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PAGINA UNO EUROPA 2014 È POSSIBILE UN NUOVO INIZIO? Appunti dall’intervento di Julián Carrón all’incontro di presentazione del documento di Cl Milano, 9 aprile 2014 MAGGIO 2014 I

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EUROPA 2014È POSSIBILE

UN NUOVO INIZIO?Appunti dall’intervento di Julián Carrón all’incontro di presentazione del documento di Cl

Milano, 9 aprile 2014

MAGGIO 2014 I

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EUROPA 2014. È POSSIBILE UN NUOVO INIZIO?PAGINA UNO

Appunti dall’intervento di Julián Carrón all’incontro di presentazione del documento di ClMilano, 9 aprile 2014

1. CHE COSA È IN GIOCO?L’Europa è nata intorno a poche grandi parole, come per-

sona, lavoro, materia, progresso e libertà.Queste parole hanno raggiunto la loro piena e autentica pro-

fondità attraverso il cristianesimo, acquistando un valore chenon avevano prima, e questo ha determinato un profondoprocesso di “umanizzazione” dell’Europa e della sua cultu-ra. Basta pensare, per fare un esempio, al concetto di perso-na. «Duemila anni fa l’unico uomo che aveva tutti i diritti uma-ni era il civis romanus. Ma il civis romanus da chi era stabili-to? Il potere determinava il civis romanus. Uno dei più gran-di giuristi romani, Gaio, distingueva tre tipi di utensili che ilcivis [romanus], cioè l’uomo con tutti i diritti, poteva posse-dere: gli utensili che non si muovono e non parlano; gli uten-sili che si muovono e non parlano, cioè gli ani-mali; e gli utensili che si muovono e parlano, glischiavi» (cfr. Gaio, Institutionum Commentariiquattuor, II, 12-17; L. Giussani, Il senso religio-so, Rizzoli, Milano 2010, p. 123).

Ma oggi tutte queste parole sono diventatevuote oppure stanno perdendo sempre di piùil loro spessore originale. Come mai?

In un lungo e complesso processo, da cui nonsono esenti la mortificazione di alcune di que-ste parole - come libertà e progresso - ad ope-ra della stessa cristianità che aveva contribuitoa generarle, a un certo punto della parabola eu-ropea, prende piede il tentativo di rendere autonome quel-le fondamentali acquisizioni dall’esperienza che ne aveva con-sentito la piena emergenza. Come scriveva anni fa l’allora car-dinale Ratzinger in un intervento a Subiaco, a seguito di unlungo processo storico, «nell’epoca dell’Illuminismo [...] nel-la contrapposizione delle confessioni e nella crisi incombentedell’immagine di Dio, si tentò di tenere i valori essenziali del-la morale fuori dalle contraddizioni e di cercare per loro un’evi-denza che li rendesse indipendenti dalle molteplici divisio-ni e incertezze delle varie filosofie e confessioni. Così si vol-lero assicurare le basi della convivenza e, più in generale, lebasi dell’umanità. A quell’epoca sembrò possibile, in quan-to le grandi convinzioni di fondo create dal cristianesimo ingran parte resistevano e sembravano innegabili» (J. Ratzin-ger, L’Europa di Benedetto e la crisi delle culture, LEV-Canta-galli, Roma-Siena 2005, p. 61). Si sviluppò così il tentativo il-luministico di affermare quelle «grandi convinzioni», la cuievidenza sembrava si potesse sostenere da sé, a prescinderedal cristianesimo vissuto.

Qual è stato l’esito di questa “pretesa”? Le grandi con-

vinzioni, su cui si è fondata la nostra convivenza per mol-ti secoli, hanno resistito alla verifica della storia? La loro evi-denza ha retto davanti alle vicissitudini storiche con i suoiimprevisti e le sue provocazioni? La risposta è davanti agliocchi di tutti.

Continuava il cardinale Ratzinger: «La ricerca di una talerassicurante certezza, che potesse rimanere incontestataal di là di tutte le differenze, è fallita. Neppure lo sforzo,davvero grandioso, di Kant è stato in grado di creare la ne-cessaria certezza condivisa. [...] Il tentativo, portato al-l’estremo, di plasmare le cose umane facendo completa-mente a meno di Dio ci conduce sempre di più sull’orlodell’abisso, verso l’accantonamento totale dell’uomo»(Ibidem, pp. 61-62).

Come si documenta tale accantonamento?Basterebbe rendersi conto dell’effetto che que-sto processo ha avuto su due dei fattori a noieuropei moderni più cari: la ragione e la li-bertà.

«Questa cultura illuminista» - diceva ancorail cardinale Ratzinger - «sostanzialmente è de-finita dai diritti di libertà; essa parte dalla li-bertà come un valore fondamentale che mi-sura tutto: la libertà della scelta religiosa, cheinclude la neutralità religiosa dello Stato; la li-bertà di esprimere la propria opinione, a con-dizione che non metta in dubbio proprio que-

sto canone; l’ordinamento democratico dello Stato, ecioè il controllo parlamentare sugli organismi statali [...],la tutela dei diritti dell’uomo e il divieto di discrimina-zione. Qui il canone è ancora in via di formazione, vistoche ci sono anche diritti dell’uomo contrastanti, come peresempio nel caso del contrasto tra la voglia di libertà del-la donna e il diritto alla vita del nascituro. Il concetto di di-scriminazione viene sempre più allargato, e così il divietodi discriminazione può trasformarsi sempre di più in unalimitazione della libertà di opinione e della libertà religiosa[...]. Il fatto che la Chiesa è convinta [per esempio] di nonavere il diritto di dare l’ordinazione sacerdotale alle don-ne viene considerato, da alcuni, fin d’ora inconciliabile conlo spirito della Costituzione europea». Dunque, prosegueRatzinger, indicando gli esiti ultimi della parabola, «una con-fusa ideologia della libertà conduce ad un dogmatismo chesi sta rivelando sempre più ostile verso la libertà. [...] Il ra-dicale distacco della filosofia illuminista dalle sue radici di-venta, in ultima analisi, un fare a meno dell’uomo». Ora,«questa filosofia non esprime la compiuta ragione del-

Persona, lavoro,libertà... Queste

parole sonodiventate vuote

o stanno perdendoil loro spessore

originale. Come mai?

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l’uomo, ma soltanto una parte di essa, e per via di questamutilazione della ragione non la si può considerare affat-to razionale». Perciò «la vera contrapposizione che carat-terizza il mondo di oggi non è quella tra diverse culture re-ligiose, ma quella tra la radicale emancipazione dell’uomoda Dio, dalle radici della vita, da una parte, e le grandi cul-ture religiose dall’altra» (ibidem, pp. 42-43, 51-53).

Ciò non significa assumere una posizione pregiudi-zialmente “anti-illuminista”: «L’Illuminismo» - scriveRatzinger - «è di origine cristiana ed è nato non a caso pro-prio ed esclusivamente nell’ambito della fede cristiana» (ibi-dem, p. 58). In un memorabile discorso del 2005, Bene-detto XVI richiama il «“sì” fondamentale all’età moder-na» da esso pronunciato, senza d’altra parte sottovaluta-re le sue «interiori tensioni e anche le contraddizioni». Be-nedetto XVI sottolinea così il superamento di quella si-tuazione di «scontro», in cui «apparentemente non c’erapiù nessun ambito aperto per una intesa positiva e frut-tuosa», tra la fede e l’età moderna, proprio del-la Chiesa del XIX secolo (Discorso alla Curiaromana, 22 dicembre 2005).

A questo punto possiamo capire meglio qual èil problema dell’Europa, la radice della sua cri-si e che cosa è veramente in gioco. Lasciamo an-cora la parola a Benedetto XVI:

«Il problema dell’Europa di trovare la suaidentità mi sembra consistere nel fatto che inEuropa oggi abbiamo due anime:

- un’anima è una ragione astratta, anti-stori-ca, che intende dominare tutto perché si sente so-pra tutte le culture. Una ragione finalmente ar-rivata a se stessa che intende emanciparsi da tutte le tradizio-ni e i valori culturali in favore di un’astratta razionalità. La pri-ma sentenza di Strasburgo sul Crocifisso era un esempio diquesta ragione astratta che vuole emanciparsi da tutte le tra-dizioni, dalla storia stessa. Ma così non si può vivere. Per di più,anche la “ragione pura” è condizionata da una determinatasituazione storica, e solo in questo senso può esistere.

- L’altra anima è quella che possiamo chiamare cristiana, chesi apre a tutto quello che è ragionevole, che ha essa stessa crea-to l’audacia della ragione e la libertà di una ragione critica, marimane ancorata alle radici che hanno dato origine a questaEuropa, che l’hanno costruita nei grandi valori, nelle grandiintuizioni, nella visione della fede cristiana» (Benedetto XVI,Intervista “Campane d’Europa”, 15 ottobre 2012).

Ora, a rischio oggi sono proprio l’uomo, la sua ragione, lasua libertà, anche la libertà di avere una ragione critica.

«Il pericolo più grave» - diceva anni fa don Giussani - «nonè neanche la distruzione dei popoli, l’uccisione, l’assassinio,ma il tentativo da parte del potere di distruggere l’umano.E l’essenza dell’umano è la libertà, cioè il rapporto con l’in-

finito». Perciò la battaglia che deve essere combattuta dal-l’uomo che si sente uomo è «la battaglia tra la religiosità au-tentica e il potere» («La religiosità autentica e il potere», Trac-ce, febbraio 2005, p. 27).

È questa la natura della crisi, che non è prima di tutto eco-nomica. Riguarda i fondamenti. «Ciò che in riferimento allefondamentali questioni antropologiche sia la cosa giusta e pos-sa diventare diritto vigente, oggi non è affatto evidente di persé. Alla questione come si possa riconoscere ciò che veramenteè giusto e servire così la giustizia nella legislazione, non è maistato facile trovare la risposta e oggi, nell’abbondanza dellenostre conoscenze e delle nostre capacità, tale questione è di-ventata ancora molto più difficile» (Benedetto XVI, Discor-so al Bundestag di Berlino, 22 settembre 2011). Senza la con-sapevolezza che quello che è in gioco è l’evidenzadi quei fon-damenti, in mancanza dei quali non sarà possibile una con-vivenza stabile, noi ci distraiamo nel dibattito sulle conseguenze,dimenticando che queste hanno origine altrove, come abbiamo

visto. Riguadagnare i fondamenti è l’urgenzapiù grande che abbiamo.

Rispondere a tale urgenza non vuol diretornare a uno Stato confessionale o a un’Eu-ropa basata su leggi cristiane, quasi una sortadi riedizione del Sacro romano impero, comese questa fosse l’unica possibilità per difende-re la persona, la sua libertà e la sua ragione. Ciòandrebbe contro la natura stessa del cristia-nesimo. «In quanto religione dei perseguita-ti, in quanto religione universale, [il cristia-nesimo] [...] ha negato allo Stato il diritto diconsiderare la religione come una parte del-

l’ordinamento statale, postulando così la libertà della fede.[...] Laddove il cristianesimo, contro la sua natura, era pur-troppo diventato tradizione e religione di Stato [...], è [sta-to] merito dell’Illuminismo aver riproposto [i] valori ori-ginali del cristianesimo [tutti gli uomini, senza distinzione,sono creature a immagine di Dio, hanno tutti la stessa di-gnità] e aver ridato alla ragione la sua propria voce» (L’Eu-ropa di Benedetto..., op. cit., pp. 57-58). Occorre dunque nonritornare a un momento già superato, ma intraprendere unastrada in cui sia possibile un vero dialogo sui fondamenti.

In queste nuove condizioni, da dove ripartire?

2. IL CUORE DELL’UOMO NON SI ARRENDEMalgrado tutti gli ingenti tentativi di accantonare l’uomo, diridurre l’esigenza della sua ragione (riducendo la portata del-la sua domanda), l’urgenza della sua libertà (che non può evi-tare di esprimersi in ogni mossa come desiderio di compi-mento), il cuore dell’uomo continua a battere, irriducibile. Pos-siamo sorprenderlo nei più svariati tentativi, talvolta confu-si ma non per questo meno drammatici e in qualche modo»

Ci distraiamo nel dibattito sulle

conseguenze, ma queste hannoorigine altrove.

L’urgenzaè riguadagnare

i fondamenti

MAGGIO 2014 III

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sinceri, che gli europei di oggi fanno per raggiungere quel-la pienezza che non possono non desiderare, e che si nascondea volte sotto vesti contraddittorie.

Un esempio può aiutare a capire la natura del problema, leriduzioni con cui sono normalmente vissute ragione e liber-tà. «Stasera - mi scrive un amico - sono andato a cena da duemiei compagni del liceo che sono fidanzati e adesso convivono.Dopo cena siamo rimasti a parlare a lungo ed è venuta fuo-ri la questione di avere o no dei figli. Questo mio amico midice: “Non metterò mai al mondo un figlio. Con che corag-gio condanno un altro poveretto all’infelicità? Non mi pren-do questa responsabilità”. E poi aggiungeva: “Ho paura del-la mia libertà, nel migliore dei casi non serve a niente e nel peg-giore dei casi posso causare dolore a qualcuno. Quello che miaspetto dalla vita è di cercare di fare meno male possibile”. Ab-biamo parlato molto, e mi hanno raccontato di un sacco dipaure con cui vivono e di come sentono ormai di non attenderepiù niente dalla vita; e hanno appena ventisei anni».

Dietro il rifiuto ad avere dei figli non c’è al-tro che la paura della libertà o forse la pau-ra di perdere una libertà concepita in modoridotto, perciò la paura di rinunciare a sé e aipropri spazi. Ma quel complesso di paure chelo blocca quanto determinerà la sua vita? Par-lare delle «grandi convinzioni» è parlare deifondamenti, cioè del punto d’appoggio cherende possibile l’esperienza della libertà,della liberazione dalle paure, e consente allaragione di guardare il reale in modo tale chenon ci soffochi.

L’episodio riportato mostra che «lo smar-rimento circa i “fondamentali del vivere”»non cancella le domande. Anzi le rende più acute, comedice il cardinale Angelo Scola: «Cosa sia la differenza ses-suale, che cosa sia l’amore, cosa voglia dire procreare ededucare, perché si debba lavorare, perché una società ci-vile plurale possa essere più ricca di una società mono-litica, come poterci incontrare reciprocamente per edi-ficare comunione effettiva in tutte le comunità cristianee vita buona nella società civile; come rinnovare la finanzae l’economia, come guardare alle fragilità dalla malattiaalla morte, alla fragilità morale, come cercare la giustizia,come condividere incessantemente imparando il bisognodei poveri? Tutto questo deve essere riscritto nei nostritempi, ripensato e perciò rivissuto». (A. Scola, Parole pro-nunciate dopo l’Omelia del IX anniversario della morte didon Giussani e XXXII del riconoscimento pontificio dellaFraternità di Cl, Milano, 11 febbraio 2014).

Riscritto, ripensato e perciò rivissuto.Questa è la natura della provocazione che ci rivolge la cri-

si in cui siamo immersi. «Una crisi - diceva Hannah Arendt - ci costringe a torna-

re alle domande; esige da noi risposte nuove o vecchie, pur-ché scaturite da un esame diretto; e si trasforma in una ca-tastrofe solo quando noi cerchiamo di farvi fronte con giu-dizi preconcetti [di qualsiasi tipo], ossia pregiudizi, aggra-vandola e per di più rinunciando a vivere quell’esperien-za della realtà, a utilizzare quell’occasione per riflettere, chela crisi stessa costituisce» (H. Arendt, Tra passato e futuro,Garzanti, Milano 1991, p. 229).

Dunque, piuttosto che un pretesto per un lamento e unachiusura, tutti questi punti problematici della conviven-za comune in Europa rappresentano una grande occasioneper scoprire o riscoprire le grandi convinzioni che possonoassicurare la convivenza stessa. Che queste grandi con-vinzioni possano venire meno non deve sorprenderci. Laragione la ricorda ancora Benedetto XVI: «Un progressoaddizionabile è possibile solo in campo materiale. [...] Nel-l’ambito invece della consapevolezza etica e della decisione

morale non c’è una simile possibilità di ad-dizione per il semplice motivo che la liber-tà dell’uomo è sempre nuova e deve semprenuovamente prendere le sue decisioni. Nonsono mai semplicemente già prese per noi daaltri - in tal caso, infatti, non saremmo piùliberi. La libertà presuppone che nelle deci-sioni fondamentali ogni uomo, ogni gene-razione sia un nuovo inizio». La ragione ul-tima per cui occorre sempre un nuovo ini-zio è che la natura stessa dell’evidenza di quel-le convinzioni è diversa da quella delle «in-venzioni materiali. Il tesoro morale del-l’umanità non è presente come sono presenti

gli strumenti che si usano; esso esiste come invito alla li-bertà e come possibilità per essa» (Spe salvi, 24).

Ma decisioni fondamentali su che cosa?

3. A TEMA È SEMPRE L’UOMOE IL SUO COMPIMENTO

Dietro ogni tentativo umano c’è un grido di compimento.Ascoltare questo grido non è per niente scontato e costituiscela prima scelta della libertà. Rilke ci ricorda la tentazione, sem-pre in agguato anche in noi, di farlo tacere: «Tutto cospira a ta-cere di noi, un po’ come si tace / un’onta, forse, un po’ comesi tace una speranza ineffabile» (“Seconda Elegia”, vv. 42-44, inElegie duinesi, Einaudi, Torino 1978, p. 13).

Chi non cede a tale tentazione si trova a cercare forme incui la propria persona si possa compiere, ma è sempre espo-sto al rischio di imboccare scorciatoie che sembrano fargli rag-giungere più in fretta e in modo più appagante l’obiettivo.

È quanto, ad esempio, vediamo oggi nel tentativo di ot-tenere il compimento attraverso i cosiddetti “nuovi diritti”.La discussione creatasi attorno ad essi mostra cosa voglia

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Parlare delle “grandiconvinzioni” è

parlare del puntodi appoggio cherende possibile

l’esperienza della libertà

IV MAGGIO 2014

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dire il dibattito sui fondamenti e quali siano i suoi pos-sibili sbocchi.

A partire dalla metà degli anni ’70 si sono sviluppati sem-pre più numerosi i “nuovi diritti”, con una forte accelerazionenegli ultimi 15-20 anni. La loro matrice è quella brama diliberazione che è stata l’anima del ’68 - non a caso l’abortoè stato legalizzato per la prima volta nel 1973 negli Stati Uni-ti e in quegli stessi anni anche in Europa iniziavano a com-parire le leggi sul divorzio e sull’aborto -. Oggi si sente par-lare di diritto al matrimonio e all’adozione anche tra per-sone dello stesso sesso, diritto ad avere un figlio, diritto allapropria identità di genere, diritti dei transessuali, diritto delbambino a non nascere se non sano, diritto a morire, e lalista potrebbe continuare a lungo.

Molti sentono questi nuovi diritti come un affronto, un veroe proprio attentato ai valori su cui per secoli si è fondata la ci-viltà occidentale, quella europea in particolare. Diciamo me-glio: questi nuovi diritti esercitano una grande attrattiva sumolte persone - e per questo si diffondono tan-to facilmente -, mentre sono temuti da altri comefattori di distruzione della società. È intorno aquesti temi di “etica pubblica” che oggi, non soloin Italia, ma in tutta l’Europa e in tutto il mon-do si creano le fratture sociali più profonde e lecontroversie politiche più accese.

Perché questa strana mescolanza di fascino edi avversione? Proviamo a chiederci da dove ori-ginano i cosiddetti “nuovi diritti”.

Ciascuno di essi nasce in ultima istanza da esi-genze profondamente umane. Il bisogno affet-tivo, il desiderio di maternità e di paternità, lapaura del dolore e della morte, la ricerca della propria iden-tità eccetera. Ciascuno di questi nuovi diritti ha le sue radicinel tessuto di cui ogni esistenza umana è costituita. Di qui laloro attrattiva. Il moltiplicarsi dei diritti individuali esprimel’aspettativa che l’ordine giuridico possa risolvere i drammiumani e assicurare soddisfazione ai bisogni infiniti che abi-tano il cuore umano.

Il loro tratto comune è che tutti mettono al centro un uomoche rivendica una autodeterminazione assoluta in ogni fran-gente della vita: vuole decidere se vivere o morire, se soffrireo non soffrire, se avere o non avere un figlio, se essere uomoo donna eccetera. Si tratta di un uomo che si concepisce comelibertà assoluta, senza limiti, e che non tollera alcun tipo di con-dizionamento. Autodeterminazione e non-discriminazione,con questo sfondo culturale, sono dunque le parole chiave del-la cultura dei nuovi diritti. «L’io contemporaneo - come uneterno adolescente - [...] di limiti non vuole sentir parlare. Es-sere libero significa infatti mettersi nelle condizioni di poteraccedere sempre a nuove possibilità [...] pretendendo di po-ter ridurre il desiderio a godimento [...] da inseguire e affer-

rare. Per lo più nella forma, socialmente organizzata, del con-sumo: di beni, certo, ma anche di idee, esperienze, relazioni.Di cui avvertiamo, subito dopo averle raggiunte, l’insufficienza.Eppure, ogni volta ricominciamo da capo, concentrandoci suun altro oggetto, un’altra relazione, un’altra esperienza [...] con-tinuando a investire le nostre energie psichiche su ciò che, allaprova dei fatti, non può che rivelarsi deludente» (M. Magat-ti-C. Giaccardi, Generativi di tutto il mondo, unitevi!, Feltri-nelli, Milano 2014, p. 14).

Questa cultura porta in sé la convinzione che il consegui-mento di sempre nuovi diritti costituisca la strada per il rea-lizzarsi della persona. Essa pensa in questo modo di poter evi-tare o rendere superfluo il dibattito sui fondamenti, riassu-mibile nella domanda di leopardiana memoria: «Ed io chesono?» (G. Leopardi, “Canto notturno di un pastore erran-te dell’Asia”, v. 89). Ma non porre la domanda su che cosa siail soggetto, su che cosa sia l’io, è come cercare di curare unamalattia senza fare la diagnosi! Allora, siccome il dibattito sui

fondamenti è sentito troppo astratto rispetto alleurgenze del vivere, ci si affida alle tecniche e alleprocedure. Da questa posizione è partita la cor-sa per ottenere dalla legislazione e dalla giuri-sprudenza il riconoscimento dei nuovi diritti.

Ma il punto critico della cultura contemporaneasta proprio nella miopia con cui guarda ai bi-sogni profondi dell’uomo: non cogliendo la por-tata infinita delle esigenze costitutive dell’uomo,essa propone - tanto sul piano materiale quan-to su quello affettivo ed esistenziale - una mol-tiplicazione all’infinito di risposte parziali. Si of-frono risposte parziali a domande ridotte. Ma,

come ci ricorda Cesare Pavese, «ciò che un uomo cerca nei pia-ceri è un infinito, e nessuno rinuncerebbe mai alla speranzadi conseguire questa infinità» (Il mestiere di vivere, Einaudi,Torino 1952, p. 190). Perciò una moltiplicazione, anche al-l’ennesima potenza, di “falsi infiniti” (per usare le parole di Be-nedetto XVI) non potrà mai soddisfare un bisogno di natu-ra infinita. Non è l’accumulo quantitativo di beni ed esperienzeche può soddisfare il “cuore inquieto” dell’uomo.

Il dramma della nostra cultura, dunque, non sta tanto nelfatto che all’uomo sia tutto permesso, quanto nelle false pro-messe e nelle illusioni che quel permissivismo reca con sé. Cia-scuno potrà verificare nella propria esperienza se il conse-guimento di sempre nuovi diritti sia la strada per il realizzarsidella propria persona o se, al contrario, non produca la con-seguenza opposta, poiché l’incomprensione della natura in-finita del desiderio, il mancato riconoscimento della stoffa del-l’io, porta di fatto a ridurre la persona al genere, ai suoi fat-tori biologici, fisiologici, eccetera. Qui emerge chiaramente lacontraddizione intrinseca a una certa concezione dell’uomotanto diffusa nelle nostre società avanzate: si esalta in ma-

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Non porre la domanda

su che cosa sia il soggetto, l’io, è come cercare

di curare unamalattia senzafare la diagnosi

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niera assoluta un io senza limiti nei suoi nuovi diritti e, nel-lo stesso tempo, implicitamente si afferma che il soggetto diquesti diritti è in pratica un “nulla”, perché lo si dissolve in fat-tori antecedenti, siano essi materiali, naturali o casuali.

Che cosa ci dice tutto ciò riguardo alla situazione dell’uomooggi? Quanto detto giudica anche quei tentativi che si con-trappongono a questa tendenza, ma senza mettere in di-scussione l’impostazione comune. Taluni, infatti, si aspet-tano da una legislazione contraria la soluzione dei problemie così evitano anch’essi il dibattito sui fondamenti. Cer-tamente una legislazione giusta è sempre migliore di unasbagliata, ma la storia recente dimostra che nessuna leg-ge giusta di per sé è riuscita a impedire la deriva che vediamodavanti ai nostri occhi.

Ambedue gli schieramenti condividono la stessa impo-stazione. Per entrambi valgono le parole di T.S. Eliot: «Essicercano sempre d’evadere / Dal buio esterno e interiore /Sognando sistemi talmente perfetti che piùnessuno avrebbe bisogno d’essere buono»(Cori da “La Rocca”, Bur, Milano 2010, p. 89).Ciò riguarda tanto gli uni quanto gli altri.

Ma il tentativo di risolvere le questioni uma-ne con le procedure non sarà mai sufficiente.

Lo dice ancora Benedetto XVI: «Poiché l’uo-mo rimane sempre libero e poiché la sua liber-tà è sempre anche fragile, non esisterà mai in que-sto mondo il regno del bene definitivamente con-solidato. Chi promette il mondo migliore che du-rerebbe irrevocabilmente per sempre, fa una pro-messa falsa; egli ignora la libertà umana». Anzi.«Se ci fossero strutture che fissassero in modoirrevocabile una determinata - buona - condizione del mon-do, sarebbe negata la libertà dell’uomo, e per questo motivonon sarebbero, in definitiva, per nulla strutture buone [...]. Inaltre parole: le buone strutture aiutano, ma da sole non ba-stano. L’uomo non può mai essere redento semplicemente dal-l’esterno» (Spe salvi, 24.25).

C’è un’altra strada?

4. APPROFONDIRE LA NATURA DEL SOGGETTOSolo mettendo a tema l’uomo e il suo costitutivo anelito alcompimento, il suo bisogno profondo, potremo riscrive-re, ripensare e rivivere i valori. È infatti «il senso religioso[...] la radice da cui scaturiscono i valori. Un valore, ulti-mamente, è quella prospettiva del rapporto tra un con-tingente e la totalità, l’assoluto. La responsabilità dell’uo-mo, attraverso tutti i tipi di sollecitazioni che gli provengonodall’impatto con il reale, si impegna nella risposta a quel-le domande che il senso religioso - o, biblicamente, “cuo-re” - esprime» (L. Giussani, L’io, il potere, le opere, Mariet-ti 1820, Genova 2000, p. 166). È il senso religioso, è il com-

plesso di quelle esigenze ultime che definiscono il fondo diogni essere umano, che misura che cosa sia un “valore”. Solola consapevolezza del fattore comune a tutti gli uomini puòaprire la strada alla ricerca di certezze condivise.

«La soluzione dei problemi che la vita pone ogni giorno»- diceva don Giussani anni fa - «non avviene direttamente af-frontando i problemi, ma approfondendo la natura del sog-getto che li affronta». In altri termini, «il particolare lo si ri-solve approfondendo l’essenziale» (A. Savorana, Vita di donGiussani, Rizzoli, Milano 2013, p. 489).

Questa è la grande sfida davanti alla quale si trova l’Euro-pa. La grande emergenza educativa documenta la riduzionedell’uomo, il suo accantonamento, la mancanza di coscien-za di chi sia veramente l’uomo, di quale sia la natura del suodesiderio, della sproporzione strutturale tra ciò che attendee ciò che può raggiungere con le sue forze. Abbiamo già ri-chiamato la riduzione della ragione e della libertà; ad esse ag-giungiamo ora la riduzione del desiderio. «La riduzione dei

desideri o la censura di talune esigenze, la ri-duzione dei desideri e delle esigenze è l’arma delpotere» diceva don Giussani. Ciò che ci circonda,«la mentalità dominante [...], il potere, realizza[in noi] un’estraneità da noi stessi» (L’io rina-sce in un incontro. 1986-1987, Bur, Milano2010, pp. 253-254, 182). È come se ci strappas-sero di dosso il nostro essere: siamo perciò in ba-lìa di tante immagini ridotte del desiderio e ciaspettiamo illusoriamente la soluzione del pro-blema umano da qualche regola.

Di fronte a una tale situazione, domandiamoci:è possibile risvegliare il soggetto perché pos-sa essere veramente se stesso, rendersi fino in

fondo consapevole di sé, approfondire la sua natura di sog-getto, liberarsi così dalla dittatura dei propri “piccoli” de-sideri e da tutte le false risposte? Senza questo risveglio l’uo-mo non potrà evitare di essere succube delle tirannie piùdiverse che non riescono a dargli l’anelato compimento.

Ma come si ridesta il desiderio? Non attraverso un ragiona-mento o una qualche tecnica psicologica, ma solo incontrandoqualcuno in cui la dinamica del desiderio sia già attivata. A que-sto proposito, osserviamo come continua il dialogo tra il gio-vane estensore della lettera e gli amici che hanno paura del-la loro libertà. Il giovane, dopo aver ascoltato il racconto di tut-te le paure dei suoi amici, afferma: «“Voi avete ragione ad ave-re paura, siete intelligenti e vi rendete conto che la libertà è unacosa grande e difficile, e che la vita è una cosa seria. Ma nondesiderate di potervi gustare la libertà? E non vorreste poterdesiderare di essere felici?”. Ho detto loro che io questo desi-derio non riuscivo a togliermelo! Loro sono rimasti qualcheistante in silenzio e poi: “È questo che invidiamo di più in te,che non hai paura”. E salutandomi a fine serata lui mi ha det-

VI MAGGIO 2014

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La storia recentedimostra che

nessuna leggegiusta di per sé

è riuscita a impedire la deriva

che vediamo

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to: “Vediamoci più spesso perché quando sto con te ho menopaura anch’io”».

Nessuno come don Giussani ha fatto tesoro di questa espe-rienza, tanto semplice quanto radicale e culturalmente po-tente, per rispondere alla domanda su come si ridesta l’io:«Quella che sto per dare» - diceva Giussani - «non è una ri-sposta [adatta solo] alla situazione in cui versiamo [...]; quel-lo che sto dicendo è una regola, una legge universale da quan-do [e fino a quando] l’uomo c’è: la persona ritrova se stessain un incontro vivo [come abbiamo appena sentito descri-vere: “È questo che invidiamo di più in te, che non hai pau-ra... Vediamoci”], vale a dire in una presenza in cui si imbattee che sprigiona un’attrattiva, [...] provoca al fatto che il cuo-re nostro, con quello di cui è costituito [...], c’è, esiste» (L’iorinasce in un incontro. 1986-1987, op. cit., p. 182). Questo cuo-re tante volte è addormentato, sepolto sotto mille macerie,sotto mille distrazioni, ma viene ridestato e provocato a unriconoscimento: c’è, il cuore c’è, il tuo cuore c’è. Tu hai unamico, trovi per strada un amico della tua vitaquando ti succede questo con lui, quando ti tro-vi davanti uno che ti ridesta a te stesso. Questoè un amico, tutto il resto non lascia traccia.

«Ciò di cui abbiamo soprattutto bisogno inquesto momento della storia - diceva ancoraBenedetto XVI - sono uomini che, attraversouna fede illuminata e vissuta, rendano Dio cre-dibile in questo mondo. [...] Abbiamo bisognodi uomini che tengano lo sguardo dritto ver-so Dio, imparando da lì la vera umanità. Ab-biamo bisogno di uomini il cui intelletto sia il-luminato dalla luce di Dio e a cui Dio apra ilcuore, in modo che il loro intelletto possa par-lare all’intelletto degli altri e il loro cuore possa aprire il cuo-re degli altri» (L’Europa di Benedetto..., op. cit., pp. 63-64).

È allora che uno capisce il bene che costituisce l’altro. In-fatti, senza l’incontro con l’altro - e con un certo altro - nonpotrebbe emergere né mantenersi vivo un io che si apra alledomande fondamentali del vivere, che non si accontenti di ri-sposte parziali. Il rapporto con l’altro è una dimensione an-tropologica costitutiva.

5. L’ALTRO È UN BENEÈ su questa base - la consapevolezza cioè che l’altro è un bene,come documenta il dialogo tra quegli amici - che si può co-struire l’Europa. Senza recuperare l’esperienza elementare chel’altro non è una minaccia, ma un bene per la realizzazionedel nostro io, sarà difficile uscire dalla crisi in cui ci troviamo,nei rapporti umani, sociali e politici. Da qui deriva l’urgen-za che l’Europa sia lo spazio in cui si possano incontrare i di-versi soggetti, ciascuno con la propria identità, per aiutarsi acamminare al destino di felicità a cui tutti aneliamo.

Difendere questo spazio di libertà per ciascuno e per tutti

è la ragione definitiva per andare a votare alle prossime ele-zioni per il rinnovo del Parlamento Europeo, per una Euro-pa in cui non vi siano né imposizioni da parte di alcuno, néesclusioni a motivo di preconcetti o di appartenenze diversedalla propria. Votiamo per un’Europa nella quale ciascuno pos-sa dare il proprio contributo alla costruzione di essa, offren-do la propria testimonianza, riconosciuta come un bene pertutti; senza che nessun europeo sia costretto a rinunciare allapropria identità per appartenere alla casa comune.

Solo nell’incontro con l’altro potremo sviluppare insiemequel “processo di argomentazione sensibile alla verità”, di cuiparla Habermas. Possiamo, in questo senso, accorgerci an-cora di più della portata dell’affermazione di papa France-sco: «La verità è una relazione! Tanto è vero che anche cia-scuno di noi la coglie, la verità, e la esprime a partire da sé:dalla sua storia e cultura, dalla situazione in cui vive, ecc.»(Francesco, “Lettera a chi non crede”, la Repubblica, 11 set-tembre 2013, p. 2). «Il nostro impegno non consiste esclu-

sivamente in azioni o in programmi di pro-mozione e assistenza, ma prima di tutto un’at-tenzione rivolta all’altro “considerandolo comeun’unica cosa con se stesso”» (Evangelii Gau-dium, 199). Solo in tale rinnovato incontro lepoche grandi parole che hanno generato l’Eu-ropa potranno ritornare ad essere vive. Perché,come ci ricorda Benedetto XVI, «anche le strut-ture migliori funzionano soltanto se in una co-munità sono vive delle convinzioni che sianoin grado di motivare gli uomini ad una liberaadesione all’ordinamento comunitario. La li-bertà necessita di una convinzione; una con-vinzione non esiste da sé [né la può generare

una legge], ma deve essere sempre di nuovo riconquistata co-munitariamente» (Spe salvi, 24). Questa riconquista delle con-vinzioni fondamentali non avviene se non dentro un rapporto.Il metodo con cui sono venute a galla pienamente le «con-vinzioni fondamentali» (persona, valore assoluto del singo-lo, libertà e dignità di ogni essere umano...) è il metodo concui esse possono essere riconquistate: non ve n’è un altro.

Noi cristiani non abbiamo alcuna paura a entrare, senza pri-vilegi, in questo dialogo a tutto campo. Questa è, per noi, un’oc-casione preziosa di verificare la capacità dell’avvenimento cri-stiano di reggere davanti alle nuove sfide, poiché ci offre l’op-portunità di testimoniare a tutti cosa succede nell’esistenzaquando l’uomo intercetta l’avvenimento cristiano lungo la stra-da della vita. La nostra esperienza, nell’incontro con il cri-stianesimo, ci ha mostrato che la linfa vitale dei valori dellapersona non sono leggi cristiane o strutture giuridiche e po-litiche confessionali, ma l’avvenimento di Cristo. Per questo,noi non mettiamo la nostra speranza, per noi e per gli altri,in nessuna altra cosa che nel riaccadere dell’avvenimento

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Tu hai un amico,trovi per strada un amico della

tua vita, quando titrovi davanti unoche ti ridesta a te

stesso. Il restonon lascia traccia

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di Cristo in un incontro umano. Ciò non significa in al-cun modo contrapporre la dimensione dell’avvenimento ela dimensione della legge, ma riconoscere un ordine geneti-co fra esse. Anzi, è proprio il riaccadere dell’avvenimento cri-stiano che consente all’intelligenza della fede di diventare in-telligenza della realtà, così da poter offrire un contributo ori-ginale e significativo rendendo vive quelle convinzioni che pos-sono essere introdotte nell’ordinamento comunitario.

È questa la puntualizzazione che sta al centro della Evan-gelii Gaudium: la constatazione che, nel mondo cattolico, labattaglia per la difesa dei valori è divenuta nel tempo così prio-ritaria da risultare più importante rispetto alla comunicazionedella novità di Cristo, alla testimonianza della sua umanità.Questo scambio tra antecedente e conseguente documentala caduta “pelagiana” di tanto cristianesimo odierno, la pro-mozione di un cristianesimo “cristianista” (Rémi Brague), pri-vato della Grazia. L’alternativa non risiede,come taluni lamentano, in una fuga “spiritua-listica” dal mondo. La vera alternativa è piutto-sto, come abbiamo visto, la comunità cristiananon svuotata del suo spessore storico, che offreil suo contributo originale «risvegliando negli uo-mini, attraverso la fede, le forze dell’autentica li-berazione» (Benedetto XVI, in Accanto a Gio-vanni Paolo II, Ares, Milano 2014, p. 18).

Chi è impegnato sulla scena pubblica, in cam-po culturale o politico, ha il dovere, da cristia-no, di opporsi alla deriva antropologica odier-na. Ma questo è un impegno che non può coinvolgere tut-ta la Chiesa in quanto tale, la quale ha l’obbligo, oggi, di in-contrare tutti gli uomini, indipendentemente dalla loro ideo-logia o appartenenza politica, per testimoniare l’“attrattivaGesù”. L’impegno dei cristiani in politica e nelle sfere dovesi decide del bene comune degli uomini rimane necessario.Anzi, attraverso il modello della dottrina sociale dellaChiesa, indica quelle formule di convivenza condivisa chel’esperienza cristiana ha verificato. Oggi più che mai è im-portante. Senza mai dimenticare che nelle circostanze attualitale impegno assume, in senso paolino, più un certo valo-re katechontico, cioè critico e di contenimento, entro i limi-ti del possibile, degli effetti negativi delle pure procedure edella mentalità che ne è la causa. Non può, però, presume-re che dalla sua azione, per quanto meritoria, possa mec-canicamente sorgere il rinnovamento ideale e spirituale del-la città degli uomini. Questo nasce da «ciò che viene prima»,che primerea, da un’umanità nuova generata dall’amore aCristo, dall’amore di Cristo.

È questa consapevolezza che ci consente di vedere i limitidelle posizioni di chi crede di poter risolvere tutto median-te procedure o leggi, di uno schieramento o di quello con-trario, e per questo pensa che difendere uno spazio di liber-

tà sia troppo poco. Tanti vorrebbero che il conseguimentodei diritti o il loro divieto fosse assicurato dalla politica. Cosìsi risparmierebbero «di essere buoni», per dirla con Eliot. Cosaci insegna il fatto che «neppure lo sforzo, davvero grandio-so, di Kant è stato in grado di creare la necessaria certezza con-divisa»? Cosa impariamo dalla nostra storia recente, aven-do visto che non sono bastate le leggi buone per mantene-re vive le grandi convinzioni? C’è un lungo cammino da fareper arrivare a una «certezza condivisa» (L’Europa di Benedetto...,op. cit., p. 62).

La lunga marcia che ha percorso la Chiesaper chiarire il con-cetto di «libertà religiosa» può aiutare a capire che difende-re lo spazio di tale libertà forse non è poi così poco. Dopo unlungo travaglio, nel Concilio Vaticano II, la Chiesa è arriva-ta a dichiarare che «la persona umana ha il diritto alla liber-

tà religiosa», proprio mentre continua a pro-fessare il cristianesimo come l’unica «vera reli-gione». Il riconoscimento della libertà religio-sa non è una sorta di compromesso, come se sidicesse: siccome non siamo riusciti a convince-re gli uomini che il cristianesimo è la religionevera, difendiamo almeno la libertà religiosa. No,la ragione che ha spinto la Chiesa a modificareuna prassi durata secoli, tanti secoli, è stata l’ap-profondimento della natura della verità e dellastrada per raggiungerla: «La verità non si imponeche per la forza della verità stessa». Era questa la

ferma persuasione della Chiesa nei primi secoli, la grande ri-voluzione cristiana fondata sulla distinzione tra le due città,tra Dio e Cesare. Una persuasione destinata ad attenuarsi dopol’Editto di Tessalonica (380 d. C.) ad opera dell’imperatoreTeodosio. Nel ritorno allo spirito della Patristica il VaticanoII può affermare che «gli esseri umani devono essere immunidalla coercizione [...] così che in materia religiosa nessuno siaforzato ad agire contro la sua coscienza né sia impedito, en-tro debiti limiti, di agire in conformità ad essa». E infine: «Que-sto diritto della persona umana alla libertà religiosa deve es-sere riconosciuto e sancito come diritto civile nell’ordinamentogiuridico della società» (Dichiarazione sulla libertà religiosaDignitatis humanae, 7 dicembre 1965, 1.2). Se questo si devedire per il valore più grande, quanto più per tutti gli altri!

Solo se l’Europa diventa uno spazio di libertà, dove ognu-no può essere immune dalla coercizione, fare il proprio cam-mino umano e condividerlo con chi trova sulla propria stra-da, potrà ridestarsi l’interesse per un dialogo, per un incon-tro in cui ciascuno offra il contributo della sua esperienza perraggiungere quella «certezza condivisa» che è necessaria perla vita comune.

Il nostro desiderio è che l’Europa diventi uno spazio di li-bertà per l’incontro tra i ricercatori della verità. Per questo valela pena impegnarsi.

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Il nostrodesiderio è chel’Europa diventi

uno spazio di libertà

per l’incontro tra i ricercatori

della verità

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