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Interessante inizia- tiva originale ideata da una coppia di coniugi pescaresi che creano un risto- rante all’insegna della “Tavola Ro- tonda” Il poeta abruzzese Dante Quaglietta, no- to concorrente e vin- citore di due edizioni del concorso lettera- rio nazionale “La Clessidra” per la se- zione poesia ha crea- to per il caratteristico ristorante un editto medioevale che recita così: “EDITTO: An- no Domini MMI Leo Signore delle terre del gusto custode della corona dei sapori Concetta Signora dei laghi del sorriso cu- stode del diadema dei profumi dispongono: ad ogni viandante che, esausto del pro- prio peregrinare, var- chi la soglia della TAVERNA DEL RE si proponga la magni- ficenza tutta dei sapo- ri, dei profumi dei vini di questa antica terra d’Abruzzo affin- chè a lungo si raccoti nelle contrade vicine e lontane della favola bella che generò liba- gioni regali “ Interes- sante e simpatico am- biente dal sapore me- dioevale accoglie gli avventori creando lo- ro, oltre che al ristoro del corpo, anche quel- lo dall’animo e della fantasia. Egidio Lisci LINK : www.ristorantelatavernadelre.com Nuemero 1 Leo Di Cristoforo e Concetta Mancini danno vita alla 'La taverna del Re' Data 01/08/2010 IL MEGLIO DI EPULAE NEWS Organo Ufficiale dell'Accademia Internazionale Epulae Epulae News Food and Wine Magazine Carloforte, la città del tonno di M. Liberto La città di Carloforte, con la sua importante manifestazione interna- zionale “Il Girotonno”, giunta nel 2010 all'otta- va edizione, si conferma la “capitale del maiale del mare”: sua maestà il ton- no. Se in altre parti, si “santifica il porco” Car- loforte ha tutte le preroga- tive per canonizzare il tonno, o se volete il “cavallo del mare”. “Il Girotonno”, a seconda degli anni può svolgersi nella settimana a cavallo tra fine maggio e i primi di giugno o nella prima decade di giugno. <<continua…>> SAPERI E SAPORI 2 NOTIZIE E RECENSIONI 2 CHIACCHERANDO DI GUSTO 2 IN GIRO PER RISTORANTI 3 ASSAGGI DI VINI 4 SAPERI E SAPORI 5 EVENTI 6 Sommario:

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Page 1: Epulae News

“Interessante inizia-tiva originale ideata da una coppia di coniugi pescaresi che creano un risto-rante all’insegna della “Tavola Ro-tonda” Il poeta abruzzese Dante Quaglietta, no-to concorrente e vin-citore di due edizioni del concorso lettera-rio nazionale “La Clessidra” per la se-zione poesia ha crea-to per il caratteristico ristorante un editto medioevale che recita così: “EDITTO: An-no Domini MMI Leo Signore delle terre del

gusto custode della corona dei sapori Concetta Signora dei laghi del sorriso cu-stode del diadema dei profumi dispongono: ad ogni viandante che, esausto del pro-prio peregrinare, var-chi la soglia della

TAVERNA DEL RE si proponga la magni-

ficenza tutta dei sapo-ri, dei profumi dei vini di questa antica terra d’Abruzzo affin-chè a lungo si raccoti

nelle contrade vicine e lontane della favola bella che generò liba-gioni regali “ Interes-sante e simpatico am-biente dal sapore me-dioevale accoglie gli avventori creando lo-ro, oltre che al ristoro del corpo, anche quel-lo dall’animo e della fantasia.

Egidio Lisci

LINK :

www.ristorantelatavernadelre.com

Nuemero 1

Leo Di Cristoforo e Concetta Mancini danno vita alla 'La taverna del Re'

Data 01/08/2010 IL MEGLIO DI

EPULAE NEWS Organo Ufficiale dell'Accademia Internazionale Epulae

Epul

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Carloforte, la città del tonno di M. Liberto

La città di Carloforte, con la sua importante manifestazione interna-zionale “Il Girotonno”, giunta nel 2010 all'otta-va edizione, si conferma la “capitale del maiale del mare”: sua maestà il ton-no. Se in altre parti, si “santifica il porco” Car-loforte ha tutte le preroga-

tive per canonizzare il tonno, o se volete il “cavallo del mare”. “Il Girotonno”, a seconda degli anni può svolgersi nella settimana a cavallo tra fine maggio e i primi di giugno o nella prima decade di giugno.

<<continua…>>

SAPERI E SAPORI 2

NOTIZIE E RECENSIONI 2

CHIACCHERANDO DI GUSTO 2

IN GIRO PER RISTORANTI 3

ASSAGGI DI VINI 4

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Sommario:

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La città di Carloforte, con la sua importante manifestazione interna-zionale “Il Girotonno”, giunta nel 2010 all'ottava edizione, si conferma la “capitale del maiale del mare”: sua maestà il tonno. Se in altre parti, si “santifica il porco” Car-loforte ha tutte le preroga-tive per canonizzare il tonno, o se volete il “cavallo del mare”. “Il Girotonno”, a seconda degli anni può svolgersi nella settimana a cavallo tra fine maggio e i primi di giugno o nella prima decade di giugno. In quei giorni, l’isola di San Pietro si allesti-sce a festa, e accoglie migliaia e mi-gliaia di visitatori desiderosi di cono-scere questo meraviglioso angolo del turismo internazionale. Carloforte si apre sul mare con una conformazione concava, due enormi braccia aperte, un modo curioso per stringere a se

l’ospite che arriva; insieme alla cor-dialità e all’ospitalità della gente è il miglior modo per far sentire a casa propria. La cittadina è il solo centro abitato dell’isola di San Pietro,

distante appena 10 km dalla costa sarda, e costituisce, insieme alla vicina Isola di Sant'Antioco, l'Arci-pelago del Sulcis-Iglesiente.

Carloforte, koinè della

cucina mediterranea

Raccontare la storia di un popolo attraverso la gastronomia è sem-pre il modo più curioso. Si riesce a capire meglio le gesta e le moti-vazioni che hanno determinato l’uso e le origini dei vari compo-nenti alimentari. Le varie pietan-ze riescono a raccontare la strati-ficazione storica delle varie popo-lazioni che si sono succedute. Piatti senza alternativa, obbligati, condannati ad esistere. San Pietro ha questa prerogativa, tra l’altro, le fonti di inquinamento sono state limitate e per certi versi la cucina è rimasta preservata per diversi secoli. La stratificazione culinaria è rap-presentata da una sovrapposizio-ne di cultura alimentare ligure-africano-sarda sintesi di una koi-nè gastronomica mediterranea

gine: la Liguria. Tra tutti pri-meggia il pesto che contraddi-stingue la cucina carlofortina. Il legame è mantenuto anche dalle focacce, dalla panissa e dalla fainè (farinata), piatti tra-dizionali la cui preparazione resiste esclusivamente nelle famiglie. Come nella buona tradizione mediterranea la pasta, fatta artigianalmente è sinonimo di goduria. Pasta essiccata di cui il popolo musulmano ha lasciato

Nelle terre magrebine il piatto veniva arricchito di carne di montone. Nel trapanese il cus cus viene preparato con il pesce e spesso con una spolverata di mandorle tostate, che si disco-sta con la tradizione africana. Pertanto, è da dedurre che i tabarchini non hanno mai avu-to forti legami con l’entroterra africano. Così come la lingua, la cucina tabarchina ha mantenuto un legame con la loro terra di ori-

la sua forte connotazione ga-stronomica.

sono rappresentate dai curzet-ti, dei maccaruin, dei raio, dei cassulli e delle trofiette.

na ha saputo trarre i migliori risultati agronomici. Una colti-vazione ortiva tipicamente me-diterranea: pomodoro, zucchi-ne, melanzane, ecc., piccole parcelle geometricamente per-fette capace di garantire la so-pravvivenza. Piccoli poderi consentono di coltivare diverse varietà di vite, tra le quali un vitigno autoctono il Ramungiò. Naturalmente, non mancano il fico, il ficodindia, pere, melo-grani, ecc. Predomina sia allo stato selvaggio che coltivato l’immancabile mediterraneo

ulivo, emblema anche dell’isola di S. Pietro. Il piatto che meraviglia è il noto cous cous, chiamato a Carlo-forte cascà, da notare che in tabarchino, con il termine cascà si indica sia la caratteristica pietanza, sia la cuscussiera o cuscussera, il recipiente in terracotta forellato che si utiliz-za per cuocere la semola a va-pore. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare il cascà viene preparato con le verdure degli orti, come nell’isola di Pantelleria.

Una cucina condizionata da prodotti che l’isola stessa pote-va produrre. La mancanza di torrenti o corsi fluviali, nei se-coli, ha spinto la popolazione ad una parsimoniosa economia di acqua utilizzando cisterne e pozzi che sicuramente avranno condizionato l’agricoltura rap-presentata da piccoli orti a con-duzione esclusivamente familia-re, giardini che dovevano essere preservati dai venti dominanti e coltivati con tecniche di arido-coltura. Ma in quei fazzoletti di terra la popolazione carloforti-

Carloforte, la città del tonno di Mario Liberto

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Fogge di pasta che si accostano con tutti i vari condimenti che l’isola poteva offrire: salsa di pomodori, nero di seppia o il “nazionalissimo” pesto. La caponata tabarchina, *cappunadda, è analoga a quella delle isole Eolie (Sicilia). La qualcosa fa pensare che il contatto avuto con qualche rais abbia lasciato sull’isola un usanza della caponata eoliana. Le differenze riguardano la sostituzio-ne delle gallette con il pane raffermo abbrusto-lito e l’assenza del tonno essiccato. Il mare a volte unisce anche i gusti. A bobba richiama il prestigioso maccu siciliano, ma anche mediterraneo. Qualunque sia il modo di chiamarlo, sempre fave secche sono. È una classi-ca minestra di fave essiccate

fatta cucinare lentamente con-dita con aglio, qualche costa di sedano, carote finemente tritati il tutto condito con olio extra-vergine di oliva, da servire con

pasta oppure con fettine di pane tostato. Piatto tanto caro al prode Ercole, pare che la sua forza fosse attribuita a questa leguminosa. Fogge di pasta che si accostano con tutti i vari

condimenti che l’isola poteva offrire: salsa di pomodori, nero di seppia o il “nazionalissimo” pesto. La caponata tabarchina,

*cappunadda, è analoga a quella delle isole Eolie (Sicilia). La qualcosa fa pensare che il contatto avuto con qualche rais abbia lasciato sull’isola un usanza della capo-nata eoliana. Le differenze riguarda-no la sostituzione delle gallette con il pane raffermo ab-brustolito e l’assen-

za del tonno essiccato. Il mare a volte unisce anche i gusti. A bobba richiama il prestigioso maccu siciliano, ma anche mediterraneo.

Il tonno di San Pietro, si è sem-pre contraddistinto, sia sotto il profilo sensoriale, sia per l'eco-nomia di Carloforte è stato da sempre determinate creando lavoro stagionale a numerose famiglie e soprattutto opportu-nità di commercializzazione.

Il tonno arriva dall'Atlantico nel Mediterraneo seguendo l'istinto sessuale; alcuni tornano indietro dopo l'accoppiamento, altri seguono alcune correnti. I mari italiani sono ricchi di ac-ciughe, sardine, sgombri, cala-mari e totani, pesci ideali per il nutrimento del tonno. Le sue carni, ricche di lipidi, vengono utilizzate, quasi esclusivamente, nell'industria conserviera.

semplice, una delle più antiche della cucina tabarchina. Il pol-po tagliato a pezzetti viene fatto rosolare con l’aglio. Quando assume un bel colore rosso si aggiunge un mezzo bicchiere di vino e si fa evapo-rare. Il polpo viene ricoperto di acqua, salsa di pomodoro a piacere, con l’aggiunta di patate a tocchetti. A cottura completa-ta si condisce con un po’ d’olio e prezzemolo. Carloforte è legata a doppio filo con il ton-no. Di questo splendido anima-le, spesso associato al maiale, non si spreca nulla. Si deve ad Aristotele la spiegazione delle misteriose migrazioni dei bran-

chi di tonno. Il sistema di pe-sca, con le caratteristiche ton-nare, era conosciuta ai tempi degli Egizi e dei Fenici. Molte monete del tempo avevano le effigi del tonno come simbolo di prosperità. Sotto l’aspetto gastronomico, Archestrato informa che, già nel IV secolo a.C., il tonno veniva conservato sotto sale. Marziale, invece, ha dedicato al tonno un epigram-ma nel quale, in occasione dell'invito a cena dell'amico Toranio, dice di «accostare tonno a sottili fettine di uova sode».

Non ci dimentichiamo che S. Pietro è un’isola. Pertanto i pesci sono la parte più consi-stente della cucina carlofortina. Naturalmente primeggia il pe-sce azzurro che inconsapevol-mente si fregia dell’omega 3, una categoria di acidi grassi essenziali indispensabili per il corretto funzionamento dell'or-ganismo, suggeriti dalla medici-na moderna. Pesce fresco e salutare fatto di grigliate di ora-te, dentici, sarde, triglie e pesce spada. E’ ancora possibile gustare un vecchissimo piatto loca-le:purpu accummudau cue patatte (polpo in guazzetto con patate). Una ricetta molto

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Ma il tonno non è solo conser-va. A Carloforte, i modi di cot-tura del “maiale del mare” sono molteplici. Il classico piatto è alla brace con un intingolo di olio, aromi e acqua di mare. Disteso sulla brace riesce a conser-vare il profumo e il ricordo del mare. Altro piatto sopraffi-no è la bollita a sca-becciu alla carlofor-tina con un delizioso intingolo di pomodo-ro e alloro. Altri piatti ottimi e prelibati, ma sostanzialmente forti, sono i gurezi (l'esofago di ton-no) e il belu lo stomaco del tonno. Ottimi antipasti o insa-late si preparano con il tonno salato, tonnina, e la bottarga (le uova di tonno), il muscia-me (filetto di tonno), il co de tunnu (cuore). Il figatellu o

lattume, si utilizza per prepara-re gustosissime polpettine e prelibate frittelle. Non lasciate l’isola prima di avere assaggiato il tonno alla carlofortina. Do-

po aver fritto una fetta di ton-no, si versa in un tegame parte dell’olio extravergine di oliva utilizzato per la frittura ed inse-rire due spicchi d’aglio schiac-ciati. Quando diventano imbru-niti versate un bicchiere di vino bianco e lasciate evaporare.

Quindi aggiungete un cucchiaio di salsa di pomodoro e alcune foglie di alloro portando il tutto a cottura lentamente. Dulcis in fundo. I dolci accompa-gnano tutti i riti festosi.Fantine, cavagnetti, canestrelli e le lune sono i dolci strettamente legati alle feste di Natale, Pasqua e delle Palme, tutti realizzati con la pasta frolla. Il cibo da qualunque aspetto lo si affronti è un viaggio. A ritroso a riscoprire i vecchi profumi e sa-pori o in avanti riscoprendo cibi e cucine di altre culture. Insom-ma, nell’uno e nell’altro senso è sempre un viaggio. Carloforte può fregiarsi anche di questa prerogativa turistica enogastrono-mica.

Percorrendo il dedalo di viuzze e “caruggi o carrugi” si scopre l’identità di una comunità che a tutti i costi non vuole assoluta-mente essere seconda a nessu-no. Lo mostrano le loro donne, così austere, belle, intricanti, quelle donne-madri che per secoli hanno dato al mare figli, mariti, fratelli, consapevoli dei pericoli, ma sempre ed instan-cabilmente pronte a soffrire, resistere e procreare. Gli uomini al mare e le donnein

O Pàize O Pàize, ossia il paese, si ar-rampica su di un leggero pen-dio la cui sommità è sovrastata da quella che un tempo è stato un fortilizio che custodiva le prime anime che vennero ad abitare questa stupenda isola. La "Porta del Leone", così chia-mata per la scultura di una testa del re della foresta inserita nelle mura, richiama la forza del felino associata alla gente carlo-fortina.

campagna. Donne sempre in lotta a contendersi con il vento un fazzoletto di terra per ap-prontare il loro l’orto, elemento di sopravvivenza, prerogativa che solo un popolo isolano conosce, apprezza e condivide.

na ligure di Pegli e da alcuni paesi limitrofi, si insediarono sulla costa tunisina nell'isolotto di Tabarka nei pressi di Tunisi, trovando occupazione con la pesca del corallo e con il com-mercio marinaro. Dopo due secoli, nel 1738, la popolazione in preda ad una crisi economica e sociale, lasciarono la terra tabarkina per insediarsi nell’”isola degli sparvieri”, in prossimità della Sardegna, ri-battezzandola isola di San Pie-tro. Il primo nucleo abitativo prese il nome di Carloforte,

cioè, Forte di Carlo, ricono-scenza e fedeltà al re Carlo Emanuele e San Carlo Borro-meo, patrono della cittadina. Il nome dell'isola fu scelto come devozione della popolazione verso San Pietro, il quale, se-condo una leggenda, vi appro-dò nel 46 d.C. Carloforte, fu realizzata su progetto dell'archi-tetto piemontese Augusto de la Vallée.

L'isola di San Pietro, da sem-pre, ha rappresentato un punto d’approdo per le popolazioni mediterranee. I fenici la chia-marono "Enosim" o "Inosim", i greci "Hieracon Nesos" men-tre i romani "Accipitrum Insu-la" (Isola degli sparvieri, o dei falchi). San Pietro ha un passa-to curioso, singolare ed affasci-nate che ha inizio nel 1542, allorquando, a seguito della nobile famiglia dei Lomellini, casato genovese dedito ai traffi-ci, con a seguito un cospicuo numero di famiglie della cittadi-

La storia dei Liguri-Tabarki

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La “isolitudine” li ha forgiati riu-scendo perfino a modificare il loro DNA al punto di caratteriz-zare personalità capaci di affron-tare perfino la sorte con una di-gnità e coraggio tipico degli eroi. Basti pensare al loro peregrinare in un mare, che nonostante mani-festa amicizia, rasenta a volte la pazzia, mietendo vittime, ora unendo, ora dividendo legami, coscienze, culture e religioni. S. Pietro è un’isola nell’isola, dove le varie culture sono sedimentate: storia, archeologia, lingue, ali-mentazione, religione, fede, in-somma tutto ciò che fa parte del vissuto della koinè mediterranea. Armonia e disarmonia che si ma-nifesta nel loro dedalo di viuzze così strette da tendere una mano per avere complicità, amore, par-tecipazione, grovigli che servono per ripararsi dal freddo dal vento, dal caldo, ma anche dai nemici. Nonostante il sole arriva difficil-mente in questo labirinto, il calo-re della gente riesce inesorabile a riscaldarli ugualmente. Vicinato

fatto di scambi di necessità, di occhiate, di non segreti, di pre-giudizi, di paure, speranze, atte-se. Ogni casa con la propria identità, con il suo caratteristico odore, la sua conformazione, il

suo colore. Attraversando quelle stradine, anche a occhi chiusi, ogni uscio emana un odore, che rende riconoscibile, le case e le fami-glie che li abitano. Via Solferino, con il suo carat-teristico arco, come una pro-fonda ferita, taglia quasi a metà

l’intero abitato, congiungendo il mare con l’antica roccaforte che sovrastava il paese, di cui resta una curiosa cinta muraria, rifugio per una popolazione preda di pirati di ogni genere. Case, una volta di colore bian-co, oggi, per emulare la classe dominante, coloratissime , con gli infissi verdi, volte al mae-strale per convogliare quel l’ali-to di fresco che calma l’arsura del sole che quando si fa roven-te non perdona nessuno. In campagna, tetti rossi e inclinati con i prospetti bianchi: le ba-racche dei contadini. Il traghetto è l’unico modo per raggiungere Carloforte ed il maestrale e lo scirocco, che possono raggiungere velocità superiori ai 100 km/h, determi-nando impetuose, ne determi-nano l’attracco. Traghetti che non si fermano mai, anche di notte.

nell'industria conserviera. Il tonno di San Pietro, si è sem-

Il tonno arriva dall'Atlantico nel Mediterraneo seguendo l'istinto sessuale; alcuni tor-nano indietro dopo l'accop-piamento, altri seguono alcu-ne correnti. I mari italiani sono ricchi di acciughe, sar-dine, sgombri, calamari e totani, pesci ideali per il nu-trimento del tonno. Le sue carni, ricche di lipidi, vengono utilizzate, quasi esclusivamente,

pre contraddistinto, sia sotto il profilo sensoriale, sia per l'eco-nomia di Carloforte è stato da sempre determinate creando lavoro stagionale a numerose famiglie e soprattutto opportu-nità di commercializzazione.

ti piacevoli, attraverso i negozi di prodotti tipici, i caffè, i risto-ranti, insieme alla cordialità della gente regalano momenti di serenità. La marina è il luogo di sfogo della popolazione ta-barchina di Carloforte. Spazio per incontrarsi, confrontarsi, scontarsi, esibirsi, per ostentare, ecc. In questo sfavillare di colo-ri dei vari palazzi che si alterna-no, si evidenzia la “casa del proletariato” o Palassio, in stile liberty, ricordo della lega di resistenza dei battellieri contro i padroni delle miniere del Sulcis –Iglesiente. Imponente s’innal-za al cielo la statua di re Carlo Emanuele con un braccio spez-

zato ricordo di un rocambole-sco interramento della statua per salvarla dalle ire dei france-si. I loro monumenti, se pur semplici, raccontano la storia e il peregrinare di questo popolo. Il museo civico raccoglie i ma-nufatti di una popolazione che disperatamente ha dovuto im-porsi all’isola. Ogni attrezzo, ogni riferimento racconta una storia, se pur giovane, è sicura-mente intensa. Le tre chiese semplici e povere di opere arti-stiche sono viceversa dei veri monumenti della fede, poiché le loro immagini sacre così miracolose, sono servite a pre-servare l’intera popolazione dalle difficoltà quotidiane e dall’insidia del mare.

I segni della cultura carlo-fortina

Carloforte non ha mai tranciato il cordone ombelicale con la Liguria. Ogni cosa ne ricorda il legame: architettura, cultura, costumi, usi, alimentazione, ecc. O Pàize ammalia il visitatore con il suo assetto urbanistico tipico della cultura mediterra-nea, d’ispirazione araba. Il lun-gomare è il suo biglietto da visita. Alberi, fiori, coloratissimi palazzi, negozi, monumenti, insomma, il cuore pulsante dell’intera isola. In qualsiasi ora della giornata è pronta a farti compagnia regalandoti momen-

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La popolazione tabarchina ha guardato sempre al mare. La loro indole è marinara. Ricorda il piccolo “falco della regina”, che è presente e nidificante in una numerosa colonia, accura-tamente protetta dalle inacces-sibili e scoscese falesie costiere, che ha nella propria indole quella di emigrare così come la popolazione carlofortina che è dispersa in tutto il mondo. Anziani stanchi con le facce cotte dal sole e intagliate dalla fatica che come ferite mostrano i segni dell’isola, cresciuti a tonno salato, fagioli e cipolle con un pane tanto amaro che trova nelle gallette inzuppate nell’acqua di mare quella solu-zione per renderli commestibili. Gente stanca ma non rassegna-ta con la forza di convivere con l’isola.

Questo popolo ha saputo man-tenere inalterata la sua identità

attraverso l’uso della lingua. Un dialetto trasmesso dai loro avi liguri, che per il comune pas-saggio nell'isola tunisina di Ta-barka, è detto tabarchino. Un linguaggio che nel tempo si è arricchito di termini di cui la popolazione è venuta a contat-to. Nelle pause del lavoro e quando il vento decide di non far lasciare l’isola, allora il po-polo tabarchino mostra il lato curioso: fare "casdandra", fare festa. La rappresentazione co-reografia danzante del corteg-giamento verso l'amata, che, inizialmente timida e ritrosa, accetta poi la corte è uno di questi segni di appartenenza. Segno che si manifesta anche con la cantata di stornelli in tabarchino e i costumi tradizio-nali d’ispirazione marinara. Per molti le ricorrenze festose sono occasioni per sentirsi eroi. Un profuso entusiasmo e pas-

sione che manifesta nelle varie sagre e ricorrenze che si susse-guono nel corso dell’anno.

Non sono meno le feste religiose, un modo per raccomandarsi, ora alla Madonna dello schiavo, in ricordo d’aver ridato la libertà al popolo catturato da una masnada di barbareschi, o per affidare a S. Pietro, attraverso un percorso processionale forse unico, terra-mare, la cura materiale e spiritua-le delle circa seimila anime tabar-kine.

no. Dove il vento maestrale non arriva, la natura ha provve-duto a far crescere il pino d'a-leppo e il leccio. Gli amici della LIPU, conosci-tori dell’isola, riescono ad ac-compagnarti in escursioni dav-vero formidabili. La costa orientale, sulla quale si trova anche il porto di Carloforte, è invece bassa, pianeggiante e sabbiosa. Le antiche saline, in corso di recupero, vivono nu-merose colonie di uccelli acqua-

Il Mirto la fa da padrone sull’in-tera vegetazione accompagnato dal cisto, dal lentisco, del cor-bezzolo, e dal ginepro. Non manca la palma nana o la palma di San Pietro che per secoli è servita a creare, grazie a mani sapienti, una serie di suppellet-tili per alleviare e abbellire le case delle donne carlofortine. I terreni più aridi, rocciosi e im-pervi sono dominati dalla gari-ga, con specie come il rosmari-no selvatico, l'elicriso e l’origa-

tici, compresa una nutrita colo-nia di fenicotteri rosa. Comple-tano il meraviglioso panorama, due piccole isole, appartenenti territorialmente al comune di Carloforte, le isole dei Ratti e la Piana.

dal vento, forze della natura che sono riuscite a plasmare le rocce, ma non a piegare la po-polazione tabarchina. Grotte, insenature, falesie e piscine naturali con diverse piccole spiagge caratterizzano la costa occidentale dominata dal faro e radiofaro di Capo Sandalo che come un gigante buono avverte i naviganti dell’oscuro pericolo. Rocce scolpite dal vento e della salsedine che come in un pae-saggio lunare mostrano le biz-zarrie della natura. L’isola è dominata dai monti Guardia

dei Mori (211 m s.l.m.) e il Tor-toriso (208 m s.l.m.), i quali mostrano delle ferite provocate dalle cave che sono servite, per trovare la pietra per costruire le abitazioni, e per rubare terreno agricolo al vento e alla salsesidi-ne. L’altopiano che sovrasta il mare, caratterizzato da paesaggi mozzafiato, è ricoperto dalla tipica macchia mediterranea, che il vento ha modellato ine-sorabilmente.

Un museo a cielo aperto “dell’isola nell’isola”

E se non bastasse il museo a raccontare la storia dell’isola, basta seguire i pochi sentieri che intersecano il territorio per scoprire tutti gli angoli dei 51 km² (sesta isola italiana) per accorgerti che l’intero sistema faunistico, floristico e paesaggi-stico è un immenso museo a cielo aperto. Trentatré chilome-tri di costa dell'isola sono pre-valentemente rocciosi forte-mente modellati dalla salsedine, dalle acque del mare ma anche

Il tabarkino, identità di un popolo

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Un turismo ecosostenibile, “identitario e originale”

L’isola di S. Pietro è un’oasi dove il botanico, l’archeologo, lo stori-co, il naturalista, ecc. può trovare quegli elementi d’interesse, moti-vo per il quale, vale la pena visita-re. Un turismo moderno, ecoso-stenibile, basato “sull’identità e sull’originalità”. Un angolo di paradiso dove anco-ra il cuore pulsa sangue ligure-tabarchino capace di resistere all’onda d’urto della “globalizzazione turistica”, facen-do dell’isola un’oasi naturalistica e culturale di grande pregio. Per questo è necessaria un’ etnia determinata, capace di difendere quotidianamente la propria iden-tità, al punto di contrapporsi ca-parbiamente a tutti, compresa l’isola dei Sardi, ribattendo ironie e sottointesi che per secoli hanno alimentato e tengono viva la sto-ria e la cultura della popolazione carlofortina.

Mario Liberto

Visitate il sito www.girotonno.org

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