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Era uno splendido autunno… 1
Era uno splendido autunno… Era uno splendido autunno… la Campagna era veramente Amica.
Le castagne, le more, le noci, i fichi, erano ormai maturi al punto giusto.
I ricci avevano un gran daffàre. Ogni mattina uscivano dalla loro tana per
raccogliere semi, bacche, radici; costituivano la provvista per l’inverno, e
bisognava preparare anche le marmellate.
Il signor Riccio de’ Spinis
Viendalvulture era uscito di
buon mattino a raccogliere
un po’ di frutta con il figlio
Ricciodoro.
“Stammi vicino, e stai
attento a non perderti”, gli
disse mentre camminavano
lungo i vigneti pieni di succulenti grappoli d’uva.
Il piccolo Ricciodoro si rotolava sui chicchi che papà riccio faceva cadere
grazie all’abilità delle sue zampette. Sul dorso ne era così pieno da sembrare
un grappolo d’uva.
Furono raggiunti dalla signora
Coccinella, che esclamò:
“Stavo proprio cercando voi! Sono
molto indaffarata a causa di un
nugolo di afidi, gran pasticcioni. Mi
rovinano tutte le piante; sai quanto
ci tengo alle mie piante! Per non
parlare poi della signora Ragnoletti,
che tesse, tesse la sua bella
ragnatela e la stende ad asciugare
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sempre dove non dovrebbe.
Un giorno o l’altro ci finirò
dentro”.
“Suvvia, signora Coccinella”
rispose Riccio de’ Spinis
“faremo una riunione
speciale, anzi specialissima,
in Via Aglianico, alle sette di
mattina. Chiariremo cosa è
giusto o non giusto fare”.
“Bene, sarò puntuale.
Arrivederci”, disse Coccinella
andando via.
“Arrivederci signora Coccinella, a domani. Avviserò
afidi, ragno, ragnetti, api
e vespe!” rispose Riccio
de’ Spinis Viendalvulture.
Papà riccio si fermò preoccupato.
“Dove sei, Ricciodoro?!”.
Cerca di qua, cerca di là, non si trovava da nessuna parte, né tra l’erba alta,
né tra i cespugli. Papà riccio allora pensò che il suo piccolo fosse andato a
casa a gustarsi l’uva appena raccolta. Si avviò quindi verso casa per
controllare.
Dopo aver curiosato un po’, Ricciodoro si sdraiò ai piedi di un albero d’ulivo,
bello, dall’aspetto maestoso e con le foglie ora argentate, ora di un verde
cupo. I suoi frutti luccicavano al tocco magico dei raggi lucenti dell’amico
sole, come gioielli rari e preziosi.
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Decise di riposarsi giusto un momento, scrollandosi alcuni acini d’uva di
dosso e assaporandoli, e, nello stesso tempo, osservare questo strano
albero. Soprattutto si divertiva a seguire con lo sguardo la corteccia
contorta, dalla forma quasi umana.
“Sembri un contadino, sì, proprio
come quello laggiù” disse Ricciodoro
rivolgendosi all’ulivo e indicando un
contadino che zappettava
tutt’intorno ad un altro albero di
ulivo.
“Sembri… ma sembri pure un albero!
Certo che sei strano tu”.
Detto questo, lavò un acino d’uva in
due gocce di rugiada raccolta su un
filo d’erba, e, in un sol boccone,
assaporò la dolcezza di quella
meraviglia.
Dopo aver finito, decise di fare il
percorso a ritroso. Cominciò ad
annusare di qua e di là, ma il suo
fiuto non funzionava a dovere. Optò
allora per una soluzione poco
dignitosa per lui. Si rivolse all’albero d’ulivo urlando: “Hei, dei piani
superiori, puoi indicarmi la via per casetta mia? Credo di aver smarrito la
strada”.
“Hum, hum” borbottò l’albero d’ulivo “toc, toc, toc”, alcune olive si
staccarono dai rami lucenti e colpirono il piccolo Ricciodoro.
L’ulivo si contorse scricchiolando un po’, abbassandosi più che poteva,
stando attento alle sue drupe affinché non cadessero.
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Finalmente vide Ricciodoro, col suo bel musino all’insù, che lo guardava
speranzoso: “Toh! Guarda, il mio piccolo ospite che ha smarrito la strada”
disse l’albero d’ulivo “e che non sa chi sono io!”.
“E’ che sei strano, sei enorme. I tuoi frutti… posso assaggiarli?” chiese
Ricciodoro.
“Certo” rispose l’albero d’ulivo “ma nel modo giusto. Tu, mio giovane amico,
chi sei? Come ti chiami? Da dove vieni?”.
“Mi chiamo Ricciodoro Viendalvulture, terzo cucciolo di Riccio de’ Spinis
Viendalvulture e di mamma Ricciocucinaben. Vengo da un posto
meraviglioso, una terra antica, alle pendici di un vulcano, terra di buoni
odori, erbe profumate, acque cristalline… un paesaggio davvero mozzafiato!
Parlami un po’ di te, ora”.
“Certamente, mio piccolo amico”. Con malcelato orgoglio, l’ulivo si fece più
maestoso che mai, sembrando più rugoso e imponente, con le drupe che lo
adornavano come una corona piena di pietre preziose, verdi e nere, come
gemme rare. Si schiarì la voce e disse:
“Sono l’ulivo, il Signor Ivolulivo, extra perfino. Mi trovo su un’area protetta e
in questa zona sono il più anziano. Produco un olio che è tutta salute,
sicuro!”.
“Posso assaggiarlo anch’io?” chiese Ricciodoro.
“Certo che sì, mio piccolo amico. Ora però dovresti tornare nella tua tana, i
tuoi saranno in pensiero” rispose l’ulivo con dolcezza.
“Hai ragione, sì, sì, è meglio
che vada. Ti assicuro però
che tornerò presto a trovarti
con i miei fratelli e i miei
amici”.
“Ecco, tieni” continuò l’albero
“raccogli tutte le olive che
puoi, il tuo papà saprà come
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utilizzarle; un piccolo dono, ma tanto prezioso, vedrai”. E aggiunse “Segui
quel sentiero lungo i castagneti, non ti puoi sbagliare. Attento, fiuta e
riparati sempre al primo pericolo che incontri!”.
“Grazie, grazie ancora”.
Mentre ringraziava, Ricciodoro si rotolava per prendere, tra i suoi aculei di
riccio, quante più olive poteva. Dando un ultimo saluto, si avviò, lesto lesto,
per il sentiero indicatogli. Il sentiero era rassicurante, in fondo le castagne
erano un po’ come parenti, magari cugine alla lontana, per via del riccio che
le nascondeva.
“In natura un po’ le cose si somigliano” pensava Ricciodoro camminando “io
somiglio al riccio di castagna, il signor Ivolulivo ad una figura umana, quella
foglia che cade dall’albero, poi, sembra una farfalla…”.
* * *
Lisetta si avvicinò al frigorifero, che la guardava con aria invitante: era
l’unico in grado di poterla capire.
“Sei venuta di nuovo a trovarmi? Che piacere! Mangia pure tutto quello che
contengo, divora il burro, il ketchup, le uova, il budino al cioccolato, la
maionese, le bibite, quelle gassate che piacciono tanto a te. Vedrai che la
noia scappa via”.
“Veramente non dovrei!” rispose Lisetta, avvicinandosi ancora un pochino
allo sportello del suo amico frigo.
“Suvvia, non dire sciocchezze!” di rimando il frigo “Chi te lo impedisce?”.
“La mamma” stava per rispondere Lisetta, ma prima che le parole le
uscissero di bocca, la sua mano aveva già aperto lo sportello del frigorifero.
Che meraviglia! La mamma aveva fatto la spesa, e tutti gli scomparti erano
pieni dal primo all’ultimo.
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Sazia, Lisetta si lasciò cadere a peso morto sul divano, tra cuscini e briciole,
pensando ora alla nonna ora al desiderio di un cane, un gatto, un
passerottino magari, o meglio ancora una sorellina con cui giocare.
Intanto il suo pancino si agitava come una barchetta nella tempesta;
mancava ancora mezz’ora all’arrivo della nonna.
“Bene!” disse “Ora guardo la tivvù. Mi farò preparare un bel dolce al
cioccolato dalla nonna” pensò Lisetta, parlando col suo pancino, pieno di
tutto ciò che i suoi occhi avevano visto, che confermava con un sonoro rutto
di gradimento.
Ah! Come si stava bene con la pancia piena!
Lisetta si pizzicò i rotolini di ciccia, rotoli di grasso che si muovevano come
un canotto in balìa delle onde. Li tirò avanti e indietro come se fossero pasta
da pane.
Soddisfatta di sé, aspetto l’arrivo della nonna sdraiata davanti al televisore
guardando un cartone animato.
La nonna era molto gentile con lei. I suoi racconti rallegravano i lunghi
pomeriggi di solitudine e di noia.
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“Lisetta, dai un bacino alla nonna”, disse la nonna dopo essere entrata.
“Ciao, nonna!”, rispose Lisetta.
“La mamma non è ancora rientrata?” chiese la nonna “Hai finito di fare i
compiti?”.
“Compiti non ne ho, e… ho voglia di una merenda! Mi hai portato qualcosa di
buono? Patatine fritte, gomme da masticare o cioccolato con le sorpresine?”.
“No, niente di tutto questo!” rispose la nonna, e continuò “che ne dici di una
spremuta di sole e una fetta di pane abbrustolito con oro colato e cristalli di
luna?”. La nonna era in grado di farle mangiare tutto quello che voleva, ma
Lisetta avrebbe preferito un bella merendina… come quelle della pubblicità.
“Lisetta!”, chiamò la nonna “che ne dici, facciamo una bella passeggiata fino
a casa mia?”.
“Ma nonna! Ora c’è il cartone animato mio preferito, e poi ce n’è un altro e
un altro ancora! E inoltre la campagna non mi diverte!”.
“Suvvia, vedrai, fuori ci sono molte più cose animate, per dirla come te!
Lasceremo un biglietto scritto alla mamma. Lo leggerà di ritorno dal lavoro,
così passerai la notte da me. Cosa ne pensi?”.
“Grandioso, nonna! Potrò giocare con i tuoi gatti?” chiese la bimba.
“Sicuro”, rispose la nonna “l’importante è che non tiri più i baffi al povero
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Orazio il gatto e, soprattutto, non lo lanci contro il povero Polpetta il cane!”.
“Inteso, nonna, ormai sono cresciuta”.
“Mah!”. La nonna sorrise, ma in cuor suo temeva per il povero Orazio e il
tranquillo Polpetta.
Uscendo, Lisetta chiese alla nonna: “Portiamo con noi un sacchettino di
patatine fritte?”.
Rispose la nonna: “Al posto delle patatine ho con me un sacchetto di
castagne arrostite. Vedrai che buone che sono”.
Chiacchierando, si avviarono verso i campi, con le caldarroste ancora calde
tra le mani. La nonna le aveva avvolte con cura in un panno caldo di lana.
“Nonna” disse Lisetta “le castagne sono veramente buone, hanno un sapore
dolce… mmmmh… speciale direi! Hanno un nome?”.
“Vedi come la passeggiata ti fa bene?”, rispose la nonna “certo che hanno un
nome: Marroncino di Melfi. Sono buone anche per preparare i marrons
glacés. Vengono prodotte naturalmente, non
si concimano e non subiscono alcun
trattamento. Biologiche, insomma”.
“Biologiche?! Trattamenti?! … Che vuol dire,
nonna?”.
“Significa che sono prodotte senza utilizzare
sostanze chimiche, in maniera naturale, per
fortuna” spiegò la nonna.
“Sono veramente buone… buone… ancora una,
nonna!”.
La nonna l’accontentò, continuando: “Il
castagno un tempo veniva chiamato albero del
pane di montagna, così maestoso con la
chioma protesa verso il cielo. Veniva coltivato
per sfamare, riscaldare, costruire utensili.
Pensa ai calzoni che spesso ti preparo, ripieni
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di castagne, ceci lessati, zucchero, cannella. A proposito di dolci, sai cosa ho
comprato? Delle croccanti e profumatissime Mele dell’Alta Val d’Agri con cui
preparerò una buonissima torta! Sentirai che buon odore… e come ti
divertirai ad aiutarmi! Altro che tivvù”.
“E poi, nonna?” continuò eccitata Lisetta.
“Poi, ti insegnerò a legare tra loro i Peperoni di Senise e le Melanzane di
Rotonda, formando le tipiche serte”. Parlando, la nonna
sorrideva, divertita dallo sguardo incuriosito della nipotina.
“Capisco”, continuò la nonna “devi sapere che le serte non
sono altro che delle tipiche collane
ottenute legando questi ortaggi con uno
spago attraverso il peduncolo. Faremo a
gara a chi farà la serta più bella. Quando
avremo finito di prepararle, le
appenderemo per farle essiccare, così potremo gustare
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questi deliziosi ortaggi anche in inverno”.
* * *
Strada facendo incontrarono un piccolo e buffo riccio. Correva, un po’ si
fermava, si alzava sulle zampette, annusando di qua e di là. Sul dorso acini
d’uva e olive, turgide e lucenti.
“Toh! Guarda, un riccio, un cucciolo direi” notò la nonna.
“Non avevo mai visto un riccio, nonna. E’ proprio buffo! E’ pericoloso?”.
“No, no, macché! L’importante è lasciarlo andare. Sicuramente la sua tana è
laggiù, tra i vigneti. Lo sai, Lisetta, che quelle viti ci regalano l’ottimo vino a
Denominazione di Origine Controllata che beve papà, l’Aglianico del Vulture?
Sono dei vitigni tanto antichi che persino illustri poeti di un tempo lontano
ne cantarono le lodi”.
“Ad esempio?” chiese
Lisetta.
“Il poeta latino Orazio,
affascinato dai luoghi
della nostra terra e dal
nostro vino”.
“A p r o p o s i t o di
denominazioni, ricordo
che a scuola degli esperti
ci hanno spiegato cosa
sono. Sai nonna, oggi ne
abbiamo altre tre: il
Terre dell’Alta Val d’Agri
DOC, il Grottino di
Roccanova IGT e il
Basilicata IGT”.
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“C’è da esserne fieri!”, esclamò la nonna “il mio vicino di casa, il signor
Bevichetipassa, di Barile, ha un vigneto più bello di un giardino imperiale.
Per non parlare poi della cantina! Sai, bambina mia, che le cantine a Barile
sono caratteristiche, scavate nel tufo. Vengono chiamate, dagli abitanti,
sheshe. Il vino viene conservato in botti di rovere, com’è tradizione”.
“Che bel sole. Le fronde degli alberi sono belle e colorate”, notò la bimba.
Com’era bello passeggiare per quelle vie, con i raggi del sole che entravano
in tutte le case attraverso le finestre aperte.
Dopo un bel po’, arrivarono alla fattoria della nonna. Gli animali del cortile le
accolsero con un gran baccano, qua qua, coccodé, chicchirichì, miao miao,
bau bau, hoinc hoinc, e chi più ne ha più ne metta. Polpetta il cane le si
avvicinò, l’annusò e gli rimase accanto in attesa di coccole. Il resto degli
animali era come impazzito. Galline sopra le teste dei maialini, paperelle che
starnazzavano per un posto in prima fila, lì sul muretto, tra gerani e
rosmarino. I gatti, poi, come funamboli sul filo dello stendibiancheria,
mentre il bucato, steso al sole, si presentava ora… steso a terra, o meglio in
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balia di Orazio il gatto, che sembrava avercela soprattutto con la tovaglia
della nonna, ancora odorosa di buoni pranzetti. Si sa, i gatti adorano far
danni, soprattutto se sul capo hanno la tovaglia della nonna.
Di lì a poco si sentì suonare una campanella. Era il pastore Filiano detto il
Ricotta, con le sue pecore e le caprette dal titolo nobiliare DOP. Sfilavano
innanzi al cortile: uno spettacolo! Come soldati, una accanto all’altra, in fila
per tre, anzi per quattro addirittura. Gli agnellini, poi, de-li-zio-si,
zampettavano all’interno del gruppo in cerca
di un’ultima poppata.
La nonna scambiò quattro chiacchiere con il
signor Ricotta: “Buonasera signor Ricotta. Le
sue caprette hanno delle belle mammelle
piene di latte. Gentilmente, me ne potrebbe
mungere un po’… sa, per Lisetta, la mia
nipotina. In cambio le offro un barattolo di
marmellata di Fragole del Metapontino. So che i suoi ragazzi ne sono
ghiotti”.
“Sicuro!” disse il pastore
“piace anche a me. E poi,
come la prepara lei!”.
“Il merito non è mio”, disse
con modestia la nonna “ma
delle Fragole del Metapontino.
Me le faccio portare appena
sono mature, in primavera.
Sarà il luogo, sarà l’aria; il
fatto è che sono veramente
buone, un miracolo della
natura”.
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Lisetta, con l’acquolina in bocca, osservava il signor Ricotta mungere la
capretta Ginetta.
“Ginetta adora nutrirsi solo di germogli e foglioline giovani di alberelli e
cespugli”, diceva il pastore mungendo “mai col muso per terra! Per forza il
suo latte è così buono” continuò, porgendo il latte alla nonna in una ciotola.
Poi, rivoltosi a Lisetta, disse: “Assaggia
quanto è buono questo latte! Le mie
caprette e le mie pecorelle pascolano
proprio lì, alle pendici del Vulture, dove
l’erba è buona e l’ambiente
incontaminato”.
“Ma davvero tieni tutte queste pecorelle e
queste caprette solo per il latte? Sono così
tante!” osservò Lisetta.
“Certo che no” rispose il pastore “sono
così tante perché con il loro latte vengono
prodotti tanti buonissimi formaggi, tra cui
uno a Denominazione di Origine Protetta”.
“Quale?” chiese Lisetta sempre più
incuriosita, mentre il gatto Orazio si leccava i baffi dopo aver leccato sui
sassi le goccine di latte versato dalla capretta Ginetta.
“Il Pecorino di Filiano! Ma ricorda, piccola, che la nostra
Lucania ha un patrimonio davvero ricco di formaggi: il
Caciocavallo Silano DOP, il Canestrato di Moliterno
stagionato in fondaco, il Caciocavallo Podolico, il
Cacioricotta… e poi, tutti realizzati con attrezzi
tradizionali”.
“Tipo?” chiese la piccola.
“Il caccavo” rispose il pastore.
“Il caccavo? E cos’è?” di rimando Lisetta.
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“Una caldaia… una caldaia in rame per riscaldare il latte. Poi c’è il tino, un
contenitore in legno utilizzato per la coagulazione del latte. Il ruotolo o
scopolo, un attrezzo di legno utilizzato per rompere la cagliata, e le fiscelle,
contenitori per raccogliere la cagliata…”.
Nel frattempo, le caprette e le pecore, stanche di aspettare, incominciarono
a belare con sempre maggiore insistenza. Lisetta, la nonna e il pastore
Filiano detto il Ricotta si salutarono: “Arrivederci Lisetta, mi ha fatto davvero
piacere conoscerti. Se sei così interessata ai miei prodotti, perché non vieni
a farmi visita? Magari con i tuoi compagni di scuola! Vi farei vedere anche le
mie mucche al pascolo e assaggereste del buon formaggio, accompagnato
magari da una fetta di Pane di Matera! Ora debbo proprio andare”.
Con un lungo fischio, chiamò i suoi cani da gregge, che subito radunarono gli
animali per avviarli di buon ordine
verso l’ovile.
“Arrivederci!”.
“Arrivederci”, risposero Lisetta e la
nonna.
“Cos’ha di speciale questo Pane di
Matera, nonna?”.
“Intanto è un pane fatto di sola
semola. La crosta croccante
racchiude una mollica dorata e
morbida, dall’intenso profumo di grano. La fragranza ed il profumo sono
inconfondibili. Rimane morbido e saporito per diversi giorni. La qualità di
questo pane è insuperabile se la cottura viene effettuata in forno a pietra
utilizzando legna di quercia. Ricordo, da bambina, quanto mi piacesse
mordicchiarlo tutt’intorno, così buono ancora caldo; lo portavo a casa che ne
mancava sempre un pezzettino”.
“Ora, nonna, credo proprio di volerla una fettona di Pane di Matera con,
come tu dici, oro colato e cristalli di luna”.
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“Vado subito a prepararlo, piccola mia” rispose la nonna dolcemente,
rientrando in casa seguita dal gatto Orazio, che le si strusciava tra le
gambe, facendo le fusa e miagolando, pronto a ricevere coccole.
* * *
Intanto, il piccolo Ricciodoro era rientrato nella sua tana, accolto con grande
gioia dal papà, dalla mamma e dai fratellini. La gioia del ritorno si sostituì
alla preoccupazione di non ritrovare la via di casa.
Raccontò del bell’albero d’ulivo, saggio e imponente, di quanto somigliasse
ad un essere umano, e della bellezza della sua terra, di come il contadino ne
avesse cura.
“Sai, papà, quant’è generoso
l’albero d’ulivo, anzi, il signor
Ivolulivo: mi ha donato alcuni
dei suoi preziosi gioielli!
Guardate cosa vi ho portato”
disse Ricciodoro.
Papà e mamma riccio rimasero
di stucco per tanta generosità.
Non sapevano come sdebitarsi
verso quell’albero così buono,
umile anche nei confronti dei
piccoli animali. Bisognava
organizzare qualcosa di speciale,
anzi specialissimo. Quelle olive
erano veramente olive e non la
popò delle pecorelle che ogni volta quel furbacchione di Topone
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Lampascione gli portava in cambio del buon formaggio di Filiano. Mamma
Ricciocucinaben le andò subito a conservare tra le provviste per le occasioni
speciali, insieme alle buone marmellate che aveva preparato grazie ai
consigli della nonna di Lisetta, la quale, tanto cara, l’aveva ospitata nella
sua casa tempo addietro per curarle una zampetta rotta.
Erano giornate dense di preoccupazioni per papà riccio, ce n’erano di cose
da fare: la riunione con la signora Ragnoletti per risolvere il problema di
quegli afidi così noiosi ed invadenti, avvisare Filippa la vespa e l’Ape Tonia
del Dolcemiel ed ascoltare le giuste lamentele della signora Coccinella.
Inoltre, bisognava raccogliere le foglie secche per il giaciglio e le provviste
per l’inverno. E poi, come ringraziare l’albero d’ulivo per tanta generosità?
Pensa e ripensa, camminando avanti e indietro, non notò il fosso proprio
davanti alle sue zampette, e ci finì dentro. Subito si arrotolò su se stesso,
formando una palla, mentre i suoi aculei lo proteggevano da quella rovinosa
caduta. Patapumfete! Si scontrò con qualcosa di morbido.
“Hei! Vuoi stare un po’ più attento? Per chi mi hai preso, per un birillo?”,
esclamò compare Talpabuchi.
“E tu, invece, per una palla da bowling? Hoi-hoi!” rispose papà riccio.
“Questa voce la riconosco”, disse il signor Talpabuchi “tu sei compare Riccio
de’ Spinis Viendalvulture”.
“Già, e tu sei compare
Talpabuchi. Quanto tempo è
passato! Non hai perso
l’abitudine di fare ovunque
buchi e gallerie. Dovresti
mettere una segnaletica: un
fiorellino, un sassolino, o
chiedere alle lucciole del luogo
di illuminare queste tue trappole”.
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“Sì, sì…, ma, compare mio, cosa stavi facendo di così distrattoso da farti
rotolare giù-giù per questo cunicolo?”, chiese compare Talpabuchi.
“Veramente…”, spiegò tutti i suoi pensieri: le provviste per l’inverno, la
riunione, e di come poter ringraziare il signor Ivolulivo.
Eureka! Al signor Talpabuchi venne un’idea geniale: ”Ascolta. Invita tutti ad
un pic-nic all’ombra delle chiome del signor Ivolulivo che, tra l’altro, con la
sua saggezza potrebbe calmare gli animi di chi si lamenta e far ritornare la
Campagna… Amica”.
“Sarà divertente, verranno tutti. Bene, è ora di andare. Grazie di tutto,
compare Talpabuchi, a presto!”.
“Arrivederci compare Riccio. A domani!”.
* * *
Al mattino, Lisetta, si
svegliò al suono
dell’orologio a cucù
della nonna: aveva
proprio dormito bene
ed aveva, manco a
dirlo, una gran fame.
Si catapultò in cucina,
ove regnava l’odore
del buon latte,
trovando la nonna che
spezzettava una fetta
di Pane di Matera in
una scodella piena di
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latte e zucchero. Mangiò la zuppa preparata per lei, mentre i raggi del sole
illuminavano, sul grande tavolo, la confettura di Fragole del Metapontino,
dalle mille e dolci sfumature.
Lo sguardo di Lisetta si soffermò sul sacchetto di Fagioli di Sarconi posto sul
ripiano della credenza. Lesse con attenzione l’etichetta, incuriosita da quelle
piccole perle: marchio, produttore, luogo di produzione, scadenza. Lisetta
pensò, con un sorriso, che la data di scadenza fosse inutile: tanto,
sarebbero finiti prima.
“Dai, Lisetta, sbrigati che ti accompagno a scuola. Vedrai, una bella
passeggiata di buon mattino, accompagnata dalla colazione che hai appena
finito, ti farà bene. Strada facendo, ci fermeremo al negozio dei prodotti
tipici, per comprare la tua merenda: i pandolci di Castelluccio Inferiore”.
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“Che bello, i Muzzcun! Li abbiamo assaggiati a scuola, sono buonissimi! Ne
porterò uno anche alla mia maestra!”, esclamò Lisetta, contenta, in quella
splendida giornata d’autunno.
* * *
Ai piedi del maestoso ulivo, i piccoli ricci si rincorrevano rotolando sul prato,
mentre mamma Ricciocucinaben urlava loro di non allontanarsi troppo.
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La signora Coccinella discuteva animatamente con i noiosi afidi, facendo loro
notare, che alla fin fine non le sarebbe dispiaciuto cucinarli alla brace.
La signora Ragnoletti, intanto tesseva la sua “tela” che avrebbe poi venduto
a Filippa La Vespa e Tonia del
Dolcemiel, le quali avevano appena
terminato un corso di taglio e cucito
tenuto dalla signora Tagliaforbice. Tra
l’altro, i loro pungiglioni erano adatti
per cucire il corredo, fatto di fiori di
malva, che ben si addiceva al colore
della loro peluria giallo sole e velluto
nero. In cambio, la signora
Ragnoletti, avrebbe gradito un po’ di
Miele Lucano, tanto utile per la sua
dieta.
Il signor Talpabuchi, intanto, si era messo in
testa di suonare un po’ di musica con la sua
“fisarfafoglia” e, tra una tarantella e una
mazurca, teneva alto il morale di Ivolulivo, degli
asparagi selvatici, dei cardoncelli e di altre piante
del luogo.
Di lì a poco arrivò la famiglia Lumachetti, che nel
frattempo si era motorizzata; facevano un gran
baccano con le loro chiocciole a trazione
anteriore.
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Gli animaletti si radunarono tutti all’ombra di Ivolulivo. Anche Topone
Lampascione era stato informato del pic-nic e si era presentato con due
olive Majatiche di Ferrandina per antipasto. L’idea del pic-nic, preparato
dalla signora Ricciocucinaben, era proprio riuscita. Si sa, di fronte alla buona
tavola, tutti diventiamo più buoni e ben disposti gli uni gli altri, proprio come
in una Campagna… Amica, mentre un venticello leggero raccontava ancora e
ancora tante altre storie.
“Era uno splendido autunno…” è la fiaba da cui è stato tratto il testo teatrale messo in scena nelle giornate conclusive dei progetti di educazione alimentare promossi ed attuati da Coldiretti Basilicata nelle scuole elementari, nell’ambito di un progetto Coldiretti di più vasta portata denominato “Campagna Amica”, per un’agricoltura impegnata in un dialogo aperto e intenso con il cittadino consumatore. La fiaba, avente come tema i prodotti tipici e tradizionali lucani, costituisce un mezzo ulteriore e divertente per far riflettere i bambini su alcune delle tematiche trattate nel corso degli incontri.
A cura di:
Rosa DI FAZIO Danila D’ANTONIO Lino SIVOLELLA
Federazione Regionale Coldiret t i
Basilicata