(e-book - andrea camilleri ita) dieci favole sul cavaliere

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Dieci brevi "favolette" su Berlusconi, scritte da Camilleri

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Page 1: (E-book - Andrea Camilleri Ita) Dieci Favole Sul Cavaliere

Andrea Camilleri

Dieci favole "politicamente scorrette"...Le favole politicamente scorrette dedicate al Cavaliere d'Iliata dall'autore del "CommissarioMontalbano"

Il bene pubblico

Faust 2001

L’incorreggibile

I Vangeli dei due apostoli

Gli scheletri

Favola vera

Il Cavaliere e la Morte

Il Cavaliere e la mela

Il Cavaliere e la Volpe

Il pelo, non il vizio

Il bene pubblico

di Andrea Camilleri

Mentre se ne stava stinnicchiato al sole, al Cavaliere scappò unbisogno urgente. Visto che la spiaggia era deserta, s’arriparòdarrè un cespuglio. In quel preciso momento vide passare unoscrafaglio merdarolo che faticosamente trascinava nella suatana una pallina di sterco.

«Ti basterà per mangiare tutta l’invernata», spiò il Cavaliere.

«Non credo», arrispunnì lo scrafaglio. «Siamo tutti preoccupati.Quest’anno, tra una cosa e l’altra, abbiamo raccolto picca e

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nenti. Rischiamo tutti la fame».

«Ci sono qua io!», disse il Cavaliere.

E fece il bisogno suo. Sul quale si gettarono tutti gli scrafaglimerdaroli inneggiando alla generosità del Cavaliere.

Faust 2001

di Andrea Camilleri

Un giorno un signore quarantenne, agile, elegante, ben vestito,capelli curatissimi, faccia tirata a lucido, costosissima valigettagriffata in mano, riuscì a farsi ricevere dal Cavaliere. A questi ilvisitatore fece subito buona impressione: a prima vista, pareva iltipico dirigente-manager del partito che aveva fondato, potevaessere un buon acquisto in vista della prossima campagnaelettorale.

«Desidera?», domandò il Cavaliere.

«Io? Io niente», fece il visitatore. «È lei che desidera qualcosada me».

Il Cavaliere s’irritò. Lui non aveva niente da desiderare, avendotutto.

«Ci dev’essere un equivoco», disse brusco.

«Nessun equivoco, mi creda. Lei, ieri sera, alle diciannove etredici esatte, solo nel suo bagno, guardandosi allo specchio hapensato: Darei qualsiasi cosa per riavere i miei capelli. Edeccomi qua a servirla».

Senza dargli tempo di reagire, il visitatore aprì la valigetta, netrasse fuori una dozzina di disegni e li posò sulla scrivania: inognuno d’essi, la testa del Cavaliere era incoronata da una

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diversa, ma sempre foltissima, capigliatura: ora riccioluta, oraliscia, ora a onde…

«Scelga quella che le piace di più. Il contratto ce l’ho qua giàpronto. Appena l’avrà firmato, si ritroverà in testa il modello chedesidera. E le garantisco anche che, fino alla morte, nonperderà più nemmeno un capello».

«Lei quale ditta rappresenta?», domandò il Cavaliere.

«Non rappresento altro che me stesso. Non ha ancora capito chisono?».

Lo disse in modo tale che il Cavaliere capì. Il visitatore era ilDiavolo in persona. Dunque tutto quello che aveva detto eravero. Bastava concludere il patto e avrebbe riavuto i suoi capelli.

«Quindi, secondo la tradizione, lei vorrebbe in cambio la miaanima», disse lentamente il Cavaliere.

Il visitatore lo guardò, leggermente stupito, ma non aprì bocca.

Il Cavaliere sospirò, ci pensò ancora un momento, poi allungò lamano.

«E va bene, firmiamo questo contratto», fece.

A quel punto il visitatore si mise a sghignazzare.

«La sua anima? Lei vorrebbe darmi in contropartita la suaanima? Ma non lo sa che da tempo non accettiamo più anime?Era un commercio che piaceva a mio nonno, che andavasempre in perdita, poveraccio, e piaceva ancora di più ai poetiche ci ricamavano sopra».

«E allora lei che cosa vuole in cambio?».

«L’ottantacinque per cento di tutto quello che possiede,televisioni, aziende, giornali, società, ville, tutto. Non è perniente esosa, la nostra richiesta. Pensi alla figura che farà suimanifesti elettorali, sicuramente vincerà la campagna».

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«In questo caso, preferisco farmi ritoccare le fotografie», disse ilCavaliere.

E lo congedò.

L'incorreggibile

di Andrea Camilleri

In sogno, Dio apparve al Cavaliere. Questi lo riconobbe subito,perché il Signore era esattamente come lo raffiguravano, coltunicone e la gran barba bianca.

«Sono venuto a trovarti», fece Dio, «per farti capire come la tuasmodata ambizione, la tua inesauribile sete di potere sianoassolutamente ridicole. Anche se tu conquistassi l’universointero, resteresti sempre un nulla. L’universo, figlio mio, è finito».

«In che senso?», domandò il Cavaliere.

«Ora te lo spiego», rispose Dio. «Immagina che io posseggauna collezione di migliaia e migliaia di bottiglie di champagne.Ne ho stappata una, e quello che chiamate big bang non eraaltro che il rumore del tappo che saltava, ho riempito unbicchiere, e ora sto per berlo. Le stelle che i vostri astronomivedono nascere e morire sono semplicemente le bollicine che siformano e scoppiano. E tu sei dentro quel bicchiere e quelbicchiere è il tuo universo. Ma appena avrò bevuto il miochampagne, il vostro universo scomparirà. Hai capito?».

«Perfettamente», rispose il Cavaliere. «E quanto mi verrebbe acostare questa vostra collezione?».

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I Vangeli dei due Apostoli

di Andrea Camilleri

Tra i moltissimi apostoli che diffusero, con opere e azioni, ilVerbo del Cavaliere, due, Marcello e Cesare, furono anche gliautori dei Vangeli che ancor oggi ci permettono di conoscerne eammirarne la sovrannaturale grandezza.Tra i due sacri testi esistono, è vero, delle discrepanze che noninficiano però la sostanziale verità del racconto.I due concordano sull’episodio del dodicenne Cavaliere che,assalito da alcuni facinorosi senza Fede detti comunisti, lisgominò, novello Davide, lanciando loro dei sassi e tutticolpendoli alla fronte perché la sua mano era guidata dalSignore. Dissentono invece, ma solo per un dettaglio, sul fattoche il Cavaliere avesse camminato sulle acque, come Eglistesso confidò a un ristretto gruppo di apostoli.Mentre Marcello afferma che il Cavaliere disse: «Ho camminatosulle acque», Cesare racconta che la frase esatta fu: «Hoattraversato cattive acque».I due evangelisti invece concordano, in tutto e per tutto, sulmiracolo del risveglio del giovinetto che, caduto in coma, tornòalla coscienza udendo la voce del Cavaliere durante una dellesue predicazioni.Marcello e Cesare perfettamente concordano anche sulmiracolo detto della «conversione del Sinedrio». Portato dainemici davanti al Sinedrio per essere giudicato, il Cavaliere fuaccusato di colpe che mai aveva commesso e dovette subirepesanti condanne. Ma, qualche tempo, dopo il Cavaliere, aiutatodall’apostolo Cesare, riuscì a incontrare a quattr’occhi icomponenti del Sinedrio e con loro lungamente parlò facendoliilluminare dallo Spirito Santo.Alla fine non solo venne proclamato mondo da ogni peccato,perfino da quello originale, ma alcuni degli antichi persecutoripresero a seguirlo e diventarono suoi apostoli. I pochi reprobidel Sinedrio che continuarono satanicamente ad accusarloebbero vita breve e infelice.Particolare curioso: i due evangelisti stranamente non fanno

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parola del miracolo più clamoroso e conosciuto, quello dellamoltiplicazione dei miliardi.

Gli scheletri

di Andrea Camilleri

Un palermitano cedette alle insistenze di un suo amico e andò atrovarlo nel ridente paese del Nord Iliata dove questi viveva. Ungiorno stavano passeggiando in campagna quando l’amico,indicandogli una villa lontana, disse: «Lì abita il Cavaliere».

E proprio in quel momento il terreno si aprì e i duesprofondarono in una profondissima buca.Non si fecero niente, ma capirono che sarebbe stato impossibilerisalire. Cominciarono a chiamare aiuto, però nessunoaccorreva. A un tratto il terreno si smosse ancora e davanti aloro comparve un’apertura che pareva l’entrata di una galleria.Non avevano scelta, la varcarono.Era una galleria infatti, lunghissima, e quel che videro li atterrì.Lungo le pareti c’erano centinaia e centinaia di scheletri, ognunoilluminato da una piccola lampada.Principiarono a percorrerla, tremanti, nel tanfo insopportabileperché ancora da qualche osso pendevano lembi di carnemarcia. Camminarono e camminarono sotto lo sguardo delleocchiaie vuote e il ghigno dei teschi.

«Madonna santa, ma qua è peggio che nella cripta deiCappuccini!», balbettò il palermitano.

Allo stremo delle forze, dopo aver percorso chilometri, viderouna porta. Ansanti, l’aprirono. E si trovarono in unalussuosissima camera da letto. Sbalorditi, si voltarono a

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guardare da dove erano venuti. Non avevano aperto una porta,ma le ante dell’armadio del Cavaliere.

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Favola vera

di Andrea Camilleri

Eletto a furor di popolo Presidente di tutto (della Repubblica, delSenato, della Camera, del Consiglio) il Cavaliere riunì i suoiministri e disse: «Da tempo avevo preparato la riforma dellaCostituzione. Prendete appunti. Il testo l’ho già inviato allaGazzetta Ufficiale».

Diligentemente, i ministri si munirono di carta e penna.

«Articolo 1», dettò il Presidente, «Iliata è una Repubblicafondata sui lavori del Cavaliere».

I ministri annuirono.

«Articolo 2», proseguì il Presidente. «Il colore rosso, simbolodell odiato comunismo, è dichiarato anticostituzionale e pertantoviene abolito».

«Come la mettiamo con le Ferrari?», domandò il ministrodell’Industria.

«Non c’è problema. Diventano azzurre», ribattè il Cavaliere.

«E con il Tricolore?», domandò a sua volta il ministro della Difesa.

«Rimane tricolore, ma al rosso si sostituisce l’azzurro», feceseccamente il Cavaliere.

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E via di questo passo. Furono stabilite multe salatissime per chi,coinvolto in un qualsiasi incidente, mostrava pubblicamente ilrosso del suo sangue, con i diserbanti si fecero sparire rose efiori rossi, la carne rossa non venne più messa in vendita mentreil pesce azzurro fu portato alle stelle, l’unico vino in commerciorimase quello bianco.

Sommersi da tutto quell’azzurro, gli Iliatani cominciarono benpresto a soffrire di nostalgia del rosso, una nostalgia chediventava di giorno in giorno sempre più acuta. Si ebbero i primiattentati rivendicati dai Grar (Gruppi rivoluzionari adoratorirosso). I contrabbandieri facevano affari d’oro non con lesigarette o i clandestini, ma con le scatole di sugo di pomodoro,assolutamente proibite in Iliata.

Finché un mattino, dopo un violentissimo acquazzone, apparvein cielo un gigantesco arcobaleno che coprì l’intero paese. Ilrosso di quell’arcobaleno non era solamente un colore, ma unaltissimo grido di rivolta, deciso e terso. Quell’arcobaleno segnò,sempre a furor di popolo, la fine del Cavaliere

Il Cavaliere e la morte

di Andrea Camilleri

Il Cavaliere, girando campagne e campagne, s’imbatté in unavecchia scheletrica, vestita di nìvuro, con una lunga falce inmano. La riconobbe subito e fece fare uno scarto al suo cavallo.

«Schifosa comunista!», murmuriò.

La Morte era d’orecchio fino e lo sentì. Si mise a ridere.

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«Tutte me le hanno dette! Ma comunista mai! Si può sapereperché?».

«E chi è più comunista di te? Tu consideri tutti allo stesso modo,ricchi e poveri, belli e brutti, re e pezzenti! E questo non ègiusto, gli uomini non sono eguali. Io, per esempio, sono ilCavaliere, l’uomo più ricco di questo paese, milioni di uomini miascoltano, mi seguono...».

«Basta, basta», l’interruppe la Morte che non era né comunistané liberale, ma solo una grandissima carogna, «mi hai convinto.Tu sei degno di un trattamento speciale, avrò un occhio diriguardo. Ti dico l’anno, il mese, il giorno, l’ora, il minuto primo eil minuto secondo della tua morte».

E glielo disse, scomparendo.

Il Cavaliere, paralizzato dallo scanto e incapace di fare altro,cominciò a contare i secondi che passavano, passavano,passavano, passavano…

Il Cavaliere e la mela

di Andrea Camilleri

Quand’era picciliddro, e quindi non ancora Cavaliere, il futuroCavaliere vide un compagnuccio che stava a mangiarsi unagrossa mela.

Gliene venne gana irresistibile. Facendo finta di niente, siaccostò al compagnuccio, gli strappò la mela e la pigliò a morsi.

La zia monaca del futuro Cavaliere, che era una santa fimmina,

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a quella scena aspramente rimproverò il nipote.

«Non sono stato io a rubare la mela», ribatté il picciliddrocontinuando a dare morsi al frutto. «La colpa è tutta del miocompagno che se l’è lasciata rubare

Il Cavaliere e la volpe

di Andrea Camilleri

Nel paese chiamato Iliata c’era un Cavaliere il quale ce l’aveva amorte con la Volpe. Non passava giorno che il Cavaliere,attraverso i suoi banditori che erano tanti e ben pagati, nonraccontasse le malvagità della Volpe, ladra, invidiosa dei benidel Cavaliere e sempre pronta a portarglieli via, ricettacolod’odio, spergiura, mentitrice, inaffidabile.

E tutto questo perché? Solo perché il pelame della Volpe erarosso e il Cavaliere, assai più di un toro nell’arena, inferocivaappena vedeva quel colore.

Un giorno il Cavaliere, nascosto, vide che la Volpe volevamangiarsi un grosso grappolo d’uva alta sopra un pergolato. LaVolpe saltava e saltava con tutte le sue forze, ma, per quanto siimpegnasse allo spasimo spiccando balzi sempre più alti, a untratto si fece persuasa che quel grappolo era, per lei,irraggiungibile.

«Perché sto qui a sprecare energia?», si domandò. «Oltretuttosicuramente quell’uva è troppo agra».

E se ne andò.

Il Cavaliere, nel suo nascondiglio, immediatamente si convinseche quell’uva era buonissima e che la Volpe aveva detto che eraagra solo perché non era riuscita a prenderla.

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Così, avvicinatosi alla pergola, senza manco scendere dacavallo, agguantò il grappolo e ne fece un solo boccone.

S’attossicò. L’uva era veramente agra.

Il pelo, non il vizio

di Andrea Camilleri

In Iliata ci fu un Cavaliere che, in pochi anni, accumulò unafortuna immensa. Un giorno alcuni magistrati cominciarono ainteressarsi dei suoi affari. E cominciarono a piovergli addossoaccuse di falso, corruzione, concussione, evasione fiscale ealtro ancora. Arrivarono le prime sentenze di condanna. IlCavaliere, attraverso i suoi giornali, le sue televisioni, i suoideputati (aveva fondato un partito), scatenò una violentacampagna contro i magistrati che indagavano su di luiaccusandoli d’esercitare una giustizia di parte. Lui stesso sidefinì un perseguitato politico.

Tanto fece e tanto disse che molti iliatesi gli credettero.

Poi un giorno (come capita e capiterà a tutti), morì.

Nell’aldilà venne fatto trasìre in una càmmara disadorna. C’eraun tavolino malandato darrè il quale, sopra una seggia di paglia,stava assittato un omino trasandato.

«Tu sei il Cavaliere?», spiò l’omino.

«Mi consenta», fece il Cavaliere irritato per quella familiarità. «Midica prima di tutto chi è lei».

«Io sono il Giudice Supremo», disse a bassa voce l’omino.

«E io la ricuso!», gridò pronto il Cavaliere che aveva perso tutto

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il pelo, la carne, le ossa, ma non il vizio.