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Sergio e i bambini dimenticati Storia di inganni e innocenza
Avete sette anni. Siete reduci da un viaggio che vi è
sembrato infinito, compiuto, insieme alla vostra fami-
glia, in un vagone destinato al bestiame. Con voi, in
una baracca di legno, solo le vostre due cuginette,
insieme ad altri bambini che non riuscite a capire,
perché parlano lingue diverse dalla vostra. Vi chiede-
te cosa stiano facendo la nonna e la zia, che non vi
hanno seguito, per andare verso destra. Alcuni uomi-
ni dall’aria gentile entrano nella baracca. Stanno in
piedi di fronte a voi e chiedono, guardandosi attorno:
“Chi vuole vedere la mamma?”. Tatiana vi aveva det-
to qualcosa a proposito di questa domanda. “Di’ di
no”, aveva detto. Cosa significa? È ovvio che volete
vedere la mamma. E quindi accettate. Un
passo avanti, e si parte.
Con il sorriso stampato sul volto, Sergio
de Simone, insieme a diciannove bambini
francesi, olandesi, slavi e polacchi, sale su
un treno che lo porterà al campo di con-
centramento di Neuengamme, il 29 no-
vembre 1944. Ha appena salutato Tatiana
e Andra, le sue cuginette di nove e sette
anni, che avevano deciso di dare ascolto
ad una donna, che aveva detto loro:
“Vogliono portarvi via, vogliono imbro-
gliarvi. Voi dite di no”. Così fecero: e
questo fu ciò che salvò loro la vita.
Sergio, Tatiana e Andra erano stati arre-
stati una sera tardi, a Fiume. Se lo ricor-
dano perché erano già a letto. La mamma li aveva
svegliati, vestiti e poi erano partiti tutti insieme. Erano
rimasti circa due giorni alla Risiera di San Sabba, a
Trieste, per poi partire verso una destinazione ignota.
Dopo sei giorni, gli adulti si resero conto di essere
arrivati al campo di concentramento di Auschwitz-
Birkenau. Alle donne furono tagliati i capelli e, logica-
mente, furono assegnate alla baracca delle donne. I
bambini furono da loro separati.
Quando le due bambine constatarono che Sergio
aveva deciso di non dare loro ascolto, sapevano che
non sarebbe successo niente di buono.
Arrivati a Neuengamme, Sergio e gli altri bambini
vengono affidati alle cure di quattro deportati, due
medici francesi e due infermieri olandesi, che contri-
buiscono a far passare un periodo di relativa tran-
quillità. Al termine di questo, quando i bambini sem-
brano sereni e in salute, il dottor Kurt Heissmeyer
ritiene che sia il momento adatto per dare inizio al
progetto che aveva in mente da tempo. Il 9 gennaio
1945, a tutti i venti bambini vengono inoculati dei
bacilli tubercolari. L’aveva già fatto con dei prigionieri
russi, ma l’esperimento non aveva dato gli esiti desi-
derati. Questo non è tuttavia un motivo valido per
smettere di cercare. E non lo è nemmeno il fatto che
lui stesso si basi su degli studi che già al tempo ven-
gono riconosciuti come inattendibili. L’iniezione di
quei bacilli avrebbe comportato la produzione di
anticorpi e lui avrebbe scoperto il vaccino contro la
tubercolosi polmonare. Tuttavia, quando ai bambini
furono asportati i linfonodi, collo-
cati nella zona ascellare, non risul-
tò traccia di alcun anticorpo. Unica
traccia, le foto dei venti bambini,
rasati a zero, con il braccio destro
alzato e un taglio che percorreva
loro l’ascella. L’ultima foto che
abbiamo di Sergio.
È il 20 aprile 1945: gli Alleati sono
alle porte, i bambini sono malati e
stanchi. Da Berlino arriva l’ordine
di far in modo che non rimanga
traccia dell’accaduto. Dunque i
bambini vengono caricati e trasfe-
riti nella scuola di Bullenhuser
Damm, sezione distaccata del
campo in cui si trovavano. I primi ad essere uccisi
sono i loro quattro custodi che, invano, avevano
tentato di impedire che la strage fosse portata a
termine. Nella notte ai bambini viene iniettata una
dose di morfina. E vengono impiccati alle pareti di
una stanza, nei sotterranei della scuola di Bullenhuser
Damm. “Come quadri alla parete”, dirà uno degli
esecutori.
Kurt Heissmeyer, inizialmente scagionato in quanto
non fu l’esecutore materiale del delitto, fu condanna-
to all’ergastolo nel 1966, dopo più di vent’anni di
silenzio.
Solo nel 1983, la madre di Simone, sopravvissuta alla
deportazione, fu informata dell’eccidio.
Ora, l’area della scuola in cui si consumò la strage, è
un museo dedicato a quei venti bambini.
Sofia Fresch, 1LC
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Editoriale
Cari lettori ,
Come di consueto vi do il benvenuto al nostro nuovo
numero di voci di corridoio!
Sono tornata a casa da scuola da pochissimo e sto
tentando di scrivere qualche riga sensata in questo
nuovo editoriale ma non ce la faccio. Oggi, 24 gen-
naio 2017, noi studenti della sede di Oderzo, abbia-
mo avuto il piacere e l’onore di incontrare, un so-
pravvissuto al campo di Mauthausen, Luciano Batti-
ston, e questo mi ha davvero molto colpita.
La sua storia, come quella di molti altri, ci fanno capi-
re l’importanza della vita umana e perché sia impor-
tante ricordare e non cercare di celare sotto falsi
nomi quello che la storia ha prodotto.
Per questo motivo noi della redazione abbiamo deci-
so di dedicare una parte di questo numero alla gior-
nata della memoria, per riscoprire storie, testimo-
nianze ed eventi e non dimenticarli mai.
Grazie e buona lettura
Altea Nardo 2LC
Ci affidiamo a questi versi per dare inizio alla nostra rubrica dedicata alla Giornata della Memoria, al ricordo e
alla tristezza di chi ancora non si dà pace per la sofferenza provata. Sappiamo che non si tratta di un tema
facile, per questo noi della redazione ci siamo impegnati a scrivere articoli semplici e coinvolgenti. Ci siamo
riusciti? A voi il giudizio!
Prima vennero...
Prima di tutto vennero a prendere gli zingari
e fui contento, perché rubacchiavano.
Poi vennero a prendere gli ebrei
e stetti zitto, perché mi stavano antipatici.
Poi vennero a prendere gli omosessuali,
e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi.
Poi vennero a prendere i comunisti,
ed io non dissi niente, perché non ero comunista.
Un giorno vennero a prendere me,
e non c’era rimasto nessuno a protestare.
Bertolt Brecht
Ritorna l’appuntamento con il cruciverba a tema! In questo numero metteremo alla prova le conoscenze lette-
rarie di voi lettori, consigliandovi nel frattempo di dare un’occhiata ai titoli qui proposti nelle definizioni. Buona
fortuna!
1)I sommersi e i ….. di Primo Levi
2)La vecchia fiamma di Mr. Gatsby
3)La città russa di Delitto e castigo
4)Romanzo d’esordio di Banana Yoshimo-
to
5)Le sorelle di Orgoglio e pregiudizio
6)Per Wilde è importante chiamarsi così
7)La Agatha di Dieci piccoli indiani
8)Il Renton di Trainspotting
9)Lo è del male nel libro di Hannah Arendt
10)È rivolta a loro la Guida galattica di
Douglas Adams
11)Regione della Terra di Mezzo in cui vive
lo hobbit Bilbo Baggins
12) giovane del romanzo di J. D. Salinger
13)Autore di Anna Karenina
Cruciverba letterario
Irene Martin, 3LC
Unisciti a noi! Ciao, unisciti anche tu alla nostra redazione! Fai sen-
tire la tua voce insieme alla nostra!
Puoi provare anche solo per un numero e vedrai che
non smetterai più.
Per informazioni fermaci nei corridoi o contattaci sui
social!
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Redazione Altea Nardo, 2LC (caporedattrice)
Lidia Bini, 2LC
Alice Spilimbergo, 2LC
Eva Buosi, 2LC
Giulia Paludo, 2LC (copertina)
Irene Martin, 3LC
Sofia Fresch, 1LC
Andrea Cadamuro, 3LC
Riccardo Biasotto, 1LC
Antonio Pizzato, 4g
Anna Pessotto, 4LL
Marco Crosato, 5CLS
Alberto Rosada, 3LC (impaginazione)
Chiara Sgorlon, 3BLS (impaginazione)
Sotto la supervisione del prof. Tiziano Rorato
Spazio poesia
Cari lettori, concludiamo la sezione dedicata alla Giornata della Memoria nello stesso modo in cui abbiamo
iniziato. Vi proponiamo infatti delle poesie scritte dai membri della nostra redazione in onore del Ricordo,
speriamo vi piacciano e vi tocchino il cuore.
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La giornata di Trump o…?
Le ultime elezioni americane sono state tra le più
discusse di sempre, grazie a frasi sconvenienti ed
emails sospette, il mondo intero le ha seguite passo
passo e moltissimi sono stati scontenti dell’esito. Do-
nald Trump, nuovo presidente degli Stati Uniti, ha uno
dei livelli di gradimento più bassi di sempre tra tutti i
presidenti americani della storia, solamente il 40% del
popolo gli è favorevole, ma nonostante ciò, sabato 21
gennaio ha pronunciato il suo giuramento, diventan-
do così il 45esimo presidente americano.
Ma sabato non è stata solo la sua giornata, si era visto
già dalla folla andata ad assistere all’evento, stimata a
900.000 persone, sebbene molti sostengano fossero
di meno, che si contrappone nettamente a quella che
ci fu per Obama, prima 1.800.000
persone, poi un milione.
Tuttavia, il presidente meno ama-
to di sempre si è trovato, non
solo ad avere l’appoggio di così
poche persone, ma anche a do-
ver pronunciare il suo giuramen-
to mentre c’erano marce femmi-
niste a Washington e in molti altri
luoghi nel mondo, tutte molto
più numerose delle previsioni:
solo a Washington c’erano oltre mezzo milione di
persone.
Anche molti nomi noti hanno preso parte a queste
manifestazioni, come la cantante Katy Perry, Scarlett
Johansson, Julianne Moore e Madonna, che con il suo
discorso ha infuocato la folla di manifestanti.
Ma perché tutte queste persone hanno sentito il biso-
gno di scendere in strada e far sentire la propria voce?
Ci sono stati innumerevoli motivi, ma tutti vertevano
sull’uguaglianza che il femminismo sta combattendo
per ottenere.
Tra la folla c’erano molti rappresentanti della comuni-
tà LGBT+ che chiedevano l’uguaglianza dei diritti
anche per loro, simile era anche lo scopo di molte
persone di colore che hanno manifestato, che hanno
aggiunto la richiesta di porre un limite alle aggressioni
della polizia, che hanno dimostrato quanto il razzismo
non sia affatto un problema risolto.
Un altro tema centrale della protesta era la cessazione
della violenza sessuale, i protestanti hanno chiesto
leggi più dure e la denuncia di tutti i casi di stupro, ma
ovviamente, prima di tutto, chiedono che questi epi-
sodi non si verifichino più.
Il tema della violenza sessuale era molto caldo anche
perché Trump è stato accusato da diverse donne di
stupro, accuse che lui ha negato, senza però convin-
cere nessuno.
Infatti, molte erano i cartelli con scritto “Grab‘em by
the pus*y” una citazione del neopresidente, che è
notoriamente disprezzato dal movimento per i suoi
commenti sessisti, razzisti e omofobi.
Molti altri cartelli riguardavano la libertà di abortire,
tema discussissimo: molte persone obbiettano, cosa
che sta causando molti problemi alle donne che han-
no deciso di intraprendere questa strada, colpevoliz-
zate e private di un diritto.
La marcia è stata letta come una protesta anti-Trump,
è in certo qual modo lo è: molte
persone sono rimaste sconvolte
dal fatto che l’America abbia
scelto un uomo così come pre-
sidente, con i suoi ideali misogi-
ni, razzisti e omofobi.
Ma non è stato questo lo scopo
principale della manifestazione:
tutti i partecipanti, uomini o
donne che fossero, avanzavano
al grido “I diritti delle donne
sono diritti umani” che è notoriamente una delle frasi
più rappresentative del movimento.
Più tardi anche Hillary Clinton, pur non potendo par-
tecipare in quanto al giuramento del presidente, ha
ringraziato chiunque abbia partecipato perché stava
combattendo per i diritti di tutti quanti.
Dunque, nonostante alcuni slogan comprendessero
frasi come “Not my president” o “love Trumps hate”,
la manifestazione era un affermazione della volontà di
combattere per i diritti di tutti, più che un diretto
attacco al neo presidente, che è conscio della ferma
opposizione che si trova ad affrontare un’opposizione
decisa, unita e forte.
Quindi possiamo concludere che no, non è stato sola-
mente il giorno di Trump e del suo insediamento, ma
anche il giorno in cui si è sentita chiara e forte la voce
del movimento femminista e, nonostante i tweets che
il presidente ha scritto in seguito, con commenti sui
cortei, resta forte il sostegno che tutte queste persone
hanno ottenuto e ottengono.
Eva Buosi, 2LC
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“We are number one”
come i memes possano fare del bene.
Verso Ottobre dell’anno scorso su Youtube iniziarono
a comparire numerosi video dal titolo “We are num-
ber one”.Alla fine mi decisi a guardarne uno spinto
dalla noia: così scoprii questo remix di una clip presa
da un famoso show per bambini islandese popolare
in tutta Europa, La-
zytown, diventato ormai
virale sul web. Tuttavia
leggendo le descrizioni
del video la sua storia
prese una piega com-
pletamente diversa:
infatti Stefan Karl,
l’attore che impersonava
il protagonista di questa
canzone, poco tempo
prima aveva subito
un’operazione per curare un cancro pancreatico che
per un anno gli avrebbe impedito di lavorare. Un
gruppo di fan della serie allora creò una pagina su
“gofundme.com” con l’obiettivo di raccogliere
100.000$ per aiutarlo economicamente durante la
convalescenza, obbiettivo raggiunto in soli tre mesi
grazie alla pubblicità fatta attraverso questi video. Ai
primi di dicembre lo stesso Stefan pubblicò un video
in cui ringraziava tutti i fan e sostenitori che avevano
contribuito alla raccol-
ta fondi, rendendo di
pubblico dominio le
varie elementi della
clip usata nei video
come segno di gratitu-
dine. Questa storia
serve a ricordarci che
dietro a memes e
video possono esserci
temi più profondi, a
volte meglio trasmessi
attraverso una risata che con un saggio ,soprattutto
nella società moderna.
Andrea Cadamuro, 3LC
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Primavera partente
È sotto il sole dei pomeriggi
Di tarda primavera
Che senti scorrere i secondi sottili
Sottopelle, come sangue in una vena
È un brivido stupendo
Per un freddo non presente
Causato da malinconia fatta vento:
sinfonia del partente
È una melodia benedetta
Dal cielo ceruleo e dal tetto aperto
E concentrandoti realizzi che scorre lenta
La grande clessidra che è il deserto
È una sabbia bollente e un poco amara
Quella che ti ritrovi tra le mani
E in fondo sai che non può venire dal Sahara
Eppure porta aromi e sorrisi così lontani
Lontani come i sospiri che verserai
Fra qualche anno, mese, giorno
Non hai ancora deciso eppure già li hai
Gli occhi del viaggiatore che non farà ritorno
Marco Crosato, 5CLS
Ricordo
Come foglie al vento
contro il lieto tormento
di un sogno passato
e un futuro sognato
nel tempo andato
nello scocco intonato
Anna Pessotto, 4LL
Pomeriggio di pioggia
Ed era un pomeriggio di pioggia
di quelli da scrivere al ritmo
del pacifico pianto lento del cielo
fino a svuotarsi da ogni parola
e far giungere senza fretta la sera
ma come ticchettava leggero
il tempo
quel giorno.
L'aria entrava nelle ossa pian piano
non per il freddo ma
per una sua sottile promessa
di portare la tua pioggia lontano
e tu la accoglievi felice
che non c'è strada che non meriti
di essere percorsa
sia pur solo
da una goccia.
Il fuoco crepitava da spento
per consolare la legna inumidita
che dormiva di un sonno malato
e rassicurarla che si sarebbe svegliata
in una mattina di Sole
di quelle in cui la fiamma nel caminetto
arde più forte
solo che
non si fa vedere.
Il respiro esitava a mezz'aria
tinto di bianco dal soffio del mare
che bagnava la spiaggia deserta
in cui le onde suonavano un ritmo perduto
e si abbandonavano all'alba
che sarebbe prima o poi giunta
come sempre, no?
Eppure ticchettava lento
il tempo
quel giorno.
Marco Crosato, 5CLS
Lavandino da parrucchiera
Con l’inesorabile scorrere dei secoli, il genere
umano si è contraddistinto dalle bestie selvati-
che per estro creativo, acume e sagacia, circon-
dandosi di utilissimi ninnoli indispensabili per
affrontare le sfide quotidiane: dalla ruota alla
lampadina, dalla bussola alla stampa, dallo
streaming illegale di film alla pizza a domicilio. Il
nostro genio non si è limitato pigramente a
viziarci con ogni comfort, ha addirittura smussa-
to quelle fastidiose scaramucce che avrebbero
potuto sminuire la grandiosità di certe invenzio-
ni: i sedili degli aeroplani low-cost sono miglio-
rati a tal punto che quasi nessuno preferisce
attraversare l’Oceano Atlantico a nuoto, mentre,
dopo l’introduzione della sella, il numero di
cavallerizzi maschi affetti da infertilità è diminui-
to notevolmente.
Nonostante ciò, esiste tutt’oggi una catastrofica
piaga apocalittica immune ad ogni coraggioso
tentativo umano di renderla gradevole ai comu-
ni mortali: il lavandino da parrucchiera, un orri-
pilante strumento di ceramica che tortura sadi-
camente lo sternocleidomastoideo dei clienti
bisognosi di una spuntatina. E mentre sei lì,
come una lucertola freddolosa spalmata su una
roccia, ti domandi solo se il famigerato caschet-
to con cui la Carrà ha sfondato nel piccolo
schermo non sia nato proprio da qualche in-
comprensione con un lavandino simile.
In un mondo spietato, dove il continente nero
patisce la fame, il dittatore sovrappeso della
Corea del Nord ha usato missili nucleari come
botti di Capodanno e Taylor Swift continua a
produrre musica pur non avendo un briciolo di
talento, abbiamo davvero bisogno anche di
questo dispiacere? Voglio dire, se già molte
persone escono dal salone in lacrime perché la
parrucchiera, sotto richiesta di accorciare sola-
mente le punte, li ha scotennati, infierire sulle
nostre cervicali non è necessario.
Mi rendo perfettamente conto, però, che
l’alternativa sarebbe infradiciarci la nostra chio-
ma ribelle con il getto di una pistola ad acqua.
Perciò, infiammiamo la rivolta popolare contro
le ingiustizie commesse dalle multinazionali di
lavandini scomodi: io propongo di presentarci
dal nostro parrucchiere di fiducia armati di quei
soffici appoggiacollo da viaggio a U.
E mi aspetto che mi seguiate tutti a ruota.
Riccardo Biasotto, 1LC
We will rock you!
C’è un futuro per il rock? Per cercare di capirlo par-
tiamo dall’inizio
In principio furono gli anni Sessanta, e con loro i
fondatori del genere, i mostri sacri: Beatles, Rolling
Stones, Who, Kinks, Jimmy Hendrix… nasce il rock e
l’entusiasmo è alle stelle per questo nuovo tipo di
musica che sa essere aggressivo come dolce, tingen-
dosi di sfumature blues, jazz e anche pop.
Poi arrivano gli anni Settanta e iniziano a emergere i
sottogeneri: i Led Zeppelin portano con sé l’hard
rock; i Pink Floyd rendono popolare il progressive
rock; David Bowie si fa portavoce del glam rock; i
Queen riassumono tutte le tendenze del tempo con
la loro straordinaria tecnica e inventiva.
Dopo vent’anni ai vertici di ogni classifica musicale
però il genere sembra avviarsi a un lento declino, o
meglio ad un’evoluzione che lo porta lontano dalle
origini: nascono il metal, il punk rock, il grunge. Cer-
to, ci sono ancora artisti rock più tradizionali, come
Dire Straits, Bruce Springsteen e Guns’n Roses ma,
nonostante l’immenso successo, non sono padroni
assoluti del palco, conteso dai nuovi generi.
E poi i fatidici anni Novanta: gli occhi si spostano
altrove, i gusti del pubblico cambiano e inizia l’ascesa
della musica pop rispetto a quella “d’autore”. Alcuni
arrivano a parlare della morte del rock: i più disfattisti
ignorano i pochi (seppur validi) segni di vita che il
genere dà con band post-punk come Green Day e
Blink 182, mentre i più puristi non le ritengono suffi-
cientemente in linea con le origini per eleggerle co-
me nuove portabandiera della musica.
Eppure poco prima del nuovo millennio arriva sotto le
luci della ribalta un nuovo gruppo, che ottiene un
clamoroso successo di vendite e critica con un genere
del rock non nuovo ma mai così popolare prima: nel
1997 emerge dagli scaffali di pochi appassionati per
raggiungere il grande pubblico l’alternative rock per
merito dei Radiohead, con il loro album Ok Computer.
La band britannica si fa portatrice di un modo di fare
musica che ricorda quello delle migliori gruppi del
passato: il gusto per la sperimentazione soppianta la
ricerca di assecondare i gusti del pubblico, l’atmosfera
è profondamente introspettiva, i testi non hanno
paura di toccare tematiche forti anche a costo di risul-
tare poco chiari.
Numerose band seguono i loro passi: Muse, Coldpaly,
Panic! at the disco, Artic Monkeys, Linkin Park… tutte
abbracciano l’alternative rock e vengono ampiamente
influenzate dai Radiohead, eppure in nessuna di que-
ste sembra esserci l’intento di far evolvere il genere
che caratterizza la band britannica, ancora oggi conti-
nuamente pronta a reinventarsi.
La domanda quindi per questo genere musicale che
una volta si innovava continuamente e ora sembra
stagnare è: cosa si dirà fra vent’anni, “c’era una volta il
rock” o “c’è stata una svolta per il rock”?
Marco Crosato, 5CLS
11 10
Recensione miss Peregrine e la casa dei ragazzi speciali
Miss Peregrine e la casa dei ragazzi speciali , da poco
conosciuto per la rielaborazione cinematografica di
Tim Burton, è un romanzo fantasy di Ransom Riggs,
giovane scrittore statunitense che per diletto si dedi-
ca alla fotografia e che con questi suoi primi tre ro-
manzi si
è già
posizio-
nato in
vetta in
moltissi-
mi stati.
Questo
libro non
è con-
venzionale, e forse è proprio questa la chiave del suo
grande successo; infatti all’interno, ci sono foto in
bianco e nero che descrivono le stranezze dei perso-
naggi e della storia quasi meglio che con l’uso di
mille parole. Sono tutte risalenti all’epoca della se-
conda guerra mondiale e prese da varie collezioni e
da mercatini delle pulci, alcune sono state modificate
e altre no, ma in tutte aleggia un atmosfera di miste-
ro e fanno sentire inquieto il lettore.
Ma veniamo alla trama, il protagonista della nostra
storia è Jacob, un adolescente Americano dei nostri
giorni senza amici e proveniente da una famiglia
benestante ma con pessimi genitori, l’unico a dargli il
proprio sostegno è il nonno Abarham Portman, che
tutti credono pazzo.
La vita del nonno ha sempre affascinato Jacob, infatti
lui era ai suoi occhi un eroe, un sopravvissuto alla
seconda guerra mondiale che dalla Polonia, essendo
ebreo, ha dovuto fuggire ai mostri, come li chiamava
lui, per andare a vivere nella casa dei bambini speciali
sull’ isola di Cairnholm in Galles. Una vita passata a
combattere i nazisti, dicevano tutti, una vita da cac-
ciatore di mostri, diceva lui.
Ogni sera quando era bambino gli raccontava delle
storie, storie su mostri, bambini con i poteri magici e
una donna, Miss Peregrine, colei che li accudiva nella
loro casa sull’ isola. Crescendo però a Jacob le storie
sembravano sempre più assurde…insomma ragazzine
volanti, morti resuscitai, persone invisibili…suo nonno
era pazzo, questa
era la verità, lui non
doveva fare altro
che accettarla.
Pochi giorni prima
del suo complean-
no però Jake viene
chiamato dal non-
no nel cuore della
notte ma tutto
quello che trova è il
corpo del vecchio
in un bosco vicino
alla casa dove
abitava, senza vita
e ucciso da un
qualcosa…qualcosa che solo Jacob riesce a vedere…
qualcosa di molto simile ad un mostro.
Così il giovane ragazzo, dopo aver lasciato alla polizia
la sua versione degli eventi viene creduto pazzo,
forse ancora più strano delle ultime parole del vec-
chio che continuano ad assillarlo. Dopo mesi di psi-
coanalisi con scarsi risultati e di indagini segrete sulla
pista lasciatagli dal nonno, Jacob riesce a farsi conce-
dere il permesso di un viaggio, verso l’isola di Cair-
nholm, un modo per commemorare definitivamente
il nonno e indagare nel suo passato…un modo per
incontrare Miss Peregrine e i suoi bambini speciali.
È proprio qui la vita inizia per Jake, e che l’avventura
del inizia a trascinare il lettore trasportandolo in
mondo fantastico fatto di Yambrinee , donne uccello
capaci di controllare il tempo, custodi degli speciali
(persone con abilità fuori dal comune)e vacui.
L’abilità di Riggs viene fuori tutta in colpo, mostran-
doci la seconda guerra mondiale in un allegoria inso-
lita e penetrante, regalandoci una storia intensa piena
di amore, amicizia e magia che, a mio avviso, si può
classificare come uno dei più originali e moderni
racconti sull’ antisemitismo.
Altea Nardo 2LC
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La posta del cuore di Lella
From: [email protected]
My dear Lella,
Sono un ex alunno di questa scuola e ho 19 anni.
Ti scrivo perchè sono in crisi, e ho bisogno dei tuoi preziosi consigli per risolvere il problema. Come forse avrai
intuito, il mio sogno è quello di diventare un modello, uno di quelli pagati tantissimo che sfilano per le grandi
marche, ma, purtroppo, in Italia non è così facile trovare un modo per emergere dal nulla in questo mondo. Così
ho conosciuto un ragazzo su internet che abita in America, in Florida e mi ha detto che lui per realizzare il suo
parteciperà ad America's Next Top Model, così avrei pensato di andarci anche io. Solo che tutti i miei familiari
mi hanno deriso perchè per farlo dovrei abbandonare l'università (design e moda) , la mia famiglia non vuole
pagarmi il volo e la mia ragazza è furiosa perchè crede sia tutta una scusa per lasciarla ! Ti prego aiutami tu.
From: [email protected]
Ciao Modello! (Perchè sei rimasto anonimo tesoro? Ora dovró inventarmi dei nomignoli!)
Allora, io come te non sono una persona con molti risparmi, considerato che per riuscire a pagare la bolletta
scrivo corbellerie in questa rubrica.
Io credo che il tuo sia tutto un problema di psiche e di poca fiducia in te stesso! A Milano ci sono un sacco di
agenzie che cercano modelli, e per iniziare non ti serve certo Armani, devi saper scendere a patti! Pensi forse
che la mia più grande ambizione sia scrivere qui? Una plurilaureata in lettere classiche come me? No! ma per
sfondare nel mondo del giornalismo e riuscire a dominare il mondo attraverso i media, ho bisogno di questo
giornalino (e di un esercito di guerrieri messicani che cavalcano lama) ! E credimi io li troverò e ci riuscirò perchè
VOLERE È POTERE! Io vedo il fatto che tu voglia andare in America come un fattopsicologico, ma se proprio
devi non piagnucolare ! VAI! E per quanto riguarda i tuoi hanno ragione! Vuoi la bici ? Pedala! Vuoi andare in
America? Ti compri il biglietto! . Riguardo alla tua vita sentimentale, penso che prima dovresti capire se questa
ragazza ti merita davvero…insomma chi le impedisce di venire con te? Perché, se ti ama perché ostacolare la tua
vita e i tuoi sogni? Chiedile più appoggio!
Comunque ricorda che io non sono specializzata in adulti(in verità neanche in ragazzini o bambini) ma se la
tua ragazza ti molla potresti passare da me!
Come ultima cosa ti consiglio delle sedute da uno psicologo perché, micetto caro, mi sembra che tu abbia molti
più problemi insiti in te stesso della sottoscritta e ciò è grave...Poi vabbè mal che vada puoi sempre organizzare
un concorso di moda ad Oderzo con giudici specializzati tutti da vedere….altro che Enzo e Carla o Tyra Banks, ci
mettiamo tutto il corpo docente dello scarpa con conduttrice d’eccezione Maria Graziella Bella!
P.s. TU CHE HAI L'ETÀ PER FARLO, VOTA LELLA E IL PARTITO DEI LAMA VOLANTI
Auguri e figli maschi!
Lella
CARI LETTORI, abbiamo deciso di darvi la possibilità di ottenere i preziosissimi consigli
dalla nostra mitica Lella! Contattarla è semplice, scriveteci al nostro indirizzo mail
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And the winner is...
E’ stata una gara all’ultimo punto, ma alla fine il logo
ha l’ha spuntata: è questo il disegno più votato dagli
studenti dello Scarpa e lo troveremo sulle magliette. Il
logo A, che potete vedere qua sotto è stato disegna-
to da Irene Drusian, di 4^ liceo linguistico, a cui biso-
gna fare due volte i complimenti: era suo anche il
logo che aveva vinto il concorso nel 2015, quello delle
vecchie magliette per intenderci! Brava Irene, ma
brava anche Giulia, di 2^ liceo classico, arrivata ad un
soffio dalla vittoria con il suo logo, il C che ha ricevu-
to quasi tante preferenze come il vincitore. Un po’
distanziato troviamo il B, e in quinta il logo D, a cui
personalmente assegnerei il premio della critica per
l’originalità. .
In ogni caso, un grazie di cuore a tutti i partecipanti:
Federica, Giulia, Damiano, Marta, Veronica, Andrea,
Alberto, Tanvir, Jasmeen, Irene, Arianna, Andrea, Lisa,
Enrico, Andrea.
Alberto Rosada, 3LC
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Ipse dixit!
Pradissitto: "Metti giù quel telefono!"
Alunno: "Quale telefono? È una calcolatrice"
Prof: "Cos'ha, il touch screen, che la usi come se stessi
scrivendo messaggi?"
Dalla Torre: (Mentre D fa la cartella)
Prof:”Che cosa stai facendo D?”
D: “Oh scusi prof, pensavo fosse finita l'ora…”
Prof: “No mancano ancora 20 minuti circa."
Alunna( dopo aver scritto un esercizio sbagliato alla
lavagna"Noo, ho sbagliato. Scherzavo!"
Cesaro (dopo una correzione sbagliata ): "No, stai
scherzando ancora!"
Praddissitto: “D. Smettila di parlare! Ho un occhio
anche dietro!”
Alunna: “Oddio, come Malocchio Moody di Harry
Potter!!”
Prof: “Non per vantarmi, ma si sono ispirati a me
infatti."
Vendrame: “"La parola ""jihad"" significa ""sforzo"".
Alunno: “ Sono andato in bagno per fare una jihad.”
Vendrame : “È tipico di te, infatti ne è uscito uno
st****o, letteralmente.”
Costella: “Cominciamo con Marco Pollione Vitruvio,
che ovviamente non è un allevatore di polli.”
Costella: “Ed ecco gli archi e le volte. Possiamo anche
dire, nel caso dei Romani, "C'era una volta".”
Costella: “Cos'erano le strade consolari? Erano le stra-
de dove i Romani andavano quando erano tristi!”
Martin: “E adesso troviamo le incognite alla babilone-
se! Che facce che avete: mi diverto ogni volta che lo
dico!!”
Martin: (uscendo dall’aula) “Grazie a tutti di aver scelto
l’informazione, buona continuazione con i nostri pro-
grammi!”
Alunna: “vedendo che la guerra essere spostata …”
Bolzan: “Si ma, per favore, non parliamo come gli
indiani nei film del Far West.”
Bolzan: “Le ore di recupero di latino saranno impiega-
te nella realizzazione di un cartellone gigante con
scritto “Fare l’analisi” e chi non lo farà sarà defenestra-
to! Beh dai … speriamo di essere al primo piano così
non faccio danni.”
Battel: “Per capirci i Greci non credevano al comincia-
mento del mondo.”
Battel: “Le idee per Platone sono come gli Oro Saiwa
che li metti lì nel latte, torni dopo due giorni e sono
ancora duri.”
Battel: “ E ovviamente la connessione non va! (riferito
al PC) Che Dio lo strafulmini!”
Battel: (il 10 gennaio) “Che bello ragazzi siamo tornati
a scuola! Potrei procurarmi un’incudine e martellarmi
le parti sporgenti del corpo … che dura la vita!”
Battel: “La cosa più divertente che ho fatto in queste
vacanze è stato leggere tre libri sul Risorgimento.
Pensate che vacanze di m***a che ho avuto!”
Battel: “Voi mangiate la pizza con le patatine, come
potete? Io lo reputo la manifestazione della decaden-
za dell’Occidente.”
Battel: “Dai P. sveglia c’è di peggio di una lezione su
Platone alla prima ora. Ad esempio a me ieri si è inta-
sato il c***o e ho avuto una giornata di m***a. in sen-
so stretto.”
(Entra in classe una bidella che chiede un modulo di
autorizzazione ad una alunna)
Alunna: “Si, si l’ho consegnato prima giù da basso”
Fronte: “Ma chi è questo Basso?”
FATE DIVENTARE I VOSTRI PROF PROTA-
GONISTI DI QUESTA RUBRICA! Inviateci i vostri ipse dixit tramite il link bit.ly/IpseDixit
e saranno pubblicati, facendo ricevere punti extra alla
vostra classe per il Mega-Consorso!
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Logo A, vincitore! Logo C, secondo classifi-
cato
Logo B, terzo classificato Logo D, quinto classifica-
to
I nostri buoni propositi per il 2017! Per celebrare questo nuovo anno, noi della redazione abbiamo deciso di condividere i nostri buoni propositi
con voi! Se anche voi volete condividerne non esitate ad inviarceli a: [email protected]!
Marco Crosato: imparare a portare le cose fino in fon…
Giulia Paludo: realizzare quelli dell’anno scorso!
Irene Martin: ricordarmi i propositi che faccio l’1 gennaio!!
Alice Spilimbergo: disintossicarmi dalla mia pseudo dipendenza da cioccolata, ma poiché sono una donna non
ce la posso fare.
Alberto Rosada: non scrivere 2016 come data delle verifiche!
Sofia Fresch: rimuovere l’espressione “tanto ho ancora tempo” dal mio vocabolario.
Altea Nardo: cercare di finire ciò che inizio e comprare un lama!!!
Riccardo Biasotto: stabilire un numero massimo di episodi di serie TV da guardare di sera. Numero che può
variare da 3 a 18.
Chiara Sgorlon: avevo un sacco di buoni propositi, ma si è rotto.
Padre eterno se ci sei mi devi chiedere
perdono
Questo è il titolo del libro che raccoglie delle testimo-
nianze di donne e uomini deportati nei lager nazisti.
Martedì 24 Gennaio la sede di Oderzo ha avuto
l’onore di ospitare nell’Aula Civica Luciano Battiston e
di ascoltare la sua toccante testimonianza.
Il signor Luciano, ora 94enne, è arrivato accompa-
gnato dal nipote e ci ha raccontato, in dialetto vene-
to, quello che lui ha visto con i suoi occhi e ha dovuto
subire sulla sua pelle nei lager di Mauthausen, Am-
stetten e Ebensee, non per sentito dire ma per espe-
rienza perso-
nale.
Nato nel 1923
a Fagnigola,
in una fami-
glia di conta-
dini, fin da
ragazzo aiu-
tava suo
padre nei
campi, ma nel
43 fu arruola-
to per la
Batteria Alpi-
na. Dopo
l ’ a r mi s t i z i o
del settembre
del 43, fu
chiamato ad aderire volontariamente alla Repubblica
dei Salò. Luciano simpatizzante dei partigiani, insieme
ad altri, si rifiutò. A causa di questo fu condannato a
morte insieme ad altri 12 con il pretesto di aver ta-
gliato i fili della linea telefonica tedesca. Furono pro-
cessati a Pordenone ma vennero effettuate solo 9
fucilazioni su 12. Luciano e altri suoi compagni otten-
nero la grazia!
Si lusingarono di aver ottenuto la libertà, però furono
portati a Udine e successivamente deportati nel cam-
po di concentramento di Mauthausen. Qui Luciano
visse periodi difficili a causa delle torture, dell’assenza
di cibo e di acqua, dei lavori forzati pesantissimi. A
proposito di questo ci ha raccontato che uno dei
lavori consisteva in un gruppo di uomini, legati uno
all’altro con una catena, che dovevano scendere una
scalinata ripidissima e sconnessa con una sedia legata
alla schiena, come se fosse uno zaino. Arrivati giù
dovevano caricare lo “zaino” di pietre e tornare su.
Questo era uno dei lavori più pericolosi, poichè, se un
uomo perdeva l’equilibrio, cadeva nel Danubio e
rischiava di far scivolare l’intera fila.
Lui e gli altri uomini erano costretti ad ubbidire e al
primo segno di stanchezza o ribellione, venivano
uccisi.
Un’altra signifi-
cativa espe-
rienza, che ci
ha narrato il
signor Batti-
ston, è sicura-
mente que-
sta: per riusci-
re ad avere un
po’ d’acqua,
c h i e d e v a n o ,
quando erano
a letto, alle
guardie di
turno, se pote-
vano andare in
bagno e qui, in
queste latrine
non certo pulite, tiravano lo sciacquone e prendeva-
no l’acqua con le mani per berla e pulirsi il viso.
Ci parla di un amico, un uomo da Fagnigola, sopran-
nominato da lui Vigi incontrato, durante uno dei
lavori, la manutenzione del campo. Il fatto che ci ha
profondamente commosso di questa amicizia è una
promessa, fatta reciprocamente: uscire dal campo
insieme o rimanerci insieme. Luciano commuovendo-
si ci racconta che dividevano tutto, anche l’aria. For-
tunatamente i due sono riusciti a tornare insieme da
Mauthausen, a piedi, con il treno, rimediando cibarie
per la strada, passaggi di tanto in tanto, spiccioli.
Arrivato a Chions, Luciano pesa 29 chili, è sporco,
sudicio, malato, sua mamma accorsa a vedere, non lo
riconosce, così l’uomo la persuade dicendo il nome
delle sue mucche, la famiglia allora lo riconosce e lo
accoglie, sollevata.
In tribunale le madri dei figli deportati, non riescono a
denunciare e condannare a morte coloro che hanno
consegnato i loro bambini ai nazisti, non vogliono più
spargimenti di sangue, vogliono voltare pagina. I figli
concordano con loro.
Luciano Battiston ci ha raccontato che per vivere ogni
giorno lì ci voleva la forza di volontà, che la fame non
ha limiti e confini, che lì, in lager, non c’era tempo per
pensare alla famiglia, a casa propria, a Dio, si pensava
a mangiare, a rispettare le regole, a sopravvivere.
A questo è riferito il titolo del libro, frase che Luciano
lesse un giorno nella Baracca 22 di Mauthausen.
Mentre ci narrava la sua storia, il signor Battiston era
commosso, turbato, ci ha confidato che per lui è diffi-
cile parlare della sua esperienza.
Tutte le notti sogna di essere a Mauthausen, il ricordo
di quei 6 mesi passati nel lager lo perseguitano, conti-
nuamente. Affettuosamente ringrazia sua moglie,
poichè lei lo tranquillizza la notte quando si agita tra
gli incubi, poichè è fortunato ad averla al suo fianco,
ad aiutarlo nei momenti difficili.
Ci ha commosso questa storia apparentemente a lieto
fine, ci ha smosso la coscienza, ci ha fatto riflettere su
tematiche che dovrebbero essere ricordate sempre, e
non tirate fuori per la Giornata della Memoria.
Ci ha fatto pensare che quello di Luciano, ma anche di
tante altre persone sono racconti veri, esperienze di
vita, che nessuno può cancellare, e che costantemente
riemergono e segnano le loro vite, e così dovrebbero
fare anche con le nostre. Giusto per rendersi conto
che tutto questo è vero, è vicino a noi ad Azzano
Decimo, è nei pensieri di qualche politico, è nelle
azioni di un uomo.
Alice Spilimbergo 2LC
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7
Storia di follia Che rumori strani questa mattina. Mi sono svegliato a
causa di un forte abbaiare di cane, accompagnato da
grida e forti colpi scagliati contro il muro, che prove-
nivano dall’appartamento sopra al mio. Mi lavo e mi
vesto in fretta, perché voglio assolutamente vedere
cosa sta succedendo al piano di sopra. Negli ultimi
anni ho imparato a non fare domande in casa, dato
che, oltre a non ottenere risposte soddisfacenti, pro-
vocavo anche liti tra i miei genitori, i quali discuteva-
no animatamente di questioni che io non capivo.
Il piano funziona. Infatti riesco ad uscire senza essere
visto da mamma che, ancora con la camicia da notte
addosso, fissa un punto fuori dalla finestra, e nem-
meno da papà, che si sta guardando orgogliosamen-
te allo specchio, intento a farsi il nodo alla cravatta
nera. Mentre salgo le scale, sento il cuore battere
fortissimo, non so se per emozione o per paura. Mi
rimane pochissimo tempo per pensarci dato che,
appena arrivo davanti alla porta di ingresso della
signora Accardi, vengo trascinato via da mio padre.
Lui, nel frattempo, mi ha raggiunto e ha iniziato ad
urlarmi addosso che sarei finito come lei. Ancora una
volta, non capisco cosa intende dire, ma decido di
stare zitto: sembra conveniente.
Durante il viaggio in auto sono talmente concentrato
sui pochi dettagli che ho potuto scorgere in quegli
istanti, che sento lontanissima la sua voce mentre
continua a farmi la predica, ho in testa solo disordine,
valigie, soldati. Cosa avrà fatto di così grave la mia
vicina di casa per meritarsi questo? Mi sembrava una
persona così cordiale e gentile.
Vengo distratto dai miei pensieri a causa di un colpo
di pistola e, improvvisamente, mi accorgo che le
strade sono piene di uomini armati, con addosso la
stessa divisa di quelli che ho visto a casa Accardi.
Famiglie, anziani e bambini escono dalle loro case
scortati da quei militari che in poco tempo mi sono
diventati così familiari. Portano con loro delle valigie
e vengono caricati in camioncini blindati. Che cosa
sta succedendo? Capiterà anche a me?
Per la prima volta in dieci anni sono felice di poter
andare a scuola, perché ho la sensazione che lì potrei
capirci qualcosa: i professori potrebbero spiegarmi,
oppure potrei confrontarmi con gli altri ragazzi. Spe-
ro che loro abbiano visto qualcosa e che ne sappiano
più di me. La campanella suona ed entro in classe. Mi
accorgo che alcuni dei miei compagni sono assenti e
che i loro banchi già non ci sono più, che sono stati
tolti dall’aula. Sapevo che Andrea aveva previsto di
trasferirsi con la sua famiglia a Londra, perciò la sua
assenza è l’unica a non stupirmi. Per gli altri sette
compagni mancanti, non so darmi una spiegazione
plausibile e credo nemmeno i ragazzi rimasti in clas-
se, viste la facce confuse e spaventate che hanno. Le
espressioni degli adulti sono diverse dalle nostre e
sono diverse anche le une dalle altre: alcune sono
stranamente allegre e sorridenti, altre sono cupe e
tristi, sconfitte. Arriva il dirigente scolastico, uomo di
mezza età che incute timore e rispetto ad ogni movi-
mento e, come di consueto, ci alziamo in piedi ed
eseguiamo il saluto fascista al suo ingresso. Noto
subito il suo viso tirato, in cui appare un sorriso ma-
linconico. “Cari ragazzi, da oggi le cose sono cambia-
te, e l’Italia diventerà un Paese più sicuro e pulito!
Grazie ad alcune espulsioni definitive di insegnati ed
alunni, posso finalmente garantirvi l’istruzione adatta.
Buona giornata”. Esce senza aspettare nemmeno una
risposta, lasciando noi studenti confusi, con una
grandissima domanda a cui probabilmente non sa-
premo rispondere: “Cosa avevano loro di sbagliato?
Cosa avevano di diverso da noi?”.
La mattinata scorre lentamente, nessuno osa porre
domande agli insegnati che, a loro volta, non appro-
fondiscono la questione. Perciò aspetto con ansia
l’intervallo, durante il quale avevo previsto di chiede-
re a Bortolo e Antonio se loro avessero capito qual-
cosa più di me.
Le loro risposte mi hanno reso ancora più confuso. Il
primo diceva che gli ebrei, tutti ladri nonché causa
degli attuali problemi dell’Europa, erano stati final-
mente allontanati e rinchiusi dove non avrebbero più
potuto fare danni. Il secondo invece sosteneva che i
veri cattivi fossero coloro che avevano progettato
tutto questo e che gli ebrei fossero innocenti, quindi
allontanati senza motivo, per pura crudeltà. Non
sapevo a chi credere: entrambi portavano argomen-
tazioni valide e soprattutto mi fidavo di ognuno di
loro e non mi avrebbero mai mentito.
I giorni passano a sono tutti uguali, tutti pieni di
soldati, pieni di dubbi e di silenzi. A volte mi sembra
di pensarla come Bortolo, mentre altre come Anto-
nio. Forse però io so chi dei due ha ragione, ma non
posso deludere papà. Tutti sanno e quasi nessuno
spiega, nessuno parla ma intanto Loro continuano
con la loro follia.
Chiara Sgorlon, 3BLS
Il testimone Luciano Battiston e il nipote
Alessandro Fantin, durante il racconto.
Da sinistra: Alessandro Fantin, Alberto Rosa-
da, Luciano Battiston e Veronica Viotto.
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Questo male è davvero così banale?
Pensate ad un malvagio. Ad una persona davvero
crudele. Capace di mandare a morte centinaia di mi-
gliaia, milioni di persone, tra cui donne, vecchi e bam-
bini, in campi di sterminio. Immaginate ad un nazista
implicato nella “soluzione finale”. Uno dei responsabili
dello sterminio di un numero di persone senza pari
nella storia dell’umanità. Un funzionario nazista ad-
detto alla Shoah, tipo il capo del sotto-ufficio IV-B-4
del RSHA, l’ufficio centrale per la sicurezza del Reich. Il
sotto-ufficio competente in materia di ebrei. Pensate a
questo uomo, capo di un ufficio che ha come scopo il
genocidio. Ecco, un mostro penserete, un malvagio
senza pari.
Invece non lo è. Anzi, è una persona tranquilla, senza
una naturale inclinazione alla violen-
za, e persino sensibile in alcuni casi.
Adolf Eichmann, il capo di quel male-
detto ufficio, non è il mostro che
pensiamo, e questo ce lo ha insegna-
to il processo di Gerusalemme.
Antefatto: Eichmann si iscrisse, quasi
per caso, al partito nazista, nel 1932,
senza nemmeno conoscerne il pro-
gramma, e quindi entrò nelle SS nella
speranza di fare carriera, ma si fer-
merà a l gr a do d i SS -
Obersturmbannführer, tenente co-
lonnello, un “pesce piccolo” più che
un importante gerarca nazista. E
infatti, la difesa di Eichmann era ba-
sata proprio sul fatto che con il suo
basso grado non fu assolutamente
uno quelli che decisero di adottare la soluzione finale,
ovvero lo sterminio degli ebrei, era solo uno sfortuna-
to esecutore di ordini di superiori, che si trovò suo
malgrado a dover agevolare quegli efferati crimini, era
un "grigio burocrate che eseguiva solamente gli ordini
dei gerarchi importanti". A detta sua si adoperò persi-
no per far emigrare il più grande numero possibile di
ebrei, risparmiandoli allo sterminio, e sosteneva di
essere stato in buoni rapporti con i capi delle comuni-
tà ebraiche. Data la sua poca importanza e la sua
scarsa notorietà, a guerra finita riuscì a fuggire in
Argentina e ritornò a condurre una vita quasi normale
con la propria famiglia, finché venne scoperto dei
servizi segreti israeliani, rapito e condotto in Israele
nel 1960. Venne processato a Gerusalemme per crimi-
ni contro il popolo ebraico, e altre imputazioni, e
venne condannato a morte. Venne impiccato il 31
Maggio 1962. Il processo si concluse, con la pena
capitale, come si aspettava lo stesso imputato, ma ciò
che desta interessa sono le argomentazioni della
difesa volte a delineare un Eichmann rispettoso degli
ordini dei superiori, una “vittima” della storia più che
uno spietato carnefice, una persona abbastanza me-
diocre e banale, come molte altre.
Ma la risposta al titolo di questo articolo è: no, la
shoah non può essere assolutamente qualcosa di
banale, si tratta di un genocidio con solida organizza-
zione e profonde basi ideologiche. Se il male non è
banale, è chi incarna il male ad essere potenzialmente
una persona banalissima, come Eichmann, del quale
lo stesso avvocato difensore disse che aveva la perso-
nalità di un “comune postino”. Una
persona complice dello sterminio
ma non l’esecutore materiale della
violenza, un impiegato che esegue
degli ordini di un affermato crimi-
nale. .
La storia del processo Eichmann
venne trattata da una filosofa ebre-
a, Hannah Arendt ne “La banalità
del male”, un libro estremamente
interessante di cui vi consiglio la
lettura. Forse eccede nel descrivere
Eichmann come un uomo senza
molte responsabilità nella Shoah,
durante la lettura si può provare
persino una sorta di comprensione
umana verso di lui, ma si tratta
ovviamente di eccesso da evitare.
Bisogna considerare che lui è stato abile a presentare
le vicende in suo favore, facendo credere di aver avu-
to scarse responsabilità nello sterminio degli ebrei.
Quindi non dobbiamo prendere tutto per vero quello
che lui e il suo avvocato dissero durante il processo. In
secondo luogo, altre fonti lo descrivono in maniera
diversa e gli imputano responsabilità precise e un
antisemitismo feroce. Lo stesso Eichmann disse:
“All'occorrenza salterò nella fossa ridendo perché la
consapevolezza di avere cinque milioni di ebrei sulla
coscienza mi dà un senso di grande soddisfazione. Mi
dà molta soddisfazione e molto piacere”. Che abbia
voluto o meno provocare così tanta sofferenza, non
dobbiamo dimenticare che il male compiuto da lui e
gli altri nazisti non fu assolutamente banale, milioni di
persone morirono veramente a causa loro.
Alberto Rosada, 3LC