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Settore Polizia Locale e Politiche per la Sicurezza CORSO DI ALTA SPECIALIZZAZIONE IN MATERIA DI CRIMINOLOGIA APPLICATA TESI CESARE LOMBROSO, il Padre della Criminologia Italiana RELATORE: dott.Antonio ZULLO CANDIDATO: dott. Massimo FELTRIN ANNO 2012 - 2013

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Settore Polizia Locale e Politiche per la Sicurezza

CORSO DI ALTA SPECIALIZZAZIONE IN MATERIA DI CRIMINOLOGIA APPLICATA

TESI

“ CESARE LOMBROSO, il Padre della Criminologia Italiana”

RELATORE: dott.Antonio ZULLO

CANDIDATO: dott. Massimo FELTRIN

ANNO 2012 - 2013

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INDICE

• INTRODUZIONE pag. 3

1. CESARE LOMBROSO :

• LA VITA: VERONA E CHIERI, PAVIA, PADOVA E VIENNA pag. 5;

• GOZZO E CRETINISMO pag. 8;

• IL SERVIZIO MILITARE pag. 9;

• LA MALATTIA MENTALE: TORINO E LA CATTEDRA DI MEDICI NA LEGALE

pag. 10;

• L’ANTROPOLOGIA CRIMINALE E L’UOMO DELINQUENTE pag. 12;

• COSA RESTA DELLA SUA OPERA SCIENTIFICA pag. 32

2. FRANCESCO CARRARA : LA SCUOLA CLASSICA DI DIRITTO PENALE

pag. 20;

3. ENRICO FERRI, MARIO CARRARA, RAFFAELE GAROFALO, MARIANO

LUIGI PATRIZI : LA SCUOLA POSITIVA DI DIRITTO PENALE pag. 22;

4. IL MUSEO DI ANTROPOLOGIA CRIMINALE A TORINO pag. 38

● BIBLIOGRAFIA pag. 43.

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INTRODUZIONE

La Criminologia è la scienza multidisciplinare che studia i reati, gli autori, le vittime, i tipi di

condotta criminale (e la conseguente reazione sociale) e le forme possibili di controllo e

prevenzione.

Oggetti fondamentali di studio sono i reati - la cui definizione è sociale e normativa - e i loro autori.

In passato sono stati fatti tentativi di arrivare a definire dei delitti "naturali", condivisi come tali da

tutte le culture, ma hanno portato sostanzialmente ad un nulla di fatto; il delitto, in questo senso,

non può essere inteso come fatto biologico o "assoluto", ma come frutto di una certa definizione

sociale che varia in funzione del tempo (storia) e dello spazio (geografia), ossia varia da cultura a

cultura.

Crimine, diritto e cultura sono pertanto concetti profondamente correlati tra loro.

Dal punto di vista storico, i primi albori della Criminologia si hanno con l'affermarsi della cultura

illuminista nel XVIII secolo e in particolare con l'intellettuale giurista italiano Cesare BECCARIA

(Milano 1738 – 1794; tra i massimi rappresentanti dell’Illuminismo italiano) e il suo trattato "Dei

delitti e delle pene". Nasce in questo contesto la cosiddetta Scuola Classica, imperniata sui concetti

liberistici del Diritto Penale.

Nell'Ottocento - con lo sviluppo delle Scienze empiriche (Psicologia, Sociologia, Antropologia) -

evolve la Scuola Positiva, che si articola in due direzioni: lo studio dell'uomo che delinque secondo

l'approccio medico-biologico dell'Antropologia Criminale (Cesare Lombroso), e lo studio

sociologico delle condizioni che favoriscono la commissione "differenziale" di reati in funzione del

ceto sociale di appartenenza.

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In seguito, con il moltiplicarsi delle ricerche e delle conoscenze psicologiche, la Scuola Positiva

assume un indirizzo psicopatologico e psichiatrico. La delusione conseguente alle eccessive

aspettative in relazione alla possibilità di affrontare scientificamente i problemi della criminalità

porterà all'emergere degli approcci di Criminologia critica (di impostazione marxista) e di

"anticriminologia" da un lato, e dall'altro al riemergere della Scuola Classica nel filone oggi

denominato "neoclassico" (soprattutto nel nostro Paese, caratterizzato - come è noto -

dall'avversione per le Scienze sociali da parte delle ideologie politicamente dominanti; viceversa nei

Paesi anglosassoni e negli Stati Uniti la Criminologia, a partire dagli Anni Venti del 1900, si

qualifica come disciplina prevalentemente sociologica).

Si può dire, in definitiva, che la Criminologia costituisce il punto di incontro e di dibattito di tutti i

contributi scientifici al problema del delinquente in quanto persona e della criminalità come

fenomeno sociale, oltre che a quello delle forme più adeguate ai fini di prevenzione, trattamento e

controllo della criminalità.

La figura di Cesare LOMBROSO (i cui studi di Medicina sociale sono una delle fonti principali

della legislazione sanitaria italiana) è emblema dell’influenza che il Positivismo francese e inglese

ha esercitato in Italia, soprattutto nella forma evoluzionistica propugnata dal filosofo britannico

Herbert SPENCER (Derby 27 aprile 1820 – Brighton 8 dicembre 1903).

Ma il suo nome resta legato soprattutto all'Antropologia Criminale, di cui è ritenuto il fondatore,

insieme con la "Scuola Positiva del Diritto Penale", in cui ha abbozzato le teorie poi sviluppate dal

suo allievo Enrico FERRI (San Benedetto Po 25 febbraio 1856 – Roma 12 aprile 1929).

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CESARE LOMBROSO

LA VITA: VERONA E CHIERI, PAVIA, PADOVA E VIENNA

Ezechia Marco LOMBROSO - Cesare solo di soprannome – nasce da agiata famiglia ebraica a

Verona il 6 novembre 1835, secondogenito di Aronne e Zefora LEVI.

Precoce osservatore, introverso e molto sensibile, cambia decisamente crescendo, plasmato dalla

personalità della madre, donna di grande cultura, forte, volitiva e risoluta. E’ lei che lo porta per

qualche tempo a Chieri presso la propria famiglia di ricchi imprenditori e proprietari, in contatto

con i fermenti politici del Piemonte di quegli anni, dove Cesare conosce il cugino materno David

LEVI (Chieri 6 novembre 1816 – Torino 24 ottobre 1898), patriota mazziniano e scrittore, di cui

receperirà l’intolleranza e l’irrequietezza intellettuale.

Notevole peso sul giovane hanno anche le vicende patrimoniali della famiglia paterna, colpita da

grave dissesto economico; si sviluppa così un aperto disaccordo col padre, religiosissimo ma poco

abile negli affari.

Il clima politico del Lombardo-Veneto - dopo aver accolto in un primo tempo molte delle riforme

libertarie della rivoluzione francese - si fa via via sempre più opprimente, con il ripristino della

censura e l’instaurazione di un vero e proprio Stato di Polizia. Vengono chiusi numerosi Istituti di

istruzione secondaria e le due Università, a Padova e Pavia.

La famiglia ritiene pertanto prudente togliere dalla scuola pubblica un quindicenne col carattere di

Cesare, che nel frattempo si è scoperto”ribelle e libero pensatore”, ateo avendo rilevato nella Bibbia

”un cumulo di contraddizioni ed assurdità”.

Nel 1850 il Nostro scrive e pubblica sul “Collettore dell’Adige” un articolo dal titolo “Saggio sullo

studio della storia della Repubblica Romana”, ove sostiene l’esistenza di un substrato generale, di

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una comune base di partenza dello sviluppo della civilizzazione, la quale si sovrappone - senza

estinguerli - ai primitivi caratteri dell’umanità che possono sempre riaffiorare ed essere identificati,

nella società come nel singolo individuo.

Già qui c’è forse il primo abbozzo della celebre teoria lombrosiana dell’atavismo, che sostiene che

la spinta a delinquere sia determinata dal riaffiorare nel reo di caratteri ancestrali.

In questi anni Lombroso conosce l’opera di Paolo MARZOLO (Padova 1811 - Pisa 1868)

“Monumenti storici rivelati dall’analisi delle parole”, di cui pubblica una breve recensione

intitolata “Filologia”, ed anche qui trova materializzazione la sua idea dell’identificazione di

antiche strutture preesistenti nel presente; nasce così - nonostante lo stacco generazionale - una

profonda amicizia tra i due, tanto che Marzolo persuade il suo giovane amico ad iscriversi ad una

facoltà di Medicina (contro il progetto materno di una sua Laurea in campo umanistico), cosa che

avviene nel 1852 con l’iscrizione al Corso di Laurea in Medicina presso l’Università di Pavia.

A Pavia Lombroso trova un ambiente che subito gli riesce congeniale per la grande libertà, per la

facilità di contatti con i coetanei - negata fino ad allora - e per la vicinanza con Milano, città ricca di

circoli e di fermenti intellettuali; stringe amicizia col patologo Paolo MANTEGAZZA (Monza 31

ottobre 1831 – San Terenzo 28 agosto 1910) e col francese Louis Ferdinand Alfred MAURY

(Meaux 23 marzo 1817- Parigi 11 febbraio 1892), autore di “Le Reve”, divenuto un classico della

letteratura psichiatrica sul sogno.

Nell’autunno 1854 frequenta il terzo anno dell’università a Padova, senza peraltro riuscire ad

inserirsi nel nuovo ambiente universitario; frustrato per di più da una cocente delusione amorosa, si

trasferisce allora nella capitale, cioè a Vienna, ove prosegue gli studi e comincia a focalizzare la sua

attenzione sui problemi psichiatrici; nel 1855 pubblica sulla Gazzetta Medica Italiana, diretta da

Bartolomeo PANIZZA (Vicenza 17 agosto 1785 – Pavia, 17 aprile 1967; professore ordinario di

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Anatomia e successivamente Rettore dell’Ateneo pavese, giunge a stabilire la topografia dell’area

visiva nella corteccia cerebrale dei lobi occipitali), uno scritto sulla “Pazzia di Cardano”.

Gerolamo CARDANO (Pavia 24 settembre 1501 – Roma 21 settembre 1576), medico, filosofo e

fisico-matematico del sec. XVI, figura irrequieta e geniale del suo tempo, è tra i fondatori

dell’Algebra moderna e il precursore del metodo sperimentale; è conosciuto per la dimostrazione

dell’impossibilità del moto perpetuo, l’accertamento della densità dei corpi sulla base della diversa

rifrazione e permeabilità alla luce e la “formula cardanica” di risoluzione delle equazioni cubiche,

non solo su base algebrica, ma anche numerica.

Compie inoltre passi importanti nella storia della Psichiatria e delle Scienze sociali, sostenendo

l’equivalenza biologica di tutti gli uomini; nel difendere il proprio figlio (accusato di veneficio della

madre), getta il primo abbozzo di quella che viene definita Antropologia Criminale, Criminologia e

Psicopatologia forense.

Cardano esibisce senza alcun pudore i propri vizi e le proprie debolezze, convinto che si tratti di

estrinsecazioni della personalità tali da non intaccarne la fama.

Oggi saremmo portati a definirlo ”un paranoico allucinato ed affetto da delirio di operosità e

grandezza1” (Pier Luigi BAIMA BOLLONE [Torino 23/04/1937; medico e Professore Emerito

dell’Università di Torino] ”Cesare Lombroso”), mentre il giovane Lombroso coglie in lui il fascino

del genio e giunge a sostenere che il sogno in alcuni casi è un sintomo, in altri la causa della pazzia

(primo germe dell’idea lombrosiana che vi sia un legame tra genialità e pazzia, che si palesa nella

conflittualità del sogno).

1 P.L. BAIMA BOLLONE: Cesare LOMBROSO Pag. 11 SEI 1992

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La “Pazzia di Cardano” costituisce un importante documento sulle conoscenze biologiche del

Nostro: confrontando questo lavoro con gli altri scritti giovanili è evidente il costante filo

conduttore della persistenza di antiche strutture nella fenomenologia attuale.

A questo punto infatti Lombroso ha già acquisito il concetto di eredità biologica e di patrimonio

ereditario; mancano però ancora le teorie evoluzionistiche (l’era evoluzionistica del pensiero

biologico inizia solo alla fine del 1859, quando Charles DARWIN [Shrewsbury 12 febbraio 1809 –

Londra 19 aprile 1882] pubblica ”L’origine delle specie”, che avrebbe portato alla concezione della

ricomparsa di caratteri ancestrali in alcuni particolari individui e che Lombroso acquisirà proprio

durante la sua frequenza dell’Università di Vienna).

Dato fondamentale per la comprensione delle teorie lombrosiane è l’epoca in cui vengono

concepite, che – a differenza della Scienza moderna - ritiene l’uomo incapace di completa

autodeterminazione e libertà.

IL GOZZO ED IL CRETINISMO

Questa piccola digressione sull’attività del medico Lombroso è significativa per evidenziare il suo

metodo di approccio a qualsivoglia materia che intenda affrontare, metodo usato anche in

Criminologia : l’osservazione e la catalogazione, con la capacità di restringere l’interesse ad aree

omogenee e/o soggetti che in qualche maniera presentano caratteristiche simili tra di loro (o come

nel caso specifico sintomi e malformazioni). Il gozzo è rappresentato da un aumento di volume

della tiroide che si evidenzia con un ingrossamento deforme del collo, mentre col termine

cretinismo si intende una condizione morbosa complessa caratterizzata da arresto dello sviluppo

corporeo e delle facoltà intellettuali, con conseguenti nanismo ed idiozia. Si tratta di espressioni

patologiche causate dallo iodio, la cui carenza in determinate fasi dello sviluppo embrionale

provoca cretinismo con o senza gozzo e – dopo la nascita - gozzo con o senza cretinismo. Ciò che

colpisce l’interesse di Lombroso è la circostanza che le aree di endemia - sia del gozzo che del

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cretinismo - si sviluppano in zone ben circoscritte, ed in particolare in alcuni distretti alpini

compresi tra i 500 ed i 1500 metri del Piemonte e della Liguria. La scienza medica del tempo ritiene

che tali patologie siano dovute ad avvelenamento da parte di miasmi emanati da sostanze in

disfacimento, in particolare dalle acque stagnanti e dai terreni paludosi. Lombroso ha il merito di

avere associato correttamente il cretinismo alla tiroide ed in particolare alla sua alterazione

morfologica rappresentata dal gozzo, ma - pur prescrivendo come cura lo iodio - non riuscirà a

collegare le suddette affezioni ad una carenza di tale elemento.

IL SERVIZIO MILITARE

L’esercito Piemontese, così come quello della vicina Francia, prevede nel suo organico un certo

numero di medici militari (la cui carriera inizia col grado di medico di Battaglione fino a diventare

– al livello più alto - Presidente del Comitato Superiore di Sanità Militare); già fin dal 1666 il Duca

Carlo Emanuele II ha stabilito che ogni guarnigione abbia una casa ove accogliere i soldati

ammalati e dal 1850 l’esercito sabaudo dispone che i medici militari abbiano una doppia laurea,

quella in Medicina e quella in Chirurgia, in quanto il 20% degli interventi chirurgici militari è

costituito da amputazioni, con mortalità elevatissima che nei teatri di guerra raggiunge spesso il

90% (al proposito Theodor BILLROTH [Bergen auf Rügen 26 agosto 1829 – Abbazia 6 febbraio

1894], celebre medico dell’Ospedale Cantonale Svizzero, afferma che il 46% degli amputati muore,

spesso per le conseguenti infezioni).

Lombroso, laureatosi in Chirurgia a Genova il 14 maggio 1859, arruolato sei giorni dopo nel Corpo

Sanitario Militare, partecipa alla campagna del 1859 e può essere considerato un antesignano

dell’antisepsi in Italia, in quanto tratta le ferite con impacchi di alcool ottenendo grandi successi.

La vita nell’esercito è per lui anche una preziosa miniera di osservazioni antropologiche che gli

permette ad esempio di esaminare i caratteri etnici tipici di ciascuna regione, all’epoca ancora

incontaminati, acquisendo una grande esperienza sulle caratteristiche fisiche regionali.

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Dapprima è assegnato all’Ospedale Divisionale di Torino, successivamente a quello di Milano; nel

1861/62 viene trasferito in Calabria per la repressione del brigantaggio, il 22 novembre 1865 si

congeda dall’esercito - essendo interessato alla carriera universitaria - ma nel 1866, in occasione di

una nuova guerra con l’Austria, rindossa la divisa fino al novembre 1866, quando lascia

definitivamente, con menzione onorevole2 il servizio militare ritornando a Pavia.

LA MALATTIA MENTALE: TORINO E LA CATTEDRA DI MEDICINA LEGALE

Rientrato nella vita civile, il Nostro si dedica alla Scienza medica; famoso è il suo trattato sulla

pellagra, malattia endemica delle colline del Canavese e della Brianza, zone di condizioni di vita

particolarmente misere con insufficienza alimentare, precarietà della situazione igienica,

affaticamento fisico alle volte congiunto all’alcoolismo.

Studi dell’epoca evidenziano come - dopo la scoperta del Nuovo Mondo e l’introduzione del mais

in Italia (impiantato dapprima nel Sud, poi nel Veneto e quindi nel resto della Penisola) - la polenta

di meliga abbia soppiantato quella fatta con farina di altri cereali o di castagne, imponendosi su ogni

mensa povera spesso come unica forma di sostentazione.

I nutrizionisti sostengono però che il mais, quando rappresenti l’unico apporto alimentare, è

inadeguato a soddisfare le esigenze di una dieta corretta.

Lombroso pubblica numerosi studi sull’argomento, deduce che la malattia è una sorta di

intossicazione alimentare, trova anche una cura e pubblica il “Trattato profilattico sulla pellagra”

che gli frutta una discreta somma di denaro e la nomina a Cavaliere d’Italia.

Ancora prima del suo congedo dall’esercito - precisamente durante la frequenza all’Università di

Vienna – viene in contatto con la Neuropsichiatria, il suo interesse alla materia continua negli anni

2 “Ministero della Guerra : R.D. che accorda la medaglia commemorativa a tutti coloro che fecero la campagna del 1866 :al Dott. Cesare LOMBROSO Medico di Battaglione del Corpo Sanitario viene concessa Menzione Onorevole con la seguente Motivazione: “Nell’Ospedale dei cholerosi si è dato a tutt’uomo per la cura dei medesimi mostrando un coraggio ed un’abnegazione Degna di ogni Elogio”.

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tanto che nel 1871 assume la direzione del manicomio di Pesaro, che viene riorganizzato secondo i

criteri più moderni: vengono aperte le porte, create attività ricreative, stimolata la lettura…

Dal punto di vita lavorativo è sicuramente uno dei momenti più felici.

Nel novembre 1873 ritorna a Pavia, mancandogli il mondo universitario; dopo alcune vicissitudini

nel 1874 vince su Secondo LAURA (Ventimiglia 21/09/1833- Torino 1/03/1902, uno dei più

benemeriti medici filantropi della capitale piemontese) la cattedra di professore ordinario di

Medicina Legale a Torino, materia presa in considerazione da alcuni Statuti sabaudi fin dal 1430,

fino a giungere alle Leggi e Costituzioni di Vittorio Amedeo II (nel 1723) e di Carlo Emanuele II

(nel 1770), che focalizzano la loro attenzione sulle garanzie per una corretta raccolta e

conservazione delle prove, anticipando di un paio di secoli l’obbligo del referto e del rapporto per

chi svolge l’attività sanitaria, le norme sul sopralluogo giudiziario e l’obbligatorietà della

consulenza-perizia in ambito di lesioni personali, volontarie, colpose ed accidentali.

All’epoca in cui il Nostro si insedia sulla Cattedra di Medicina Legale, in Piemonte si è formata una

cultura, una classe medica severa e rigorosa, un ambiente favorevole alla ricerca e allo sviluppo di

questa materia; la capitale subalpina è dotata di una struttura sanitaria solida ed efficiente,

l’Ospedale Maggiore della Città di Torino ha ben due sale autoptiche molto efficienti, cui se ne

affiancano altre sparse in diversi ospedali cittadini, nonché un Museo Anatomico dell’Università

(molto apprezzata per la fama e la serietà dei suoi professori), strutture – dunque - che garantiscono

gli studi ed i progressi delle Scienze medico-legali.

Ciò che però maggiormente interessa Lombroso è l’Ospedale dei Pazzerelli, fondato nel lontano

1728 e divenuto in seguito Ospedale psichiatrico, che ha il compito di raccogliere i malati di mente

e che costituisce il luogo ideale per la prosecuzione delle indagini del nuovo professore ordinario di

Medicina Legale.

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Nel 1873 Darwin nel suo secondo libro sull’Origine dell’Uomo - sconvolgendo la concezione

tradizionale della fissità delle specie - sostiene che l’uomo attuale deriva dallo scimpanzé e che

l’evoluzione avviene per selezione naturale; Lombroso, quale professore di Medicina Legale a

Torino, si trova nelle migliori condizioni per conoscere il darwinismo, in quanto nel 1874 proprio a

Torino le teorie di Darwin sono state illustrate per la prima volta dallo zoologo Filippo DE FILIPPI

(Pavia 20 aprile 1814 – Hong Kong 9 febbraio 1867); Lombroso però – sorprendentemente -

negherà sempre ogni rapporto col darwinismo.

L’ANTROPOLOGIA CRIMINALE E L’UOMO DELINQUENTE

I contributi portati da Cesare Lombroso all’Antropologia Criminale, che viene da lui stesso creata e

coltivata per quarant’anni - dedicandovi il meglio dei propri studi e centinaia di scritti sull’origine e

la natura della delinquenza - sono numerosi ed originali.

Nel 1863 pubblica una “carta igienica” dell’Italia, staccandosi dagli aspetti più strettamente medici

a favore dell’antropometria fornendo dunque dati precisi sulle stature, sui pesi e sulle fisionomie

degli Italiani “onesti e delinquenti” e svolgendo inoltre accurate ricerche sulla forma e sulla misura

del cranio degli Italiani in varie regioni (Piemonte, Toscana e Calabria).

Acuto osservatore, in determinati individui coglie - nella loro vita di ogni giorno e nelle quotidiane

attività - alcuni caratteri psico-fisici ancestrali, caratteri cioè che vengono dal lontano passato, da

lontani progenitori; applica così alla specie umana la teoria (concepita già nelle sue prime

pubblicazioni di carattere linguistico ed archeologico) della ricomparsa nell’uomo moderno di

caratteri atavici.

Sulla base di questi presupposti individua quindi alcune categorie di delinquenti: i delinquenti nati,

gli occasionali, i passionali, cui si aggiungono gli epilettici ed i pazzi; ognuno di essi deve essere

descritto, osservato, misurato e catalogato, pertanto visita manicomi, ospedali e carceri.

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Concepisce l’Antropologia Criminale come un grande catalogo, ove le tipizzazioni da lui stesso

individuate (osservando, misurando vivi e cadaveri, organi e scheletri) possono essere elaborate.

Durante il periodo del servizio militare come medico militare, studiando i soldati viene colpito dalla

grande abbondanza e dall’oscenità dei tatuaggi del “soldato disonesto in confronto all’onesto3, e nel

1864, concepisce l’idea che il “delinquente” abbia personalità e struttura fisica diverse da quelle

dell’uomo “normale”.

Sempre in quegli anni viene incaricato dell’insegnamento della Psichiatria all’Università di Pavia,

trovandosi così ad affrontare il problema della Psichiatria forense e della diagnosi differenziale tra il

soggetto normale ed il sano di mente, tra il pazzo ed il criminale.

“Qualunque volta ci si affaccia a un’opera o ad un problema di Medicina Legale sulle alienazioni

mentali ci sentiamo sorpresi da un senso di sconforto e di ribrezzo. …omissis….e così accade che o

per eccessiva precauzione o per una ingiusta reazione alla diffidenza dei giudici gli uni (i medici)

non vogliono trovare pazzo nessun criminale anche alienato, gli altri (i giudici) abbondano in

senso contrario, così da convertire in manicomio tutte le prigioni. Sono solo le cifre e gli strumenti

di precisione quelli che hanno fatto fare alla Scienza quei passi da gigante che tutti noi ammiriamo

e perché non si dovrebbe applicare questo meraviglioso metodo anche alla Scienza psichiatrica?

omissis …”(“ La medicina Legale delle alienazioni mentali studiata col metodo sperimentale”,

opera postuma pubblicata a Torino nel 1911).

Lombroso quindi, avendo individuato le lacune suindicate, sistematicamente “misura” i pazzi e le

loro funzioni, ne accerta la statura, il peso, i caratteri della cute, dei capelli e dei peli, valuta la

situazione dentaria, registra la vista, l’udito, il tatto, la sensibilità al dolore, la capacità intellettuale,

l’abilità manuale, la scrittura ed indaga la funzione dei principali organi interni.

3 Cesare LOMBROSO : In Calabria 1862

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Sui cadaveri studia l’anatomia patologica, pervenendo ad alcune osservazioni, come ad esempio

che nell’uomo alienato il peso è minore di quello dell’uomo sano, i suoi capelli soffrono – spesso -

di depigmentazione, di canizie e calvizie precoci, i maniaci ed i dementi hanno dentatura irregolare,

cariata e manchevole anche in giovane età, nei maniaci l’occhio riflette luce abbagliante, quasi tutti

gli alienati presentano disordini di mobilità, la sensibilità dolorifica è abolita nelle manie furiose,

l’intelligenza invece è abolita nelle demenze.

Nella sua opera principale “L’uomo delinquente” (la prima edizione è del 1876 e – nell’arco di un

ventennio – passerà da un volume unico di circa 250 pagine a tre volumi corredati di un Atlante

iconografico, per un totale di circa 1900 pagine destinate ad innumerevoli traduzioni all’estero)

espone la sua intuizione: nel criminale si è avuto un arresto dello sviluppo ontogenetico (sviluppo

biologico di un organismo vivente); egli è un individuo filogeneticamente (la filogenesi è un

processo evolutivo degli organismi vegetali e animali dalla loro comparsa sulla Terra a oggi) arretrato,

un atavico, e presenta gli istinti feroci degli uomini primitivi. È questa “la teoria del delinquente

nato”, secondo la quale i criminali sarebbero indotti fatalmente al delitto dalle loro malformazioni

congenite, causa dell'arresto dello sviluppo ontogenetico; da qui il principio dell’irresponsabilità di

chi delinque.

La colpevolezza non consiste in una violazione moralmente riprovevole delle norme che

compongono le Leggi e non si può formulare alcuna valutazione di disvalore soggettivo dell’azione

delittuosa, mentre la pena non è un castigo, ma una forma di difesa sociale.

Per il Nostro il processo penale serve semplicemente ad accertare se il delitto può essere

effettivamente attribuito alla condotta fisica ed alla elaborazione mentale del reo, e a determinarne

la pericolosità, tenendo conto della sua personalità e delle circostanze che l’hanno portato a

delinquere (pertanto i Collegi giudicanti dovrebbero essere composti non solo da operatori del

Diritto, ma anche da tecnici); è inoltre contrario all’esistenza di un giudizio di secondo grado

(“Nell’ Uomo delinquente, infatti, troviamo: …omissis…si comprende come tra noi la giustizia sia

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irrisoria poiché la pena non è più né pronta, né certa, né seria grazie agli appelli…..omissis…);

ancora più negativo è il suo giudizio sulla Cassazione: “……il diritto di cassazione non si basa

come in America, in Inghilterra ed in Francia, come sarebbe giustissimo, sopra errori sostanziali e

di fatto, ma su questioni di forma, che ci riconducono ai tempi bizantini o alle stramberie di alcune

razze mongoliche, per cui una causa costosissima può venire cassata per una semplice

sgrammaticatura di un povero cancelliere4...”

Un mattino del novembre 1872 esaminando il cranio di un brigante calabrese settantenne, tale

Giuseppe VILLELLA5, nota quanto aveva già intravisto in alcuni delinquenti studiati a Pesaro, e

cioè il persistere di forme somatiche ancestrali, in particolare la presenza - nella fossa cranica

posteriore - in luogo della consueta sporgenza conosciuta con il termine di cresta occipitale interna -

di una concavità a fondo liscio (la fossetta occipitale mediana), un’anomalia morfologica tale –

secondo lui - da assimilare l’uomo ai Primati6.

“ Alla vista di quella fossetta mi apparve illuminato il problema della natura del delinquente, che

doveva riprodurre ai nostri tempi i caratteri dell’uomo primitivo……(Discorso d’apertura del VI

congresso di Antropologia Criminale del 1906).

A seguito di questa scoperta nasce una nuova varietà di genere umano, ovvero “l’homo

delinquens”.

Lombroso organizza il dato clinico, peraltro condiviso dalla Scienza dell’epoca, secondo un assunto

semplice: ”Il delinquente altri non sarebbe che un essere umano anormale, e più precisamente

4 C. Lombroso: L’Uomo delinquente Torino 1897, e Cesare LOMBROSO P.L. B. BOLLONE pag. 167 SEI 1992 5 “Un certo VILLELLA Di Motta S. Lucia , circondario di Catanzaro, contadino, sospetto di brigantaggio e condannato tre volte per furto, alto nella persona (1,70 metri), ipocrita, astuto e taciturno, negava di aver commesso alcuna prava azione… Cesare LOMBROSO da L’Atavismo VILLELLA in La scienza e la Colpa: Un volto dall’Ottocento LEVRA U. Milano 1985 e Cesare LOMBROSO P.L. B. BOLLONE pag. 124 SEI 1992 6 Qualche tempo dopo la rivelazione si ripete, la figlia Gina, in LOMBROSO FERRERO Gina: Cesare LOMBROSO Storia della vita ed opere, Torino 1915, infatti ricorda che suo padre sottopone a perizia psichiatrica in contadino di 20 anni , tale VERZENI Vincenzo (Bottanuco Bg, 11 aprile 1849 – 31 dicembre 1918) ,quello che oggigiorno potremo definire “un mostro”, cretino figlio di cretini pellagroso, accusato di avere ucciso in un paio d’anni strozzandole una ventina di donne, e poi di averle sbranate. Condannato conferma il fatto al LOMBROSO, specificando che facendo ciò “gode”, succhiando poi il sangue delle vittime, ricorda Gina, esattamente come i “licantropi ed i vampiri”, per cui il Nostro trova nel comportamento del VERZENI la conferma del ritorno ancestrale: per cui ad un comportamento tanto feroce unito al cannibalismo l’unica spiegazione è l’ATAVISMO.

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un essere atavico che, col riprodurre comportamenti propri dell’umanità dei primordi, mostrerebbe

un’invincibile inclinazione a commettere quello che la società moderna chiama delitto7”.

Esistono dunque delle analogie tra delinquenti, selvaggi e razze preistoriche. Le principali

malformazioni sarebbero riconoscibili da una serie di caratteristiche somatiche (la morfologia

cranica alterata, la fronte alta, il prognatismo, ecc.) e da deformità mentali e comportamentali, quali

la mancanza di sentimenti morali - in particolar modo la compassione e la pietà - l'assenza di

scrupoli e rimorsi, la mancanza di inibizioni, la ridotta sensibilità al dolore, la vanità, il risveglio

precoce dell'istinto sessuale, l'ozio.

Proseguendo i suoi studi sulla personalità del delinquente e meditando sulla strage (7 morti e 6

feriti nella Scuola militare ”Nunziatella” a Napoli) compiuta da un soldato ritenuto epilettico, tale

Masdea DI GIRIFALCO, Lombroso corregge la teoria dell'atavismo individuando nell'epilessia la

forza scatenante il reato: il delinquente è un epilettico nel quale la malattia risveglia gli istinti

atavici. Questa affermazione porta alla concezione deterministica e patologica del criminale ed a

considerare equivalenti le classificazioni uomo-delinquente, delinquente nato (o pazzo morale) e

delinquente pazzo (epilettico). Sulla spinta delle critiche suscitate dalle sue teorie, nella

rielaborazione dell' ”Uomo delinquente” e nei “Palinsesti del carcere8” (dove passa in rassegna le

testimonianze scritte dei detenuti) rivolge la sua attenzione anche ad altri fattori che non siano

esclusivamente medici e dà sempre più spazio a quelli ambientali e psicologici, rimanendo però

fermo nella convinzione che essi giochino un ruolo secondario in soggetti comunque già predisposti

al crimine9.

Lombroso scrive “L’uomo delinquente” anche per descrivere la realtà arretrata del nuovo Stato

italiano, i cui cittadini spesso presentano corpi deformi e comportamenti devianti. Etnicamente

nell’Italia settentrionale prevalgono i brachicefali (cranio corto), nell’Italia meridionale e insulare i

7 C. LOMBROSO: L’Uomo delinquente Roma 1878 8 Cesare LOMBROSO :Palinsesti del carcere Torino Ediz. F.lli Bocca 1888 9 Williams F.P., McShane M.D. (2002) Devianza e criminalità, (tit. orig. Criminological Theory), Bologna, il Mulino

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dolicocefali (cranio allungato); in Sardegna, Garfagnana, Lunigiana e Lucchesia, Calabria e Sicilia

è caratteristica l’iperdolicocefalia (cranio molto allungato), mentre tipica del Piemonte e del Veneto

è l’ultrabrachicefalia (cranio abnormemente sviluppato in larghezza); gli assassini avrebbero in

molte regioni d’Italia l’indice cefalico piú elevato10.

Ecco, ad esempio, il ritratto del ladro: cranio piccolo, fronte sfuggente, occhi mobili spesso grigio-

celesti, sopracciglia folte e ravvicinate, naso marcato, barba e capelli scarsi, orecchie a sventola,

statura bassa, figura snella e nervosa, petto e braccia segnati da tatuaggi e cicatrici, muscolatura

poco sviluppata e dunque inadatta a lavori prolungati, sensibilità scarsa (perciò capace di sopportare

torture di ogni tipo), carattere vanitoso, cura nel vestirsi (soprattutto il gilet e la cravatta), bugiardo e

millantatore (spesso vanta con leggerezza al primo venuto delitti più numerosi e più efferati di

quelli realmente compiuti), ignorante e incapace di solitudine, alcolista, giocatore, goloso

(maccheroni, carne, frutta, dolci), frequentatore di osterie e postriboli dove spende ciò che ha

sottratto rubando, recidivo e convinto di fare giustizia togliendo a chi ha troppo, attivo soprattutto

d’inverno quando la fame, il freddo, la miseria si fanno più sentire.

Ha spesso qualche antenato zingaro, è stato allevato in strada sin dai tre anni, quando si fingeva

orfano e chiedeva l’elemosina, facilmente destinato ad affiliarsi a brigantaggio, camorra o mafia.

Si direbbe un personaggio da romanzo, ma Lombroso sottolinea insistentemente la natura

scientifica del testo, fondato sull’analisi di numerosi singoli individui (incontrati sin dagli anni

sessanta del 1800 come medico militare nell’Italia meridionale) e non su astratte e generiche

tipologie (come i personaggi letterari), e orientato all’evidenza, non all’esagerazione, secondo una

distinzione maturata sin dalla lettura giovanile di classici greci, latini, italiani ed europei.

10 Lombroso nei suoi studi analizza anche il sesso di chi delinque, accertando che le donne delinquenti, a differenza dei maschi mostrano poche e frequentemente persino nessuna stigmate delinquenziali, per cui con quello che è stato definito un colpo di genio, il nostro unitamente a Guglielmo FERRERO (Portici, 21 luglio 1871 – Mont-Pèlerin, 3 agosto 1942 storico e scrittore italiano), afferma che nella donna la prostituzione e le sue connotazioni sono l’equivalente del delitto e della degenerazione, in : “La donna delinquente, la prostituta e la donna normale Torino-Roma Edizioni Roux 1893” .

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18

Proprio la formazione umanistica modella il suo stile di ricerca e, ancora giovanissimo, apprende

(come già evidenziato in un capitolo precedente) dall’amico Paolo Marzolo a ragionare all’indietro

nel tempo alla ricerca di elementi arcaici.

Il Nostro, inoltre, osserva che il suicidio nel delinquente a piede libero ha la medesima frequenza

statistica documentata nelle persone normali: più diffuso nei maschi, nel periodo estivo e nelle

popolazioni più progredite. Nei delinquenti reclusi, invece, il fenomeno anticonservativo si verifica

più spesso, con una percentuale tre volte superiore rispetto ai non reclusi.

Tale fenomeno – osserva - non dipende né dal peso della condanna né dall’isolamento, in quanto si

osservano più suicidi tra coloro che sono in attesa di giudizio rispetto a quelli condannati a pena

definitiva, ed ancora si suicidano con maggior frequenza i detenuti condannati a pene relativamente

brevi. Più frequenti risultano i suicidi e meno lo sono i delitti e viceversa. Il suicidio è insomma

legato alla struttura mentale del delinquente, normalmente privo di spirito di conservazione,

imprevidente ed impaziente.

Lombroso analizza anche i tatuaggi, presenti in molti soldati.

Tatuaggio è un termine che deriva dalla parola polinesiana “ta tau”, è costituito da ornamenti e

disegni permanenti sulla cute ( tatuaggio sono anche i depositi casuali di materiali pigmentati che si

fissano sulla cute in caso di incidenti stradali, di esplosione di colpi d’arma da fuoco a distanza

ravvicinata, per scoppio d’esplosivi, ecc), vari per numero, sede, dimensione, colore…

Il tatuaggio può essere eseguito solo sulle pelli non molto scure, nelle popolazioni con cute

intensamente pigmentata in luogo del tatuaggio si hanno le cicatrici ornamentali, ovvero la

realizzazione di cicatrici attraverso la tecnica della scarificazione, che consiste in incisioni, tagli

della pelle (con coltelli, rasoi, conchiglie, pietre affilate...), bruciature, allo scopo di produrre

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cicatrici permanenti. Ogni cicatrice viene soffregata varie volte con polveri e prodotti coloranti,

finché non si produce un processo cheloide a forte evidenza plastica.

Il tatuaggio e le cicatrici ornamentali risultano pratiche assai diffuse nelle popolazioni preistoriche

ed ancor oggi tra le popolazioni primitive. L’Antropologia e l’Etnologia moderne distinguono il

tatuaggio “ornamentale” - con finalità puramente estetica - da quello detto “d’identità”, che indica

l’appartenenza ad una tribù, clan, gruppo, o fa riconoscere talvolta la persona per la sua attività ed il

grado gerarchico.

Lombroso11 osserva come nelle civiltà moderne il tatuaggio sia frequente soprattutto in certe

categorie di persone, ad esempio i militari e i reclusi, accerta che tra i primi la percentuale di tatuati

è dell’1% (valore che nei secondi sale al 9%), rileva ancora che mentre nelle persone normali i

tatuaggi sono localizzati essenzialmente sulle braccia o sul petto, nei delinquenti sono distribuiti su

tutta la superficie cutanea.

Se nelle popolazioni preistoriche il tatuaggio è indice di casta e di prestigio, nell’epoca moderna è

sopravvissuto nelle classi inferiori delle società, nei delinquenti e nelle prostitute; tale persistenza,

dovuta alla vanità, è soprattutto segno di atavismo, anzi una particolare forma di atavismo che è la

tradizione.

La Psicologia moderna ritiene invece il tatuaggio un segno di riconoscimento che conferisce

individualità al tatuato, un modo per emergere dall’anonimato; per la moderna Criminologia

l’interpretazione è più articolata, essendo considerato - a seconda dei casi - segno di immaturità,

psicopatia sessuale, alienazione, espressione di ribellione, desiderio di mostrarsi in contrasto con la

società, espressione di un gruppo, ecc…

11 Cesare LOMBROSO : L’Uomo delinquente parte III 1876

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Anche il gergo, cioè il linguaggio convenzionale di certi gruppi, attrae l’attenzione lombrosiana, che

lo ritiene una forma espressiva dell’uomo primitivo, pertanto i selvaggi che vivono in uno stato

primitivo ed i delinquenti - che sono i selvaggi della vita moderna - si esprimono in gergo.

Il Nostro valuta anche le influenze sul crimine esterne all’uomo: tra queste vi è certamente

l’ereditarietà (il 29% dei minorenni delinquenti appartiene a famiglie di criminali); anche il clima ha

la sua influenza, il caldo ad esempio incrementa omicidi e stupri mentre le basse temperature i

delitti contro la proprietà; rileva anche il sesso (gli uomini sono più portati al delitto), l’età (la

massima concentrazione di delinquenti si concentra tra i 20 ed i 30 anni), fattori sociali ed

economici, la povertà e la ricchezza (spingono entrambe al delitto, ovviamente di genere diverso).

Infine anche il carcere esercita la sua influenza sul delitto, essendo luogo di aggregazione di

delinquenti che facilita lo scambio ed il confronto delle tecniche ed esperienze criminali.

FRANCESCO CARRARA : LA SCUOLA CLASSICA DI DIRITTO PENALE

L'Italia può essere considerata (a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo) la patria di origine della

Criminologia. Precorritrice è la Scuola Illuminista partenopea che si distingue attraverso esponenti

quali Francesco LONGANO (Ripalimosani 5 febbraio 1728 - Santopadre 28 aprile 1796;

sacerdote), di cui si ricorda la frase “L'uomo superstizioso fa la limosina, ma l'uomo politico

somministra il travaglio ai bisognosi”, Gaetano FILANGERI (San Sebastiano al Vesuvio 22 agosto

1753 – Vico Equense 21 luglio 1788; giurista e filosofo), Francescantonio GRIMALDI (Seminara

10 maggio 1741 – Napoli 8 febbraio 1784; giurista e filosofo, autore di "Riflessioni sopra

l'ineguaglianza tra gli uomini"), Mario PAGANO (Brienza 8 dicembre 1748 – Napoli 29 ottobre

1799; giurista, filosofo, politico e drammaturgo, relatore tra l’altro della Costituzione Napoletana

nel 1799, ove si legge «La libertà è la facoltà dell'Uomo di valersi di tutte le sue forze morali e

fisiche come gli piace, colla sola limitazione di non impedir agli altri di far lo stesso»).

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Nella critica nei confronti del sistema penale dell'epoca, a Cesare Beccaria si aggiunge Jeremy

BENTHAM (Londra 15 febbraio 1748 – Londra 6 giugno 1832; filosofo e giurista); entrambi sono

esponenti della Scuola Classica, che insiste su una serie di principi tra i quali un sistema di Leggi a

garanzia dei diritti umani, la teoria della scelta razionale (criminologia), l'analisi probatoria

processuale, la certezza della pena e l'abolizione della pena di morte.

La Scuola Classica ha una visione razionale del reato, per il quale l'individuo pondera in autonomia

il rapporto costi/profitti in previsione della violazione dei diritti altrui.

L’autore del delitto è un uomo come tutti gli altri, dei quali condivide le funzioni fisiche, i processi

mentali e dunque la responsabilità, un soggetto normale che compie con coscienza le proprie azioni,

che quindi scientemente delinque e pertanto proprio a causa di ciò deve essere punito (vengono

considerati eccezioni coloro che commettono delitti in stato di alterazione mentale); una volta

scontata la pena il soggetto è riabilitato..

Tramite il computo del “livello di razionalità dei rei” si tenta di prevedere quanti possano essere i

soggetti che commetteranno un reato, le loro caratteristiche sociali, le influenze che l'ambiente e la

società hanno sul crimine. Ecco perché i criminologi di questa Scuola insistono più sulle istituzioni

sociali e sul modo di controllare la criminalità che sul comportamento individuale.

Francesco CARRARA (Lucca 18 settembre 1805 – Lucca 15 gennaio 1888; giurista e politico di

ispirazione liberale), uno dei principali esponenti della Scuola Classica del Diritto e uno fra i primi

studiosi di Diritto Criminale a spingere per l’abolizione della pena di morte in Europa.

Professore di Diritto Criminale e Commerciale (dopo gli studi ed il dottorato presso l'Università

lucchese) a Lucca fino al 1859, poi a Pisa, dove ancora oggi si trovano molti suoi manoscritti.

La sua principale opera in dieci volumi, “Programma dal corso di Diritto Criminale”, ha avuto una

significativa influenza all'estero. Il "programma" è il riassunto delle lezioni elaborate durante undici

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anni di insegnamento nell'ateneo lucchese, stampato per agevolare gli studenti quando il docente

passa alla cattedra di Pisa

Seguace di Giuseppe MAZZINI negli anni giovanili, negli anni quaranta del 1800 si avvicina a

gruppi liberali più moderati ed è uno dei pochi a non opporsi all'annessione del Ducato di Lucca alla

Toscana, considerando la fine del Ducato un primo piccolo passo verso l'unità nazionale.

Nel 1845 giudica riprovevole che il Duca Carlo Lodovico di Borbone non conceda la grazia a

cinque condannati a morte, permettendo in città il macabro spettacolo di una esecuzione con la

ghigliottina (non a caso - proprio per solennizzare l'annessione di Lucca - il Granduca di Toscana

Leopoldo II abolirà la pena capitale nel suo Stato, secondo quanto caldeggiato da alcuni giuristi tra

cui appunto Carrara).

Eletto al Parlamento – dopo l’Unità d’Italia - nel 1863, 1865 e 1867, nominato Senatore il 15

maggio 1876, Francesco Carrara ha influenzato la stesura del Codice Criminale d'Italia e del Codice

Zanardelli (terminato nel 1889).

ENRICO FERRI , MARIO CARRARA, RAFFAELE GAROFALO, MA RIANO LUIGI

PATRIZI:

LA SCUOLA POSITIVA

Secondo la Scuola Positiva, che affonda le proprie radici nel Positivismo metodologico, il delitto

appare manifestazione necessaria di determinate cause (principio di causalità) e non già

estrinsecazione di una scelta libera e responsabile. Muovendo dal postulato del determinismo

causale quindi, i positivisti pongono a base del Diritto Penale non più la responsabilità etica, bensì

la pericolosità sociale dell’individuo, con un radicale capovolgimento dei capisaldi della Scuola

Classica: il centro del Diritto Penale si sposta dal reato in astratto al delinquente in concreto, in

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quanto ciò che interessa non è più il reato come ente giuridico, ma il reato come fatto umano

individuale, indice esteriore della pericolosità del soggetto.

Alla volontà del colpevole, all’imputabilità e alla responsabilità morale viene sostituito il concetto

di pericolosità sociale, intesa come probabilità che una determinata persona - per varie cause - sia

spinta a commettere fatti criminosi. La pena retributiva è sostituita da un sistema di misure di

sicurezza che per loro stessa natura devono essere neutrali; essendo praticamente inutile punire chi

delinque (perché fatalmente indotto da forze che agiscono dentro e fuori di lui), lo stesso deve

essere sottoposto a misure utilitaristiche di difesa sociale (volte a prevenire ulteriori manifestazioni

criminose mediante il suo allontanamento dalla società) e, nei limiti del possibile, si deve cercare di

fornirgli un riadattamento alla vita sociale.

Il triplice merito della Scuola Positiva è:

• mettere a fuoco il problema della personalità del delinquente nei suoi condizionamenti bio-

psico-sociologici;

• calare il reato e il reo dentro la realtà individuale e sociale;

• aprire le frontiere alla difesa sociale, non solo introducendo l’idea innovatrice della

prevenzione speciale e della risocializzazione del delinquente, ma soprattutto avvertendo

l’esigenza primaria di una prevenzione generale e speciale sociale, attraverso i sostitutivi

penali.

Tuttavia, sono tre anche i suoi limiti:

• con le sue generalizzazioni e schematizzazioni deresponsabilizza l’individuo, peccando

dell’eccesso opposto rispetto alla Scuola Classica, agganciando il reato al suo autore e –

soprattutto - incentrando il Diritto Penale sulla pericolosità del delinquente, su tipologie

criminologiche di autori e su momenti tipicamente personali;

• rimette in discussione le garanzie di legalità e certezza faticosamente conquistate;

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• abbandona il fondamentale principio del “nulla poena sine delicto”, in quanto, una volta

sostituita la colpevolezza per il fatto con la pericolosità sociale dell’autore, dovrebbero

essere sottoposti a misure di sicurezza anche i predelinquenti.

Enrico FERRI (San Benedetto Po 25 febbraio 1856 – Roma 12 aprile 1929), allievo di Cesare

Lombroso all’Università, vi lavora dapprima come assistente e poi come professore di Diritto

Penale (fra i suoi allievi si annovera Vincenzo MANZINI [San Daniele del Friuli 20 agosto 1872 –

Venezia 16 aprile 1957], giurista italiano che farà parte delle Commissioni che allestiranno il

Codice Penale e quello di Procedura Penale del 1930 [i c.d."Codici Rocco"]).

Avvocato di professione, acquisisce una certa notorietà difendendo accusati di reati politici (ad

esempio il processo ai contadini mantovani, relativo al movimento denominato "La boje", tenutosi

nel 1886 presso la Corte d’Assise di Venezia, e conclusosi - grazie alle sue arringhe - con

l’assoluzione degli imputati) e nel 1886 viene eletto al Parlamento nelle file del Partito Radicale.

Nel 1893 aderisce al Partito Socialista Italiano, assumendo posizioni moderate. In seguito viceversa

lo troviamo a capo della corrente intransigente e nei Congressi del 1900 e del 1904 si batte contro

l'eventuale presenza di ministri socialisti nei governi borghesi. Collabora con diverse testate di

ispirazione socialista (tra cui “La Martinella”, organo dei socialisti toscani), e diventa Direttore

dell'organo del PSI, "Avanti!", nel 1903.

La carriera politica di Ferri si caratterizza per una serie di cambiamenti di direzione; persona di

grande fascino e di notevole abilità retoriche, ma mancante della consistente cultura in campo

economico allora diffusa tra i socialisti marxisti, dai suoi contemporanei viene considerato piuttosto

un tribuno e un oratore. Anna KULISCIOFF (Simferopol' 9 gennaio 1855– Milano 29 dicembre

1925; anarchica, medico e rivoluzionaria russa, tra i principali esponenti e fondatori del Partito

Socialista Italiano) che - in quanto esponente dell'area riformista del PSI e moglie di Filippo

TURATI (Canzo 26 novembre 1857 – Parigi 29 marzo 1932; politico e giornalista italiano, tra i

primi e importanti leader del socialismo italiano e tra i fondatori a Genova - nel 1892 - dell'allora

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Partito dei Lavoratori Italiani [che diventerà il Partito Socialista Italiano]) - è un suo bersaglio e nel

1903 così lo descrive: "Il gran cialtrone non ha né cultura solida né ingegno. È un vanesio, che non

vive che dell'approvazione pubblica, se gli manca questa non è più niente".

Nel 1908 Ferri si ritira dalla militanza attiva e abbandona per un po’ di tempo l'Italia, tenendo

conferenze a pagamento in America del Sud. Nel 1911 esprime apprezzamento per l'intervento

italiano in Libia; in seguito a ciò esce dal PSI. Neutralista durante la Prima Guerra Mondiale, viene

rieletto deputato - nuovamente nelle file del PSI - alle elezioni del 1921; negli ultimi anni si

avvicina al Regime fascista e a Mussolini, tanto da venire nominato Senatore del Regno nel 1929,

pochi giorni prima di morire. In una conferenza del 1927 a Mantova sul tema “Mussolini, uomo di

Stato”, prendendosi "la soddisfazione di esaminare anche un po' antropologicamente" il duce, ne

mette in risalto "l'espressione superiore del pensiero e dell'azione politica", nonché qualche

"dettaglio lombrosiano" come una "tiroide eccezionale" e una "mascella a falce". Da "tale

impalcatura biologica" risulta un "uomo nuovo", "un accumulatore elettrico", “un capo

carismatico che interpreta le aspirazioni della gente” (ibid., pp. 98 ss.). Queste affermazioni

sanciscono la conclusione della parabola politica di Ferri.

Nel 1919 viene incaricato dal guardasigilli Ludovico MORTARA (Mantova 16 aprile 1855 – Roma

1 gennaio 1937; avvocato, politico e docente universitario di Diritto Costituzionale italiano,

Ministro della Giustizia con il primo governo Nitti) di presiedere una Commissione con il compito

di preparare il nuovo Codice Penale. Il progetto viene presentato nel 1921, senza peraltro che vi sia

un seguito.

A differenza di Lombroso, Ferri studia soprattutto i collegamenti tra le influenze sociali e

economiche e i tassi di criminalità; le sue ricerche lo portano a sostenere che il principio base

dell'aumento della legalità siano i metodi di prevenzione del crimine e non i metodi di punizione dei

criminali.

Tra i fondatori della Scuola Positiva, orienta le proprie ricerche sul positivismo psicologico e

sociale in contrapposizione al positivismo biologico di Lombroso; contesta l'enfasi posta da questi

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sulle caratteristiche fisiologiche dei criminali, concentrandosi invece sullo studio delle

caratteristiche psicologiche, che egli ritiene responsabili dello sviluppo del crimine in un individuo.

Tra queste caratteristiche vi sono il modo di parlare, la grafia, simboli segreti, la letteratura e l'arte,

così come l'insensibilità morale e "una mancanza di ripugnanza per l'idea e l'esecuzione di

un'offesa - prima del suo compimento - e l'assenza di rimorso dopo il suo compimento". Ferri

riassume questa teoria definendo la psicologia criminale come "scarsa resistenza alle tendenze e

tentazioni criminali, dovuta a un’ impulsività squilibrata tipica dei bambini e dei selvaggi".

Secondo lui il delitto è un aspetto negativo e necessario della natura, che si manifesta in tutti gli

aspetti della realtà - pertanto anche nella vita sociale; elabora una classificazione dei criminali

suddividendoli in cinque categorie: pazzi, nati tali, abituali, d’occasione e per passione.

La sua opera più nota si intitola ”Sociologia criminale”, ove sostiene che le cause del delitto sono

molteplici e vi contribuiscono fattori organici, psichici, ereditari ed acquisiti, fisici, climatici, sociali

(es. la religione), la famiglia, l’educazione e l’assetto economico e politico.

Non esiste libero arbitrio, per cui non vi è condanna morale; la responsabilità non è legale ma

sociale, non sono le Leggi che servono a prevenire il delitto, ma i sostitutivi penali, cioè la

creazione di condizioni che eliminino i fattori favorevoli ad esso (come esempio cita il regime

democratico che impedisce il delitto politico, il libero scambio che annulla contrabbando e

monopoli).

La pena per Ferri ha un fine difensivo e deve essere commisurata alla personalità del delinquente.

Paragona spesso il Socialismo al Darwinismo. Vede la religione e la scienza come inversamente

proporzionali, nel senso che quando una prende forza l'altra soccombe. Osserva che la teoria

dell'evoluzione di Darwin ha provocato un notevole danno alla religione e alle teorie della

Creazione secondo la Genesi, aiutando quindi lo sviluppo del Socialismo. Sostiene pertanto che il

Socialismo altro non è che un'estensione del Darwinismo e della teoria dell'evoluzione.

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Mario CARRARA (Guastalla 2 novembre 1866 – Torino 10 giugno 1937), medico ed accademico,

prosegue gli studi di Cesare Lombroso ed è considerato uno dei padri della Medicina Legale

italiana.

Figlio di Lodovico Carrara e di Bianca Zanotti, studia a Reggio Emilia e poi a Bologna, dove nel

1889 consegue la Laurea in Medicina. Collaboratore di Cesare Lombroso nel 1891 nell'Istituto di

Antropologia Criminale di Torino, dal 1898 al 1903 è docente di Medicina Legale all'Università di

Cagliari, per tornare in seguito a Torino ad occupare la cattedra lasciata libera dal suddetto, di cui

sposa non solo le idee positiviste ma anche la figlia Paola. E’ considerato uno dei massimi esperti

italiani di Medicina Criminale, chiamato a consulta in molti casi di grande rilievo, tra cui quello

BRUNERI/CANELLA [Il caso Bruneri/Canella, noto anche come “Lo smemorato di Collegno”, è

un famoso caso di cronaca e giudiziario accaduto in Italia a partire dal 1926, riguardante la

riapparizione di un uomo. Due le identità attribuite allo smemorato al centro della controversia: il

professore Giulio Canella, (nato a Padova nel 1881, figlio di un letterato, trasferitosi a Verona dopo

gli studi classici, studioso e docente di filosofia, divenuto direttore di una Scuola magistrale.

Fondatore nel 1909 con padre Agostino Gemelli della Rivista di filosofia neoscolastica, e nel 1916

[anno di nascita della sua seconda figlia] del quotidiano Corriere del mattino, testata di stampo

cattolico; richiamato nell'esercito pochi mesi dopo e dato per disperso durante la prima guerra

mondiale) e Mario Bruneri (tipografo torinese nato nel 1886, anarchico senza fissa dimora, ricercato

dal 1922 per via di alcune condanne precedenti per truffa e lesioni)], in cui – insieme ad Ernesto

LUGARO (Palermo 1870 – Salò 1940; medico e psichiatra) sostiene la tesi Bruneri, tesi poi

confermata dal Tribunale civile di Torino con sentenza del 5 novembre 1928.

Nel 1904 è nominato Direttore del Museo di Antropologia Criminale di Torino, divenuto - insieme

a quello di Roma dal 1909 - l'archivio criminale ufficiale d'Italia. Dal 1909 dirige anche la rivista

«Archivio di Antropologia Criminale, Psichiatria e Medicina Legale» e nel 1911 traduce ed amplia

il volume “Diagnostica anatomo-patologica” del patologo tedesco Johann ORTH (Wallmerod 14

gennaio 1847 – 13 gennaio 1923).

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Uno tra pochissimi (15) docenti universitari italiani a non giurare fedeltà al Fascismo (con

conseguente perdita della cattedra ed esclusione da tutte le cariche pubbliche), grazie alla sua

attività di medico delle carceri torinesi nel corso degli anni ’20 del 1900 ha modo di conoscere

molti oppositori del regime; quando suo cognato Guglielmo FERRERO (Portici 21 luglio 1871 –

Mont-Pèlerin 3 agosto 1942; storico e scrittore) è costretto all'esilio, si avvicina agli ambienti

torinesi di Giustizia e Libertà. e la sua famiglia diviene un punto di contatto per gli antifascisti

torinesi e quelli fuggiti all'estero.

Nella primavera del 1935 la sua casa viene perquisita nell'ambito dell'operazione che porta

all'arresto di Vittorio FOA (Torino 18 settembre 1910 – Formia 20 ottobre 2008; politico,

giornalista e scrittore, esponente del pensiero di sinistra, considerato uno dei padri della Repubblica

italiana) e Massimo MILA (Torino 14 agosto 1910 – Torino 26 dicembre 1988; musicologo, critico

musicale, antifascista e intellettuale) e nell'ottobre 1936 lui stesso viene arrestato per attività contro

il Regime fascista; solo la sua età avanzata lo salva dal confino, viene però detenuto nelle Carceri

Nuove di Torino dove continua a lavorare al suo Manuale di Medicina Legale.

A Mario Carrara è intitolato il più grande parco della città di Torino, comunemente noto come

Parco della Pellerina, e anche l'Istituto Professionale Statale di Guastalla, sua città natale.

Raffaele GAROFALO (Napoli 18 novembre 1851 – Napoli 18 aprile 1934; magistrato, giurista e

criminologo, seguace della Scuola Positiva) due anni dopo il conseguimento della Laurea in

Giurisprudenza all'università di Napoli, nel 1874 entra per concorso in Magistratura, dapprima alla

Procura distrettuale di Napoli, in seguito alla Corte di Cassazione. Studia le letterature giuridiche

straniere, in particolare quella tedesca, e accoglie complessivamente i princìpi della Scuola Positiva

sebbene, contrariamente alle posizioni di Lombroso e Ferri, non attribuisca molta importanza ai fatti

economici e all'educazione. Profondamente conservatore, avversario del Socialismo, fautore della

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pena di morte, favorevole all'eliminazione degli individui psichicamente malati, il 4 aprile 1909

viene nominato Senatore del Regno e nel primo dopoguerra aderisce fin dall'inizio al Fascismo.

Garofalo mostra di apprezzare la teoria che commisura la gravità dei reati in base all'impulso -

ovvero alla causa che determina l'azione - piuttosto che in rapporto alla sussistenza della

premeditazione; ammette inoltre che l’essenza del criminale non è sempre connessa a caratteristiche

anatomiche anormali, come sostenuto da Lombroso, individuando la possibilità di un delinquente

psichico puro, senza stigmate somatiche : “Il reo può anche essere normale, dal punto di vista

somatico, almeno in apparenza; l’eredità morbosa può apparentemente mancare del tutto, ciò non

è importante, perché l’anomalia psichica è tale da non potersi dubitare che si tratta di un

delinquente nato … Il reo deve essere considerato come organicamente costituito da un’anomalia

psichica permanente” (“ Criminologia”, testo edito nel 1885, pagg. 422-423).

Nel 1887 pubblica la traduzione di ”Das Verbrechen des Mordes und die Todesstrafe” del giurista

tedesco Franz von HOLTZENDORFFH (Vietmannsdorf Brandeburgo, 1829 - Monaco 1889;

professore straordinario a Berlino nel 1861; dal 1873 ordinario all'Università di Monaco) con il

titolo ”L'assassinio e la pena di morte”, dedicandola all’allora Ministro Guardasigilli Pasquale

Stanislao MANCINI (Castel Baronia, presso Ariano Irpino, 17 marzo 1817 - Napoli 1888;

professore di Diritto all’Università di Roma, avvocato). Nell'introduzione al volume evidenzia come

parte più scientificamente rigorosa il capitolo in cui l'autore - analogamente a quanto Mancini

insegna dalla cattedra di Diritto e Procedura Penale dell'Università di Roma - fonda la

determinazione della gravità del reato sui moventi morali, superando il criterio basato sulla

premeditazione, in quanto giudica inammissibile la conclusione per cui un omicidio premeditato si

dovrebbe considerare comunque più grave di uno non premeditato, quali che siano i motivi

determinanti il fatto nell'uno e nell'altro caso.

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30

Concluso l'incarico presso il Ministero di Grazia e Giustizia, dal 1875 Garofalo passa - con il grado

di Aggiunto - al Tribunale civile di Napoli, intraprendendo stabilmente la carriera nella

Magistratura, senza peraltro abbandonare mai l'attività di studio e di ricerca. In questo ambito egli è

tradizionalmente accostato a Ferri e Lombroso tra i fondatori della Scuola Positiva del Diritto

criminale, materia di cui, nel 1891 presso l'Università di Napoli, ottiene la libera docenza, insieme a

quella di Procedura Penale.

Su Ferri e su Lombroso Garofalo vanta, tuttavia, una priorità cronologica per aver pubblicato, nel

1877 sul Giornale napoletano (III, 5, f. 3), ”Della mitigazione dei reati di sangue” e - poco più tardi

– “Di un criterio positivo della penalità” (Napoli 1880). In quest'ultima opera - espressamente

accostata, nell'introduzione, alla dottrina positivistica del filosofo francese Alfred Jules Émile

FOUILLE (La Pouëze 18 ottobre de 1838 - Lyon 16 gennaio 1912) - il criterio di determinazione

della pena viene rapportato alla temibilità del colpevole desumibile dai reati commessi, i quali

costituiscono la risultante di una gravità criminosa oggettiva, graduata sull'allarme sociale prodotto

dal fatto, e di una gravità soggettiva, incardinata alla tendenza del delinquente a commettere

successivamente altri reati.

Garofalo supera così i criteri tradizionali che valutano i delitti sul fondamento della oggettiva

interrelazione tra il danno prodotto e la misura della pena, in parte influenzato dalla concezione

della pena di Gian Domenico ROMAGNOSI (Salsomaggiore Terme 11 dicembre 1761 – Milano 8

giugno 1835; giurista, filosofo e fisico) come controspinta tanto più energica quanto più violento sia

stato l'impeto al delitto, ma subordinandola alla ricerca della gravità relativa del delitto in rapporto

sia alla personalità del delinquente, sia all'osservazione scientifica dei fatti e all'indagine statistica.

L'impostazione positivistica rimane alla base dei numerosi scritti che lo studioso dedica a questioni

particolari di Diritto Penale, come quella della riparazione: ”Riparazione alle vittime del delitto”

(Torino 1887), ”Se e quali provvedimenti siano da suggerire per meglio assicurare la riparazione

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dei danni derivati dal reato e per indennizzare le vittime degli errori giudiziari” (relazione al III

Congresso Giuridico Nazionale di Firenze nel 1891) e ”La indennità alle vittime dei reati” (estratto

dall' Enciclopedia giuridica italiana, Milano 1901).

In questi testi Garofalo configura la riparazione come figura ausiliaria della pena proponendo per i

reati lievi - in sostituzione delle pene carcerarie di brevissima durata - la condanna al pagamento di

un'indennità sotto forma di ammenda a favore dell'offeso e prevedendo energici mezzi coattivi per il

pagamento, sia preventivi (come il sequestro conservativo dei beni o l'iscrizione d'ufficio

dell'ipoteca sui beni immobili) sia esecutivi (come la vendita dei beni a favore dell'offeso o la

ritenuta sul salario da versare in un'apposita cassa a cura dei datori di lavoro). La riparazione alle

vittime del reato finisce – quindi - per rivestire una funzione sociale accanto alla pena che, però,

mal si concilia con la tradizionale distinzione tra azione penale - posta a tutela dell'interesse

collettivo - e azione per danni sul cui oggetto può intervenire anche una rinuncia del danneggiato o

una transazione.

Mariano Luigi PATRIZI (Recanati 23 settembre 1866 – Bologna 9 settembre 1935; medico e

docente universitario), conclusi gli studi di Medicina a Roma nel 1890, diviene assistente

straordinario nel laboratorio di Fisiologia diretto da Angelo MOSSO (Torino 30 maggio 1846 –

Torino 24 novembre 1910; medico, fisiologo e archeologo, docente universitario e Senatore del

Regno) a Torino. Dopo aver insegnato negli atenei di Ferrara e di Sassari, nel 1897 si trasferisce a

Modena come professore di Fisiologia e Direttore dell'Istituto fisiologico; di qui passerà a Torino,

succedendo sulla cattedra di Cesare Lombroso. Egli ritiene che il delitto sia solo una delle possibili

forme dell’umano agire, l’azione è sempre espressione di un processo psicologico attivo;

dall’attività psichica anormale scaturisce l’attività anormale che si concretizza come condotta

antisociale; il delinquente è prima di tutto tale psichicamente. La molteplicità delle alterazioni

psichiche rende ammissibile l’esistenza di una pluralità di tipi psicologici criminali, superando

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quindi il pensiero lombrosiano che – perlomeno inizialmente - riconosce solo il tipo del delinquente

nato.

COSA RESTA DELL’OPERA SCIENTIFICA DI CESARE LOMBROS O

L’ influenza che il pensiero di Lombroso e della Scuola Positiva ha avuto sulla Criminologia e sulla

evoluzione del Diritto Penale è importante perchè - come si è visto - ha promosso la ricerca sullo

studio dell’individuo, l’approccio con metodologie scientifiche ha segnato l’inizio di vere e proprie

scuole criminologiche. Tale pensiero si è diffuso contestualmente anche in Europa, al proposito il

belga Adolphe PRINS (Bruxelles 1845-1919) sottolinea il fatto che la dottrina classica ha cercato

di attribuire alla giustizia penale uno scopo assoluto ed irrealizzabile, quello cioè di punire il reo

nell’esatta misura della colpa morale da lui commessa. La giustizia penale però è opera dell’uomo,

e quindi ha uno scopo relativo, che è quello di proteggere la persona, la vita ed il patrimonio dei

cittadini; tale scopo può essere raggiunto solo approntando strumenti adeguati (misure

indeterminate di difesa sociale) nei confronti dei soggetti giudicati pericolosi. Anche se codici

totalmente ispirati ai principi della Scuola Positiva non sono mai stati applicati, l’influenza del

pensiero positivistico/lombrosiano ha portato all’introduzione del principio secondo il quale va

tenuto conto, nell’irrogare misure penali, anche della potenzialità criminale del reo. Tale principio si

è realizzato secondo due indirizzi:

1. Col “ sistema del doppio binario” (in vigore in Italia e Germania dal 1930) per il quale a

fianco delle pene tradizionali - commisurate alla gravità del reato - ai delinquenti ritenuti

socialmente pericolosi vengono disposte anche misure di sicurezza che si aggiungono alla

pena detentiva, misure però destinate a durare fino a quando non sia venuta a cessare la

pericolosità e perciò per loro natura indeterminate nel tempo;

2. In altri sistemi (es. USA e Paesi scandinavi) il principio di commisurare l’intervento

criminale alla potenzialità criminale ha portato negli anni 50 del secolo scorso

all’introduzione della pena indeterminata, la cui durata non è preventivamente stabilita, ma

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dipende dalle possibilità di successo del trattamento. Qui non si ha l’affiancarsi di pene e di

misure di sicurezza (doppio binario) , ma la pena assume le caratteristiche della misura di

sicurezza; si può cioè irrogare una pena che spazia da uno a vent’anni di reclusione e la

scarcerazione avverrà solo se - a giudizio di organi tecnici e non giurisdizionali - il reo sarà

ritenuto risocializzato.

Le misure di sicurezza e le pene indeterminate sono oggi però sottoposte a severa critica e

pressoché abbandonate o in crisi, infatti una troppo cieca fiducia nelle Scienze umane e nella

loro capacità di analisi della personalità, di previsione della futura condotta sono molto

rischiose: si pensi alle incertezze di un giudizio di pericolosità fondato in prevalenza su fattori di

previsione comportamentali imponderabili, molte volte soggettivi od intuitivi, al rischio di errori

nel valutare la persona, senza la possibilità di ancorarsi a obbiettivi dati di fatto, alla

indeterminatezza delle misure e della conseguente assenza di certezza del diritto (Gianluigi

PONTI “Compendio di Criminologia”).

La Scuola Positiva ha però avuto il merito di introdurre il principio secondo cui le caratteristiche

della persona devono essere considerate nella commisurazione della pena, così come bisogna

tenere conto delle condizioni sociali agenti sul reo; perciò alla Scuola Positiva va il merito di

avere spinto il pensiero penale moderno verso il principio della individualizzazione della

sanzione e del trattamento individualizzato del delinquente.

La Scuola Positiva ha concorso ad ispirare quello che può considerarsi l’attuale problema della

politica penale: fare coesistere ed armonizzare - nella valutazione dei delitti - l’approccio

individuale, l’applicazione diversificata delle sanzioni, con salvaguardia dei diritti di difesa, del

principio di legalità, della giurisdizionalità dei provvedimenti e della certezza del Diritto.

I grandi dibattiti, le accese polemiche che la scuola di Lombroso ha suscitato fin dal suo sorgere

non hanno impedito l’accoglimento di uno degli insegnamenti più fecondi del Positivismo:

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l’interesse incentrato sullo studio dell’individuo, interesse che ha alimentato fino ad oggi un

indirizzo fondamentale della Criminologia, che è l’indirizzo individualistico, ove fondamentale

è la ricerca delle caratteristiche che - nei singoli autori di reato - possano assumere il significato

di causa o di fattori rilevanti, per rendere conto del comportamento delittuoso. Tali teorie

individualistiche sfoceranno nella Criminologia clinica, che vede come esponente di riferimento

la figura di Benigno DI TULLIO (Forlì del Sannio 1896 - Roma 1979) il quale ha il merito di

avere mantenuto gli interessi criminologici vivi durante il Fascismo (decisamente ostile a questa

disciplina). Di Tullio auspica e propugna una stretta collaborazione tra Diritto Penale e

Criminologia: diventa dunque centrale l’esame scientifico della personalità dell’imputato,

pertanto la perizia psichiatrica dovrebbe trasformarsi in una perizia psichiatrico-criminologica.

Per Di Tullio il trattamento deve basarsi sulla conoscenza della personalità del delinquente,

riconosce che modificare la personalità antisociale è difficile, però è conforme al progresso delle

Scienze. Sorge dunque negli anni 50 del secolo scorso l’ideologia del trattamento, che costituirà

un momento fondamentale della storia della Criminologia e della politica penale e che avrà

ripercussioni sulla filosofia della pena e sull’istituzione carceraria.

Il carcere deve servire a punire, ma soprattutto a “curare”, cioè a risocializzare i criminali; nelle

strutture carcerarie italiane trovano posto nuove figure di operatori (educatori, psicologi,

psichiatri, assistenti sociali), si assiste alla nascita di strutture edilizie comunitarie, attività

ricreative, sportive e culturali, viene introdotto l’utilizzo di tecniche psicoterapiche nell’intento

di modificare la personalità del delinquente e renderlo conforme alle regole.

Le misure di sicurezza

Le misure di sicurezza (previste e disciplinate dagli artt. 199 e ss del Codice Penale, nonchè

dall'art. 25 della Costituzione che estende espressamente alle misure di sicurezza il principio

della riserva di Legge) sono un'innovazione del Codice Rocco e rappresentano la forma con la

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quale il Codice Penale ha concretizzato la teoria del doppio binario: mentre la pena deve

assolvere alla funzione di retribuire il reo per il reato commesso e di reintegrare l’ordinamento

giuridico, la misura di sicurezza ha la finalità di prevenire il pericolo di una ulteriore condotta

criminale da parte dell'autore di un reato o di un quasi reato (artt. 49 C.P. e 115 C.P.), attraverso

la sua emenda o risocializzazione. In tale prospettiva si sostiene che la natura delle misure di

sicurezza sia amministrativa, essendo revocabili (viceversa la prevalente dottrina osserva che

esse sono applicate dall'Autorità giudiziaria e che sulla loro esecuzione vigila il Magistrato di

sorveglianza; in merito alla revocabilità quale indice della natura amministrativa del

provvedimento replica che la revocabilità non costituisce un requisito indefettibile e strutturale

di un provvedimento amministrativo).

Ulteriori elementi di distinzione tra misure di sicurezza e pena sono:

• l'applicabilità delle misure di sicurezza sia ai soggetti imputabili che ai soggetti non

imputabili mentre le pene possono essere applicate soltanto ai primi;

• il fatto che le pene sono sempre afflittive mentre le misure di sicurezza potrebbero anche

non esserlo;

• il fatto che le pene hanno una durata prestabilita - sia pure entro i margini della cornice

edittale - mentre le misure di sicurezza sono determinate soltanto nella loro durata

minima.

Secondo la più recente dottrina invece, le misure di sicurezza presenterebbero numerose affinità con

la pena sotto il profilo della funzione, nel senso che - a seguito dell'entrata in vigore della Carta

Costituzionale - anche alla seconda è stata assegnata la funzione specialpreventiva di

risocializzazione del reo; in tale prospettiva si osserva che, a mente dell'art. 204 C.P., i parametri di

valutazione per l'applicazione delle misure di sicurezza sono gli stessi previsti per la pena, cioè

quelli elencati nell’art. 133 C.P.

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La distinzione tra pene e misure di sicurezza - entrambe dirette alla difesa sociale ed alla lotta

contro il delitto - sarebbe dunque da ravvisare nelle peculiarità strutturali ed applicative delle due

misure e nel fatto che le misure di sicurezza sarebbero maggiormente connotate dalla funzione

specialpreventiva.

In particolare, mentre la tesi tradizionale sostiene che il presupposto per l'applicazione delle misure

di sicurezza sia la pericolosità del destinatario della misura, essendo il reato commesso una mera

occasione per la sua applicazione, secondo altra parte della dottrina anche le misure di sicurezza

sarebbero applicate come conseguenza della commissione di un reato, del quale, infatti, debbono

sussistere tutti gli elementi costitutivi - sia sotto il profilo materiale, sia sotto il profilo psicologico -

essendo tassative le ipotesi in cui le misure di sicurezza sono applicate a prescindere dalla

commissione di un reato (cfr. i già richiamati artt. 49 e 115 C.P). Oltre al presupposto oggettivo

della commissione di un reato, ai fini dell'applicazione della misura di sicurezza è altresì necessario

che sia accertata in concreto la pericolosità sociale del destinatario della misura (al riguardo - ex art.

31 della L. n. 663 del 1981 - non sono più ammesse ipotesi di pericolosità presunta).

Le misure di sicurezza non possono poi essere applicate se non in forza di una disposizione di

Legge; sotto il profilo temporale deve sottolinearsi come, al contrario delle pene, esse sono regolate

dalla Legge vigente al momento della loro applicazione e non da quella vigente al momento della

commissione del reato. Ne consegue che, se non è legittimo applicare una determinata misura di

sicurezza con riferimento ad un fatto non costituente reato all'epoca della sua commissione, è ben

possibile applicare una misura di sicurezza non prevista dalla Legge al momento della commissione

di un reato e – tuttavia - prevista dalla Legge al momento della sua applicazione.

Le misure di sicurezza possono essere applicate dal Giudice della cognizione o dal Magistrato di

sorveglianza e sono eseguite dopo la pena detentiva. Esse hanno una durata variabile che può

modificarsi nel tempo in relazione alla pericolosità sociale del destinatario, nel senso che - trascorso

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il periodo minimo stabilito dalla Legge - il destinatario viene sottoposto a controllo per verificare la

persistenza o l'esaurimento della sua pericolosità; a seguito di tale controllo il Giudice può fissare

un nuovo termine o la revoca della misura di sicurezza.

Le cause di estinzione del reato o della pena estinguono le misure di sicurezza.

Le misure di sicurezza personali detentive sono:

1) la colonia agricola o casa di lavoro (artt. 216-218 C.P.);

2) la casa di cura e di custodia (artt. 219 -221 C.P.);

3) l'ospedale psichiatrico giudiziario (art 222 C.P.; con sentenze nn. 324/1998 e

253/2003 la Corte Costituzionale ha dichiarato l'incostituzionalità della norma nella

parte in cui non ha escluso la sua applicabilità ai minori di anni diciotto - sentenza n. 324

- e nella parte in cui ha escluso ogni margine di discrezionalità in ordine alla misura da

applicare da parte del Giudice – sentenza n. 253);

4) il riformatorio giudiziario (artt. 223 - 227 C.P.).

Le misure di sicurezza personali non detentive sono:

• la libertà vigilata (artt. 228-232 C.P.);

• il divieto di soggiorno (art. 233 C.P.);

• il divieto di frequentare osterie e pubblici spacci di bevande alcoliche (art. 234 C.P.);

• l'espulsione dello straniero dalla Stato.

Le misure di sicurezza patrimoniali :

sono la cauzione di buona condotta e la confisca; con riferimento a quest'ultima, una particolare

forma è costituita dalla confisca per equivalente introdotta dall'art. 11 della L. n. 146 del 16/2003.

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IL MUSEO DI ANTROPOLOGIA CRIMINALE DI TORINO

Fin dal 1866, anno in cui inizia a lavorare come medico militare, Cesare Lombroso si dedica alla

raccolta di crani, scheletri, cervelli e via dicendo, dando vita al primo nucleo del museo privato,

inizialmente conservato nella sua abitazione torinese. Alla collezione di crani di militari e di gente

comune provenienti da tutte le regioni d'Italia, ben presto se ne aggiungono anche di provenienti da

Paesi lontani, ed inoltre crani di criminali e folli raccolti nelle carceri e nei manicomi. Nel 1878,

nominato professore di Medicina Legale all'Università di Torino, Lombroso riesce a ottenere due

locali nel seicentesco convento di San Francesco da Paola, edificio che – riadattato - diviene sede

del laboratorio di Medicina Legale e di Psichiatria sperimentale nonché sede della raccolta. Gina

LOMBROSO (Pavia 5 ottobre 1872 – Ginevra 27 marzo 1944), figlia e biografa di Cesare, così

descrive l'interesse del padre intento a collezionare oggetti per il proprio museo: ”Per quanto

disordinato e noncurante di quello che possedeva, Lombroso era un raccoglitore nato - mentre

camminava, mentre parlava, mentre discorreva; in città, in campagna, nei tribunali, in carcere, in

viaggio, stava sempre osservando qualcosa che nessuno vedeva, raccogliendo cose, comperando un

cumulo di curiosità, di cui nessuno - e neanche egli stesso qualche volta - avrebbe saputo dire il

valore, ma che si riannodavano nel suo incosciente a qualche studio passato o presente”.

(Lombroso Ferrero Gina, 1921; pag. 355) La prima esposizione pubblica dei reperti raccolti a

seguito di un’instancabile attività viene realizzata nel 1884, nell'ambito dell'Esposizione Nazionale

di Torino e - seppure modesta come mostra - attira comunque un vasto pubblico, incoraggiando sia

l'allestimento di mostre successive sia la realizzazione del Museo Psichiatrico e Criminologico,

ufficialmente istituito nel 1892. L'esposizione della raccolta lombrosiana al Congresso Penitenziario

Internazionale di Roma nel 1885 risulta ben più ricca, grazie anche al notevole apporto di reperti

fatti giungere da altri studiosi conquistati dalle teorie lombrosiane e solleciti (su invito dello stesso

Lombroso e di altri professori della capitale a medici carcerari, alienisti, direttori di manicomi,

anatomo-patologi…) a spedire a Roma crani, cervelli, fotografie di criminali, di pazzi morali, di

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epilettici e lavori dei medesimi, carte grafiche e geografiche dell'andamento dei delitti in Europa. A

proposito del successo ottenuto sia dal Congresso che dall'Esposizione di Antropologia criminale, lo

stesso Lombroso scrive:”Ha significato anche di più, che le nostre teorie sono basate sopra un

ammasso di fatti, constatabili da chiunque; ha provato che, malgrado le opposizioni di uomini

egregi, la nostra Scuola ha trascinato e convinto i migliori scienziati d'Europa, i quali non

sdegnarono di mandarci - come prova della loro simpatia - i più preziosi documenti della loro

raccolta”. L'esposizione viene riproposta nel 1889 in occasione del Secondo Congresso

Internazionale di Antropologia Criminale di Parigi. Nel 1892, proprio al momento

dell’inaugurazione del museo lombrosiano, si apre la polemica tra la Direzione Generale delle

carceri e il museo di Torino per l'acquisizione del materiale proveniente dalle carceri e dagli Uffici

giudiziari. Il diritto di prelazione esercitato dal museo torinese ha impedito, fino ad ora, che

l'Amministrazione delle carceri realizzi un proprio museo. Nello stesso anno Martino BELTRANI

SCALIA (Palermo 15 febbraio 1828 – Palermo 11 febbraio 1909; politico ed esperto di carceri)

promuove l'ampliamento della raccolta conservata nella Scuola degli Agenti di custodia di Roma.

Lombroso reagisce con vigore a simile prospettiva e, per impedire l'operazione, scrive una lettera al

Sottosegretario del Ministero degli Interni, on. Piero LUCCA (Casale Monferrato 10 maggio 1850 -

Roma 13 agosto 1921), e al Presidente del Consiglio dei Ministri, Antonio STARABBA marchese

DI RUDINI’(Palermo 6 aprile 1839 – Roma 6 agosto 1908) - interessato alle tesi lombrosiane -

chiedendogli di disporre ufficialmente la cessione del materiale conteso al museo di Torino. La

richiesta di Lombroso trova accoglimento da parte delle Autorità, sicché con una semplice lettera il

Nostro ottiene la concessione di quelli che sono per lui veri tesori. ”La fortuna era stata troppa,

perché non l'acciuffasse con la maggior energia; senza perdere un minuto di tempo, senza badar a

spese, 48 ore dopo egli era a Roma, aveva imballato ogni cosa e l'aveva portata seco a Torino. E

ben fece, tre giorni più tardi il Ministero cadeva, e subito s'era mosso chi voleva far revocare il

generoso Decreto. Ma la preda era già installata ufficialmente a Torino” (Lombroso Ferrero Gina,

op. cit.: pp. 361 e ss.)

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Nel marzo del 1892 intanto Lombroso ottiene anche finanziamenti per il suo museo nella misura di

un sussidio straordinario di 500 lire e una sovvenzione annua, più un contributo del Ministero della

Pubblica Istruzione; al Museo Psichiatrico Criminale viene riconosciuta inoltre la dignità di

strumento di ricerca scientifica. Il suo obiettivo di fare del museo in parola l'unico centro di raccolta

e conservazione di reperti criminologici si realizza pienamente con l'emanazione - da parte del

Ministero dell'Interno, Direzione Generale delle carceri - della Circolare 15 marzo 1892, con la

quale si impartiscono disposizioni alle Direzioni delle carceri giudiziarie circa l'invio a Torino di

oggetti, scritti, documenti di interesse scientifico-criminologico. Il 30 settembre dell'anno

successivo il Ministero di Grazia e Giustizia emana una Circolare con la quale dispone che le

Cancellerie penali consegnino al museo lombrosiano armi o altri strumenti con i quali sono stati

commessi delitti. La disposizione sarà riconfermata in data 21 giugno 1909, con la precisazione che

sia fatta un'equa ripartizione dei corpi di reato tra il museo di Torino e il museo di Roma, istituito

nel 1904 dal medico legale Salvatore OTTOLENGHI (Asti 20 maggio 1861 – Roma 20 marzo

1934; ex allievo di Lombroso), nell'ambito della prima Scuola di Polizia scientifica, situata

nell'edificio delle Carceri Nuove, in via Giulia.

Il museo di Lombroso, ampliato anche negli spazi messi a disposizione dall'Università, intanto

assume dignità scientifica e, nella nuova versione, viene inaugurato nel 1898, in occasione del

Primo Congresso Nazionale di Medicina Legale. Nel 1904 Mario Carrara, nominato Direttore, cura

il trasferimento e l'allestimento dei reperti nei nuovi locali dell'Istituto di Medicina Legale, al

Valentino in via Michelangelo.

Nel 1909, alla morte di Cesare Lombroso, il museo accoglie i resti della sua salma (lo scheletro, il

volto, il cervello e i visceri). Il Nostro, accusato in vita di aver infierito su disgraziati e reietti,

godendo in certo qual modo dello strazio dei loro corpi e delle loro anime, dona infatti, per

disposizione testamentaria, il proprio corpo alla Scienza, ritenendo di rispondere così, post mortem,

alle critiche rivoltegli. Il suo corpo viene sottoposto ad autopsia e gli esiti sono a dir poco

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sconcertanti: secondo le sue stesse teorie sarebbe stato da ritenere affetto da cretinismo perpetuo. Il

referto dell’esame autoptico, eseguito 39 anni dopo l’esame del cranio di Villella, è spiazzante: il

cervello di Lombroso risulta ricco di pieghe di passaggio, ossia di una delle tipiche stimmate

delinquenziali.

La morte dell'antropologo però segna anche una fase di declino del museo; a partire dal 1910 la

disposizione di spartire equamente i reperti tra le due città non è più osservata e il materiale di

maggiore interesse scientifico viene inviato al museo istituito da Ottolenghi. A Torino intanto

continuano a pervenire scheletri di delinquenti morti nelle carceri della città, sulla forca, mentre la

famiglia dona l'intero studio del professore, completo di scrivania, biblioteca, appunti autografi,

ricordi personali. La fisionomia del museo cambia, assumendo sempre più quella di un museo di

Medicina Legale, anche perché ormai le teorie positiviste hanno perso credibilità scientifica. Dopo

la guerra, nel 1948 trasloca nei locali appositamente costruiti per l'Istituto di Medicina Legale in

corso Galileo Galilei, destinato all'Istituto di Antropologia Criminale, facente parte della rete

museale dell'Università di Torino. Nel 2009 la collezione trova sede presso il Palazzo degli Studi

anatomici al Valentino e più precisamente in via Pietro Giuria 15, in un allestimento aperto al

pubblico (accolto all’ingresso proprio dallo scheletro di Cesare Lombroso). Il museo possiede

preparati anatomici, disegni, fotografie, corpi del reato e realizzazioni artigianali dei prigionieri di

carceri e manicomi criminali, oltre al famoso studio del Nostro. In particolare è esposto un notevole

numero di maschere facciali di cera, opera di Lorenzo TENCHINI (Brescia 1852 – 1906;

criminologo, antropologo e professore di anatomia dell’Università di Parma, convinto lombrosiano,

che concepisce l’idea di allestire una sorta di galleria degli aspetti somatici e fisiognomici dei

criminali e vi si dedica dal 1885; oltre ai consueti rilievi descrittivi e metrici ed al disegno delle

caratteristiche del cervello procede al calco facciale da cui allestisce la maschera in cera).

Si trova anche un grande modello in legno – smontabile - del carcere di Filadelfia, costituito da due

serie parallele di celle, ciascuna delle quali comunica con un piccolo spazio a cielo aperto, ove si

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attua la forma di carcerazione detta “sistema pennsilvanico”, nella quale il condannato espia la sua

pena in perpetuo isolamento, notturno e diurno. Si segnala il voluminoso vestito di tal Giacomo

VERSINO, “ammalato di demenza precoce” ricoverato nel manicomio di Collegno, il quale ha

intessuto il suo “particolare vestito” con filacce di stracci, ottenendo un indumento alto m, 2,06 e

del peso di Kg. 43.

Da ultimo il Museo espone (dono dell’Armeria Reale di Torino nel 1924) l’uniforme variopinta di

Antonio GASPARONI, detto GASPARONE (Sonnino 12 dicembre 1793 – Abbiategrasso 1° aprile

1880), famoso capobanda in azione nello Stato Pontificio, in particolare nei confronti delle

proprietà ecclesiastiche, considerato dalla gente umile una specie di eroe e giustiziere e dal Nostro

“vero tipo del delinquente nato” sulla base delle sue caratteristiche anatomiche e psicologiche.

Tutti questi oggetti, provenienti da diverse parti del mondo grazie agli invii di allievi ed ammiratori

di Lombroso, sono stati oggetto di studio al fine di confermare la teoria dell'atavismo criminale, poi

rivelatasi infondata.

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BIBLIOGRAFIA

Compendio di Criminologia: Gianluigi PONTI , Editri ce Raffaello CORTINA 1990;

Cesare LOMBROSO Professore all’Universita’ di Torino 1876-1909: Archivio Storico

Universitario di Torino

Cesare LOMBROSO: Pier Luigi BAIMA BOLLONE , Società Editrice Internazionale 1992;

Criminologia: Antonio ZULLO, Master in Criminologia Regione Piemonte 30.10.12;

Dizionario Biografico: Treccani 1999;

Cervello e Comportamento Criminale: Monica CAPIZZANO , Lulu Enterprises Inc. 2012;

Museo di Antropologia Criminale di Torino: www.museounito.it

Wikipedia: L’enciclopedia libera

Alice SETTI : Viaggio all’interno del “Sepolcro dei vivi”, scritture murali in carceri italiane

dell’età moderna 2008 www.veleia.it

Stefano D’AURIA : Cesare Lombroso, gli studi ed i “successori del grande antropologo”

Roma, Rassegna penitenziaria .it