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Avvenire - 13/07/2019 Pagina : A18 Copyright © Avvenire Settembre 19, 2019 11:15 am (GMT -2:00) Powered by TECNAVIA n mistero forse no, ma di sicu- ro quello dello pseudonimo è un bel pasticcio. Risale al 1966, quando Primo Levi decide di riunire in volume, aggiungendone di inediti, i rac- conti di fantascienza apparsi preceden- temente su quotidiani e riviste. Ne parla con la sua casa editrice, Einaudi, la stes- sa che nell’immediato dopoguerra ave- va rifiutato di pubblicare Se questo è un uomo, salvo poi ricredersi nel 1958, quan- do il libro viene finalmente proposto con il marchio dello Struzzo. E sempre da Ei- naudi esce, nel 1963, La tregua, che si ag- giudica la prima edizione del premio Campiello. Chiaro che un nuovo titolo di Levi interessa, solo che non è quello che ci si aspettava da lui. Non che i racconti siano brutti, per carità. Ma non sarà che i lettori, ormai abituati ad ascoltare la vo- ce del sopravvissuto di Auschwitz, reste- ranno sconcertati da queste pur affasci- nanti e inquietanti visioni di un futuro possibile? Nasce così l’ipotesi dello pseu- donimo. La caldeggia, con discreta bru- schezza, il potente direttore commercia- U le di Einaudi, Roberto Cerati. La accetta, in maniera niente affatto entusiastica, lo stes- so Levi, che per l’occasione escogita lo pseu- donimo di Damiano Malabaila, immagina- rio autore putativo di queste Storie naturali. Ci vorrà del tempo perché il nome di Levi ap- paia, nel 1979, sulla copertina del libro. Re- sta comunque l’ombra di una vicenda intri- cata e a tratti dolorosa, che soltanto adesso viene ricostruita nel dettaglio da Carlo Zan- da in Quando Primo Levi diventò il signor Malabaila (Neri Pozza, pagine 286, euro 13,50). Si tratta di un informatissimo repor- tage letterario, che non si limita a soddisfare curiosità peraltro legittime, come quella re- lativa all’origine dello pseudonimo, ma ri- compone un quadro molto più ampio, nel quale rientra fra l’altro l’imbarazzo che la ri- chiesta di non ricorrere al proprio nome po- teva causare a chi, come Levi, era già stato ri- dotto a numero dalla crudele burocrazia del lager. Il tentativo di ricostruire le ragioni del- l’editore (pochi anni prima, nel 1961, uno dei successi di casa Einaudi era stato Il segreto, firmato da un "«Anonimo Triestino» non del tutto imperscrutabile) va di pari passo con la rivendicazione dell’importanza che Storie naturali riveste all’interno dell’opera di Le- vi, specie per quanto riguarda il passaggio dallo stato di testimone a quello di scrittore d’invenzione. E Malabaila? Da dove arriva quel cognome un po’ bizzarro? Dall’insegna di un elettrauto che il chimico Levi vedeva o- gni giorno in corso Giulio Cesare, mentre an- dava verso la sua fabbrica di Settimo Torine- se. Un’altra officina, come quella che il libro di Zanda aiuta a esplorare. Alessandro Zaccuri © RIPRODUZIONE RISERVATA Storia di uno pseudonimo poco amato IL SAGGIO Un reportage letterario di Carlo Zanda ricostruisce la vicenda di “Storie naturali”, la raccolta di racconti fantascientifici che Levi pubblicò nel 1966 adoperando il nome di Damiano Malabaila

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Avvenire - 13/07/2019 Pagina : A18

Copyright © AvvenireSettembre 19, 2019 11:15 am (GMT -2:00) Powered by TECNAVIA

AGORAcultura religioni scienzatecnologiatempo liberospettacoli sport

Parla Ernesto Ferrero, che dell’autore di “Se questo è un uomo” fu amico

e compagno di molte vicende editoriali:«Non era affatto un nichilista,

tanto meno un catastrofistaLa metafisica, per lui, consisteva

nel confronto con l’infinitamente grande e con l’infinitamente piccolo»

FERDINANDO CAMON

ento anni fa, il 31 luglio 1919,nasceva Primo Levi, lo scrittoreitaliano del Novecento che tutti, nel

mondo, devono aver letto. Nessuno dovevauscire dal secolo scorso senza aver letto Sequesto è un uomo e I sommersi e i salvati.Sono la testimonianza e l’analisi dellamassima colpa del secolo, anzi delmillennio, anzi della storia. Eppure PrimoLevi non fu capito quando consegnò ilmanoscritto del suo primo libro, che infattifu rifiutato, è storia risaputa, ma non fucapito neanche dopo, per tanti decenni,visto che nessuna storia della letteratura loincludeva, e questo è meno saputo. C’erauna storia diffusissima, nei licei e nelleuniversità, ed era quella di NatalinoSapegno, che era giunta alla 43esimaedizione e di Primo Levi non mettevaneanche il nome. Scrissi un articolo propriosu questa dimenticanza, e lo mandai aSapegno. Nell’edizione successiva PrimoLevi c’era con queste parole: «È lo scrittoreitaliano più importante del secolo». Sonod’accordo. Cento anni fa nasceva dunque loscrittore italiano più importante del secolo.Dove sta la sua grandezza? Sta nell’avervissuto in prima persona e osservato edescritto la massima colpa della storia nonal grado massimo in cui si verificava, ma algrado massimo in cui era ricordabile eraccontabile. Un altro passo, e anche Levi,come molti altri, non avrebbe ricordato enon avrebbe scritto. Mi vien sempre inmente che un redattore della rivista diSartre, Les Temps Modernes, ha incontratoalcuni superstiti dello Sterminio, li hainterrogati e filmati, ma quelli che hanvissuto la violenza al grado più alto nonrispondono, ma piangono e si torcono. Sonomuti. Levi parla. Con precisione, conlucidità, con verità. Con uno stile classico. Isuoi libri sono un atto d’accusa freddo einflessibile. Contro la cultura razzista, ilregime razzista, il progetto della SoluzioneFinale, l’attuazione di quel progetto, ilnazismo. È la Storia del Male, che ha comemotore il Führer. Ho incontrato più voltePrimo Levi, ne ho ricavato un librino ches’intitola Conversazione con Primo Levi, nelquale c’è anche un doloroso scontro tra Levie me, e lo scontro riguarda il colpevole diquel Male. Levi aveva una concezionepersonalistica della Storia, la Storia la fannoi grandi, che sono il vento che scuote ilmare, sul quale i popoli galleggiano. Non eroe non sono d’accordo. La Storia la facciamonoi, noi popolo. Dopo la morte di Primosono usciti due libri che rafforzano ildisaccordo, e sono i libri di Goldhagen, Ivolonterosi carnefici di Hitler, e di Hillberg,La distruzione degli ebrei d’Europa. Questilibri affermano la responsabilità collettiva.Che non vuol dire di tutti i membri delpopolo singolarmente presi, ma della massa,c’è una responsabilità di massa, la massaobbediva agli ordini ma li precedeva anche,e li aspettava. Questa tesi è confortante perchi insegna, chi scrive, chi parla, perché glifa capire che c’è un tempo per l’intervento el’opposizione, ed è il tempo in cui possiamoagire su di noi. Non si può dire che Hitlerabbia tradito tutti e non avesse dettocos’avrebbe fatto, perché il Mein Kampf èchiarissimo, invaderò a est, caccerò popoli,sterminerò razze. Il programma era chiaro. Ilibri di Levi raccontano l’attuazione di quelprogramma. Non la spiegazione. Nel MeinKampf gli ebrei hanno tutte le colpe ingenerale, ma nessuna in particolare.Quando Primo si trova vis-à-vis conl’ufficiale tedesco che gli fa l’esame percapire se è un chimico, perché se è unchimico va in laboratorio e sta meglio, i duesi guardano da vicino, e Levi immagina chel’altro pensi di lui così: «Questo qualcosa difronte a me merita certamente di morire, maprima vediamo se contiene qualcosa diutile». Il posto in cui si osserva se icondannati a morire portano qualcosa diutile è il lager. L’immensa macchina del maledescritta da Levi serviva a tre cose: punire,produrre, eliminare. È un mondo senza Dio,in cui si sente fortissima l’esigenza di Dio. Lasentiva anche Levi? Dò uno sguardo ai sitiche parlano della morte di Levi e provodolore. Molti dicono «suicida», ma il suicidioè il rifiuto della vita, Levi è morto di sabato eil martedì dopo a me è arrivata una sualettera, piena di progetti e di speranze. Sem’è arrivata di martedì, l’ha imbucata ilsabato, e non è possibile che uno imbuchiuna lettera piena di vita, poi va a casa e sibutta giù. La mia conversazione con lui siconclude con la sua frase: «C’è Auschwitz,dunque non può esserci Dio», però dopo luiha aggiunto due righe con la biro: «Nontrovo una soluzione al dilemma. La cerco,ma non la trovo», e mi pare evidente chevolesse tenere aperta la questione, «Nontrovo Dio ma lo cerco». Chiudere la suabiografia con «era ateo» significa nonrispettarlo. Rispettiamolo. È il nostro piùgrande autore del secolo.© RIPRODUZIONE RISERVATA

C

Fu il più grande E non smise di interrogarsi

Cade il 31 luglio il centenariodella nascita di Primo Levi, il grande scrittore torineseche ha legato il suo nomealla testimonianza sui lager.Nella ricorrenza pubblichiamouna serie di interviste ai più accreditati studiosidella sua opera, ritenutacentrale per l’intero Novecento

ALESSANDRO ZACCURI

a tregua di Primo Levi fu ilprimo libro che il giovaneErnesto Ferrero si trovò

sulla scrivania nel 1963, appenaassunto all’ufficio stampa Einau-di. Era l’avvio di un’avventura poiculminata, da lì a qualche mese,nella vittoria al premio Campiel-lo. Ed era, più che altro, l’inizio diuna lunga amicizia, che si è e-spressa anche in quella che, pa-rafrasando Contini, si potrebbedefinire una lunga fedeltà criticaed editoriale. Di Levi, negli anni,Ferrero ha curato antologie e bio-grafie, per Levi ha stilato prefa-zioni e cronologie. Anche nel suolibro di memorie prevalente-mente – ma non esclusivamente– einaudiane, I migliori anni del-la nostra vita, la figura di Levi ri-corre a più riprese, in un continuoalternarsi di situazioni pubblichee private. Se gli si chiede quellache più gli è rimasta impressa,Ferrero (storico direttore del Sa-lone del Libro di Torino scrittorea sua volta: ha vinto lo Strega nel2000, a settembre uscirà da Ei-naudi il nuovo Francesco e il Sul-tano) non ha esitazioni. «La caviadi peluche», dice.Scusi?È il regalo che Levi portò a mia fi-glia Chiara, che allora era unabambina, l’unica volta che riu-scimmo ad averlo a cena da noi.Una scelta che a me sembrò e con-tinua a sembrare magnifica. Vole-va dirle non solo che lui era statala cavia del più mostruoso esperi-mento mai realizzato dall’uomo,l’annientamento della personalitàprima dell’eliminazione fisica, maanche che ogni essere vivente, an-che il più umile, è degno di curio-sità e di attenzione, può esserefonte di meraviglia. Levi era noto per il suo carattereriservato, mite…Per la sua sensibilità e delicatez-za, aggiungo. Era la summa dellequalità che ci auguriamo di tro-vare in un amico. A volte ti veni-va da domandarti se era propriovero. C’erano in lui una disponi-bilità, una modestia persino ec-cessiva. Senza volerlo, ha finitoper avvalorare l’immagine delloscrittore della domenica, del chi-mico che si dedica alla letteratu-ra nel tempo libero, mentre era unprofessionista fatto e finito, che siera costruito un lessico raffinato,di una estensione eccezionale.Proprio per eccesso di riserbo nonè mai stato un buon promotoredi se stesso. Poi per fortuna è ar-rivato il riconoscimento interna-zionale…Si riferisce alla famosa intervistaraccolta da Philip Roth nel 1986per il “New York Times”?Sì, prima l’apprezzamento di SaulBellow per Il sistema periodico, poil’incontro con Roth a Torino. Li hoportati a cena al Cambio, c’era an-che Claire Bloom, allora moglie diRoth. Forse è stato l’ultimo mo-mento di felicità, per Primo. Per e-

L

ducazione e temperamento nonamava mettersi in mostra. Eramolto restio alla componente diprotagonismo ed esibizionismoimplicita in ogni presa di posizio-ne pubblica. All’occorrenza, però,era capace di esprimersi con e-strema chiarezza e perfino condurezza, come quando condannòil Governo israeliano per Sabra eChatila. Nonostante questo, il suoideale di vita non era certo quel-lo del tribuno. Conduceva una vi-ta appartata, divisa tra la casa, l’uf-ficio e amici fidati, con cui condi-videre la passione per la monta-gna, ma gli piaceva ascoltare e rac-contare. Mai una parola di trop-po, anche nel rapporto con l’edi-

tore. In Einaudi quello che ri-guardava Levi viaggiava di normasul filo dell’implicito, anche per-ché i suoi manoscritti erano im-peccabili. Non c’era nemmeno u-na virgola da toccare.

Ma così non si correva il perico-lo dell’incomprensione?Ce ne furono, inutile negarlo. Lapiù grave riguardò i racconti diStorie naturali, per i quali nel 1966gli fu consigliato di adottare unopseudonimo. Fu una ferita ancheil rifiuto delle poesie di Ad ora in-certa, che poi approdarono daGarzanti nel 1984. E sì che diecianni prima, nel 1975, era uscito Ilsistema periodico.Perché considera tanto impor-tante quel libro ?Perché dimostrava, senza ombradi dubbio, che Levi era uno scrit-tore: un grandissimo scrittore, an-zi. Personalmente resto convintoche lo sarebbe diventato comun-que, anche senza l’esperienza tra-gica di Auschwitz, dove è andatocon proprio con l’occhio delloscrittore. Sappiamo che l’idea diCarbonio, il geniale racconto chechiude il libro, era maturato neglianni del liceo. È il documento diun’attitudine irripetibile, graziealla quale una capillare cono-scenza scientifica (Carbonio,com’è noto, è il resoconto dellemetamorfosi di un singolo atomonel tempo e nello spazio) si orga-nizza in scrittura, con un esitonuovo e sorprendente. Ma non vasottovalutata la sua inesauribile edivertita curiosità linguistica, adesempio per la capacità di ripro-durre le cadenze del dialetto in Lachiave a stella. Era anche un di-vulgatore di eccezionale efficacia,come dimostrano le ancora ine-dite Lettere scientifiche a una gen-tile signora, nelle quali spiegavale leggi della fisica attraverso gliavvenimenti minuti della vitaquotidiana. Lo dico con convin-zione: in Levi non ci sono opereminori, ogni testo è di una com-

piutezza ammirevole. Profondo egradevolissimo.Ma lei avrà qualche preferenza,no?Sono molto legato a I sommersi ei salvati, un libro fondamentaleper comprendere non solo Au-schwitz, non solo il Novecentonella sua interezza, ma più in ge-nerale il funzionamento delle so-cietà umane. In quel 1986 ero tor-nato in via Biancamano con ilruolo di direttore editoriale. L’Ei-naudi era appena uscita dal com-missariamento, aveva bisogno diritrovare la sua identità. Ed eccoche un giorno Levi arriva con que-sto manoscritto. Mi sono prestoaccorto che era il risultato di unariflessione maturata per qua-rant’anni. Un approfondimentocondotto con un rigore estremo,anche verso se stesso, e con unalucidità implacabile, anche versouna certa retorica della memoria.I ricordi, sosteneva Levi, non ci re-stituiscono mai un’immagine e-satta del passato e di conseguen-za devono essere sempre messi indubbio, verificati, interpretati.Levi era veramente un antimeta-fisico, come è stato sostenuto?Lui stesso ha detto che aveva il«senso oceanico» del mistero, chesi esprimeva in uno stupore rive-rente davanti alle meraviglie delcosmo. Non era affatto un nichi-lista, tanto meno un catastrofista.Fino alla fine, ha dato credito al-l’homo faber, che combina disa-stri ma poi riesce a trovare un ri-medio. La metafisica, per lui, con-sisteva nella continua tensionedella ricerca, nel confronto conl’infinitamente grande e l’infini-tamente piccolo.

(1. Continua)© RIPRODUZIONE RISERVATA

n mistero forse no, ma di sicu-ro quello dello pseudonimo èun bel pasticcio. Risale al 1966,

quando Primo Levi decide di riunire involume, aggiungendone di inediti, i rac-conti di fantascienza apparsi preceden-temente su quotidiani e riviste. Ne parlacon la sua casa editrice, Einaudi, la stes-sa che nell’immediato dopoguerra ave-va rifiutato di pubblicare Se questo è unuomo, salvo poi ricredersi nel 1958, quan-do il libro viene finalmente proposto conil marchio dello Struzzo. E sempre da Ei-naudi esce, nel 1963, La tregua, che si ag-giudica la prima edizione del premioCampiello. Chiaro che un nuovo titolo diLevi interessa, solo che non è quello checi si aspettava da lui. Non che i raccontisiano brutti, per carità. Ma non sarà chei lettori, ormai abituati ad ascoltare la vo-ce del sopravvissuto di Auschwitz, reste-ranno sconcertati da queste pur affasci-nanti e inquietanti visioni di un futuropossibile? Nasce così l’ipotesi dello pseu-donimo. La caldeggia, con discreta bru-schezza, il potente direttore commercia-

U le di Einaudi, Roberto Cerati. La accetta, inmaniera niente affatto entusiastica, lo stes-so Levi, che per l’occasione escogita lo pseu-donimo di Damiano Malabaila, immagina-rio autore putativo di queste Storie naturali. Ci vorrà del tempo perché il nome di Levi ap-paia, nel 1979, sulla copertina del libro. Re-sta comunque l’ombra di una vicenda intri-cata e a tratti dolorosa, che soltanto adessoviene ricostruita nel dettaglio da Carlo Zan-da in Quando Primo Levi diventò il signorMalabaila (Neri Pozza, pagine 286, euro13,50). Si tratta di un informatissimo repor-

tage letterario, che non si limita a soddisfarecuriosità peraltro legittime, come quella re-lativa all’origine dello pseudonimo, ma ri-compone un quadro molto più ampio, nelquale rientra fra l’altro l’imbarazzo che la ri-chiesta di non ricorrere al proprio nome po-teva causare a chi, come Levi, era già stato ri-dotto a numero dalla crudele burocrazia dellager. Il tentativo di ricostruire le ragioni del-l’editore (pochi anni prima, nel 1961, uno deisuccessi di casa Einaudi era stato Il segreto,firmato da un "«Anonimo Triestino» non deltutto imperscrutabile) va di pari passo con larivendicazione dell’importanza che Storienaturali riveste all’interno dell’opera di Le-vi, specie per quanto riguarda il passaggiodallo stato di testimone a quello di scrittored’invenzione. E Malabaila? Da dove arrivaquel cognome un po’ bizzarro? Dall’insegnadi un elettrauto che il chimico Levi vedeva o-gni giorno in corso Giulio Cesare, mentre an-dava verso la sua fabbrica di Settimo Torine-se. Un’altra officina, come quella che il librodi Zanda aiuta a esplorare.

Alessandro Zaccuri© RIPRODUZIONE RISERVATA

ELZEVIROSabato 13 luglio 2019

Politically correct, sociologi sotto scacco 20Batelaan, la guerra spiegata ai bambini 21

Milva, ottant’anni da diva 21Mondiali pallanuoto, parla il ct Felugo 22

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IO Il senso di Primo Leviper i misteri del cosmo

Storia di uno pseudonimo poco amato

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GIO Un reportage letterario

di Carlo Zanda ricostruisce la vicenda di “Storie naturali”, la raccolta di racconti fantascientifici che Levi pubblicò nel 1966 adoperando il nome di Damiano Malabaila

Ernesto Ferrero

Lo scrittore Primo Levi (31 luglio 1919 – 11 aprile 1987)

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CULTURA&[email protected]

Era l’agosto del 1966 quandoPrimo Levi incontrò il signorDamiano Malabaila: unincontro indesiderato e nonprivo di sofferenze.

«Per Primo Levi adottareuno pseudonimo, significò uno scippodell’identità, che si sommava al dramma diun uomo a cui era già stata negata unavolta, quando i nazisti - la cui logica eraridurre gli uomini a cose - gli tatuarono sulbraccio il numero 174.517 che sostituiva ilsuo nome». Quel nevralgico periodo dellavita dello scrittore è stato ricostruito dalgiornalista e saggista Carlo Zanda in«Quando Primo Levi diventò il signorMalabaila» (Neri Pozza, 288 pp., 13 euro)colmando così una lacuna della suabiografia. Sopravvissuto ai campidi sterminio nazisti, Primo Levi,nato cent’anni fa a Torino, il 31luglio 1919 (e scomparso l’11aprile 1987), nel 1966 era unoscrittore affermato e untestimone della Shoah, che avevaraccontato in due libri diventatidei long seller, e poi film espettacoli teatrali. Il primo, «Sequesto è un uomo», pubblicato da unpiccolo editore nel 1947 e poi ripreso daEinaudi (che inizialmente l’aveva rifiutato)nel 1958, ne aveva fatto un autore di culto,dal quale attingere la realtà d’una tragediache non doveva essere dimenticata. Colsecondo, «La tregua» (Einaudi) nel 1963vinse il premio Campiello (lo rivincerà nel1982 con «Se non ora quando»),imponendosi come grande scrittore. Con iracconti di «Storie naturali» - terzo librodella ventina che ha scritto, dei quali siricordano «La chiave a stella», premioStrega nel 1979, e «I sommersi e i salvati» -cambiò registro, ma l’editore pensò che iltestimone di uno dei peggiori criminidell’umanità, non poteva scindersi dal suopassato. E spuntò l’idea dello pseudonimo.I racconti di natura fantascientifica(Élemire Zolla definì Levi un «profeta della

realtà virtuale») sembravano inadatti allasua figura di "intruso" nella letteratura, ecosì Primo Levi firmò il libro comeDamiano Malabaila. Una costrizione perlui, ma anche una sorta di liberazione:significava accantonare almeno per un po’il ruolo di testimone della Shoah. Abbiamointervistato Carlo Zanda che afferma: «Conquesto libro ho voluto aprire una porta chesinora è stata chiusa, e mi auguro che altridocumenti e testimonianze vengano fuori.Ho voluto rompere un conformismostratificato».

Furono i dirigenti Einaudi a farepressione per l’uso dello pseudonimo?

Il dott. Roberto Cerati, dirigentedell’Einaudi, esercitò una forte pressionepsicologica per indurlo a usare unopseudonimo. In sostanza gli disse che conquei racconti non l’avrebbero preso sulserio, che il libro non avrebbe venduto e lacasa editrice poteva avere dei danni. Glifecero intendere che lui valeva come

scrittore-testimone di ciò cheaveva vissuto ad Auschwitz. Permolto tempo è circolata una forteambiguità intorno alla vicenda,perché in varie interviste Levi si èassunto la responsabilità dellascelta, ma questo non è vero. Leintenzioni della casa editriceappaiono chiaramente dallalettera di Cerati che ho riprodotto

integralmente nel libro.Perché accettò lo pseudonimo?Levi aveva un’intelligenza molto

sofisticata, ma era un uomo normale. Pensoche la perdita dell’identità in un’opera chelui riteneva strategica per la propriaesperienza esistenziale, sia stata untormento. Lo dice chiaramente in unalettera all’amica Luciana Nissim: «Se questolibro non avrà successo per me sarà la finedella parentesi letteraria».

Si dice che si piegò allo pseudonimoperché con «Storie naturali» volevatogliersi per sempre la casacca zebrata deldeportato...

Non fu così. Lo conferma latestimonianza di un’amica dell’Università,alla quale ventenne raccontò la trama diuno dei racconti di «Storie naturali». Leviera uno straordinario narratore con un

bisogno travolgente di raccontare: «Sequesto è un uomo» e «La tregua» nasconodai racconti fatti agli amici in treno perrecarsi al lavoro, e loro lo invitarono ascrivere. La sua vena narrativa è una doteche precede Auschwitz. Aveva unaparticolare passione per le storie di fantasia.

I contenuti dei racconti di «Storienaturali» precedevano i tempi?

È così: nei racconti c’è un’analisi molto inanticipo sui tempi delle gravi degenerazioniche avrebbero portato la tecnica e ilconsumismo. Quando Levi scrisse questiracconti - anni ’50 e ’60 - la societàindustrializzata cominciava a dettare imodelli di consumi, i comportamenti. Illager in fondo fu il primo esperimento sugrandissima scala di produzione di massa.Era organizzato come una grande industriamultinazionale con competenze, tempi equantità enormi di produzione. //

Primo Levi aveva un’attitudineletteraria fortissima e una grandecapacità narrativa, che si combinava

con i suoi interessi principali, che eranoscientifici. Gli sarebbe piaciuto fare loscienziato. Scrivendo racconti di fantascienza,non voleva negare la realtà di Auschwitz: iracconti di «Storie naturali» (1966) e di «Vizio diforma» (1971) erano frutto della suapreparazione scientifica, passione acquisitaattraverso gli scrittori che facevano parte dellabiblioteca del padre, grandissimo lettoremaanche uomomolto diverso dal figlio. Fu il padrea regalargli le prime collezioni di rivistescientifiche e ci sono diversi aneddoti sui suoiesperimenti di "piccolo chimico".

ELZEVIRO

Un saggioricostruiscele motivazioniche indusserola casa editricea «suggerirgli»lo pseudonimo

Carlo Zanda narra un episodio poco noto del grande autore di «Se questo è un uomo»

PRIMO LEVI, PER «STORIE NATURALI»PERSE IL NOME E DIVENNE MALABAILA

Nel centenariodellanascita.Primo Levi nacque a Torino il 31 luglio 1919

FrancescoMannoni

Scrittori Nel centenario della nascita, riemerge una storia risalente all’agosto del 1966

Non solo le vite illustri meritano biografie. Esistenzemarginali o dimenticate possono uscire dall’ombrase illuminate da una bella scrittura. Ed è quello cheha fatto Stefano Scanu, nel delizioso libro «Come

vedi avanzo un po’», appena pubblicato da Italo Svevo editore(75 pagine, 12,50 euro).

Al pari di Fortunato Arrighi - il protagonista d’uno dei suoi 15brevi racconti, diventato compilatore del Dizionario biograficodegli italiani dando così «finalmente sfogo alla sua insaziabilesete di esistenze» - lo scrittore romano recupera quegliscampoli di umanità finiti sul fondo d’un cassetto della Storia.Un campionario di uomini e donne realmente esistiti che nonsono stati investiti del privilegio d’una celebrità imperitura, mane hanno avuto solo il sogno temerario o l’illusione. Come il

sarto Franz Reichelt, che si cucì addosso l’azzardo del volo e sibruciò le ali lanciandosi dalla Tour Eiffel. O l’attrice PegEntwistle, divenuta presto «stella cadente», perché il registadel suo primo e ultimo film «la taglierà fuori dalla versionedefinitiva come fosse un fotogramma sfocato o di troppo».

Al contrario, i «frame» di esistenze, fermo immaginecatturati con finezza dalle pagine di Stefano Scanu, nondanno mai l’idea d’essere «di troppo».

Vite trascorse nell’anonimato, sprofondate nell’oblio odestinate alla marginalità. A volte, perché gregarie di altre chehanno conquistato la ribalta e la gloria. Come EugeneDeVerdi (al secolo Vincenzo Pelliccione), che somigliava aCharlie Chaplin e ne fu la controfigura e che poi, caduto indisgrazia, divenne tecnico delle luci, lui «uomo nell’ombra», e

si eclissò alla morte dell’attore-regista.Ogni vita ha tratti memorabili, aspetti traboccanti di

significato cui può attingere il pensiero collettivo. Sono bagliorid’ironia o di poesia che la riscattano dalla mortificantecondizione di ritaglio trascurabile d’una Storia di serie A.

Del resto, anche persone in apparenza anonime possonolasciare impressioni persistenti. Come Vera, custodedell’Hermitage anche durante l’assedio di Leningrado, quandotutte le tele erano state messe in salvo a Mosca. Al ritorno degliufficiali russi, Vera li accompagnerà nelle sale, evocando leopere dalle cornici vuote con tale persuasiva precisione che ilcolonnello Pavel Melnikov lo racconterà alla moglie come se leavesse realmente viste. «Ma di Vera non riuscirà a ricordarenemmeno il nome».

Stefano Scanu recupera scampoli di umanità finiti sul fondo d’un cassetto della Storia nel delizioso «Come vedi avanzo un po’»

NON SOLO LE VITE ILLUSTRI MERITANO IL RACCONTO DI BIOGRAFIEPaolaBaratto

La passione scientificadi un vocato al narrare

36 Domenica 14 luglio 2019 · GIORNALE DI BRESCIA

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cultura

L’AUTORE DI “SE QUESTO È UN UOMO” FU COSTRETTO A “RIPERDERE” L’IDENTITÀ

Levi, il signor MalabailaEra l’agosto del 1966 quando PrimoLevi incontrò il signor Damiano Ma-labaila: un incontro indesiderato e

non privo di sofferenze. «Per Primo Leviadottare uno pseudonimo, significò unoscippo dell’identità, che si sommava aldramma di un uomo a cui era già stata ne-gata una volta, quando i nazisti - la cui logi-ca era ridurre gli uomini a cose -, gli tatua-rono sul braccio il numero 174.517 che sosti-tuiva il suo nome».

Quel nevralgico periodo della vita delloscrittore è stato ricostruito dal giornalistae saggista Carlo Zanda in “Quando PrimoLevi diventò il signor Malabaila” (Neri Poz-za, 288 pagine, 13 euro).

Sopravvissuto ai lager nazisti, Primo Le-vi, nato cent’anni fa a Torino il 31 luglio1919, nel 1966 era uno scrittore affermatoe un testimone della Shoah, raccontato indue libri diventati dei long seller, e poi filme spettacoli teatrali. Il primo, “Se questo èun uomo”, pubblicato da un piccolo edito-re nel 1947 e poi ripreso da Einaudi (cheinizialmente l’aveva rifiutato) nel 1958, neaveva fatto un autore di culto. E poi “La tre-gua” (Einaudi) nel 1963 vincitore del Cam-piello. Con i racconti di “Storie naturali”,terzo libro della ventina scritti, cambiò re-gistro, ma l’editore pensò che il testimonedi uno dei peggiori crimini dell’umanità,non potesse scindersi dal suo passato.Spuntò così l’idea dello pseudonimo. I rac-conti di natura fantascientifica (ÉlemireZolla definì Levi un “profeta della realtàvirtuale”) sembravano inadatti, e così Pri-mo Levi firmò il libro come “Damiano Ma-labaila”. Una costrizione, ma anche unasorta di liberazione: significava accanto-nare almeno per un po’ il ruolo di testimo-ne dell’Olocausto. «Con questo libro - spie-ga Carlo Zanda - ho voluto aprire una por-ta chiusa e rompere un conformismo stra-tificato».

Furono i dirigenti Einaudi a fare pressione perl’uso dello pseudonimo?

«Roberto Cerati, dirigente Einaudi, eser-citò una forte pressione psicologica, docu-mentata in una lettera allegata al libro, perindurlo a usare uno pseudonimo. Gli disseche con quei racconti non l’avrebbero pre-so sul serio, che il libro non avrebbe ven-duto, e la casa editrice danneggiata. Gli fe-cero intendere che lui valeva come scrit-tore-testimone di Auschwitz. E Levi si as-sunse la responsabilità di una scelta nonsua».

Perché accettò lo pseudonimo?«Ho cercato di mettermi nei suoi panni e

credo che la perdita dell’identità in un’ope-ra che lui riteneva strategica per la propriaesperienza esistenziale, sia stato un tor-mento. Lo dice chiaramente in una letteraall’amica Luciana Nissim: “Se questo libronon avrà successo per me sarà la fine dellaparentesi letteraria”».

Si dice che accettò lo pseudonimo con “Storienaturali” perché voleva togliersi la casaccadel deportato?

«Non fu così. Lo conferma la testimonian-za di un’amica dell’Università alla quale,ventenne, raccontò la trama di uno dei rac-conti di “Storie naturali”. Levi aveva biso-gno di raccontare: “Se questo è un uomo”e “La tregua” nascono dai racconti fatti agliamici in treno mentre andavano al lavoro.La sua vena narrativa è una dote, una virtùche precede Auschwitz».

Chimico, scrittore e testimone della Shoah:era logorante essere tre distinte persone?

«No, non era logorante, anzi lui pensava

che fossero tre momenti indispensabili. Ilchimico ha a che fare con le particelle chevanno legate per dar luogo a entità nuove:le parole in fondo sono particelle che van-no giostrate. Levi scelse di studiare chimi-ca durante il fascismo, perché la facoltà glisembrò un’oasi di libertà dal regime».

I racconti fantascientifici erano un tradimen-to della Shoah?

«Questa critica è contenuta in uno scrit-to di amici deportati come lui, che lo accu-sarono di fuga dalla realtà, di tradimentodel ruolo di testimone».

I contenuti dei racconti di “Storie naturali”precedevano i tempi?

«Quando Levi scrisse questi racconti - an-ni ’50 e ’60 - la società industrializzata co-minciava a imporsi e a dettare i modelli diconsumi. Il discorso vale anche per il lagerche fu il primo esperimento su grandissi-ma scala di produzione di massa».

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Premiati Serra,Goddi e Guzzetti

Pubblico delle grandi occasionisabato notte a Sorradile per la ce-rimonia del Premio “Lago Omo-deo-Noi sardi nel mondo” promos-so dal Comune. Tre i premiati perla quinta edizione: la giornalistaBarbara Serra, lo scienziato Ciria-co Goddi e il musicista-composi-tore Stefano Guzzetti. A loro lagiuria presieduta dal sindaco Pie-tro Arca e formata dai giornalistiAntonio Masala ed Enrico Cartaha deciso di assegnare il premio.La serata si è aperta con una sfi-lata di moda. In passerella lecreazioni delle sorelle Piredda diCagliari. Quindi si è entrati nel vi-vo della manifestazione presenta-ta dalla giornalista IncoronataBoccia. I premiati si sono alternatisul palco nonostante la pioggia.«Dedico questo premio a mia mo-glie: se non fosse stato per lei ogginon sarei qui», ha detto Guzzetti.E ha proseguito: «Ho iniziato asuonare da bambino: sognavo difare l’organettista nella chiesa diSelargius. È bello essere ricono-sciuti per una persona che portain giro per il mondo la cultura sar-da». Un salto tra infanzia e adole-scenza anche per Ciriaco Goddi:«Al liceo scientifico di Bitti il pro-fessore di fisica mi consigliò un li-bro sull’origine dell’universo: vole-vo diventare astrofisico. La lezio-ne di mio padre camionista mi èservita per impegnarmi al massi-mo e questo premio è un onore:testimonia che gli anni all’esterohanno dato frutti. Quando lascia-mo l’Isola speriamo sempre di ot-tenere dei risultati da riportarecasa e di non essere dimenticati».«Vi ho portato la pioggia dall’In-ghilterra», ha scherzato BarbaraSerra. Poi parole di riflessione sul-le donne: «L’Italia non è in una bel-la situazione, la lista globale perla parità di genere la vede più vici-na al Qatar, paese islamico, chenon alla Spagna». E poi parole sulsuo lavoro: «È importante andarein altre parti del mondo per capirele dinamiche, ma farlo con lamente aperta». (alessia orbana)

Carlo Zandasvela i retroscenache precedetterola pubblicazionedi Storie Naturali

����INCHIESTAIl giornalistaCarlo Zandaha colmatouna lacuna e ricostruitoil delicatopassaggiodella vitadi PrimoLevi,nato aTorinoil 31 luglio di 100 anni fa

����CERIMONIASabato a Sorradileil sindaco Pietro Arcahaconsegnatoil premioa BarbaraSerra,CiriacoGoddie StefanoGuzzetti(Foto AlessiaOrbana)

� di Francesco Mannoni

LL’’UUNNIIOONNEE SSAARRDDAAVI Lunedì 29 luglio 2019

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Culturae Spettacoli

Francesco Mannoni

Era l’agostodel1966quandoPri-mo Levi incontrò il signor Da-miano Malabaila: un incontroindesideratoenonprivodisof-ferenze.

«Per Primo Levi adottareunopseudonimo,significòunoscip-po dell’identità, che si sommava aldrammadiunuomoacuieragiàsta-tanegataunavolta,quandoinazisti-la cui logica era ridurre gli uomini acose-,gli tatuaronosulbraccioilnu-mero174.517chesostituivailsuono-me». Quel nevralgico periodo dellavita dello scrittore è stato ricostruitodal giornalista e saggista Carlo Zan-dainQuandoPrimoLevidiventòilsi-gnor Malabaila (Neri Pozza, 288 pa-gine, 13 euro) colmando così una la-cunadellasuabiografia.

Sopravvissuto ai campi di stermi-nionazisti,PrimoLevi,natocent’an-ni fa a Torino, il 31 luglio 1919 (èscomparso l’11 aprile 1987), nel 1966eraunoscrittoreaffermatoeuntesti-monedellaShoahcheavevaraccon-tatoinduelibridiventatidei longsel-ler, e poi film e spettacoli teatrali. Ilprimo, Se questo è un uomo, pubbli-cato da un piccolo editore nel 1947 epoi ripreso da Einaudi (che inizial-mente l’aveva rifiutato) nel 1958, neaveva fatto un autore di culto dalquale attingere la realtà d’una trage-dia che non doveva essere dimenti-cata. Col secondo, La tregua (Einau-di) nel 1963 vinse il premio Campiel-lo (lo rivincerà nel 1982 con Se nonora quando), imponendosi comegrande scrittore. Con i racconti diStorienaturali - terzolibrodellaven-tina che ha scritto dei quali si ricor-dano La chiave a stella, premio Stre-ga nel 1979, e I sommersi e i salvati –cambiò registro, ma l’editore pensòche il testimone di uno dei peggioricrimini dell’umanità, non potevascindersi dal suo passato. E spuntòl’ideadellopseudonimo.

I racconti di natura fantascientifi-ca(ÉlemireZolladefinìLeviun«pro-fetadellarealtàvirtuale»)sembrava-no inadatti alla sua figura di «intru-so»nellaletteratura,ecosìPrimoLe-vifirmòil librocome«DamianoMa-labaila». Una costrizione per lui, ma

anche una sorta di liberazione: si-gnificava accantonare almeno perun po’ il ruolo di testimone dellaShoh.SpiegaZanda:«Conquestoli-bro ho voluto aprire una porta chesinora è stata chiusa, e mi auguroche altri documenti e testimonian-zevenganofuori.Hovolutorompe-reunconformismostratificato».

Furono i dirigenti Einaudi a fa-re pressione per l’uso dello pseu-donimo?

«IldottorRobertoCerati,dirigen-te dell’Einaudi, esercitò una fortepressione psicologica per indurlo ausare uno pseudonimo. In sostan-za gli disse che con quei raccontinonl’avrebberopresosulserio,cheillibrononavrebbevendutoelaca-sa editrice poteva avere dei danni.Gli fecero intendere che lui valevacomescrittore-testimonediciòcheaveva vissuto ad Auschwitz. Permolto tempo è circolata una forte

ambiguità intorno alla vicenda, per-chéinvarieintervisteLevisièassun-to la responsabilità della scelta, maquestonon è vero. Le intenzioni del-la casa editrice appaiono chiara-mente dalla lettera di Cerati che horiprodottointegralmentenellibro».

Perchéaccettòlopseudonimo?«Leviavevaun’intelligenzamolto

sofisticata, ma era un uomo norma-le.Scrivendohocercatodimetterminei suoi panni perché penso che laperdita dell’identità in un’opera chelui riteneva strategica per la propriaesperienza esistenziale, sia stato untormento. Lo dice chiaramente inuna lettera all’amica Luciana Nis-sim: “Se questo libro non avrà suc-cessopermesaràlafinedellaparen-tesiletteraria”».

Si dice che si piegò allo pseudo-nimoperchécon«Storienaturali»voleva togliersi per sempre la ca-saccazebratadeldeportato?

«Nonfucosì.Loconfermalatesti-monianzadiun’amicadell’universi-tà alla quale ventenne raccontò latrama di uno dei racconti di Storienaturali. Levi era uno straordinarionarratoreconunbisognotravolgen-tediraccontare:SequestoèunuomoeLatreguanasconodairaccontifattiagliamiciintrenoperrecarsiallavo-ro, e loro lo invitarono a scrivere. Lasua vena narrativa è una dote, unavirtù che precede Auschwitz e la ca-sacca zebrata. Aveva una particola-repassioneperlestoriedifantasia».

I contenuti dei racconti di «Sto-rie naturali», precedevano i tem-pi?

«È così: nei racconti c’è un’analisimoltoinanticiposuitempidellegra-videgenerazionicheavrebberopor-tato la tecnica e il consumismo.Quando Levi scrisse questi racconti– anni ’50 e ’60 – lasocietà industria-lizzatacominciavaa imporsieadet-tare anche i modelli di consumi, icomportamenti.Questodiscorsova-le anche per il lager che fu il primoesperimento su grandissima scaladiproduzionedimassa.Eraorganiz-zato come una grande industriamultinazionale con le competenze,tempi e quantità enormi di produ-zione».

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M

CARLO ZANDAQuando Primo Levidiventòil signor MalabailaNERI POZZAPAGINE 288EURO 13

Giampaolo Porreca

D on Luigi, il suo posto al sole, avia Aniello Falcone, quasi an-golo Calata San Francesco, co-me si raccomanda nella topo-

nomastica dei radiotaxi, se lo è pre-parato anche stamattina. Di buonmattino, a fianco dell’edicola su-perstite per antonomasia, da unavita di «Mattino», prima che esor-dissero leedizioni localidei giorna-li nazionali, in quello spazio largodel marciapiede, don Luigi Castal-di, 85 anni e passa, anzi spassa, il fi-sico asciutto di chi non dà confi-denza all’abuso, si è ben dispostoancoralì.

Una sdraio non moderna, un«Panama» di paglia écru per pro-teggersi dall’incedere rovente di lu-glio, i pantaloni corti, una pipa diradica con il tabacco Skandina-vianappenamisturato...DonLuigiè lì, il carisma di uno scrutatore di

una Napoli che ha amato tanto eche-come noi-nonriconoscepiù.

Lui, il testimone, non il testimo-nial,diunaviaAnielloFalconecheera succursale elegante, da carroz-ze, del Vomero Vecchio, ed il suogarbato amarcord. Lui, un trascor-so da giardiniere e floricoltore, ve-dovo di donna Carmela Pastore, ecognato di don Salvatore. Lui ed ilsuo gesto con le mani ampio a trac-ciareun mappamondo alla napole-tana, «era tutto verde qui, vi ricor-date quello che teneva la pollicol-tura qui sotto?», sotto i giardinettidedicati a Nino Taranto, sul mar-ciapiede opposto al baretto dell’an-ticoAntonioSimeone.

Don Luigi è lì, non esce il matti-no senza di lui, lontano dal mare,con la sua virile asciutta abbronza-tura da guardiano del faro, da ge-niusloci,araccogliereisalutidegliamici passanti, dei passanti amici:Ciroilgiornalaio,Francoilgenero,

don Carmine, Augusto, Oreste,Diego, l’ingegnere, l’avvocato Bel-monte, non c’è più Eduardo Ponsi-glione, «e il professore Pomilio, velo ricordate ?». Ed è il suo dettato,la lezione di una villeggiatura bre-ve, due, tre ore al giorno di matti-

na,acentometridacasa.Quel suo posto privato, dove i vi-

gili urbani del pomeriggio non ose-ranno contestargli una occupazio-ne di suolo pubblico, una usuca-pione per diritto di cuore. «Che vo-lete, una vita qui, lo sapete che por-

tavo il latte a casa vostra, io, neglianni ‘50 ?». E questo forse lo sape-vamo, noi che il latte peraltro nonlo abbiamo mai amato. «Ma que-sta invece non la sapete, dottore,qui un tempo c’era la Trattoria deigarofani, qui, su questa discesa».Ed era la sorpresa eclatante di unaestate di strada, lontano dal mareed affollata di memoria estrema,con don Luigi. «Prima di D’Angeloe Le Arcate, prima del Vini e Cuci-na di Salvatore Pastore mio cogna-to, qui c’era la Trattoria dei Garofa-ni,echespettacolo...».

Ed in quella nuvola blu del ta-bacco di pipa, a crederci o no, eralo stesso sospeso incantesimo. ViaAniello Falcone, di buona grazia, aprendere e lasciare il sole come unpescatorediterra,donLuigiunpo’come De André, la pelle dorata el’anima bruna. Di mattino in matti-no, il corsivo di un buon ricordo,senza aspettare il tramonto, laTrattoria dei Garofani, per indica-re all’algido Bergman, tabaccoSkandinavian, dove fosse idealeunpostoperlefragole.

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«Sono stati dieci anni mera-vigliosi, insieme abbiamocostruito una famiglia bel-lissima e siamo stati feliciin modo indimenticabile».Eros Ramazzotti e MaricaPellegrinelli hanno annun-ciato con un comunicatovia Ansa, la fine del loromatrimonio: «Siamo tran-quilli nella nostra sceltacondivisa e continuerete avederci spesso insieme. Og-

gi i rapporti sono sereni,l’amore che è stato si è tra-sformato e rimane; il rispet-to e la stima reciproca re-stano e resteranno immuta-ti. Preghiamo tutti, soprat-tutto per la serenità dei no-stri figli, di rispettare la no-stra privacy, come si con-viene in questo momento diseparazione», si concludela nota.

Legati dal 2009, Eros (55

anni) e Marica (31) si eranoconosciuti sul palco dei«Wind music awards» dovela modella e attrice berga-masca, madrina della sera-ta, aveva premiato il can-tante, facendo scattare ilcolpo di fulmine. Poi la na-scita di Raffaela nel 2011, lenozze, blindatissime, cele-brate il 6 giugno 2014 conrito civile nella sala matri-moni di Palazzo Reale a Mi-

lano, prima dell’arrivo diGabrio Tullio, nel 2015.

Alle spalle Eros aveva ilmatrimonio con MichelleHunziker, celebrato conuna festa hollywoodiananel 1998 nel Castello Ode-scalchi di Bracciano e finitonel 2002, dal quale è nataAurora, che oggi ha 22 annied è un volto televisivo.

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Un saggio di Zanda spiega perché nel ‘66 firmò «Storie naturali» come Malabaila«Quei racconti cozzavano con la sua immagine di testimone di Auschwitz»

Levi e lo pseudonimoimposto dagli editori

I ricordi di don Luigi, il guardiano dell’edicola

«ERA TUTTO VERDE QUIVI RICORDATE?»AMARCORD MATTINIEROTRA I SALUTIDEGLI AMICI PASSANTIE AI PASSATI AMICI

«UN DIRIGENTE EINAUDIFECE PRESSIONEPER FARGLI ADOTTAREUN NOME DI FANTASIA:ALTRIMENTI, DISSE,NON AVREBBE VENDUTO»

IL SOPRAVVISSUTOA destra Primo Levilo scrittore, partigiano e chimiconato cento anni fa a TorinoSopra, il lager di Auschwitz,dove venne deportato

RACCONTI D’ESTATE85 ANNI, UN PANAMADI PAGLIA, CASTALDI«FA LA GUARDIA»AI GIORNALI E ALLEMEMORIE VOMERESI

Ramazzotti-Pellegrinelli: «Amore finito, siamo stati felici»

MA CR O

MISSIONE QUOTIDIANA Don Luigi Castaldi davanti all’edicolanapoletana di via Aniello Falcone