eremiti
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Appartarsi da tutto: chi non è maistato sfiorato da quest’idea, alzi lamano. Anche solo per un po’, il
tempo di scrollarsi via l’eccesso di sollecitazio-ni, lo stress delle mille doverosità che compor-ta il vivere in una società complessa come lanostra, lo strato denso e appiccicoso chel’industria delle “distrazioni di massa” ci la-scia addosso come uno smog mentale. Ma an-che per fare il punto della situazione della pro-pria vita, una sorta di check-up dello spiritodi cui ogni tanto si sente il bisogno.
L’uomo moderno ha un’evidentenecessità di ritrovare degli spaziperduti di silenzio e riflessione:lo dimostrano fenomeni in cre-scita come le vacanze in con-vento, il boom dei pellegrinag-gi a piedi e persino l’inaspet-tato successo di un film co-me Il grande silenzio, un se-vero documentario sulla vi-ta in un monastero certosi-no che è riuscito a racco-gliere, contro ogni previsio-ne, un vastissimo pubblico.
Non stupisce dunquescoprire che per qualcunoquesta necessità non è inter-mittente, un intervallo con-templativo in una vita che simanifesta sempre più super-attiva, ma una scelta totale edefinitiva. Una “vocazio-ne”, non esitano a definirlagli interessati. Un buon nu-mero di costoro sono statiscovati – con una certa fati-
ca, non c’è bisogno di dirlo – e poi intervista-ti da Isacco Turina, ricercatore di Sociologiaall’Università di Bologna e autore di un librodenso e straordinariamente interessante: Inuovi eremiti (Edizioni Medusa).
Si tratta di persone molto diverse fra loro,uomini e donne più o meno alla pari, la cuietà va dai 35 agli 82 anni e che rappresentanosolo una piccola parte degli eremiti che inquesto momento vi sono in Italia. C’è chi vi-ve in un casolare isolato e senza mezzi di loco-mozione campando di elemosine e chi si è sta-bilito in città, dipingendo icone e quadri reli-giosi per mantenersi; c’è chi fa della solitudi-ne totale la caratteristica essenziale del suoeremitaggio e chi incontra e accoglie perso-ne in cerca di confronti spirituali; c’è chi haalle spalle una storia professionale di contat-to con la gente e chi una precedente vita inconvento; chi non ha nemmeno l’elettricità echi lavora col computer.
Eppure, nella grandissima diversità dellesituazioni e delle storie personali, tutti hannofatto della vita solitaria e fuori dal “mondo”la condizione per vivere senza distrazioni
un’esistenza di preghiera, studio dei testi sa-cri, intimità con Dio. Il bello è che nessunodi loro pensa di essere fuggito dal mondo,al contrario: grazie alla preghiera, che rap-presenta in un certo senso il mestiere pro-prio dell’eremita, essi si sentono nel cuoredel mondo e vicini a tutti, quelli che conosco-no e quelli che non conoscono.
«Prima mi davo da fare con molte attivitàa favore degli handicappati e con le fami-glie» dice una ex suora ora eremita. «Ma piùdi tanto non potevo fare e mi sentivo limita-ta, a volte inutile. Adesso so che con la pre-ghiera posso aiutare tutti, perché il Signorearriverà dove io non posso arrivare, soprat-tutto verso quelle persone che nessuno vede.Io non saprò mai dov’è giunta la mia preghie-ra ma Dio, con essa, farà come meglio cre-de». C’è qualcosa di più alternativo al mododi vedere le cose di noi comuni mortali, sem-pre preoccupati di fare, di riuscire, di vederei risultati, di calcolare?
Un altro ha deciso di abbandonarsi com-pletamente alla Provvidenza: non ha soldi enon ne vuole avere, ha trovato un eremo
FUORI DAL MONDO
Dopo secoli di assenza riappaiono
gli eremiti: persone che vivono in totale
solitudine pregando e meditando
«La loro filosofia? Semplice: eliminaretutti i “rumori” per ascoltare la voce di Dio»
[ALTRI STILI]
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Come nasce il suo libro?«In tutt’altro modo rispettoalla piega che ha preso poi,scrivendolo. Volevo fare unaricerca sociologica sul tema“fughe dal mondo”. Daipadri camaldolesi ho saputodi questo fenomeno che nonconoscevo assolutamentee che mi ha incuriosito.Ho seguito questa pista,ne ho contattato qualcunoe ho continuato in questadirezione. Ma la tracciainiziale, “fuga dal mondo”,è caduta subito: è chiaroche per loro la sceltadi diventare eremiti non ha
per nulla questa valenza,al contrario: tutti dichiaranoche il bisogno di appartarsiè per meglio stare vicinoai bisogni del mondo,soprattutto con lapreghiera».C’è davvero un nuovotrend che guida alcunepersone a seguirequesta stradao è un fenomenoda semprepresente nellaspiritualità?«Le ultimetracce dieremiti-
smo, nella Chiesa cattolica,risalgono al Seicento. Poispariscono fino a non venirenemmeno più contemplatetra le esperienze religiose.Riappaiono spontaneamenteintorno agli anni Cinquantae Sessanta. Lo spiritodel Concilio dà loro
di nuovo spazio,e il nuovo Codicedi diritto canonico del1983 stabilisceil quadro giuridico:spetta al vescovovalutare se un
eremita puòessere
“incardinato”.Oggi in Italia ce ne sarannocirca 200, ma io ne hoincontrati solo 37. Il trendc’è senza dubbio,soprattutto se si pensache per 350 anni nonce ne sono stati per niente.Certo, non si manifestacome un fenomenostatisticamente rilevante.Si tratta però di un trend“esemplare”, nel senso cherappresenta una tendenzadal forte significato, anchese numericamente ridotta».C’è un tratto comunenelle loro storie
APRILE 2008APRILE 2008
INTERVISTA ALL’AUTORE, ISACCO TURINA
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DI MIRELLA CAMERA
La loro vita rendeevidente quantonel mondo ci sia
di vano, inutile, fatuoe, alla fine, opprimente
per lo spirito
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Solo nel 1983il Diritto canonicoha ricominciato
a prevedere uno spazioe regole giuridiche
per l’eremita
diroccato tutto da restaurare e come permiracolo sono arrivati i soldi per pagare ilavori. Poi la cerchia degli amici dell’eremi-ta si è allargata e ora lui, che vive pregandoe basta, non solo può contare su offerte e ali-menti ma è anche in grado di provvedere aipoveri. «Il Vangelo funziona davvero se cicredi», dice, stupito dello stupore dei suoiinterlocutori. «Io di gruzzoli non ne ho da
nessuna parte, neanche unavecchia lira, eppure il Signorearriva sempre, e al momento
giusto: per esempio,quando ho mandato lamacchina a rottamare ilgiorno dopo mi è arriva-ta una bicicletta; dovevofare un importante in-tervento chirurgico aidenti e il dentista mi haoperato gratis; nella cas-setta della posta trovo bi-glietti da 50 euro, arriva-no ceste di frutta magnifi-ca e sacchi di pane, non
mi manca niente. Anzi, direi che è fin trop-po, certe cose io proprio non le comprereinemmeno: Lui mi vizia!».
A sentirli, sembrerebbe proprio che glieremiti facciano l’esatto contrario di quelloche tutti noi riteniamo normale e ragionevo-le: solo che, invece di andare in crisi, scopro-no di essere liberi e di sentire una pace e unagioia mai sperimentata prima. Il segno, e suquesto usano tutti indistintamente le stesseparole, che hanno finalmente trovato ciò chehanno tanto cercato. �
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così diverse?«Ciascuno ha unabiografia unica,un suo mododi fare l’eremita.Sono sia uominiche donne (con una leggeraprevalenza di questeultime), per alcuni è unaseconda vocazione dopoun’esperienza in conventoo nel clero secolare, altrisono laici. C’è chi vienefolgorato dalla chiamatae chi ci arriva a pocoa poco. Ma ciò che li unisceè l’essenza stessadell’eremitaggio: fare unavita solitaria interamentededicata alla preghierae alla testimonianza».Vogliono trasmettere
un messaggio osolo compierequest’opera,che si sappiao no non ha
importanza?«La preghiera e latestimonianza sono legate.Ma non vogliono parlare allemasse, questo a loro noninteressa. Però quei pochiche incontrano ne ricevonoun segno profondo».Come li vede la gente?«Dipende dai casi. Non èraro che siano visti conindifferenza e persinoostilità e per questo sianocostretti a spostarsi. Altrevolte, invece, si forma unarete di persone che li aiuta,magari ristrutturando
la casa o portandoregolarmente ciboe vestiario. Anche a livelloecclesiale c’è diversità:ci sono vescovi che nonvogliono saperne, deglieremiti; altri che li lascianovivere, più che altroignorandoli; altri ancora,invece, che li incoraggianoe li seguono».C’è differenza tra quelli dicittà e quelli che scelgonoposti isolati?«Secondo me quelli di cittàsono più isolati degli altri.Forse perché, perdifendersi, sono costrettiad alzare dei muridi riservatezza maggiori,forse perché in fondoè proprio la città a isolare.
Ma alla fine per l’eremitail luogo conta poco, bastache permetta loro diraggiungere lo scopo: viverela solitudine in preghiera».Che cosa le hannolasciato questi incontri?«Molto, perché sono statitutti incontri forti. Sonopersone che danno moltaimportanza alle parole equello che dicono “pesa”.Spesso mi vienein mente una frase diqualcuno di loro. La loro vitarende evidente quanto nelmondo ci sia di vano, fatuoe, alla fine, opprimente perlo spirito. Hanno ben chiaral’alternativa a questaoppressione e la vivonocome una liberazione».
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INTERVISTA ALL’AUTORE, ISACCO TURINA
L’eremita, presentefino al XVII secolo,
è poi scomparso dallavita della Chiesa.Riappare ai nostri
tempi, e sembra unfenomeno in crescita
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