elisir di lunga vita - liceogalileiancona.edu.it · colori e si attivano solo in presenza di luce....
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Scuola
Liceo Scientifico "G. Galilei" di Ancona_Classe 5G_ a.s. 2014/2015
La cura dell'occhio non e' solo locale
Dopo la Terra e la Luna, si parte
per conquistare il SISTEMA SOLARE
Trovata la proteina responsabile dei sintomi dell'Alzheimer Vedere Indietro nel Tempo? Mai stato così facile
Elisir di lunga vita:
L'IMMORTALITA' IN
PROVETTA
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Indice
Come è fatto?/Come funziona? Medicina
1. CURARE L'OCCHIO SENZA TOCCARLO.................................................... 3
La Sfida
Società
2. IL TROFEO DEL CUORE......................................................................... 5
Domande & Risposte
Scienza
3. E' POSSIBILE GUARDARE INDIETRO NEL TEMPO...................................... 7
Medicina
4. ELISIR DI LUNGA VITA: L'IMMORTALITA' IN PROVETTA............................ 7
Spazio
5. TEORIE PER UNA COLONIZZAZIONE DEL SISTEMA SOLARE....................... 8
Comportamento
6. PERCHE' ABBIAMO IL SINGHIOZZO........................................................ 8
Fisica
7. COSA C'E' DI CHIARO SULLA MATERIA OSCURA ...................................... 9
Scienza
8. I WATT DEL CORPO UMANO ………………………...………………........................ 9
Medicina
9. PROTEINA RESPONSABILE DEI SINTOMI DELL’ALZHEIMER..................... 10
Spazio
10. A COSA SERVONO I RAGGI GAMMA .................................................. 10
Comportamento
11. SVEGLIARE I SONNAMBULI E' PERICOLOSO......................................... 11
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Cos’è l’occhio? L'occhio è una struttura sferica del
diametro di circa 2,5 cm; al suo interno sono contenuti l’umore acqueo, un mezzo fluido localizzato anteriormente, e l’umore vitreo, mezzo gelatinoso posizionato posteriormente e preposto a mantenere la forma dell’occhio. Il bulbo oculare è alloggiato in un cavo del cranio denominato orbita. L’occhio è protetto esternamente da due pieghe cutanee chiamate palpebre ed è rivestito da tre strati tissutali. Il più esterno è costituito da robusto tessuto connettivo di colore bianco, denominato sclera al di sotto della quale è sita l’uvea, che rappresenta la porzione vascolare dell’occhio e posteriormente prende il nome di coroide. La retina è lo strato più interno, suddivisa in due porzioni: quella anteriore è ricca di melanina e, funzionando come una camera oscura, assorbe la luce che entra nell’occhio, limitandone la diffusione. La porzione posteriore, la così denominata neuroretina, contiene cellule nervose che raccolgono, trasformano e trasmettono lo stimolo visivo alle vie superiori. L’asse antero-posteriore dell’occhio, denominato asse visivo, è costituito da varie strutture trasparenti, che consentono il passaggio della luce senza interferenze. Nella parte anteriore, la cornea è una semisfera di tessuto epiteliale e connettivo senza vasi sanguigni, la cui peculiarità è la trasparenza. Continuando posteriormente si incontra la pupilla, forame circolare nell’uvea, delimitato da un anello pigmentato, noto con il nome di iride. L’asse visivo prosegue quindi con il cristallino, una struttura dalla forma biconvessa che deformandosi sotto l’azione di appositi muscoli, è in grado di mettere a fuoco i raggi luminosi che attraversando l’umore vitreo giungono alla retina (Figura 1).
Come si formano le immagini che vediamo? Innanzitutto la luce proveniente dall’oggetto percorre l’asse visivo e, dopo aver attraversato cornea, umore acqueo, pupilla, cristallino e umore vitreo, giunge alla neuroretina. Questa è costituita da 10 strati, alcuni di cellule neuronali, altri di supporto; nello strato più profondo sono posizionati i fotorecettori: coni e bastoncelli. I coni, la cui massima densità si trova a livello della fovea (la parte più nobile dell’occhio, centro del campo visivo), sono cellule responsabili della visione a colori e si attivano solo in presenza di luce. Cosa avviene, invece, di sera? Il corpo umano è un dispositivo perfetto ed è proprio per questo che, in assenza di luminosità, entrano in funzione i bastoncelli (circa 100 milioni nell'uomo). Coni e bastoncelli, stimolati dalle onde luminose, rilasciano neurotrasmettitori diretti prima alle cellule bipolari e poi alle cellule gangliari. Da queste ultime partono i potenziali d’azione che, percorrendo le vie ottiche, giungono alla corteccia cerebrale: il cervello ottiene così una informazione visiva (acquisizione). La percezione cosciente è il passo immediatamente successivo: il cervello codifica le informazioni provenienti da entrambi gli occhi e ricostruisce l’immagine con oggetti e persone. Inoltre, grazie alla visione binoculare, le immagini appaiono orientate nelle tre dimensioni dello spazio, acquisendo così verosimiglianza.
Lo sapevate che…?
L’immagine che viene proiettata sulla retina è capovolta rispetto a quel che realmente si trova davanti ai nostri occhi. Questa rappresentazione grafica convertita in impulsi sensoriali viene inviata al nervo ottico. Giunto al cervello, il segnale verrà poi convertito e riposizionato nel corretto orientamento, così da fornire al soggetto che osserva un’immagine fedele alla realtà.
Nel polo posteriore della retina, esternamente rispetto al nervo ottico, è posizionata la macula, un’area concava di circa 6 mm di diametro; la parte centrale della macula è la fovea, vera zona nevralgica della visione. Essa, infatti, è la parte dell’occhio “che vede”: quando vogliamo osservare un oggetto, muoviamo il bulbo oculare affinché l’immagine ricada esattamente nella fovea. La macula può andare incontro ad un processo degenerativo, ma fin quando non viene danneggiata la fovea è ancora possibile vedere. La degenerazione maculare è, nella maggior parte dei casi, causata dall’invecchiamento del tessuto; esistono tuttavia condizioni che provocano una degenerazione della macula anche in soggetti giovani: miopia patologica, forme infiammatorie, infettive e idiopatiche. Esistono due forme di degenerazione maculare: quella secca, in cui la vista è, di solito, abbastanza preservata; quella umida, più rara, ma più grave, in quanto responsabile della perdita irreversibile delle capacità visive.
L’OCCHIO...UN
MICROCOSMO
IMMUNOLOGICO
INDIPENDENTE
Figura 1
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Figura 3: fluorangiografia di
uveite posteriore
Figura 2 : vascolite retinica
Batteri: "abitano" e si
nascondono all’interno delle cellule
Funghi: traggono nutrimento
da altri organismi
Virus: “parassita obbligato”
che penetra nella cellula per
duplicarsi.
Protozooi: colonizzano
habitat legati all’umidità.
Articolo scritto da:Matteo Schiavoni, Ava Ghasemi, Lavinia Radici Con la collaborazione di: Dott. Piergiorgio Neri
E la disponibilità di: Prof. Nadia Cantori, Prof. Donatella Bossoletti
Nel corso della vita, l'organismo entra in contatto con numerosi agenti infettivi. Ma che cos’è un'infezione? Si parla di infezione quando un microrganismo (batterio, fungo, virus e protozoo) entra nell’organismo e provoca una malattia. L’infezione viene combattuta dal sistema immunitario; i meccanismi difensivi, uguali per tutto l’organismo, vengono modulati in maniera differente in alcuni organi: l’occhio è uno di questi.
L’occhio è un organo estremamente delicato: continuamente a contatto con insulti esterni (polvere, make-up, luce solare, microrganismi…), deve essere adeguatamente protetto affinché non subisca lesioni che vadano a minare la sua integrità e, quindi, il suo funzionamento. Per tale motivo, l’occhio è dotato di vari meccanismi di difesa: innanzitutto le ciglia, che rivestono un ruolo fondamentale nell’arginare l’ingresso di elementi estranei; in secondo luogo le palpebre, che costituiscono una ulteriore barriera e, con il loro continuo movimento “di ammiccamento”, consentono di rimuovere eventuali agenti estranei dalla superficie oculare. Un compito molto importante è svolto dalle lacrime: non solo lavano l’occhio con una azione meccanica, ma contengono sostanze che distruggono tossine ed agenti lesivi, quali immunoglobuline e lattoferrina. Qualora i primi meccanismi di difesa venissero oltrepassati, entra in gioco il sistema immunitario vero e proprio: linfociti B e T, anticorpi e numerose altre molecole che aggrediscono l’agente patogeno, scongiurando le infezioni. Una reazione eccessiva, però, potrebbe risultare dannosa per le delicate strutture oculari. Per tale motivo l’occhio gode di una risposta immunitaria differente rispetto al resto dell’organismo, grazie all’ACAID (Anterior Chamber Associated Immuno-Deviation). L’ACAID determina la soppressione di alcuni meccanismi di difesa e il potenziamento di altri, rendendo l’occhio (similmente alla milza) un sito immunologico privilegiato con un delicato equilibrio, che consente di mantenere una adeguata protezione e, allo stesso tempo, l’integrità delle strutture. Compito dell’immunologia oculare è di studiare le malattie legate alla rottura di questo patto di non belligeranza con il mondo che lo circonda, che talvolta conduce a malattie note con il nome di uveiti (Figura 2 e 3). Le uveiti sono malattie infiammatorie dell’uvea, sia a potenziale matrice infettiva, sia non-infettiva. L’immunologo oculare è uno specialista altamente qualificato che si occupa della diagnosi e della terapia di tali affezioni, impiegando competenze a carattere sia infettivologico, sia reumatologico.
L’IMMUNOLOGIA studia i meccanismi che proteggono l’organismo dagli agenti estranei (antigeni). Il sistema immunitario ha vari protagonisti: cellule leucocitarie (linfociti B, T, NK, neutrofili, monociti…), anticorpi (prodotti dai linfociti B), sistema del complemento, citochine. Il compito del sistema immunitario è di individuare gli antigeni estranei penetrati nell’organismo, riconoscerli come non-self ed attivare una reazione difensiva; contemporaneamente il sistema immunitario conserva la memoria dell’incontro avvenuto, così da reagire in maniera più rapida ed efficace ad un secondo contatto col medesimo antigene. In determinate condizioni, tuttavia, i meccanismi difensivi non vengono indirizzati verso antigeni estranei ma contro il self, cioè contro i componenti dell’organismo stesso: è il caso dell’autoimmunità, in cui tessuti ed organi sani vengono danneggiati da cellule e molecole del sistema immunitario.
"Il maggior mistero della medicina non è la
malattia, ma la salute".
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La giornata si è così
strutturata :
8.15 : apertura cancelli
9.00 : inizio manifestazione con
esibizione ginnastica ritmica e
interventi ospiti
9.25 : Perché il trofeo è
intitolato a Federico: minuto di
silenzio
9.30: inizio prima partita
10.30 : inizio seconda partita
11.20 : intervento di Javier
Zanetti
11.40 : finale del trofeo
12.30 : premiazione e consegna
assegno alla fondazione Pupi
Ad un anno di distanza dal precedente evento, torna la più
grande iniziativa di beneficenza organizzata dai ragazzi
anconetani. Ancora una volta il Liceo Scientifico "G.Galilei"
chiama a raccolta l'IIS "Savoia-Benincasa" e il Liceo Classico,
Musicale e delle Scienze Umane "C. Rinaldini" per contribuire
tutti insieme ad una mattinata di beneficenza totalmente
organizzata dai liceali delle tre scuole. Federico Lorenzoni,
Francesco Carella: sono loro i “piccoli” pensatori di questo
grande evento, coadiuvati da Giovanni Giorgetti, Francesco de
Benedictis, Samuele Burattini. Grande, non solo per le più di
2000 persone che hanno partecipato alla giornata, ma
soprattutto diremmo per l’impegno, la volontà e quel senso di
humanitas dimostrata verso un compagno, un coetaneo,
Federico Frezzotti, iscritto al Liceo Galilei, ma inspiegabilmente
scomparso 6 anni fa in un incidente stradale, prima ancora di
poter incontrare i suoi nuovi compagni di classe. L'intero
ricavato derivato dalle offerte effettuate all'ingresso dello
stadio sarà devoluto in BENEFICENZA. A presiedere la mattinata
è stato un testimonial unico ed inimitabile, a capo della
nobilissima Fondazione Pupi, Javier Zanetti, ex capitano e
leggenda del FC Internazionale Milano, del calcio italiano, della nazionale argentina. Maestro di vita e di
sport. Di qui la domanda che sorge spontanea a molti: come hanno fatto questi tre giovani ragazzi a
coinvolgere Javier Zanetti in questa iniziativa? Spiega Giovanni Giorgetti, in un’intervista rilasciata a èTV
MARCHE, che per arrivare a contattare un personaggio del mondo del calcio così importante è stato
fondamentale l’aiuto di Andrea Carloni, noto giornalista a livello locale, che dall’alto della sua esperienza
ha presentato la questione a suoi colleghi della Gazzetta dello Sport, riuscendo così, tramite la fondazione
Pupi, a centrare l’obiettivo.
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“Un calcio all’indifferenza da ragazzi che ci mettono il cuore”.
Questo, lo slogan scelto come
presentazione dell’evento, tanto
brillante quanto vero, capace di
condensare in una proposizione tutta
la carica evocativa di quel valore che
sempre più frequentemente sentiamo
dire essersi estinto: la solidarietà,
parola che in sole undici lettere
racchiude in sé un grande significato,
rappresenta un valore degno di essere
coltivato. Mostrare solidarietà verso gli
altri vuol dire partecipare ai problemi
di chi fa parte della nostra comunità e,
in senso più ampio, significa sentire un
legame affettivo altruistico che ci
unisce ai nostri simili. Essere solidali
significa, quindi, sacrificare anima e
corpo per aiutare un determinato
gruppo di persone e battersi, non per il
bene personale, ma per quello di tutta
la società. Se venisse a mancare
questo spirito solidale, ognuno
rimarrebbe chiuso nel proprio egoismo
e non sarebbe possibile alcuna
convivenza. Il Trofeo del Cuore “F.
Frezzotti” è qualcosa di più di una
semplice partita di calcio: è una sfida
all’indifferenza. Rappresenta
l’impegno, la forza di volontà e
l’altruismo dei ragazzi del XXI secolo,
troppo spesso presi di mira dalle
vecchie generazioni e inquadrati come
“nullafacenti”. I ragazzi dei Licei di
Ancona si sono dati da fare e hanno
voluto coinvolgere tutta la città << in
un momento come questo, in cui
sembra che ognuno pensi a se stesso
>>, come afferma Fiorello Gramillano,
ex sindaco di Ancona. Loro ce l’hanno
messa tutta, adesso tocca a noi.
Rubrica a cura di:
Matteo Schiavoni
Con la collaborazione di:
Federico Lorenzoni, Prof.ssa Nadia Cantori
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È possibile guardare indietro nel tempo?
Sì, e lo facciamo spesso. A quanti di noi non è mai capitato di alzare gli occhi al cielo per vedere le stelle? Ebbene, quanto stiamo per dire vi stupirà. Secondo la fisica elementare, le immagini che percepiamo, attraverso un processo cerebrale stimolato dai fotorecettori della retina, sono prodotte dai raggi luminosi provenienti dall'oggetto stesso. Ma la luce, per arrivare ai nostri occhi, impiega comunque un certo tempo, che dipende dalla distanza interposta tra noi e l'oggetto in
esame. Gli astri, nel caso particolare, sono posti ad anni-luce di distanza: ciò implica che la radiazione luminosa pervenutaci ha impiegato un certo numero di anni prima di arrivare. Quindi, in accordo con la legge sovraesposta, le immagini dei corpi celesti che vediamo sono in realtà le immagini dello stesso corpo nel passato, più precisamente dello stesso numero di anni della sua distanza luce da noi. Per chiarire ulteriormente, supponiamo di osservare una stella distante 10 anni-luce: il puntino luminoso che vediamo in realtà è quella stessa stella come appariva 10 anni fa! Interessante, nevvero?
“Elisir di lunga vita: l’immortalità in provetta?”
Rughe e zampe di gallina, ecco il vero nemico dell’uomo. Per quanto strabilianti siano le potenzialità
umane, la nostra mortalità ci limita e ci condanna tutti alla stessa sorte. Ma se così non fosse? Fin
dall’antichità l’uomo ha cercato un modo per acquisire la vita eterna, fra alambicchi e calderoni ha
portato avanti il suo desiderio d’immortalità. Le scoperte odierne sembrano finalmente dare una risposta
alla domanda che ormai da troppo tempo ci poniamo: “è possibile conquistare la vita eterna?”. Ebbene sì,
la strada da fare è ancora lunga, ma gli scienziati sembrano aver ideato dei farmaci in grado di preservare
la nostra longevità. Alla base dei loro studi vi sono i telomeri, piccole porzioni di nucleotidi presenti nel DNA,
che si trovano alle estremità dei cromosomi. Ogni volta che il
nostro corredo genetico si replica, queste brevi sequenze si
accorciano, determinando, dopo un certo quantitativo di
duplicazioni, la morte delle cellula e, di conseguenza, il nostro
invecchiamento. Esiste però un enzima chiamato telomerasi
che ripristina la loro lunghezza originale conferendo la
replicazione illimitata e l’immortalità ad alcuni particolari tipi di
cellule, come quelle tumorali, riproduttive e staminali. I
ricercatori hanno così deciso di sfruttare l’enorme potenzialità
di questo enzima. Un esperimento significativo è stato condotto
dalla Harvard Medical School su dei topi da laboratorio, la cui telomerasi naturale è stata riattivata
comportando un recupero di alcune funzioni che i roditori avevano perso a causa dell’età avanzata,
come la crescita di neuroni o la possibilità di rigenerare tessuti danneggiati. Sembra perciò sempre più
prossima l’eventualità che questi processi di “ringiovanimento” possano portare altrettanti benefici
all’uomo. Un’altra soluzione promettente risultano essere gli antiossidanti, molecole in grado di ridurre lo
sviluppo di radicali liberi, ossia capaci di arrestare l’accumulo di sostanze nocive per il nostro organismo a
causa della loro azione ossidante. L’Elysium Healt, una startup statunitense, ha già messo sul mercato il
‘Basis’ al prezzo di 60 dollari; non è allettante l’idea di poter trovare nella farmacia di fiducia l’immortalità
racchiusa in una provetta? Insomma, le vie intraprese sono molteplici e i risultati incoraggianti, ora non
resta che confidare ancora una volta nei prodigi della scienza.
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Ci sono teorie per una colonizzazione del Sistema Solare? Ormai si sa, la Terra sta diventando troppo piccola. Ma non temete, tra non molto potrete scegliere una nuovissima meta esotica dove vivere: Marte. Questo progetto ha sempre entusiasmato la maggior parte degli astronomi di tutto il mondo e finalmente siamo vicini alla sua realizzazione. I 100 volontari sono stati già scelti e non partiranno prima del 2026. Ma questo è solo il primo passo. Si pensa già a traguardi molto più lontani, come Europa (una luna di Giove) o Titano (una luna di Saturno), che sarebbero ottimi candidati ad ospitare la vita. Ma con quali parametri si scelgono i pianeti abitabili? Innanzitutto, devono rientrare nella cosiddetta “zona abitabile” della rispettiva stella. Se troppo vicino o troppo lontano, il pianeta avrà rispettivamente una temperatura media troppo elevata o troppo bassa. Il requisito seguente è la massa: un pianeta piccolo non riuscirà ad avere un’atmosfera grande a causa della sua ridotta forza di gravità; inoltre, è necessaria la presenza di elementi metallici nel proprio nucleo, affinché favoriscano la creazione di un campo magnetico planetario necessario alla difesa dai forti venti solari. Infine, gli ultimi due aspetti da tenere in considerazione sono l’orbita e la geochimica: per la prima, l’eccentricità deve essere bassa, al fine di evitare forti sbalzi termici, periodi giorno-notte troppo lunghi e stagioni non equilibrate; per la seconda, il pianeta deve possedere le molecole base per la vita: azoto, carbonio, idrogeno e ossigeno, così che si organizzino in proteine, amminoacidi e altri composti organici necessari per i processi vitali. Credete ancora che sia cosi facile trovare la vita? Noi no. Ma per fortuna l’uomo ha saputo adattarsi ad ogni clima presente sulla Terra, quindi, teoricamente, un’avventura extraplanetaria non dovrebbe essere tanto diversa…
A cosa è dovuto il singhiozzo? Da dove viene?
Scienziati a livello internazionale ne hanno studiato l’origine per anni. Due le principali ipotesi, entrambe sorprendenti. Una parte dei ricercatori ha elaborato la tesi secondo la quale il singhiozzo non sia altro che una peculiare eredità lasciataci dai nostri antenati. Prima di evolverci in mammiferi infatti facevamo parte della classe degli anfibi, di cui, secondo uno studio pubblicato sulla rivista “BioEssays”, abbiamo mantenuto il circuito cerebrale che impediva all’acqua di entrare nei polmoni.
Escludendo in parte l’ipotesi del residuo evolutivo, l’altra schiera di
ricercatori si sente di affermare che sia un meccanismo di difesa del
feto, il quale evita l’inalazione di liquido amniotico e
contemporaneamente allena il nascituro alla respirazione extrauterina.
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Che cosa c’è di chiaro sulla materia oscura? Ben poco, purtroppo. Dopotutto, non a caso è stata chiamata “oscura”. Provate a immaginare di sommare la massa di tutti i pianeti, di tutte le stelle, di tutto ciò che vedete nello spazio: non avrete altro che il 4% di tutta la massa dell’universo. Dov’è il resto? Beh, è oscuro. Oscuro nel vero senso della parola, in quanto invisibile, irrintracciabile e immateriale. Possiamo infatti stimare che almeno un 25% sia formato da un qualcosa che gli esperti chiamano “Materia Oscura”, mentre il restante 70% da “Energia Oscura”. Siamo a conoscenza della loro presenza grazie alle forze
gravitazionali. Prendiamo come esempio una classica galassia a spirale, come la nostra Via Lattea: pur non possedendo nessuna conoscenza fisica, si può ben intuire che le stelle più esterne dovrebbero girare più lentamente intorno al centro rispetto a quelle più vicine. Tuttavia, esse girano alla stessa velocità di quelle più interne. Ciò significa che una parte della loro forza gravitazionale è generata da una massa supplementare che non vediamo. E’, quindi, come se ogni galassia fosse “immersa” in una specie di bolla di Materia Oscura, che ne determina la solida struttura e le sue dinamiche. Solo recentemente si sono compiuti i primi passi verso questa misteriosa branca della fisica, grazie allo sviluppo di particolari “mappe” che la mettono in luce per la prima volta ai nostri occhi. Magari, chi lo sa, questa misteriosa Materia potrebbe contenere la chiave dell’origine e della fine dell’universo, ma, almeno per ora, è un oceano troppo vasto da esplorare.
Possiamo dormire al caldo senza accendere i termosifoni?
In una normale notte d’inverno è impossibile dormire alle bassissime
temperature ambientali. Abbiamo tutti bisogno di una fonte di calore come il
termosifone. Questo infatti, ha la funzione di scaldare un ambiente quando la
temperatura è bassa. Dunque, in una stanza sprovvista di questo oggetto, sarà
indubbiamente difficile potersi riscaldare e, di conseguenza, riuscire a
prendere sonno. In realtà non proprio… Il corpo umano infatti, è una centrale
energetica che sfrutta l’energia emessa da esso stesso,sotto forma di calore. Quindi, se pensiamo al calore
come energia e convertiamo le calorie in watt si può determinare che un uomo a riposo, per esempio, produce
circa 100 watt, ossia, il necessario per alimentare una potente lampadina. Purtroppo però questa resa
energetica non basterà mai a riscaldare il nostro organismo. Tuttavia un corpo sotto sforzo durante un’attività
fisica intensa come la lotta ad esempio, fornisce tanta energia quanto quella sufficiente ad accendere un phon.
E’ dunque il phon la soluzione vincente? Chi riuscirebbe a dormire con tutto il rumore che
fa? Per scaldare una stanza di 60 metri cubi occorre soltanto il calore di tre persone che
danzano o praticano attività fisica. Tuttavia se non si vogliono ballerini in stanza mentre
si dorme, può essere una soluzione alternativa un pigiama party: dodici persone che
dormono, sprigionano tanto calore da tenere costante la temperatura di 20 gradi
centigradi in una fredda notte invernale.
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Possiamo salvarci dall’Alzheimer? "Stavo pensando a quel caldo pomeriggio di luglio trascorso con mio fratello sul melo del giardino della nostra casa di
campagna. E ora blackout. Non ricordo perché sono venuto qua."
Perdita della memoria a breve termine, disorientamento, cambiamenti repentini di umore, depressione, problemi comportamentali,
afasia, distruzione delle capacità cognitive. Sono i sintomi della malattia di Alzheimer-Perusini, o più semplicemente morbo di
Alzheimer. Questa è una forma di demenza degenerativa che ha solitamente il suo esordio in età presenile (65 anni). Secondo gli
studi condotti fino ad ora, le responsabili di questa malattia sono alcune particolari proteine apparentemente innocenti, le Beta-
Amiloidi. Esse nascono in forma di singole molecole, ma tendono ad aggregarsi in ammassi che, essendo resistenti e solubili in
acqua, possono muoversi nel cervello e alterare, in questo modo, la comunicazione tra le sinapsi; solo successivamente si
formano le placche che si osservano post mortem, ritenute una causa determinante del peggioramento della malattia. Il peptide
betaamiloide ha origine dall'APP (Amyloid Precursor Protein), una proteina collocata sulla membrana delle cellule dei reni, della
milza, del cuore e del cervello. Essa è codificata in un gene situato sul cromosoma 21. Alcuni ricercatori dell’Ospedale Pediatrico
“Bambino Gesù” hanno rilevato che tale proteina (in particolare la “beta 42 amiloide”) è particolarmente presente nei bambini e
negli adolescenti obesi, i quali sono più a rischio per quanto riguarda l’insorgenza della malattia in questione. Non ci è noto il
meccanismo con cui la proteina danneggia le sinapsi, perciò il processo è ancora
considerato irreversibile e non curabile. Ancora oggi gli scienziati non sanno l’esatta
relazione tra le placche e l’Alzheimer; tuttavia, si è visto che alcune sostanze usate per i
trattamenti anticancro sono in grado di ridurre la quantità delle Beta-Amilodi nel cervello.
Ciò dimostra che la meta è ancora lontana, ma, forse, non irraggiungibile; con l'avanzare
delle tecniche e delle conoscenze e grazie all'impegno dei migliori scienziati renderemo
visibile il punto d'arrivo. Non sentiremo più parlare di mali incurabili e di blackout, ma solo
di speranza, salute e vita.
A cosa potrebbero servire i raggi Gamma?
Sicuramente potrebbero avere applicazioni in campo medico, ma alcuni ritengono che costituiscano la chiave per la risoluzione degli enigmi sulle supernovae e sui buchi neri. Ma andiamo con calma: che cosa sono i raggi gamma? Insieme con le radiazioni alfa e beta, i raggi gamma costituiscono una radiazione elettro-magnetica causata dai processi atomici e subatomici degli atomi radioattivi. Tuttavia, a differenza dei raggi alfa e beta, che sono formati da particelle (2 neutroni e 2 protoni nel primo caso mentre un elettrone nel secondo), i raggi gamma sono
costituiti da pura e concentrata energia. Per questa ragione, penetrano molto più in fondo nella materia e in questo modo diventa più difficile schermare la loro radiazione. Ma tutto ciò ha anche un lato positivo: tale capacità di penetrazione potrebbe tornare utile per scansioni al corpo umano, sostituendo i raggi X che in rapporto nocività/informazioni ottenute soccombono di gran lunga ai raggi gamma. Inoltre, questi ultimi uccidono facilmente i batteri e ciò è fondamentale per tutti i meccanismi di sterilizzazione. Per quanto riguarda, infine, i loro possibili collegamenti nel campo astrofisico, in molti ritengono che si siano formati insieme al resto dei raggi cosmici nelle stelle, nei quasar o dalle novae e dalle supernovae. Al fine di poterli analizzare in maniera approfondita, molto recentemente è stato aperto il centro di ricerca HAWC in Messico, l’unico operativo 24 ore su 24, che forse ci fornirà più risposte al riguardo.
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SVEGLIARE I SONNAMBULI E’ PERICOLOSO?
(sonnambulo = somnus “sonno” e ambulare “camminare”)
Passeggiatina alle 3 di notte? Macché io dormo!
Vi sembrerà una cosa normale e scontata, eppure tutto è
concesso quando il protagonista è il nostro cervello.
È, difatti, il sonnambulismo a “perseguitarlo” anche quando è
passivamente avvolto nel dolce abbraccio di Morfeo.
Questo disturbo del sonno colpisce prevalentemente i
bambini dai 7 ai 12 anni con un’incidenza approssimativa del
30%, ed è solitamente indice di una difficoltà, di natura
psicologica, nell’elaborare le tensioni tipiche di questa
compianta età. Per i soggetti adulti, invece, le opinioni sulle
cause sono discordanti, anche se tecnicamente vi è una
ipereccitabilità della corteccia cerebrale che da un lato
impedisce il sonno profondo, e dall'altro mantiene attivi i
meccanismi di veglia e di sonno.
Quando? I fenomeni di sonnambulismo avvengono nella terza
o quarta fase del sonno non REM, e dunque nelle prime
due/tre ore di quiescenza. Nel caso in cui si verifichino episodi
durante la fase REM, non parleremmo più di sonnambulismo,
ma di RBD (REM Behaviour Disorder): Disturbo del
comportamento del sonno REM, e possibile indice di vere e
proprie patologie degenerative come il morbo di Parkinson o
la demenza. E ora la domanda più importante:
Svegliare un sonnambulo è davvero così pericoloso? Non proprio. La minaccia maggiore per i sonnambuli non
proviene da un risveglio brusco, ma da i danni che inconsciamente potrebbero procurarsi, di conseguenza è
importante prevenirlo; tuttavia, essendo confusi e potenzialmente aggressivi, è sempre meglio guidarli dolcemente
verso il loro letto.
Ed ora, per pura goliardia classicista ed in vena di citazioni storiche, vi lasciamo con le parole di Gesù di Nazareth:
“Alzati e cammina”.
Rubrica a cura di: Riccardo Belfiori, Irene Bolognini, Tommaso D’Alfonso, Ava Ghasemi, Gabriella Lopez, Gianmario Lupini, Pier Luigi Manfrini, Lavinia Radici, Martina Sordoni
Con la collaborazione di: Prof.ssa Nadia Cantori, Prof.ssa Donatella Bossoletti