tutto il mondo, volte a fornire
consulenza e servizi professionali di eccellenza. È focalizzata sul servizio ai clienti, grazie ad una
strategia globale applicata localmente in circa 150 paesi e al vasto capitale intellettuale di circa
135.000 persone in tutto il mondo.
Deloitte è presente in Italia dal 1923 e oggi costituisce la più grande realtà nei servizi
professionali alle imprese. I servizi di revisione e organizzazione contabile, consulenza aziendale,
legale e fiscale e financial advisory sono resi da diverse società specializzate in singole aree
professionali e tra loro separate e indipendenti, ma tutte facenti parte del network Deloitte.
Le stesse oggi contano circa 2.500 professionisti che assistono i clienti nel raggiungimento
di livelli d’eccellenza grazie alla fiducia nell'alta qualità del servizio, all’offerta multidisciplinare
e alla presenza capillare sul territorio nazionale.
erselErsel rappresenta da 75 anni una realtà unica nel panorama del risparmio gestito, per l'assoluta
indipendenza e per la qualità del servizio offerto.
Nata a Torino negli anni ’30 come Studio Giubergia, prima società di fondi comuni autorizzata
in Italia e tra le prime nel settore degli hedge fund, Ersel è specialista nella gestione di patrimoni,
attività da sempre affiancata da servizi di consulenza su aspetti fiscali e di corporate finance.
Un gruppo dinamico con circa 7,5 miliardi di asset gestiti ed uno staff di 200 persone nelle sedi
di Torino, Milano e Bologna, capace di offrire ad ogni cliente, privato, istituzionale o azienda,
la certezza di un servizio professionale, trasparente e personalizzato.
eXOREXOR s.p.a. è una delle principali società d’investimento europee ed è controllata dalla famiglia
Agnelli. Con un NAV (Net Asset Value) pari a circa 6 miliardi di euro, EXOR è il frutto di una storia
imprenditoriale fatta di oltre un secolo di investimenti; quotata alla Borsa Italiana, ha sede
a Torino. EXOR è il maggior azionista del Gruppo Fiat e realizza investimenti con un orizzonte
temporale di lungo termine in diversi settori, prevalentemente in Europa e negli Stati Uniti,
oltre che nei principali mercati emergenti. EXOR attribuisce grande importanza al legame
con la propria comunità e sostiene numerose attività nel campo della ricerca sociale,
dell’educazione, dell’assistenza e della promozione culturale.
fenera holdingIl Gruppo Fenera è una holding di partecipazioni con attività diversificate in Italia ed all’estero,
nei settori industriale, immobiliare e bancario-finanziario.
Nato alla fine degli anni ’80 per iniziativa delle famiglie Zanon di Valgiurata e Palazzi Trivelli,
annovera oggi tra i suoi azionisti numerosi investitori italiani ed esteri. Tra i più significativi PKP
Gruppo Finanziario e Banca Passadore & C. ed i gruppi imprenditoriali e familiari Arduini,
Avandero, Buson, Daffonchio, Gabetti Davicini, Garosci, Lavazza, Manfredi, Maramotti, Marsiaj,
Mazza Midana, Pavesio, Savio, Seragnoli e Stratta.
Il Gruppo dispone di competenze consolidate in campo finanziario ed immobiliare e vanta
prestigiose partnership sui mercati italiani ed esteri.
ferreroFondata nel 1946, la FERRERO già negli anni '50 realizza una progressiva espansione sui mercati
internazionali, diventando, a partire dagli anni '70, uno dei gruppi dolciari più importanti
del mondo. Il Gruppo è oggi composto da 38 società e da 18 stabilimenti produttivi, con
un totale di più di 21.000 dipendenti.
Al vertice del Gruppo si trova la Top Holding Ferrero International, con sede a Lussemburgo.
La società italiana ha la sede direzionale a Pino Torinese e stabilimenti ad Alba (Cn), Pozzuolo
Martesana (Mi), Sant'Angelo dei Lombardi (Av), e Balvano (Pz) con un'occupazione complessiva
di oltre 5.900 unità.
i soci della consulta 245244 un’Avventura TORINESE
fiatIl Gruppo Fiat è una delle maggiori imprese industriali italiane ed è tra i fondatori dell'industria
automobilistica europea. Fin dalle origini lo sviluppo dell'Azienda è stato contrassegnato da una
spiccata proiezione internazionale e una forte propensione verso l'innovazione.
Focalizzato sull’automotive, il Gruppo progetta e costruisce vetture, camion, caricatori gommati,
escavatori, movimentatori telescopici, trattori e mietitrebbie.
È presente, inoltre, nel settore della Componentistica automotive, nonché nell'ambito
dell'editoria e della comunicazione. Fiat svolge le sue attività industriali e di servizi finanziari
attraverso società localizzate in 50 paesi e intrattiene rapporti commerciali con clienti in oltre
190 Paesi.
fondazione crtLa Fondazione Cassa di Risparmio di Torino è un ente no profit interamente dedicato alla
crescita e allo sviluppo economico, sociale e culturale del Piemonte e della Valle d’Aosta. Prende
vita nel 1991 dalla Cassa di Risparmio di Torino, da cui ha ereditato lo spirito filantropico.
È persona giuridica privata, senza fine di lucro, dotata di piena autonomia gestionale, orientata
a scopi d’utilità sociale e di promozione dello sviluppo economico.La Fondazione CRT non solo
eroga contributi, ma realizza progetti in grado di dare risposte mirate alle esigenze territoriali nei
diversi settori, con particolare attenzione alle logiche della venture philanthropy e con un occhio
di riguardo alla possibilità di crescita, formazione e lavoro soprattutto delle giovani generazioni
del Piemonte e della Valle d’ Aosta. Sono molteplici i settori su cui indirizza progetti e risorse:
dalla conservazione e valorizzazione dei beni artistici e delle attività culturali alla ricerca
scientifica; dall’istruzione e formazione alla sanità e assistenza delle categorie sociali deboli; dalla
protezione civile e tutela ambientale all’innovazione degli enti locali e al sostegno dello sviluppo
economico, con oltre un miliardo di euro distribuiti complessivamente fino ad oggi, di cui 332
milioni di euro destinati alla conservazione e valorizzazione dei beni artistici e culturali.
garosciLa storia del Gruppo Garosci è legata all’evoluzione del mercato italiano della distribuzione
e del suo principale protagonista: il consumatore; esso è stato fin dal 1929, anno di avvio della
società, l’obiettivo prioritario del lavoro quotidiano di una famiglia, che era già operativa nell’800
nella filiera dell’olio d’oliva. Da allora Garosci ha partecipato alla storia del commercio italiano:
negozi a libero servizio, supermercati, ipermercati, cash and carry e centri commerciali
(con circa 4.000 dipendenti) sino ad arrivare ai giorni nostri con un ruolo che, lasciato il settore
della distribuzione commerciale, spazia in campi più diversificati consentendo di valorizzare
le competenze acquisite. Lo scenario di attività della “Family Company”, oggi anche tramite
nuove alleanze, si è allargato ai settori finanziari, immobiliari ed editoriali.
G. CANALE & C. La Ajani e Canale nasce nel 1915 come società familiare. Diventata con l’uscita del Socio Ajani
Stabilimento Grafico G. Canale & C. s.a.s., si è sviluppata nel tempo per assumere, negli anni '80,
la denominazione di G. Canale & C. s.p.a. Nel settore grafico rappresenta un gruppo di dimensioni
significative in Europa, con un fatturato di 100 milioni di euro. Utilizza le tecnologie più moderne
nel pre-press, nelle macchine piane di grande formato, nelle rotative offset per il colore e per il nero,
nella legatoria industriale di libri e riviste. Con tre stabilimenti in Italia e uno stabilimento in Romania,
il Gruppo G. CANALE & C. offre soluzioni per tutte le attività del comparto editoriale e della
comunicazione su carta stampata, garantendo il ciclo completo dall'attività creativa e redazionale,
fino alla postalizzazione e alla distribuzione, attraverso le fasi di composizione, selezione del colore,
impaginazione, stampa e rilegatura. Il Gruppo G. CANALE & C. produce il 40% del suo fatturato
per il mercato nazionale e il 60% per il mercato internazionale, sotto forma di romanzi, dizionari
e codici, libri scolastici, libri per bambini, libri d'arte, riviste scientifiche e tecniche, riviste illustrate
a grande diffusione, stampati commerciali e cataloghi per la grande distribuzione.
Attraverso una costante ricerca e con l'utilizzo delle più moderne tecnologie, vuole sempre offrire
un prodotto di alta qualità, ad un prezzo competitivo.
INTESA SAN PAOLO Intesa Sanpaolo si colloca tra i primissimi gruppi bancari dell'eurozona, con una capitalizzazione
di mercato di 27,4 miliardi di euro ed è leader in Italia in tutti i settori di attività (retail, corporate
e wealth management). Grazie ad una rete di oltre 5.900 sportelli, capillare e ben distribuita su
tutto il territorio, con quote di mercato superiori al 15% nella maggior parte delle regioni, offre
i propri servizi a circa 11,3 milioni di clienti. Ha una presenza selettiva in Europa centro-orientale
e nel bacino del Mediterraneo, grazie a circa 1.850 sportelli e 8,5 milioni di clienti delle banche
controllate, operanti nel retail e commercial banking, in 13 paesi. Vanta inoltre una rete
internazionale specializzata nel supporto alla clientela corporate, che presidia 34 paesi, in
particolare il bacino del Mediterraneo e le aree in cui si registra il maggior dinamismo delle
imprese italiane, come Stati Uniti, Russia, Cina e India.
ITALDESIGN GIUGIAROItaldesign Giugiaro è stata fondata nel 1968 da Giorgetto Giugiaro, nominato nel 1999 a Las Vegas
Car Designer del secolo, e da Aldo Mantovani, il tecnologo che ha consentito all’azienda di
registrare negli anni oltre 150 brevetti nazionali ed internazionali, con una formula innovativa
rimasta immutata: fornire all’industria dell’automobile servizi di creatività, ingegneria e sviluppo,
costruzione prototipi di preserie, testing e validazione del prodotto, assistenza alla messa
in produzione ed essere altresì in grado di assumere direttamente la direzione, il coordinamento
e la supervisione dell’intero iter progettuale, compresi l’esercizio del controllo qualità e la delibera
a produzione presso le installazioni della Casa automobilistica. Italdesign Giugiaro, la cui sede
è a Moncalieri in provincia di Torino, nel distretto automobilistico italiano, oggi impiega 800 persone
in sedi in Italia e all’estero e conta 800 stazioni CAS, CAD, CAE e CAM, 16 frese a controllo numerico,
12 presse di vario tonnellaggio, 15 sistemi di misurazione e metrologia, 6 unità di taglio laser robotizzate,
1 sistema di fotogrammetria, 1 scanner laser, 1 cluster di calcolo utilizzato per simulazioni e 2 centri
di realtà virtuale. La divisione di Industrial Design, attiva sin dal 1974, ha sviluppato progetti relativi
a mezzi di trasporto (treni, aerei, imbarcazioni, motociclette,...), di beni di consumo, di packaging, di
corporate identity, attività che si è estesa anche all’architettura e alla pianificazione del paesaggio urbano.
S.p.A.
i soci della consulta 247246 un’Avventura TORINESE
Italgas Italgas è leader in Italia nel settore della distribuzione del gas naturale in ambito urbano.
La Società è controllata da Snam Rete Gas, operatore integrato a presidio delle attività regolate
del gas in Italia, che si occupa di trasporto e dispacciamento, stoccaggio, rigassificazione
e distribuzione di gas naturale.
Oggi Italgas è concessionaria del servizio in oltre 1.400 Comuni tra grandi, medi e piccoli centri.
Distribuisce circa 7,5 miliardi di metri cubi di gas all’anno attraverso un capillare sistema
di tubazioni lungo 50.000 chilometri.
La sua storia è iniziata a Torino oltre 170 anni fa. Da allora Italgas ha orientato la sua azione
contribuendo allo sviluppo economico e al benessere delle comunità nelle quali opera.
Il forte radicamento sul territorio si è sempre concretizzato nell’impegno a fornire servizi
efficienti e di elevata qualità nonché, in una prospettiva di sviluppo sostenibile, nella
valorizzazione del patrimonio ambientale e culturale. Rientra in quest’ottica l’adesione della
Società alla Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino, con lo scopo
di contribuire a migliorare la fruibilità del patrimonio storico, artistico e architettonico della città.
lavazza 1895 -2010: Lavazza ha percorso un secolo di storia dedicandosi esclusivamente al caffè
e diventando una tra le più rilevanti realtà produttive di caffè al mondo.
La sua storia è quella di un’azienda torinese di successo, ma anche di una famiglia che
da quattro generazioni lavora con grande passione per riuscire a coniugare qualità, tradizione
e originalità. Dalle confezioni sottovuoto di caffè macinato negli anni Sessanta, un’innovazione
di portata rivoluzionaria, alle memorabili campagne televisive, dall’espansione verso i mercati
europei ed emergenti che dagli anni Ottanta la vedono ora con 11 consociate dirette presenti
nel mondo, al network del Training Centre con gli oltre 43 laboratori di caffè, Lavazza si è sempre
confermata un’azienda internazionale che, quotidianamente, rinsalda il patto di fiducia
con i consumatori di tutto il mondo. Oggi Lavazza è leader in Italia nel mercato retail con una
quota del 47,6% (in valore, fonte Nielsen) e presente in oltre 90 Paesi, presidiando i business
Casa e Fuori casa (Foodservice, Distribuzione Automatica e Coffee Shop Business). L’Azienda
ha chiuso il 2009 con un fatturato di 1,096 miliardi di euro.
marco antonettoSocietà storica nel panorama farmaceutico italiano, l'azienda nasce nel 1913 e porta il nome
del suo fondatore Marco Antonetto. In quasi 100 anni di storia l'azienda è diventata
un riferimento nel panorama dell'industria farmaceutica italiana. Marco Antonetto Farmaceutici
opera nel mondo della salute con la divisione Farma (specialità medicinali di automedicazione
OTC) e la divisione Sohn (integratori nutrizionali e fitoterapici), secondo un percorso
di continuità tra ricerca, sviluppo e produzione finale.
La creazione costante di prodotti innovativi, caratterizzati da sicurezza e efficacia terapeutica,
è il frutto dell'impegno nella ricerca, attraverso lo sviluppo di tecnologie farmaceutiche originali
volte a fornire soluzioni efficaci e sicure nel campo della salute e del benessere.
MARTINI & ROSSILa storia della Martini & Rossi comincia nel 1863, dopo aver raccolto l’eredità della “Distilleria
Nazionale di Spirito di Vino” nata nel 1847. Fin dal primo momento la società si caratterizza
per l’innata e istintiva vocazione ad espandersi oltre i confini nazionali e per la forte
intraprendenza, che ha diffuso i prodotti e il nome Martini in tutto il mondo, rendendolo
simbolo grazie alla fusione con il Gruppo Bacardi nel 1993 e formando un’unica grande entità
produttiva, commerciale e distributiva, fondata su solide tradizioni e insieme protesa verso
il futuro: il Gruppo Bacardi-Martini, al 3° posto nel mondo fra produttori di alcolici.
MARsiaJ & C.M. Marsiaj & C. s.r.l., fondata nel 1947 da Michele Marsiaj, in pochi anni diventa il punto
di riferimento per importanti gruppi italiani e stranieri nel mondo dell’automotive in Italia.
Con l’ingresso dei figli Piero e Giorgio, rispettivamente Presidente e Amministratore Delegato,
la società diversifica i suoi interessi e diventa holding di famiglia. Nasce nel 1972 Sabelt s.p.a.,
che sarà seguita da altre iniziative industriali con gruppi leader nel mondo quali TRW (USA),
Sumitomo (Giappone) ed Electrolux (Svezia). Oggi la M. Marsiaj&C. detiene partecipazioni
e collabora nel settore Automotive (Sabelt s.p.a.; Brembo Performance Group e TRW
Automotove) immobiliare (Olympic Real Estate, Fenera Real Estate), assicurazioni (Vittoria
Assicurazioni) e della finanza (Fenera Holding s.p.a., Moncanino s.p.a.). Marsiaj è tra i soci
fondatori del Fondo Charme (Gruppo Poltrona Frau).
pirelliPirelli & C. s.p.a., quotata alla Borsa Italiana, è a capo di un gruppo multinazionale con
un'esperienza industriale di oltre 135 anni. Legata fin dalle origini al modo degli pneumatici,
Pirelli ha declinato la propria vocazione industriale in più attività. Negli pneumatici, core
business del gruppo, Pirelli Tyre è oggi il quinto produttore mondiale in termini di fatturato
ed è leader nei segmenti di fascia alta del mercato. Da oltre un secolo è presente nelle
competizioni sportive motoristiche, dal rally alla superbike e dal campionato 2011 sarà
fornitore unico di pneumatici della Formula 1. Il gruppo dispone di una struttura produttiva
di 20 stabilimenti nel mondo e di una rete commerciale presente in oltre 160 Paesi. Affiancano
le attività di Pirelli Tyre quelle di Pirelli Eco Technology, operante nell'ambito della mobilità
sostenibile e nelle tecnologie per il controllo delle emissioni attraverso la produzione e la
distribuzione di filtri antiparticolato. La continua ricerca di un modello di sviluppo sostenibile
è testimoniata anche dalle attività di Pirelli Ambiente, presente nel campo delle energie
rinnovabili, nelle soluzioni per l'efficienza energetica degli edifici e nelle bonifiche ambientali.
Nelle soluzioni dell'accesso a banda larga, opera Pirelli Broadband Solutions, mentre
nel settore immobiliare il gruppo è presente con Pirelli RE, uno dei principali gestori
nel settore immobiliare in Italia e in Europa. Il gruppo Pirelli ha chiuso l’esercizio 2009 con un
fatturato pari a circa 4,4 miliardi di euro e impiega circa 30 mila dipendenti in tutto il mondo.
i soci della consulta 249248 un’Avventura TORINESE
presiderLa società PRESIDER fa parte del gruppo Ferrero, fondato dal cavaliere del lavoro Ettore Ferrero.
Il Gruppo ha avuto, negli anni, come “core business”, la siderurgia intesa come
produzione e commercializzazione di prodotti siderurgici. Oggi le sue attività sono molteplici.
Ha ampliato di recente i suoi investimenti nel settore energia verde e ambiente dove è presente
con la società SIED, proprietaria di 14 centrali idroelettriche in Italia. La PRESIDER, con sede
a Borgaro Torinese (Torino) e stabilimenti a Borgaro Torinese ed a Maclodio (Brescia) dagli anni
80, è una delle più importanti realtà industriali del Gruppo, opera nella lavorazione e posa
di strutture in acciaio per l’edilizia con una produzione di oltre 120.000 tonnellate annue, distribuite
in Italia e in Europa. È diventata leader nella fornitura per opere infrastrutturali: autostrade, viadotti,
metropolitane, linee ad alta velocità e TGV, specializzandosi e acquisendo una riconosciuta
e apprezzata professionalità.
reale mutua assicurazioniFondata a Torino nel 1828, la Società Reale Mutua di Assicurazioni è la più grande compagnia
italiana in forma di mutua, capofila di un gruppo composto da dieci società presenti in Italia
e in Spagna, nel quale operano circa 2.800 dipendenti, per tutelare quattro milioni di assicurati circa.
La particolare forma statutaria di società mutua, che non ha azionisti proprietari, comporta che
il patrimonio sociale appartenga ai soci-assicurati, nel cui interesse sono impiegati i risparmi
realizzati dalla società. Grazie a uno sviluppo costante ed equilibrato, Reale Mutua è una realtà forte
e ben radicata sui mercati assicurativi, finanziari e immobiliari, ove opera attraverso numerose
società controllate, collegate e partecipate, non soltanto in Italia. Reale Mutua, che offre una gamma
molto ampia di prodotti sia nei rami danni sia nei rami vita, a oltre 1.400.000 soci/assicurati
fra privati e imprese, per un totale di oltre 2.500.000 polizze, è presente in Italia con circa
340 agenzie, mentre l’intero gruppo ne conta sul territorio nazionale quasi ottocento.
skfIl Gruppo SKF è leader mondiale nella fornitura di prodotti, soluzioni e servizi nei settori dei
cuscinetti volventi, delle tenute, della meccatronica, dei servizi e dei sistemi di lubrificazione.
L'offerta di servizi comprende anche l’assistenza tecnica, i servizi di manutenzione, il
monitoraggio delle condizioni e le attività di formazione. Oggi l’azienda conta oltre 100 siti
produttivi e una rete commerciale basata su proprie società di vendita, supportate da circa
15.000 distributori. Per SKF, sostenibilità significa combinare la capacità di sviluppare con
successo le proprie attività, con l’impegno a salvaguardare le risorse per le generazioni future.
In quanto società globale che opera in ogni parte del mondo, SKF ha scelto di applicare i più
elevati standard nel campo della sostenibilità in tutte le sue sedi, indipendentemente dalle leggi
e dalle consuetudini di carattere locale. SKF Industrie s.p.a. è la principale Società del Gruppo
SKF in Italia ed è specializzata nella produzione e nella vendita di cuscinetti volventi e servizi
correlati. In Italia operano 11 siti produttivi e più di 4.000 dipendenti.
telecom italiaIl Gruppo Telecom Italia offre oggi infrastrutture e piattaforme tecnologiche su cui voce e dati
si trasformano in servizi di telecomunicazioni avanzati e soluzioni ICT e media all’avanguardia,
strumenti di sviluppo per il Gruppo stesso e l’intero Paese. Telecom Italia, TIM, Virgilio, La7 e MTV
Italia, Olivetti sono i suoi principali marchi, icone familiari ai consumatori e garanzia di affidabilità
e competenza. Vicinanza al cliente e innovazione tecnologica le parole chiave del Gruppo, con una
organizzazione snella e centrata sulla qualità del servizio, offerte semplici, attenzione ai momenti
di contatto con la clientela e costante attività di ricerca nei laboratori di TILab. Oltre alla leadership
domestica nelle telecomunicazioni fisse e mobili - con 16,1 milioni di collegamenti retail alla rete
fissa, 7 milioni di clienti broadband retail, 30,8 milioni di linee mobili - Telecom Italia possiede
un’importante presenza in America Latina, dove TIM Brasil con 41,1 milioni di linee mobili,
si conferma uno dei maggiori player.
unione industriale di torinoL’Unione Industriale di Torino nasce nel 1906 e da essa, nel 1910, prende vita Confindustria,
la Confederazione Generale dell’Industria Italiana.
L’Associazione torinese raccoglie oggi oltre 2.500 imprese, piccole, medie e grandi, con circa
200.000 addetti in tutti i settori merceologici manifatturieri e del terziario innovativo.
All’azione istituzionale di tutela, di rappresentanza e di promozione degli interessi industriali,
l’Associazione affianca una gamma sempre più ampia e aggiornata di servizi volti ad accrescere
la competitività delle imprese. Inoltre, nel corso degli ultimi anni, ha sviluppato un’intensa
attività di intervento nella vita sociale e culturale della città, diventandone, a fianco delle imprese,
protagonista attenta e vitale.
vittoria assicurazioniRiconosciuta per affidabilità ed efficienza, Vittoria Assicurazioni opera in tutti i settori assicurativi
e fonda la propria attività su una lunga esperienza maturata fin dal 1921; sempre in primo piano
nella tutela assicurativa e previdenziale delle realtà sia familiari, sia aziendali, si avvale di una
capillare organizzazione commerciale qualificata e costituita da 330 Agenzie e 423 Sub-Agenzie.
Grazie alla maturata esperienza nel campo assicurativo nell'arco di quasi un secolo, nonché
alla professionalità, l'impegno e la serietà con cui tutela i propri clienti, uniti alla trasparenza
dei contratti ed alla massima chiarezza verso i suoi assicurati, Vittoria Assicurazioni riscontra la piena
soddisfazione ed i consensi delle molte realtà socio-economiche con cui essa interagisce.
© 2010 Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino
TUTTI I DIRITTI RISERVATI
Realizzazione editoriale a cura di:Canale Arte Edizioni
www.canale.it
Coordinamento editoriale: Marita BassanoProgetto grafico e impaginazione: Blù di Anna Avantaggiato - Collegno - TO
Stampa: G. Canale & C. SpA - Borgaro Torinese - TO
Coordinamento per Consulta: Angela Griseri
Stampato su carta R4 Satin - 150 g/m2 per gli interni e 350 g/m2 per la copertinaprodotta da Burgo Group
Finito di stampare nel mese di novembre 2010
i soci della consulta
ALLEANZA TORO ASSICURAZIONI
ARMANDO TESTA
BURGO GROUP
BUZZI UNICEM
CAMERA DI COMMERCIO DI TORINO
C.L.N.
COMPAGNIA DI SAN PAOLO
DELOITTE & TOUCHE
ERSEL
EXOR
FENERA HOLDING
FERRERO
FIAT
FONDAZIONE CRT
GAROSCI
G. CANALE & C.
GRUPPO FERRERO-PRESIDER
INTESA SANPAOLO
ITALDESIGN-GIUGIARO
ITALGAS
LAVAZZA
MARCO ANTONETTO FARMACEUTICI
MARTINI & ROSSI
M. MARSIAJ & C.
PIRELLI
REALE MUTUA ASSICURAZIONI
SKF
TELECOM ITALIA
UNIONE INDUSTRIALE DI TORINO
VITTORIA ASSICURAZIONI
W W W. C O N S U LTA D I T O R I N O . I T