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Edoardo Fraquelli Mariella Guzzoni ESTRATTO LETTERa Quaderni di clinica e cultura psicoanalitica n. 3 - 2013

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Edoardo FraquelliMariella Guzzoni

ESTRATTO

LetteraQuaderni di clinica e cultura psicoanalitican. 3 - 2013

Edoardo FraquelliSenza titolo, 1965tempera su carta intelata21 × 32 cm

Edoardo Fraquelli, una storia vera tra arte e folliaMariella Guzzoni

La vita non può essere che un’opera d’arte – se è di vita umana che parliamo, ovvero della vita di esseri umani dotati di volontà e di libertà di scelta.

Zygmunt Bauman1

“Una mostra da non perdere” mi disse il mio maestro di disegno. Fu così che incontrai le tempere di Fraquelli per la prima volta. Tempere su carta. Piccole. Chi si ammala di carta non guarisce più. La carta risponde al gesto dell’artista, si ondula, si sciupa, si lacera, si rompe. Vive in corso d’opera. Ma le carte di Fraquelli hanno resistito alla potenza del gesto pittorico. Hanno resistito alla forza con leggerezza. Una leggerezza esplosiva. È forse questo che più mi ha colpito. E quella forza, che pare voler esplodere dal foglio che pur la contiene, mi ha portato a voler sapere di più.2

Fraquelli non conosceva le grande tele di Franz Kline, negli anni cinquanta era fornaciaro, girava in bicicletta in Brianza, aveva fatto la quinta elementare: nel suo studio sono stati trovati i suoi quaderni di scritti e disegni e tre libri – il Vangelo, Van Gogh, Montale.

Eppure in queste piccole carte la forza del segno e la potenza espres-siva della forma parlano di un evento. “Una congiunzione modale tra l’evento della forza e quello della forma”. Il miracolo della forma.3

1 Zygmunt Bauman, Cose che abbiamo in comune. 44 lettere dal mondo liquido (2010), Laterza, Roma-Bari 2012, p. 200.

2 Le tempere di Fraquelli sono state esposte in modo articolato per la prima volta a Bergamo, alla galleria Olim, Opere su carta, nell’aprile 2005, su iniziativa di Pierantonio Verga (Edoardo Fraquelli, Segni forti e materie. Tempere 1959-1994, catalogo a cura di Fla-minio Gualdoni).

3 Le tempere di Fraquelli esprimono bene, a mio avviso, quello che Massimo Recalcati

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La storia di Fraquelli ha dell’incredibile. Qualcuno potrebbe dire: “tante storie sono così, in quegli anni!”, ma la realtà è che l’essere stato pittore, l’aver dedicato le sue notti a dipingere, la sua arte giova-nile riconosciuta dai critici a cavallo degli anni cinquanta e sessanta lo hanno salvato dalla morte civile, tra i corridoi dei matti annichiliti dai farmaci. L’arte, nella seconda parte della sua vita, gli ha ridato la voglia di esistere. Ma veniamo a questa storia vera.4

Edoardo Fraquelli nasce a Tremezzo, sul lago di Como, nel 1933. il padre è giardiniere nelle grandi ville brianzole. La mamma muore nel 1938, poco dopo aver dato alla luce una bimba che morirà anche lei. Edoardo conosce la morte da vicino a cinque anni. Doppia morte. È un bambino introverso, parla pochissimo. Su richiesta del padre, che non vuole estranei in casa, una cugina tredicenne, Carla, acconsente a vivere stabilmente in famiglia, per crescere Edoardo e suo fratello poco più grande di lui. Si affeziona a Edoardo, gli vuol bene, ma, se lo coccola, lo deve fare di nascosto: il padre non vuole, è molto severo. Dopo circa cinque anni Carla si sposa, desidera una sua famiglia; il padre si risposa. Carla, che aveva rappresentato per lui un riferimento affettivo fondamentale, viene, agli occhi di Edoardo undicenne, sosti-tuita da una donna adulta, la nuova moglie del padre, con la quale sembra non sia mai nato un legame affettivo. Dopo la quinta elemen-

teorizza nel libro Il miracolo della forma. Per un’estetica psicoanalitica – testo in cui, (entrando poi nel vivo del dibattito artistico sull’informe), Recalcati mette al centro “la pratica dell’arte come pratica in grado di interrogare il reale”: “L’opera d’arte non vive affatto di questa scissione rigida di forma e informe. i modelli estetici proposti da nietzsche e Heidegger, e quelli che possiamo ricavare da Freud e Lacan, condividono, a mio giudizio, l’idea che l’opera d’arte sia un luogo agonico, abitato da una tensione conflittuale, da una lotta conti-nua, mai risolta una volta per tutte, tra la tendenza all’integrazione formale e la dissonanza irriducibile dell’informe. […] ancora più radicalmente dovremmo cominciare a pensare che la coppia ‘forza-forma’ possa davvero recidere ogni legame con quella metafisica, di matrice crociano-idealistica, ‘forma-contenuto’” (Massimo Recalcati, L’icona scissa dal coinema, postfazione alla seconda edizione di id., Il miracolo della forma. Per un’estetica psicoa-nalitica [2007], Bruno Mondadori, Milano 2011, pp. 211-217, testo apparso dapprima in id., Melanconia e creazione in Vincent Van Gogh, pp. 133-143, Bollati Boringheri, Torino 2009).

4 Le notizie qui riportate sono il frutto di una mia intervista del settembre 2008 (citata fra virgolette nel testo) ad aldo e Linda Consonni che, come vedremo, hanno riportato Fraquelli a dipingere, dopo più di dieci anni di storia psichiatrica. a loro un particolare ringraziamento per avermi a suo tempo fornito la documentazione necessaria allo studio di questo artista.

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tare (siamo verso la fine della guerra), Edoardo inizia a lavorare da un ciclista di Usmate. Poi da un intagliatore di cornici. E lì, in quel capannone, la sera modella statue, inizia a disegnare. Dopo il servizio militare, tornato in Brianza, trova lavoro in fornace, il lavoro è duro, con i compagni incomincia a bere. Vent’anni. La notte dipinge i suoi primi paesaggi. Un unico autoritratto a olio, uno a matita. Qualche volta, la domenica mattina, frequenta un corso d’arte locale, disegna, dipinge. Conosce il pittore Carlo Carnà, che ha lo studio vicino a lui. Esordisce nel mondo artistico nel 1957 in una mostra alla Galleria del Prisma di Milano. Le critiche sono molto positive, i suoi quadri suscitano enorme interesse. nel 1958 partecipa alla Biennale di Porta Venezia e al Premio San Fedele. Paesaggio, Paesaggio con figure, Brianza primaverile, Paesaggio invernale, Serata invernale. in quegli anni conosce Morlotti, Scaccabarozzi, Dozio, arturo Vermi, il corniciaio Crippa e, grazie a lui, Piero Manzoni, Bonalumi, Mulas. Enio Morlotti è il suo faro espressivo, ma Edoardo è più bravo di lui.

Se ne accorgono tutti, a quanto pare. Preferiscono lasciarlo a casa. non lo invitano, non lo aiutano, non lo sostengono. È facile, Edoardo è un ragazzo, ha solo la bicicletta… e in più alza il gomito, ogni tanto. Eppure i mercanti poco onesti, sempre pronti a lucrare sul destino avverso dei pittori ingenui, ma bravissimi come lui, lo fanno dipingere in cambio di qualche bottiglia, per poi rivendere i suoi quadri come dei Morlotti.

Dipinge paesaggi straordinari, liriche quasi monocrome tra forza e forma, inscrivibili tra gli “ultimi naturalisti” descritti da Francesco arcangeli: “natura è la cosa immensa che non vi dà tregua, perché la sentite vivere tremando fuori, entro di voi: strato profondo di passione e di sensi, felicità, tormento.”5

La sua pittura è magmatica, usa il colore come materia da pla-smare. Eppure il magma è come fluido, è un magma che si scioglie, si mescola, talora si addentra come un sentimento che si consuma e poi rinasce in nuovi improbabili percorsi. Solo frammenti – resti di vita? – compaiono qua e là nelle sue tele. Stefano agosti parla di “grumi materici di natura”, di “simbiosi confusiva fra i due Soggetti di sapere – il sapere dell’io e il sapere d’Oggetto. […] nessuna prevalenza di

5 Francesco arcangeli, Gli ultimi naturalisti, in “Paragone”, n. 59, novembre 1954, pp. 29-43.

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un sapere sull’altro ma una sorta di miracolosa, eccezionale compe-netrazione dell’uno nell’altro.”6

Ma Edoardo a venticinque anni è solo, taciturno, senza amore. Tenuto a distanza di sicurezza dai benpensanti del sistema dell’arte… È solo anche in famiglia, il fratello Francesco ora si è sposato. Beve. Un piccolo disegno a matita – forse di quel periodo – sembra trac-ciare il ritratto del suo dramma: un fagotto di vestiti, senza gambe, senza braccia, ciò che resta all’osteria accanto alla bottiglia e al bic-chiere vuoto. non conosce l’ubriaco accasciato sul tavolo di Charles Degroux,7 eppure, quel disegno sembra l’evoluzione astratta del ca-polavoro dell’artista belga. Un resto un avanzo uno scarto una deriva, non degno d’amore, non degno d’affetto, ecco chi sono. Non degno. Ci vuole un gran dolore per vedersi così. Per rappresentarsi così. La carta sembra l’unica testimone di questo grido muto.8

L’indegnità fondamentale della propria esistenza, sentirsi niente, senza valore, insignificante, emerge con forza dalla matita di questo piccolo ritratto, quasi un’incisione: la cifra della sua melanconia.

inizia a scrivere liriche. La pittura e la poesia lo aiutano a soppor-tare l’inutilità della sua esistenza, i suoi vent’anni scanditi da esperien-ze di rifiuto: disabbonato dal desiderio, un padre legislatore che fa la predica alla cugina Carla prima, e farà la predica allo psichiatra poi – un padre che si vergogna e si vergognerà di lui. i compaesani che lo usano come un pagliaccio… gli amici pittori che non lo chiamano. Ed ecco l’immagine del suo corpo, un fagotto inutile, abbandonato come una cosa da buttar via, lì, sul tavolo. Ecco l’immagine di un corpo-cosa, non amabile, senza significato allo sguardo dell’Altro.

6 “È comunque a partire da quelle date, 1956-1958, che l’informale attuato ed elabo-rato da Morlotti spalanca, in Fraquelli, quella che sarà la sua propria visione-percezione-assunzione del visibile: ove la simbiosi confusiva fra i due Soggetti di sapere – il sapere dell’io e il sapere d’Oggetto (in questo caso solo l’oggetto di natura) – riveste caratteri di tale solidarietà e pariteticità quali non si erano dati negli esempi – pur grandissimi – da noi precedentemente citati. nessuna prevalenza di un sapere sull’altro ma una sorta di miracolosa, eccezionale compenetrazione dell’uno nell’altro.” (Stefano agosti, Un vertice dell’informale, in Fraquelli, un vertice dell’informale, catalogo della mostra al Museo Valtellinese di Storia e arte, Sondrio 2006, pp. 15-21. Si veda anche Stefano agosti, Il testo visivo, forme e invenzioni della realtà da Cézanne a Morandi a Klee, Christian Marinotti, Milano 2006)

7 Charles Camille auguste Degroux, The Drunkard, 1853 circa, olio su tela, Musée Royaud des Beaux-arts de Belgique.

8 Edoardo Fraquelli, Senza titolo, data incerta, matita su carta intelata, 27 × 21,5 cm.

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il soggetto sembra coincidere con l’oggetto. L’oggetto melanconcio.9 Pattume:

Quali tratti si lasciano vedere di un oggetto così velato, mascherato, oscuro? il soggetto non può prendersela con nessuno dei tratti di quest’oggetto che non si vede, ma noi analisti, quando seguiamo un soggetto simile, possiamo identi-ficarne alcuni attraverso quelle che egli indica come le proprie caratteristiche. Io non sono niente, sono soltanto pattume.10

Alla fine degli anni cinquanta iniziano le prime crisi; dipinge il ciclo delle tempere che qui presentiamo, tutte di piccole dimensioni, tutte su carta fragile e leggera che aggiunge un che di esplosivo al gesto dell’artista. Uno si domanda: com’è possibile? non è tela, questa! Una sfida Senza titolo, corpo a corpo con il suo mondo su carta. Un mon-do freddo, un mondo caldo in due cicli – uno di neri glaciali ma vivi

9 Melanconcio, un neologismo nato per caso, ecco come: circa un anno fa scrissi a un’amica artista, citando Lacan e l’oggetto melanconico – invertendo inavvertitamente le due lettere. Lei se ne accorse subito, e da allora il termine melanconcio (melanconico-malconcio) è diventato parte del nostro lessico.

10 Jacques Lacan, L’analista e il suo lutto, in id., Il seminario. Libro viii. Il transfert (1960-1961), Einaudi, Torino 2008, p. 432.

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e mobili in acqua di fango, un secondo ciclo di ocra di terra, qualche guizzo di vita in poco verde muschio, qualche arancio rovente anne-rito dal fumo. Ecco i colori.

nel 1964 un ricovero di quattro mesi. nel 1965 i titoli delle sue opere saranno, per la prima volta, non più Paesaggi, ma Rovine, Sera derelitta, Vittime dell’eruzione, Rovine, Rovine di Dresda, Paesaggio desolante, Tragedia. Forze sparse corrono sulla tela, elementi autonomi entrano in scena in un divenire di reticoli bombardati impigliati strappati tra colore e forma: appaiono.

necessità interiore e tumultuosa. Come scrive Paul Klee nel 1928, “La via alla forma, che deve essere dettata da una necessità interiore o esteriore, trascende la meta, va al di là del termine stesso della via… La formazione determina la forma e pertanto la trascende. La forma non è quindi mai e poi mai da considerarsi conclusione, risultato, fine, bensì genesi, divenire, essenza…”.11

nel 1966 un premio, la Colonnina d’oro, Manlio Rho, e una perso-nale a Como. Poi un ricovero, poi una mostra a Lecco, poi un ricovero, poi una mostra a Merate. Prima del temporale, una tela, tra le ultime della sua stagione, è un groviglio di forze chiuse, un gomitolo di tensioni non dipanabili. Scrive poesie. Si dedica alla scrittura. Desidera con tutte le sue forze un riconoscimento della parola scritta. Vive con il padre e la sua nuova moglie che lo sorvegliano a vista. Si chiude in camera e scrive. Scrive e memorizza. avanti e indietro dai presidi psichiatrici ci va con il padre, sei volte nel 1972, nove volte nel 1973, sette volte nel 1974, quel padre che presenzia ai colloqui, che lo controlla dalla finestra quando va al bar, che teme per lui, che sembra non aver fiducia in lui…

Diario medico, 24 luglio 1972:

il padre è un uomo vecchio, magro, dalla voce chioccia e bizzosa. Fa la predi-ca al paziente e a me: al p. perché ha ricominciato a bere, e anche perché non lavora assiduamente, a me perché gli ho cambiato la cura. […] il p. sembra ad ogni modo aver fatto la sua scelta: beve come altri si chiudono in un mondo autistico. il rapporto col padre è davvero molto cattivo: durante il colloquio si parla anche del fratello del p., che il padre definisce “una perla”, implicita-mente affermando, è ovvio, che quest’altro figlio è la sua croce.

11 Paul Klee, Teoria della forma e della figurazione (1970), 2 voll., Mimesis, Milano 2011, vol. ii, Storia naturale infinita, p. xliii.

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Ma a fine novembre 1972, grazie agli sforzi del padre, esce finalmente il volumetto di poesie tanto desiderato da Edoardo. il titolo è: Per la certezza dell’esistere. Quella certezza, finalmente da toccare, nella collana “Poeti d’oggi”, canta anche i suoi amori platonici, a Bruna, a ida, a Feliciana, canta l’amore di una gioventù perduta, di un cane visto morire:

In morte di Borlino

Prima non passeranno del dolore le tue spoglieagli occhi miei di febbre.Ora sei più in pacecelato sotto la musica del cielo.La tua intesa tra gli uominiindifferenti qualora un tuo saluto scodinzolando iniziavi, di troppa delicatezza era un complimentoso tuo segno. non era la tua di animale semplice delicatezza, era irrequietudine dolce che a girare ti portava. Fu per quei giorni divisie brucianti al sole, per lanoncuranza nostra la tua morte,e pochi ti videro inerte denti schiusi, i tuoicani amici ti ricorderannopresso la terra che ti coprenel cielo delle notti.

il cane, Borlino, è il cane del paese, di tutti e di nessuno. non è il cane randagio di Neruda che “fiuta il mondo e scuote il trifoglio”, non è il cane solo, in perpetua erranza di Giacometti, è l’animale gentile senza un padrone che mendica un po’ d’affetto tra l’indifferenza degli uomini.12

12 Le poesie di Fraquelli sono state recentemente ripubblicate (e illustrate), con degli

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1° ottobre 1973, diario medico: “il p. viene a prendere le medicine: mi appare né più né meno del solito, ma il padre, oggi in una vena castratoria dice ‘cosa vuole, non ha iniziativa, è molle, molle; pensa solo a scrivere poesie, e a bere’.”.

Fine 1974, il padre muore, mentre Edoardo è ricoverato. Diario medico, 9 dicembre 1974, relazione dell’assistente sociale:

La madre che pare sinceramente affezionata al paziente, nell’ultimo colloquio ha affermato, piangendo, di aver paura a vivere da sola con lo stesso ora che il padre è morto. non pare che, a detta della madre, il fratello che risiede a Carnate, possa prendere con sé il paziente. assai problematica si presenterà perciò la situazione del p. quando e se lo stesso sarà dimissibile dall’O.P.P.

Tre mesi dopo, il 12 marzo 1975, il fratello scrive una lettera al diret-tore dell’ospedale spiegando che

La matrigna non è in grado di seguire e sorvegliare mio fratello […] che, quando trasmoda un po’ nel bere diventa pericoloso per gli altri e per se stes-so. Io come fratello, essendogli affezionato, desidererei vederlo sistemato in modo un po’ sicuro, perché a casa è sempre in pericolo […]. a una madre si potrebbe chiedere l’eroismo di tenerlo assieme, […] ma non a una matrigna.

Le circostanze che hanno portato Edoardo al reparto pericolosi dell’ospedale psichiatrico di Como sono ancora oggi poco chiare. Una denuncia? Una telefonata? Da parte di chi? Una ribellione di Edoardo ai carabinieri, qualche offesa, qualche spintone – ecco che viene chiamato il medico condotto, anzi un suo sostituto, una firma e via –, viene ricoverato in manicomio. Disturbo della quiete pubblica. Ritenuto violento. non aveva mai dato una sberla a nessuno. anzi, era divenuto il personaggio strano, il clown. L’artista fuori dai ranghi, il poeta, il pittore, per un bicchier di vino gli facevano fare il pagliaccio. Scomodo alla famiglia che rimaneva dopo la morte del padre. Una vergogna. “C’eran due nipoti, due ragazze da sposare…” Forse me-glio non averlo in giro, in paese.

Sei anni in Psichiatria senza uscire. Mandare i suoi versi a memo-

inediti, nella collana “atelier. Poesia” diretta da Stefano Crespi: Edoardo Fraquelli, Di terra, di cielo, con una testimonianza di David Maria Turoldo, Le Lettere, Firenze 2010.

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ria, comporre a memoria e tenere a memoria era l’unica cosa che lo faceva sentire in qualche modo vivo, che gli restituiva una minima identità. non scriveva: temeva gli rubassero le sue poesie. La memoria era la sua forza, l’unica forma di resistenza. Un parafulmine – forse – come per Van Gogh che, sottochiave, senza pennelli tele o colori, rileggeva Shakespeare per non impazzire.

Ma il caso ha voluto che un suo dipinto esposto in un museo di Graz fosse entrato nel cuore di un amante dell’arte, che subito inizia a raccogliere i suoi lavori sparsi tra cantine e solai brianzoli – o “ad-dirittura usati come tappabuchi di finestre o di mobili sforacchiati dai topi” – e decide di fare una mostra: prepara il menabò del libro che parlerà di lui. Va a cercare Fraquelli, siamo nel 1980, chiede un incontro, e lo trova “con occhi sbarrati, via con la testa. […] Forse hanno ragione quelli che dicono che è finito… chiuso… matto”, si dice. Ma poi ci torna, nell’ospedale dei matti, lo trova lucido, allora capisce di essere arrivato “prima delle 90 gocce di Serenase”. Siamo a Villa Rosa. Va a conoscere il primario: “Guardi che qui c’è una per-sona che non è una persona qualsiasi, ecco il menabò del libro, delle opere giovanili, Edoardo è un artista!”. Una sorpresa per tutti, “non lo sapevano…” – e così “si sono spalancate le porte”. Fraquelli ritor-na a dipingere. il suo primo quadro è dell’agosto 1981. Sono passati quindici anni. Lo fa in ospedale, dove avrà uno spazio per lavorare. il lavoro lo assorbe e, poco a poco, niente più gocce. Un miracolo? Una prima riflessione, senza scomodare Freud, apre almeno due grandi temi, opposti e complementari – da un lato il risvolto inerziale di molti trattamenti farmacologici, dall’altro l’attenzione spesso nulla o quasi per l’individuo. La questione è quanto mai attuale.13

13 il Decreto Legge del febbraio 2012, relativo alla tanto attesa chiusura di quella realtà aberrante che sono gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (entro marzo 2013), sta sollevando molti punti interrogativi da parte di Psichiatria Democratica e del Comitato Stop opg, legati al fatto che “l’attenzione sembra solo concentrata sull’apertura delle strutture residenziali sanitarie ‘speciali’, molto simili agli ospedali psichiatrici (‘mini opg’). Rischiamo di ritrovarci con numerosi piccoli manicomi regionali! […] È doveroso affermare il valore della Legge Basaglia, fondamentale per la democrazia e le libertà del nostro Paese, contro ogni tentativo di riportarci agli anni bui dei manicomi e della psichiatria come strumento di repressione. […] Chiudere gli opg significa fare buona assistenza nel territorio per la salute mentale, come dice la Legge 180, e come è successo dove si è applicata. non strutture residenziali segreganti, dove i farmaci sono l’unica risposta al bisogno di cura, o peggio: pratiche di contenzione meccanica e farmacologica, e perfino elettroshock. […]” (Trieste, 25 settembre 2012, dal comunicato

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agosto 1981: Edoardo Fraquelli dipinge… è di nuovo un artista. Un quadro la settimana per l’amico sincero che lo va a trovare ogni gio-vedì. in novembre, per la mostra antologica a lui dedicata, Un’acerba estate, Edoardo esce, i parenti si oppongono – “è pericoloso! non biso-gna farlo uscire di lì!”. Ma alla mostra ci sono tutti, vecchi conoscenti, vecchi amici, il primario dell’ospedale. Edoardo rimane una notte a dormire dal suo nuovo amico che gli ha portato tele e colori in corsia. Ha, di nuovo, la certezza di esistere. Per l’arte.

Si inaugura così una nuova stagione di pittura che riprende l’energia dal colore. il giallo di cadmio inonda le sue tele, i grovigli inestricabili con i quali aveva interrotto il suo cammino riprendono a vivere sulla tela, come se niente fosse successo – in mezzo. Ma ora sono fram-menti, segmenti, detriti sparsi l’uno in fila all’altro, senza volto e senza nome. Da quando riprende a dipingere non c’è un solo titolo. il tempo è sospeso, lo spazio senza nome. Qualche orizzonte azzurro compare in un ciclo geometrizzante, elementi ordinati prendono forma sulle grandi campiture. Cerca la luce, la libertà dai grovigli: un centro, due

stampa per la Giornata di mobilitazione per la chiusura degli opg, Comitato Stop opg Friuli Venezia Giulia).

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centri, qualche geometria silenziosa. Un silenzio strano, una pace in-quieta. Questa seconda vita regalata all’arte durerà quattordici anni, tante mostre, piccole e grandi tele, il calore di una famiglia che lo ospi-ta ogni settimana, il giovedì – uno spazio d’affetto per lui, un arma-dietto dove custodisce gelosamente le sue poesie – un bravo infermiere lo accompagnerà senza sosta. Prima di morire, riprende la tempera, di nuovo la carta. Tre volte più grande. Tra i gialli e le terre c’è un vuoto costante, in centro, velato di bianco. Pennellate trasparenti e distese, quasi come per non far male alla carta. La velatura di un vuoto, un vuoto Senza titolo.14

14 Edoardo Fraquelli, Senza titolo, 1994, tempera su carta intelata, 70 × 100 cm.

Edoardo FraquelliSenza titolo, 1959tempera su carta intelata28 × 20 cm

Edoardo FraquelliSenza titolo, 1959tempera su carta intelata34 × 24 cm

Edoardo FraquelliSenza titolo, 1982olio su tela100 × 100 cm