due passaggi sul paradiso di dante - a.k. coomaraswamy

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Ananda K. Coomaraswamy Questo saggio fu pubblicato per la prima volta in Speculum, XI (1936).-ED. Negli ultimi tempi, in alcuni testi islamici, sono state riscontrate alcune importanti analogie che hanno un valore singolare per la comprensione della Divina Commedia di Dante, non solo riguardo alla forma base della narrazione 1 , ma anche per quel che riguarda il metodo di comunicare le argo- mentazioni 2 . Un riconoscimento assolutamente valido, di là di ogni considerazione su eventuali questioni di «influenza» che potrebbero essere considerati dal punto di vista più ristretto della storia della letteratura. H. A. Wolfson 3 ha sottolineato proprio che la «letteratura filosofica» medievale, araba, ebraica e la- tina, «erano in realtà un'unica filosofia espressa in lingue diverse e tradotte quasi letteralmente da un linguaggio all’altro» 4 . Questo è vero e non semplicemente come risultato della vicinanza o dell'influenza di una cultura sull’altra, né di uno sviluppo parallelo ma proprio perché «la cultura umana è un tutto unico e le varie culture sono i dialetti di un'unica lingua spirituale» 5 , perché «è evi- dente tra tutti i popoli una grande linea di metafisica universale» 6 . Senza andare troppo lontano nel tempo o nello spazio - e si potrebbe spaziare dalla Sumeria alla Cina - sarà sufficiente per questi fini, dire che quanto Wolfson afferma dell'arabo, l'ebraico e il latino, resta ugualmente valido se si unisce alla lista il sanscrito. In anni recenti ho richiamato ripetutamente l'attenzione sulle notevoli equivalenze dottrinali, perfi- no verbali che si possono dimostrare tra la letteratura tradizionale latino-medievale e quella india- na-vedica. Se si facessero trasposizioni, la priorità dovrebbe essere attribuita al canto vedico, anche se non è necessario sobbarcarsi tali trasposizioni. Siccome non è probabile che queste equivalenze 1 Vedere Miguel Asín Palacios, l'escatologia musulmana nella divina commedia (Madrid, 1919) e la traduzione abbreviata di H. Sunderland, l'Islam e la divina commedia (Londra, 1926). 2 Luigi Valli, Il Linguaggio segreto di Dante e dei «Fedeli d'amore "(Roma, 1928); inoltre L'esoterismo di Dante (Parigi, 1925); «il linguaggio segreto di Dante e «i Fedeli D’Amore» e «Fedeli d’Amore» e "le corti d’Amore» di René Guénon. «Indiani e zoroastriani» confronti di Angelo de Gubernatis, sono diventati !Dante & C.” Giornale della Societá Asiatica Italiana, III (1889) e «L’archetipo del Lucifero indiano presso Dante», Atti del X Congres- so degli Orientalisti»; e j. j. Modi, Dante Papers: Viraf Adamnan e Dante e altri documenti (Londra, 1914). Mol- ti dei problemi sono collegati con la storia dei Cavalieri Templari e Rosacroce. 3 Harry Austryn Wolfson (2 novembre 1887 - 20 settembre 1974) è stato uno studioso, filosofo e storico presso l'Università di Harvard, fu il primo presidente di Studi Giudaici Center nel Stati Uniti . È conosciuto per il suo lavoro sul filosofo ebreo Filone ma è stato autore di una sorprendente varietà e quantità di altre opere su Ha- sdai Crescas, Maimonide, Averroè, Spinoza, il Kalam , i Padri della Chiesa, e le fondamenta della religione oc- cidentale . Il suo più grande contributo pertanto, contribuendo ad abbattere tutte le barriere artificiali che hanno isolato lo studio della filosofia cristiana dalla filosofia islamica dalla filosofia ebraica (Twersky 1975). Es- sendo il primo studioso ebreo a far carriera in un alto livello universitario (Mendes-Flohr 1998 ) 4 The Philosophy of Spinoza, Cambridge, Mass. (1934), I, 10. 5 Alfred Jeremias, Handbuch Der Altorientalischen Geisteskultur (Berlín, 1929), p. X. 6 J. Sauter, Die altchinesische Metaphysik und ihre Verbundenheit mit der abendlandischen, Archiv für Rechts- und Sozial-philosophie, XXVIII (1934), 90.

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Page 1: Due Passaggi Sul Paradiso Di Dante - A.K. Coomaraswamy

Ananda K. Coomaraswamy

Questo saggio fu pubblicato per la prima volta in Speculum, XI (1936).-ED. Negli ultimi tempi, in alcuni testi islamici, sono state riscontrate alcune importanti analogie che hanno un valore singolare per la comprensione della Divina Commedia di Dante, non solo riguardo alla forma base della narrazione1, ma anche per quel che riguarda il metodo di comunicare le argo-mentazioni2. Un riconoscimento assolutamente valido, di là di ogni considerazione su eventuali questioni di «influenza» che potrebbero essere considerati dal punto di vista più ristretto della storia della letteratura. H. A. Wolfson3 ha sottolineato proprio che la «letteratura filosofica» medievale, araba, ebraica e la-tina, «erano in realtà un'unica filosofia espressa in lingue diverse e tradotte quasi letteralmente da un linguaggio all’altro»4. Questo è vero e non semplicemente come risultato della vicinanza o dell'influenza di una cultura sull’altra, né di uno sviluppo parallelo ma proprio perché «la cultura umana è un tutto unico e le varie culture sono i dialetti di un'unica lingua spirituale»5, perché «è evi-dente tra tutti i popoli una grande linea di metafisica universale»6. Senza andare troppo lontano nel tempo o nello spazio - e si potrebbe spaziare dalla Sumeria alla Cina - sarà sufficiente per questi fini, dire che quanto Wolfson afferma dell'arabo, l'ebraico e il latino, resta ugualmente valido se si unisce alla lista il sanscrito. In anni recenti ho richiamato ripetutamente l'attenzione sulle notevoli equivalenze dottrinali, perfi-no verbali che si possono dimostrare tra la letteratura tradizionale latino-medievale e quella india-na-vedica. Se si facessero trasposizioni, la priorità dovrebbe essere attribuita al canto vedico, anche se non è necessario sobbarcarsi tali trasposizioni. Siccome non è probabile che queste equivalenze

1 Vedere Miguel Asín Palacios, l'escatologia musulmana nella divina commedia (Madrid, 1919) e la traduzione abbreviata di H. Sunderland, l'Islam e la divina commedia (Londra, 1926). 2 Luigi Valli, Il Linguaggio segreto di Dante e dei «Fedeli d'amore "(Roma, 1928); inoltre L'esoterismo di Dante (Parigi, 1925); «il linguaggio segreto di Dante e «i Fedeli D’Amore» e «Fedeli d’Amore» e "le corti d’Amore» di René Guénon. «Indiani e zoroastriani» confronti di Angelo de Gubernatis, sono diventati !Dante & C.” Giornale della Societá Asiatica Italiana, III (1889) e «L’archetipo del Lucifero indiano presso Dante», Atti del X Congres-so degli Orientalisti»; e j. j. Modi, Dante Papers: Viraf Adamnan e Dante e altri documenti (Londra, 1914). Mol-ti dei problemi sono collegati con la storia dei Cavalieri Templari e Rosacroce. 3 Harry Austryn Wolfson (2 novembre 1887 - 20 settembre 1974) è stato uno studioso, filosofo e storico presso l'Università di Harvard, fu il primo presidente di Studi Giudaici Center nel Stati Uniti . È conosciuto per il suo lavoro sul filosofo ebreo Filone ma è stato autore di una sorprendente varietà e quantità di altre opere su Ha-sdai Crescas, Maimonide, Averroè, Spinoza, il Kalam , i Padri della Chiesa, e le fondamenta della religione oc-cidentale . Il suo più grande contributo pertanto, contribuendo ad abbattere tutte le barriere artificiali che hanno isolato lo studio della filosofia cristiana dalla filosofia islamica dalla filosofia ebraica (Twersky 1975). Es-sendo il primo studioso ebreo a far carriera in un alto livello universitario (Mendes-Flohr 1998 ) 4 The Philosophy of Spinoza, Cambridge, Mass. (1934), I, 10. 5 Alfred Jeremias, Handbuch Der Altorientalischen Geisteskultur (Berlín, 1929), p. X. 6 J. Sauter, Die altchinesische Metaphysik und ihre Verbundenheit mit der abendlandischen, Archiv für Rechts- und Sozial-philosophie, XXVIII (1934), 90.

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siano familiari agli attuali lettori, qui si troveranno alcuni esempi, pochi ma appariscenti, tra innume-revoli altri dello stesso tipo.

Esempi di corrispondenze di linguaggio tra testi cristiani e opere di altre tradizioni con speciale riguardo ai Veda

1. Consideriamo la dottrina ortodossa delle due nascite di Cristo: quella eterna e quella temporale, nella Somma Teologica è detto che «per quel che riguarda il figlio c'è realmente una sola affilia-zione, anche se ci sono due aspetti»;7 ugualmente in Mastro Eckhart «la sua nascita spirituale in Maria fu per Dio più gioiosa della sua natività in lei in carne e ossa.»8. E ancora in San Tommaso: la figliolanza di Cristo è in ogni caso una «operazione vitale di un principio congiunto» e la «fi-gliazione eterna non dipende da una madre temporanea»,9 ne consegue che il Cristo è mater-nizzato nell'eternità non meno che al momento; e che ovviamente la madre nell'eternità, la «Maria» spirituale del Maestro Eckhart, è «la natura divina con la quale il padre genera»,10 cioè « quella natura che ha creato ed ordinato tutte le altre nature».11 Natura naturans, Creatrix univer-salis, Deus, poiché l'essenza e la natura sono uno, nell'identità suprema, che è l'unità dei principi comuni. Infine, poiché la vita divina è senza eventi, non c'è, naturalmente, un singolo atto di ge-nerazione, anche se sono «due in apparenza, corrispondenti alle due relazioni genitoriali, quan-do si consideri l'intelletto».12 Quindi, nella dottrina cristiana latina c'è una singola generazione, però da due madri distinguibi-li logicamente. L'equivalente esatto di queste parole è ben riassunto nella Gopatha Brahmana I.33: «due vagine per un unico atto di generazione»13. Questo breve testo riassume, da un lato, la dottrina vedica familiare della doppia maternità di Agni, che è detto, dvimata14 - «divenne il fi-glio di due madri. Fu generato in diverse matrici»15 e, per cui «la Notte, dopo aver concepito il fuoco del sole, cede la formazione a [sua sorella] l’Aurora» - e, d’altro lato, il dogma derivato dalla maternità duale (o in alternativa maternità e maternità di latte) con cui l'Avatar eterno si manifesta in Gaudiya. Nel Buddismo, e nel Giainismo, con una formulazione piuttosto materia-lizzata, il bambino divino è trasferito efficacemente dal potere spirituale alla matrice del potere temporale rappresentati rispettivamente dalle regine Devananda e Tisala16.

2. Un esempio su di altra questione potrebbe essere quello nell’Aitareya Brahmana III.43, dove il modello del sacrificio, fatto a imitazione di ciò che è stato fatto all'inizio, è descritto come "sen-za inizio né fine. Il suo inizio è anche una fine, la cui fine è anche un inizio, non discriminare ciò che è sopra e ciò che è dietro». Parole che si possono confrontare con Boezio: «è possibile cono-scere l'inizio di tutte le cose senza conoscere il loro scopo?»;17 o con la Summa Theologica18: «la fine di una cosa corrisponde al suo inizio»; o con Maestro Eckhart19 «il primo avvio è a causa del suo obiettivo finale» e con Dante, Paradiso XXIX.20 e 30,

7 (III.35.5 annuncio 3) 8 ed. Evans, I, 418 9 Summa Theologica I.27.2C e III.35.5 a 2 10 Summa Theologica I.41.5C 11 s. Agostino, De trinitate XIV.9 12 Somma Teologica III.35.5 ad 3 13 dve ekam mithunam yoni 14 Rg Veda Samhitā III. 2.2 e 11 15 Rg Veda Samhitā I.113.1-3 16 Coomaraswamy, vedi per ulteriori paralleli, ' la "vita del conquistatore" nella pittura Jaina», giornale del In-dian Society of Oriental Art, III (1935), 132. 17 De consolatione philosophiae I, prosa 6 18 I.103.2C 19 ed. Evans, I.224

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né prima né poscia20. sanza distinzione in esordire21.

3. Inoltre: la definizione di natura umana, in quanto distinguibile dalla natura animale, nell’ Aita-reya Áranyaka (II.3.2) è così formulata: «un essere umano (puruşa) è dotato di comprensione e parla di ciò che ha discriminato, stabilisce distinzioni, conosce il domani, conosce quel che non è mondano e distingue l'immortale dal mortale», mentre «per quanto riguarda gli altri animali, la loro percezione è efficace solo se riguarda la fame e la sete, non parlano di cose che siano state discriminate». Una definizione che è quasi identica a quella classica di Boezio, Contra Eutychen II: «non c'è persona22 in un bue o qualsiasi altro animale, che, sordo e irrazionale e vive una vita di sole sensazioni; ma diciamo che c'è persona in un uomo, o in Dio o in un angelo. Non c'è per-sona come nell’uomo, in un animale né di genere».

4. «”COLUI CHE È” è il padre di tutti i nomi applicati a Dio», dice San Giovanni Damasceno;23 Così nel-la Katha: (VI.13) «deve essere appreso come "Egli È"». Rispetto al «pensiero di Dio» che «non è raggiungibile con argomenti» (Katha: II. 9), dato che: « L’ Atman è più sottile del più sottile e non può essere conosciuto con la discussione.» corrisponde a San Dionigi (De mystica theologica I): «che non vedere né sapere è davvero vedere e conoscere, ed Ep. ad Caium Mon: «se qualcuno vedendo Dio capisse che cosa ha visto, non ha visto Dio stesso, ma una di quelle cose che sono di Dio».

5. Riguardo all’Immacolata Concezione, San Tommaso24 evidenzia che, sebbene in questo caso lo

Spirito entrò nella forma materiale senza mezzi, nella normale generazione «il potere dell'ani-ma, che è nel seme, mediante lo spirito racchiuso in essa, dà forma al corpo». Ciò corrisponde non solo alla breve formulazione nel Rg Veda VIII.3.24 Samhitā, "lo spirito è la parte del padre, rivestito dal corpo25, o più esplicitamente: Jaiminiya Brahmana III.10.5, «l’alito della vita abita il seme emesso, così chi è nato prende forma.26» e nella Kausitaki: III, «è il Soffio (prāna), lo Spirito intelligentificante (prajnatman) che afferra e costruisce il corpo».

Nella Somma Teologica I.45.1C, «la creazione, è l'emanazione di tutti gli esseri, dal non-essere, che è nulla»,27 e ancora in I.14.8C, "la conoscenza di Dio è la causa delle cose». «La conoscenza di Dio per tutte le creature è come la conoscenza dell'artista per le cose fatte con la sua arte»28. È la dottrina dello spirito come il potere animante nell'atto di generazione, umana o divina e tut-to questo è rappresentato con brevi parole del Rg Veda.

20 Né prima quasi torpente si giacque; ché né prima né poscia procedette lo discorrer di Dio sovra quest' acque. 21 così 'l triforme effetto del suo sire ne l'esser suo raggiò insieme tutto sanza distinzïone in essordire. 22 [n.d.t.]“La persona è una sostanza individuale di natura ragionevole” (persona est rationalis naturae indivi-dua substantia) (Contra Eutichen et Ne-storium, c. 4). l’unione di individualità, natura e sostanza fa ancora la persona; questi elementi appartengono anche a un sasso o a un gatto, che non sono persone. Sono ancora elementi che rientrano nel genere prossimo. Per definire adeguatamente la persona occorre aggiungere ai tre elementi precedenti la differenza specifica che distingue gli uomini dagli animali, la quale consiste nella razio-nalità. Così si ottiene esattamente quanto ha scritto Boezio: rationalis naturae individua substantia. 23 De fide orthodoxa I 24 Summa Theologica III.32.1 annuncio 1 25 atma pitus tanur vasah 26 bla hyeva retas prana avisaty tat sambhavati Átha siktam 27 Creatio, quae est emanatio totius esse, est non ex ente, quod nihil est 28 scientia artificis sicut è habet annuncio artificiata

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Rg Veda Samhitā X.72.2: «il maestro del potere spirituale, come un fabbro con il suo mantice, mise insieme tutte queste generazioni di Angeli; nell’eone primordiale, l’essere fu generato dal non essere», dove «fabbro»29 come Tvastr30 («il carpentiere», che nel Rg Veda «scolpisce con l'intelletto [Morganti taksati]», nel senso scolastico di per verbum in intellectu conceptum, predi-cato dall’artefice della Somma Teologica I.45.6C) e Visvakarman («onnipotente creatore», suc-cessivamente aspetto del modello di divinità del commercio e adorato come tale nei suoi miste-ri minori), corrisponde al Deus sicut artifex del simbolismo scolastico; e «con il soffietto» (sama-dhamat) allude all’ «insufflazione» dello spirito, il vento animante (vata, vayu) da cui il figlio stesso è “risvegliato”31 «fatto incandescente»32, «quando Vata soffia sulla tua fiamma»33, «que-sto vento, il tuo Spirito che tuona in tutto l'universo»34 «Vayu, il respiro degli Angeli, il cui suono è sentito, anche se la sua forma non si è mai vista»35 (Rg Veda Samhitā X.168.4).

6. Generalmente la definizione scolastica di peccato, di qualsiasi tipo, è: «il peccato è una parola,

un‘opera o un desiderio contro la legge eterna»,36 e nell'ambito del peccato artistico, Tommaso d'Aquino continua spiegando che è un peccato dell'arte se un artista produce una brutta cosa, quando ha intenzione di produrre qualcosa di buono; o fa qualcosa di buono, o quando ha inten-zione di produrre qualcosa di brutto. Nella Katha Upanisad: II. 1.1, colui che sceglie quello che più gli piace (preyas) piuttosto che ciò che è più bello (sreyas) si dice che "devia dallo scopo» (hiyate arthat); nel Satapatha Brahmana II.1.4.6, se qualche parte del rito è eseguita erroneamente, «che sarebbe un peccato (aparadd-hi)37, nello stesso modo di quando uno fa qualcosa con l’intenzione di fare altro; o se uno dice una cosa quando intende dire altro; o se uno va per una strada quando ha intenzione di andare per un’altra.

7. Nella Somma Teologica I.103.5 ad 138: «Si dice che sono sotto il sole le cose che sono generate e corrotte secondo il movimento del sole» e III (Supp.) 91,1 annuncio 1: «Lo stato di gloria non è sotto il sole». Nel Satapatha Brahmana II.3.3.7, «[il sole] è questa morte [un nome divino essen-ziale ab intra]»; Pertanto, tutte le creature sotto di lui sono mortali, ma quelle al di là del sole sono angeli (o “Dèi”) che sono vivi; e X.5.1.4, «tutto quello al di qua del sole qui è soggetto alla morte (mrtyunāptam)».

Possiamo ancora citare un paio di esempi di origine più antica, dalla parte europea. San Matteo 10.16, “prudente sicut serpentes”, et “sicut columbae simplices”, corrisponde al Rg Veda Samhitā X.63.4, ahimáyá39 anāgasah40. E ancora una volta, mentre in Genesi 02.21-22 Dio «ha preso una del-le sue costole [di Adamo]. E con la costola che il Signore Iddio aveva preso dall'uomo, fece una don-

29 karmara, «creatore», «lavoratore»), Questa immagine del Maestro fabbro con suo mantice illustra egregiamente le parole della Summa Theologi-ca I.1.9C: «la verità spirituali sono insegnati correttamente sotto la somiglianza di cose materiali». 30 In qualche modo mancano motivi validi e sufficienti perché Gesù sia stato chiamato il "figlio del falegname", quindi, certamente, c'è un «legno» con cui il maestro falegname fa il mondo 31 (Agni, vatajutah) Rg Veda Samhitā 1.65.4,VI.6.3, etc. 32 » (dhamitam) Rg Veda Samhitá II.24.7 33 Rg Veda Samhitā IV.7.10 34 (atma si vatah) ecc., Rg Veda VII.87.2 Samhitā , 35 (Rg Veda Samhitá X.168.4). 36 Summa Theologica II - I.21.1C e 2 annuncio 2 37 . Aparaddhi è derivato da aparadh, definito da Monier-Williams, come «Errare il proprio obiettivo». 38 Sta scritto [Qo 9, 11]: «Ho visto anche sotto il sole che non è degli agili la corsa né dei forti la guerra, e nep-pure dei sapienti il pane e degli accorti la ricchezza, e nemmeno degli intelligenti il favore; perché il tempo e il caso raggiungono tutti». Ora, le cose soggette al governo di qualcuno non sono casuali. Quindi le cose che so-no sotto il sole non soggiacciono al governo divino. 39 ahimāyā= multiforme o versatile come un serpente [n.d.t.] 40 anāgasah = an- āgasah= senza colpe o peccato

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na e 03.20 «Adamo chiamò Eva sua moglie; perché lei era la madre di tutti i viventi", così anche nel Rg Veda, il nome della figlia di Manu è «costola»41 (par sur ha nāma mānavi), che, sotto un altro no-me, Ida, è la madre «con cui [Manu] creò questa razza di uomini» (Satapatha Brahmana I.8.1.10); Manu è nella tradizione indù l'archetipo e progenitore degli uomini, allo stesso modo di Adamo nella tradizione ebraica e in entrambe le formulazioni la condizione dell’incesto dipende dalla «parentela di sangue» (jāmitra) dei genitori originali. È possibile aggiungere un esempio islamico. Mentre s. Agostino42, riferendosi alle cose create, dice che «hanno un essere, dato che sono Tue: tuttavia, nessun essere, a causa di ciò che non sei, esiste», e San Tommaso, Summa Theologica, I.44.1C, dice che «tutte le cose oltre a Dio non hanno un pro-prio essere, ma esistono per partecipazione» e troviamo che Jami, nella Lawā'ih XIII, dice che «In terra manca il vero Essere e tuttavia tutto dipende da Esso - Tu solo sei il vero essere ». Non solo si potrebbero citata altre dottrine e paralleli verbali di questo tipo, quasi ad infinitum43 - per esempio, in relazione a questioni quali l’Esemplarismo44, la Transustanziazione e l'infallibilità - ma si potrebbe mostrare, anche più facilmente, simili equivalenze nel dominio del simbolismo visuale45, una modalità di comunicazione che, ancor più del simbolismo verbale, è caratteristica del linguag-gio della metafisica tradizionale. Ad esempio, è stata spesso notata la comune valenza delle rose cristiane e dei fiori di loto indiani come rappresentazioni del supporto della manifestazione, il sostegno dell’essere quando procede o sembra procedere al divenire. Il caso della forma musicale è lo stesso: «un esempio della tenacia con cui sopravvive la musica di un culto lo fornisce in occidente, la musica della Chiesa cattolica, che, derivando dal canto dei tempi ebraici, viene mantenuto come un blocco anomalo completamente a parte e diverso da quel che è oggigiorno la musica classica. In Oriente ci sono esempi simili, come tracce del Samaveda indiano e in Giappone il canto delle recitazioni No, che, anche nel recente contorno cortigiano e profano in cui lo sentiamo, hanno conservato il loro originale significato liturgico».46 In realtà, il caso è anche quel-lo della musica "laica" dell'India, che infatti, non può mai essere definita come interamente secolare, che ha preservato qualità sinfoniche come sono descritte in un passaggio della citata Aitareya Bráhmana, qualità che sono riconosciute come conservate anche nel canto piano cristiano. La formula, che è comunemente accettata, l'esistenza di un abisso che separa l'Europa dall'Asia, è così fuorviante, nel senso che mentre c'è una divisione, la linea di demarcazione, considerato come normativa, può essere tracciata tra Europa e Asia ma solo tra l'Europa medievale e Asia insieme, da un lato e dall'altro l’Europa moderna: in generale e in linea di principio tutto ciò che è vero per l'Eu-ropa medievale si scoprirà che è vero anche per l'Asia e viceversa. Per quanto riguarda l'ambito di tutti questi parallelismi sulla validità della dottrina ed esegesi cri-stiana: dal punto di vista indù, il naturale risultato del confronto sarà per richiamare la considerazio-ne, «anche la dottrina cristiana, giudicata su modelli vedici, è ortodossa».

41 par sur ha nāma mānavi 42 confessioni VII.11 43 Semplici paralleli potrebbe essere riferiti a «coincidenze», che è semplicemente un mezzo per sostituire ogni spiegazione. Tuttavia, se noi crediamo con s. Agostino (De diversis quaestionibus LXXXIII.24) che "Nel mondo non succede mai niente per caso" (una proposizione con cui ogni scienziato potrà difficilmente essere disaccordo ma nemmeno i teologi, per cui «se Dio non è governata da cause mediane, il mondo sarebbe privo della perfezione di causalità", Tommaso d'Aquino), quindi ci sono solo tre possibilità per spiegare “coinciden-ze” precise e ripetute: (1) un'appropriazione alla sorgente o più tardi; (2) uno sviluppo parallelo, (3) una derivazione da una precedente fonte comune. 44 Cf. Coomaraswamy, «l’Esemplarismo Védico». 45 Cf. J. Baltrusaitis, Art sumérien, art romain (París, 1934), e Coomaraswamy, « L'albero di Jesse e Paralleli Orientali», Parnassus, VII (1935). 46 Robert Lachmann, Musik des Orients Breslau, 1929, pp. 9-10

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Ci si potrebbe aspettare, e dovrebbe essere previsto a priori, il riconoscimento inverso, che «la dot-trina vedica, giudicata da norme cristiane, è anche ortodossa» ma dato l’assunzione cristiana, non solo di conoscere la verità (che le può essere concessa tranquillamente), ma anche di possedere questa conoscenza in modo esclusivo47 (attestazione che gli indù non pretendono per se stessi o concedono ad altri) tutto ciò che si può raccomandare, per il momento, è un'accettazione dei dati vedici come «argomenti estrinseci e probabili »,48 nello stesso modo in cui lo stesso San Tommaso ha fatto uso, in pratica, di Aristotele e nello stesso modo in cui San Gerolamo, ha trattato la superio-rità dello stato di verginità sullo status degli sposati,49 richiamando effettivamente la dottrina dei «Gimnosofisti dell'India, tra i quali si tramanda il dogma che il Buddha, il capo del loro insegnamen-to, è nato dal costato di una vergine». Nella misura in cui sono in questione, i vasti confronti che sono stati fatti fra cristianesimo e buddi-smo (nel cui campo san Gerolamo sembra essere stato il pioniere, anche se il caso di Giosafat = Bo-dhisattva dovrebbe essere presente), o tra neoplatonismo e buddismo, va ricordato che, anche se i paralleli sono reali, tuttavia, deduzioni per quanto riguarda derivazioni o influenze non sono salda-mente fondate, posto che le dottrine buddhiste sono a loro volta derivate e che possono esserci analogie neoplatoniche e cristiane con testi pre-buddisti, in numero maggiore e con maggiore con-sistenza. Per esempio, i dettagli della Natività del Buddha, non escludendo il particolare della nascita dalle costole, sono, di fatto, rintracciabili nelle nascite vediche di Indra e Agni, rispettivamente archetipi del potere temporale e spirituale spesso combinati nel duale Indragni, re e sacerdote. In altre parole, mantenendo una relativa indipendenza della tradizione cristiana, sia San Dionigi che Dante, allo stesso modo, si riferiscono ad un insegnamento ortodosso, di cui anche la stessa espres-sione vedica è un'espressione relativamente recente, rifacendosi a una singola origine comune e so-vrumana (come si può aggiungere, anche se questo non è essenziale per il limitato argomento at-tuale). I problemi non sono essenzialmente, ma solo accidentalmente, problemi di storia della lette-ratura. Ora si è detto abbastanza per indicare i principi coinvolti, e forse per convincere il lettore che non può essere irragionevole cercare, in sanscrito, nei testi islamici, paralleli o anche spiegazioni, e non necessariamente fonti di particolari espressioni di pensiero impiegate da Dante, nessuno delle cui idee è nuova, anche se indossa il tradizionale insegnamento di una forma vernacolare di incompara-bile splendore, veritatis splendor. I due passaggi selezionati per un commento non selezionato a causa della sua particolare importan-za, o perché possono controllare più facilmente di altri, ma perché essi hanno presentato particolari difficoltà per i commentatori che si basano solo su fonti europee. Nel Paradiso XXVII.136-138 si leg-ge:

Così si fa la pelle bianca nera nel primo aspetto de la bella figlia di quel ch’apporta mane e lascia sera.

Nel commento di P. H. Wicksteed: «Così annerita nel primo aspetto, la pelle bianca della bella figlia che porta la mattina e lascia dopo il buio». Notiamo innanzitutto il parallelo in Maestro Eckhart, ed Evans I, 292: «l'anima, nella ricerca ardente di Dio, si assorbe in lui allo stesso modo in cui il sole sarà inghiottito e si estinguerà all'aurora»; e idem, p. 365: «riconciliato con il suo creatore, l'anima ha perso il suo nome, perché lei stessa non esiste; Dio l’ha assorbita al suo interno, nello stesso modo in cui la luce del sole inghiotte l'Aurora fino a quando scompare». Questo testo del Paradiso è stato chiamato "un passaggio difficile e controverso", anche se, in ogni caso, è vero che il sole che, nel versetto 138, "porta la mattina e lascia dopo il buio". Le parole di Ma-stro Eckhart indicano che la 'figlia' deve essere l'Aurora. È vero che nella mitologia classica, Aurora è

47 nihil salus ex ecclesia 48 Somma Teologica I.1.8 annuncio 2 49 Adversus Jovinianum I.42

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la sorella e non la figlia del sole, ma è proprio qui che aiuterà la tradizione vedica. Perché lì l’Aurora a volte è sorella del sole o del fuoco (Rg Veda Samhitā VI.55.5 e X.3.3), ma, è costantemente sia la fi-glia e la moglie del sole, che è chiamato suo «rapitore» (jara). Certamente, dal punto di vista indù, equivale a dire "Vergine Madre, figlia del tuo figlio" come in Dan-te50; la madre di Dio, la madre di Cristo, per il quale "tutte le cose sono state fatte" (San Giovanni 1:3), «perché da lui sono state create tutte le cose», (Colossesi 01.16), e, come tale, è la madre di tut-te le cose, un'Eva nello stesso senso che Cristo è uno con Adamo. Nello stesso modo in cui la Magna Mater, die eine Madonna (Geremia), Usas, l’Aurora, chiamata anche Surya (la «dea» sole, che si di-stingue da Surya, il «Dio» sole), diventa la moglie del sole.51 I riferimenti vedici a questi eventi e soprattutto alla distruzione dell'Aurora dal suo amante, il sole, che le va dietro in un ardente inseguimento (l'inverso della formulazione di Eckhart citata sopra), sono innumerevoli. Il famoso inno di Rg Veda Samhitā X.189, usato comunemente come una oratio segreta, è la regina serpente (un altro nome dell'Aurora e Madre Terra), «che si muove all'interno di sfere luminose, lei, con la sua voce (vāc, femmina), si da al sole alato; «Quando egli inspira, ella espi-ra52». L’ora gloriosa dell'Aurora è molto breve; «Vergine incontrollata, lei lascia, precursore del sole e il sa-crificio e il fuoco» (Rg Veda Samhitā VII.80.2), ma presto il sole la cattura, lui e lei insieme brillano congiunti (VII.81.2); fino a brillare privatamente con una propria radiazione, ma vestita di sole, lei «ora brilla negli occhi radianti del suo seduttore» (I.92.11). Spesso è Indra, in quanto Sole, che si dice « abbatte il carro dell’Aurora» (X.73.6), che diventa così Indrani, la regina del cielo, però senza di-stinzione tra re e regina. Inoltre, questa è una purificazione, come prima della processione, l'Aurora era un «serpente senza piedi»53,ofidica invece di angelica, perché la notte è legata a sua sorella Aurora come Lilith ad Eva. È proprio questa natura ofidica quello di lei che muore quando procede, e la sua assunzione (di lei) è seguita dalla sua ascensione (di lui). Passata attraverso il mozzo della ruota solare, le è dato, come ad Apala (la «Senza Difesa» nel senso di «non-sposata»), una pelle di sole anziché la sua vecchia ve-ste di pelle di serpente (VIII.91) che la fa «adatta a essere accarezzata» (samslistika; Sátyáyana Bráhmana, citato da Sayana). Ci sono il cielo e la terra abbracciati, (samslisyatah, Jaiminiya Upanisad Bráhmana I.5)54- che è non un “mito” nel senso della mala interpretazione antropologica corrente della parola, ma un'Unione (mithuna) che deve essere effettuata «entro il vuoto del cuore (hrdayakasa)» dall’Illuminato reale (samvit) e che è la "suprema beatitudine (paramo hy esa ánan-dah, Satapatha Bráhmana X.5.2.11), l'eterno piacere di Dante (Paradiso XVIII). Tutto questo è significativo dal punto di vista dell'interpretazione del nostro testo di Dante, poiché è stato suggerito che la bella figlia del Sol è l'umanità, dal momento che il sole è il "padre di ogni mor-tal vita" (XXII.116 Paradiso) e poiché l'uomo è "generato dall'uomo e dal sole» (cf. De monarchia I.9 e 6-7). Non c'è alcuna discrepanza qui, perché come abbiamo visto, l'Aurora e la madre terra, nello stesso senso che Adamo ed Eva, cioè seminalmente, sono tutti gli uomini, l’intera umanità,55 e l’umanità è la Chiesa, la sposa di Cristo. Per essere Uniti con Lui, l'umanità, la Chiesa, deve trasformarsi - nel linguaggio vedico, deve spo-gliarsi della sua pelle di serpente e scrollarsi di dosso il male. Questo stesso è descritto, non solo nel-

50 Paradiso XXXIII.1 51 nella Liebesgeschichte des Himmels infinite (e. Sieke). 52 asya prānāt apnāti 53 Per una presentazione più dettagliata, vedere Coomaraswamy, «il lato oscuro dell'aurora», 1935. 54 Questo è nel senso di "Il matrimonio del cielo e dell'inferno" di William Blake, poiché tutte le proprietà ter-rene da cui le individualità sono determinate sono «inferno», come è esplicito nel: Jaiminiya Brahmana IV.26; CFR. S X.5. 55 Non dimenticare che dal punto di vista della scolastica, l'umanità è un modo che non ha nulla a che fare con il tempo;non l'umanità dell’ "umanesimo", ma un principio creativo che informa ogni uomo, e secondo il quale esso dovrebbe essere giudicato. Così, Thierry di Chartres parla di forma humanitatis che nunquam perit, e Tommaso d'Aquino dice che "l'umanità e la parte formale di un uomo" (Summa Theologica 3.3). [«Dios ha preso l'umanità e non uomo» (Maister Eckhart, a cura di Pfeiffer, p. 250)].

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la storia di Apala, ma anche nella storia del matrimonio di Surya (Rg Veda Samhitā X.85.28-33), do-ve la moglie si spoglia della forma squamosa, krtyā («potenziale»), mala e ingloriosa e con una feli-cissima apparenza (sumangali) («la più bella di tutte le belle forme», come descrive nel Sátyáyana Bráhmana è descritta Apala, che prima era rettile) «assume il suo Signore come fa una moglie» (á jáyá visate patim, Rg Veda Samhitā X.85.29). E questo lo dice nella medesima maniera San Bonaventura del Matrimonio di Cristo con la sua Chie-sa: «Cristo presenterà sua moglie, che egli amava nella sua bassezza e tutta sporca, gloriosa dalla sua stessa gloria [di Lui], senza ruga o macchia» (Dominica prima post octavum epiphaniae II.2). Abbiamo presentato la tradizione riguardante l'Aurora in qualche dettaglio per ricordare che al let-tore com’è pericoloso, a proposito di scrittori di questo calibro e con problemi come quelli di Dante e Maestro Eckhart, che, anche se sono considerati i "padri" della loro lingua, non sono scrittori di belle lettere56, attribuire all'invenzione o all'abilità poetica individuale ciò che in realtà sono formule e simboli tecnici con connotazioni note. Le citazioni dai Veda servono per dare un significato coe-rente alle parole di Dante e Maestro Eckhart. Entrambi sono sempre consapevoli di molto di più di quello che dicono; come Dante stesso avverte il lettore, , «mirate la dottrina, che s’asconde sotto il velame degli versi strani» (Inferno IX.61). Va anche ricordato che l’illustrazione della dottrina cristiana, con simboli pagani, non era solo com-pletamente legittima dal punto di vista medievale, ma ha persistito con una pratica consentita fino a tempi relativamente moderni, si può citare come esempio l’opera di Calderon.57 Non è irragionevole supporre, quindi, che sia Maestro Eckhart che Dante, avessero familiarità con dottrine tradizionali - probabilmente iniziatiche e trasmesse solo oralmente o forse tuttavia non re-gistrate nei documenti esistenti - tali come sono state citate sopra a proposito del sommo sole e del-la bella figlia. Il secondo passaggio apparirà nel Paradiso XVIII.110-111: «... e da lui si rammenta quella virtù ch’ é forma per li nidi».58 Nella versione di Wicksteed, integrando solo la maiuscola, «E da lui si rammenta quella virtù ch'è forma per li nidi». È appena necessario ricordare che «forme» va inteso qui, nel suo senso usuale sco-lastico ed usuale esemplare, come "forma essenziale" (come quando si dice che «l'anima è la forma del corpo») e nel senso moderno di forma come “fattura”. Trascurando completamente paralleli che citeremo di seguito, si può notare che i nidi implicano gli uccelli e che entrambi coinvolgono gli alberi, e che «uccelli» sono tradizionalmente una denomina-zione degli Angeli, o le sostanze intellettuali; le ali per denotare l'indipendenza del moto locale, e che la «lingua» uccelli è la «comunicazione» angelica59; o che «uccelli», in modo più generale, pos-sono significare gli esseri viventi(in tutti i sensi della parola), in quanto si distinguono dalle cose ina-nimate e immobili.

56 Maestro Eckhart, «tutta la felicità a coloro che hanno ascoltato questo sermone. Se non ci fosse stato nes-suno qui, avrei predicato al sacchetto delle elemosine»; «lavorare come se niente esistesse, come se nessuno dovesse sopravvivere, come se nessuno fosse mai venuto sulla terra» (a cura di Evans, I, 143 e 308). Dante, «tutto il lavoro è stato intrapreso, non per uno scopo speculativo, ma per uno scopo pratico, lo scopo di tutta questa parte [Paradiso], è rimuovere coloro che vivono in questa vita dello stato di afflizione e portarli ad uno stato di beatitudine "(epistola ad Can Grande 15, 16); Bhagavad Gita II.47, «tu compi soltanto le opere, non i loro frutti» e III, "questo mondo è incatenato dalle opere, a meno che non le offra al sacrificio; che le tue opere non abbiano un fine, nessun interesse '. 57 Vedi René Allar, "Calderon e l'unità della tradizione, il velo di Iside, XL (1935), 407 GIS. ' 58 [Quei che dipinge lì, non ha chi 'l guidi; ma esso guida,] e da lui si rammenta quella virtù ch'è forma per li nidi. 59 RG Veda VI.9.5 Samhitā , "l'intelletto è il più veloce degli uccelli". Cfr. René Guénon, il linguaggio degli uc-celli.

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Da questo punto di vista, i «nidi» sarebbero le stanze degli Angeli e di tutti gli esseri viventi sui rami dell'albero della vita; con «nido» s’intende l'ambiente fenomenico-corporale, o un altro ambiente appropriato agli individui, all’anima e «il potere che è la forma del nido» sarà di colui che ha fatto l'uomo a sua immagine e somiglianza. Tuttavia, il passaggio è stato considerato oscuro; nei loro commenti di Wicksteed e Oelsner60, si chiedono, «Da quali nidi? Questi nidi sono i cieli, annidati uno dentro l'altro?» ecc., sono particolarmente tortuosi, forse perché prendono in considerazione la M dei versi del cielo di Giove (94-96). Anche se riconoscono che si riferisce alla somiglianza di un uccel-lo, non prendono in considerazione che cosa voglia dire esattamente la somiglianza di un'aquila - cioè la somiglianza di Dio stesso "esemplificato" qui da Giove [Júpiter] - e di conseguenza, non capi-scono che i «nidi», in quella stessa immagine sono quelli degli esseri umani. Tutto ciò che è stato detto sopra è esplicito nella tradizione vedica, dove, tra l’altro, ci sono due pa-role per "nido", nida e kulaya, e la prima ricorda immediatamente i nidi di Dante. Il significato generale di "nido" è definito nel Pancavimsa Brahmana XIX.15.1: «Il nido sono i figli, il nido è [«grandi possessi», « potenzialità di realizzazione»], il nido è dimora». Nel Rg Veda Samhitā I.164.20-22, appaiono le immagini di due aquile compagne che abitano l'albero della vita e che sono l'aspetto duale della divinità, che da una parte vede tutte le cose61, e da altro si nutre di fichi,62 e l'immagine di altri uccelli seduti di sotto, che cantano con gli occhi sempre aperti loro partecipazio-ne alla vita63 (amrtasya bhágam animesaм abhi svaranti), gustano il miele e generano i propri figli ", ma «quelli che non conoscono il padre, il Pastore grande dell'universo, non possono raggiungere la sommità dell’albero».64 Ma, dato che l’essere è Contemplativo (dhirah), ha «fatto anche la Sua casa in me, che sono già qui»65, troviamo che altrove ci si riferisce a Lui non solo come al «denidato»66, ma anche come al ci-gno (hamsa), che con il Soffio della vita protegge i «rami più sotto»67, cui proprio " « è appollaiato come un uccello»:68 dove «denidato» e «nidato» corrispondono alla natura della divinità che è «Uno

60 Temple Classics Edition, Paradiso, p. 227. 61 Il sole è l'occhio di Varuna, con il quale il Sé presenzia in tutto l'universo (Rg Veda Samhitā, passim); Nessu-no può illuminarsi senza la sua conoscenza (VII.86.6 Samhitā Rg Veda); Egli comprende lo sfavillio degli occhi degli uomini e sa tutto quello che l'uomo fa, pensa o vede (Atharva Veda, Samhitā IV.16.2, 5), la Sua cono-scenza è speculativa (visvam sa vedo varuno yathá dhiyá, Rg Veda 1Samhitā X.11.). Cfr. Luca 12:6-7, «Cinque passeri non si vendono forse per due soldi? Eppure nemmeno uno di essi è dimenticato davanti a Dio. Anche i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non temete, voi valete più di molti passeri»; Ebrei 04.12-13, « Infatti la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa pene-tra fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore. Non v'è creatura che possa nascondersi davanti a lui, ma tutto è nudo e scoperto agli occhi suoi e a lui noi dobbiamo rendere conto»; Summa Theologica I.14.16C e annuncio 2, «Dio ha di Sé stesso solo una conoscenza speculativa. [la quale] comprende una conoscenza sia speculativa che pratica di tutte le cose». 62 San Luca 7:34, «È venuto il Figlio dell'uomo che mangia e beve»; Deuteronomio 4:24, « Poiché il Signore tuo Dio è fuoco divoratore» Agni il Destriero Celeste, lo Spirito, il sole alato quello che da qui si è alzato al cielo, è il più vorace dei mangiatori».** « Il "mangiare" Dio è la nostra vita, perché in Lui lo Spirito si riveste di carne, di-ventando Anna-Maya (il corpo fisico). 63 Come anche nel Rg Veda Samhitá VIII.21.5, «Appollaiati come uccelli, oh Indra, eleviamo la nostra canzone a Te»; cfr. Paradiso XVIII.76-77, « sì dentro ai lumi sante creature / volitando cantavano ...». 64 Cfr. Paradiso X.74, «chi non s'impenna sì che là sù voli» su questo si potrebbero addurre numerosi di paralleli in sanscrito - ad esempio, Pañcavimsa Bráhmana XIV. 1.13, «quelli che salgono alla parte superiore del Grande Albero, come viaggiano là così veloci? Quelli hanno le ali volano, quelli che non le hanno cadono» e similmen-te, Jaiminiya Upanisad Bráhmana III.13.9. 65 má dhirah pákam atrávivesa 66 [anidah, Rg Veda Samhitā X.55.5 - 6, Svetasvatara: v] San Matteo 8:20, «gli uccelli dell'aria hanno nidi; ma il figlio dell'uomo non ha dove posare la sua testa». 67 avaram kuláyam, Brhadáranyaka Upanisad IV.3.12 68 sadanam yathá veh, Rg Veda Samhitá III.54.5-6

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come Egli è là» e anche «molteplicemente presente nei suoi figli»69, da cui il parlare di Lui come Nŗsad, «che risiede negli uomini», o Nŗcaksus, «Presente agli uomini» e Vaisvanara, «Comune a tutti gli uomini».70 Tuttavia, «i nidi di più giù» non sono solo quelli delle sostanze individuali nel senso spiegato qui so-pra, ma questi, allo stesso tempo, sono tutti gli altari sacrificali, sia quelli concreti che quelli all'in-terno di voialtri71, dove si incendia il fuoco sacro; ed è in questo senso che “la Deità, abbandonando il suo trono d’oro, si affretta al luogo di nascita apparente del Falco, la sede costruita con il [mezzo della] speculazione »72 dove il Falco, come al solito, è il Fuoco, il luogo di nascita, come al solito, è l'altare, il grembo della Madre Terra, è la matrice della madre, e l'aspetto della divinità (deva), a cui si allude dicendo che corre è il Soma, la linfa dell'Albero della Vita, il "vino" della vita, il sacrificio e la volontà (kriluh).73 Di conseguenza, troviamo un elaborato simbolismo dell'Altare, che è «il trono più basso» della divi-nità e somiglia proprio a un nido di uccello e anche che l'altare è stato preparato da assomigliare chiaramente ad un nido, per esempio, nell’Aitareya Brahmana I.28, dove il sacerdote, nell’invocare «il sacro Fuoco e l’ospite Angelico a presentarsi presto al luogo della prima nascita con ricche la-ne»(descritto con «ciò che è sparso» perché queste parole sono prese da Rg Veda Samhitā VI.15-16), proseguendo con la frase «facendo un nido consacrato per Savitr» (il sole in quanto "vivificato-re") e, di fatto, preparando «per così dire, un nido, circondato con pali di legno pitturato, da bedel-lium74, velli di lana e erbe aromatiche», e questo è davvero una rappresentazione del nido della Fe-nice, in cui la vita dell'Aquila, il Fuoco è perpetuamente rinnovato. Resta solo da aggiungere ciò che è già implicito nelle parole "costruito per [mezzo della] speculazio-ne" (dhiyā krtam, citata, in quanto dhi e dhyana nel Sanscrito Vedico, sono usati come sinonimi, e significano contemplazione), vale a dire, che il potere di Agni nel suo nido più in basso, dove resta fintanto che è acceso, non è che latente, in altre parole porta Dio alla nascita, che altrimenti rima-rebbe sconosciuto. Questo avviene solo simbolicamente nel rituale o nel sacrificio della Messa, che in realtà è costituito da «uno che capisce (ya evam vidván il Comprensore (evamvit), lo gnostico (jnanin)», «nello spazio vuoto del cuore (hrdayákáse)», «nella camera nuda dell’uomo interiore ((an-tar-bhütasya khe); è un'oscurità interiore che brilla. "Nessun uomo, per le opere o sacrifici raggiunge Chi vive in eterno" (Rg Veda Samhitā VIII.70.3), ma solo quelli che hanno subito l’ultima morte dell'anima e che, alle porte del cielo, e in risposta alla domanda "Chi sei?" si qualificano nel rispondere, non con un nome o cognome di persona, ma con le parole: «Quello che tu sei, io sono la Luce, sono te stesso", solo questi sono benvenuti alla benedi-zione, "Quello che tu sei, io sono, e ciò che sono, tu sei, benvenuto" (Jaiminiya Upanisad Bráhmana III.14), perché allora non c'è più nulla della persona, o come 'nome' o come "somiglianza" (nama-

69 Satapatha Bráhmana X.5.2.16-17 70 Cf. Coomaraswamy, «L’Esemplarismo Védico». 71 Sul divampare di Agni «dentro voialtri», si veda Satapatha Bráhmana VII.4.1.1 y X.5.3.3. 72 syeno na yonim sadanam dhiyá krtam hiranyayam ásadam deva esati, Rg Veda Samhitá IX.71.6), 73 A cui si partecipa a titolo di transustanziazione: "Gli uomini immaginano che quando si schiaccia la pianta, si distilli il vero Soma, ma i bramini comprendono che nessuno ha mai assaggiato il vero Soma, non quelli che abitano sulla terra" (Rg Veda Samhitā X.85.3-4). "Il Nyagrodha è Re Soma simbolicamente, una parabola con cui il potere temporale ottiene una somiglianza con il potere spirituale, in un certo modo, attraverso il sacer-dote, ottiene l'iniziazione e l'invocazione" (Aitareya Brahmana VII.31). L'unico accesso a Lui è nell’iniziazione e nella combustione (Satapatha Brahmana 6.2.10-11), cfr. Genesi 3:22, "egli non stenda più la mano e non pren-da anche dall'albero della vita, ne mangi e viva per sempre." 74 Commiphora africana o Gukkulu. Una pianta indigena dell’India, da cui si trae una resina, che, quando è fre-sca, è bagnata, fragrante e caratterizzato da tonalità dorata. Quando viene diluita con acqua la sostanza for-ma un’emulsione che esposta al sole si scioglie e può essere bruciata sul fuoco. È comunemente usata come alternativa alla più costosa mirra.[n.d.t.]

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rupa), ma solo il suo Spirito (atman) che sembrava fosse stata interamente determinato e spartito, ma in realtà è impartibile75. Il così liberata, entrando attraverso il centro del Sole ("Io sono la Via nessuno viene al Padre se non per mezzo di me" Giovanni 14:6, «solo conoscendo - si oltrepassa la morte, non c'è nessun altro mo-do per andare lì, " Vājasaneyi Samhitā XXXI.18)," la porta attraverso la quale tutte le cose ritornano perfettamente libere alla loro felicità suprema "(Eckhart, ed. Evans, I, 400), diventa un" Movitore per volontà "(kāmacārin), che sarà, in effetti, non è più sua, ma si confonde con quella di Dio."Questo sua forma propria, che ha relativa volontà76; lo Spirito è la sua volontà [di lui], e lui non ha volontà, né alcun desiderio" (Brhadaranyaka Upanisad IV.3.21), "va su e giù [e verso il basso] di questi mondi, mangiando ciò che vuole, e assumendo che la somiglianza che vuole "(Taittiriya Upanisad III.10.5), nello stesso modo, come in San Giovanni 10:9:" Io sono la porta: se uno entra attraverso di me sarà salvato, ed entrerà ed uscirà, e troverà pastura "e ancor più esplicitamente nella Pistis Sophia. Abbiamo esaminato sopra un profilo ricapitolando le implicazioni del simbolo del “nido” nella tradi-zione gnostica dei Veda. E 'vero che l'uso della parola da Dante avrebbe dovuto essere compresa, sia da altri passaggi (ad esempio Paradiso XXIII: 1-12, dove la stessa Beatrice è paragonata ad un uc-cello nel suo nido all'alba per dare il benvenuto al sole), oppure confrontandola con i testi biblici, come Matteo 7:20, citato in una nota precedente, ma al tempo stesso, come serve in relazione con il Sole, si può stabilire che Dante, la cui conoscenza della simbologia cristiana e pagana è così vasta e così precisa77, era sommamente a conoscenza di tutti i significati tecnici dei simboli utilizzati. "Tec-nici", perché tali termini non sono usati come ornamento, né possono essere spiegati secondo un suo arbitrio, perché appartengono al vocabolario di un consistente linguaggio simbolico.78 Pensiamo che ha dimostrato che i riferimenti di un esponente di principi cristiani ortodossi, che scri-veva alla fine del Medioevo e, per così dire, che riassume tutta la sua dottrina, in realtà può essere chiarito da un confronto con le Scritture ciò che erano vive nell'altra metà del mondo e tre millenni prima e che questo può essere spiegato solo partendo dal presupposto che tutte queste "formula-zioni alternative di una comune dottrina (dharma-paryáya)" sono "dialetti unici di una lingua dello spirito", rami di un solo e unica" tradizione universale e unanime”, il Sanatana Dharma, la Philoso-phia Perennis, la "Sapienza increata, identica oggi a come è sempre stata e sempre sarà» " S. Ago-stino (Confessioni IX.10 ).

75 «L'anima presa dall’inappagamento divino non può avere comprensione in nulla che abbia nome. Ella fugge da tutti i nomi dentro a un qualcosa senza nome. Questi sono i morti benedetti. Sepolti e beatificati nella Divi-nità. In questo stato noi siamo liberi come mai siamo stati, liberi come la divinità nella sua non-esistenza» (Meister Eckhart, ed. Evans, I, 373, 381-382). "Scendi fino all’annichilimento e alla morte eterna, non sia che la venuta del Giudizio Finale mi trovi non-annientato, allora sarò preso e messo nelle mani del mio stesso Egoi-smo " (W. Blake). 76 Cf. Paradiso XXII.64-65, Ivi è perfetta, matura e intera / ciascuna disïanza;». 77 Cfr., ad esempio, la descrizione metafisicamente tecnica dei tre mondi nel Paradiso XXIX.28-36 e il tratta-mento del punto in XIII.11-13, 18-XVII.17 e XXVIII.16, 25-26 e 41-42, per tutti questi passaggi si potrebbero por-tare paralleli indiani; per esempio, «in punta dello stelo, cui la prima rota va dintorno. "Da quel punto dipende il cielo, e tutta la natura» (XIII.11-12 e XXVIII.41 - 42) corrisponde al Rg Veda I.35.6 Samhitā , anim na rathyam tasthuh adhi amrta. 78 San Clemente, Miscellanea VI.15, «la profezia non impiega forme figurative in espressioni solo a causa della bellezza di dizione»; Summa Theologica I.1.10C, «"mentre in ogni altra scienza le cose sono definite dalle pa-role, questa scienza ha la proprietà che le cose definite dalle stesse parole hanno in sé un significato ulterio-re», Émile Male si riferisce certamente al linguaggio del simbolismo cristiano come un «calcolo».