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scenza invece che di stupita estraneità. È l'atteggiamento - privilegiato, nonostante tutto - del navigatore sulle reti informatiche, dell'utente con- sapevole dei media. Visto da questa prospettiva, l'universo delle musiche (O di qualsiasi altra costruzione culturale) può apparire più simile a un brulicare di oggetti diversi, sottoposti al capriccio del nostro consumo, che una rete complessa di relazioni, animate da un conflitto interno che può anche sfuggirci. Questo, forse, è il vero rischio ideologico (e musi- cale) della fine del secolo: guardare il mondo come se fosse un parco dei divertimenti, una grande e inarticolata Storyville.

Che genere di musica?

1 .O. Un viaggio a Reimr. "Che genere di musica?" Mi sono sentito ri- volgere questa domanda da decine, forse centinaia di persone, sempre per scopi diversi: dal conoscente occasionale in treno, che voleva sapere di cosa mi occupavo; dal venditore di impianti hi-fi, per consigliarmi le casse adatte all'ascolto dei miei dischi; dal negoziante di dischi, per ri- spondere alla mia domanda sulle ultime novità; dal gestore di un teatro, alla mia richiesta di affittarlo per un concerto; da un giovane spettatore, mentre accordavo la mia Stratocaster del '63; da musicisti, ai quali avevo proposto di entrare in un complesso; da funzionari dello stato, mentre presentavo una domanda di finanziamento; da tecnici del suono, in oc- casione del noleggio di uno studio di registrazione o di un impianto di amplificazione; da dirigenti della Rai ai quali proponevo dei programmi; dalle impiegate dell'ufficio scritture della stessa Rai, per sapere quanto poteva essere pagata la mia prestazione di chitarrista; da poliziotti e guardie di frontiera di tutta Europa, quando mi presentavo alla dogana con i miei strumenti e la carta di identità con scritto: "Professione: mu- sicista". La prima domanda che un severojic mi rivolse qualche anno fa, dopo aver fatto fermare il camioncino degli Stormy Six sulla strada per Reims, dove andavamo per un concerto, fu: "Quel genre de musique?".

I1 lettore che abbia un interesse professionale alla musica avrà speri- mentato di persona l'insistenza con cui si fanno domande sui generi mu- sicali, e comprenderà lo stato di agitazione nel quale si può cadere: 1) quando si svolgono più attività che possono comportare la famosa do- manda, 2) quando si deve rispondere in lingue diverse, e soprattutto 3) quando non si sa cosa rispondere. Queste tre circostanze costituiscono quindi la motivazione personale che mi ha indotto alla ricerca sui generi musicali della quale presento qui un'esposizione, ma sono anche qual- cosa di più, come vedremo. Prima di passare a una stesura sistematica della teoria, accolgo volentieri l'invito rivoltomi a suo tempo da Richard Middleton a "far crescere la teoria dagli esempi", secondo un modello in- duttivo che certamente riproduce il percorso delle mie idee e che meglio si adatta al tono inquisitori0 e indiziario della domanda che le ha messe

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in moto: "Quel genre de musique?". La comicità involontaria di un poliziotto che chiede a un musicista

quale sia il suo genere musicale può essere apprezzata, anche per evitare guai con la giustizia, solo in un secondo momento, quando si considera la violazione alla norma sociale che vuole che a rivolgere una simile do- manda a un complesso sia, ad esempio, un giornalista, non unJEic. Ma, sul momento, la domanda è serissima, e sappiamo bene cosa significa: se la risposta è "musica classica" non ci dovrebbero essere problemi, ma dobbiamo immaginarci che a risposte come "hard rock" o "reggae" un gendarme reagisca chiedendo l'alcool-test del guidatore o perquisendo il camioncino. Naturalmente un gendarme veramente ben addestrato non avrebbe bisogno nemmeno di porre la domanda, essendo in grado di ca- pire quello che gli serve da molti indizi: abiti, capigliature, comporta- menti, letture, eccetera. Ma questo è vero per chiunque faccia quella do- manda: molto spesso la risposta è attesa come una conferma a qualcosa che si è già compreso per altre vie. Ne dobbiamo concludere che: a) un genere ha significati diversi per diverse persone o che, ammesso che possa denotare la stessa cosa per persone diverse, almeno connota cose diverse. Ma qual è questa cosa, quali sono queste cose? Cioè, qual è il significato, quali sono i significati denotati o connotati dal termine che indica un ge- nere musicale? b) A sua volta un genere è denotato o connotato da altri segni. Che funzione hanno questi segni nel definire il genere? La prima delle tre circostanze che mi hanno fatto riflettere sui generi musicali, quindi, è riconducibile a un problema di significato. Veniamo alla se- conda.

Devo supporre che ai lettori di questo libro sia sufficientemente chiaro che cosa si intende con il termine "popular music"; penso anche che rispondere con questo termine alla domanda di un poliziotto inglese sia scarsamente informativo, ma certamente più rassicurante che rispon- dere "rock: credo che "rock" e "pop" siano due cose diverse, anche se uno studioso inglese di "popular music" vi include certamente anche il "rock". Ma "pop", abbreviazione di popular, non ne è allora sinonimo? In Italia no di certo: da noi la "musica popolare" è solo quella che nei paesi anglosassoni si indica come "folk music", mentre "pop" è stato, anni fa, sinonimo di "rock, ed è stato spesso usato (ma non credo che sia una particolarità italiana) per indicare il "rock inglese degli anni set- tanta", mentre oggi sembra prevalere l'accezione che lo contrappone al "rock", un altro modo per dire "musica commerciale" o "musica leggera";

d'altra parte il titolo stesso della rivista per la quale questo saggio è stato originariamente scritto in Italia sarebbe intraducibile.'

Anni fa, per owiare all'inconveniente di dover nominare uno per uno i generi oggetto del nostro interesse, il musicologo Luigi Pestalozza pro- pose il termine "musica extracolta", per indicare tutte le musiche non identificabili con quella "colta" o "seria" o "classica", cioè al di fuori di quell'area.' I1 termine ha indubbie motivazioni, prima fra tutte quella che riunisce tutte le attività musicali che in Italia non godono di finan- ziamenti statali e che non sono oggetto di studi accademici riconosciuti (qualcuno propose anche la variante di "musica extraccademica"), ma la possibile connotazione di inferiorità culturale, molto probabilmente non sottintesa da chi suggeriva il termine, ha creato intorno a esso un'oppo- sizione crescente e - in qualche modo - definitiva. Resta poi il dubbio se i campi del "jazz" e dell'"etnomusicologia", inclusi nell'area "extracolta" nonostante la loro maggiore legittimità accademica, facciano parte dell'area della "popular music".

Ne dobbiamo concludere che i termini che indicano generi musicali sono difficilmente traducibili, cioè hanno significati diversi in lingue e culture diverse (e in tempi diversi): in questi casi, dunque, un termine non solo connota cose diverse a due diverse persone, a seconda del di- verso interesse riguardo al denotato e quindi a seconda dei diversi per- corsi del senso, ma precisamente denota due significati diversi. In che rapporto stanno tra loro questi significati in una stessa cultura? E in cul- ture diverse? E in tempi diversi? Anche la seconda delle circostanze che ho ricordato si riconduce, quindi, a una questione di significato. E ve- niamo, concludendo, alla terza.

Qual è il genere musicale degli Stormy Six (noti anche, per un certo periodo - specialmente all'estero - come Macchina Maccheronica)? Ho già detto che non so rispondere: non so indicare un genere nel quale in- cludere la musica di questo gruppo con la stessa certezza con cui direi che i Deep Purple erano un gruppo di hard rock (ma saranno d'accordo i col-

1. È vero, però, che c'è stata più di una sortita a favore di una traduzione letterale, anche nel nome della sezione italiana della IASPM (International Association for the Study of Popular Music), clie recita 'Associazione Italiana per lo Studio della Musica Popolare". Come Iio spiegato, la soluzione non mi convince.

2. Sull'impiego di termini come "area", "campo" ecc., vedere il saggio seguente in questo stesso volume.

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leghi inglesi?), o Wolf Biermann è un Liedermacher (giusto, amici tede- schi?). Più che del gruppo, questo è sempre stato un problema per i gior- nalisti e per gli organizzatori, oltre che per le pard ie di frontiera. Si è detto di noi, di volta in volta, che facevamo canzoni politiche, musica dodecafonica, Musikspektakel gegen Kokacolonisierung der Sinne, folk rock, progressive rock, jazz rock e altro ancora. Per un certo periodo, . -

poiché facevamo parte di un'organizzazione chiamata Rock In Opposi- tion che raccoglieva gruppi europei molto diversi tra loro, si disse che il nostro genere era il "rock in opposition": trovata un'etichetta, per un po' tutti respirarono di sollievo. Nonostante questa confusione, il lettore che non conosca gli Stormy Six si sarà fatto un'idea, sia pure vaga, della loro musica, specialmente se, come credo, l'aggettivo "maccheronico" gli ri- corda, oltre che una specialità gastronomica italiana, un movimento let- terario del Cinque-Sei~ento.~ Ma se volesse capire meglio, il lettore do- vrebbe sapere che gli Stormy Six hanno usato strumenti come la batteria (con un gran numero di tom e di piatti), il basso e la chitarra elettrica, organo, sintetizzatore, sax, violino, trombone, mandolino, vibrafono, che i pezzi durano intorno ai cinque minuti e sono in larga parte scritti, sono cantati da un cantante solista, hanno testi poetici in versi sciolti, ec- cetera eccetera. Spiegazione un po' lunga da dare a un doganiere, o da scrivere su un manifesto. Ma altrettanto lunga sarebbe la spiegazione se un gruppo suonasse della normalissima musica country & western, o del free jazz, e si presentasse alla frontiera di un paese dove questi generi sono sconosciuti.

Si tratta, dawero, di ~rob lemi "di frontiera": si incontrano ogni volta che cerchiamo di designare qualcosa che si trova al confine tra due o più aree di significato. Sono problemi che, di solito, si cerca di risolvere in tre modi, che ho già esemplificato: 1) o definendo l'area di significato che ci interessa come intersezione di più aree diverse, ciascuna già indicata da un termine, 2) o attribuendole un termine che possa essere convenzio- nalmente accolto e indicandola ostensivamente, oppure 3) specificando un'altra serie di interpretanti (anche I'ostensione può fungere da inter- pretante), cioè di altre rappresentazioni riferite allo stesso oggetto, come possono essere le definizioni, significanti equivalenti in altri sisterni se-

3. Sugli Stormy Six, vedi Ragnoli 1994 e Achilli e Chang, 1994, le note di coper- tina al Cd U n Concerto, Radio Popolare-Sensible Records, arpa 2 (SSB 004), e Fabbri, 2002. Su Rock In Opposition v. anche Cutler, 1984.

miotici, associazioni emotive (Eco, 1974, p. 103). Anche qui, come si vede, una questione di significato. Credo che a questo punto sia evidente come le tre circostanze che ho più volte ricordato non solo siano state alla base del mio interesse per i generi, ma anche mi abbiano suggerito la forma di un loro possibile studio, presentandomeli, nei modi che vi ho descritto, come unità di significato e quindi, nei termini di Eco (1974, p. 98), come unità culturali, cioè come "qualcosa che una cultura ha de- finito come unità distinta diversa da altre". Nel campo semantico di una cultura i diversi generi musicali sono definiti reciprocamente dal fatto di occupare aree semantiche confinanti: il fatto che queste aree possano es- sere diversamente estese in due culture differenti è in relazione con le dif- ficoltà di traduzione più volte accennate. Inoltre, il campo semantico può modificarsi nel tempo, nella misura in cui le convenzioni sociali, o codici, sono soggette a cambiamento. Questi mi sono sembrati gli argo- menti decisivi a favore di uno studio dei generi che avesse due obiettivi: 1) criticare le estreme propaggini della tradizione aristotelica e di quella positivista, che tendono a individuare nei generi archetipi al di fuori del tempo e al di sopra delle culture, e 2) superare le posizioni puramente so- ciologiche, che trattano i generi, ad esempio, come socialpliygrounds, evitando di affrontare la natura artistica, o se si preferisce semiotica, dei generi, nella loro funzione di regolatori del rapporto tra il piano dell'espressione e quello del contenuto. Durante questo lavoro mi è stato utilissimo il confronto con le teorie sui generi sviluppate in altri campi: il problema dei generi è prima di tutto (anche storicamente) un pro- blema filosofico, e in secondo luogo avrebbe poco senso affrontarlo in re- lazione alla musica con premesse, strumenti e direzioni che risultassero incompatibili con i risultati già in qualche modo acquisiti - per citare solo due casi - dalla critica letteraria o cinematografica. Per esempio, la teoria dei generi letterari di Northrop Frye (1 969, p. 328), con il suo ap- pello al "radicale della presentazione'' per distinguere tra un genere e l'altro, cioè a un elemento performativo (anche se implicito) perfino in letteratura, offre più di uno spunto in direzione di una definizione di ge- nere che abbia al proprio centro non l'opera in quanto tale ma la sua re- lazione con una collettività, e con altre opere. D'altra parte - suggerisce Eco - "nessun resto vien letto indipendentemente dall'esperienza che il lettore ha di altri testi" (1 979, p. 8 1). Dalle considerazioni svolte fin qui credo che sia comprensibile la forma (e il contenuto) della definizione di genere musicale che ho scelto.

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1.1. Definizione. Un genere musicale è "un insieme di fatti musicali, reali e possibili, il cui svolgimento è governato da un insieme definito di norme socialmente a~cettate".~ La nozione di insieme, per il genere come per il suo apparato definitorio, implica che si possa parlare di sottoin- siemi come i "sottogenerin, nonché di tutte le operazioni previste dalla teoria degli insiemi: in particolare un certo "fatto musicale" può trovarsi nell'intersezione tra due o più generi, e quindi appartenere contempora- neamente a tutti questi. Per "fatto musicale" può valere la definizione di "musica" data da Gino Stefani (1978, p. 112): "qualunque tipo di attività intorno a qualunque tipo di eventi sonori". Questa definizione è contro- versa, ma ciò che l'ha fatta mettere in questione è proprio quello che serve in questo caso, e cioè il fatto di essere semmai troppo ampia: chi non è d'accordo, insomma, può rifarsi a un insieme di norme che defi- nisca un insieme più ristretto, ma non può impedire che una collettività, pur ristretta e screditata, consideri "fatto musicale" ciò che per lui musica non è. L'ampiezza eccessiva è un difetto anche di questa mia definizione di genere, che consente di chiamare genere qualsiasi insieme di generi, e quindi anche entità che abitualmente vanno sotto altri nomi: i sistemi musicali, le musiche etniche, al limite la "musica terrestre" (unione di tutti i tipi di produzione e consumo musicale sul pianeta) o "galattica". A questo difetto non ho saputo trovare rimedio, se non quello di decidere volta per volta se di un certo insieme di fatti musicali ci si sta occupando in relazione ad altri insiemi a esso contrapposti - e allora lo chiameremo genere - o in relazione a suoi sottoinsiemi - e allora lo chiameremo si- stema: in ogni caso questo difetto è preferibile al rischio opposto, quello di non riconoscere come genere qualcosa di cui magari milioni di per- sone parlano come tale. A questo proposito, Allan Moore, nell'lntrodu- zione del suo libro (1993, p. 2), afferma che io descriverei "come 'generi' quelli che molti musicologi tenderebbero a denominare 'stili', compresi quelli dell'hard rock, del progressive rock, del jazz rock". Devo dire che ci sono anche molti musicologi (altri, evidentemente, da quelli che cita Moore) che sembrano essere sostanzialmente d'accordo con la mia defi- nizione (tra questi, in Philip Tagg: il quale - a differenza di Moore -- ne ha letto l'esposizione completa e tion un riassunto), ma il

4. I'er una trattazione storica sommaria delle ~os iz ion i sui generi artistici, letrerari

e musicali vedi Fabbri, 1981.

vero problema sta nel fatto che è nel senso comune (del pubblico, dei mu- sicisti, dei discografici, di una vasta collettività) che queste unità culturali veiigono chiamate "generi" e non "stili" (anche in Inghilterra, per quanto ne so: sebbene mi renda conto che 'Igeneren in italiano è un termine di uso molto più ampio che 'lgenreX in inglese, tanto che il titolo della prima versione di questo studio - ispirato alla famosa domanda del gen- darme francese - fu tradotto per la rivista "Popular Music" in What Kind OfMusic?, e non Which Geme...?). Moore limita l'impiego del termine genre alla definizione di alcune associazioni forma-contenuto, come l'inno, la balladromantica, I'uptempo dance number. E allora la mu- sica da camera, il ballo liscio, la bossa nova, la canzone d'autore, il Lied, la musica sinfonica, cosa sono? Stili?

L'accenno alla realtà o alla possibilità dei fatti musicali può apparire ridondante: non si riferisce solo alla caratteristica propria dei generi di raccogliere opere esistenti e nello stesso tempo di invitare alla realizza- zione di opere future, ma alla questione se, ad esempio, una partitura sia un'opera "reale" o "virtuale", questione che mi sembra già implicita nella definizione di fatto musicale scelta. Tuttavia questo accenno permette di evitare una forzatura che potrebbe derivare da un'applicazione meccanica della teoria degli insiemi: il genere vuoto, corrispondente all'insieme vuoto. Un genere simile implicherebbe, secondo la definizione, che una collettività si fosse accordata su un certo insieme di norme relative allo svolgimento di fatti musicali (reali o possibili), e che poi questi fatti non esistessero: il che non è solo un paradosso dal punto di vista logico, ma lo è soprattutto dal punto di vista sociologico (e da molti altri). La situa- zione reale più simile a questa è quella che corrisponde all'enunciazione di un manifesto, di un programma estetico: in questo caso, però, il ge- nere non è vuoto, ma è costituito almeno dai fatti musicali possibili che si possono realizzare secondo le norme di quel programma. La nozione di "svolgimento" è anche questa legata alla definizione di Stefani e al con- cetto di "attività" che vi è contenuto, ma questo è un fatto secondario. La natura di codice delle norme generiche è associata a un intervento re- golativo sul rapporto tra piano dell'e~~ressione e piano del contenuto (Corti, 1976, p. 157): ora, sia per l'aspetto del tutto particolare che as- sume ogni questione semantica in musica, sia per la natura performativa di quest'arte, sia, come conseguenza combinata di questi dile fattori, per il rilievo che a questo riguardo assumono il contesto, la circostanza, la rete di rapporti tra tutti i partecipanti al fatto musicale, è assolutamente

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vano cercare di individuare un punto, un momento preciso agendo sul quale o nel quale le norme generiche svolgano il loro compito regolatore. La definizione, perciò, doveva contenere un termine polifunzionale, in grado di alludere, a seconda delle norme e del genere, alle scelte formali di un compositore dell'Ottocento come alle risposte canore dei fans in un concerto rock, alle condizioni acustiche di un jazz club come al ceri- moniale di ringraziamento di un autore contemporaneo a una "prima": "svolgimenton mi è sembrato un termine adatto; toccherà alle norme di precisare i sensi in cui va inteso.

Che l'insieme di norme sia "definito" mi è sembrata una condizione sufficiente per annoverare tra i generi anche le poetiche non scritte (vedi Poggioli, 1965, pp. 343-345) e soprattutto i generi che si basano su una tradizione orale, e necessaria per evitare una proliferazione all'infinito di varianti. Non ho posto limiti, invece, alla collettività sul cui accordo si basa la definizione di un genere; la sua estensione non è un problema (sarà una questione di interessi particolari decidere se occuparsi del me- lodramma italiano o della canzone politica nel 1972 nel Movimento Stu- dentesco dell'università Statale di Milano) né lo è la sua composizione: un genere nel quale si intrecciano relazioni complesse tra autori, esecu- tori, pubblico, critici, organizzatori, ciascuno con sue norme particolari, può non essere più meritevole di attenzione e analisi di un genere basato sull'accordo arbitrario di dodici giornalisti e un discografico, che vi in- cludono fatti musicali apparentemente eterogenei secondo norme idio- sincratiche poco decifrabili. Infine, sulla modalità di questa accettazione sociale, quindi sui principi della codificazione: è owio che qui risiede il nocciolo dello sviluppo diacronico dei generi, del loro costituirsi in si- stemi dove i singoli generi assumono di volta in volta funzioni diverse, e in essi i fatti musicali. Questo aspetto sarà trattato più avanti, nell'ultima parte di questo studio. Prima mi sembra opportuno esaminare i diversi tipi di norme che concorrono alla definizione di un genere.

1.2. Tipi di norme generiche. E necessario precisare che, per quanto aspiri alla completezza, l'elenco che segue non pretende di esaurire la ti- pologia delle norme che possono essere coinvolte nella definizione di un genere. Non si tratta, insomma, di costruire delle categorie fuori dalla storia, ma di ricercare quelle che oggi sembrano effettivamente operanti: non si tratta di risolvere una volta per tutte il problema dell'analisi dei generi, ma di indicare la sua complessità. Ciò che dovrebbe emergere da

questo panorama è la necessità di un approccio interdi~ci~l inare , in modo che ogni consuetudine, musicale e non, tra quelle che costitui- scono un genere, sia esaminata con gli strumenti teorici più appropriati. Questo non impedisce che, identificato un insieme di norme che sem- brino particolarmente r i l e~an t i , ~ un sistema musicale o una sua parte possa essere analizzato soltanto alla luce di quelle: un sistema apparirebbe così come una matrice, ordinata per generi e norme, nella quale ogni sin- golo elemento aij indicherebbe il valore della norma i per il genere j.6 L'ordine nel quale i diversi tipi di norme saranno qui di seguito presentati non corrisponde ad alcuna gerarchia: d'altra parte nella definizione di ogni singolo genere alcune norme sono importanti, e alcune molto più importanti di altre, al punto che queste altre possono essere considerate talvolta marginali e trascurate. In questo caso si può anche postulare l'esi- stenza di una sorta di "ipernorma" che stabilisca questa gerarchia, iper- norma alla quale, senza forzature, possiamo attribuire il nome di "ideo- logia'' di quel genere. In altri casi si tratterà di differenze nella forza di co- dificazione.

1.2.1. Norme di tipo tecnico-formale. Le considerazioni appena fatte sull'ideologia di un genere e sulle gerarchie che questa istituisce si appli-

5. Se l'uso di termini come "norma" o "codice" inducesse i l lettore a concepire la creazione o la variazione delle norme di un genere come la noiosa stipula degli articoli di un contratto o di una legge, lo rimando al saggio di David K. Lewis sulla convenzione che illustra in modo piuttosto convincente conie un accordo possa essere raggiunto tra due parti senza che alcuna vi faccia riferimento. Lewis cita l'esempio di due persone che si telefonano abitualmente, e che si accordano tacitamente su chi debba richiamare l'altro nel caso che cadesse la linea. Una definizione di convenzione data da Lewis è la seguente: "Una regolarità R del comportamento dei membri di una popolazione P, quando essi sono agenti in una situazione ricorrente S, è una convenzione se e solo se, in qualunque esem- pio di S tra membri di P, (1) tutti si conformano a R; (2) tutti si aspettano che tutti gli altri si conformino a R; (3) tutti preferiscono conformarsi a R a condi- zione che lo facciano gli altri, in quanto S è un problema di coordinazione e la coriformità uniforme a R è uii equilibrio di coordinazione in S" (Lewis, 1974,

pp. 54-55). 6. IJna matrice di questo tipo appare in Tagg, 1982, dove il valore di ogni norma è

binario (secondo l'opposizione valelnon vale); ma si possorio immaginare esempi in cui tra i l sì e il no si possano inserire valori intermedi, senza per que- sto cadere in un "uso impressioiiistico della matematica".

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cano senza dubbio alle norme tecnico-formali. In gran parte della lette- ratura musicologica che ha affrontato il problema dei generi, a partire da quella positivista per giungere fino a esempi molto recenti, le norme tec- nico-forniali sembrano essere le uniche prese in considerazione, al punto che genere, stile e forma diventano sinonimi. In mezzo a tanta confu- sione scientifica non si può pretendere che il senso comune sia più pre- ciso, e infatti anche nell'uso quotidiano i termini vengono facilmente scambiati: bisogna dire, però, che un adolescente acquirente di dischi oggi ha le idee più chiare su cosa sia un genere musicale di gran parte dei musicologi che vi hanno polemizzato attorno.

È indubbio, comunque, che i generi abbiano le loro forme canoniche, anche se non è vero il contrario, e cioè che una forma sia sufficiente a de- finire un genere. Ed è altrettanto assodato che esistano stili di genere; ma la pratica della citazione stilistica è divenuta così familiare che nessuno è più disposto ad accettare uno stile di genere come documento di identità. In ogni caso le norme tecnico-formali, al livello compositivo, hanno un ruolo notevole in tutti i generi musicali, non solo in quelli cosiddetti "colti". Ci sono norme che vengono codificate per iscritto, nei trattati te- orici o nei manuali di insegnamento, e altre, non meno importanti, che si trasmettono per tradizione orale o attraverso opere modello. Questo vale anche per le norme che si riferiscono a tecniche di esecuzione, a ca- ratteristiche degli strumenti, a capacità richieste ai musicisti. I1 suonatore di tromba di un'orchestra sinfonica e quello di una big band sono certa- mente su uno stesso piano dal punto di vista della capacità di lettura e di memoria, ma sull'imboccatura, sull'estensione, sull'improwisazione non vanno d'accordo, e la stessa interpretazione di una battuta come questa:

A

l i trova discordi. I1 chitarrista di un complesso punk e un concertista clas- sico hanno idee diverse sul concetto di accordatura, e anche su quello di memoria, e su tutto il resto. La banalità stessa di questi esempi mostra quanto le norme di genere a cui si riferiscono siano radicate nella nostra cultura musicale. Ma, tornando al livello della struttura compositiva, non si può fare a meno di osservare quante siano le convenzioni sottaciu- te, i codici che regolano questi aspetti della musica in modo talmente ra- dicato da apparire banali, e che però mostrano la loro importanza al con- fronto con altre culture musicali, o nei momenti in cui vengono messi in

discussione dallo sviluppo storico, o anche, come in questo caso, quando si cerca di coglierne le sfumature. È il caso della selezione tra "suoni mu- sicali" e "rumori", dei sistemi notali, della concezione del tempo musica- le, dell'importanza da assegnare a vari elementi (melodici, armonici, ri- tmici), del livello di complessità che un intero sistema musicale, o un sin- golo genere, è disposto ad ammettere.

Vi è un dato comune a questi aspetti, ed è che ogni istante di un fatto sonoro contiene una quantità di informazione enorme rispetto a quella umanamente elaborabile: i codici musicali riducono questa quantità in- dicando cosa è significativo e cosa no, cosa merita di essere posto in rela- zione con altri fatti e cosa va considerato rumore di fondo (come nella stessa definizione di silenzio). I1 disagio tipico di chi affronta per la prima volta un genere o un sistema musicale sconosciuto consiste proprio nel fatto che "non si sa che cosa ascoltare"; il danno che deriva alla musica nuova dalle cattive esecuzioni è riconducibile in questo quadro.

Affrontando generi musicali caratterizzati dalla presenza di un testo, vanno prese in considerazione, naturalmente, anche le norme tecnico- formali che a esso si riferiscono. L'uso della sintassi, della metrica, le scelte lessicali contribuiscono a identificare un genere non meno di quanto individuino lo stile di un singolo autore; più in generale, la con- cezione del rapporto testo-musica e le soluzioni formali attraverso le quali questo è affrontato, nonché la stessa ideologia attorno a questo ar- gomento, sono estremamente diverse da genere a genere.

1.2.2. Norme di tipo semiotico. Naturalmente tutte le norme di genere sono di tipo semiotico, trattandosi di codici che istituiscono una qualche relazione tra il piano dell'espressione di un fatto musicale e il suo conte- nuto. Ma in una classificazione delle norme mi è sembrato più oppor- tuno chiamare con questo nome quelle più vicine ai tradizionali campi di ricerca di questa disciplina o di alcune sue branche. Visto che è stato appena citato il caso dei generi con testo, si può aggiungere che non solo un testo per musica può essere studiato dal punto di vista delle strategie narrative, oggetto della semiotica testuale, e del valore dei mondi possi- bili creati da testi di tipo narrativo, ma che su questi argomenti esistono delle regole di genere, molto circostanziate anche se non scritte.

Per fare qualche esempio riferito alla canzone italiana, le strategie te- stuali dei diversi generi sono differenti. Per la canzone politica, non deve esistere dubbio che il mondo delineato nel testo è il mondo reale. così

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come si presenta ora o come si è presentato in un particolare momento storico. La canzone pop, la canzone rock, la canzone "sofisticata" deli-

A - neano un mondo possibile che è una variante elementare del mondo reale, una sceneggiatura nella quale l'ascoltatore può entrare sostituen- dosi al protagonista della canzone. Cambiano, tra questi generi, le con- notazioni generazionali e sociologiche del mondo possibile, non il mec- canismo di identificazione. Questo, del resto, vale anche per la canzone infantile, dove il mondo possibile coincide in modo più chiaro con I'im- maginario infantile, al quale non si può negare uno statuto di realtà pa- ragonabile al mondo reale di un adulto. Diverso è il caso della canzone d'autore: l'ascoltatore deve sempre tener presente che il soggetto della canzone è un altro, e l'identificazione, se scatta, è direttamente con il can- tautore, non con il soggetto della singola canzone. I1 cantautore è un "poeta", col quale l'ascoltatore si confronta.

La stessa narratività in alcuni generi è in discussione, sia nel testo che, in particolare, nella musica: il fatto che in quest'ultimo campo le ricerche sul controllo dell'attenzione e sugli accorgimenti retorici non siano an- cora molto sviluppate non toglie che certe differenze nel concetto di svol- gimento musicale tra epoche e generi diversi appaiano lampanti e assai codificate.' Vi sono poi norme che riguardano le funzioni comunicative, quelle indicate da Roman Jakobson nei suoi studi linguistici (1978, p. 189): referenziale, emotiva, imperativa, fàtica, metalinguistica, poetica. Jakobson precisa che in ogni messaggio più o meno tutte sono contem- poraneamente presenti, salvo che una sola di esse prevale sulle altre. Le norme di genere orientano su questa prevalenza: una musica prevalente- mente fatica è la "musica di sottofondo" (caso interessante di genere che può raccogliere opere concepite originariamente per un altro contesto), mentre l'attenzione al fattore estetico, poetico, in diversi gradi e con di- verse pretese, distingue la musica "d'arte" dalle altre, come distingue il - rock progressivo dallo hard rock, la canzone d'autore dalla canzonetta. La funzione metalinguistica è fondamentale nel definire le "avanguardie" (che non stabiliscono confini tra il "parlare di musica" -anche in musica - e il "fare musica"), così come quella imperativa predomina nella musica da ballo e quella emotiva nella musica da film e nei jingle pubblicitari. Si - -

tratta di norme di genere, beninteso: esiste un tacito accordo, ad esempio, sul livello di sollecitazione emotiva che è consentito nella mu-

7. Vedere Forme e modelli delle canzoni dei Beatks, in questo stesso volume.

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sica contemporanea, superato il quale si cade nel "pompierismo" o nel "ne~r~manticismo". Non necessariamente le norme di tipo semiotico ri- guardano il testo musicale (o quello verbale che vi è connesso) in senso stretto: proprio la definizione di "fatto musicale" scelta, con la sua am- piezza, invita a considerare codici paralleli o riferiti al contesto.

Quest'ultimo è il caso delle norme prossemiche, che riguardano cioè la disposizione spaziale dei partecipanti al fatto musicale.' Ogni genere ha un suo spazio strutturato in modo particolare, e non sarebbe il caso di parlarne qui se questa caratteristica non contribuisse alla definizione del significato del fatto musicale: la relazione tra questo spazio, la comunità che lo occupa, l'intensità del suono e la "forza sintetica" della musica è stata affrontata, prima che dal giornalismo attuale a proposito dei grandi festiva1 rock, da Paul Bekker nel suo studio sulla sinfonia (1 9 18) e ripresa da Adorno nel suo saggio sull'impiego musicale della radio (1975, pp. 252-253). Le distanze tra musicisti e pubblico, tra spettatore e spettatore, le dimensioni complessive del fatto sono elementi spesso fondamentali nel definire un genere, e non di rado orientano i partecipanti, in modo giusto o sbagliato, sulle aspettative relative ad altre norme di genere: spesso "come ci si siede" dice di più sulla musica che ci sarà di un mani- festo. Che si tratti di codici dello spazio, e non di semplici derivati dell'economia di un genere, lo si può capire osservando che certe distanze tipiche vengono mantenute anche in luoghi diversi da quelli deputati. Così un tipico assetto teatrale, col pubblico seduto in poltrone, si ritro- verà in un concerto di canzone tradizionale o "sofisticata" anche all'aperto, mentre il fatto che il pubblico stia in piedi o seduto per terra segna un margine convenzionale tra uno spettacolo di canzone politica e il recital di un cantautore, mostrando che questi codici non sono legati solo all'età media del pubblico; d'altra parte, il concerto rock tende a pro- porre un rapporto spaziale tra musicisti e pubblico di tipo dittatoriale (nel senso definito da Hall, 1969). Un aspetto interessante delle norme prossemiche nella canzone italiana è che in Italia le strutture adeguate a spettacoli musicali sono poche, così che i diversi generi vengono presen- tati spesso negli stessi luoghi: questo non impedisce che le violazioni delle norme vengano colte, a dimostrazione del fatto che una norma di genere non si stabilisce come un dato statistico, ma attraverso l'opposi- zione con altre norme e la relazione con tutto il sistenia. Ad esempio, è

8. Per la prossrmica, vedi Hall, 1969.

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opinione comune di tutta la collettività della canzone d'autore che la sede più opportuna per un recital sia un teatro con un'acustica poco ri- sonante, in cui il pubblico possa stare vicino al palco, dominandolo dall'alto piuttosto che essendone dominato, e senza una gran dispersione del pubblico stesso. Un teatro così, in Italia, non esiste. Uno.dei motivi per cui alcuni cantautori, negli anni più recenti, hanno adottato una forma di concerto più simile a quella del rock, è stata proprio I'inadegua- tezza degli spazi disponibili: non si può intrattenere il pubblico tra una canzone e l'altra, non si può contare sull'effetto di una smorfia di soffe- renza quando si è ridotti a un puntino nel centro di uno stadio. Si vede, quindi, come ai codici prossemici si colleghino anche quelli gestuali e mimico facciali: non solo quelli owi e fortemente codificati delle varie forme di danza, ma anche quelli che si riferiscono agli atteggiamenti e ai movimenti di cantanti, strumentisti, naturalmente dei direttori d'orche- stra, ma anche degli stessi ascoltatori e, perché no, dei critici. Simili nel loro effetto principale, che consiste nel rassicurare sull'identità del fatto musicale che si sta svolgendo, e quindi nell'orientare sulla scelta di altri codici, sono le norme che riguardano l'abbigliamento. Ma con la moda ci spostiamo ai confini tra il campo abituale della semiotica e quelli delle scienze del comportamento e della sociologia.

1.2.3. Norme comportamentali. I metodi di approccio a questo tipo di norme possono essere i più diversi, da quelli delle varie scuole psicolo- giche a quelli della cosiddetta "microsociologia" (vedi Wolf, 1979): ma è indubbio che molti degli studi di questo tipo indirizzati in campo musi- cale hanno riscontrato, anche quando non le ricercavano, delle regolarità all'interno di uno stesso genere. Buona parte di questi studi hanno come oggetto la psicologia dei musicisti, in particolare concertisti e professori d'orchestra o sessionmen, dei quali sono state analizzate le reazioni di fronte al pubblico o ad una partitura sconosciuta: ma anche per quello che riguarda il pubblico ci sono reazioni psicologico-comportamentali codificate da genere a genere. Vediamo, ad esempio, che la "sincerità" dell'artista è diversamente percepita e valutata in generi differenti. Inoltre è noto a chiunque abbia consuetudine con più di un genere che ogni genere è caratterizzato da regole di conversazione, piccoli e grandi rituali, che forse più di ogni altra norma contribuiscono a fare di un ge- nere una cerchia esclusiva e a rivelare, in brevissimo tempo, il non adepto intruso.

Lo strumento che rivela in modo più dettagliato questi codici è la te- lecamera, anche per la sua capacità di entrare nella sfera della "distanza privata" del musicista. Tornando agli esempi relativi ai generi della can- zone italiana, il cantante tradizionale (specie quasi estinta: ne era un esempio tipico Claudio Villa) e la cantante "sofisticata" (la Mina di Studio Uno, per intenderci) sono perfettamente a loro agio in televisione; la loro gestualità non è diversa da quella dei presentatori (che spesso so- stituiscono). Anche il cantante pop è a suo agio, ma tende a un eccesso di sorrisi e di inarcamenti sopraccigliari, che rivelano la sua ansia di pia- cere, di essere simpatico. I1 cantante rock e il cantautore tendono a essere a disagio: il primo perché la televisione è troppo domestica e comunque offre uno spazio troppo piccolo per la sua gestualità esagerata, il secondo perché è troppo stupida; il cantautore, comunque, deve sempre avere l'aspetto di affrontare il pubblico con disagio, essendo il privato la sua "vera" dimensione. In entrambi i casi i tic sono ben accetti.

Per ogni genere di canzone esistono regole di conversazione ed eti- chette codificate. Ci sono, ad esempio, quelle che regolano il comporta- mento dei partecipanti a un'intervista, quelle che stabiliscono cosa suc- cede ai cantanti dopo un concerto, quelle che si riferiscono agli atteggia- menti del pubblico, o ai rapporti tra i critici o gli organizzatori quando si incontrano. Affrontarle tutte qui richiederebbe uno spazio superiore a quello di tutto questo studio: ci si può limitare solo a dei casi di viola- zione patente. Umberto Eco ha osservato che la distinzione tra comico e tragico consiste nel fatto che, mentre in entrambi i casi si tratta di viola- zioni di norme di comportamento, nella tragedia la norma violata è enunciata più volte, mentre nella commedia è taciuta, supponendosi che tutti la conoscano (tranne, naturalmente, colui del quale si ride). Questo, sempre secondo Eco, è il motivo per cui le tragedie greche ci colpiscono ancora, mentre gran parte della comicità delle commedie (quella che non dipende da norme soprawissute ai secoli) va persa. Se questa teoria è va- lida, quindi, il riso è una spia rivelatrice della trasgressione a una norma conosciuta da chi ride, e quindi della norma stessa.

Un esempio di come le norme comportamentali si intreccino con l'ideologia di un genere, e con le altre norme, è fornito dalla canzone d'autore. In reazione a un periodo nel quale la canzone d'autore era stata oggetto di un'attenzione critica molto pesante, ideologizzata, e in cui il cantautore aveva dovuto imparare a comportarsi come un politico e un filosofo, si diffuse l'opinione che infondo si trattava solo di canzoni. La

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frase di Enzo Jannacci "Trattasi di canzonette", echeggiata in canzoni, in- terviste, articoli, addirittura nel titolo di un disco, ha sancito l'esistenza di una norma in base alla quale un cantautore non deve rilasciare dichia- razioni seriose più lunghe di una frase, e poi deve scherzarci sopra; sempre per questa norma un intervistatore che citasse Adorno verrebbe deriso né più né meno che se parlasse di nozze imminenti. Ma il carattere ideologico di questa norma si nota dal fatto che nessun cantautore ri- nuncia a seguire tutte le altre norme che lo distinguono dai veri produt- tori e cantanti di canzonette, quelli che lavorano nella canzone tradizio- nale e pop. Nessun cantautore, prima di tutto, rinuncia a qualificarsi per la propria sincerità. Nella canzone tradizionale e nella canzone pop la sin- cerità non è un problema: a nessuno interessa se il cantante soffra o gio- isca come il protagonista della canzone, purché la finzione regga e non disturbi l'identificazione dell'ascoltatore con la situazione standard de- scritta. Ma nessuno sopporterebbe un cantautore o un cantante politico che esprimesse idee e sentimenti non suoi. I casi del rock e della canzone sofisticata sono leggermente diversi: in questi due generi il carattere so- ciologico dell'identificazione è più marcato, e quindi si richiede non una vera sincerità intesa come apertura d'animo, ma un g a d o più alto di cre- dibilità generazionale o sociale.

1.2.4. Norme d i tipo sociale. Norme ideologiche. Ogni genere è definito da una comunità, variamente strutturata, che ne accetta le norme e che partecipa, in forme diverse, allo svolgimento dei fatti musicali. La distin- zione tra generi a seconda delle loro funzioni sociali, della loro struttura sociale interna, o delle classi o gruppi o generazioni che li preferiscono, però, non è compito di questo paragrafo: è noto che questa è stata per molto tempo la prospettiva privilegiata dello studio sui generi, fin dai primi autorevoli studi di sociologia della musica. Ma ci sono casi in cui questi dati sociologici entrano a far parte del repertorio di norme di un genere: casi, del resto frequenti, nei quali l'analisi del sociologo è antici- pata dalla precisa consapevolezza dei partecipanti al fatto musicale del si- gnificato e della struttura sociale di ciò a cui partecipano. Ad esempio, la divisione del lavoro tipica di un genere è anche una norma; e ancora, il legame di un genere con determinati gruppi di età, strati o classi sociali può diventare una norma, al punto che singoli individui possono essere portati a negare il proprio gruppo o classe di appartenenza proprio attra- verso l'adozione di un particolare genere. Un discorso analogo a quello

delle norme di tipo sociale può essere fatto a proposito delle norme ide- ologiche.' Ma, ricordando quanto si è detto sulle cosiddette "ipernorme" che istituiscono gerarchie tra le altre norme di genere, sembra più inte- ressante ricondurr: l'ideologia al suo significato originario di "falsa co- scienza", piuttosto che limitarsi a osservare le connotazioni ideoloniche o - politiche di questo o quel genere. In questo senso va notato che la co- scienza delle norme di genere da parte di un suo partecipante è quasi sempre di natura ideologica, e questo tra l'altro ha impedito a molta cri- tica militante (militante, spesso, in un solo genere) di affrontare senza pregiudizi uno studio rigoroso sui sistemi musicali e sui generi. L'ideo- logia, infatti, non solo può mettere in rilievo certe norme rispetto ad altre, ma addirittura occultarne alcune, quando queste si trovino a con- trastare con altre ritenute più "nobili". È da sottolineare, comunque - ancora una volta - che una gerarchia di norme può anche non essere di natura ideologica, e dipendere dalla forza della codificazione di ciascuna di quelle (ammetto che questa possa essere considerata un' "ideologia scientifica").

l .2.5. Norme economiche e giuridiche. Tra le norme di genere queste, per quanto più facilmente accessibili all'analisi critica, sono spesso le più soggette all'oscuramento ideologico: non ci si aspetta da un musicista o anche da un ascoltatore di un certo genere di conoscere i retroscena eco- nomici o giuridici che ne garantiscono la sopravvivenza e la prosperità, ma piuttosto da un critico accanito di quel genere. Questo è anche un esempio molto rappresentativo della differenza tra gerarchie ideologiche e gerarchie dovute alla forza della codificazione: queste norme, la cui forza e importanza è addirittura trascritta in leggi dello stato, possono re- stare occultate dietro l'"indipendenza dell'artista" o la "rabbia generazio- nale". Naturalmente può avvenire anche il contrario: è il caso di certe in- dagini pseudosociologiche o pseudopolitiche nelle quali l'importanza della struttura economica viene accresciuta a dismisura, e gli altri ele-

9. Esemplare, da questo punto di vista, il caso del punk inglese: nato negli ambienti piccolo e rnedio-borghesi delle Art Schools (gli stessi da cui si sono sviluppati negli anni precedenti gli altri generi del rock britannico, compreso l'odiato progressive), si è autodefinito -- attraverso dichiarazioni e comporta- menti dei protagonisti -- come il genere del sottoproletariato urbano. Vedi Frith e Horne, 1987 e I,aing, 1985.

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menti vengono dichiarati accessori non in base a un'analisi scientifica, ma perché non influenzino le conclusioni già tratte a priori.

1.3. La collettività musicale. Un fatto musicale può coinvolgere collet- tività variamente strutturate. Grazie al tipo di definizione di genere e di fatto musicale che abbiamo provvisoriamente accettato, la collettività che ne è coinvolta non coincide necessariamente con quella fisicamente presente nel momento in cui si possono ascoltare i suoni. Ciò è banale, ma indica chiaramente che uno studio dei generi non può coincidere con una sociologia del consumo musicale (con la quale viene spesso confuso in ambito giornalistico), anche se la può includere; a conferma di quanto ho appena detto, si può osservare che non necessariamente un genere, per essere tale, deve avere quello che comunemente si intende come un pubblico. Quest'ultima precisazione è opportuna. La struttura della col- lettività musicale è tipica di un genere, al punto da entrare a far parte, piuttosto spesso, del repertorio delle sue norme (come abbiamo visto al paragrafo 1.2.4.). Ma si deve tener conto della storicità delle categorie at- traverso le quali analizziamo questa struttura e, a maggior ragione, di quelle che entrano fra le norme di genere. Le nozioni comuni di autore, esecutore, impresario, ascoltatore, critico, eccetera, sono fin troppo evi- dentemente legate a un periodo e a un'area culturale definita: possiamo usarle per studiare fenomeni che avvengono al di fuori di quell'area, ma solo per comodità e precisando le condizioni di quell'uso. Non è neces- sario allontanarsi troppo, cercando riferimenti alla storia antica o all'etnomusicologia, per trovare esempi di inadeguatezza di queste cate- gorie: basta vedere quanti distinguo occorrano per usare la stessa cate- goria di interprete o di esecutore per Maurizio Pollini o per Keith Jarrett, o per i due suonatori di tromba citati come esempio al paragrafo 1.2.1. La soluzione migliore di questo problema mi sembra quella di riferirsi sempre con la maggior precisione possibile alla funzione svolta dal sin- golo partecipante al fatto musicale, anche se questo può spingere a qualche pedanteria eccessiva. Oltre alle funzioni legate alla divisione dei compiti all'interno di un genere, vi sono le funzioni caratteristiche dei di- versi generi all'interno di un sistema musicale. A che scopo si formano le collettività musicali? Esistono nessi di qualche tipo tra queste collettività e quelle nelle quali la società è suddivisa rispetto ad altri scopi o in base ad altri criteri di analisi?

Mi sembra evidente che la sociologia della musica non possa rispon-

dere a queste domande "classiche" se non tenendo conto di tutte le com- ponenti che entrano a far parte della definizione di un genere, rifiutando - la contrapposizione fra gli strumenti di analisi basati sull'inchiesta e quelli di natura ermeneutica. Si tratta, credo, di riconoscere la validità di procedimenti diversi in campi di indagine diversi.

Dovrebbe essere noto, ormai, che le differenze profonde di funzione sociale e differenze nella partecipazione di strati o classi sociali si possono riscontrare anche tra generi che i primi studi di sociologia della musica avrebbero confuso sotto un'unica etichetta: il contributo dato a questi ri- sultati dai diversi metodi di analisi è indistinguibile. Ciò che invece ha - danneggiato in varia misura gli studi a carattere sociologico è quel tipo di sociologismo che attribuisce all'oggetto dell'analisi la stessa consape- volezza dell'analista: secondo questa prospettiva le classi, i gruppi, le ge- nerazioni agirebbero sempre nella realtà musicale con una coscienza del proprio ruolo che sarebbe veramente difficile attribuire loro in altri campi. Questo, però, è un rischio ben presente anche a questo studio, e alla nozione di collettività musicale che ne sta alla base: in che modo ven- gono codificate le norme di genere? Che coscienza ha la collettività mu- sicale di questa codificazione? Questa coscienza è uniforme per tutti i membri della collettività? Cerchiamo di chiarire immediatamente questi interrogativi.

1.3.1. Le condizioni di codifiazione. Un genere nuovo non nasce nel vuoto, ma all'interno di un sistema musicale già strutturato. Una parte considerevole delle norme che lo definiscono, perciò, è comune ad altri generi esistenti nel sistema, mentre sono relativamente poche, una specie di nocciolo, quelle che lo individuano. In questo quadro è comprensibile che il nocciolo di norme caratteristiche nasca in seguito alla codifica di quelle che inizialmente non sono che trasgressioni a norme di altri ge- neri. La natura di queste trasgressioni può essere molto varia, a seconda delle norme implicate e, di conseguenza, a seconda dell'intenzionalità: si va dall'applicazione di una tecnica nuova, resa possibile dallo sviluppo te- cnologico, all'enunciazione di una poetica (e cioè alla trasgressione che contiene in sé la sua codifica), passando per infiniti punti intermedi. Quello che conta è che - quasi sempre in seguito al successo di un sin- golo fatto musicale - queste innovazioni vengano prese a modello ed erette a norma. Ma non bisogna incorrere nell'errore di pensare che la co- difica di un genere consista semplicemente nella ratifica di un successo.

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Secondo questa interpretazione prima vengono fatte delle trasgressioni a norme inviolabili, il risultato viene messo in una scatola nera della quale non si conosce il funzionamento, e se questa scatola indica "successo", poi le trasgressioni vengono codificate. I1 modello più attendibile, invece, è che, presso alcuni componenti della collettività musicale, alcune norme di genere comincino a dare segni di usura, nonostante continuino a es- sere rispettate. Si crea così ~n'as~ettativa, che configura ancora in modo vago le nuove norme. I1 "successo" non è altro che l'atto di codifica di quelle norme, attraverso l'esemplificazione che ne è data e da parte della collettività che lo decreta. Come dice il luogo comune, quindi, il suc- cesso consiste nella risposta a delle aspettative. In certi momenti queste aspettative coincidono con il rispetto di norme già codificate, altre volte con l'attesa di una nuova codifica. Ciò che è misterioso, o meglio, ciò che vale la pena di studiare, non è quindi il successo, ma il suo contrario: il motivo per cui fatti musicali che sembrano avere tutte le caratteristiche per funzionare (soddisfacendo le norme di genere) vanno incontro all'in- successo. Insomma, perché le norme si deteriorano?

1.3.2. La coscienza della codificazione. Come è noto, la competenza analitica di un codice non è necessaria al suo uso: tutti impariamo a par- lare prima che ci venga insegnato a formalizzare la nostra conoscenza delle regole grammaticali, sintattiche, retoriche e semantiche. Lo stesso - - si può dire, ovviamente, per il codice di un genere. Nel caso di codici come quelli linguistici l'esperienza ci dice che la competenza analitica co- stituisce un arricchimento, un mezzo per penetrare più a fondo nell'infi- nita varietà dei messaggi che si possono realizzare in quel codice. Ma lo stesso non si può dire a proposito di tutte le norme di genere. Ci sono - -

codici musicali che, al pari e forse più di quelli linguistici, offrono una tale varietà di combinazioni che la stessa competenza analitica completa non è alla portata della vita di un uomo. Ma ci sono altri codici che hanno possibilità combinatorie estremamente ridotte, al punto che non solo la competenza analitica, ma addirittura la conoscenza di tutti i mes- saggi possibili è accessibile in un tempo relativamente breve. Sembra es- serci, quindi, una soglia che divide i codici "ricchi" da quelli "poveri": al di sopra di questa soglia la competenza analitica permette - per ricorrere a un termine abusato - di ridurre l'eccesso di informazione, e quindi au- menta l'interesse per i messaggi; al di sotto di questa soglia la competenza analitica rende tutti i messaggi prevedibili e quindi molto poco interes-

santi. I1 deterioramento delle norme di genere, quindi, può essere inter- pretato come legato al processo di apprendimento analitico di codici "poveri": non appena una parte consistente della collettività musicale è in grado di prevedere con grande approssimazione ciò che fino a poco prima era oggetto di un'aspettativa orientata, ma non analitica, il fatto musicale che verifica quella previsione perde di interesse, e si crea invece un'attesa per qualcosa che la smentisca. Un fatto che si può collegare a questa inreryretazione è il seguente: quanto più un genere si regge su un insieme di norme complesso, quanto più tra esse prevalgono codici 'L . ricchi", e tanto maggiore è la durata delle norme di genere. Viceversa. - -

nei generi o nei sistemi nei quali sono presenti in maniera preponderante codici "poveri", il ricambio delle norme è molto più accelerato. Tuttavia

- aree culturali o ad altri periodi storici. Ma il fenomeno è spiegabile, se consideriamo che ciò che abbiamo definito come "interesse", o meglio

<< . l'opposizione interesse/disinteressen, è un'unità culturale che rientra

I

I - -

I nelle motivazioni dell'attività musicale di alcune collettività, non di altre: per fare degli esempi, di quelle che mettono in risalto l'aspetto comuni- cativo, non di quelle per le quali la musica è un rituale.

questo fatto, assolutamente familiare agli osservatori del succedersi delle mode musicali nell'occidente capitalistico, non è generalizzabile ad altre

l Questa è una dimostrazione del fatto che alcune norme di genere (perché di questo si tratta) condizionano non solo l'uso di altre norme, ma il loro stesso processo di codificazione e l'influenza che su questo ha la competenza analitica. I1 livello di interdipendenza tra tutti questi fat- tori, poi, è accresciuto dal fatto, già accennato, che il tipo di competenza delle norme di genere non è lo stesso, in uno stesso momento, per i di- versi componenti della collettività musicale.

1.3.3. Le diverse competenze. Come è stato osservato fin dalla celebre "tipologia dell'ascolto" di Adorno (1971, pp. 3-25), la competenza dei codici non varia solo da un genere all'altro, ma addirittura all'interno di una sola componente, il pubblico, di un certo genere. È scontato, quindi, che la competenza sia diversa per componenti come gli autori, gli esecu- tori, i critici, gli organizzatori e così via. Ciò che è problematico, invece, è come inquadrare questa diversità alla luce di quanto si è detto finora. Quello che sembra più evidente è che a variare, da una componente all'altra, sia quella che abbiamo definito come l'ideologia del genere. Vi sarebbero, cioè, norme considerate più importanti da una componente e

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meno importanti da un'altra. Ma il riferimento all'ideologia non può es- sere separato da quello all'opposizione competenza d'uso/competenza analitica. La competenza d'uso, cioè, può assumere un carattere ideolo- gico, nel momento in cui il codice cui si riferisce venga negato come tale (come convenzione) e venga presentato come un dato "naturale" (vedi Fiori, 1980). D'altra parte sembra plausibile che un'opposizione compe- tenza d'uso/competenza analitica tra componenti diverse della colletti- vità musicale possa essere legata alla particolare funzione di queste com- ponenti anche in modo non ideologico. La conseguenza principale di queste disparità, comunque, è la possibilità di decodifica aberrante, cioè di ricorso a codici diversi da quelli dell'emittente: ma più che una sven- tura scientifica, questa sembra essere una tra le cause principali del mo- vimento e della ricchezza della vita musicale. Supponiamo, infatti, che si presenti all'attenzione un fatto musicale nuovo; una parte della colletti- vità musicale, poniamo la critica, può, in base alla sua competenza ana- litica dei codici, considerarlo una variante consentita in un genere già noto: ma un'altra parte, diciamo il pubblico, può ritenere una particolare combinazione di norme alle quali il fatto si conforma talmente insolita da urtare significativamente contro l'ideologia consolidata, rendendo ne- cessaria la creazione di un genere nuovo. Viceversa la critica può non ri- conoscere, per deformazione ideologica, gli elementi di regolarità che collocano un fatto nuovo in un genere già accettato. Se estendiamo questi esempi a tutte le relazioni possibili all'interno di una collettività musicale, vediamo che la vita dei generi non è per niente simile a un teu- tonico rispetto di regolamenti, ma che si alimenta proprio del rapporto tra diverse leggi, della loro trasgressione e, soprattutto, dell'equivoco.

I generi musicali e i loro metalinguaggi

1. Musica, linguaggio egeometria. La musica, come linguaggio, non ha sviluppato una propria funzione metalinguistica autonoma: per quanto esistano eventi musicali che mostrano fra le altre una funzione metalin- guistica più o meno evidente (citazioni, citazioni stilistiche, citazioni di genere, "avanguardia", istruzioni o descrizioni vocali, cantate ecc.), di so- lito è il linguaggio verbale a essere usato come metalinguaggio per gli eventi musicali. Ci siamo ovviamente abituati, come musicisti, ma so- prattutto come musicologi o insegnanti: la nostra vita dipende, se mi è permessa la generalizzazione, dalla nostra capacità di parlare di musica ad altre persone. Quindi non ci sono ragioni per dolersi se i metalinguaggi musicali per la musica sono così poveri. D'altra parte, le abitudini spesso celano dei rischi, e nel caso del linguaggio il rischio è - per usare un'espressione psicanalitico-semiotica corrente - di "esserne parlati", in- vece che di "parlarlo".

Vorrei attirare la vostra attenzione sulle domande che seguono: che rapporto c'è fra gli eventi musicali e i concetti che usiamo per descriverli? In che modo i termini che usiamo influenzano la nostra comprensione degli eventi musicali dei quali stiamo parlando? In che misura ci è con- sentito di procedere per analogia, applicando a un singolo evento musi- cale concetti che non sono stati costruiti specificamente per esso? A quali condizioni possiamo generalizzare e costruire classi?

Per quanto questo studio non pretenda di portare alla soluzione di questi problemi, cercherò nondimeno di discuterli; per cominciare, per- mettetemi di accennare all'aspetto più evidente di queste domande: la definizione delle musiche "folk, "colta" e "popular". Tutti sono d'ac- cordo che non si possa dare una definizione breve e netta di cosa sia, per esempio, la popular music: si tratta di un oggetto complesso (è un "og- getto"?), e chiunque abbia affrontato il problema di una simile defini- zione ha fatto ricorso a un gran numero di interpretanti di vari tipi piut- tosto che a una singola frase (vedi, per esempio, Tagg ,1979, o Middleton e Horn, 198 1). Inoltre, tutti sono d'accordo che nella definizione occorre considerare e includere numerose "variabili", o "parametri", o "punti di