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Page 1: E-book campione Liber Liber · furono la mole e la ricchezza dei monumenti romani che più colpirono il retore di Cartagine. Laggiù, oltre il mare nostrum, anche la Dea Celeste aveva,

Ernesto BuonaiutiSant’Agostino

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Questo e-book è stato realizzato anche grazie al so-stegno di:

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QUESTO E-BOOK:

TITOLO: Sant’AgostinoAUTORE: Buonaiuti, ErnestoTRADUTTORE: CURATORE: NOTE: Il testo è tratto da una copia in formato im-magine presente sul sito Opal libri antichi di Tori-no <http://www.opal.unito.it/psixsite/default.aspx>.CODICE ISBN E-BOOK: n. d.

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenzaspecificata al seguente indirizzo Internet:www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze

COPERTINA: n. d.

TRATTO DA: Sant'Agostino / Ernesto Buonaiuti. - Roma: A. F. Formiggini, 1917. - 75 p., [1] c. di tav. :ritr. ; 17 cm. - (Profili ; 44).

CODICE ISBN FONTE: n. d.

1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 7 gennaio 2020

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TRATTO DA: Sant'Agostino / Ernesto Buonaiuti. - Roma: A. F. Formiggini, 1917. - 75 p., [1] c. di tav. :ritr. ; 17 cm. - (Profili ; 44).

CODICE ISBN FONTE: n. d.

1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 7 gennaio 2020

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INDICE DI AFFIDABILITÀ: 10: affidabilità bassa1: affidabilità standard2: affidabilità buona3: affidabilità ottima

SOGGETTO:REL015000 RELIGIONE / Cristianità / StoriaREL051000 RELIGIONE / FilosofiaREL113000 RELIGIONE / Saggi

DIGITALIZZAZIONE:Paolo Oliva, [email protected]

REVISIONE:Raffele Fantazzini, [email protected]

IMPAGINAZIONE:Paolo Oliva, [email protected] Righi, [email protected]

PUBBLICAZIONE:Catia Righi, [email protected]

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INDICE DI AFFIDABILITÀ: 10: affidabilità bassa1: affidabilità standard2: affidabilità buona3: affidabilità ottima

SOGGETTO:REL015000 RELIGIONE / Cristianità / StoriaREL051000 RELIGIONE / FilosofiaREL113000 RELIGIONE / Saggi

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Indice generale

Liber Liber......................................................................4I.......................................................................................8II....................................................................................32III..................................................................................58BIBLIOGRAFIA..........................................................70

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Indice generale

Liber Liber......................................................................4I.......................................................................................8II....................................................................................32III..................................................................................58BIBLIOGRAFIA..........................................................70

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SANT’AGOSTINO

(S. BOTTICELLI)

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SANT’AGOSTINO

(S. BOTTICELLI)

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ERNESTO BUONAIUTI

Sant’Agostino

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ERNESTO BUONAIUTI

Sant’Agostino

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I.

«Navigavimus aliquando:peregrinati sumus: alii ivimus,alii redivimus».

(En. in Ps. 36: III, 19).

Ad autunno inoltrato del 383, dopo aver felicementetraversato il Mediterraneo con uno degli ultimi vascelli,che per quell’anno dovevano compiere il tragitto Carta-gine-Ostia prima che la navigazione fosse sospesa amezzo novembre, giungeva a Roma dalla via ostiense,ricolmo l’animo di aspirazioni indistinte e di sogni lumi-nosi, un ventinovenne retore numida. Si chiamava: Au-relio Agostino.

Che cosa mai aveva indotto questo giovane insegnan-te ad abbandonare, nel mistero e con l’inganno, la suagià fiorente scuola di Cartagine, i suoi amici fedeli, isuoi protettori generosi, la vedova madre, rimasta apiangere sulla spiaggia africana il figlio esuberante e in-disciplinato, per avventurarsi in un viaggio gravido diincognite, per andare a perdersi nel turbine vasto dellacapitale arcigna e livellatrice, dove sarebbe stato straor-dinariamente arduo guadagnare quella eminente posi-

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I.

«Navigavimus aliquando:peregrinati sumus: alii ivimus,alii redivimus».

(En. in Ps. 36: III, 19).

Ad autunno inoltrato del 383, dopo aver felicementetraversato il Mediterraneo con uno degli ultimi vascelli,che per quell’anno dovevano compiere il tragitto Carta-gine-Ostia prima che la navigazione fosse sospesa amezzo novembre, giungeva a Roma dalla via ostiense,ricolmo l’animo di aspirazioni indistinte e di sogni lumi-nosi, un ventinovenne retore numida. Si chiamava: Au-relio Agostino.

Che cosa mai aveva indotto questo giovane insegnan-te ad abbandonare, nel mistero e con l’inganno, la suagià fiorente scuola di Cartagine, i suoi amici fedeli, isuoi protettori generosi, la vedova madre, rimasta apiangere sulla spiaggia africana il figlio esuberante e in-disciplinato, per avventurarsi in un viaggio gravido diincognite, per andare a perdersi nel turbine vasto dellacapitale arcigna e livellatrice, dove sarebbe stato straor-dinariamente arduo guadagnare quella eminente posi-

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zione pubblica, che a Cartagine poteva dirsi ormai rag-giunta?

Esponendo diciassette anni più tardi i motivi della tra-versata, foriera di così profondo rivolgimento nella sferadelle sue esperienze spirituali, Agostino, già vescovo diIppona, annoverava al primo posto una nuova specialemanifestazione di quell’assistenza provvidenziale diDio, che doveva manodurlo, dalle piccole bricconatecommesse in unione agli eversores di Cartagine, alle la-crime salutari di Milano. Ma l’appello all’intervento di-vino, in virtù del quale la biografia delle Confessioni as-sume le forme di un racconto ininterrottamente miraco-loso, costituisce, lo sappiamo ormai, il motivo obbligatofondamentale e la tesi originale di questo scritto famoso,nel quale il dottore della grazia ha concretato, con laevocazione della propria esistenza, una dimostrazionetipica delle sue teorie, circa l’opera di Dio nel governo enella pedagogia dei suoi eletti. Negli scritti di Cassicia-co, il Contra Academicos cioè, il De ordine e il De bea-ta vita, testimonianze indirette ma pressochè sincrone,noi dobbiamo cercare una indicazione meno mistica, mapiù oggettiva, dei fini e delle cause che disciplinanol’evoluzione spirituale di Agostino, fra il momento incui salpa dalla spiaggia di Cartagine, mentre Monica in-consapevole prega in una memoria vicina di Cipriano, el’altro in cui, nella basilica milanese, scende nella vascabattesimale, per ricevere dalle mani di Ambrogio il desi-derato carattere cristiano.

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zione pubblica, che a Cartagine poteva dirsi ormai rag-giunta?

Esponendo diciassette anni più tardi i motivi della tra-versata, foriera di così profondo rivolgimento nella sferadelle sue esperienze spirituali, Agostino, già vescovo diIppona, annoverava al primo posto una nuova specialemanifestazione di quell’assistenza provvidenziale diDio, che doveva manodurlo, dalle piccole bricconatecommesse in unione agli eversores di Cartagine, alle la-crime salutari di Milano. Ma l’appello all’intervento di-vino, in virtù del quale la biografia delle Confessioni as-sume le forme di un racconto ininterrottamente miraco-loso, costituisce, lo sappiamo ormai, il motivo obbligatofondamentale e la tesi originale di questo scritto famoso,nel quale il dottore della grazia ha concretato, con laevocazione della propria esistenza, una dimostrazionetipica delle sue teorie, circa l’opera di Dio nel governo enella pedagogia dei suoi eletti. Negli scritti di Cassicia-co, il Contra Academicos cioè, il De ordine e il De bea-ta vita, testimonianze indirette ma pressochè sincrone,noi dobbiamo cercare una indicazione meno mistica, mapiù oggettiva, dei fini e delle cause che disciplinanol’evoluzione spirituale di Agostino, fra il momento incui salpa dalla spiaggia di Cartagine, mentre Monica in-consapevole prega in una memoria vicina di Cipriano, el’altro in cui, nella basilica milanese, scende nella vascabattesimale, per ricevere dalle mani di Ambrogio il desi-derato carattere cristiano.

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Page 10: E-book campione Liber Liber · furono la mole e la ricchezza dei monumenti romani che più colpirono il retore di Cartagine. Laggiù, oltre il mare nostrum, anche la Dea Celeste aveva,

Roma imperiale costituiva anche allora la palestra na-turale per quanti agognassero una carriera brillante nelmondo; il mercato più ambito e più promettente perquanti avessero da porre in valore doti personali esimiee idee proprie. La vecchia città, pur non esercitando piùil fascino dei tempi di Augusto e degli Antonini, daquando un sovrano audacemente innovatore le avevaedificato una rivale sulle sponde del Bosforo, conserva-va sempre una maestà disdegnosa e fiera, che potevapermettersi di guardare con sprezzante sussiego il fastoprovinciale della Bisanzio rinnovellata e di soggiogareancora, con la sua mistica grandezza, gli eredi e i conti-nuatori di Costantino. Più che il desiderio vago ed incer-to di trovare una scolaresca più disciplinata di quellacartaginese, la brama di più lauti guadagni e di più cla-morosi onori aveva tratto dal suo nido africano l’avven-turoso oratore, nato a Tagaste. L’alloro che aveva coro-nato i successi letterari dei suoi conterranei Frontone edApuleio, non avrebbe riservato rinverdite fronde al suocapo, già redimito nelle modeste gare africane?

I manichei suoi correligionari di Cartagine lo avevanoaccompagnato con lettere di presentazione ad autorevolipersonaggi della setta, che annoverava proseliti numero-si, per quanto nascosti, a Roma. Uno di essi gli offrì lar-ga ospitalità. Possiamo imaginarci il domicilio di Ago-stino in una delle case del popoloso quartiere degli Afri-cani, situato fra il Celio e l’Aventino, proprio là, doveanche oggi qualche nome di strada ricorda, con quellatenacia di consuetudini di cui Roma ha il monopolio, le

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Roma imperiale costituiva anche allora la palestra na-turale per quanti agognassero una carriera brillante nelmondo; il mercato più ambito e più promettente perquanti avessero da porre in valore doti personali esimiee idee proprie. La vecchia città, pur non esercitando piùil fascino dei tempi di Augusto e degli Antonini, daquando un sovrano audacemente innovatore le avevaedificato una rivale sulle sponde del Bosforo, conserva-va sempre una maestà disdegnosa e fiera, che potevapermettersi di guardare con sprezzante sussiego il fastoprovinciale della Bisanzio rinnovellata e di soggiogareancora, con la sua mistica grandezza, gli eredi e i conti-nuatori di Costantino. Più che il desiderio vago ed incer-to di trovare una scolaresca più disciplinata di quellacartaginese, la brama di più lauti guadagni e di più cla-morosi onori aveva tratto dal suo nido africano l’avven-turoso oratore, nato a Tagaste. L’alloro che aveva coro-nato i successi letterari dei suoi conterranei Frontone edApuleio, non avrebbe riservato rinverdite fronde al suocapo, già redimito nelle modeste gare africane?

I manichei suoi correligionari di Cartagine lo avevanoaccompagnato con lettere di presentazione ad autorevolipersonaggi della setta, che annoverava proseliti numero-si, per quanto nascosti, a Roma. Uno di essi gli offrì lar-ga ospitalità. Possiamo imaginarci il domicilio di Ago-stino in una delle case del popoloso quartiere degli Afri-cani, situato fra il Celio e l’Aventino, proprio là, doveanche oggi qualche nome di strada ricorda, con quellatenacia di consuetudini di cui Roma ha il monopolio, le

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vecchie denominazioni etniche e geografiche dei viciche l’intersecavano: Capitis Africae, Stabuli proconsu-lis, Syrtis, Byzacoenus, Capsensis.

La prima accoglienza di Roma al figliuolo di Monicae di Patricio, venuto a chiederle fama e ricchezza, nonfu delle più lusinghiere. Fresco del viaggio, scossol’organismo dal sensibile cambiamento di clima, Agosti-no cade seriamente infermo e trascorre in letto le primesettimane della sua permanenza in Roma. Ma le cure af-fettuose dell’ospite e la giovinezza ardente del malatohanno in breve ragione del male e, ancora convalescen-te, Agostino, aiutato efficacemente dall’abile e operosofavore degli amici africani e manichei, inaugura i suoicorsi liberi.

La prova fu tutt’altro che felice. Se gli scolari cartagi-nesi rappresentavano la personificazione della sfrenatez-za e della indisciplina e usavano fare irruzione nellescuole dei maestri non propri turbando la serenità delleaule e interrompendo bruscamente ad ogni minimo inci-dente il corso dell’insegnamento, gli scolari romani ave-vano il pessimo vezzo di frequentare per un po’ le lezio-ni di un insegnante nuovo e ben quotato, per abbando-narlo poi sul più bello, quando avrebbero dovuto sbor-sargli la loro pattuita quota di iscrizione. Agostino sentìmancarsi la terra sotto i piedi. Erano quelle le primiziedei lauti guadagni che le suadenti parole degli amiciavevano fatto balenare al suo sguardo avido di maestroavventuroso?

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vecchie denominazioni etniche e geografiche dei viciche l’intersecavano: Capitis Africae, Stabuli proconsu-lis, Syrtis, Byzacoenus, Capsensis.

La prima accoglienza di Roma al figliuolo di Monicae di Patricio, venuto a chiederle fama e ricchezza, nonfu delle più lusinghiere. Fresco del viaggio, scossol’organismo dal sensibile cambiamento di clima, Agosti-no cade seriamente infermo e trascorre in letto le primesettimane della sua permanenza in Roma. Ma le cure af-fettuose dell’ospite e la giovinezza ardente del malatohanno in breve ragione del male e, ancora convalescen-te, Agostino, aiutato efficacemente dall’abile e operosofavore degli amici africani e manichei, inaugura i suoicorsi liberi.

La prova fu tutt’altro che felice. Se gli scolari cartagi-nesi rappresentavano la personificazione della sfrenatez-za e della indisciplina e usavano fare irruzione nellescuole dei maestri non propri turbando la serenità delleaule e interrompendo bruscamente ad ogni minimo inci-dente il corso dell’insegnamento, gli scolari romani ave-vano il pessimo vezzo di frequentare per un po’ le lezio-ni di un insegnante nuovo e ben quotato, per abbando-narlo poi sul più bello, quando avrebbero dovuto sbor-sargli la loro pattuita quota di iscrizione. Agostino sentìmancarsi la terra sotto i piedi. Erano quelle le primiziedei lauti guadagni che le suadenti parole degli amiciavevano fatto balenare al suo sguardo avido di maestroavventuroso?

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Page 12: E-book campione Liber Liber · furono la mole e la ricchezza dei monumenti romani che più colpirono il retore di Cartagine. Laggiù, oltre il mare nostrum, anche la Dea Celeste aveva,

La fortuna lo soccorse in buon punto. Un’occasionemagnifica si presentava per trasformare il suo insegna-mento libero in insegnamento di Stato ed egli mise inopera tutte le aderenze personali di cui godeva in senoalla comunità manichea di Roma, per conquistare la cat-tedra governativa di retorica a Milano, posta a concorsoin quei giorni. Era prefetto della città nel 384 QuintoAurelio Simmaco, l’oratore insigne che Macrobio dove-va porre interlocutore forbito e ascoltato dei suoi Satur-nali e che si era fatto volentieri, proprio in quel torno ditempo, il portatore discreto e insinuante delle ultimevelleità paganeggianti del Senato romano, dinanzi al tro-no di Valentiniano II. Simmaco era stato proconsole aCartagine e doveva aver conservato della sua diuturnapermanenza d’oltre mare una certa benevolenza per isuoi antichi amministrati. Di più le sue convinzioni reli-giose dovevano portarlo ad una marcata condiscendenzaverso tutti quei movimenti che, pur allontanandosi dalletradizioni del paganesimo, contrastavano tenacemente ilterreno all’avanzare trionfante della propaganda cristia-na. Come il retore Libanio in Oriente, Simmaco nutrivavive simpatie per il manicheismo e fu quindi sollecito ealacre nel favorire il candidato che la setta gli raccoman-dava per l’ambita cattedra milanese. Superata brillante-mente la prova prescritta, Agostino conseguì la nominadesiderata. Sul tramonto del 384 egli prendeva posto suuno dei veicoli del servizio postale imperiale e, per laFlaminia, muoveva verso la sua nuova residenza. Così,in virtù della protezione largamente offertagli da colui

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La fortuna lo soccorse in buon punto. Un’occasionemagnifica si presentava per trasformare il suo insegna-mento libero in insegnamento di Stato ed egli mise inopera tutte le aderenze personali di cui godeva in senoalla comunità manichea di Roma, per conquistare la cat-tedra governativa di retorica a Milano, posta a concorsoin quei giorni. Era prefetto della città nel 384 QuintoAurelio Simmaco, l’oratore insigne che Macrobio dove-va porre interlocutore forbito e ascoltato dei suoi Satur-nali e che si era fatto volentieri, proprio in quel torno ditempo, il portatore discreto e insinuante delle ultimevelleità paganeggianti del Senato romano, dinanzi al tro-no di Valentiniano II. Simmaco era stato proconsole aCartagine e doveva aver conservato della sua diuturnapermanenza d’oltre mare una certa benevolenza per isuoi antichi amministrati. Di più le sue convinzioni reli-giose dovevano portarlo ad una marcata condiscendenzaverso tutti quei movimenti che, pur allontanandosi dalletradizioni del paganesimo, contrastavano tenacemente ilterreno all’avanzare trionfante della propaganda cristia-na. Come il retore Libanio in Oriente, Simmaco nutrivavive simpatie per il manicheismo e fu quindi sollecito ealacre nel favorire il candidato che la setta gli raccoman-dava per l’ambita cattedra milanese. Superata brillante-mente la prova prescritta, Agostino conseguì la nominadesiderata. Sul tramonto del 384 egli prendeva posto suuno dei veicoli del servizio postale imperiale e, per laFlaminia, muoveva verso la sua nuova residenza. Così,in virtù della protezione largamente offertagli da colui

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Page 13: E-book campione Liber Liber · furono la mole e la ricchezza dei monumenti romani che più colpirono il retore di Cartagine. Laggiù, oltre il mare nostrum, anche la Dea Celeste aveva,

che per l’ultima volta aveva proclamato i destini indis-solubili del culto pagano e della grandezza di Roma, siavviava alla città del suo battesimo il futuro autore delDe Civitate Dei, intesa tutta a dimostrare l’incapacità in-sanabile de’ vecchi dèi e delle decrepite formule rituali atutelare l’immortale gloria dell’urbe.

Noi saremmo naturalmente molto ansiosi di appren-dere, su testimonianze dirette, quale traccia aveva se-gnato sullo spirito desto e pronto di Agostino il suoanno di vita romana. Ma i suoi scritti sono, purtroppo, diuna sorprendente povertà di dati in proposito. Simmacoè nominato fugacemente a pena nelle Confessioni; ilpontificato di Damaso, che aveva toccato verso il 382l’apogeo del suo potere spirituale, è menzionato in tuttal’immensa produzione agostiniana una sola volta, a pro-posito di un’argomentazione antipelagiana, tutt’altro chelogica e probativa; infine i fasti gloriosi degli imperatoriValentiniano e Teodosio offrono, sì e no, una dozzina digenerici spunti alla polemica del sociologo cristiano.Tutto intento ad un’opera assidua e fervorosa di sistema-zione dottrinale cristiana, Agostino è l’uomo meno adat-to a disseminare di reminiscenze cronistoriche gli ab-bondanti suoi scritti teologici. D’altra parte le impres-sioni che foggiano in maniera più durevole la nostra psi-che non sono sempre quelle che si fissano, lucide e con-sapevoli, sullo schermo della nostra memoria.

E pure la vita romana, sensibile alle ripercussioni piùsottili degli avvenimenti che si svolgevano grandissimiin quello scorcio di secolo nell’ambito dell’immenso

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che per l’ultima volta aveva proclamato i destini indis-solubili del culto pagano e della grandezza di Roma, siavviava alla città del suo battesimo il futuro autore delDe Civitate Dei, intesa tutta a dimostrare l’incapacità in-sanabile de’ vecchi dèi e delle decrepite formule rituali atutelare l’immortale gloria dell’urbe.

Noi saremmo naturalmente molto ansiosi di appren-dere, su testimonianze dirette, quale traccia aveva se-gnato sullo spirito desto e pronto di Agostino il suoanno di vita romana. Ma i suoi scritti sono, purtroppo, diuna sorprendente povertà di dati in proposito. Simmacoè nominato fugacemente a pena nelle Confessioni; ilpontificato di Damaso, che aveva toccato verso il 382l’apogeo del suo potere spirituale, è menzionato in tuttal’immensa produzione agostiniana una sola volta, a pro-posito di un’argomentazione antipelagiana, tutt’altro chelogica e probativa; infine i fasti gloriosi degli imperatoriValentiniano e Teodosio offrono, sì e no, una dozzina digenerici spunti alla polemica del sociologo cristiano.Tutto intento ad un’opera assidua e fervorosa di sistema-zione dottrinale cristiana, Agostino è l’uomo meno adat-to a disseminare di reminiscenze cronistoriche gli ab-bondanti suoi scritti teologici. D’altra parte le impres-sioni che foggiano in maniera più durevole la nostra psi-che non sono sempre quelle che si fissano, lucide e con-sapevoli, sullo schermo della nostra memoria.

E pure la vita romana, sensibile alle ripercussioni piùsottili degli avvenimenti che si svolgevano grandissimiin quello scorcio di secolo nell’ambito dell’immenso

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impero, doveva offrire argomenti copiosi di profondameditazione, non sempre priva di sorpresa, al giovaneprofessore, che aveva varcato il recinto delle mura aure-liane con l’anima in crisi e tutte le facoltà dello spiritoprotese verso una nuova direzione mentale. Forse nonfurono la mole e la ricchezza dei monumenti romani chepiù colpirono il retore di Cartagine. Laggiù, oltre ilmare nostrum, anche la Dea Celeste aveva, sul capito-lium cartaginese, un tempio sontuoso che non dovevapoi scapitar troppo al confronto col tempio romano diGiove Capitolino; e gli anfiteatri della vecchia rivale do-mata e ricostruita erano grandiosi abbastanza perchè ilvisitatore non dovesse poi trasecolare di meraviglia di-nanzi all’anfiteatro Flavio. Ma erano più tosto la vitaspirituale di Roma; le condizioni della coltura pubblica;le correnti di pensiero che l’alimentavano; il successosolenne del cristianesimo, fino ad allora forse non suffi-cientemente calcolato da Agostino; i dibattiti ardenti chesi svolgevano sul miglior modo di interpretare il Vange-lo di Cristo; i fatti i quali dovevano offrire maggior mes-se di considerazioni allo spirito inquieto dell’appassio-nato numida.

Chiamato da Graziano dopo la fatale disfatta diAdrianopoli nel 378, in cui era perito tutto un esercitoromano col suo imperatore, a ristabilire la sicurezza, lapace e la concordia nell’impero di Oriente, Teodosioaveva posto a fondamento della sua politica risanatriceil trionfo assoluto dell’ortodossia romana. Dal cantosuo, in Occidente, Graziano si abbandonava docilmente

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impero, doveva offrire argomenti copiosi di profondameditazione, non sempre priva di sorpresa, al giovaneprofessore, che aveva varcato il recinto delle mura aure-liane con l’anima in crisi e tutte le facoltà dello spiritoprotese verso una nuova direzione mentale. Forse nonfurono la mole e la ricchezza dei monumenti romani chepiù colpirono il retore di Cartagine. Laggiù, oltre ilmare nostrum, anche la Dea Celeste aveva, sul capito-lium cartaginese, un tempio sontuoso che non dovevapoi scapitar troppo al confronto col tempio romano diGiove Capitolino; e gli anfiteatri della vecchia rivale do-mata e ricostruita erano grandiosi abbastanza perchè ilvisitatore non dovesse poi trasecolare di meraviglia di-nanzi all’anfiteatro Flavio. Ma erano più tosto la vitaspirituale di Roma; le condizioni della coltura pubblica;le correnti di pensiero che l’alimentavano; il successosolenne del cristianesimo, fino ad allora forse non suffi-cientemente calcolato da Agostino; i dibattiti ardenti chesi svolgevano sul miglior modo di interpretare il Vange-lo di Cristo; i fatti i quali dovevano offrire maggior mes-se di considerazioni allo spirito inquieto dell’appassio-nato numida.

Chiamato da Graziano dopo la fatale disfatta diAdrianopoli nel 378, in cui era perito tutto un esercitoromano col suo imperatore, a ristabilire la sicurezza, lapace e la concordia nell’impero di Oriente, Teodosioaveva posto a fondamento della sua politica risanatriceil trionfo assoluto dell’ortodossia romana. Dal cantosuo, in Occidente, Graziano si abbandonava docilmente

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alla guida dello spirito più equilibrato che la burocraziaimperiale avesse dato fino allora all’episcopato, Ambro-gio, assunto dalla dignità di prefetto a quella di vescovodi Milano. A quali criteri si ispirasse la pedagogiadell’ex-prefetto, rivestito di infule sacerdotali, versol’imperiale pupillo, si comprende d’un subito non apena si ricordi il postulato delle sue dottrine teologico-sociali: «imperator intra fines Ecclesiae est» e l’autoritàche Dio gli ha conferito, non ha altro fine che quello dipatrocinare il successo e la purezza dottrinale della co-munità cristiana. Dopo la breve parentesi dell’usurpato-re Massimo, che, del resto, per rafforzare il suo tronomalfermo non esita a concedere alla petulante richiestadei vescovi spagnuoli la testa del pallido asceta Priscil-liano, più incauto che reo, Valentiniano II segue le ormedi Graziano e si lascia manodurre anch’egli dal forte do-minio spirituale di Ambrogio. Tenteranno gli ultimi resi-dui del paganesimo morente una fugace parentesi di ri-scossa intorno all’ambigua figura del retore Eugenio,ma Teodosio avrà facilmente ragione delle sue trupperaccogliticce, fra le colline che accompagnano il corsosinuoso del Vippacco verso l’Isonzo.

Questo breve, ma instancabile manipolo di imperatoricristiani e ortodossi si sforza con una foga frettolosa ditradurre con ogni mezzo in pratica quel programma dirinnovamento religioso che, bandito dall’imperatore Co-stantino, aveva subito fino allora, fra le predilezioni ere-tiche di Costanzo e la brusca reazione di Giuliano, cosìstrane vicende.

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alla guida dello spirito più equilibrato che la burocraziaimperiale avesse dato fino allora all’episcopato, Ambro-gio, assunto dalla dignità di prefetto a quella di vescovodi Milano. A quali criteri si ispirasse la pedagogiadell’ex-prefetto, rivestito di infule sacerdotali, versol’imperiale pupillo, si comprende d’un subito non apena si ricordi il postulato delle sue dottrine teologico-sociali: «imperator intra fines Ecclesiae est» e l’autoritàche Dio gli ha conferito, non ha altro fine che quello dipatrocinare il successo e la purezza dottrinale della co-munità cristiana. Dopo la breve parentesi dell’usurpato-re Massimo, che, del resto, per rafforzare il suo tronomalfermo non esita a concedere alla petulante richiestadei vescovi spagnuoli la testa del pallido asceta Priscil-liano, più incauto che reo, Valentiniano II segue le ormedi Graziano e si lascia manodurre anch’egli dal forte do-minio spirituale di Ambrogio. Tenteranno gli ultimi resi-dui del paganesimo morente una fugace parentesi di ri-scossa intorno all’ambigua figura del retore Eugenio,ma Teodosio avrà facilmente ragione delle sue trupperaccogliticce, fra le colline che accompagnano il corsosinuoso del Vippacco verso l’Isonzo.

Questo breve, ma instancabile manipolo di imperatoricristiani e ortodossi si sforza con una foga frettolosa ditradurre con ogni mezzo in pratica quel programma dirinnovamento religioso che, bandito dall’imperatore Co-stantino, aveva subito fino allora, fra le predilezioni ere-tiche di Costanzo e la brusca reazione di Giuliano, cosìstrane vicende.

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Page 16: E-book campione Liber Liber · furono la mole e la ricchezza dei monumenti romani che più colpirono il retore di Cartagine. Laggiù, oltre il mare nostrum, anche la Dea Celeste aveva,

Per accennare solamente alle leggi le ripercussionidelle quali dovevano farsi più gagliardamente sentire in-torno ad Agostino, basterà qui ricordare: l’editto emana-to da Graziano a Milano il 3 agosto 379, con cui, modi-ficando espressamente quello emesso l’anno precedentea Sirmio, il figlio spirituale di Ambrogio applicava allesette che, mediante sofismi, sovvertono la retta conce-zione di Dio, il divieto di propaganda già sanzionatocontro coloro che rinnovavano il battesimo e ne annulla-vano così il valore iniziale (i donatisti); e quella del 2maggio del 382 con cui era stabilito che chiunque aves-se abbandonato la legge cristiana per abbracciare sial’idolatria sia il culto giudaico, sia il manicheismo, do-veva essere immediatamente spogliato del diritto di fartestamento, vale a dire del diritto civico per eccellenza,e le sue sostanze dovevano, alla sua morte, passare al fi-sco; i propagatori poi e gli incitatori all’apostasia dove-vano essere sottoposti a pene corporali.

Ma l’atto imperiale che suscitò più rumoroso scalporedi polemiche, che gettò realmente lo sgomento nelle as-sottigliate file dei pagani e diede ai cristiani la provatangibile e la coscienza piena del loro definitivo succes-so, fu la soppressione dell’ara della Vittoria nell’aula se-natoriale e l’incameramento degli appannaggi e dellerendite delle Vestali e degli altri corpi sacerdotali diRoma, destinati a costituire un fondo di cui il prefettodel pretorio avrebbe usato per migliorare il servizio del-la posta imperiale. Cadeva così l’ultimo simbolo del pa-ganesimo ufficiale romano. La vecchia statua d’arte el-

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Per accennare solamente alle leggi le ripercussionidelle quali dovevano farsi più gagliardamente sentire in-torno ad Agostino, basterà qui ricordare: l’editto emana-to da Graziano a Milano il 3 agosto 379, con cui, modi-ficando espressamente quello emesso l’anno precedentea Sirmio, il figlio spirituale di Ambrogio applicava allesette che, mediante sofismi, sovvertono la retta conce-zione di Dio, il divieto di propaganda già sanzionatocontro coloro che rinnovavano il battesimo e ne annulla-vano così il valore iniziale (i donatisti); e quella del 2maggio del 382 con cui era stabilito che chiunque aves-se abbandonato la legge cristiana per abbracciare sial’idolatria sia il culto giudaico, sia il manicheismo, do-veva essere immediatamente spogliato del diritto di fartestamento, vale a dire del diritto civico per eccellenza,e le sue sostanze dovevano, alla sua morte, passare al fi-sco; i propagatori poi e gli incitatori all’apostasia dove-vano essere sottoposti a pene corporali.

Ma l’atto imperiale che suscitò più rumoroso scalporedi polemiche, che gettò realmente lo sgomento nelle as-sottigliate file dei pagani e diede ai cristiani la provatangibile e la coscienza piena del loro definitivo succes-so, fu la soppressione dell’ara della Vittoria nell’aula se-natoriale e l’incameramento degli appannaggi e dellerendite delle Vestali e degli altri corpi sacerdotali diRoma, destinati a costituire un fondo di cui il prefettodel pretorio avrebbe usato per migliorare il servizio del-la posta imperiale. Cadeva così l’ultimo simbolo del pa-ganesimo ufficiale romano. La vecchia statua d’arte el-

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lenistica, trasportata a Roma da Taranto dopo la conqui-sta della insubordinata città, e innalzata da Augusto, so-pra un’ara, nell’aula senatoria, dopo Azio, presiedeva,venerata, da quattro secoli alle più solenni decisioni delsupremo organo legislativo romano. I senatori le depo-nevano dinanzi un grano d’incenso, prima di prendere iloro posti, stendevano verso di essa la loro mano, pro-nunciando o rinnovando il giuramento di fedeltàall’imperatore. E l’imperatore osava ora abbattere il si-mulacro glorioso, osava proprio lui sopprimere le orga-nizzazioni che presiedevano alle tradizionali liturgie, to-gliendo loro i viveri. L’impressione del gesto sovrano fuenorme, e il paganesimo di Roma, che poteva pur van-tarsi di contare ancora fra i suoi seguaci i più fulgidinomi dell’aristocrazia, come quelli di Nicomaco Flavia-no, filosofo raffinato, e di Vezio Agorio Pretestato, in-contentabile anima di mistico, corse ai ripari. Furonospedite ripetute ambascerie a Milano, con l’incarico diimplorare la revoca dell’editto radicale. La missione piùsolenne fu quella spiccata nel 384, l’anno stesso in cuiAgostino tentava le sorti del suo insegnamento romano.Simmaco in persona si recava nuovamente a Milano aperorare la causa del culto della Vittoria. La tragica finedi Graziano, trucidato a Lione l’anno primo dalla solda-tesca ribelle; la carestia che aveva afflitto testè tutte leregioni di Italia lasciavano sperare che il nuovo impera-tore, il giovanetto Valentiniano II, avrebbe reintegrato alsuo posto la statua veneranda, la cui offesa sembravaavere scatenato sull’impero d’Occidente così lugubri e

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lenistica, trasportata a Roma da Taranto dopo la conqui-sta della insubordinata città, e innalzata da Augusto, so-pra un’ara, nell’aula senatoria, dopo Azio, presiedeva,venerata, da quattro secoli alle più solenni decisioni delsupremo organo legislativo romano. I senatori le depo-nevano dinanzi un grano d’incenso, prima di prendere iloro posti, stendevano verso di essa la loro mano, pro-nunciando o rinnovando il giuramento di fedeltàall’imperatore. E l’imperatore osava ora abbattere il si-mulacro glorioso, osava proprio lui sopprimere le orga-nizzazioni che presiedevano alle tradizionali liturgie, to-gliendo loro i viveri. L’impressione del gesto sovrano fuenorme, e il paganesimo di Roma, che poteva pur van-tarsi di contare ancora fra i suoi seguaci i più fulgidinomi dell’aristocrazia, come quelli di Nicomaco Flavia-no, filosofo raffinato, e di Vezio Agorio Pretestato, in-contentabile anima di mistico, corse ai ripari. Furonospedite ripetute ambascerie a Milano, con l’incarico diimplorare la revoca dell’editto radicale. La missione piùsolenne fu quella spiccata nel 384, l’anno stesso in cuiAgostino tentava le sorti del suo insegnamento romano.Simmaco in persona si recava nuovamente a Milano aperorare la causa del culto della Vittoria. La tragica finedi Graziano, trucidato a Lione l’anno primo dalla solda-tesca ribelle; la carestia che aveva afflitto testè tutte leregioni di Italia lasciavano sperare che il nuovo impera-tore, il giovanetto Valentiniano II, avrebbe reintegrato alsuo posto la statua veneranda, la cui offesa sembravaavere scatenato sull’impero d’Occidente così lugubri e

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irreparabili sciagure. Ma per quanto Simmaco chiamas-se in soccorso le più squisite grazie della sua consumataarte oratoria, per quanto si sforzasse, egli, interprete diquel paganesimo che per tre secoli aveva disprezzato eperseguitato il Vangelo, di addolcire la propria voce e didissimulare il proprio programma pagano sotto i coloridi un saggio e benevolo eclettismo religioso, affermanteche il mistero della divinità è troppo alto perchè unasola via sia capace di menare a scoprirne tutti gl’ineffa-bili aspetti; per quanto cercasse di insinuarsi nel cuoredell’inesperto sovrano, introducendo a parlare la stessafigura maestosa di Roma, che chiede di continuare lasua vita di glorie e di trionfi con l’accompagnamentodelle tradizionali forme del rito, la missione non ebbemigliore sorte delle precedenti e sulla arringa ricercata esottile del praefectus urbi prevalse la schietta, vivace in-vettiva del vescovo Ambrogio. Simmaco aveva cercatodi dimostrare come la gloria e l’incolumità di Roma nonfossero dissociabili dal culto delle vecchie divinità. Am-brogio ricorda, con duro sarcasmo, gli insuccessi che glidèi non avevano saputo risparmiare alla politica romana.Quella notte, domanda egli ironicamente, in cui la roccadel Campidoglio fu salvata dal grido delle oche, forse«in ansere, Jupiter locutus est?». All’appello di Romache domanda di essere lasciata alle sue tradizioni seco-lari, Ambrogio contrappone la volontà di una Roma chechiede di procedere liberamente per le vie del progresso,non essendo mai troppo tardi, per andare più oltre: «nonerubesco longaeva converti; nulla aetas ad perdiscen-

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irreparabili sciagure. Ma per quanto Simmaco chiamas-se in soccorso le più squisite grazie della sua consumataarte oratoria, per quanto si sforzasse, egli, interprete diquel paganesimo che per tre secoli aveva disprezzato eperseguitato il Vangelo, di addolcire la propria voce e didissimulare il proprio programma pagano sotto i coloridi un saggio e benevolo eclettismo religioso, affermanteche il mistero della divinità è troppo alto perchè unasola via sia capace di menare a scoprirne tutti gl’ineffa-bili aspetti; per quanto cercasse di insinuarsi nel cuoredell’inesperto sovrano, introducendo a parlare la stessafigura maestosa di Roma, che chiede di continuare lasua vita di glorie e di trionfi con l’accompagnamentodelle tradizionali forme del rito, la missione non ebbemigliore sorte delle precedenti e sulla arringa ricercata esottile del praefectus urbi prevalse la schietta, vivace in-vettiva del vescovo Ambrogio. Simmaco aveva cercatodi dimostrare come la gloria e l’incolumità di Roma nonfossero dissociabili dal culto delle vecchie divinità. Am-brogio ricorda, con duro sarcasmo, gli insuccessi che glidèi non avevano saputo risparmiare alla politica romana.Quella notte, domanda egli ironicamente, in cui la roccadel Campidoglio fu salvata dal grido delle oche, forse«in ansere, Jupiter locutus est?». All’appello di Romache domanda di essere lasciata alle sue tradizioni seco-lari, Ambrogio contrappone la volontà di una Roma chechiede di procedere liberamente per le vie del progresso,non essendo mai troppo tardi, per andare più oltre: «nonerubesco longaeva converti; nulla aetas ad perdiscen-

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dum sera est; nullus pudor est, ad meliora transire».All’agnosticismo argomentativo di Simmaco, il vescovoinfine leva contro, l’affermazione chiara e fiduciosa del-la giovane novella fede, di cui presente la dilatazionevittoriosa nel mondo.

L’eco del dibattito dovette naturalmente giungere pre-sto a Roma e suscitarvi una profonda impressione. I per-sonaggi vi erano notissimi. Se Simmaco era prefettodella città, Ambrogio era suo parente ed aveva a Romala famiglia, formata allora della madre e della sorella, dicui era stato ospite venerato due anni prima, quando Da-maso si era deciso ad esaminare in Sinodo l’inestricabilecontroversia per la sede vescovile di Antiochia. Poi, lasconfitta di Simmaco non costituiva l’atto pubblico didecesso del paganesimo romano? Io penso che dovette-ro sentirsi indirettamente colpiti da quel clamoroso in-successo anche i manichei nascosti nella città e che daiconversari, che dovettero tenersi in proposito nelle caseafricane del Celio, anche Agostino trasse materia a ri-flettere.

Tanto più che gli uomini preposti in quel momento algoverno della società cristiana non erano davvero tali darinunciare alle straordinarie possibilità dell’ora eccezio-nalmente propizia, o da trascurare la completa utilizza-zione del successo che sembrava favorirli. Se Ambrogiofaceva sentire a Milano tutto il peso del suo prestigio edei suoi poteri, a Roma, un vescovo di schiettissimotemperamento romano, Damaso, mirava con accortezzapari all’energia a trarre buon pro da ogni circostanza per

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dum sera est; nullus pudor est, ad meliora transire».All’agnosticismo argomentativo di Simmaco, il vescovoinfine leva contro, l’affermazione chiara e fiduciosa del-la giovane novella fede, di cui presente la dilatazionevittoriosa nel mondo.

L’eco del dibattito dovette naturalmente giungere pre-sto a Roma e suscitarvi una profonda impressione. I per-sonaggi vi erano notissimi. Se Simmaco era prefettodella città, Ambrogio era suo parente ed aveva a Romala famiglia, formata allora della madre e della sorella, dicui era stato ospite venerato due anni prima, quando Da-maso si era deciso ad esaminare in Sinodo l’inestricabilecontroversia per la sede vescovile di Antiochia. Poi, lasconfitta di Simmaco non costituiva l’atto pubblico didecesso del paganesimo romano? Io penso che dovette-ro sentirsi indirettamente colpiti da quel clamoroso in-successo anche i manichei nascosti nella città e che daiconversari, che dovettero tenersi in proposito nelle caseafricane del Celio, anche Agostino trasse materia a ri-flettere.

Tanto più che gli uomini preposti in quel momento algoverno della società cristiana non erano davvero tali darinunciare alle straordinarie possibilità dell’ora eccezio-nalmente propizia, o da trascurare la completa utilizza-zione del successo che sembrava favorirli. Se Ambrogiofaceva sentire a Milano tutto il peso del suo prestigio edei suoi poteri, a Roma, un vescovo di schiettissimotemperamento romano, Damaso, mirava con accortezzapari all’energia a trarre buon pro da ogni circostanza per

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Page 20: E-book campione Liber Liber · furono la mole e la ricchezza dei monumenti romani che più colpirono il retore di Cartagine. Laggiù, oltre il mare nostrum, anche la Dea Celeste aveva,

consolidare la disciplina ecclesiastica e per rafforzare epresidiare l’autonomia del governo episcopale in Roma,dilatandone progressivamente l’ambito di giurisdizione.Per quanto la sua nomina a pontefice nel settembre del366 fosse stata accompagnata da lacrimevoli scene dicruenta discordia, e la petulanza del suo competitore Ur-sino, spalleggiato dall’abile e vasta propagandadell’ebreo convertito Isacco, non lasciasse un istante ditregua e di pace al vecchio vescovo, contro cui instigavasedizioni e accumulava calunnie, egli non si rassegnavaper questo a frenare l’esercizio del proprio potere e nonprovava imbarazzo nello stringere sempre più rigida-mente i vincoli disciplinari del clero.

Ormai ritengo accertato che appartengano a lui queiCanones ad Gallos, che un sottile critico francese, pre-cocemente rapitoci purtroppo sull’eroica fronte di Ver-dun, il Babut, ha definito come la più antica decretale, lapiù antica cioè, fra le ordinanze pontificie destinate adimporre alle altre Chiese la disciplina della Chiesa ro-mana, e che racchiudono la più antica formulazione ca-nonica della legge celibataria per il clero. In favore diDamaso Valentiniano I emanava verso il 369 un edittocon cui faceva sapere ai vescovi del suo impero ched’ora innanzi il Vescovo di Roma sarebbe stato il lorogiudice e che nella sfera della vita religiosa, le sue deci-sioni avrebbero rivestito il valore pubblico di leggi. IImedesimo imperatore, quattro anni più tardi, sottraevacon un nuovo editto le colpe degli ecclesiastici alla giu-risdizione dei tribunali civili, per deferirle integralmente

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consolidare la disciplina ecclesiastica e per rafforzare epresidiare l’autonomia del governo episcopale in Roma,dilatandone progressivamente l’ambito di giurisdizione.Per quanto la sua nomina a pontefice nel settembre del366 fosse stata accompagnata da lacrimevoli scene dicruenta discordia, e la petulanza del suo competitore Ur-sino, spalleggiato dall’abile e vasta propagandadell’ebreo convertito Isacco, non lasciasse un istante ditregua e di pace al vecchio vescovo, contro cui instigavasedizioni e accumulava calunnie, egli non si rassegnavaper questo a frenare l’esercizio del proprio potere e nonprovava imbarazzo nello stringere sempre più rigida-mente i vincoli disciplinari del clero.

Ormai ritengo accertato che appartengano a lui queiCanones ad Gallos, che un sottile critico francese, pre-cocemente rapitoci purtroppo sull’eroica fronte di Ver-dun, il Babut, ha definito come la più antica decretale, lapiù antica cioè, fra le ordinanze pontificie destinate adimporre alle altre Chiese la disciplina della Chiesa ro-mana, e che racchiudono la più antica formulazione ca-nonica della legge celibataria per il clero. In favore diDamaso Valentiniano I emanava verso il 369 un edittocon cui faceva sapere ai vescovi del suo impero ched’ora innanzi il Vescovo di Roma sarebbe stato il lorogiudice e che nella sfera della vita religiosa, le sue deci-sioni avrebbero rivestito il valore pubblico di leggi. IImedesimo imperatore, quattro anni più tardi, sottraevacon un nuovo editto le colpe degli ecclesiastici alla giu-risdizione dei tribunali civili, per deferirle integralmente

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a quella dei vescovi. Infine verso il 379 una lettera diGraziano al vicario di Roma Aquilino ribadiva formal-mente la prescrizione che i prefetti d’Italia e delle Galliecome tutti i proconsoli vigilassero scrupolosamente allaesecuzione delle decisioni prese dal vescovo di Romacontornato dal suo sinodo, circa questioni e controversieriguardanti qualsiasi vescovo o metropolitano dell’Occi-dente. Così la Chiesa romana andava sapientementestringendo le fila del proprio potere e della propria di-sciplina gerarchica. Lo spirito tuttora incerto ed oscil-lante di Agostino non doveva restar colpito da un similespettacolo di gagliarda giovinezza, in una istituzione dalui fino allora poco e male conosciuta?

Ma un’altra manifestazione della vitalità cristiana inOccidente doveva parlare alta al suo cuore: i diffusi fer-vori cioè dell’ascetismo e le polemiche che essi suscita-vano. Un anno prima di Agostino era giunto a Roma, omeglio vi era tornato dopo una ventina di anni di assen-za, completamente trasformato nell’apparenza esteriorecome nelle aspirazioni dell’animo, un monaco oriundodella Dalmazia, che accompagnava l’astuto Paolino diAntiochia e il sospettoso Epifanio di Salamina al sinodoindetto da Damaso per vedere di liquidare l’annosa ver-tenza della Chiesa antiochena: Girolamo. Un’aureola lu-minosa di dottrina e di virtù ascetica circondava la figu-ra strana del monaco, che pure aveva in altri tempi me-nato a Roma una esistenza gaia e spensierata, di cui an-cora laggiù nella solitudine di Calcide lo avevano perse-guitato i ricordi allettatori. L’autore delle biografie dei

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a quella dei vescovi. Infine verso il 379 una lettera diGraziano al vicario di Roma Aquilino ribadiva formal-mente la prescrizione che i prefetti d’Italia e delle Galliecome tutti i proconsoli vigilassero scrupolosamente allaesecuzione delle decisioni prese dal vescovo di Romacontornato dal suo sinodo, circa questioni e controversieriguardanti qualsiasi vescovo o metropolitano dell’Occi-dente. Così la Chiesa romana andava sapientementestringendo le fila del proprio potere e della propria di-sciplina gerarchica. Lo spirito tuttora incerto ed oscil-lante di Agostino non doveva restar colpito da un similespettacolo di gagliarda giovinezza, in una istituzione dalui fino allora poco e male conosciuta?

Ma un’altra manifestazione della vitalità cristiana inOccidente doveva parlare alta al suo cuore: i diffusi fer-vori cioè dell’ascetismo e le polemiche che essi suscita-vano. Un anno prima di Agostino era giunto a Roma, omeglio vi era tornato dopo una ventina di anni di assen-za, completamente trasformato nell’apparenza esteriorecome nelle aspirazioni dell’animo, un monaco oriundodella Dalmazia, che accompagnava l’astuto Paolino diAntiochia e il sospettoso Epifanio di Salamina al sinodoindetto da Damaso per vedere di liquidare l’annosa ver-tenza della Chiesa antiochena: Girolamo. Un’aureola lu-minosa di dottrina e di virtù ascetica circondava la figu-ra strana del monaco, che pure aveva in altri tempi me-nato a Roma una esistenza gaia e spensierata, di cui an-cora laggiù nella solitudine di Calcide lo avevano perse-guitato i ricordi allettatori. L’autore delle biografie dei

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patriarchi del monachismo orientale, Paolo, Ilarione eMalco, aveva guadagnato rapida nomea negli ambientipiù colti e più nobili della Roma cristiana. Damaso usa-va di lui come di un consigliere illuminato e di un segre-tario fedele. I salotti delle più elette famiglie cristiane sicontendevano la sua conversazione, nutrita di una ecce-zionale erudizione biblica, di una larghissima esperienzadi viaggi, condita, perchè no? di una impetuosa e ta-gliente ironia. Un cenacolo di pie matrone e giovanettesi raccoglieva assiduamente intorno a lui, e lassùsull’Aventino, in quell’angolo suggestivo di Roma, chedomina il Tevere e dinanzi a cui si svolge incantevolenelle ore dei fiammanti tramonti il panorama del Giani-colo, del Vaticano e di Monte Mario, egli, in casa dellapia Marcella, teneva lezioni di esegesi biblica e di peda-gogia monastica. Sebbene i chierici mondani di Roma,colpiti a sangue dalla sua sferza implacabile, andasserosussurrando che egli era un manicheo, un seduttore, unmago, un preparatore di sortilegi, non era ancora scop-piata sul suo capo, al momento dell’arrivo di Agostino,quella furibonda procella che si scatenò nel 385 allamorte di Blesilla, quando il popolo, aizzato e furibondo,facendolo responsabile della morte precoce della giova-ne vedova datasi ai rigori della penitenza, minacciò digettarlo vivo nel Tevere. Per ora egli è il beniaminodell’aristocrazia cristiana e molti vanno prognosticandola sua successione a Damaso nel vescovato romano.

Io non so se nel suo anno di permanenza a Roma,Agostino incontrò mai per le vie il corteggio lussuoso

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patriarchi del monachismo orientale, Paolo, Ilarione eMalco, aveva guadagnato rapida nomea negli ambientipiù colti e più nobili della Roma cristiana. Damaso usa-va di lui come di un consigliere illuminato e di un segre-tario fedele. I salotti delle più elette famiglie cristiane sicontendevano la sua conversazione, nutrita di una ecce-zionale erudizione biblica, di una larghissima esperienzadi viaggi, condita, perchè no? di una impetuosa e ta-gliente ironia. Un cenacolo di pie matrone e giovanettesi raccoglieva assiduamente intorno a lui, e lassùsull’Aventino, in quell’angolo suggestivo di Roma, chedomina il Tevere e dinanzi a cui si svolge incantevolenelle ore dei fiammanti tramonti il panorama del Giani-colo, del Vaticano e di Monte Mario, egli, in casa dellapia Marcella, teneva lezioni di esegesi biblica e di peda-gogia monastica. Sebbene i chierici mondani di Roma,colpiti a sangue dalla sua sferza implacabile, andasserosussurrando che egli era un manicheo, un seduttore, unmago, un preparatore di sortilegi, non era ancora scop-piata sul suo capo, al momento dell’arrivo di Agostino,quella furibonda procella che si scatenò nel 385 allamorte di Blesilla, quando il popolo, aizzato e furibondo,facendolo responsabile della morte precoce della giova-ne vedova datasi ai rigori della penitenza, minacciò digettarlo vivo nel Tevere. Per ora egli è il beniaminodell’aristocrazia cristiana e molti vanno prognosticandola sua successione a Damaso nel vescovato romano.

Io non so se nel suo anno di permanenza a Roma,Agostino incontrò mai per le vie il corteggio lussuoso

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da cui si faceva trasportare papa Damaso, secondo la de-scrizione, un po’ carica naturalmente, del pagano Am-miano Marcellino; o se mai, scendendo dall’Aventinoper recarsi alla sua scuola, incontrò, gomito a gomito,Girolamo, che saliva frettoloso verso la dimora di Mar-cella, dove Paola, Eustochio, Blesilla, Asella l’attende-vano, per la abituale spiegazione evangelica. Come hodetto, Agostino accenna una sola volta fugacemente aDamaso nei suoi non pochi scritti; Girolamo poi eglinon dovette, se pure, conoscerlo di persona, perchèquando nel 394 inizierà la sua corrispondenza con lui,dirà nel preambolo di non aver visto mai il suo sguardo,sebbene ora potesse in certo modo dire di conoscerlo at-traverso gli occhi dell’amico carissimo Alipio, che eraandato a trovare l’illustre asceta in Terra Santa.

Comunque, io non so rinunciare a supporre chel’intensa vita del cristianesimo romano quale si svolge-va dinanzi alla conoscenza diretta o indiretta di Agosti-no nell’anno di sua permanenza nella capitale, dovettedeporre nel suo spirito un germe destinato a una meravi-gliosa fermentazione.

E veramente la sua anima era in quei momenti comeun solco aperto e irrorato, pronto a qualunque semina-gione. Agostino stava per toccare i trenta anni, l’età incui maturano le più profonde crisi spirituali e in cui sigettano le fondamenta dell’edificio che saprà innalzareuna maturità saggia e operosa. La stessa avidità sensua-le, che aveva fatto cogliere a questo ardente figlio delsud abbondanti i frutti della voluttà, sebbene non ancora

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da cui si faceva trasportare papa Damaso, secondo la de-scrizione, un po’ carica naturalmente, del pagano Am-miano Marcellino; o se mai, scendendo dall’Aventinoper recarsi alla sua scuola, incontrò, gomito a gomito,Girolamo, che saliva frettoloso verso la dimora di Mar-cella, dove Paola, Eustochio, Blesilla, Asella l’attende-vano, per la abituale spiegazione evangelica. Come hodetto, Agostino accenna una sola volta fugacemente aDamaso nei suoi non pochi scritti; Girolamo poi eglinon dovette, se pure, conoscerlo di persona, perchèquando nel 394 inizierà la sua corrispondenza con lui,dirà nel preambolo di non aver visto mai il suo sguardo,sebbene ora potesse in certo modo dire di conoscerlo at-traverso gli occhi dell’amico carissimo Alipio, che eraandato a trovare l’illustre asceta in Terra Santa.

Comunque, io non so rinunciare a supporre chel’intensa vita del cristianesimo romano quale si svolge-va dinanzi alla conoscenza diretta o indiretta di Agosti-no nell’anno di sua permanenza nella capitale, dovettedeporre nel suo spirito un germe destinato a una meravi-gliosa fermentazione.

E veramente la sua anima era in quei momenti comeun solco aperto e irrorato, pronto a qualunque semina-gione. Agostino stava per toccare i trenta anni, l’età incui maturano le più profonde crisi spirituali e in cui sigettano le fondamenta dell’edificio che saprà innalzareuna maturità saggia e operosa. La stessa avidità sensua-le, che aveva fatto cogliere a questo ardente figlio delsud abbondanti i frutti della voluttà, sebbene non ancora

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soggiogata, aveva perduto il fuoco della precoce giovi-nezza, e lo spirito cogitabondo del manicheo insoddi-sfatto non era più irriducibilmente refrattario ad una ele-vazione spirituale, in cui le ebbrezze più eccelse fosserocercate nella contemplazione e nella propaganda delbene. L’iniziale educazione cristiana, ricevuta dalle pielabbra e dalla incancellabile seduzione materne, avevasubìto, è vero, una diuturna, preoccupante crisi. Nontanto a causa di sregolatezze così disonorevoli, cheavessero lasciato l’anima, spoglia di speranza, in unabisso di abiezione. Confrontando il racconto delle Con-fessioni con i ricordi biografici deposti negli scritti diCassiciaco, noi sappiamo ormai che cosa precisamentepensare dell’ininterrotto mea culpa che Agostino pro-nuncia in quell’opera famosa, che è nel medesimo tem-po il frutto della sua raffinata formazione retorica e dellesue ben definite convinzioni teologiche. Come non sor-ridere quando il vescovo, che vede ormai nell’umanitàintiera una miserabile e inguaribile massa peccati, va arintracciare colpe riprovevoli nell’avidità dell’infanteper la poppa che l’alimenta, o nella birichinata dell’ado-lescente, che carpisce una pera nel frutteto non proprio?E come non correggere la sfavorevole impressione cheAgostino vorrebbe suscitare di sè stesso, deplorando conparole amarissime la propria unione con la madre delsuo Adeodato, quando i canoni del sinodo di Toledo del400 ci mostrano che l’unirsi stabilmente ad una concu-bina, ad una donna cioè di condizione inferiore, ma ad

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soggiogata, aveva perduto il fuoco della precoce giovi-nezza, e lo spirito cogitabondo del manicheo insoddi-sfatto non era più irriducibilmente refrattario ad una ele-vazione spirituale, in cui le ebbrezze più eccelse fosserocercate nella contemplazione e nella propaganda delbene. L’iniziale educazione cristiana, ricevuta dalle pielabbra e dalla incancellabile seduzione materne, avevasubìto, è vero, una diuturna, preoccupante crisi. Nontanto a causa di sregolatezze così disonorevoli, cheavessero lasciato l’anima, spoglia di speranza, in unabisso di abiezione. Confrontando il racconto delle Con-fessioni con i ricordi biografici deposti negli scritti diCassiciaco, noi sappiamo ormai che cosa precisamentepensare dell’ininterrotto mea culpa che Agostino pro-nuncia in quell’opera famosa, che è nel medesimo tem-po il frutto della sua raffinata formazione retorica e dellesue ben definite convinzioni teologiche. Come non sor-ridere quando il vescovo, che vede ormai nell’umanitàintiera una miserabile e inguaribile massa peccati, va arintracciare colpe riprovevoli nell’avidità dell’infanteper la poppa che l’alimenta, o nella birichinata dell’ado-lescente, che carpisce una pera nel frutteto non proprio?E come non correggere la sfavorevole impressione cheAgostino vorrebbe suscitare di sè stesso, deplorando conparole amarissime la propria unione con la madre delsuo Adeodato, quando i canoni del sinodo di Toledo del400 ci mostrano che l’unirsi stabilmente ad una concu-bina, ad una donna cioè di condizione inferiore, ma ad

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una concubina sola, non era colpa che escludesse dallacomunità cristiana?

In realtà la crisi religiosa di sant’Agostino era statauna crisi prevalentemente intellettuale. Sui dieciannoveanni l’Ortensio di Cicerone gli aveva messo in dosso ilfuoco sacro della ricerca speculativa ed egli si era senti-to preso da un amore folle per la sapienza. Ma la sapien-za ch’egli agogna è puramente razionale: gli deve cioèspiegare il mistero ineffabile dell’universo fuori di ognirivelazione soprannaturale, secondo le semplici esigenzedell’intelletto. Non già iubentibus, bensì docentibus glipare che debba credersi. Ed è sedotto allora dalla lussu-reggiante cosmologia del manicheismo che, partendo daalcuni dati elementari dell’esperienza sensibile, scorge-va nel mondo la manifestazione drammatica di due op-poste energie, benefica l’una, malefica l’altra; a cui as-segnava rispettivamente i contrastanti dominî della lucee delle tenebre.

C’era, io penso, nella mentalità comune ai cristianidell’Africa, qualcosa che doveva predisporre, non dirògià a cadere nel dualismo manicheo, ma a non scorgernedi primo acchito l’insanabile incompatibilità con unasana teodicea, e quindi a non contrapporre sufficienteresistenza al brillante miraggio delle sue fantasmagorie.Le dottrine teologiche infatti professate da alcuni insignirappresentanti del cristianesimo africano anteriore adAgostino appaiono stranamente pencolanti versol’antropomorfismo. Le intelligenze africane, così ricchedi fantasia, provavano difficoltà a concepire una sostan-

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una concubina sola, non era colpa che escludesse dallacomunità cristiana?

In realtà la crisi religiosa di sant’Agostino era statauna crisi prevalentemente intellettuale. Sui dieciannoveanni l’Ortensio di Cicerone gli aveva messo in dosso ilfuoco sacro della ricerca speculativa ed egli si era senti-to preso da un amore folle per la sapienza. Ma la sapien-za ch’egli agogna è puramente razionale: gli deve cioèspiegare il mistero ineffabile dell’universo fuori di ognirivelazione soprannaturale, secondo le semplici esigenzedell’intelletto. Non già iubentibus, bensì docentibus glipare che debba credersi. Ed è sedotto allora dalla lussu-reggiante cosmologia del manicheismo che, partendo daalcuni dati elementari dell’esperienza sensibile, scorge-va nel mondo la manifestazione drammatica di due op-poste energie, benefica l’una, malefica l’altra; a cui as-segnava rispettivamente i contrastanti dominî della lucee delle tenebre.

C’era, io penso, nella mentalità comune ai cristianidell’Africa, qualcosa che doveva predisporre, non dirògià a cadere nel dualismo manicheo, ma a non scorgernedi primo acchito l’insanabile incompatibilità con unasana teodicea, e quindi a non contrapporre sufficienteresistenza al brillante miraggio delle sue fantasmagorie.Le dottrine teologiche infatti professate da alcuni insignirappresentanti del cristianesimo africano anteriore adAgostino appaiono stranamente pencolanti versol’antropomorfismo. Le intelligenze africane, così ricchedi fantasia, provavano difficoltà a concepire una sostan-

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za non materiale e ritenevano pressochè assiomatico cheal di fuori della materia, non v’è che il nulla. Sta di fattoche polemizzando con Prassea, Tertulliano aveva scrittosugli albori del terzo secolo: «Quis enim negabit Deumcorpus esse, etsi Deus spiritus est? Spiritus enim corpussui generis, in sua effigie». E nel De carne Christi, an-che più energicamente, il grande apologista sentenziava:«nihil est incorporale, nisi quod non est». Agostino dalcanto suo ritorna innumerevoli volte, nelle sue confiden-ze autobiografiche, sulla propria incapacità originaria aconcepire Iddio come realtà incorporea, e insiste nel ri-levare la tendenza ostinata della propria mente ad attri-buire ad un potere malefico, diverso da Dio, il peccatoed il male che sono nel mondo. In realtà il manicheismoaveva trovato in Africa un terreno propizio, anche inquei centri dove la più larga penetrazione cristianaavrebbe dovuto più agevolmente ostacolarne il proseliti-smo. Tanto vero che noi raccogliamo dalle opere pole-miche di Agostino convertito la notizia sorprendenteche esistevano manichei perfino nel recinto delle comu-nità cristiane; ve n’erano pur nelle fila della gerarchia:uomini, evidentemente, che non ritenevano il dualismomaterialistico del sistema manicheo inconciliabile con lateodicea e l’etica del cristianesimo. Non ci meravigliere-mo, dopo ciò, troppo se l’intelletto avido e ardente delventenne Agostino subì anch’esso l’insidioso fascinodell’esotica religione di Mani.

Ma una mente eletta, un’anima serena e fiduciosa,non possono non avvertire le contradizioni profonde che

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za non materiale e ritenevano pressochè assiomatico cheal di fuori della materia, non v’è che il nulla. Sta di fattoche polemizzando con Prassea, Tertulliano aveva scrittosugli albori del terzo secolo: «Quis enim negabit Deumcorpus esse, etsi Deus spiritus est? Spiritus enim corpussui generis, in sua effigie». E nel De carne Christi, an-che più energicamente, il grande apologista sentenziava:«nihil est incorporale, nisi quod non est». Agostino dalcanto suo ritorna innumerevoli volte, nelle sue confiden-ze autobiografiche, sulla propria incapacità originaria aconcepire Iddio come realtà incorporea, e insiste nel ri-levare la tendenza ostinata della propria mente ad attri-buire ad un potere malefico, diverso da Dio, il peccatoed il male che sono nel mondo. In realtà il manicheismoaveva trovato in Africa un terreno propizio, anche inquei centri dove la più larga penetrazione cristianaavrebbe dovuto più agevolmente ostacolarne il proseliti-smo. Tanto vero che noi raccogliamo dalle opere pole-miche di Agostino convertito la notizia sorprendenteche esistevano manichei perfino nel recinto delle comu-nità cristiane; ve n’erano pur nelle fila della gerarchia:uomini, evidentemente, che non ritenevano il dualismomaterialistico del sistema manicheo inconciliabile con lateodicea e l’etica del cristianesimo. Non ci meravigliere-mo, dopo ciò, troppo se l’intelletto avido e ardente delventenne Agostino subì anch’esso l’insidioso fascinodell’esotica religione di Mani.

Ma una mente eletta, un’anima serena e fiduciosa,non possono non avvertire le contradizioni profonde che

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viziano ogni sistema dualistico e la incapacità che locontrassegna a stimolare un individuo o una collettivitàad azioni vigorose nella vita. Il lento e spontaneo matu-rare della propria riflessione; le delusioni scoraggiantiprovate nell’avvicinare i corifei della setta e nel propor-re loro minute obbiezioni, avevano adagio adagio alie-nato Agostino dal sistema abbracciato con così vivo en-tusiasmo.

Quando egli sbarcava ad Ostia al cadere del 383, ilsuo manicheismo stava cedendo terreno a uno sconsola-to, rassegnato agnosticismo. Sulle orme degli accademi-ci, il retore numida si andava assuefacendo all’idea cheè stolta pretesa cercare una soluzione logica e salda alproblema formidabile dell’esistenza universale e che ilsapiente ama sottoporre a un dubbio spietato tutte le af-fermazioni della povera metafisica umana. Due proble-mi gli sembravano particolarmente ardui: quello riguar-dante la natura del principio da cui il mondo ha trattol’essere, e l’altro circa l’intima essenza del male, così fi-sico come etico. La testimonianza delle Confessioni sta-rebbe a provare che l’anno di vita romana non fu, sulterreno filosofico, che un progresso sulla via del dubbiometodico.

Milano doveva riserbare all’ex-manicheo le orienta-zioni risolutive della sua anima in pena. Il giorno in cuiun anonimo amico, verso il quale in verità Agostino haconservato scarsa riconoscenza dal momento che lo dicegonfio di presunzione, gli pose nelle mani colà la ver-sione latina degli scritti di Plotino, redatta da Mario Vit-

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viziano ogni sistema dualistico e la incapacità che locontrassegna a stimolare un individuo o una collettivitàad azioni vigorose nella vita. Il lento e spontaneo matu-rare della propria riflessione; le delusioni scoraggiantiprovate nell’avvicinare i corifei della setta e nel propor-re loro minute obbiezioni, avevano adagio adagio alie-nato Agostino dal sistema abbracciato con così vivo en-tusiasmo.

Quando egli sbarcava ad Ostia al cadere del 383, ilsuo manicheismo stava cedendo terreno a uno sconsola-to, rassegnato agnosticismo. Sulle orme degli accademi-ci, il retore numida si andava assuefacendo all’idea cheè stolta pretesa cercare una soluzione logica e salda alproblema formidabile dell’esistenza universale e che ilsapiente ama sottoporre a un dubbio spietato tutte le af-fermazioni della povera metafisica umana. Due proble-mi gli sembravano particolarmente ardui: quello riguar-dante la natura del principio da cui il mondo ha trattol’essere, e l’altro circa l’intima essenza del male, così fi-sico come etico. La testimonianza delle Confessioni sta-rebbe a provare che l’anno di vita romana non fu, sulterreno filosofico, che un progresso sulla via del dubbiometodico.

Milano doveva riserbare all’ex-manicheo le orienta-zioni risolutive della sua anima in pena. Il giorno in cuiun anonimo amico, verso il quale in verità Agostino haconservato scarsa riconoscenza dal momento che lo dicegonfio di presunzione, gli pose nelle mani colà la ver-sione latina degli scritti di Plotino, redatta da Mario Vit-

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Page 28: E-book campione Liber Liber · furono la mole e la ricchezza dei monumenti romani che più colpirono il retore di Cartagine. Laggiù, oltre il mare nostrum, anche la Dea Celeste aveva,

torino, il famoso retore convertito che aveva avuto aisuoi tempi l’onore di una statua nel Foro Romano, segnarealmente una data saliente nella storia della teologiacristiana in Occidente. Poichè in quel giorno colui chedoveva fornire al Medio Evo l’edificio teologico più or-ganico che fosse stato elevato prima di san Tommaso,ebbe a sua disposizione i mezzi dialettici per divincolar-si dal dubbio accademico, per afferrare con sicurezza laverità metafisica, per foggiarsi una nozione adeguatadelle realtà spirituali, infine per superare definitivamen-te i postulati materialistici, così del dualismo manicheo,come della teologia antropomorfistica, professata daTertulliano. In quegli scritti Agostino doveva attingereuna rappresentazione idealistica del fatto gnoseologico;una nozione alta e pura della divinità; infine un apprez-zamento equilibrato del mondo, in cui il male è una ne-gazione di esistenza o una parziale partecipazionedell’essere. Il grande mistico neoplatonico, che tanto sé-guito aveva avuto nella società romana sul declinare delterzo secolo, gli insegnava a risolvere il pauroso proble-ma del male, additandogli nell’universo un magnificoquadro, che ha le sue ombre e i suoi chiaroscuri, ma incui tutto misteriosamente dipende da una ineffabile real-tà spirituale (τὸ αἴτιον πάντων) e ad essa fatalmenteaspira: πάντα γὰρ ὀρέγεται ἐϰείνου ϰαὶ ἐφίεται αὐτοῦ,φύσεως ἀνάγϰῃ.

Ma altri coefficienti, e infinitamente più efficaci, en-trarono in giuoco a Milano per riportare alla superficiedell’anima di Agostino quei filoni cristiani che le cure

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torino, il famoso retore convertito che aveva avuto aisuoi tempi l’onore di una statua nel Foro Romano, segnarealmente una data saliente nella storia della teologiacristiana in Occidente. Poichè in quel giorno colui chedoveva fornire al Medio Evo l’edificio teologico più or-ganico che fosse stato elevato prima di san Tommaso,ebbe a sua disposizione i mezzi dialettici per divincolar-si dal dubbio accademico, per afferrare con sicurezza laverità metafisica, per foggiarsi una nozione adeguatadelle realtà spirituali, infine per superare definitivamen-te i postulati materialistici, così del dualismo manicheo,come della teologia antropomorfistica, professata daTertulliano. In quegli scritti Agostino doveva attingereuna rappresentazione idealistica del fatto gnoseologico;una nozione alta e pura della divinità; infine un apprez-zamento equilibrato del mondo, in cui il male è una ne-gazione di esistenza o una parziale partecipazionedell’essere. Il grande mistico neoplatonico, che tanto sé-guito aveva avuto nella società romana sul declinare delterzo secolo, gli insegnava a risolvere il pauroso proble-ma del male, additandogli nell’universo un magnificoquadro, che ha le sue ombre e i suoi chiaroscuri, ma incui tutto misteriosamente dipende da una ineffabile real-tà spirituale (τὸ αἴτιον πάντων) e ad essa fatalmenteaspira: πάντα γὰρ ὀρέγεται ἐϰείνου ϰαὶ ἐφίεται αὐτοῦ,φύσεως ἀνάγϰῃ.

Ma altri coefficienti, e infinitamente più efficaci, en-trarono in giuoco a Milano per riportare alla superficiedell’anima di Agostino quei filoni cristiani che le cure

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materne vi avevano deposto e il fatuo miraggio dellapredicazione manichea vi aveva ottenebrato. Sopra tuttoefficaci a dare una impronta al suo pensiero in fermenta-zione riescono l’opera e l’esempio di Ambrogio, l’uomoinsigne di dottrina e di governo, che gli discopre i pro-fondi significati della Scrittura, là dove lo squisito uomodi lettere s’imbatteva in grossolanità di espressioni o ilfilosofo segnalava particolari a prima vista irriverentiper la maestà divina; gli mostra nella sua piena luce laricca profondità della dottrina cristiana; gli addita nellafolla, che ama e riverisce con tanta fedeltà l’illuminatopastore, la nuova società, plasmata dal Vangelo e cosìbisognosa di guida e di istruzione.

Monica, dal canto suo, che aveva raggiunto il figliuo-lo, pervenuto ad una brillante posizione sociale, conti-nuava indefessa una di quelle disseminazioni di consiglie di rimbrotti che, accompagnate dal sorriso o dal cor-ruccio di un volto venerato, esercitano così profondo fa-scino sulle anime docili all’amore filiale.

I due anni di vita milanese furono così trascorsi daAgostino in un indefesso travaglio di elaborazione spiri-tuale. Aiutato dal neoplatonismo, egli si affranca daivincoli tenaci del materialismo manicheo e naviga versoil porto di una filosofia, su cui Ambrogio addita il profi-larsi del faro acceso dalla rivelazione cristiana. Quandonell’autunno del 386, oppresso da un penoso male distomaco, lascia la scuola e si ritira con un tenue stuolodi parenti e di amici nella villa di Verecondo a Cassicia-co, in vista del Monte Rosa, egli non avrebbe in verità

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materne vi avevano deposto e il fatuo miraggio dellapredicazione manichea vi aveva ottenebrato. Sopra tuttoefficaci a dare una impronta al suo pensiero in fermenta-zione riescono l’opera e l’esempio di Ambrogio, l’uomoinsigne di dottrina e di governo, che gli discopre i pro-fondi significati della Scrittura, là dove lo squisito uomodi lettere s’imbatteva in grossolanità di espressioni o ilfilosofo segnalava particolari a prima vista irriverentiper la maestà divina; gli mostra nella sua piena luce laricca profondità della dottrina cristiana; gli addita nellafolla, che ama e riverisce con tanta fedeltà l’illuminatopastore, la nuova società, plasmata dal Vangelo e cosìbisognosa di guida e di istruzione.

Monica, dal canto suo, che aveva raggiunto il figliuo-lo, pervenuto ad una brillante posizione sociale, conti-nuava indefessa una di quelle disseminazioni di consiglie di rimbrotti che, accompagnate dal sorriso o dal cor-ruccio di un volto venerato, esercitano così profondo fa-scino sulle anime docili all’amore filiale.

I due anni di vita milanese furono così trascorsi daAgostino in un indefesso travaglio di elaborazione spiri-tuale. Aiutato dal neoplatonismo, egli si affranca daivincoli tenaci del materialismo manicheo e naviga versoil porto di una filosofia, su cui Ambrogio addita il profi-larsi del faro acceso dalla rivelazione cristiana. Quandonell’autunno del 386, oppresso da un penoso male distomaco, lascia la scuola e si ritira con un tenue stuolodi parenti e di amici nella villa di Verecondo a Cassicia-co, in vista del Monte Rosa, egli non avrebbe in verità

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saputo dire con precisione fino a qual punto era un purofilosofo, e dove cominciava il suo cristianesimo. Se ilneoplatonismo gli appariva ormai come l’unico sistemadegno di uno spirito elevato, d’altra parte notava in essodelle lacune, che lo rendevano monco e inadatto allaeducazione del genere umano. Solo la rivelazione cri-stiana poteva conferirgli i complementi necessari: ildogma del Dio incarnato e redentore; il fatto concretodella società visibile dei fedeli, direttamente partecipealla vita soprannaturale. Le conversazioni di Cassiciaco;le meditazioni della solitudine campestre illuminanosempre meglio questo duplice fattore di una solida for-mazione intellettuale: il fattore filosofico e quello reli-gioso.

Nella notte fra il 24 e il 25 aprile del 387 Agostinopoteva scendere coscientemente nella piscina battesima-le della basilica maggiore di Milano e ricevere dallemani di Ambrogio, sul capo chino, l’acqua purificatrice.Poteva pure assumere la veste candida dell’illuminato, eintonare con i compagni, nella suggestiva processionenotturna, il canto gioioso della risurrezione. Egli era unvero neofita pieno di promesse, e dall’embrione dellasua fede stava per isbocciare un portento di apologeticacristiana. La tradizione attribuisce ai due insigni perso-naggi intenti al rito solenne la composizione del TeDeum. La critica ha oggi restituito l’inno al suo vero au-tore, un vescovo della Dacia. L’attribuzione ad ognimodo è simbolica. Era bene imaginare che il canto dellariconoscenza e della lode cristiana fosse sbocciato nel

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saputo dire con precisione fino a qual punto era un purofilosofo, e dove cominciava il suo cristianesimo. Se ilneoplatonismo gli appariva ormai come l’unico sistemadegno di uno spirito elevato, d’altra parte notava in essodelle lacune, che lo rendevano monco e inadatto allaeducazione del genere umano. Solo la rivelazione cri-stiana poteva conferirgli i complementi necessari: ildogma del Dio incarnato e redentore; il fatto concretodella società visibile dei fedeli, direttamente partecipealla vita soprannaturale. Le conversazioni di Cassiciaco;le meditazioni della solitudine campestre illuminanosempre meglio questo duplice fattore di una solida for-mazione intellettuale: il fattore filosofico e quello reli-gioso.

Nella notte fra il 24 e il 25 aprile del 387 Agostinopoteva scendere coscientemente nella piscina battesima-le della basilica maggiore di Milano e ricevere dallemani di Ambrogio, sul capo chino, l’acqua purificatrice.Poteva pure assumere la veste candida dell’illuminato, eintonare con i compagni, nella suggestiva processionenotturna, il canto gioioso della risurrezione. Egli era unvero neofita pieno di promesse, e dall’embrione dellasua fede stava per isbocciare un portento di apologeticacristiana. La tradizione attribuisce ai due insigni perso-naggi intenti al rito solenne la composizione del TeDeum. La critica ha oggi restituito l’inno al suo vero au-tore, un vescovo della Dacia. L’attribuzione ad ognimodo è simbolica. Era bene imaginare che il canto dellariconoscenza e della lode cristiana fosse sbocciato nel

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momento in cui il cristianesimo del IV secolo guadagna-va il suo più illustre dottore, per opera di uno dei suoipiù saggi vescovi.

Il battesimo dava immediatamente ad Agostino il sen-so della sua nuova missione. Il suo posto adatto non erapiù a vendere vane parole di retorica, ma a spezzare inpatria il pane della nuova sapienza. Abbandonata lascuola, prende la via del ritorno. Si ferma pochi giorni aRoma. Ma ad Ostia, nell’attesa dell’imbarco, dopo averpassato con la madre tripudiante giorni di intenso godi-mento spirituale, discorrendo cose religiose e toccando,in successive ascensioni, con uno slancio del cuore, ol-tre ogni possibilità dell’intelletto «quella regione dellaindefettibile fertilità, con cui tu, o Dio, nutri Israele ineterno col cibo della verità» e ad essa lasciando avvintala primizia del loro spirito, Agostino è colpito da un ir-reparabile lutto. Monica si ammala improvvisamente emuore in brevissimo tempo. Agostino, sopraggiuntafrattanto forse l’annuale sospensione della navigazione,torna a Roma a trascorrervi i mesi dell’attesa. E qui con-cepisce e scrive le prime opere della sua prodigiosa atti-vità teologico-esegetica.

Così il retore numida che, traiecto mari, era venuto acompiere a Roma la maturazione del proprio spirito, do-veva fermarsi nuovamente nella città caput orbis, primadi tornare in patria a fare della Chiesa africana, del suopensiero, della sua prassi, il baluardo più resistente indifesa del cristianesimo romano.

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momento in cui il cristianesimo del IV secolo guadagna-va il suo più illustre dottore, per opera di uno dei suoipiù saggi vescovi.

Il battesimo dava immediatamente ad Agostino il sen-so della sua nuova missione. Il suo posto adatto non erapiù a vendere vane parole di retorica, ma a spezzare inpatria il pane della nuova sapienza. Abbandonata lascuola, prende la via del ritorno. Si ferma pochi giorni aRoma. Ma ad Ostia, nell’attesa dell’imbarco, dopo averpassato con la madre tripudiante giorni di intenso godi-mento spirituale, discorrendo cose religiose e toccando,in successive ascensioni, con uno slancio del cuore, ol-tre ogni possibilità dell’intelletto «quella regione dellaindefettibile fertilità, con cui tu, o Dio, nutri Israele ineterno col cibo della verità» e ad essa lasciando avvintala primizia del loro spirito, Agostino è colpito da un ir-reparabile lutto. Monica si ammala improvvisamente emuore in brevissimo tempo. Agostino, sopraggiuntafrattanto forse l’annuale sospensione della navigazione,torna a Roma a trascorrervi i mesi dell’attesa. E qui con-cepisce e scrive le prime opere della sua prodigiosa atti-vità teologico-esegetica.

Così il retore numida che, traiecto mari, era venuto acompiere a Roma la maturazione del proprio spirito, do-veva fermarsi nuovamente nella città caput orbis, primadi tornare in patria a fare della Chiesa africana, del suopensiero, della sua prassi, il baluardo più resistente indifesa del cristianesimo romano.

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II.

«Maior liber noster, orbisterrarum est; in eo lego com-pletum, quod in libro Dei legopromissum».

(Ep. 43).

Sant’Agostino non è, come san Tommaso, il teologoda tavolino che con tenace calma elabora il suo sistema,lo cesella finemente in ogni sua parte: è eminentementeuomo d’azione e di polemica. La sua teologia è la tradu-zione astratta della sua quotidiana opera cristiana, comela sua prassi di vescovo è pura filosofia religiosa in atto.Reduce a pena da Roma e chiusosi nel suo ritiro di Ta-gaste a menar vita contemplativa con pochissimi amicifedeli, egli ingaggia immediatamente la lotta con la dot-trina avversaria del cristianesimo, dalle cui morse eglistesso si era testè svincolato, e i cui predicatori, secondola stessa frase agostiniana, erano delle insidiosissimereti tese dal demonio per tutto.

Singolare sistema quello che il persiano Mani avevaannunciato e formulato nei suoi scritti nella secondametà del terzo secolo! Tutte le vecchie correnti della mi-

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II.

«Maior liber noster, orbisterrarum est; in eo lego com-pletum, quod in libro Dei legopromissum».

(Ep. 43).

Sant’Agostino non è, come san Tommaso, il teologoda tavolino che con tenace calma elabora il suo sistema,lo cesella finemente in ogni sua parte: è eminentementeuomo d’azione e di polemica. La sua teologia è la tradu-zione astratta della sua quotidiana opera cristiana, comela sua prassi di vescovo è pura filosofia religiosa in atto.Reduce a pena da Roma e chiusosi nel suo ritiro di Ta-gaste a menar vita contemplativa con pochissimi amicifedeli, egli ingaggia immediatamente la lotta con la dot-trina avversaria del cristianesimo, dalle cui morse eglistesso si era testè svincolato, e i cui predicatori, secondola stessa frase agostiniana, erano delle insidiosissimereti tese dal demonio per tutto.

Singolare sistema quello che il persiano Mani avevaannunciato e formulato nei suoi scritti nella secondametà del terzo secolo! Tutte le vecchie correnti della mi-

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tologia astrale babilonese erano in esso confluite a rim-polpare il vecchio dualismo mazdeo, sotto l’orpello disuperficiali assimilazioni di dottrine giudaiche e cristia-ne. Era veramente, secondo la definizione di un polemi-sta cristiano, una πολυϰέφαλος αἴρεσις. E appunto perquesto forse il suo successo era stato così grandioso. Dameno di un ventennio il profeta della nuova religioneera stato crocifisso e la pelle del suo corpo, imbottita dipaglia, era stata appesa, ad ammonimento, alla porta diGundesapur, e già la sua dottrina aveva trasvolato in Si-ria, in Egitto, in Asia Minore, perfino nell’Africa pro-consolare. Verso il 293 Diocleziano dirigeva da Ales-sandria una costituzione a Giuliano, bandendo la sop-pressione della setta che insidiava, con le dottrine dellanon resistenza al male e della malvagità della riprodu-zione umana, le fondamenta stesse della società. La per-secuzione così inscenata non riesce a frapporre ostacoliinsormontabili alla propaganda manichea. Per tutto il se-colo quarto il manicheismo, strano miscuglio di metafi-sica e di poesia, che in un’epoca di nessun senso scienti-fico-sperimentale doveva esercitare con le sue intuizioniun singolare fascino, appare, insieme al neoplatonismo,come uno dei rivali più pericolosi che contendesse il ter-reno all’avanzata trionfale del cristianesimo.

Frammenti degli scritti di Mani rintracciati di recentein opere di vecchi polemisti cristiani e maomettani; do-cumenti di propaganda venuti improvvisamente allaluce nell’Estremo Oriente, ci pongono oggi in grado didelineare nella sua interezza il profilo della cosmologia

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tologia astrale babilonese erano in esso confluite a rim-polpare il vecchio dualismo mazdeo, sotto l’orpello disuperficiali assimilazioni di dottrine giudaiche e cristia-ne. Era veramente, secondo la definizione di un polemi-sta cristiano, una πολυϰέφαλος αἴρεσις. E appunto perquesto forse il suo successo era stato così grandioso. Dameno di un ventennio il profeta della nuova religioneera stato crocifisso e la pelle del suo corpo, imbottita dipaglia, era stata appesa, ad ammonimento, alla porta diGundesapur, e già la sua dottrina aveva trasvolato in Si-ria, in Egitto, in Asia Minore, perfino nell’Africa pro-consolare. Verso il 293 Diocleziano dirigeva da Ales-sandria una costituzione a Giuliano, bandendo la sop-pressione della setta che insidiava, con le dottrine dellanon resistenza al male e della malvagità della riprodu-zione umana, le fondamenta stesse della società. La per-secuzione così inscenata non riesce a frapporre ostacoliinsormontabili alla propaganda manichea. Per tutto il se-colo quarto il manicheismo, strano miscuglio di metafi-sica e di poesia, che in un’epoca di nessun senso scienti-fico-sperimentale doveva esercitare con le sue intuizioniun singolare fascino, appare, insieme al neoplatonismo,come uno dei rivali più pericolosi che contendesse il ter-reno all’avanzata trionfale del cristianesimo.

Frammenti degli scritti di Mani rintracciati di recentein opere di vecchi polemisti cristiani e maomettani; do-cumenti di propaganda venuti improvvisamente allaluce nell’Estremo Oriente, ci pongono oggi in grado didelineare nella sua interezza il profilo della cosmologia

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Page 34: E-book campione Liber Liber · furono la mole e la ricchezza dei monumenti romani che più colpirono il retore di Cartagine. Laggiù, oltre il mare nostrum, anche la Dea Celeste aveva,

e dell’etica manichea, di assaporarne l’esotico sapore,che era sembrato così piacevole al giovane Agostino,partito alla ricerca di una spiegazione razionale dell’uni-verso, da lasciarsene allettare per non meno di noveanni.

– Prima che l’universo visibile, insegnava Mani,avesse origine, sussistevano due supremi principi: l’unobuono, l’altro perverso. La dimora del primo, del Padredella Grandezza, era nella regione della Luce. Egli simoltiplicava in cinque ipostasi: l’intelligenza, la ragio-ne, il pensiero, la riflessione, la volontà. La dimora delsovrano delle tenebre era invece nella terra oscura e lesue ipostasi erano il fumo, il fuoco, il vento, l’acqua,l’abisso. Il sovrano delle Tenebre concepì vaghezza del-la terra luminosa. Le cinque ipostasi celestiali tremaronoall’imminenza dell’assalto. Il Padre della Grandezzapensò: Dei miei cinque mondi, fatti per la gioia e per lapace, nessuno manderò alla guerra. Io stesso affronteròl’avversario. Evocò allora la Madre della Vita e questa asua volta l’etereo Uomo primordiale. Il quale si coprì daprima con la soave brezza mattutina; si avviluppò diluce come in un mantello scintillante; gettò sulla luce lafluidità delle acque; impugnò il fuoco come una lancia,e si precipitò dall’alto della regione luminosa, alla dife-sa della sua minacciata frontiera. Lo precedeva un ange-lo, recante nella destra la corona della vittoria. L’Uomoprimordiale proiettava dinanzi a sè la sua luce e, scor-gendola, il sovrano delle Tenebre pensò: Ecco, quel che

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e dell’etica manichea, di assaporarne l’esotico sapore,che era sembrato così piacevole al giovane Agostino,partito alla ricerca di una spiegazione razionale dell’uni-verso, da lasciarsene allettare per non meno di noveanni.

– Prima che l’universo visibile, insegnava Mani,avesse origine, sussistevano due supremi principi: l’unobuono, l’altro perverso. La dimora del primo, del Padredella Grandezza, era nella regione della Luce. Egli simoltiplicava in cinque ipostasi: l’intelligenza, la ragio-ne, il pensiero, la riflessione, la volontà. La dimora delsovrano delle tenebre era invece nella terra oscura e lesue ipostasi erano il fumo, il fuoco, il vento, l’acqua,l’abisso. Il sovrano delle Tenebre concepì vaghezza del-la terra luminosa. Le cinque ipostasi celestiali tremaronoall’imminenza dell’assalto. Il Padre della Grandezzapensò: Dei miei cinque mondi, fatti per la gioia e per lapace, nessuno manderò alla guerra. Io stesso affronteròl’avversario. Evocò allora la Madre della Vita e questa asua volta l’etereo Uomo primordiale. Il quale si coprì daprima con la soave brezza mattutina; si avviluppò diluce come in un mantello scintillante; gettò sulla luce lafluidità delle acque; impugnò il fuoco come una lancia,e si precipitò dall’alto della regione luminosa, alla dife-sa della sua minacciata frontiera. Lo precedeva un ange-lo, recante nella destra la corona della vittoria. L’Uomoprimordiale proiettava dinanzi a sè la sua luce e, scor-gendola, il sovrano delle Tenebre pensò: Ecco, quel che

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andavo cercando lontano, lo troverò presso di me. Siarmò anch’egli dei suoi cinque elementi e affrontòl’Uomo primordiale. In procinto di essere sopraffatto,questi, simile a chi volendo sopprimere un nemico glidona un dolce avvelenato, pensò di darsi, con i suoi cin-que figli, in pasto al vincitore. Ma male glie ne incolse.Quando i figli delle Tenebre ne ebbero assaporato, i cin-que dei luminosi che avevano combattuto con l’Uomoprimordiale smarrirono l’intelligenza. L’Uomo primor-diale però ricuperò presto la ragione e per sette voltelevò al Padre della Grandezza un’accorata preghiera.Mosso a pietà, il Padre evoca lo Spirito Vivente e questivola ad affrancare il prigioniero delle Tenebre. Lo chia-ma a nome, lo trae con la destra fuori della sua prigione,e si accinge poi a riscattare tutti gli elementi di luce chela vittoria del sovrano delle Tenebre aveva trascinatonell’abisso. A tal fine lo Spirito Vivente comanda a tredei suoi figli che l’uno uccida, l’altro scuoi gli arcontifigli delle Tenebre, il terzo li conduca alla Madre dellaVita. La Madre della Vita distende il firmamento con leloro pelli, ne fa dodici cieli. Sono poi gettate le loro car-casse sulla dimora delle Tenebre: ne nascono otto terre.Non era così esaurita la quantità di luce che gli arcontitenevano ancora avvinta. Manifestando loro le sue for-me raggianti, lo Spirito Vivente li costringe a restituirneuna nuova porzione, per formarne due vascelli luminosi,il sole e la luna, destinati a traghettare la luce adagioadagio affrancata dai vincoli del sovrano tenebroso, etutte le stelle. Dopo ciò un terzo essere redentore, il

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andavo cercando lontano, lo troverò presso di me. Siarmò anch’egli dei suoi cinque elementi e affrontòl’Uomo primordiale. In procinto di essere sopraffatto,questi, simile a chi volendo sopprimere un nemico glidona un dolce avvelenato, pensò di darsi, con i suoi cin-que figli, in pasto al vincitore. Ma male glie ne incolse.Quando i figli delle Tenebre ne ebbero assaporato, i cin-que dei luminosi che avevano combattuto con l’Uomoprimordiale smarrirono l’intelligenza. L’Uomo primor-diale però ricuperò presto la ragione e per sette voltelevò al Padre della Grandezza un’accorata preghiera.Mosso a pietà, il Padre evoca lo Spirito Vivente e questivola ad affrancare il prigioniero delle Tenebre. Lo chia-ma a nome, lo trae con la destra fuori della sua prigione,e si accinge poi a riscattare tutti gli elementi di luce chela vittoria del sovrano delle Tenebre aveva trascinatonell’abisso. A tal fine lo Spirito Vivente comanda a tredei suoi figli che l’uno uccida, l’altro scuoi gli arcontifigli delle Tenebre, il terzo li conduca alla Madre dellaVita. La Madre della Vita distende il firmamento con leloro pelli, ne fa dodici cieli. Sono poi gettate le loro car-casse sulla dimora delle Tenebre: ne nascono otto terre.Non era così esaurita la quantità di luce che gli arcontitenevano ancora avvinta. Manifestando loro le sue for-me raggianti, lo Spirito Vivente li costringe a restituirneuna nuova porzione, per formarne due vascelli luminosi,il sole e la luna, destinati a traghettare la luce adagioadagio affrancata dai vincoli del sovrano tenebroso, etutte le stelle. Dopo ciò un terzo essere redentore, il

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Messaggero, imprime a tutta la macchina cosmica cosìformata il suo ritmico movimento e l’automatico pro-cesso di purificazione della luce ha principio.

Quando il sovrano delle Tenebre vide l’immenso pia-no concepito ed attuato per strappargli gli elementi diluce che la vittoria sull’Uomo primordiale ed i cinquesuoi elementi gli aveva procacciato, concepì profondisentimenti di irritazione e di gelosia, i quali gli suggeri-rono di foggiare i corpi umani e in essi le forme dei duesessi, la maschile e la femminile, onde imitare i duegrandi vascelli luminosi, che sono il sole e la luna. Af-finchè, come questi nel processo di reintegrazione co-smica in cui è tutta la ragione dell’universo, servono altrasporto della luce affrancata verso la sua primitivasede, così i sessi, vascelli nefandi di oscurità, servisseroa tenere indefinitamente prigioniera la luce e a farla sen-za posa trasmigrare attraverso l’esistenza del male e deldolore. Come quando un gioielliere, ritraendo la formadi un elefante bianco, l’incide su di un cammeo; così ilsovrano delle Tenebre ricapitolò nell’organismo umanole fattezze del cosmo. Imprigionò l’etere puro nella cittàdelle ossa; suscitò il pensiero oscuro e vi piantò un albe-ro di morte. Imprigionò poi il vento mirabile nella cittàdei nervi; suscitò il sentimento oscuro e vi piantò un al-bero di morte. Imprigionò la luce nella città delle vene;suscitò la riflessione oscura e vi piantò un albero dimorte. Imprigionò l’acqua monda nella città della carne;suscitò l’intelligenza oscura e vi piantò un albero dimorte. Imprigionò il fuoco celeste nella città della pelle;

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Messaggero, imprime a tutta la macchina cosmica cosìformata il suo ritmico movimento e l’automatico pro-cesso di purificazione della luce ha principio.

Quando il sovrano delle Tenebre vide l’immenso pia-no concepito ed attuato per strappargli gli elementi diluce che la vittoria sull’Uomo primordiale ed i cinquesuoi elementi gli aveva procacciato, concepì profondisentimenti di irritazione e di gelosia, i quali gli suggeri-rono di foggiare i corpi umani e in essi le forme dei duesessi, la maschile e la femminile, onde imitare i duegrandi vascelli luminosi, che sono il sole e la luna. Af-finchè, come questi nel processo di reintegrazione co-smica in cui è tutta la ragione dell’universo, servono altrasporto della luce affrancata verso la sua primitivasede, così i sessi, vascelli nefandi di oscurità, servisseroa tenere indefinitamente prigioniera la luce e a farla sen-za posa trasmigrare attraverso l’esistenza del male e deldolore. Come quando un gioielliere, ritraendo la formadi un elefante bianco, l’incide su di un cammeo; così ilsovrano delle Tenebre ricapitolò nell’organismo umanole fattezze del cosmo. Imprigionò l’etere puro nella cittàdelle ossa; suscitò il pensiero oscuro e vi piantò un albe-ro di morte. Imprigionò poi il vento mirabile nella cittàdei nervi; suscitò il sentimento oscuro e vi piantò un al-bero di morte. Imprigionò la luce nella città delle vene;suscitò la riflessione oscura e vi piantò un albero dimorte. Imprigionò l’acqua monda nella città della carne;suscitò l’intelligenza oscura e vi piantò un albero dimorte. Imprigionò il fuoco celeste nella città della pelle;

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suscitò il ragionamento oscuro e vi piantò un albero dimorte. I cinque alberi mortiferi piantati dal sovrano del-le Tenebre si espandono nel misero organismodell’uomo. L’albero del pensiero oscuro preme dentro lacittà delle vene: il suo frutto è l’odio. L’albero del senti-mento oscuro spinge dentro la città dei nervi: il suo frut-to è l’iracondia. L’albero della riflessione oscura stimoladentro la città delle vene: il suo frutto è la lussuria.L’albero dell’intelletto oscuro cresce nella città dellacarne: il suo frutto è la collera. L’albero del ragionamen-to oscuro sospinge la città della pelle: il suo frutto è lafatuità. L’uomo è così come stretto in un cesto, intessutodi serpenti, che con la testa verso di lui emettono il loroalito velenoso. Per questo la Madre della Vita, l’Uomoprimordiale, lo Spirito Vivente, il Messaggero, vollero,continuando la loro opera misericordiosa, invocare perlui un nuovo salvatore. E questo fu Gesù. Gesù, il lumi-noso e il paziente, destò l’inconsapevole Adamo, e gliadditò il lungo martirio della luce nel mondo, espostaagli artigli delle belve e ai denti dei ghiottoni, mescolataa quanto esiste, chiusa nel lezzo delle tenebre. Illumina-to dalla grande rivelazione, Adamo si guarda intorno escoppia in singhiozzi. Leva come belva ruggente la suavoce; si strappa i capelli; e grida: Maledizione a coluiche ha formato il mio corpo, che ha così fatto schiava lamia anima di luce; agli arconti tenebrosi che l’hannotrascinata in ceppi! –

La fantastica e lussureggiante mitologia manichea, dicui questa sintesi non è che un pallido saggio, esposta

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suscitò il ragionamento oscuro e vi piantò un albero dimorte. I cinque alberi mortiferi piantati dal sovrano del-le Tenebre si espandono nel misero organismodell’uomo. L’albero del pensiero oscuro preme dentro lacittà delle vene: il suo frutto è l’odio. L’albero del senti-mento oscuro spinge dentro la città dei nervi: il suo frut-to è l’iracondia. L’albero della riflessione oscura stimoladentro la città delle vene: il suo frutto è la lussuria.L’albero dell’intelletto oscuro cresce nella città dellacarne: il suo frutto è la collera. L’albero del ragionamen-to oscuro sospinge la città della pelle: il suo frutto è lafatuità. L’uomo è così come stretto in un cesto, intessutodi serpenti, che con la testa verso di lui emettono il loroalito velenoso. Per questo la Madre della Vita, l’Uomoprimordiale, lo Spirito Vivente, il Messaggero, vollero,continuando la loro opera misericordiosa, invocare perlui un nuovo salvatore. E questo fu Gesù. Gesù, il lumi-noso e il paziente, destò l’inconsapevole Adamo, e gliadditò il lungo martirio della luce nel mondo, espostaagli artigli delle belve e ai denti dei ghiottoni, mescolataa quanto esiste, chiusa nel lezzo delle tenebre. Illumina-to dalla grande rivelazione, Adamo si guarda intorno escoppia in singhiozzi. Leva come belva ruggente la suavoce; si strappa i capelli; e grida: Maledizione a coluiche ha formato il mio corpo, che ha così fatto schiava lamia anima di luce; agli arconti tenebrosi che l’hannotrascinata in ceppi! –

La fantastica e lussureggiante mitologia manichea, dicui questa sintesi non è che un pallido saggio, esposta

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da un predicatore religioso che era nel medesimo tempoun poeta, collegando intimamente la vita dell’uomo atutta l’esistenza cosmica; introducendo un parallelismominuto fra il macrocosmo visibile e il microcosmodell’organismo umano; col pessimismo che era alla suabase e l’ascetismo artificioso cui conduceva; doveva,come ho detto, far facile presa sulla mentalità ascientifi-ca del secolo IV. Era la teosofia del tempo, come la teo-sofia è il manicheismo dei nostri giorni.

Poichè l’esistenza mondiale non è altro che la conti-nuazione drammatica di una lotta fra il bene e il male,fra la luce e le tenebre, iniziatasi all’origine delle cosecon un insuccesso del principio buono; poichè tutte lemanifestazioni fisiche della vita cosmica sono episodi diun processo di reintegrazione cui sottostà con lentezzafatale il contingente di luce che il sovrano delle Tenebretiene tuttora prigioniero nella sua materia: il valore dellavita umana sgorga unicamente dallo sforzo paziente chesia compiuto per facilitare la purificazione della luce eper impedire la continuazione della sua prigionia.

L’uomo pio farà di tutto quindi per rispettare la luceche geme e soffre in ogni essere vivo; si studierà diadottare ogni mezzo per agevolarne il riscatto, per sven-tare l’opera del sovrano tenebroso che cerca invece diperpetuarne la schiavitù. L’asceta, l’eletto, è in manieraparticolare simile ad un filtro della luce, che egli in-ghiotte con gli alimenti. La sua vita dedita alla purità ealla propaganda della vera dottrina, lo rende strumentodi reintegrazione degli elementi luminosi che vengono a

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da un predicatore religioso che era nel medesimo tempoun poeta, collegando intimamente la vita dell’uomo atutta l’esistenza cosmica; introducendo un parallelismominuto fra il macrocosmo visibile e il microcosmodell’organismo umano; col pessimismo che era alla suabase e l’ascetismo artificioso cui conduceva; doveva,come ho detto, far facile presa sulla mentalità ascientifi-ca del secolo IV. Era la teosofia del tempo, come la teo-sofia è il manicheismo dei nostri giorni.

Poichè l’esistenza mondiale non è altro che la conti-nuazione drammatica di una lotta fra il bene e il male,fra la luce e le tenebre, iniziatasi all’origine delle cosecon un insuccesso del principio buono; poichè tutte lemanifestazioni fisiche della vita cosmica sono episodi diun processo di reintegrazione cui sottostà con lentezzafatale il contingente di luce che il sovrano delle Tenebretiene tuttora prigioniero nella sua materia: il valore dellavita umana sgorga unicamente dallo sforzo paziente chesia compiuto per facilitare la purificazione della luce eper impedire la continuazione della sua prigionia.

L’uomo pio farà di tutto quindi per rispettare la luceche geme e soffre in ogni essere vivo; si studierà diadottare ogni mezzo per agevolarne il riscatto, per sven-tare l’opera del sovrano tenebroso che cerca invece diperpetuarne la schiavitù. L’asceta, l’eletto, è in manieraparticolare simile ad un filtro della luce, che egli in-ghiotte con gli alimenti. La sua vita dedita alla purità ealla propaganda della vera dottrina, lo rende strumentodi reintegrazione degli elementi luminosi che vengono a

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contatto con lui. Egli inculcherà a tutti, propagandista diun malthusianismo teologico anzichè economico, nontanto l’astensione dall’atto sessuale, quanto l’avversionealla fecondazione riproduttrice, onde gli uomini non sia-no fino in fondo vittime del tranello teso loro dal demo-nio con la formazione dei sessi, vascelli infausti di per-dizione.

Naturalmente, come tutti i grandi sistemi religiosi,anche il manicheismo, staccandosi dal suo ceppo iranicoe trasmigrando nel mondo, cerca di adattarsi, con feno-meno naturale di mimetismo etico ed intellettuale, ai si-stemi dominanti nei luoghi dove viene a tentare la suapropaganda. E come nell’Estremo Oriente assorbe appa-riscenti elementi buddistici, in Occidente si sforza diprendere a prestito dal cristianesimo quanto è compati-bile con i propri postulati dualistici. Noi ne cogliamo letracce nella Spagna del IV secolo cadente, nell’indecisaascesi priscillianista; e lo incontriamo nell’Africa diAgostino, insinuatosi perfino su pei gradi della gerar-chia ecclesiastica.

Di fronte a questa subdola tattica di penetrazione, piùurgente appariva il bisogno di neutralizzarne e possibil-mente arrestarne il proselitismo. Fresco ancora del ba-gno battesimale, sant’Agostino si accinge a commentareil racconto genesiaco della creazione, contro i miti diMani; studia i costumi severi, ma senza ostentate aber-razioni della chiesa, e li pone a raffronto con l’ipocritaausterità dei manichei. Ordinato prete nel 391 conduce aviso aperto, in ogni occasione, una campagna diuturna

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contatto con lui. Egli inculcherà a tutti, propagandista diun malthusianismo teologico anzichè economico, nontanto l’astensione dall’atto sessuale, quanto l’avversionealla fecondazione riproduttrice, onde gli uomini non sia-no fino in fondo vittime del tranello teso loro dal demo-nio con la formazione dei sessi, vascelli infausti di per-dizione.

Naturalmente, come tutti i grandi sistemi religiosi,anche il manicheismo, staccandosi dal suo ceppo iranicoe trasmigrando nel mondo, cerca di adattarsi, con feno-meno naturale di mimetismo etico ed intellettuale, ai si-stemi dominanti nei luoghi dove viene a tentare la suapropaganda. E come nell’Estremo Oriente assorbe appa-riscenti elementi buddistici, in Occidente si sforza diprendere a prestito dal cristianesimo quanto è compati-bile con i propri postulati dualistici. Noi ne cogliamo letracce nella Spagna del IV secolo cadente, nell’indecisaascesi priscillianista; e lo incontriamo nell’Africa diAgostino, insinuatosi perfino su pei gradi della gerar-chia ecclesiastica.

Di fronte a questa subdola tattica di penetrazione, piùurgente appariva il bisogno di neutralizzarne e possibil-mente arrestarne il proselitismo. Fresco ancora del ba-gno battesimale, sant’Agostino si accinge a commentareil racconto genesiaco della creazione, contro i miti diMani; studia i costumi severi, ma senza ostentate aber-razioni della chiesa, e li pone a raffronto con l’ipocritaausterità dei manichei. Ordinato prete nel 391 conduce aviso aperto, in ogni occasione, una campagna diuturna

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contro il manicheismo, la cui efficacia dovette esserestraordinariamente intensa. Nel De utilitate credendi adOnorato esalta il merito della fede semplice e volentero-sa nella economia della esperienza religiosa. La seriedelle opere antimanichee, che si seguono ininterrotte perun quindicennio: (De duabus animabus, Contra Fortu-natum, Contra Adimantum, Contra Epistolam Mani-chaei quam vocant fundamenti, Contra Faustum Mani-chaeum, De actis cum Felice Manichaeo, De naturaboni, Contra Secundinum) esaminano tutti i principalipunti di dissenso fra la mitologia e la psicologia del ma-nicheismo e la concezione platonico-cristiana che Ago-stino si era venuto foggiando durante la sua permanenzain Italia.

Egli mostra così l’assurdità insanabile di ogni duali-smo cosmico; pone in luce l’essenza spirituale di Dio,natura purissima, incapace di qualsiasi mescolanza o fu-sione con elementi inferiori; spiega il concetto negativodel male; difende con vigore di neofita l’esistenza im-mancabile del libero arbitrio; celebra i meriti della Chie-sa cristiana, che offre alle masse un insieme di credenzereligiose salde e coerenti.

In questo primo fervore di polemiche antimanichee,in cui il convertito porta tutta la veemenza del suo ani-mo di disilluso, le affermazioni della libertà umana, del-la non esistenza del male, che non è una realtà, bensìuna pura negazione o una parziale partecipazione dibene, appaiono in Agostino nette e precise. È avvenutonella sua anima un completo capovolgimento di valori,

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contro il manicheismo, la cui efficacia dovette esserestraordinariamente intensa. Nel De utilitate credendi adOnorato esalta il merito della fede semplice e volentero-sa nella economia della esperienza religiosa. La seriedelle opere antimanichee, che si seguono ininterrotte perun quindicennio: (De duabus animabus, Contra Fortu-natum, Contra Adimantum, Contra Epistolam Mani-chaei quam vocant fundamenti, Contra Faustum Mani-chaeum, De actis cum Felice Manichaeo, De naturaboni, Contra Secundinum) esaminano tutti i principalipunti di dissenso fra la mitologia e la psicologia del ma-nicheismo e la concezione platonico-cristiana che Ago-stino si era venuto foggiando durante la sua permanenzain Italia.

Egli mostra così l’assurdità insanabile di ogni duali-smo cosmico; pone in luce l’essenza spirituale di Dio,natura purissima, incapace di qualsiasi mescolanza o fu-sione con elementi inferiori; spiega il concetto negativodel male; difende con vigore di neofita l’esistenza im-mancabile del libero arbitrio; celebra i meriti della Chie-sa cristiana, che offre alle masse un insieme di credenzereligiose salde e coerenti.

In questo primo fervore di polemiche antimanichee,in cui il convertito porta tutta la veemenza del suo ani-mo di disilluso, le affermazioni della libertà umana, del-la non esistenza del male, che non è una realtà, bensìuna pura negazione o una parziale partecipazione dibene, appaiono in Agostino nette e precise. È avvenutonella sua anima un completo capovolgimento di valori,

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e il suo sistema mentale rappresenta realmente l’antitesidella professione manichea.

Il prete e il vescovo di Ippona rimasero sempre inquesta linea ideale, o non più tosto, sbollito l’ardore del-la polemica, qualcosa del vecchio pessimismo manicheoaffiorò di nuovo alla superficie della sua coscienza, por-tandola a quella desolata concezione della predestina-zione alla salvezza o alla rovina eterna, che traspare dal-le ultime manifestazioni della sua attività teologica? Enon aveva forse ragione Giuliano di Eclano di chiamareAgostino, dopo il 420, manicheo e di stabilire un irridu-cibile dissidio fra le prime opere del neoconvertito e gliscritti del vescovo, maturati negli anni tardivi del suoministero pastorale e del suo fosco predestinazianismo?La risposta l’avremo esumando i tratti principali dellapolemica che Agostino ingaggiava verso il 412 contro ilpelagianismo. Fu lotta aspra e perigliosa, che meritò neisecoli al grande teologo africano l’appellativo di «dotto-re della grazia».

Sui primi anni del secolo quinto viveva a Roma e vigodeva fama di singolare virtù un monaco scotto, dinome Pelagio. Era aitante della persona; simpaticoall’aspetto; ricco di quelle doti di sottigliezza e di brio,di cui la sua razza ha avuto sempre a dovizia. La piace-volezza della sua conversazione; l’austerità dei suoi co-stumi; l’interesse curioso per la sua origine esotica, lofacevano ricercato nei salotti dell’aristocrazia romana. Epoichè le nobili famiglie cristiane di Roma si piccavano

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e il suo sistema mentale rappresenta realmente l’antitesidella professione manichea.

Il prete e il vescovo di Ippona rimasero sempre inquesta linea ideale, o non più tosto, sbollito l’ardore del-la polemica, qualcosa del vecchio pessimismo manicheoaffiorò di nuovo alla superficie della sua coscienza, por-tandola a quella desolata concezione della predestina-zione alla salvezza o alla rovina eterna, che traspare dal-le ultime manifestazioni della sua attività teologica? Enon aveva forse ragione Giuliano di Eclano di chiamareAgostino, dopo il 420, manicheo e di stabilire un irridu-cibile dissidio fra le prime opere del neoconvertito e gliscritti del vescovo, maturati negli anni tardivi del suoministero pastorale e del suo fosco predestinazianismo?La risposta l’avremo esumando i tratti principali dellapolemica che Agostino ingaggiava verso il 412 contro ilpelagianismo. Fu lotta aspra e perigliosa, che meritò neisecoli al grande teologo africano l’appellativo di «dotto-re della grazia».

Sui primi anni del secolo quinto viveva a Roma e vigodeva fama di singolare virtù un monaco scotto, dinome Pelagio. Era aitante della persona; simpaticoall’aspetto; ricco di quelle doti di sottigliezza e di brio,di cui la sua razza ha avuto sempre a dovizia. La piace-volezza della sua conversazione; l’austerità dei suoi co-stumi; l’interesse curioso per la sua origine esotica, lofacevano ricercato nei salotti dell’aristocrazia romana. Epoichè le nobili famiglie cristiane di Roma si piccavano

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in quel tempo di ostentare la loro predilezione per l’unoo per l’altro rappresentante esimio della cultura eccle-siastica, egli divenne rapidamente il beniamino della fa-miglia degli Anici Probi che l’ospitavano volentieri nel-la loro splendida casa sul Collis Hortorum, il Pincio, edi quella dei Valeri, che dimoravano al Celio. Un gior-no, in un salotto romano, ad un vescovo capitò di pro-nunciare la frase su cui Agostino aveva intessuto tantaparte delle sue Confessioni, l’invocazione cioè a Dio:«da quod iubes et iube quod vis – concedi quel che co-mandi e comanda poi pure quel che vuoi». All’udirla,Pelagio, che era presente, si mostrò altamente scandaliz-zato, dicendo che gli sembrava indegno di Dio e offensi-vo per la natura umana chiedere a Lui che effettuasse inquesta l’esecuzione dei comandi del bene. Pelagio con-cepiva la vita etica inculcata dal cristianesimo come unaesplicazione, non propriamente agevole, ma nè pure im-pervia, delle facoltà e attitudini umane. Più tardi, scri-vendo per la monacazione di Demetriade quella sua let-tera-programma che è un capolavoro di perizia ed acu-me pedagogico, egli esponeva con discrezione consu-mata le linee fondamentali del suo pensiero. Vi mostra-va così che le virtù proposte e inculcate dal cristianesi-mo non costituiscono idealità inaccessibili; che per at-tuarle non è necessaria una speciale assistenza divina, èbensì sufficiente quell’aiuto remoto e indiretto che Dioci concede con la visione delle sue opere meravigliosenel mondo, con l’esempio mirabile dei suoi santi e inparticolare di Gesù. Nella rocca della nostra coscienza,

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in quel tempo di ostentare la loro predilezione per l’unoo per l’altro rappresentante esimio della cultura eccle-siastica, egli divenne rapidamente il beniamino della fa-miglia degli Anici Probi che l’ospitavano volentieri nel-la loro splendida casa sul Collis Hortorum, il Pincio, edi quella dei Valeri, che dimoravano al Celio. Un gior-no, in un salotto romano, ad un vescovo capitò di pro-nunciare la frase su cui Agostino aveva intessuto tantaparte delle sue Confessioni, l’invocazione cioè a Dio:«da quod iubes et iube quod vis – concedi quel che co-mandi e comanda poi pure quel che vuoi». All’udirla,Pelagio, che era presente, si mostrò altamente scandaliz-zato, dicendo che gli sembrava indegno di Dio e offensi-vo per la natura umana chiedere a Lui che effettuasse inquesta l’esecuzione dei comandi del bene. Pelagio con-cepiva la vita etica inculcata dal cristianesimo come unaesplicazione, non propriamente agevole, ma nè pure im-pervia, delle facoltà e attitudini umane. Più tardi, scri-vendo per la monacazione di Demetriade quella sua let-tera-programma che è un capolavoro di perizia ed acu-me pedagogico, egli esponeva con discrezione consu-mata le linee fondamentali del suo pensiero. Vi mostra-va così che le virtù proposte e inculcate dal cristianesi-mo non costituiscono idealità inaccessibili; che per at-tuarle non è necessaria una speciale assistenza divina, èbensì sufficiente quell’aiuto remoto e indiretto che Dioci concede con la visione delle sue opere meravigliosenel mondo, con l’esempio mirabile dei suoi santi e inparticolare di Gesù. Nella rocca della nostra coscienza,

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egli ammoniva, risiede un incorruttibile giudice, che, su-scitando compiacimento intimo per le nostre opere buo-ne, disgusto e rancore per le nostre opere malvagie,pone in noi stessi la legge del nostro merito. Senza dub-bio la colpa fatale di Adamo, quelle di tanti nostri avi,pesano, funeste, sulle nostre capacità elettive e le spin-gono con rude impulso al male. Ma questo non vuol direche ne sia rimasta debilitata la nostra capacità di benfare: il nostro libero arbitrio, che è la gemma del nostroessere umano, è integro oggi come il giorno in cui Ada-mo uscì dalle mani creatrici di Dio. Si tratta semplice-mente di un esempio perverso che essi ci hanno dato, eche esercita su noi un malefico fascino, cui però possia-mo gagliardamente e vittoriosamente reagire. Occorre,s’intende, vigilare con assiduità, affinchè alla lampadadell’anima nostra non venga mai a mancare l’olio dellerette intenzioni e dei santi propositi. Ma con una sanapedagogia che inizi l’animo al bene operare fin dai pri-mi anni – poichè «in cunctis fere rebus citius assuescituromne quod tenerum est» – è possibile assurgere alle piùeccelse vette della rettitudine cristiana.

Il vescovo che aveva per primo pronunciato la fraseincriminata e che doveva essere amico di Agostino, glifece giungere notizia del commento aspro del monaco,destandone così il legittimo allarme. Ma ben più da vici-no doveva rivelarglisi l’avversario, pochi anni dopo.

All’addensarsi del temporale gotico sul cielo diRoma, molte famiglie nobili traversarono prudentemen-te il mare. Pelagio seguì, con l’amico Celestio, la fami-

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egli ammoniva, risiede un incorruttibile giudice, che, su-scitando compiacimento intimo per le nostre opere buo-ne, disgusto e rancore per le nostre opere malvagie,pone in noi stessi la legge del nostro merito. Senza dub-bio la colpa fatale di Adamo, quelle di tanti nostri avi,pesano, funeste, sulle nostre capacità elettive e le spin-gono con rude impulso al male. Ma questo non vuol direche ne sia rimasta debilitata la nostra capacità di benfare: il nostro libero arbitrio, che è la gemma del nostroessere umano, è integro oggi come il giorno in cui Ada-mo uscì dalle mani creatrici di Dio. Si tratta semplice-mente di un esempio perverso che essi ci hanno dato, eche esercita su noi un malefico fascino, cui però possia-mo gagliardamente e vittoriosamente reagire. Occorre,s’intende, vigilare con assiduità, affinchè alla lampadadell’anima nostra non venga mai a mancare l’olio dellerette intenzioni e dei santi propositi. Ma con una sanapedagogia che inizi l’animo al bene operare fin dai pri-mi anni – poichè «in cunctis fere rebus citius assuescituromne quod tenerum est» – è possibile assurgere alle piùeccelse vette della rettitudine cristiana.

Il vescovo che aveva per primo pronunciato la fraseincriminata e che doveva essere amico di Agostino, glifece giungere notizia del commento aspro del monaco,destandone così il legittimo allarme. Ma ben più da vici-no doveva rivelarglisi l’avversario, pochi anni dopo.

All’addensarsi del temporale gotico sul cielo diRoma, molte famiglie nobili traversarono prudentemen-te il mare. Pelagio seguì, con l’amico Celestio, la fami-

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glia di Anicia Faltonia Proba. Furono così a Cartagine.Agostino, tutto assorbito dalla campagna antidonatisti-ca, non potè lì per lì prestare alle loro persone e alle loroidee soverchia attenzione. Ma quando, partito Pelagioper l’Oriente, Celestio cominciò, con la sua inesauribilefacondia di avvocato, a insinuarsi nelle famiglie cristia-ne del gregge di Aurelio, per stendervi l’insidia del suosistema naturalistico, Agostino corse rapidamente allariscossa e inaugurò la lotta che doveva fruttargli i piùcontrastati, ma anche i più gloriosi allori.

Col suo rapido intuito fissò subito nettamente i capi-saldi della controversia. Pelagio e i suoi rumorosi segua-ci negavano in sostanza il peccato originale come colpache abbia viziato la natura umana sì da trasmettersi conl’atto stesso della generazione; affermavano che già pri-ma di Cristo, non diversamente da quel che è possibiledopo, l’uomo era naturalmente capace di operare tutta lavirtù, senza bisogno di alcun soccorso straordinario. Ilvescovo d’ Ippona intravide il pericolo cui era esposta lastabilità della organizzazione cristiana di fronte al super-bo moralismo dei nuovi predicatori. Si trattava, in fon-do, di sapere, puramente e semplicemente, se la reden-zione effettuata da Cristo implica un ineffabile, ma rea-le, rinnovamento interiore, o si riduce più tosto ad unesempio profferto; se la vita cristiana implica una palin-genesi completa della psiche e dei costumi o invece unamera continuazione della Legge; se, quindi, è necessariala partecipazione ad una efficace grazia divina perl’adempimento dei precetti cristiani, mediante i sacra-

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glia di Anicia Faltonia Proba. Furono così a Cartagine.Agostino, tutto assorbito dalla campagna antidonatisti-ca, non potè lì per lì prestare alle loro persone e alle loroidee soverchia attenzione. Ma quando, partito Pelagioper l’Oriente, Celestio cominciò, con la sua inesauribilefacondia di avvocato, a insinuarsi nelle famiglie cristia-ne del gregge di Aurelio, per stendervi l’insidia del suosistema naturalistico, Agostino corse rapidamente allariscossa e inaugurò la lotta che doveva fruttargli i piùcontrastati, ma anche i più gloriosi allori.

Col suo rapido intuito fissò subito nettamente i capi-saldi della controversia. Pelagio e i suoi rumorosi segua-ci negavano in sostanza il peccato originale come colpache abbia viziato la natura umana sì da trasmettersi conl’atto stesso della generazione; affermavano che già pri-ma di Cristo, non diversamente da quel che è possibiledopo, l’uomo era naturalmente capace di operare tutta lavirtù, senza bisogno di alcun soccorso straordinario. Ilvescovo d’ Ippona intravide il pericolo cui era esposta lastabilità della organizzazione cristiana di fronte al super-bo moralismo dei nuovi predicatori. Si trattava, in fon-do, di sapere, puramente e semplicemente, se la reden-zione effettuata da Cristo implica un ineffabile, ma rea-le, rinnovamento interiore, o si riduce più tosto ad unesempio profferto; se la vita cristiana implica una palin-genesi completa della psiche e dei costumi o invece unamera continuazione della Legge; se, quindi, è necessariala partecipazione ad una efficace grazia divina perl’adempimento dei precetti cristiani, mediante i sacra-

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menti, che ne sono i veicoli, ed una chiesa, che ne èl’amministratrice, o pure la natura umana possiede tutto-ra incolumi le attitudini originarie dell’essere che uscìdalle mani di Dio, come coronamento della creazioneuniversa.

Va detto subito che nel 411 la polemica pelagiana nontrovava Agostino nel medesimo stato intellettuale checontrassegna i primi anni della sua lotta antimanichea.Io mi sono, dopo lunga indagine critica, persuaso – e diquesta mia convinzione ho cercato di addurre altrove ipiù validi argomenti – che fra il 396 e il 397, in seguitoall’attenta lettura del commento dell’Ambrosiastro susan Paolo, il pensiero di Agostino circa la potenzialitàetica della natura umana e i nostri rapporti con Adamopeccatore, subì sensibili modificazioni. Mentre prima diquel tempo, saturo ancora di reminiscenze neoplatoni-che e di esegesi ambrosiana, Agostino sembra ritenereche una colpa non personale è incapace di condannareun essere, altrimenti innocente, al supplizio eterno; chele nostre capacità spirituali non sono state sostanzial-mente pervertite dalla colpa di Adamo; e che quindiogni individuo umano reca ancora nelle proprie mani ildestino d’oltre tomba, dopo quell’epoca invece il pen-siero agostiniano sembra pencolare con sempre maggio-re accentuazione verso un desolato pessimismo, circal’umana natura e i suoi poteri etici: tutta l’umanità appa-re ormai ad Agostino come conglutinata in Adamo, pec-catrice e condannata in lui (massa damnata). Il peccatod’origine è da quel momento descritto da lui come una

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menti, che ne sono i veicoli, ed una chiesa, che ne èl’amministratrice, o pure la natura umana possiede tutto-ra incolumi le attitudini originarie dell’essere che uscìdalle mani di Dio, come coronamento della creazioneuniversa.

Va detto subito che nel 411 la polemica pelagiana nontrovava Agostino nel medesimo stato intellettuale checontrassegna i primi anni della sua lotta antimanichea.Io mi sono, dopo lunga indagine critica, persuaso – e diquesta mia convinzione ho cercato di addurre altrove ipiù validi argomenti – che fra il 396 e il 397, in seguitoall’attenta lettura del commento dell’Ambrosiastro susan Paolo, il pensiero di Agostino circa la potenzialitàetica della natura umana e i nostri rapporti con Adamopeccatore, subì sensibili modificazioni. Mentre prima diquel tempo, saturo ancora di reminiscenze neoplatoni-che e di esegesi ambrosiana, Agostino sembra ritenereche una colpa non personale è incapace di condannareun essere, altrimenti innocente, al supplizio eterno; chele nostre capacità spirituali non sono state sostanzial-mente pervertite dalla colpa di Adamo; e che quindiogni individuo umano reca ancora nelle proprie mani ildestino d’oltre tomba, dopo quell’epoca invece il pen-siero agostiniano sembra pencolare con sempre maggio-re accentuazione verso un desolato pessimismo, circal’umana natura e i suoi poteri etici: tutta l’umanità appa-re ormai ad Agostino come conglutinata in Adamo, pec-catrice e condannata in lui (massa damnata). Il peccatod’origine è da quel momento descritto da lui come una

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infezione mortifera che si propaga inesorabile di padrein figlio mediante l’atto della riproduzione carnale. Poi-chè questa avviene in un attimo di parossismo organicoche è conseguenza diretta della colpa, assume la figuraetica di colpa essa stessa, e determina ipso facto la tra-smissione del primo peccato nella nuova creatura. Laquale recherà lo stigma originario così nel corpo, con ilpersistente e irriducibile pungolo della sensualità irra-gionevole, come nell’anima, in cui viene a prolungarsila reità incorsa dal primo padre peccatore. Affinchè unasimile nozione del peccato d’origine fosse in armoniacon la dottrina circa l’origine dell’anima, Agostino fulogicamente indotto a patrocinare, non il sistema crea-zianistico, non potendosi ammettere che Dio creiun’anima maculata, bensì quello traducianistico, che so-stiene la simultaneità della trasmissione dell’anima e delcorpo, mediante la generazione. In complesso, l’umanitàappare ad Agostino come un conglomerato inizialmenteindistinto di dannati, che nulla possono a rigore meritareda Dio e a cui è solo concesso sperare possibilità di per-dono e di riscatto dalla benevola grazia del Padre e daldecreto infallibile della sua predestinazione.

Pelagio era ancora lontano, a predicare la sua ascesistoica nei salotti romani, quando Agostino veniva spon-taneamente maturando il suo embrionale sistema circa ilpeccato e la grazia. Quando egli fra il 396 e il 397 daval’ultima mano al De diversis quaestionibus ad Simpli-cianum e al De octoginta tribus quaestionibus, brillava-no già chiare e nette nella sua intelligenza, le due idee

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infezione mortifera che si propaga inesorabile di padrein figlio mediante l’atto della riproduzione carnale. Poi-chè questa avviene in un attimo di parossismo organicoche è conseguenza diretta della colpa, assume la figuraetica di colpa essa stessa, e determina ipso facto la tra-smissione del primo peccato nella nuova creatura. Laquale recherà lo stigma originario così nel corpo, con ilpersistente e irriducibile pungolo della sensualità irra-gionevole, come nell’anima, in cui viene a prolungarsila reità incorsa dal primo padre peccatore. Affinchè unasimile nozione del peccato d’origine fosse in armoniacon la dottrina circa l’origine dell’anima, Agostino fulogicamente indotto a patrocinare, non il sistema crea-zianistico, non potendosi ammettere che Dio creiun’anima maculata, bensì quello traducianistico, che so-stiene la simultaneità della trasmissione dell’anima e delcorpo, mediante la generazione. In complesso, l’umanitàappare ad Agostino come un conglomerato inizialmenteindistinto di dannati, che nulla possono a rigore meritareda Dio e a cui è solo concesso sperare possibilità di per-dono e di riscatto dalla benevola grazia del Padre e daldecreto infallibile della sua predestinazione.

Pelagio era ancora lontano, a predicare la sua ascesistoica nei salotti romani, quando Agostino veniva spon-taneamente maturando il suo embrionale sistema circa ilpeccato e la grazia. Quando egli fra il 396 e il 397 daval’ultima mano al De diversis quaestionibus ad Simpli-cianum e al De octoginta tribus quaestionibus, brillava-no già chiare e nette nella sua intelligenza, le due idee

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Page 47: E-book campione Liber Liber · furono la mole e la ricchezza dei monumenti romani che più colpirono il retore di Cartagine. Laggiù, oltre il mare nostrum, anche la Dea Celeste aveva,

fondamentali intorno a cui, come intorno ai due fochi diun’ellissi, verrà svolgendosi la polemica antipelagiana, el’altra intorno alla predestinazione nei suoi rapporti conil libero arbitrio: la nozione cioè di una umanità danna-ta, le cui viscere sono corrose implacabilmente dal can-cro del peccato originale, e quella della completa gratui-tà dell’impulso iniziale con cui Dio ci solleva allo statodi grazia.

Naturalmente, come suole accadere, la discussioneanimata trae Agostino a calcare le linee del suo sistema,a svilupparne le più paradossali conseguenze. Non menodi quindici sono le opere che dal 412 fino all’anno dellamorte (430) Agostino consacra alla confutazione delletesi pelagiane e dei loro corollari. Nel corso della espo-sizione del sistema ch’egli contrappone al moralismodel monaco scotto, egli formula asserzioni di un pessi-mismo feroce, che la tradizione cristiana dovette più tar-di esplicitamente ripudiare. Agostino definisce così laconcupiscenza sessuale come un vero peccato, anchequando porta alla conservazione della specie nello statolegittimo e normale del matrimonio: un peccato vero eproprio, reatu et actu, sebbene in virtù del battesimopossa non essere imputato più, a chi sperimenta e seguel’istinto carnale. Egli, inoltre, forte di una erronea ver-sione latina di un passo paolino (Rom. V, 12), affermarudemente la natura completa e personale della colpad’origine, per cui i fanciulli morti prima del battesimogli appaiono senz’altro destinati alla perdizione. Infinetratteggia con colori sì neri le conseguenze della colpa

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fondamentali intorno a cui, come intorno ai due fochi diun’ellissi, verrà svolgendosi la polemica antipelagiana, el’altra intorno alla predestinazione nei suoi rapporti conil libero arbitrio: la nozione cioè di una umanità danna-ta, le cui viscere sono corrose implacabilmente dal can-cro del peccato originale, e quella della completa gratui-tà dell’impulso iniziale con cui Dio ci solleva allo statodi grazia.

Naturalmente, come suole accadere, la discussioneanimata trae Agostino a calcare le linee del suo sistema,a svilupparne le più paradossali conseguenze. Non menodi quindici sono le opere che dal 412 fino all’anno dellamorte (430) Agostino consacra alla confutazione delletesi pelagiane e dei loro corollari. Nel corso della espo-sizione del sistema ch’egli contrappone al moralismodel monaco scotto, egli formula asserzioni di un pessi-mismo feroce, che la tradizione cristiana dovette più tar-di esplicitamente ripudiare. Agostino definisce così laconcupiscenza sessuale come un vero peccato, anchequando porta alla conservazione della specie nello statolegittimo e normale del matrimonio: un peccato vero eproprio, reatu et actu, sebbene in virtù del battesimopossa non essere imputato più, a chi sperimenta e seguel’istinto carnale. Egli, inoltre, forte di una erronea ver-sione latina di un passo paolino (Rom. V, 12), affermarudemente la natura completa e personale della colpad’origine, per cui i fanciulli morti prima del battesimogli appaiono senz’altro destinati alla perdizione. Infinetratteggia con colori sì neri le conseguenze della colpa

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Page 48: E-book campione Liber Liber · furono la mole e la ricchezza dei monumenti romani che più colpirono il retore di Cartagine. Laggiù, oltre il mare nostrum, anche la Dea Celeste aveva,

d’origine da giungere a sopprimere implicitamente ognilibertà dell’umano arbitrio, divenuto a causa della colpaoriginale, un miserabile schiavo del male. E poichè ilconcetto della libertà campeggia evidente nei documentidella rivelazione cristiana, Agostino finisce con il for-mulare, nell’Enchiridion del 420 una strana e lambicca-ta definizione della libertà. Asserisce cioè che liberonon è già colui il quale possiede la capacità di valutaredue azioni eticamente diverse e di scegliere, bensì coluiche compie con diletto la volontà del proprio padrone.Sicchè è pur libero lo schiavo del peccato e del demo-nio, prima che la virtù rigeneratrice del battesimol’abbia riscattato, dal momento che compie con dilettola volontà del suo tirannico padrone. Libero è parimenticolui che mediante il battesimo è assurto a dignità diservo della giustizia, perchè in virtù della grazia rinno-vatrice compie con diletto l’infallibile volontà del suonuovo sovrano e padrone. Infine, avendo presuppostol’essere spirituale dell’uomo così devastato dall’operaletale della colpa, Agostino deve logicamente dipingerlocome incapace di muovere il più lieve passo sul sentierodel risorgimento spirituale. La grazia, quindi, il sostegnocioè divino, necessario perchè questo paralitico spiritua-le sciolga le sue membra rattrappite, è un dono piena-mente gratuito e la salvezza è il frutto di un decreto in-fallibile della divina bontà. Si salvano o si dannano co-loro che Dio vuole misteriosamente salvati o dannati.

Simili fosche teorie, che annullavano in sostanza, no-nostante le sottili distinzioni dell’Ipponese, il valore per-

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d’origine da giungere a sopprimere implicitamente ognilibertà dell’umano arbitrio, divenuto a causa della colpaoriginale, un miserabile schiavo del male. E poichè ilconcetto della libertà campeggia evidente nei documentidella rivelazione cristiana, Agostino finisce con il for-mulare, nell’Enchiridion del 420 una strana e lambicca-ta definizione della libertà. Asserisce cioè che liberonon è già colui il quale possiede la capacità di valutaredue azioni eticamente diverse e di scegliere, bensì coluiche compie con diletto la volontà del proprio padrone.Sicchè è pur libero lo schiavo del peccato e del demo-nio, prima che la virtù rigeneratrice del battesimol’abbia riscattato, dal momento che compie con dilettola volontà del suo tirannico padrone. Libero è parimenticolui che mediante il battesimo è assurto a dignità diservo della giustizia, perchè in virtù della grazia rinno-vatrice compie con diletto l’infallibile volontà del suonuovo sovrano e padrone. Infine, avendo presuppostol’essere spirituale dell’uomo così devastato dall’operaletale della colpa, Agostino deve logicamente dipingerlocome incapace di muovere il più lieve passo sul sentierodel risorgimento spirituale. La grazia, quindi, il sostegnocioè divino, necessario perchè questo paralitico spiritua-le sciolga le sue membra rattrappite, è un dono piena-mente gratuito e la salvezza è il frutto di un decreto in-fallibile della divina bontà. Si salvano o si dannano co-loro che Dio vuole misteriosamente salvati o dannati.

Simili fosche teorie, che annullavano in sostanza, no-nostante le sottili distinzioni dell’Ipponese, il valore per-

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sonale di ogni azione umana, suscitarono una straordi-naria impressione, che diede luogo anche a comici epi-sodi. I monaci di Adrumeto (Susa) gridarono, ad esem-pio, allo scandalo e cominciarono a ribellarsi ai loro ab-bati, proclamando che, dipendendo ogni nostro buonoperare dal soccorso divino, non comandi dovevano im-partire i superiori religiosi; ma dovevano solamente sol-levare preghiere a Dio, onde volesse concedere ai lorosudditi capacità di ben fare. In Gallia, numerosi gruppidi asceti protestarono contro questo spietato annichila-mento del valore etico degli sforzi personali, compiutiper addestrarsi nel bene. Giuliano, il dotto e facondo ve-scovo di Mirabella Eclano, scende in lizza contro Ago-stino, accusandolo di introdurre, più o meno consape-volmente, il manicheismo nella dottrina cristiana. Infinela chiesa di Roma, col suo tradizionale buon senso, esitaprima di sanzionare le esagerazioni agostiniane, e lacondanna di Pelagio, emanata nel 418 da papa Zosimo,è preceduta da una sentenza di riprovazione e di ostraci-smo, strappata dai vescovi africani alla corte di Raven-na.

Un recente illustratore di Giuliano di Eclano, AlbertoBruckner, ha avuto modo di osservare che nella dottrinaagostiniana intorno al peccato si sono insinuate parec-chie reminiscenze manichee, quali la nozione del maleipostatizzato e contrapposto quasi, con un dualismo dinuovo genere, al principio creatore; quella di una naturaessenzialmente viziata, infine quella della origine diabo-lica dell’istinto sessuale. A me, in verità, non pare che

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sonale di ogni azione umana, suscitarono una straordi-naria impressione, che diede luogo anche a comici epi-sodi. I monaci di Adrumeto (Susa) gridarono, ad esem-pio, allo scandalo e cominciarono a ribellarsi ai loro ab-bati, proclamando che, dipendendo ogni nostro buonoperare dal soccorso divino, non comandi dovevano im-partire i superiori religiosi; ma dovevano solamente sol-levare preghiere a Dio, onde volesse concedere ai lorosudditi capacità di ben fare. In Gallia, numerosi gruppidi asceti protestarono contro questo spietato annichila-mento del valore etico degli sforzi personali, compiutiper addestrarsi nel bene. Giuliano, il dotto e facondo ve-scovo di Mirabella Eclano, scende in lizza contro Ago-stino, accusandolo di introdurre, più o meno consape-volmente, il manicheismo nella dottrina cristiana. Infinela chiesa di Roma, col suo tradizionale buon senso, esitaprima di sanzionare le esagerazioni agostiniane, e lacondanna di Pelagio, emanata nel 418 da papa Zosimo,è preceduta da una sentenza di riprovazione e di ostraci-smo, strappata dai vescovi africani alla corte di Raven-na.

Un recente illustratore di Giuliano di Eclano, AlbertoBruckner, ha avuto modo di osservare che nella dottrinaagostiniana intorno al peccato si sono insinuate parec-chie reminiscenze manichee, quali la nozione del maleipostatizzato e contrapposto quasi, con un dualismo dinuovo genere, al principio creatore; quella di una naturaessenzialmente viziata, infine quella della origine diabo-lica dell’istinto sessuale. A me, in verità, non pare che

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tale specifiche nozioni tradiscano direttamente un in-flusso manicheo. Non nego però in linea generale, chequalcosa di esageratamente pessimistico è rimastonell’antropologia dell’ipponese. Volendo assolutamenteindicare dei punti di contatto fra il sistema che aveva se-dotto l’intelligenza del giovane Agostino e la teologiadel vescovo antipelagiano, io segnalerei più tosto la tra-sparente affinità tra la concezione agostiniana dell’uomoschiavo del bene o del male, secondo che è stato o no af-francato in virtù della grazia, e la concezione manicheadegli elementi di luce o di tenebre che ogni uomo reca oassorbe in sè, e che imprimono l’orientamento fatale alcorso della sua esistenza. Sta di fatto che c’è in quellaconcezione agostiniana più di un elemento lesivo di unaequilibrata rappresentazione delle reali capacità umanenell’opera della interiore salvezza e che la tradizione delcristianesimo latino ha dovuto ripudiarla. Non è azzar-dato asserire che la parentesi manichea aveva lasciatoun sedimento pessimistico nell’animo di Agostino e cheil calore della polemica antipelagiana lo mise nuova-mente allo scoperto.

E pure le esagerazioni agostiniane, inevitabili inun’aspra controversia ventennale, hanno esercitato unaaltissima funzione storica nel processo del pensiero cri-stiano. A distanza di secoli, noi possiamo facilmente ri-conoscere che se avesse prevalso il pelagianismo,l’organismo ecclesiastico, quale mezzo e strumento didistribuzione di quei carismi onde si alimenta la vita so-prannaturale dei fedeli, sarebbe stato reciso alla radice,

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tale specifiche nozioni tradiscano direttamente un in-flusso manicheo. Non nego però in linea generale, chequalcosa di esageratamente pessimistico è rimastonell’antropologia dell’ipponese. Volendo assolutamenteindicare dei punti di contatto fra il sistema che aveva se-dotto l’intelligenza del giovane Agostino e la teologiadel vescovo antipelagiano, io segnalerei più tosto la tra-sparente affinità tra la concezione agostiniana dell’uomoschiavo del bene o del male, secondo che è stato o no af-francato in virtù della grazia, e la concezione manicheadegli elementi di luce o di tenebre che ogni uomo reca oassorbe in sè, e che imprimono l’orientamento fatale alcorso della sua esistenza. Sta di fatto che c’è in quellaconcezione agostiniana più di un elemento lesivo di unaequilibrata rappresentazione delle reali capacità umanenell’opera della interiore salvezza e che la tradizione delcristianesimo latino ha dovuto ripudiarla. Non è azzar-dato asserire che la parentesi manichea aveva lasciatoun sedimento pessimistico nell’animo di Agostino e cheil calore della polemica antipelagiana lo mise nuova-mente allo scoperto.

E pure le esagerazioni agostiniane, inevitabili inun’aspra controversia ventennale, hanno esercitato unaaltissima funzione storica nel processo del pensiero cri-stiano. A distanza di secoli, noi possiamo facilmente ri-conoscere che se avesse prevalso il pelagianismo,l’organismo ecclesiastico, quale mezzo e strumento didistribuzione di quei carismi onde si alimenta la vita so-prannaturale dei fedeli, sarebbe stato reciso alla radice,

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poichè il cristianesimo non è per esso che l’espressionepiù alta delle naturali aspirazioni dello spirito, e il Van-gelo nulla di essenzialmente nuovo ha introdotto nelmondo. Agostino, deprimendo, sia pure esageratamente,le potenzialità dell’umana natura lasciata a sè stessa, hagarantito il fatto della individuale redenzione e ha assi-curato alla Chiesa nei secoli la sua insurrogabile funzio-ne di risanatrice e di corroboratrice.

Nè la sua apologia mira alla difesa di una chiesaastratta ed eterea. Se noi consideriamo nel suo mirabileinsieme il pensiero agostiniano, che si completa e si illu-mina nella totalità delle sue manifestazioni, troviamoche la teoria generica del peccato e della grazia trova ilsuo complemento concreto nella ecclesiologia già for-mulata durante la polemica antidonatistica. La Chiesastorica che Agostino addita quale depositaria dei carismicristiani, è la Chiesa di Roma, verso cui deve converge-re lo sguardo del mondo credente.

Quando nel 396, dopo le brevi esitazioni di Megalio,Agostino era consacrato vescovo coadiutore di Ippona,la Chiesa africana era da circa un secolo travagliata daun penoso scisma, che dal nome del suo più insigne co-rifeo, Donato di Case Nere, aveva appunto preso la de-nominazione di donatismo. Si trattava in sostanza di unnazionalismo africano, nutrito da coefficienti economicie politici, tenacemente ribelle alla penetrazione romana,il quale si ammantava di colori religiosi.

Il primitivo cristianesimo africano aveva nettamenteassunto un carattere di protesta al dominio di Roma e

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poichè il cristianesimo non è per esso che l’espressionepiù alta delle naturali aspirazioni dello spirito, e il Van-gelo nulla di essenzialmente nuovo ha introdotto nelmondo. Agostino, deprimendo, sia pure esageratamente,le potenzialità dell’umana natura lasciata a sè stessa, hagarantito il fatto della individuale redenzione e ha assi-curato alla Chiesa nei secoli la sua insurrogabile funzio-ne di risanatrice e di corroboratrice.

Nè la sua apologia mira alla difesa di una chiesaastratta ed eterea. Se noi consideriamo nel suo mirabileinsieme il pensiero agostiniano, che si completa e si illu-mina nella totalità delle sue manifestazioni, troviamoche la teoria generica del peccato e della grazia trova ilsuo complemento concreto nella ecclesiologia già for-mulata durante la polemica antidonatistica. La Chiesastorica che Agostino addita quale depositaria dei carismicristiani, è la Chiesa di Roma, verso cui deve converge-re lo sguardo del mondo credente.

Quando nel 396, dopo le brevi esitazioni di Megalio,Agostino era consacrato vescovo coadiutore di Ippona,la Chiesa africana era da circa un secolo travagliata daun penoso scisma, che dal nome del suo più insigne co-rifeo, Donato di Case Nere, aveva appunto preso la de-nominazione di donatismo. Si trattava in sostanza di unnazionalismo africano, nutrito da coefficienti economicie politici, tenacemente ribelle alla penetrazione romana,il quale si ammantava di colori religiosi.

Il primitivo cristianesimo africano aveva nettamenteassunto un carattere di protesta al dominio di Roma e

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Page 52: E-book campione Liber Liber · furono la mole e la ricchezza dei monumenti romani che più colpirono il retore di Cartagine. Laggiù, oltre il mare nostrum, anche la Dea Celeste aveva,

alla sua penetrazione culturale. In esso si erano conden-sati e disciplinati i sentimenti di rancore che il governostraniero suscitava nelle razze e nei ceti non assimilati.Il più rumoroso portavoce del cristianesimo africano neiprimi secoli, il prete cartaginese Tertulliano, aveva conun dilemma famoso, sentenziato che fra cristianesimo eimpero corre un antagonismo irriducibile. L’imperatoreCostantino, elevando il cristianesimo nel novero dellereligioni ufficiali e spiegando poi durante il suo diuturnogoverno un’azione sempre più favorevole verso la so-cietà sorta dal Vangelo, turbò profondamente le prospet-tive consuetudinarie dei cristiani dell’Africa. Il cristia-nesimo non poteva apparire più come il baluardo dietrocui si concentravano per la difesa contro l’invadenza ro-mana le aspirazioni autonomistiche dell’anima africana,dal momento che l’Impero si faceva esso cristiano e fau-tore di cristianesimo nel mondo. Nello stato d’animo dismarrimento e di delusione che il grande rinnovamentopolitico-religioso effettuato da Costantino dovette deter-minare nell’Africa cristiana, io trovo le ragioni psicolo-giche del movimento donatista, il quale, traendo prete-sto da alcuni incerti episodi di debolezza vescovile du-rante la persecuzione dioclezianea, che aveva cercato distrappare alle comunità cristiane i suoi libri sacri e lasuppellettile liturgica, credè di poter continuare la fun-zione di resistenza al romanesimo, abbandonata dallaChiesa cristiana il giorno in cui aveva accettato la tuteladi un imperatore, convertitosi per calcolo di opportuni-smo. Non è qui il caso di tessere l’agitata storia del do-

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alla sua penetrazione culturale. In esso si erano conden-sati e disciplinati i sentimenti di rancore che il governostraniero suscitava nelle razze e nei ceti non assimilati.Il più rumoroso portavoce del cristianesimo africano neiprimi secoli, il prete cartaginese Tertulliano, aveva conun dilemma famoso, sentenziato che fra cristianesimo eimpero corre un antagonismo irriducibile. L’imperatoreCostantino, elevando il cristianesimo nel novero dellereligioni ufficiali e spiegando poi durante il suo diuturnogoverno un’azione sempre più favorevole verso la so-cietà sorta dal Vangelo, turbò profondamente le prospet-tive consuetudinarie dei cristiani dell’Africa. Il cristia-nesimo non poteva apparire più come il baluardo dietrocui si concentravano per la difesa contro l’invadenza ro-mana le aspirazioni autonomistiche dell’anima africana,dal momento che l’Impero si faceva esso cristiano e fau-tore di cristianesimo nel mondo. Nello stato d’animo dismarrimento e di delusione che il grande rinnovamentopolitico-religioso effettuato da Costantino dovette deter-minare nell’Africa cristiana, io trovo le ragioni psicolo-giche del movimento donatista, il quale, traendo prete-sto da alcuni incerti episodi di debolezza vescovile du-rante la persecuzione dioclezianea, che aveva cercato distrappare alle comunità cristiane i suoi libri sacri e lasuppellettile liturgica, credè di poter continuare la fun-zione di resistenza al romanesimo, abbandonata dallaChiesa cristiana il giorno in cui aveva accettato la tuteladi un imperatore, convertitosi per calcolo di opportuni-smo. Non è qui il caso di tessere l’agitata storia del do-

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natismo, dal giorno in cui un gruppo di ribelli contrap-poneva a Cartagine, al vescovo Ceciliano, un vescovoscismatico, Maggiorino, fino al momento in cui si leva,a debellarlo, la propaganda instancabile di Agostino.Non è nè pure il caso di esaminare partitamente i dodiciscritti agostiniani che fra il 393 e il 420 raccolgono ilsucco della sua pertinace polemica. A noi sarà sufficien-te circoscrivere i motivi sostanziali del dissidio e porrein luce il valore permanente che l’atteggiamentodell’Ipponese ha assunto nella teologia e nella disciplinadel cristianesimo latino.

I donatisti sostenevano, in sostanza, che la Chiesa èuna società di perfetti; che quanti in essa vengono menoai rigidi precetti della comunità, quanti sopra tutto si ab-bandonano a transazioni col mondo esterno e i suoi po-teri politici, eterni avversari del Vangelo per definizione,smarriscono il diritto di appartenervi, e perdono automa-ticamente ogni potere carismatico, se costituiti in dignitàreligiosa. Quindi quei vescovi che consegnarono libri eindumenti sacri ai rappresentanti dell’imperatore duran-te la terribile persecuzione dioclezianea, o comunquenon mantennero quel contegno fieramente disdegnosoche si conviene a ministri del Cristo, e tutti coloro che sirendono loro complici con l’acquiescenza e il silenzio,debbono essere ormai ritenuti estranei alla vera Chiesa,felloni e traditori. E poichè i sacramenti producono lagrazia e la vita soprannaturale solo a patto che chi li am-ministra sia in intima unione con Dio e ricco egli stessodi carismi divini, quanti hanno ricevuto il battesimo da

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natismo, dal giorno in cui un gruppo di ribelli contrap-poneva a Cartagine, al vescovo Ceciliano, un vescovoscismatico, Maggiorino, fino al momento in cui si leva,a debellarlo, la propaganda instancabile di Agostino.Non è nè pure il caso di esaminare partitamente i dodiciscritti agostiniani che fra il 393 e il 420 raccolgono ilsucco della sua pertinace polemica. A noi sarà sufficien-te circoscrivere i motivi sostanziali del dissidio e porrein luce il valore permanente che l’atteggiamentodell’Ipponese ha assunto nella teologia e nella disciplinadel cristianesimo latino.

I donatisti sostenevano, in sostanza, che la Chiesa èuna società di perfetti; che quanti in essa vengono menoai rigidi precetti della comunità, quanti sopra tutto si ab-bandonano a transazioni col mondo esterno e i suoi po-teri politici, eterni avversari del Vangelo per definizione,smarriscono il diritto di appartenervi, e perdono automa-ticamente ogni potere carismatico, se costituiti in dignitàreligiosa. Quindi quei vescovi che consegnarono libri eindumenti sacri ai rappresentanti dell’imperatore duran-te la terribile persecuzione dioclezianea, o comunquenon mantennero quel contegno fieramente disdegnosoche si conviene a ministri del Cristo, e tutti coloro che sirendono loro complici con l’acquiescenza e il silenzio,debbono essere ormai ritenuti estranei alla vera Chiesa,felloni e traditori. E poichè i sacramenti producono lagrazia e la vita soprannaturale solo a patto che chi li am-ministra sia in intima unione con Dio e ricco egli stessodi carismi divini, quanti hanno ricevuto il battesimo da

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traditores e loro colleghi, debbono nuovamente rituffar-si nel bagno purificatore e debbono riavere nuova impo-sizione delle mani. La comunità dei perfetti si guarderàdopo ciò da qualsiasi contatto coll’autorità civile, dallaquale il Vangelo non può ricevere che affronti e coerci-zioni. Nulla di comune v’è fra lo Stato e la Chiesa, fra idecreti imperiali e il Vangelo. Si appelli chi vuole aquelli: il vero cristiano non conosce altra legge, fuori diquesto.

Le conseguenze concrete dei postulati donatistici siintuiscono agevolmente. Essi tagliavano i tendini diogni organizzazione ecclesiastica, e riducevano la Chie-sa cristiana ad una conventicola di esaltati. Se ad ognifedele compete il diritto di esaminare i titoli del suo su-periore gerarchico, di scandagliare nel fondo della suacoscienza; di valutarne la dignità etica e giudicarne leintenzioni; non subirà mai i veicoli della disciplina e po-trà sollevare accuse e rampogne ad ogni proprio capric-cio. Se i vincoli dei benefici carismatici, i sacramenti,posseggono una validità strettamente collegata e dipen-dente dalla purezza del ministro, la vita soprannaturaledei fedeli sarà esposta alla perenne e penosa oscillazionedel dubbio. Se infine la Chiesa dovrà in eterno guardarein cagnesco lo Stato, come il suo nemico naturale, dovràrinunciare per sempre a qualsiasi proficua funzione so-ciale.

Col suo fine intuito di uomo pratico e avveduto, chel’esperienza romana e milanese aveva educatoall’apprezzamento sereno della missione storica della

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traditores e loro colleghi, debbono nuovamente rituffar-si nel bagno purificatore e debbono riavere nuova impo-sizione delle mani. La comunità dei perfetti si guarderàdopo ciò da qualsiasi contatto coll’autorità civile, dallaquale il Vangelo non può ricevere che affronti e coerci-zioni. Nulla di comune v’è fra lo Stato e la Chiesa, fra idecreti imperiali e il Vangelo. Si appelli chi vuole aquelli: il vero cristiano non conosce altra legge, fuori diquesto.

Le conseguenze concrete dei postulati donatistici siintuiscono agevolmente. Essi tagliavano i tendini diogni organizzazione ecclesiastica, e riducevano la Chie-sa cristiana ad una conventicola di esaltati. Se ad ognifedele compete il diritto di esaminare i titoli del suo su-periore gerarchico, di scandagliare nel fondo della suacoscienza; di valutarne la dignità etica e giudicarne leintenzioni; non subirà mai i veicoli della disciplina e po-trà sollevare accuse e rampogne ad ogni proprio capric-cio. Se i vincoli dei benefici carismatici, i sacramenti,posseggono una validità strettamente collegata e dipen-dente dalla purezza del ministro, la vita soprannaturaledei fedeli sarà esposta alla perenne e penosa oscillazionedel dubbio. Se infine la Chiesa dovrà in eterno guardarein cagnesco lo Stato, come il suo nemico naturale, dovràrinunciare per sempre a qualsiasi proficua funzione so-ciale.

Col suo fine intuito di uomo pratico e avveduto, chel’esperienza romana e milanese aveva educatoall’apprezzamento sereno della missione storica della

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Chiesa, Agostino intravide d’un sùbito le conseguenzefuneste della intransigenza donatistica. La sua campa-gna, menata per ammansirla e domarla, è fatta tutta dibuon senso e di praticità. Parlando ai donatisti egli nonha più da fare con le classi colte, su cui ha fatto maggiorpresa l’orgogliosa e saccente erudizione manichea: eglisi rivolge al popolo minuto, sulle miserie e i patimentidel quale la cricca di Donato e di Parmeniano ha fattoassegnamento, per aizzarlo contro Roma affamatrice econtro la Chiesa ortodossa che se ne è fatta strumentodocile e complice vergognosa. E al popolo parla con ac-centi patetici, che raggiungono talora un grado di altissi-mo lirismo.

Agostino non si dissimula le lacune e le imperfezioniche deturpano l’organismo ecclesiastico. La Chiesa èun’aia, su cui giacciono ancora mescolati il frumento ela paglia: il ventilabro della morte e del giudizio non liha ancora sceverati. Ma che per ciò? Chi opera nel mini-stro e conferisce la valida efficacia al gesto del rito, èCristo direttamente e alla virtù sua non può fare ostaco-lo l’indegnità dello strumento. Nessun dubbio quindisulla effettiva operazione sacramentale, da chiunquecompiuta. «Christus invisibiliter mundat». Che se laChiesa, col maturare dei tempi, è venuta a contatto conlo stato romano, che ne ha assunto la vigile tutela, noinon diremo che essa abbia abbandonato il suo trono, perridursi in uno stato di obbrobriosa servitù. La chiesa puòesclamare:

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Chiesa, Agostino intravide d’un sùbito le conseguenzefuneste della intransigenza donatistica. La sua campa-gna, menata per ammansirla e domarla, è fatta tutta dibuon senso e di praticità. Parlando ai donatisti egli nonha più da fare con le classi colte, su cui ha fatto maggiorpresa l’orgogliosa e saccente erudizione manichea: eglisi rivolge al popolo minuto, sulle miserie e i patimentidel quale la cricca di Donato e di Parmeniano ha fattoassegnamento, per aizzarlo contro Roma affamatrice econtro la Chiesa ortodossa che se ne è fatta strumentodocile e complice vergognosa. E al popolo parla con ac-centi patetici, che raggiungono talora un grado di altissi-mo lirismo.

Agostino non si dissimula le lacune e le imperfezioniche deturpano l’organismo ecclesiastico. La Chiesa èun’aia, su cui giacciono ancora mescolati il frumento ela paglia: il ventilabro della morte e del giudizio non liha ancora sceverati. Ma che per ciò? Chi opera nel mini-stro e conferisce la valida efficacia al gesto del rito, èCristo direttamente e alla virtù sua non può fare ostaco-lo l’indegnità dello strumento. Nessun dubbio quindisulla effettiva operazione sacramentale, da chiunquecompiuta. «Christus invisibiliter mundat». Che se laChiesa, col maturare dei tempi, è venuta a contatto conlo stato romano, che ne ha assunto la vigile tutela, noinon diremo che essa abbia abbandonato il suo trono, perridursi in uno stato di obbrobriosa servitù. La chiesa puòesclamare:

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iussit me apostolus pro regibus mundi orare;vos invidetis, quod reges iam sunt in christiana fide:si filii estis, quid invidetis, quia auditae sunt preces meae?

Lo Stato, è vero, ha preso un po’ troppo sul serio ilsuo compito di tutore, e ha cominciato ad esercitare unferoce potere di repressione contro coloro che hanno iltorto di non pensare come la Chiesa romana. Ma - e quiAgostino ha gettato le basi teoriche della sacra Inquisi-zione - è volontà di Dio che lo Stato ponga a disposizio-ne della Chiesa i suoi poteri, poichè può essere provvi-denziale l’intervento dell’autorità per manodurre nel re-cinto degli eletti i recalcitranti e gli ostinati. Del resto idonatisti debbono persuadersi che le ragioni della vita edel successo non sono davvero nel piccolo àmbito dellaloro setta astiosa e tumultuaria. La società cristiana ha leragioni della sua validità e della sua legittimità nellostesso suo carattere universale: nella vastità dei suoiconfini, coincidenti con i confini del mondo romano;nella fermezza dei suoi vincoli disciplinari, onde è co-stretta alla veneranda sede di Pietro. «Non vengano aporci dinanzi agli occhi costoro vecchie pergamene e di-menticati atti pubblici, onde asserire l’indegnità di unvescovo cartaginese, morto cent’anni indietro. Il nostrolibro mastro è un altro: è il mondo. In esso io veggo ef-fettuate le promesse delle sacre carte. Nessuno può an-nullare nel cosmo l’ordine fissato da Dio: nessuno puòcancellare dalla terra la realtà della Chiesa... Non dirmai, o eretico, che il tuo piccolo pensiero risponda me-

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iussit me apostolus pro regibus mundi orare;vos invidetis, quod reges iam sunt in christiana fide:si filii estis, quid invidetis, quia auditae sunt preces meae?

Lo Stato, è vero, ha preso un po’ troppo sul serio ilsuo compito di tutore, e ha cominciato ad esercitare unferoce potere di repressione contro coloro che hanno iltorto di non pensare come la Chiesa romana. Ma - e quiAgostino ha gettato le basi teoriche della sacra Inquisi-zione - è volontà di Dio che lo Stato ponga a disposizio-ne della Chiesa i suoi poteri, poichè può essere provvi-denziale l’intervento dell’autorità per manodurre nel re-cinto degli eletti i recalcitranti e gli ostinati. Del resto idonatisti debbono persuadersi che le ragioni della vita edel successo non sono davvero nel piccolo àmbito dellaloro setta astiosa e tumultuaria. La società cristiana ha leragioni della sua validità e della sua legittimità nellostesso suo carattere universale: nella vastità dei suoiconfini, coincidenti con i confini del mondo romano;nella fermezza dei suoi vincoli disciplinari, onde è co-stretta alla veneranda sede di Pietro. «Non vengano aporci dinanzi agli occhi costoro vecchie pergamene e di-menticati atti pubblici, onde asserire l’indegnità di unvescovo cartaginese, morto cent’anni indietro. Il nostrolibro mastro è un altro: è il mondo. In esso io veggo ef-fettuate le promesse delle sacre carte. Nessuno può an-nullare nel cosmo l’ordine fissato da Dio: nessuno puòcancellare dalla terra la realtà della Chiesa... Non dirmai, o eretico, che il tuo piccolo pensiero risponda me-

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glio all’insegnamento del Cristo, o alla tradizione deiPadri. Guardati intorno. L’eredità del Redentore non puòessere ristretta al tuo gruppo sparuto: il sangue di Cristofu prezzo per l’universo, non per una minoranza. Solo laChiesa, che ha levato le sue tende dovunque è vita civi-le, dà, con la sua stessa esistenza, testimonianza alla vi-talità del Vangelo nel mondo. E quella Chiesa, è la chie-sa di Roma».

Così all’alta esperienza spirituale di Agostino, la par-tecipazione ad una società religiosa disseminata nelmondo appare di per sè argomento sufficiente per lapropria giustificazione. L’ecclesiologia di Agostino as-sume per questo un significato veramente eccezionale.Dichiarando che ogni separazione dal grande organismoecclesiastico implica un impoverimento spirituale, chela comunione intima e insieme esteriore col mondo cre-dente costituisce un vincolo non impunemente frangibi-le; egli ha innalzato la categoria morale della Chiesa suun piedistallo unico; ha fatto dei valori ecclesiastici, deivalori assoluti. Anche gli gnostici, è vero, avevano riser-bato un posto alla Chiesa nella tavola dei loro eoni: masi trattava di nebulose concezioni cosmogoniche, privedi ogni collegamento con la vita e con la storia. Agosti-no sta con i piedi sulla terra e mentre l’unità politica delmondo romano si va disfacendo, egli trae gli auspici peruna più vasta unità: l’unità cristiana.

A sei secoli di distanza dalla battaglia di Zama,l’Africa domata dava a Roma il più robusto assertoredel suo primato spirituale nel mondo.

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glio all’insegnamento del Cristo, o alla tradizione deiPadri. Guardati intorno. L’eredità del Redentore non puòessere ristretta al tuo gruppo sparuto: il sangue di Cristofu prezzo per l’universo, non per una minoranza. Solo laChiesa, che ha levato le sue tende dovunque è vita civi-le, dà, con la sua stessa esistenza, testimonianza alla vi-talità del Vangelo nel mondo. E quella Chiesa, è la chie-sa di Roma».

Così all’alta esperienza spirituale di Agostino, la par-tecipazione ad una società religiosa disseminata nelmondo appare di per sè argomento sufficiente per lapropria giustificazione. L’ecclesiologia di Agostino as-sume per questo un significato veramente eccezionale.Dichiarando che ogni separazione dal grande organismoecclesiastico implica un impoverimento spirituale, chela comunione intima e insieme esteriore col mondo cre-dente costituisce un vincolo non impunemente frangibi-le; egli ha innalzato la categoria morale della Chiesa suun piedistallo unico; ha fatto dei valori ecclesiastici, deivalori assoluti. Anche gli gnostici, è vero, avevano riser-bato un posto alla Chiesa nella tavola dei loro eoni: masi trattava di nebulose concezioni cosmogoniche, privedi ogni collegamento con la vita e con la storia. Agosti-no sta con i piedi sulla terra e mentre l’unità politica delmondo romano si va disfacendo, egli trae gli auspici peruna più vasta unità: l’unità cristiana.

A sei secoli di distanza dalla battaglia di Zama,l’Africa domata dava a Roma il più robusto assertoredel suo primato spirituale nel mondo.

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III.

«Roma non perit, si Ro-mani non pereant».

(Serm. 81).

Il 24 agosto del 410 i goti di Alarico entravano dallaSalaria nell’Urbe e si abbandonavano a quel barbarosaccheggio che è rimasto tristemente famoso nelle me-morie di Roma. Il tragico evento destò un senso di rac-capriccio e di sbigottimento dovunque. Nel suo ritiro diBetlem, il vecchio Girolamo, il cui cuore sanguinava an-cora per la morte recente di Paola, risentì più amara-mente il contraccolpo dell’immane sciagura, perchè lanuova gliene giunse insieme a quella della morte diMarcella, abbattuta dagli affronti subiti insieme alla fi-gliuola: «Ed ecco, improvvisamente, apprendo la scom-parsa di Pammachio e di Marcella, la cattura della roma-na città, l’addormentarsi eterno di molti fratelli e sorelle.Caddi nel più costernato stupore. Giorno e notte mi haassediato il pensiero degli amici lontani. Ora che è stataviolentemente spenta la più fulgida luce dell’universo;ora che è stato troncato il capo stesso dell’Impero; orache con la caduta di una città, tutto il mondo civile è

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III.

«Roma non perit, si Ro-mani non pereant».

(Serm. 81).

Il 24 agosto del 410 i goti di Alarico entravano dallaSalaria nell’Urbe e si abbandonavano a quel barbarosaccheggio che è rimasto tristemente famoso nelle me-morie di Roma. Il tragico evento destò un senso di rac-capriccio e di sbigottimento dovunque. Nel suo ritiro diBetlem, il vecchio Girolamo, il cui cuore sanguinava an-cora per la morte recente di Paola, risentì più amara-mente il contraccolpo dell’immane sciagura, perchè lanuova gliene giunse insieme a quella della morte diMarcella, abbattuta dagli affronti subiti insieme alla fi-gliuola: «Ed ecco, improvvisamente, apprendo la scom-parsa di Pammachio e di Marcella, la cattura della roma-na città, l’addormentarsi eterno di molti fratelli e sorelle.Caddi nel più costernato stupore. Giorno e notte mi haassediato il pensiero degli amici lontani. Ora che è stataviolentemente spenta la più fulgida luce dell’universo;ora che è stato troncato il capo stesso dell’Impero; orache con la caduta di una città, tutto il mondo civile è

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precipitato nella rovina, tacqui e mi prostrai nella polve-re. Mi sovvenne l’adagio: nel lutto, la musica è unainopportuna cicalata».

Numerose famiglie nobili non attesero che l’uraganoscoppiasse, per prendere il largo. E poichè molte fraesse possedevano vasti tenimenti terrieri nell’Africaproconsolare, fu sulle sponde meridionali del Mediterra-neo che ripararono in gran copia a spandere le loro re-criminazioni di profughi esasperati. I pagani erano anco-ra in notevole quantità, e poichè i rovesci più terrificantisi erano abbattuti sulla vecchia capitale dell’Impero pro-prio mentre gli imperatori facevano più aperta pompadella loro fede ortodossa, essi non mancarono di ripren-dere i vecchi motivi già invocati da Simmaco, sulla im-possibilità di scindere la grandezza di Roma dal cultopagano e sulla necessità di tornare ai riti tradizionali sesi voleva salvare l’Impero dalla definitiva rovina. Ago-stino dovette ben presto sentirsi ristucco di questo vanopiagnucolio di signori disturbati nelle loro consuetudini,che vedevano fosco per tutto e affibbiavano al cristiane-simo la responsabilità di sciagure, delle quali eratutt’altro che agevole indagare la scaturigine. In verità ilmomento era propizio per un’opera che ricercasse, allaluce del Vangelo, i coefficienti che regolano il normalesviluppo dei popoli e i valori assoluti, in base ai quali vaapprezzata la loro vita. Il rivolgimento spirituale iniziatoda un secolo con l’editto costantiniano aveva ormai rag-giunto l’apice della sua maturità e il disastro politico incui era piombato il grande organismo statale di Roma

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precipitato nella rovina, tacqui e mi prostrai nella polve-re. Mi sovvenne l’adagio: nel lutto, la musica è unainopportuna cicalata».

Numerose famiglie nobili non attesero che l’uraganoscoppiasse, per prendere il largo. E poichè molte fraesse possedevano vasti tenimenti terrieri nell’Africaproconsolare, fu sulle sponde meridionali del Mediterra-neo che ripararono in gran copia a spandere le loro re-criminazioni di profughi esasperati. I pagani erano anco-ra in notevole quantità, e poichè i rovesci più terrificantisi erano abbattuti sulla vecchia capitale dell’Impero pro-prio mentre gli imperatori facevano più aperta pompadella loro fede ortodossa, essi non mancarono di ripren-dere i vecchi motivi già invocati da Simmaco, sulla im-possibilità di scindere la grandezza di Roma dal cultopagano e sulla necessità di tornare ai riti tradizionali sesi voleva salvare l’Impero dalla definitiva rovina. Ago-stino dovette ben presto sentirsi ristucco di questo vanopiagnucolio di signori disturbati nelle loro consuetudini,che vedevano fosco per tutto e affibbiavano al cristiane-simo la responsabilità di sciagure, delle quali eratutt’altro che agevole indagare la scaturigine. In verità ilmomento era propizio per un’opera che ricercasse, allaluce del Vangelo, i coefficienti che regolano il normalesviluppo dei popoli e i valori assoluti, in base ai quali vaapprezzata la loro vita. Il rivolgimento spirituale iniziatoda un secolo con l’editto costantiniano aveva ormai rag-giunto l’apice della sua maturità e il disastro politico incui era piombato il grande organismo statale di Roma

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imponeva a un cristiano di genio l’obbligo di delineare iprincipi di una nuova filosofia sociale, che insegnasse avalutare senza scoraggiamento gli eventi e a trarre gliauspici per l’avvenire. Fra il 412 e il 426 Agostino scris-se così i suoi ventidue libri del De Civitate Dei.

Io non debbo qui esaminarli ad uno ad uno; riprodur-ne in iscorcio le argomentazioni contro i pagani maledi-centi a Cristo per i disastri piombati sull’Impero o la co-piosa erudizione mitologica, attinta dalle opere di Varro-ne. Io debbo limitarmi a coglierne l’anima vivificatrice,a farne sprizzare lo spirito profondo, che ha retto, comeun cemento tenace, l’organizzazione sociale del MedioEvo cristiano.

Si direbbe che non sia, cotesto, compito agevole. IlDe Civitate Dei non solo è uno di quei libri di cui mol-tissimi parlano pur senza averne mai letto una riga, ma èuna di quelle opere che non tradiscono il loro contenutosostanziale ad una prima lettura e su cui accade di co-struire le proprie teorie predilette, con piena offesa aireali propositi che Agostino ha perseguito nella sua im-mortale composizione.

Ecco, ad esempio. Per una strana coincidenza, chenon manca di un recondito significato, proprio mentreun popolo, nelle cui vene scorre più abbondante sanguegotico, ha scatenato una guerra che è il risultato di unasecolare esaltazione della forza bruta e del predominiopolitico, in irriducibile contrasto con la scala dei valoriinstaurata dal cristianesimo, un suo filosofo, di solitomite ed equilibrato, Ernesto Troeltsch, ha preso in esa-

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imponeva a un cristiano di genio l’obbligo di delineare iprincipi di una nuova filosofia sociale, che insegnasse avalutare senza scoraggiamento gli eventi e a trarre gliauspici per l’avvenire. Fra il 412 e il 426 Agostino scris-se così i suoi ventidue libri del De Civitate Dei.

Io non debbo qui esaminarli ad uno ad uno; riprodur-ne in iscorcio le argomentazioni contro i pagani maledi-centi a Cristo per i disastri piombati sull’Impero o la co-piosa erudizione mitologica, attinta dalle opere di Varro-ne. Io debbo limitarmi a coglierne l’anima vivificatrice,a farne sprizzare lo spirito profondo, che ha retto, comeun cemento tenace, l’organizzazione sociale del MedioEvo cristiano.

Si direbbe che non sia, cotesto, compito agevole. IlDe Civitate Dei non solo è uno di quei libri di cui mol-tissimi parlano pur senza averne mai letto una riga, ma èuna di quelle opere che non tradiscono il loro contenutosostanziale ad una prima lettura e su cui accade di co-struire le proprie teorie predilette, con piena offesa aireali propositi che Agostino ha perseguito nella sua im-mortale composizione.

Ecco, ad esempio. Per una strana coincidenza, chenon manca di un recondito significato, proprio mentreun popolo, nelle cui vene scorre più abbondante sanguegotico, ha scatenato una guerra che è il risultato di unasecolare esaltazione della forza bruta e del predominiopolitico, in irriducibile contrasto con la scala dei valoriinstaurata dal cristianesimo, un suo filosofo, di solitomite ed equilibrato, Ernesto Troeltsch, ha preso in esa-

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me il De Civitate Dei di Sant’Agostino, per calcolarnel’efficacia storica e la posizione nello sviluppo del mon-do cristiano. E poichè vi ha trovato una filosofia dei va-lori che, mentre è la più saggia applicazione dello spiritoevangelico alle contingenze della vita collettiva, rappre-senta, appunto per questo, la più recisa negazione diquel cesarismo rinascente che è alla base di ogni violen-to imperialismo, è stato inconsapevolmente indotto a di-chiarare che l’opera più notevole di Sant’Agostino è pri-va di ogni rapporto effettuale con le nozioni e le istitu-zioni prevalenti nel Medio Evo; che è, puramente e sem-plicemente, la sintesi dell’etica cristiana primitiva, di-giuna di ogni preoccupazione politica ed estranea adogni organismo statale, che, a fil di logica, può condurrealle rinuncie dell’ascetismo, non può davvero apprestareil materiale ideologico per una salda compagine sociale.Con un metodo di raffronti tutto formalistico e meccani-co, il Troeltsch dipinge sommariamente la situazionestorico-politica del Medio Evo, e le nozioni di Chiesa,di Stato, e dei loro rapporti, che sono alle sue radici. Epoichè non trova che Agostino abbia prognosticato lacoronazione imperiale a Roma di un re barbaro, conclu-de senz’altro che dal De Civitate Dei il Medio Evo nonha ricavato la più lieve ispirazione.

Non è chi non veda l’artificiosa inconsistenza di simi-le argomentazione. Le istituzioni storiche sono, in gene-re, il risultato di un duplice ordine di coefficienti: coeffi-cienti di ordine materiale gli uni, economici, fisici, etni-ci, che operano in virtù di circostanze esteriori; coeffi-

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me il De Civitate Dei di Sant’Agostino, per calcolarnel’efficacia storica e la posizione nello sviluppo del mon-do cristiano. E poichè vi ha trovato una filosofia dei va-lori che, mentre è la più saggia applicazione dello spiritoevangelico alle contingenze della vita collettiva, rappre-senta, appunto per questo, la più recisa negazione diquel cesarismo rinascente che è alla base di ogni violen-to imperialismo, è stato inconsapevolmente indotto a di-chiarare che l’opera più notevole di Sant’Agostino è pri-va di ogni rapporto effettuale con le nozioni e le istitu-zioni prevalenti nel Medio Evo; che è, puramente e sem-plicemente, la sintesi dell’etica cristiana primitiva, di-giuna di ogni preoccupazione politica ed estranea adogni organismo statale, che, a fil di logica, può condurrealle rinuncie dell’ascetismo, non può davvero apprestareil materiale ideologico per una salda compagine sociale.Con un metodo di raffronti tutto formalistico e meccani-co, il Troeltsch dipinge sommariamente la situazionestorico-politica del Medio Evo, e le nozioni di Chiesa,di Stato, e dei loro rapporti, che sono alle sue radici. Epoichè non trova che Agostino abbia prognosticato lacoronazione imperiale a Roma di un re barbaro, conclu-de senz’altro che dal De Civitate Dei il Medio Evo nonha ricavato la più lieve ispirazione.

Non è chi non veda l’artificiosa inconsistenza di simi-le argomentazione. Le istituzioni storiche sono, in gene-re, il risultato di un duplice ordine di coefficienti: coeffi-cienti di ordine materiale gli uni, economici, fisici, etni-ci, che operano in virtù di circostanze esteriori; coeffi-

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cienti di ordine morale gli altri, che operano per intimavirtù e per infallibile capacità di modellare e piegare glispiriti al riconoscimento di determinati principi. E sonoqueste le idee poste in circolazione dalle intelligenze piùelette, e costituenti la norma della vita umana nella sto-ria. È stolta pretesa voler ritrovare nel De Civitate Deiistituzioni politiche che dovevano scaturire da fattorimateriali, entrati all’alba del V secolo, a pena in azione.Ma è ben lecito, doveroso anzi, riconoscere che in quel-la altissima manifestazione dell’apologetica cristiana vi-bra lo spirito che ne rese possibile la lenta maturazione,e circola una concezione dei rapporti fra vita etica e vitapolitica, in cui forse può adagiarsi tuttora l’esperienzaetica del ciclo storico cui apparteniamo.

Per intendere ciò non dobbiamo naturalmente conten-tarci dell’accezione volgare, secondo la quale Sant’Ago-stino avrebbe fatto della Chiesa la città di Dio, e delmondo, con tutte le sue istituzioni, la città del demonio.Chi si arresta a simile grossolano concetto, mostra dinon avere nè pure sfiorato la profonda intuizione misticache regge l’impalcatura della grande opera agostiniana,e si rivela insanabilmente inadatto a valutarne il signifi-cato, di fronte all’etica sociale del paganesimo.

Fra la Chiesa e la società di Dio non v’è alcuna iden-tità di confini cronologici o spaziali. Moltissimi appar-tennero alla società di Dio, prima che la Chiesa esistes-se; come moltissimi vi appartengono, pur non avendo ri-cevuto l’iniziazione cristiana. E d’altra parte vi sonomolti che marciano materialmente nelle file della socie-

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cienti di ordine morale gli altri, che operano per intimavirtù e per infallibile capacità di modellare e piegare glispiriti al riconoscimento di determinati principi. E sonoqueste le idee poste in circolazione dalle intelligenze piùelette, e costituenti la norma della vita umana nella sto-ria. È stolta pretesa voler ritrovare nel De Civitate Deiistituzioni politiche che dovevano scaturire da fattorimateriali, entrati all’alba del V secolo, a pena in azione.Ma è ben lecito, doveroso anzi, riconoscere che in quel-la altissima manifestazione dell’apologetica cristiana vi-bra lo spirito che ne rese possibile la lenta maturazione,e circola una concezione dei rapporti fra vita etica e vitapolitica, in cui forse può adagiarsi tuttora l’esperienzaetica del ciclo storico cui apparteniamo.

Per intendere ciò non dobbiamo naturalmente conten-tarci dell’accezione volgare, secondo la quale Sant’Ago-stino avrebbe fatto della Chiesa la città di Dio, e delmondo, con tutte le sue istituzioni, la città del demonio.Chi si arresta a simile grossolano concetto, mostra dinon avere nè pure sfiorato la profonda intuizione misticache regge l’impalcatura della grande opera agostiniana,e si rivela insanabilmente inadatto a valutarne il signifi-cato, di fronte all’etica sociale del paganesimo.

Fra la Chiesa e la società di Dio non v’è alcuna iden-tità di confini cronologici o spaziali. Moltissimi appar-tennero alla società di Dio, prima che la Chiesa esistes-se; come moltissimi vi appartengono, pur non avendo ri-cevuto l’iniziazione cristiana. E d’altra parte vi sonomolti che marciano materialmente nelle file della socie-

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tà ecclesiastica, pure figurando, spiritualmente, nella so-cietà della perversione e del demonio. La tessera di rico-noscimento va dunque cercata altrove. Dice Sant’Ago-stino in un passo, per me fondamentale, del De CivitateDei: «Due amori edificarono le due città: l’amore di sè,l’egoismo cioè che accieca gli uomini fino al disprezzodi Dio, costruì la città terrena; l’amore di Dio edell’ideale, spinto fino al sacrificio di sé, innalzò la cittàceleste. Quella trae gloria da sè; questa pone il suo van-to esclusivamente nel Signore. Quella va accattandogloria terrena; questa riposa in Dio, testimoniato nellacoscienza. Quella, ebbra nel suo fasto, leva superba ilcapo; questa mormora umilmente a Dio: tu mia lode emio trionfo. I cittadini della città terrena; sono pervasida una stolta cupidigia di predominio, che li induce asoggiogare altrui; i cittadini della città celeste si offronol’uno all’altro in servizio, con spirito di soave carità, erispettano docilmente i doveri della disciplina sociale»(XIV. 28). Le due città non sono distinte quaggiù dacontrassegni esteriori: sono mescolate insieme findall’esordio del genere umano, e mescolate corrono ver-so la fine dei tempi. Il titolo di appartenenza all’una oall’altra città ciascuno lo porta in cuore, con il sentimen-to da cui è ispirato nella sua prassi quotidiana. Interro-get ergo se quisque quid amet, et inveniet unde sit civis(En. in Ps. LXIV). Le due società sono rispettivamentela società degli idealisti ed altruisti e quella degli egoi-sti.

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tà ecclesiastica, pure figurando, spiritualmente, nella so-cietà della perversione e del demonio. La tessera di rico-noscimento va dunque cercata altrove. Dice Sant’Ago-stino in un passo, per me fondamentale, del De CivitateDei: «Due amori edificarono le due città: l’amore di sè,l’egoismo cioè che accieca gli uomini fino al disprezzodi Dio, costruì la città terrena; l’amore di Dio edell’ideale, spinto fino al sacrificio di sé, innalzò la cittàceleste. Quella trae gloria da sè; questa pone il suo van-to esclusivamente nel Signore. Quella va accattandogloria terrena; questa riposa in Dio, testimoniato nellacoscienza. Quella, ebbra nel suo fasto, leva superba ilcapo; questa mormora umilmente a Dio: tu mia lode emio trionfo. I cittadini della città terrena; sono pervasida una stolta cupidigia di predominio, che li induce asoggiogare altrui; i cittadini della città celeste si offronol’uno all’altro in servizio, con spirito di soave carità, erispettano docilmente i doveri della disciplina sociale»(XIV. 28). Le due città non sono distinte quaggiù dacontrassegni esteriori: sono mescolate insieme findall’esordio del genere umano, e mescolate corrono ver-so la fine dei tempi. Il titolo di appartenenza all’una oall’altra città ciascuno lo porta in cuore, con il sentimen-to da cui è ispirato nella sua prassi quotidiana. Interro-get ergo se quisque quid amet, et inveniet unde sit civis(En. in Ps. LXIV). Le due società sono rispettivamentela società degli idealisti ed altruisti e quella degli egoi-sti.

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Con questa distinzione mistica del genere umanoqualcosa di veramente nuovo entrava nel patrimoniodelle idee sociali. Nell’organizzazione politicadell’impero pagano non esistevano valori più alti dei va-lori civici, e la singola coscienza, con il suo mondo didiritti e doveri, non rappresentava un assoluto, di cuiqualcosa sfuggisse irriducibilmente alla presa dello Sta-to. Il cristianesimo, d’accordo in questo con le religioniorientali dei misteri, aveva rivendicato l’autonomia del-la coscienza singola, ponendola in diretto rapporto conDio e la sua azione. Ma, si può dire, nessuno prima diAgostino aveva illuminato le ripercussioni sociali delpostulato cristiano sulla inviolabile santità della coscien-za umana. Trasportando ora la base delle valutazioniumane dal campo politico in quello etico; assegnando aldivenire umano, non più la meta del successo terreno,ma l’affermazione sempre più alta del bene e la propa-gazione sempre più ampia dell’ideale divino; Agostinoha ricavato dallo spirito del Vangelo una filosofia dellastoria di cui può essere caduca la formulazione verbale,non già l’intima essenza.

La storia appare al vescovo ipponese come una lentae faticosa successione di superamenti, attraverso i qualila Civitas Dei, l’idealismo cioè e la bontà, assurgono amanifestazioni constantemente più elevate. Il progressoha la sua ragione d’essere nella simultanea presenza nelmondo di egoismo e di altruismo, che combattono quag-giù un incessante duello.

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Con questa distinzione mistica del genere umanoqualcosa di veramente nuovo entrava nel patrimoniodelle idee sociali. Nell’organizzazione politicadell’impero pagano non esistevano valori più alti dei va-lori civici, e la singola coscienza, con il suo mondo didiritti e doveri, non rappresentava un assoluto, di cuiqualcosa sfuggisse irriducibilmente alla presa dello Sta-to. Il cristianesimo, d’accordo in questo con le religioniorientali dei misteri, aveva rivendicato l’autonomia del-la coscienza singola, ponendola in diretto rapporto conDio e la sua azione. Ma, si può dire, nessuno prima diAgostino aveva illuminato le ripercussioni sociali delpostulato cristiano sulla inviolabile santità della coscien-za umana. Trasportando ora la base delle valutazioniumane dal campo politico in quello etico; assegnando aldivenire umano, non più la meta del successo terreno,ma l’affermazione sempre più alta del bene e la propa-gazione sempre più ampia dell’ideale divino; Agostinoha ricavato dallo spirito del Vangelo una filosofia dellastoria di cui può essere caduca la formulazione verbale,non già l’intima essenza.

La storia appare al vescovo ipponese come una lentae faticosa successione di superamenti, attraverso i qualila Civitas Dei, l’idealismo cioè e la bontà, assurgono amanifestazioni constantemente più elevate. Il progressoha la sua ragione d’essere nella simultanea presenza nelmondo di egoismo e di altruismo, che combattono quag-giù un incessante duello.

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Illuminato da così fulgidi presupposti si comprendefacilmente come Agostino non dovesse sentirsi sgomen-to di fronte all’immane catastrofe in cui sembrava piom-bata Roma, sotto la ferula di Alarico. Al momentaneotrionfo del male e della barbarie avrebbe tenuto dietro,immancabilmente, una più vigorosa ascensione di bene.E il popolo romano, di cui si poteva sgretolare la casama non intaccare la tempera, avrebbe ripreso più ardita-mente il suo glorioso cammino sul solco della civiltà, invirtù di quelle sue eccezionali doti che Dio aveva pre-miato con sì miracoloso spiegamento di potere. «Romaquid est, nisi Romani? Non enim de lapidibus et lignisagitur, de excelsis insulis et amplissimis moenibus. Hocsic erat factum, ut esset aliquando ruiturum. Homo cumaedificaret, posuit lapidem super lapidem: et hoc cumdestrueret, expulit lapidem a lapide. Homo illud fecit,homo illud destruxit. Iniuria fit Romae, quia dicitur ca-dit? Non Romae, sed forte artifici eius... Roma non pe-rit, si Romani non pereant».

Allo sguardo dei suoi contemporanei, angosciati di-nanzi allo straripare dei barbari, Agostino dischiudevacosì nuovi, sereni orizzonti di filosofia sociale, rinfran-candone la fiducia e rinvigorendone la speranza. Nelmedesimo tempo distinguendo un’anima e un corpo nel-la collettività degli uomini, egli tracciava realmente ildisegno dell’edificio politico medioevale.

In verità il De Civitate Dei fu la carta fondamentaledella Chiesa latina nella sua missione sociale.

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Illuminato da così fulgidi presupposti si comprendefacilmente come Agostino non dovesse sentirsi sgomen-to di fronte all’immane catastrofe in cui sembrava piom-bata Roma, sotto la ferula di Alarico. Al momentaneotrionfo del male e della barbarie avrebbe tenuto dietro,immancabilmente, una più vigorosa ascensione di bene.E il popolo romano, di cui si poteva sgretolare la casama non intaccare la tempera, avrebbe ripreso più ardita-mente il suo glorioso cammino sul solco della civiltà, invirtù di quelle sue eccezionali doti che Dio aveva pre-miato con sì miracoloso spiegamento di potere. «Romaquid est, nisi Romani? Non enim de lapidibus et lignisagitur, de excelsis insulis et amplissimis moenibus. Hocsic erat factum, ut esset aliquando ruiturum. Homo cumaedificaret, posuit lapidem super lapidem: et hoc cumdestrueret, expulit lapidem a lapide. Homo illud fecit,homo illud destruxit. Iniuria fit Romae, quia dicitur ca-dit? Non Romae, sed forte artifici eius... Roma non pe-rit, si Romani non pereant».

Allo sguardo dei suoi contemporanei, angosciati di-nanzi allo straripare dei barbari, Agostino dischiudevacosì nuovi, sereni orizzonti di filosofia sociale, rinfran-candone la fiducia e rinvigorendone la speranza. Nelmedesimo tempo distinguendo un’anima e un corpo nel-la collettività degli uomini, egli tracciava realmente ildisegno dell’edificio politico medioevale.

In verità il De Civitate Dei fu la carta fondamentaledella Chiesa latina nella sua missione sociale.

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La letteratura apologetica cristiana aveva già dietro asè una brillante istoria. Gli scritti di Aristide, di Giusti-no, di Taziano, di Teofilo, di Atenagora, avevano nel se-condo secolo tentato un magnifico programma di avvi-cinamento fra la disadorna ed elementare predicazionedel Vangelo e i postulati più rispettabili delle principaliscuole filosofiche del tempo. Le invettive di Tertullianoavevano rivendicato al cristianesimo il diritto di viveredi fronte alla legislazione romana.

Nel IV secolo l’apologia si era già fatta più ardita. LeIstituzioni di Lattanzio, l’Adversus Nationes di Arnobio,e, più ancora, il De errore profanarum religionum diFirmico Materno, alzano già l’accento della religionetrionfante che non contende più all’avversario un picco-lo angolo sul terreno della vita pubblica, ma lo investecon ardimento, e minaccia di ritorcere contro di lui lesue armi.

L’apologetica del De Civitate Dei è vero e definitivoattacco a fondo, è spiegamento di un vasto piano socialeriserbato alla pedagogia della Chiesa. Agostino è a ca-vallo fra il mondo delle vecchie categorie etiche e politi-che, condannato a un irreparabile sfacelo, e il mondo deinuovi valori cristiani. E i suoi libri di filosofia della sto-ria sono la rivelazione piena e la dimostrazione perento-ria delle capacità civili di un movimento religioso, chetante pavide anime di pagani in ritardo si ostinavano adipingere, come un giorno aveva fatto Celso, nemico in-conciliabile di ogni prosperità collettiva. Il messaggiodel De Civitate Dei, posponendo le valutazioni materiali

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La letteratura apologetica cristiana aveva già dietro asè una brillante istoria. Gli scritti di Aristide, di Giusti-no, di Taziano, di Teofilo, di Atenagora, avevano nel se-condo secolo tentato un magnifico programma di avvi-cinamento fra la disadorna ed elementare predicazionedel Vangelo e i postulati più rispettabili delle principaliscuole filosofiche del tempo. Le invettive di Tertullianoavevano rivendicato al cristianesimo il diritto di viveredi fronte alla legislazione romana.

Nel IV secolo l’apologia si era già fatta più ardita. LeIstituzioni di Lattanzio, l’Adversus Nationes di Arnobio,e, più ancora, il De errore profanarum religionum diFirmico Materno, alzano già l’accento della religionetrionfante che non contende più all’avversario un picco-lo angolo sul terreno della vita pubblica, ma lo investecon ardimento, e minaccia di ritorcere contro di lui lesue armi.

L’apologetica del De Civitate Dei è vero e definitivoattacco a fondo, è spiegamento di un vasto piano socialeriserbato alla pedagogia della Chiesa. Agostino è a ca-vallo fra il mondo delle vecchie categorie etiche e politi-che, condannato a un irreparabile sfacelo, e il mondo deinuovi valori cristiani. E i suoi libri di filosofia della sto-ria sono la rivelazione piena e la dimostrazione perento-ria delle capacità civili di un movimento religioso, chetante pavide anime di pagani in ritardo si ostinavano adipingere, come un giorno aveva fatto Celso, nemico in-conciliabile di ogni prosperità collettiva. Il messaggiodel De Civitate Dei, posponendo le valutazioni materiali

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a quelle spirituali; collocando il fastigio della vita uma-na nella serena pace di Dio, foriera e pegno di una paceimmortale; additando l’economia della vera civiltà nellapratica del bene e nella speranza irrequieta del meglio;stimolando allo sforzo costante per il conseguimento dipiù ampia giustizia, gettò i germi di quella cultura me-dioevale, mistica e idealistica, che in altri tempi una eru-dizione superficiale si è compiaciuta di bistrattare e didileggiare, ma che molti inclinano oggi a considerarecome una delle più alte affermazioni dello Spirito nelmondo.

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a quelle spirituali; collocando il fastigio della vita uma-na nella serena pace di Dio, foriera e pegno di una paceimmortale; additando l’economia della vera civiltà nellapratica del bene e nella speranza irrequieta del meglio;stimolando allo sforzo costante per il conseguimento dipiù ampia giustizia, gettò i germi di quella cultura me-dioevale, mistica e idealistica, che in altri tempi una eru-dizione superficiale si è compiaciuta di bistrattare e didileggiare, ma che molti inclinano oggi a considerarecome una delle più alte affermazioni dello Spirito nelmondo.

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Le alate contemplazioni mistiche suggerite ad Agosti-no dalla catastrofe romana del 410 ed espresse nel DeCivitate Dei, valsero a confortare e rasserenare il suoanimo, quando un flagello analogo, l’invasione dei Van-dali, si abbattè nel 428 sulle coste fiorenti della suaAfrica romanizzata? È il segreto che Agostino portò consé nella tomba. Noi sappiamo soltanto che egli non pie-gò sotto il colpo della raffica micidiale – prima nella se-rie delle devastazioni onde fu afflitta poi per secolil’Africa settentrionale – e, pastore consapevole di tutti isuoi doveri, restò saldo e fiero al suo posto, ad asciugarle lacrime e a curare le piaghe del suo gregge atterrito.La sua lettera ad Onorato (la 228ª) è l’esposizione elo-quente del compito che il ministro cristiano deve assol-vere, quando lo straniero calpesta il territorio della pa-tria.

La sorte però volle risparmiare all’instancabile vec-chiaia di Agostino lo spettacolo atroce della completadisfatta delle armi romane. Quando egli moriva, il 28agosto del 330, le truppe di Genserico, è vero, assedia-vano già da tre mesi la sua Ippona. Agostino febbrici-tante ed estenuato deve aver visto da lungi le fiammedevastatrici della barbarica invasione. Ma nella sua ani-ma non doveva esser venuta meno la fiducia nella finaleriscossa del potere romano.

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Le alate contemplazioni mistiche suggerite ad Agosti-no dalla catastrofe romana del 410 ed espresse nel DeCivitate Dei, valsero a confortare e rasserenare il suoanimo, quando un flagello analogo, l’invasione dei Van-dali, si abbattè nel 428 sulle coste fiorenti della suaAfrica romanizzata? È il segreto che Agostino portò consé nella tomba. Noi sappiamo soltanto che egli non pie-gò sotto il colpo della raffica micidiale – prima nella se-rie delle devastazioni onde fu afflitta poi per secolil’Africa settentrionale – e, pastore consapevole di tutti isuoi doveri, restò saldo e fiero al suo posto, ad asciugarle lacrime e a curare le piaghe del suo gregge atterrito.La sua lettera ad Onorato (la 228ª) è l’esposizione elo-quente del compito che il ministro cristiano deve assol-vere, quando lo straniero calpesta il territorio della pa-tria.

La sorte però volle risparmiare all’instancabile vec-chiaia di Agostino lo spettacolo atroce della completadisfatta delle armi romane. Quando egli moriva, il 28agosto del 330, le truppe di Genserico, è vero, assedia-vano già da tre mesi la sua Ippona. Agostino febbrici-tante ed estenuato deve aver visto da lungi le fiammedevastatrici della barbarica invasione. Ma nella sua ani-ma non doveva esser venuta meno la fiducia nella finaleriscossa del potere romano.

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E forse solo il sentirsi mancare, mentre in cuore glipalpitava tale speranza, può avergli fatto deplorare lamorte, che egli aveva altra volta definito, non tramontodell’esistenza, ma volo ad un’esistenza più alta: non vi-tae occasus, mors, sed melioris vitae occasio.

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E forse solo il sentirsi mancare, mentre in cuore glipalpitava tale speranza, può avergli fatto deplorare lamorte, che egli aveva altra volta definito, non tramontodell’esistenza, ma volo ad un’esistenza più alta: non vi-tae occasus, mors, sed melioris vitae occasio.

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BIBLIOGRAFIA

La natura della collezione in cui appare questo rapidoschizzo della vita e della operosità di Agostino non con-sentiva spiegamento di erudizione e giustificazione mi-nuta di tutte le asserzioni in esso contenute. A tale giu-stificazione, necessaria per comprendere il punto di vi-sta fondamentale del mio saggio, è destinato un volumedi Studi agostiniani di cui spero non debba tardar moltola pubblicazione.

Edizioni: Numerose sono le edizioni complessive del-le opere di Sant’Agostino, da quella dell’Amerbach diBasilea nel 1506, attraverso quella dei Maurini (1679-1700), fino a quella, in corso di pubblicazione, per operadi molteplici editori, a cura dell’Accademia Imperiale diVienna, nel Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum Lati-norum. Io ho adoperato l’edizione veneta del testo mau-rina (1756), controllata, quando era il caso, sulla edizio-ne viennese.

Letteratura: Immensa è la bibliografia agostiniana. Sene troverà una indicazione sostanzialmente completanell’articolo Augustin del Loofs nella «Realencyklopä-

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BIBLIOGRAFIA

La natura della collezione in cui appare questo rapidoschizzo della vita e della operosità di Agostino non con-sentiva spiegamento di erudizione e giustificazione mi-nuta di tutte le asserzioni in esso contenute. A tale giu-stificazione, necessaria per comprendere il punto di vi-sta fondamentale del mio saggio, è destinato un volumedi Studi agostiniani di cui spero non debba tardar moltola pubblicazione.

Edizioni: Numerose sono le edizioni complessive del-le opere di Sant’Agostino, da quella dell’Amerbach diBasilea nel 1506, attraverso quella dei Maurini (1679-1700), fino a quella, in corso di pubblicazione, per operadi molteplici editori, a cura dell’Accademia Imperiale diVienna, nel Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum Lati-norum. Io ho adoperato l’edizione veneta del testo mau-rina (1756), controllata, quando era il caso, sulla edizio-ne viennese.

Letteratura: Immensa è la bibliografia agostiniana. Sene troverà una indicazione sostanzialmente completanell’articolo Augustin del Loofs nella «Realencyklopä-

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die für prot. Theologie u. Kirche» e nell’altro Augustindel Portalié, nel «Dictionnaire de Théologie catholi-que».

Io mi limito a segnalare le opere critiche che hannocontribuito di recente con maggiore efficacia a illumina-re i problemi toccati nel mio breve saggio.

Sulla conversione di sant’Agostino e le fonti che nenarrano i particolari:

G. Misch: Geschichte der Autobiographie. I. B. DasAltertum. Leipzig, Teubner, 1907.

L. Gourdon: Essai sur la conversion de saint’Augu-stin. Cahors, Coueslant, 1900.

W. Thimme: Augustins geistige Entwickelung in denersten Jahren nach seiner «Bekehrung» 386-391. Ber-lin, Trowitzsch, 1908.

L. Bertrand: Saint Augustin. Paris, Fayard. Sul valo-re storico di questo lavoro pubblicai una nota nella«Nuova Antologia» del 1º agosto 1914.

Sulla teologia di Sant’Agostino: Sullo stato attualedelle nostre conoscenze circa il manicheismo e la pole-mica antimanichea di Agostino, v. gli articoli di E. Cha-vannes e P. Pelliot: Un traité manichéen retrouvé enChine, nel «Journal Asiatique» del 1911 e del 1913. Essisono corredati di un’ampia bibliografia, cui oggi an-drebbero aggiunti scarsissimi complementi.

Circa il pelagianismo e la lotta sostenuta contro diesso da Sant’Agostino:

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die für prot. Theologie u. Kirche» e nell’altro Augustindel Portalié, nel «Dictionnaire de Théologie catholi-que».

Io mi limito a segnalare le opere critiche che hannocontribuito di recente con maggiore efficacia a illumina-re i problemi toccati nel mio breve saggio.

Sulla conversione di sant’Agostino e le fonti che nenarrano i particolari:

G. Misch: Geschichte der Autobiographie. I. B. DasAltertum. Leipzig, Teubner, 1907.

L. Gourdon: Essai sur la conversion de saint’Augu-stin. Cahors, Coueslant, 1900.

W. Thimme: Augustins geistige Entwickelung in denersten Jahren nach seiner «Bekehrung» 386-391. Ber-lin, Trowitzsch, 1908.

L. Bertrand: Saint Augustin. Paris, Fayard. Sul valo-re storico di questo lavoro pubblicai una nota nella«Nuova Antologia» del 1º agosto 1914.

Sulla teologia di Sant’Agostino: Sullo stato attualedelle nostre conoscenze circa il manicheismo e la pole-mica antimanichea di Agostino, v. gli articoli di E. Cha-vannes e P. Pelliot: Un traité manichéen retrouvé enChine, nel «Journal Asiatique» del 1911 e del 1913. Essisono corredati di un’ampia bibliografia, cui oggi an-drebbero aggiunti scarsissimi complementi.

Circa il pelagianismo e la lotta sostenuta contro diesso da Sant’Agostino:

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Page 72: E-book campione Liber Liber · furono la mole e la ricchezza dei monumenti romani che più colpirono il retore di Cartagine. Laggiù, oltre il mare nostrum, anche la Dea Celeste aveva,

F. Cumont: Recherches sur le Manicheisme. I. La co-smogonie manichéenne d’après Théodore Bar Khoni.Bruxelles, Lamertin, 1908.

F. Klasen: Die innere Entwicklung des Pelagiani-smus. Freiburg, Herder, 1882.

J. Turmel: Histoire du dogme du péché originel. Ma-con, Protat, 1904.

L. Duchesne: Histoire ancienne de l’Église. T. III.Paris, Fontemoing, 1910.

A. Bruckner: Julian von Aeclanum. Sein Leben undseine Lehre. [Texte u. Unters. 15, 3]. Leipzig, Hinrichs,1897.

E. Buonaiuti: La genesi della dottrina agostinianaintorno al peccato originale. Roma, Bardi, 1916.

Circa il donatismo, v. gli articoli ampi di P. Battiffol,nella «Revue Biblique» del 1915.

Infine intorno alle dottrine sociali di sant’Agostino, v.l’opera recentissima, con copiosi riferimenti bibliografi-ci, di:

E. Troeltsch: Augustin, die christliche Anticke unddas Mittelalter. München, Oldenbourg, 1915.

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F. Cumont: Recherches sur le Manicheisme. I. La co-smogonie manichéenne d’après Théodore Bar Khoni.Bruxelles, Lamertin, 1908.

F. Klasen: Die innere Entwicklung des Pelagiani-smus. Freiburg, Herder, 1882.

J. Turmel: Histoire du dogme du péché originel. Ma-con, Protat, 1904.

L. Duchesne: Histoire ancienne de l’Église. T. III.Paris, Fontemoing, 1910.

A. Bruckner: Julian von Aeclanum. Sein Leben undseine Lehre. [Texte u. Unters. 15, 3]. Leipzig, Hinrichs,1897.

E. Buonaiuti: La genesi della dottrina agostinianaintorno al peccato originale. Roma, Bardi, 1916.

Circa il donatismo, v. gli articoli ampi di P. Battiffol,nella «Revue Biblique» del 1915.

Infine intorno alle dottrine sociali di sant’Agostino, v.l’opera recentissima, con copiosi riferimenti bibliografi-ci, di:

E. Troeltsch: Augustin, die christliche Anticke unddas Mittelalter. München, Oldenbourg, 1915.

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