elaborato diego bonetti
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Elaborato su G. BatesonTRANSCRIPT
UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI MILANO
Facoltà di Lettere e Filosofia
Corso di Laurea triennale in Filosofia
COSCIENZA E OLISMO IN BATESON
Elaborato finale di:
Diego BONETTI
Matr. n. 737994
Relatore:
Chiarissimo Professore Carlo MONTALEONE
Anno Accademico 2010 - 2011
1
INDICE
INTRODUZIONE pag. 03
I PRESUPPOSTI pag. 06
Epistemologia pag. 07
Dualismo/Dualità pag. 10
Mente pag. 12
L'OLISMO pag. 17
Come Bateson vede il mondo pag. 17
I paradigmi dell'Ottocento pag. 20
Nuovi paradigmi pag. 21
LA COSCIENZA pag. 27
BIBLIOGRAFIA pag. 55
2
INTRODUZIONE
I tre gradini di crescita del monaco zen:
riconoscere la propria animalità;
saper distinguere il particolare;
saper vedere il globale senza perdere di vista il particolare.
Il libro di Gregory Bateson che maggiormente
rappresenta il suo pensiero compiuto è “Mente e Natura.
Un'Unità Necessaria” e da questo cercherò di trarre gli
indizi più importanti per affrontare il tema dell'olismo e
della coscienza come lui li vedeva ed interpretava.
“Nel 1978 mio padre Gregory Bateson terminò di scrivere
Mind and Nature: A Necessary Unity, [Mind and Nature: A
Necessary Unity, Dutton, New York, 1979 (trad. it. Mente e
natura. Un'unità necessaria, Adelphi, Milano, 1989)] e
poiché il cancro che gli era stato diagnosticato non gli
lasciava molto da vivere, mi chiamò in California da
Teheran perché lo aiutassi nella revisione. […] La vera
sintesi dell'opera di Gregory si trova in Mente e natura, il
primo libro da lui scritto per comunicare con il lettore non
specialista. Steps to an Ecology of Mind, che raccoglieva i
suoi migliori articoli e saggi scientifici, scritti per diversi
circoli di lettori specialisti e pubblicati in svariati contesti, gli
3
aveva rivelato appieno la possibilità di un'integrazione.” 1
In Mente e Natura, Bateson cerca di portare a
termine il suo tentativo di indurre un cambiamento radicale
nell'interpretazione delle basi epistemologiche che guidano
sia la ricerca scientifica sia la visione delle cose in genere,
spostando drasticamente l'attenzione dall'oggetto alle
relazioni intercorrenti tra soggetto e oggetto e tra oggetto
ed oggetto.
Oltre al rendere protagonista il concetto di relazione,
Bateson pone come basilari sia il riconoscimento
dell'inevitabile applicazione dei principi biologici che dei
principi logici di indagine della realtà ponendo grande
attenzione alla stratificazione operata in base ai principi
logici di Russell.
Tali principi devono essere applicati ed operati in
modo assolutamente diverso da come erano stati applicati
ed operati in passato.
Come vedremo l'applicazione dei tipi logici di Russell
avviene spesso in modo inconsapevole e ci permette di
operare distinzioni proficue nell'osservazione e nella
comprensione del comportamento dei nostri co-specifici ed
il cui disconoscimento porta ad una serie di errori di
1 G.Bateson, M.C.Bateson Dove gli angeli esitano Adelphi 1989
4
comprensione che possono indurre effetti a volte comici ed
a volte catastrofici.
5
I PRESUPPOSTI.
Un filosofo si recò un giorno da un maestro zen e gli disse:“Sono venuto a informarmi sullo Zen, su quali siano i suoi principi ed
i suoi scopi”. “Posso offrirti una tazza di tè?” gli domandò il maestro.
Ed incominciò a versare il tè da una teiera. Quando la tazza fu colma, il maestro continuò a versare il liquido, che traboccò.
“Ma cosa fai?” sbottò il filosofo. “Non vedi che la tazza è piena?” “Come questa tazza” disse il maestro “anche la tua mente è troppo piena di opinioni e di congetture, perché le si possa versare dentro
qualcos’altro. Come posso spiegarti lo Zen, se prima non vuoti la tua tazza?”.
Prima di iniziare qualsiasi atto è bene stabilire quali
sono i significati che noi attribuiamo a tutti gli strumenti che
in tale atto sono utilizzati.
“Cinquant'anni fa si sarebbe pensato che i procedimenti
migliori per tentare questa impresa fossero o logici o
quantitativi o di entrambi i generi. Vedremo invece che,
come dovrebbe sapere ogni scolaretto, la logica è appunto
incapace di affrontare i circuiti ricorsivi senza generare
paradossi, e che le quantità appunto non sono la sostanza
dei sistemi comunicanti complessi. In altre parole, la logica
e la quantità si dimostrano strumenti inadeguati per
descrivere gli organismi, le loro interazioni e la loro
organizzazione interna. La natura particolare di questa
inadeguatezza verrà mostrata a tempo debito; per il
6
momento, chiedo solo al lettore di accettare per vera
l'asserzione che oggi, nel 1979, non esiste alcun metodo
convenzionale per spiegare o anche solo descrivere, i
fenomeni dell'organizzazione biologica e dell'interazione
umana.“2
Cercherò, quindi, di chiarire, per quanto mi sia
possibile, i termini che Bateson utilizza nei suoi testi,
convinto che già questo lavoro aprirà tutta una serie di
significanti già di per sè sufficientemente esplicativi del
pensiero di Bateson.
Epistemologia
Definitelo, ed è già cambiato.Nan-ch'uan
Il primo passo è quello di rendersi conto
dell'insufficienza della logica lineare causale e della
necessità di introdurre la logica causale circolare nella
spiegazione dei fenomeni in cui sia in gioco almeno un
essere vivente in grado, come meglio vedremo più avanti,
di rispondere ad uno stimolo con un'energia propria e
2 G.Bateson Mente e natura. Un'unità necessaria, Adelphi, 1984
pag. 37
7
quindi di sfuggire alle leggi meccanicistiche della fisica. E'
necessario, quindi, trovare una nuova modalità di lettura
del mondo del vivente: ciò che Bateson chiama
epistemologia.
La descrizione che Bateson fa dell'epistemologia non
può che esautorare l'ontologia dalla sua posizione di
privilegio nella lettura del mondo:
«Nella storia naturale dell'essere umano, ontologia ed
epistemologia non possono essere separate. Le sue
convinzioni (di solito inconsce) sul mondo che lo circonda
(cioè, le sue premesse ontologiche) determineranno il suo
modo di vederlo (cioè, le sue premesse epistemologiche) e
di agirvi, e questo suo modo di percepire e di agire (cioè le
sue premesse epistemologiche) determinerà le sue
convinzioni sulla natura del mondo (cioè, le sue premesse
ontologiche). L'uomo vivente è quindi imprigionato in una
trama di premesse epistemologiche e ontologiche. E'
scomodo far sempre riferimento all'epistemologia e
all'ontologia insieme, e d'altronde è errato pensare che
esse si possano separare nell'ambito della storia
naturale... Pertanto in questo saggio impiegherò il termine
unico «epistemologia» per designare entrambi gli aspetti
della trama di premesse che reggono l'adattamento (e il
8
disadattamento) all'ambiente umano e fisico».3
Sia il soggetto che l'oggetto perdono il loro proprio
significato per unirsi in un sistema che acquista priorità
assoluta, ma che resta definito dalle relazioni che vengono
intrattenute dagli elementi che lo compongono e che, a loro
volta, esistono solo come facenti parte del sistema stesso.
L'ontologia, così come era intesa, perde il suo
significato per assumere un gusto eracliteo tutto basato sul
divenire spontaneo e/o relazionale dell'individuo con il
mondo. Nulla esiste che possa reclamare per sé e sé solo
un qualsiasi valore ontologico se non entra in relazione con
qualcosa d'altro; e nel preciso istante in cui lo fa acquista
immediatamente un valore epistemologico.
Il sistema perde il suo senso di aggregati
ontologicamente definiti che svolgono mansioni traducibili
nei termini semplici della meccanica e della fisica classica
per divenire un sistema basato su cose senza consistenza
prive di un finalismo non contingente.
Il sistema diventa un sistema conoscitivo.
“Mi parve che nello Scolaretto stessi formulando idee
estremamente elementari sull'epistemologia (si veda il
3 G.Bateson Verso un'ecologia della mente Adelphi, 1976
9
Glossario [dal Glossario: EPISTEMOLOGIA: combinazione di un ramo
della scienza con un ramo della filosofia. Come scienza, l'epistemologia
studia come gli organismi particolari o gli aggregati di organismi
conoscono, pensano e decidono. Come filosofia, l'epistemologia studia i
limiti necessari e le altre caratteristiche dei processi di conoscenza,
pensiero e decisione.]), cioè su come noi conosciamo le cose in
genere. Nel pronome noi comprendevo, naturalmente, la
stella di mare e la foresta di sequoie, l'uovo in corso di
segmentazione e il Senato degli Stati Uniti. E fra le cose in
genere che queste creature conoscono, ciascuna a suo
modo, comprendevo: «come crescere secondo una
simmetria pentagonale», «come sopravvivere a un
incendio nella foresta», «come crescere mantenendo la
stessa forma», «come apprendere», «come scrivere una
costituzione», «come inventare e guidare un'automobile»,
«come contare fino a sette» e così via. “ 4
Dualismo/Dualità
“Se battendo tra loro le mani producete un suono,
che rumore fa una mano che applaude da sola?”
L'essere immersi nell'eterno dualismo delle cose è
un'eredità paradigmatica difficile da rifiutare e sarebbe pure
4 G.Bateson Mente e natura. Un'unità necessaria, Adelphi, 1979 pag.16
10
insensato farlo, non si può certo non riconoscere che il
nostro vivere è situato in un precario punto di mezzo tra
una ricerca di equilibrio omeostatico all'interno di un mondo
in permanente divenire. L'adattamento dell'essere umano
dipende sostanzialmente dal progresso dei suoi processi
mentali mentre è inserito in un mondo in continuo
cambiamento: queste sono le due facce della stessa
medaglia e l'errore epistemologico fondamentale è quello
di vederli come due poli opposti mentre invece essi sono
necessità dialettiche del mondo del vivente.
Quindi, mentre il dualismo scinde i due poli dando
senso ora all'uno, ora all'altro, è sulla dualità, che Bateson
chiama “doppia descrizione”, che egli fonda la chiave di
volta per combattere il disallineamento dei processi
conoscitivi. La doppia descrizione induce la rinuncia
all’inseguimento ossessivo della descrizione unica e
univoca migliore; accedere all'unità comporta in sé la
differenza, accettandone la contingenza e la revocabilità.
Solo così si può ammettere la possibilità della
comunicazione e l'idea della “struttura che connette”.
La “doppia descrizione” è il fondamento della
relazione ed è ciò che permette di passare al piano logico
successivo.
11
“Perché avvenga un cambiamento, la cosa nuova deve
possedere un doppio requisito: deve soddisfare le
esigenze interne di coerenza dell'organismo e deve
soddisfare i requisiti esterni dell'ambiente. Accade così che
quella che ho chiamato doppia descrizione diventi un
doppio requisito o una doppia specificazione. Le possibilità
di cambiamento sono frazionate due volte. Se si vuole che
la creatura duri, è necessario che il cambiamento si
presenti sempre secondo modalità che hanno una doppia
definizione.” 5
Mente
Che rumore fa una quercia che cade nel bosco
se non c'è orecchio che la sente?
Nel capitolo quinto (I criteri del processo mentale)
Bateson descrive accuratamente i criteri che definiscono
“la mente”. Il punto primo è definitorio:
“1) Una mente è un aggregato di parti o componenti
interagenti.” 6
5 Ivi pag. 1936 Ivi pag. 126
12
chiameremo “sistema” un qualsiasi aggregato di parti
composto da elementi in grado di scambiare informazioni;
dove:
“L'informazione consiste in differenze che producono una
differenza”7
Non tutti gli aggregati di parti sono menti perchè:
“Ovviamente molti sono i sistemi fatti di molte parti, dalle
galassie alle dune di sabbia, alle locomotive giocattolo.
Lungi da me l'idea di sostenere che tutti questi sistemi
siano menti o contengano menti o svolgano processi
mentali. La locomotiva giocattolo può diventare parte di
quel sistema mentale che comprende il bambino che gioca
con essa, la galassia può diventare parte del sistema
mentale che comprende l'astronomo e il suo telescopio.”
e poco oltre:
“In primo luogo dobbiamo notare che qualunque oggetto,
evento o differenza del cosiddetto 'mondo esterno' può
diventare una sorgente d'informazione, purché sia
7 Ivi pag. 135
13
incorporato in un circuito dotato in una rete opportuna di
materiale flessibile in cui esso possa produrre dei
cambiamenti. In questo senso l'eclissi di sole, l'impronta
dello zoccolo di un cavallo, la forma di una foglia, l'occhio
sulla penna di un pavone, insomma qualunque cosa può
essere incorporata nella mente se mette in moto queste
successioni di conseguenze.8
In buona sostanza si può dire che Bateson vede la
mente secondo i seguenti criteri:
“credo che il processo mentale sia sempre una
successione di interazioni tra parti. La spiegazione dei
fenomeni mentali deve sempre trovarsi nell'organizzazione
e nell'interazione di parti multiple.”9
e poco oltre sottolinea:
“Tutto il mio libro sarà basato sulla premessa che la
funzione mentale è immanente nell'interazione tra 'parti'
differenziate. Le 'totalità' sono costituite appunto da questa
interazione combinata.” 10
8 Ivi pag. 1499 Ivi pag. 12710 Ivi pag. 128
14
Dunque una mente è un sistema ed un sistema è una
mente, ma questo accade se, e solo se, sono verificati i
criteri successivi:
“2. L'interazione fra le parti della mente è attivata dalla
differenza e la differenza è un fenomeno asostanziale, non
situato nello spazio o nel tempo; più che all'energia, la
differenza è legata all'entropia e all'entropia negativa.
3. Il processo mentale richiede un'energia collaterale.
4. Il processo mentale richiede catene di determinazione
circolari (o più complesse).
5. Nel processo mentale gli effetti della differenza devono
essere considerati come trasformate (cioè versioni
codificate) della differenza che li ha preceduti. Le regole
di questa trasformazione devono essere relativamente
stabili (cioè più stabili del contenuto), ma sono a loro
volta soggette a trasformazione.
6. La descrizione e la classificazione di questi processi di
trasformazione rivelano una gerarchia di tipi logici
immanenti ai fenomeni.
La mia tesi sarà che i fenomeni che chiamiamo pensiero,
evoluzione, ecologia, vita, apprendimento e simili si
presentano solo nei sistemi che soddisfano questi criteri.”11
11 Ivi pag. 126
15
Dunque, Bateson ritiene che il pensiero è un
fenomeno emergente da un'insieme di elementi che
intrattenendo relazioni tra loro formano un sistema in grado
di soddisfare le esigenze presentate per punti poco sopra.
16
L'OLISMO
Il Patriarca alzò la mano aperta con il palmo
rivolto verso di loro e chiese: “Cosa vedete?”.
Tutti risposero: “Cinque dita”.
E il patriarca: “E perchè non quattro spazi?”
Una prima definizione di olismo potrebbe essere:
insieme di paradigmi che permettono l'osservazione e la
comprensione dei fenomeni naturali o artificiali che
riguardano il vivente tenendo conto di tutte le componenti
oggettive e relazionali che partecipano del fenomeno
osservato. Bateson potrebbe concordare con questa
definizione a patto che “tutte le componenti oggettive e
relazionali che partecipano del fenomeno osservato”
comprendano anche le basi epistemologiche
dell'osservatore.
Come Bateson vede il mondo.
Innanzitutto il mondo che Bateson vede è il mondo
del vivente:
“Nella mia vita ho messo la descrizione dei bastoni, delle
pietre, delle palle da biliardo e delle galassie in una
scatola, il pleroma, e li ho lasciati lì. In un'altra scatola ho
17
messo le cose viventi: i granchi, le persone, i problemi
riguardanti la bellezza, quelli riguardanti la differenza.
Argomento di questo libro è il contenuto della seconda
scatola. “ 12
Il mondo del vivente è organizzato in sistemi formati
da elementi interconnessi tra di loro; tali sistemi sono in
relazione con altri sistemi coi quali possono formare altri
sistemi più o meno complessi. Tali sistemi sono immersi in
un ambiente variante e loro scopo è sopravvivere. A tale
scopo si scambiano informazioni tra loro e con l'ambiente
in cui sono immersi. In base a tale visione possono essere
definiti deterministici e finalistici.
“[...] la specie di sistema che chiamo mente è capace di
finalità e di scelta tramite le proprie possibilità
autocorrettive. È in grado di assumere uno stato
stazionario o di andare in fuga o di collocarsi in qualche
combinazione intermediaria.”13
E le “possibilità autocorrettive” da che cosa sono
determinate?
12 Ivi pag. 2013 Ivi pag.172
18
“L'assunto generale di questo libro è che tanto il
cambiamento genetico quanto il processo detto
apprendimento (ivi compresi i cambiamenti somatici indotti
dall'abitudine e dall'ambiente) sono processi stocastici. È
mia convinzione che in ciascun caso vi sia un flusso di
eventi che è per certi aspetti casuale e un processo
selettivo non casuale che fa sì che alcune delle
componenti casuali 'sopravvivano' più a lungo di altre.
Senza il casuale, non possono esservi cose nuove.” 14
Ma come e dove si confrontano questi due processi?
“Oggi vediamo il pensiero e l'apprendimento (e forse il
cambiamento somatico) come processi stocastici. Il modo
in cui correggeremmo il pensiero dell'Ottocento non
consisterebbe nell'aggiungere una mente non stocastica al
processo evolutivo, bensì nel proporre l'idea che il
pensiero e l'evoluzione siano simili in quanto partecipano
della stocasticità. Entrambi sono processi mentali secondo
i criteri proposti nel capitolo IV. Ci troviamo quindi di fronte
a due grandi sistemi stocastici che in parte interagiscono e
in parte sono isolati l'uno dall'altro. Un sistema è dentro
l'individuo ed è chiamato apprendimento; l'altro è
14 Ivi pag. 197
19
immanente nell'eredità e nelle popolazioni ed è chiamato
evoluzione. Il primo concerne la durata di una singola vita;
l'altro concerne numerose generazioni di molti individui. In
questo capitolo mi propongo di mostrare come questi due
sistemi stocastici, che lavorano a diversi livelli di tipo
logico, si combinino a formare un'unica biosfera dinamica
che non potrebbe persistere se il cambiamento somatico o
quello genetico fossero fondamentalmente diversi da quelli
che sono. L'unità del sistema combinato è necessaria.”15
Ora che abbiamo questa visione globale della cose e
cioè di come Bateson vede il mondo, entriamo nello
specifico cercando di esaminare come una nuova visione
dei singoli elementi in gioco debba essere messa in atto
per cambiare i paradigmi di analisi permettendoci così di
compartecipare della visione di Bateson.
I paradigmi dell'Ottocento
Una importante distinzione nell'osservazione dei
sistemi è quella tra sistemi aperti e sistemi chiusi.
Un sistema chiuso è un sistema che non ha alcun
tipo di rapporto con altri sistemi. Tale tipo di sistema è
inesistente in natura ed anche la sua creazione artificiale
15 Ivi pag. 197
20
sostanzialmente discutibile: ipotizziamo di causare una
reazione chimica in un contenitore stagno, questo pare
essere un sistema chiuso e potremmo in effetti
considerarlo tale anche se per farlo dovremmo escludere la
partecipazione di qualsiasi osservatore.
Un sistema aperto è un sistema che mantiene
rapporti più o meno intensi con altri sistemi.
La visione delle cose di tipo meccanicistico-
riduzionista (ottica nella quale si è posta tutta la scienza
positivistica) non escludeva l'esistenza dei sistemi, ma
questi, per poter essere compresi, dovevano essere il più
possibile ridotti ad una sistema chiuso per la
interpretazione del quale la logica lineare-causale era
assolutamente idonea e massimamente esplicativa. I
sistemi simil-chiusi possono essere ottenuti semplicemente
eliminando dall'osservazione tutte quelle variabili che
paiono incidere sul sistema e soprattutto quelle variabili
che paiono incidere in modo quasi insignificante.
Lo statuto ontologico di un ente quindi veniva definito
escludendo tutte quelle variabili apparentemente poco
coinvolte nella definizione strutturale-funzionale dell'ente
stesso.
Una delle variabili che maggiormente venivano
escluse era rappresentato dall'effetto che l'effetto poteva
21
avere sulla causa e cioè dalla retroazione che una
qualsiasi informazione poteva indurre su chi l'informazione
aveva prodotto con la ricezione dell'informazione di ritorno
emessa da chi l'informazione iniziale aveva recepito
(retroazione).
Nuovi paradigmi
Il problema della retroazione che può indurre un
cambiamento nell'elemento o nel sistema che produce
un'informazione non pone di per sé il problema ontologico
dell'ente perchè si può sempre affermare che se un
sistema pone in essere una variazione di sé ciò è possibile
solo in quanto tale variazione è immanente nella struttura
del sistema, ma ciò che Bateson afferma è che se è pur
vero che in un determinato contesto un qualsiasi sistema è
deterministico lo stesso sistema in un altro tipo di contesto,
posto in relazione con altri sistemi non sarà più
deterministico, almeno fino a quando, un osservatore,
comprendendo il gioco delle nuove relazioni instauratesi,
non lo descriverà come deterministico.
Entrano dunque in gioco le determinazioni operate
dall'applicazione dei tipi logici russelliani e l'interpretazione
del tempo.
Se osserviamo un sistema ricorsivo in azione il tempo
22
ci apparirà ciclico con una visione sincronica, unica
possibile in questo caso, del tempo stesso. Ma se intorno a
questo sistema, la “zuppa” in cui esso è immerso si muove
nel tempo con una modalità diacronica il sistema in esame
cadrà nell'obsolescenza.
“[...] « il tempo è fuori squadra » perché le due componenti
che governano il processo evolutivo non vanno più al
passo l'una con l'altra.” 16
Dunque il tempo del sistema ed il tempo del mondo in
cui il sistema è immerso devono accordarsi e la modalità di
osservazione del tempo del sistema nel suo ambiente
dovrà essere una sommatoria delle due categorie:
sincronica e diacronica. Se posso esprimermi con una
metafora geometrica né un cerchio ne una retta, ma una
spirale. La spirale della vita.
“Da quale indizio, chiesi loro, potevano arguire che quella
conchiglia a spirale aveva fatto parte di un essere vivente?
Quando aveva circa sette anni, mia figlia Cathy ricevette in
regalo un occhio di gatto montato ad anello. Vedendoglielo
al dito, le chiesi cos'era, e lei mi rispose che era un occhio
16 Ivi pag. 291
23
di gatto. «Ma che cos'è?» insistei. «Be', so che non è
l'occhio di un gatto. Sarà una pietra». «Toglitelo e guarda
com'è dietro» dissi. Fece come le avevo detto ed esclamò:
«Oh, c'è sopra una spirale! Dev'essere appartenuto a
qualcosa di vivo».17
Per comprendere i sistemi aperti dovremo mettere in
campo dei nuovi paradigmi osservazionali rispetto a quelli
utilizzati dal metodo meccanicistico-riduzionista, ma prima
di tutto dovremo valutare quali sono le componenti che
intervengono nelle relazioni nei e tra i sistemi.
Una componente dei sistemi sono gli elementi che
formano il sistema e le relazioni che intercorrono tra gli
elementi. Tali relazioni sono in grado di agire sull'elemento
informato e di retroagire sull'elemento informante.
Naturalmente il sistema va visto immerso in un medium
che varia continuamente all'interno del quale il sistema
lavora per sopravvivere e svolgere la funzione alla quale è
dedicato.
Come abbiamo già visto, Bateson, non riconosce agli
elementi del sistema uno statuto ontologico determinato
bensì vede il sistema come una somma di relazioni posto
in relazione con il medium in cui è immerso.
17 Ivi pag. 26
24
Per Bateson la relazione viene prima di qualsiasi
cosa, essa è antecedente la conoscenza: gli esseri viventi
esistono, proprio per il fatto di essere in relazione nella
danza creatrice, non si può dare un'entità, infatti, senza
che ve ne sia un'altra in relazione.
“Non possiamo sapere nulla di alcuna cosa in sé, ma
possiamo sapere qualcosa delle relazioni tra le cose.
Bateson afferma che dicendo che un tavolo è 'duro'
andiamo oltre ciò che la nostra esperienza può suffragare:
ciò che sappiamo è che la relazione fra il tavolo e un
qualche organo di senso o strumento ha un particolare
carattere di durezza differenziale, per cui non possediamo
un vocabolario coerente, ma che distorciamo se inferiamo
il carattere speciale della relazione a uno solo dei due
termini (distorciamo ciò che potremmo conoscere sulla
relazione trasformandola in un enunciato su una 'cosa' che
non possiamo conoscere).”18
Dunque un osservatore di un sistema non potrà che
cogliere le relazioni tra gli elementi, e quando tale sistema
entra in relazione con un altro sistema l'osservatore potrà
cogliere solo relazioni di relazioni. Tali relazioni ultime
18 G.Bateson, M.C.Bateson, Dove gli angeli esitano Adelphi, 1989 pag. 236
25
apparterranno a un tipo logico superiore rispetto alle prime.
Come abbiamo detto la modalità di lettura del tempo
del sistema semplice, cioè la modalità di lettura del tempo
delle relazioni, sarà sincronico, ma la modalità di lettura del
tempo di un sistema complesso, cioè la modalità di lettura
del tempo delle relazioni di relazioni sarà diacronico.
Dunque la visione olistica batesoniana sarà
determinata dal duplice riconoscimento e dal rispetto della
tipologia logica russelliana e della coincidenza dei tempi di
evoluzione del mondo con i tempi di adattamento dei
sistemi viventi in esso immersi.
Quindi la definizione di olismo data all'inizio del
paragrafo: insieme di paradigmi che permettono
l'osservazione e la comprensione dei fenomeni naturali o
artificiali che riguardano il vivente tenendo conto di tutte le
componenti oggettive e relazionali che partecipano del
fenomeno osservato, risulta essere accettabile solo se
vengono ulteriormente precisati i significati che si intende
dare alla parola “paradigmi” che, secondo quanto detto
poco sopra, per Bateson appaiono certamente diversi da
quelli generalmente proposti. I capisaldi batesoniani per la
comprensione olistica del mondo del vivente restano
dunque:
- l'esistenza nel sistema di una fonte energetica propria;
26
- l'applicazione della logica circolare;
- il riconoscimento della stratificazione dei tipi logici;
- il riconoscimento dei tempi dei singoli sistemi in gioco.
Al di là della condivisibilità dei paradigmi proposti da
Bateson resta comunque ineludibile il dovere, per chiunque
si proponga la lettura di un sistema, di definire
accuratamente quali sono i paradigmi che utilizzerà.
27
LA COSCIENZA
Tre monaci osservano una bandiera che si agita nella brezza.
Un monaco osserva: "La bandiera si muove".
Il secondo ribatte: "È il vento che si muove".
Il terzo: "Sbagliate entrambi, è la vostra mente che si muove".
Il tema della coscienza resta a tutt'oggi un tema
spinoso, poliedrico, che appartiene a mondi assolutamente
diversi tra loro. La componente che appartiene alle
neuroscienze, grazie all'introduzione di sempre nuove
metodiche di indagine, aumenta il volume degli scritti
focalizzando però la propria attenzione su particolari
sempre più speciosi. La componente che appartiene alla
filosofia segna il passo soffocata dalla parcellizzazione e
dal crescente interesse che le neuroscienze dedicano a
questo argomento. Altre branche si pongono nella “terra di
mezzo” alternando le proprie alleanze ora con la filosofia
ora con le neuroscienze. Il compito che ci siamo assunti è
quello di cercare nell'ambito degli scritti di Bateson cosa
egli pensasse della coscienza. Anzitutto cerchiamo di
stabilire che cosa è la coscienza. Vediamo due pareri in
parte coincidenti:
“L'idea del senso comune che spesso accompagna i
28
discorsi sui processi consapevoli è che essi dipendano da
una funzione unitaria e monolitica, indivisibile e, come tale,
non riducibile a processi distinti e composti.” 19
Che cosa intendiamo per "sé"?
In ogni momento della nostra vita c'è qualcosa in atto, una
qualche esperienza che si sta svolgendo. Noi vediamo,
udiamo, odoriamo, gustiamo, tocchiamo, pensiamo.
Possiamo provare piacere, essere in collera, aver paura,
essere stanchi, perplessi, interessati, tormentosamente
autocoscienti o assorbiti in un'attività. Posso avvertire che
le mie emozioni mi stanno travolgendo, che le lodi di
qualcun altro mi esaltano, che sono distrutto da una
perdita. Ma che cosa è questo sé, questo centro dell'Io che
appare e scompare, che sembra tanto costante e tuttavia è
così fragile, tanto familiare e al tempo stesso così elusivo?
Siamo caduti in una contraddizione. Da un lato, anche un
esame superficiale dell'esperienza ci mostra che essa è in
continuo cambiamento e che dipende sempre da una
particolare situazione. L'essere uomini, in realtà l'essere
vivi, comporta sempre il trovarsi in una situazione, in un
19 A.Berti Neuropsicologia della coscienza Bollati Boringhieri 2010 pag.25
29
contesto, in un mondo determinati. Noi non abbiamo
alcuna esperienza di qualcosa che sia permanente e
indipendente da tali situazioni. Tuttavia, la maggior parte di
noi è convinta della propria identità: noi abbiamo una
personalità, memorie e ricordi, progetti e aspettative, che
sembrano tutti convergere su un punto di vista coerente,
un centro dal quale osserviamo il mondo, la base sulla
quale appoggiamo. Come potrebbe esser possibile un tale
punto di vista, se esso non fosse radicato in un sé o io
unico, indipendente, realmente esistente? 20
Dobbiamo notare che il sé definito di un individuo può
esistere negli occhi di un osservatore senza che il soggetto
che lo pone in essere ne sia cosciente. Quindi la coscienza
è quella parte del sé di cui il soggetto che lo pone in essere
è cosciente.
E così abbiamo commesso quello che Bateson
avrebbe definito un grave errore epistemologico
focalizzandoci su una componente, su un elemento di un
sistema e cercando di attribuirgli uno statuto ontologico
definito.
20 F.J.Varela, E.Thompson, E.Rosch La via di mezzo della
conoscenza, Feltrinelli, 1992 pag. 84
30
L'atteggiamento mentale di Bateson è quello di
cercare relazioni e una delle relazioni più ovvie della
coscienza è quella con il non conscio.
Parecchi autori hanno operato una ricostruzione
genealogica di tale relazione con risvolti decisamente
interessanti: Jullian Jaynes nel suo libro “Il crollo della
mente bicamerale e l’origine della coscienza” mette in
relazione i due poemi omerici e sottolinea la grande
differenza tra le modalità con cui viene visto da se stesso
l'uomo iliadico dall'uomo odisseico. Il primo scisso in parti,
mai in grado di cogliersi in tutta la sua interezza ed in balia
del volere degli dei nel senso che ciò che un individuo fa
viene sempre dettato dagli dei; stato confermato anche da
Mario Vegetti:
“Nell’eroe iliadico il comportamento, la spinta passionale,
la consapevolezza emotiva e riflessiva, la stessa
percezione corporea risultano disaggregate in una pluralità
di esperienza diverse certamente mai riconducibili ad un Io
consolidato e sempre espresse in azioni precise”.21
il secondo ha una propria volontà che, costi quel che costi,
21 M. Vegetti L'etica degli antichi, Laterza, Roma-Bari, 1989
31
intende far valere anche contro il volere degli dei.
La differenza tra l’uomo dell’Iliade è l’uomo
dell’Odissea viene utilizzata da Jaynes, insieme a tante
altre prove (il culto dei morti, la messa per iscritto del
diritto, ecc.) per sostenere una tesi originale ed
interessante. Il nostro cervello è diviso in due emisferi:
l’emisfero sinistro domina la vita cosciente e presiede il
linguaggio, mentre il destro è strettamente legato
all’emozione. La tesi della “mente bicamerale” spiega,
secondo Jaynes “la nostra irriducibile divisione in due
entità”. La divisione della mente nell’uomo arcaico si
risolve in una contrapposizione tra il Dio e l’Uomo. Il
problema della volizione consiste dunque nella completa
eliminazione del libero arbitro, nell’assenza di qualunque
tipo di soggettività e volontà personale: il dio è l’entità che
ordina, suggerisce, parla, spinge all’azione. Il soggetto
agisce, passivo; non c’è nulla che egli scelga di fare.
“I personaggi dell’Iliade non hanno momenti in cui si
fermano sul da farsi. Non hanno come noi una mente
cosciente, e certamente non hanno la facoltà
dell’introspezione. […] Le azioni non trovano il loro inizio in
piani, ragioni e motivi coscienti, bensì nella azioni e nei
discorsi di dei. Per un’altra persona che l’osservi, un uomo
32
sembra la causa del proprio comportamento, ma tale non
appare a sé stesso”.22
L’Iliade non è un’opera che racconta le mitiche gesta
di eroi: è un canto della dea che l’aedo “udì” e cantò ai suoi
ascoltatori (“Canta l’ira, o dea!”). Per dimostrare come il
ruolo del dio sia fondamentale nello svolgersi dell’azione
Jaynes fa alcuni esempi:
“Quando Agamennone, signore di popoli, sottrae ad Achille
la sua amante, è una dea ad afferrare Achille per la chioma
bionda e ad ammonirlo a non colpire Agamennone. È una
dea che sorge dalle spume del mare e lo consola nel suo
pianto d’ira sulla spiaggia presso le navi nere, è ancora
una dea che sussurra a Elena di togliersi dal cuore la
nostalgia per la patria lontana, è una dea che avvolge
Paride in una nebbia proteggendolo così dall’attacco di
Menelao, è un dio che induce Glauco a scambiare le sue
armi d’oro per armi di bronzo, sono gli dei che guidano gli
eserciti in battaglia, che parlano ad ogni guerriero nei
momenti decisivi, che discutono e dicono a Ettore che
cosa deve fare, che spronano i guerrieri o li sconfiggono
gettando incantesimi su di loro o diffondendo nebbie nel
22 Jaynes J. Il crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza, Adelphi, 1984, pag. 98
33
loro campo visivo. […] Insomma, gli dei prendono il posto
della coscienza”.23
Secondo Jaynes l’uomo arcaico era schizofrenico.
“La presenza di voci a cui si doveva obbedire fu l’assoluta
condizione preliminare alla fase cosciente della mente in
cui il responsabile è il sé, che può discutere con sé stesso,
che può ordinare e dirigere, la cui creazione è il prodotto
della cultura. In un certo senso, noi siamo diventati i nostri
stessi dei”. 24
Con il termine di schizofrenia si definisce una malattia
mentale che provoca allucinazioni soprattutto uditive. Il
termine deriva dal greco σχίζω (schizo, divido) e φρενός
(phrenos, cervello), 'mente divisa'.
“Gli dei sono quelle che noi oggi chiamiamo allucinazioni.
[…] La guerra di Troia fu diretta da allucinazioni, e i
guerrieri che venivano comandati in tal modo non erano
affatto simili a noi. Erano nobili automi che non sapevano
quello che facevano”.25
23 Ivi 9824 Ivi 10225 Ivi 110
34
La Pizia, la sacerdotessa che pronunciava gli oracoli
in nome di Apollo nel santuario di Delfi, emetteva i suoi
vaticini in stato di alterazione o trance. Oltre alla particolare
atmosfera del luogo, era l’”enthusiasmos” a far raggiungere
alla veggente il particolare stato di congiunzione con il dio.
O meglio: il Dio le entrava dentro.
“Ti avverto, chiunque tu sia.
Oh, tu che desideri sondare gli Arcani della Natura,
se non riuscirai a trovare dentro te stesso ciò che cerchi
non potrai trovarlo nemmeno fuori.
Se ignori le meraviglie della tua casa,
come pretendi di trovare altre meraviglie?
In te si trova occulto il Tesoro degli Dei.
Oh, uomo conosci te stesso e conoscerai l’Universo degli
Dei”.
Questa è la celebre esortazione che si trovava scritta
sull’entrata del tempio.
E' Socrate che riesce a riassumere in sè
l’insegnamento dell’oracolo di Delfi, sostenendo che la
verità si trova dentro noi stessi, e basta tirarla fuori. Egli
afferma che al suo interno si trova un daimon, uno spirito-
guida che lo assiste in ogni sua decisione. Socrate per
35
primo riconosce che la divinità si trova all’interno dell’uomo,
è un suo prodotto: la divinità è coscienza, la coscienza è
divinità.
Socrate rappresenta il tentativo di pervenire al
raggiungimento dell’equilibrio tra la parte razionale e
l'istintuale. Riconoscendo il daimon dentro sé stesso è in
grado di controllarlo. Egli lo guida sì nella decisione, ma chi
la prende è l’uomo. Anzi, per meglio dire, una parte di
esso: la parte razionale.
Pare che Socrate quindi meriti una connotazione
positiva: l’uomo esce dalla brutalità e conquista la ragione,
o quanto meno conquista un equilibrio tra l’istinto bruto e le
capacità raziocinanti. Pare un percorso ineludibile. Ma un
critico feroce si erge come un gigante su questo orizzonte
razionale, mentre la scienza stabilizza il suo cammino, e
ripercorrendo a ritroso l’analisi compiuta riscopre la forza
nella sua manifestazione di volontà di potenza.
Secondo Nietzsche Socrate è “l’inizio della
decadenza”.
Il soffocamento delle passioni, degli istinti,
l’eliminazione della terreità umana a favore di una
coscienza razionale metafisica rende la vita naturale una
malattia. Dopo di lui la morte non è più la fine delle gioie
dell’esistenza terrena ma è una speranza di redenzione, di
36
visione migliore della vita. Socrate presenta un nuovo
ideale alla gioventù greca, un ideale antitragico, antiepico,
antidionisiaco. Secondo Nietzsche la serenità di Socrate
non è la serenità o ‘ingenuità’ omerica, ma è ottimismo
teoretico che nega il fondo pessimista dell’esistenza. E,
comunque, la scelta dell'uno nel duplice.
La visione di Nietzsche ha come presupposto l’eterno
dualismo: la duplicità dell’esistenza è Crudeltà e
Rigenerazione, Orrore e Bellezza, Contraddizione e
Necessità.
Il mondo greco ha sempre cercato di nascondere le
passioni, spesso le più crudeli e oscure, con una
maschera. Il mondo greco ama la scena. La maschera
sono le belle forme, l’olimpica serenità, bellezza, purezza,
colori brillanti. Il substrato dell’esistenza è l’orrore.
Ogni uomo è attratto verso l’orrendo, il crudele; il
fondo ribollente della nostra vita è dionisiaco. È un tratto di
crudeltà, volontà, lotta, sopraffazione.
La tesi nietzschiana può essere riassunta così: la
cultura greca, e in generale ogni cultura, non è
l'incarnazione statica di un unico principio, ma è il risultato
della tensione di due impulsi opposti: quello dionisiaco e
quello apollineo. Il primo si identifica con l'intuizione
dell'esistenza come qualcosa di orribile perché
37
caratterizzata dal caos e dal divenire (cioè dall'andare nel
nulla) e insieme con la spinta a immergersi in essa; il
secondo tende alla forma razionale e perfetta e
rappresenta il velo di stabilità che l'uomo si costruisce per
resistere alle laceranti forze dionisiache che lasciate a se
stesse lo distruggerebbero.
Lo spirito dionisiaco è l’impulso vitale, è la
rappresentazione della caoticità della vita, la smisuratezza;
Dioniso è il dio della linfa vitale, rappresenta l’ebrezza, la
pulsionalità, il libero distacco dalla realtà, l’assenza di limiti,
di misura, di simmetria. Dioniso riporta l’uomo alle sue
radici, lo riconduce alla sua terreità. È il dio dell’energia
istintiva, dell’eccesso e del furore.
Lo spirito apollineo è arte figurativa, poesia, alla
ricerca della bella forma, la misura. Apollo è la divinità della
luce. È il dio della bellezza, dio delle profezie, è il signore di
Delfi. È il dio del limite, egli impone la simmetria. Con una
visibilità figurativa luminosa, crea un mondo di belle
immagini, di apparenze, che implica un distacco dalla
realtà. Apollo designa il campo del sogno. È definito
phoibos, splendente: illumina.
I due dei sono diametralmente opposti, tranne per
una caratteristica: l’ambiguità.
In Dioniso essa è evidente: Dio della vita e della
38
morte, dio che è uomo e animale, giovane e vecchio,
maschio e femmina.
L’ambiguità di Apollo è più ricercata: egli è dio della
cetra e dell’arco, quindi della musica come armonia, ma
anche dell’azione, è medico, ma uccide, è un dio solare,
ma è anche distruttore. Apollo è il dio del sapere, ma
trattiene, nasconde il sapere, è enigmatico. Benché lo
spirito apollineo rappresenti dunque la bellezza delle forme
e la misura, non è comunque assente il suo substrato
crudele. Apollo è la bella forma acquisita di Dioniso.
L’apollineo è l’illusione e sogno che rende accettabile la
vita racchiudendola in forme stabili e armoniche. Ma
Dioniso incarna l’ideale di vita in cui Nietzsche crede: ha in
sé il carattere della contraddizione, intende la vita come un
centro di forze in agone tra loro.
Dioniso è un dio che resta fedele alla terra, ed è
talmente radicato in essa che non sta nell’Olimpo. Per
Nietzsche Dioniso è un dio al di là del bene e del male
perché rappresenta la vita come esistenza umana e divina
insieme.
È evidente la contrapposizione dei due istinti, come è
fuorviante la loro compenetrazione, la loro
complementarietà.
Solo la tragedia rappresenta l’accoppiamento dei due
39
impulsi. Il tragico assume quindi un significato più che
simbolico: rappresenta la consapevolezza del substrato
crudele dall’esistenza, l’interiorizzazione, la comprensione
e il definitivo superamento.
Nietzsche sottolinea come l’arte abbia la capacità di
dare il senso all’esistenza, sollevare l’uomo dalla
sofferenza del mondo. Mette in relazione la musica e il
linguaggio concettuale.
“Giacché la musica, come si è detto, è diversa da tutte le
altre arti in ciò, che non è immagine dell’apparenza, o
meglio, dell’adeguata oggettività della volontà, bensì
immediatamente immagine della volontà stessa, e
rappresenta dunque, rispetto ad ogni fisica del mondo, la
metafisica, e rispetto ad ogni apparenza, la cosa in sé” 26
Nietzsche, pur vedendo nell'arte una sorta di
compromesso tra i due impulsi vitali, rivendica la
riscoperta dello spirito dionisiaco attraverso la riscoperta
dell’antica forza. Viene introdotto il concetto di volontà di
potenza: questa rappresenta l’impulso fondamentale, privo
di razionalità e univocità, che muove la vita e coincide con
essa. È l’energia dell’intero universo, è pulsione vitale in
26 Nietzsche F. La Nascita della Tragedia, Adelphi 2008, pag 108
40
cambiamento, che cerca e persegue il perenne
rinnovamento. È la volontà che vuole sé stessa o, in altri
termini, volontà dell’individuo che si vuole affermare come
volontà. Nietzsche dunque, nella trattazione della volontà
come forza autosuperantesi, ripropone il modello dell’eroe
omerico: ha virtù e valori in quanto esercita forza. La
volontà si identifica con la produzione di effetti attraverso
l’azione. L'azione è tutto.
“Bisogna che ci sia un’eterna contesa, che non ammette
né vittoria né sconfitta; nella figura dei due guerrieri c’è il
ritmo dell’onda eternamente ritornante, la pendolarità
infinita e può vincere uno, poi un altro, ma si continua a
combattere, non c’è sintesi, non c’è progresso. C’è un
eterno ritorno, non paralizzante, ma forgiante: l’energia
dell’intero universo. C’è un’unica fonte da cui sgorgano la
vita e la morte: la lotta”. (Nietzsche)
Nietzsche prende spunto dall’uomo arcaico per
disegnare le caratteristiche del suo ‘ubermensch’.
L’oltreuomo è l’uomo che, accettato il gioco dell’essere, si
fa capace di costruire un’esistenza colma di vita e di senso,
attimo per attimo. È una figura della nuova umanità, in
fedeltà allo spirito dionisiaco. Tuttavia l’uomo arcaico non
41
possiede la piena consapevolezza del suo agire né del suo
essere, ordinato sempre da un’entità che egli riconosce
come esterna a lui. Il suo agire, benché si esprima in forme
di sopraffazione e distruzione dell’altro è, se così si può
definire, passivo perché non cosciente. L’oltreuomo invece
è totalmente consapevole di sé stesso come è
consapevole della sua azione, è cosciente della
comprensione dell’essenza dell’esistenza: egli intende la
vita stessa come forza espansiva autosuperantesi.
La nascita dell’oltre-uomo niezschano coincide con la
morte di Dio, intesa come il crollo dei valori razionali e
tradizionali caratteristici della civiltà occidentale post-
socratea; ma non si può forse intendere anche come
l’uccisione del “daimon” interiore di cui parla Socrate?
L’eliminazione di qualunque tipo di divinità porta l’uomo
progressivamente alla fedeltà alla terra, e all’accettazione
della dimensione tragica dell’esistenza.
L'uomo, dunque, prende coscienza di sè e del suo
appartenere ad un tutto che non gli appartiene. Partecipa
ad un divenire eternamente dialettico che tenta ogni giorno
di modificare illusoriamente a suo vantaggio cosciente
ormai di essere incatenato ad una roccia: moderno
Prometeo.
La visione nietzschiana è e resta profondamente
42
dualistica, visione di cui l'uomo può farsi cosciente, ma
nulla può fare per conciliare i due opposti.
Mentre Jaynes vede nella razionalità socratica una
fonte di guarigione dalla schizofrenia dell'uomo arcaico
Francois Jullien nel terzo capitolo del suo testo Parlare
senza parole ci riporta all'eterna contesa:
“Il procedere (all'interno del pensiero) non è mai privo di
una certa arbitrarietà che possiamo correggere solo a
posteriori. Il mio punto di partenza è stato il libro Gamma
della Metafisica di Aristotele, che è il luogo più esplicito
dell'instaurazione del logos, ma avrei potuto far cominciare
la vicenda molto prima. Ad esempio almeno nel secolo
precedente, nella città di Elea, con Parmenide, che a tal
proposito viene solitamente designato come un «padre»
per aver fatto emergere l'incisività del discorso
argomentativo al di fuori dell'ambiguità degli antichi mythoi.
Parmenide è padre del logos almeno su tre punti, a partire
dai quali la «ragione» europea si è codificata come una
norma: è il primo ad articolare esplicitamente il greco come
lingua dell'Essere piegando insieme, fino a farli
combaciare, «essere» e «pensiero» (fr. 3); a pensare
congiuntamente l'uno e l'altro, l'Essere e la verità, a partire
43
da un'operazione logica di disgiunzione in cui le due vie,
dell'«essere» e del «non-essere», risultano subito e
definitivamente separate: la prima come «percorso veridico
di persuasione» e l'altra come «sentiero di cui non si può
sapere niente», che si perde nell'inconsistenza (fr. 2);
infine egli sembra il primo, nel mondo greco, a sviluppare
un logos non solo argomentato ma dimostrativo (fr. 8).
«Vero, è dire che l'essere è e che il non-essere non è»,
prosegue semplicemente Aristotele, il quale condensa
questa disgiunzione logica nel principio di non
contraddizione (Gamma, 7). Facendo di tale principio il
fondamento e il termine di paragone di ogni uso della
parola che si libera dalle penombre del mito, attribuendogli
inoltre la forza di un dogma intangibile - il dogma
propriamente filosofico - egli, «l'uomo legato a una
modalità di pensiero scientifica»[Cfr. Martin Heidegger,
Sull'essenza e sul concetto della φυσις, Aristotele, Fisica,
B,1, in Id., Segnavia, a cura di Franco Volpi, Adelphi,
Milano 1987, p. 202: «Noi oggi, invece, dominati come
siamo dal pensiero meccanicistico delle scienze naturali
moderne».], metteva così definitivamente a punto un uso
discriminante, normativo, non equivoco e di conseguenza
funzionale del vero, fissato una volta per tutte, in grado di
assicurare alla nascente scienza le condizioni della sua
44
operatività.”27
e poco oltre:
“Rivolgersi dunque verso l'altro di Parmenide, il solitario
Eraclito, rimane quasi l'unica possibilità di incontrare, in
Grecia, un dichiarato trasgressore di quel principio di non
contraddizione che cominciava allora a imporre la propria
logica. Ma in base a cosa consideriamo «oscuro» il grande
efesino? In base al fatto che, come si ripete spesso, egli si
oppone a Parmenide con il suo pensiero del «fluire» - il
famoso «tutto scorre», panta rhei, «tutto cede e niente
tiene» - in contrapposizione con l'Essere immobile? A me
pare che per lo meno ciò non avvenga se non in secondo
luogo (tematicamente). Tra di loro infatti la frattura si apre
innanzitutto perché Eraclito rifiuta di vedere gli opposti
separati in due vie disgiunte e non smette di ricordare che
l'uno non può andare senza l'altro: «Dio è giorno-notte,
guerra-pace, inverno-estate, sazietà-fame» (fr. 67). Il
giorno non è concepibile senza la notte, né la sazietà
senza la fame; dicendo l'uno dico anche l'altro, e «Dio»,
nome totale, dà nome alla loro fondamentale
inseparabilità. «Dio» indica la loro connivenza al di sotto
27 F.Jullien Parlare senza parole Logos e Tao Laterza 2008 pag. 13
45
della loro esclusione. Alla disgiunzione parmenidea, da cui
Aristotele ha tratto il principio di non contraddizione, si
oppone così ciò che io chiamerò la com-prensione
eraclitea: «com-prendere» significa letteralmente
«prendere con» (cum; cfr. in greco syn-iemi, un verbo
privilegiato da Eraclito), l'inverso dunque del separare e
dell'escludere. Io «com-prendo» prendendo ogni volta e
necessariamente l'uno insieme con l'altro, mantenendoli
indissociati, e quindi non lascio che la mia parola, catturata
dalla loro opposizione troppo ostensibile, si focalizzi su di
uno a scapito dell'altro e operi di conseguenza dei tagli
all'interno del «flusso» continuo delle cose. Ora, questa
intima congiunzione degli opposti non si può «dire»,
propriamente parlando, poiché essa non è «qualche
cosa», «un» qualche cosa, ma va precisamente in
direzione opposta rispetto a qualsiasi isolamento e dis-
sociazione operati dalla parola che tende a far sorgere
un'entità.28
Per concludere:
Ora, dispiegandosi sempre più apertamente -
sovversivamente - in antilogos, la poesia ha trascinato
28 Ivi
46
l'Europa moderna in una schizofrenia di cui non sembra
rendersi conto e che, in ogni caso, non ha analizzato a
sufficienza. Da questa schizofrenia ritengo però che essa
abbia tratto una parte importante della sua inventiva e
della tensione intellettuale che la sostiene. La stessa
parola si è scissa al suo interno, sfaldata lungo questi
piani, proprio come potremmo parlare in psicoanalisi di
«soggetto scisso»; di fronte al logos determinante e
discriminante della scienza, la parola poetica dà finalmente
voce alla sua repressione. Perché l'una e l'altra lavorano
chiaramente in senso opposto - «la scienza rassicura»,
«l'arte inquieta» (Braque) -, e la poesia è diventata, a tutti
gli effetti, l'arte di generare inquietudine all'interno del
linguaggio e nel confronto con esso. Rimane il fatto che
oramai nella nostra società essa non occupa altro che un
ruolo marginale, superfluo. 29
Bateson in Mente e natura non riprende, in modo
così compiuto come ha fatto per altri, il tema della
coscienza; si mostra qui piuttosto categorico evidenziando i
concetti già sviluppati in scritti precedenti.
E' in “La matrice sociale della psichiatria” che
Bateson rivela gli aspetti significativi del ruolo della
29 Ivi
47
coscienza. Essa è inevitabilmente connessa ad un
processo di decodifica e di selezione delle informazioni e
dell'infinito mondo del percepito:
“mentre il senso (forse illusorio) di libero arbitrio è
strettamente legato all'esperienza soggettiva della
coscienza, il processo con cui vengono selezionati gli
elementi per essere riflessi nello specchio della coscienza
è esso stesso un processo inconscio, indipendente, in
qualsiasi momento, da ogni sforzo di volontà” 30
non esiste nessuna forma categoriale per stabilire il modo
corretto di delimitare un sé. Nessuno può essere
totalmente cosciente né di ciò che include né del peso che
dà a ciò che include nel concetto che ha di sé e in misura
ancora maggiore di quali sono le basi epistemologiche con
le quali può operare tali scelte.
“Per vedere una cosa bisogna capirla: la poltrona
presuppone il corpo umano, le forbici l'atto del tagliare. Il
passeggero non vede lo stesso cordame che vede
l'equipaggio. Se vedessimo realmente l'universo lo
capiremmo.” (Jorge Luis Borges )
30 G.Bateson, J.Ruesch La matrice sociale della psichiatria 1951, trad. it. p. 207
48
Verso un'ecologia della mente è il testo che raccoglie
tutti i saggi (“a eccezione di lavori troppo lunghi per esservi
inclusi”) scritti da Bateson fino al 1972. Tre di questi
parlano diffusamente della coscienza. Nel primo dei tre,
Stile, grazia e informazione nell'arte primitiva, l'autore
ribalta la concezione occidentale che vede il primato della
funzione mentale attribuito alla parte conscia della nostra
mente, rivalutando e mettendo, quindi, al primo posto la
parte inconscia la quale non è da intendere come il
magazzino degli incubi rimossi, bensì necessaria a
trattenere
“quei tratti generali della relazione che restano sempre
veri, e a mantenere nella coscienza la prassi dei casi
particolari.” 31
ciò porta ad una evidente economicità nei processi di
svolgimento sia delle relazioni sia di compiti ad alto
contenuto tecnico, ma
“l'atto del 'calare' nell'inconscio, tuttavia, esige un prezzo:
l'inaccessibilità. Poiché il livello al quale le cose sono
31 Bateson G. Verso un'ecologia della mente, Adelphi, 1976, pag. 176
49
calate è caratterizzato da algoritmi iconici e dalla metafora,
diventa difficile per l'organismo esaminare la matrice da cui
scaturiscono le sue conclusioni coscienti.” 32
Questi due parti della mente sembrano quindi vivere
due vite separate.
“Aldous Huxley era solito dire che il problema
fondamentale dell'umanità è la ricerca della grazia. Egli
usava questa parola nel senso in cui pensava fosse usata
nel Nuovo Testamento; tuttavia la spiegava in termini suoi.
Egli sosteneva (come Walt Whitman) che gli animali si
comportano e comunicano con una naturalezza, una
semplicità che l'uomo ha perduto. Il comportamento
dell'uomo è corrotto dall'inganno - perfino contro se stesso
- dalla finalità e dall'autocoscienza. Secondo l'opinione di
Aldous, l'uomo ha perso la 'grazia' che gli animali ancora
possiedono. Nei termini di questo contrasto, Aldous
sosteneva che Dio somiglia agli animali più che all'uomo:
Egli è idealmente incapace di inganni e incapace di
confusioni interne. Nella scala complessiva degli esseri,
quindi, l'uomo è come situato da parte, ed è privo di quella
grazia che gli animali possiedono e che Dio possiede. [...]
32 Bateson G. Verso un'ecologia della mente, Adelphi, 1976, pag. 177
50
Sosterrò la tesi che il problema della grazia è
fondamentalmente un problema d'integrazione, e che ciò
che si deve integrare sono le diverse parti della mente -
specialmente quei molteplici livelli di cui un estremo è detto
«coscienza» e l'altro «inconscio». Perché si possa
conseguire la grazia, le ragioni del cuore debbono essere
integrate con le ragioni della ragione.” 33
Gli altri due saggi: Finalità cosciente e natura e
Effetti della finalità cosciente sull'adattamento umano
trattano del pericolo dell'applicazione della finalità
cosciente di incorrere in errori più grossi di quelli che si
vogliono correggere non tenendo debitamente conto della
realtà sistemica in cui siamo affondati, ma cercando
vanamente di confermare l'atteggiamento arrogante
dell'uomo convinto di poter sviluppare un controllo-potere
totale sul sistema di cui fa parte.
“La coscienza opera [...] nel suo campionamento degli
eventi e dei processi del corpo e di ciò che avviene nella
mente totale; è organizzata in termini di finalità. Essa ci
fornisce una scorciatoia che ci permette di giungere presto
a ciò che vogliamo; non di agire con la massima saggezza
33 Bateson G. Verso un'ecologia della mente, Adelphi, 1976, pag 160-161
51
per vivere, ma di seguire il più breve cammino logico o
causale per ottenere ciò che si desidera appresso, e può
essere il pranzo, o una sonata di Beethoven, o un rapporto
sessuale. Può, soprattutto, essere il denaro o il potere.” 34
e conclude:
“Ciò che è necessario non è solo un rilassamento della
coscienza per lasciar scaturire la materia inconscia: questo
è semplicemente barattare una concezione parziale dell'io
con un'altra concezione parziale. Ho idea che quel che
occorre sia una sintesi delle due concezioni, e ciò è più
difficile.”35
Alla fine del capitolo IV, I criteri del processo mentale di
Mente e natura Bateson si pone due domande ed una di
queste riguarda la coscienza:
“Il sistema sarà capace di coscienza?”
Per sistema intende parlare del sistema mente che egli
giudica
34 Bateson G. Verso un'ecologia della mente, Adelphi, 1976, pag 448
35 Ivi
52
“ […] capace di finalità e di scelta tramite le proprie
possibilità autocorrettive.”
e proprio in fondo le ultime frasi:
“Quanto alla coscienza, la faccenda è più oscura. In
questo libro nulla s'è detto sulla coscienza tranne che, nel
caso della percezione, abbiamo notato che i processi
percettivi non sono coscienti ma che i loro prodotti
possono esserlo. Quando coscienza è usato in questo
senso, si direbbe che il fenomeno sia in qualche modo
connesso con la questione dei tipi logici, alla quale
abbiamo prestato parecchia attenzione. Tuttavia non sono
a conoscenza di alcun materiale che veramente connetta i
fenomeni della coscienza con fenomeni più primitivi o più
semplici, né ho tentato di farlo in questo libro.” 36
Dunque non eravamo, siamo schizofrenici. Non ci è
possibile guarire e forse non dovremmo neanche sentirci
malati. L'unica via di uscita è imparare a gestire questo
nostro stato.
36 Bateson G. Mente e natura. Un'unità necessaria, Adelphi, 1979 pag. 173
53
“Noi siamo fatti tutti di pezzetti, e di una tessitura così
informe e bizzarra che ogni pezzo, ogni momento va per
conto suo. E c’è altrettanta differenza fra noi e noi stessi
che fra noi e gli altri.” (Montaigne - Essais - Livre II, 1)
54
BIBLIOGRAFIA
Bateson G., Bateson M.C. Dove gli angeli esitano, Adelphi 1989
Bateson G. Mente e natura. Un'unità necessaria, Adelphi, 1979
Bateson G. Verso un'ecologia della mente, Adelphi, 1976
Berti A. Neuropsicologia della coscienza, Bollati Boringhieri, 2010
Jaynes J. Il crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza, Adelphi, 1984
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