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Ordine Avvocati Venezia Fondazione Feliciano Benvenuti

CAMERA PENALE VENEZIANA “ANTONIO POGNICI”

CONVEGNO

DIRITTO PENALE E TUTELA DEGLI ANIMALI

Presidenza Avv. Renzo Fogliata Presidente Camera Penale Veneziana

Saluti istituzionali

Avv. Giuseppe Sacco Presidente del Consiglio dell’ordine degli Avvocati di Venezia Avv. Renato Alberini Presidente della Fondazione Feliciano Benvenuti

Prof. Ivana Padoan Direttrice Centro Studi per i Diritto dell'Uomo dell'Università Ca' Foscari Venezia Magg. Elisabetta Tropea Comandante Nucleo Investigativo Polizia Ambientale Agroalimentare e Forestale -

Comandante Nucleo Operativo CITES - Gruppo Carabinieri Forestale di Venezia

Relazioni Dott. Marta Paccagnella

Presidente Aggiunto dell’Ufficio del Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Venezia "Strumenti di tutela penale sostanziale e processuale"

Avv. Maria Cristina Giussani

Foro di Milano, Animal Law "La tutela degli animali nel nostro sistema penale. Luci e ombre"

Avv. Michele Pezone

Responsabile Diritti Animali e Coordinatore Ufficio Legale Lega Nazionale per la difesa del cane "Il ruolo delle associazioni e la costituzione nel giudizio penale degli enti protezionistici"

Prof. Sara De Vido

Università Ca' Foscari Venezia "La tutela degli animali nel diritto internazionale e dell'Unione Europea"

Dott. Carmine Guadagno

Direttore U.O.C. S.Vet. Area C - Dipartimento di Prevenzione AULSS3 Serenissima "Il medico veterinario di sanità pubblica nell'accertamento e nella prevenzione dei reati contro gli animali"

Introduce e modera

Avv. Monica Gazzola Commissione Diritti Fondamentali della Camera Penale Veneziana

lunedì 17 febbraio 2020 ore 14,30 – 19,00

Aula Magna Ca' Dolfin, Dorsoduro 3825/e, Venezia

3 crediti conferiti dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Venezia

Iscrizioni: procedere attraverso il portale web www.ffbve.it

Camera Penale Veneziana, Santa Croce 430 Venezia, tel. 041.5209155, fax 041. 5203106; e-mail: [email protected]

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CAMERA PENALE VENEZIANA “ANTONIO POGNICI”

CONVEGNO DIRITTO PENALE E TUTELA DEGLI ANIMALI

Il lunedì 17 febbraio 2020 ore 14.30-19.00

Aula Magna Ca’ Dolfin, Dorsoduro 3825/e Venezia

AVV. SIMONE ZANCANI Buonasera a tutti. Cari colleghi, Signori delle forze dell’ordine, come avete capito il nostro Presidente Renzo Fogliata quest’oggi non può essere qui con noi. Lo sostituisco con un senso di felicità, perché questo è il primo convegno che viene organizzato dalla Camera Penale Veneziana dopo il rinnovo delle nostre cariche, ma anche con un segno di inadeguatezza a sostituire il nostro Presidente. Vi leggerò poi un messaggio che vi manda Renzo, prima di dare la parola ai Relatori. Per questo primo giro di saluti abbiamo: in rappresentanza dell’Ordine, Tiziana Ceschin; la Maggiore Elisabetta Tropea del Comando dei Carabinieri Forestali di Venezia, e il Prof. Lauso Zagato del Centro Studi Diritti Umani dell’Università di Venezia. Io cedo la parola a Tiziana per il saluto del Consiglio dell’Ordine. AVV. TIZIANA CESCHIN Grazie, Simone. Buonasera a tutti, buonasera a tutte. Io porto i saluti del nostro Presidente Giuseppe Sacco e di tutto l’Ordine di Venezia. Voglio ringraziare la Camera Penale Veneziana per aver organizzato questo convegno, ringrazio anche l’Università Ca’ Foscari di Venezia, l’Unione delle Camere Penali del Veneto e la Fondazione Centro di Studi sui Diritti Umani. Non vi è dubbio che il tema del convegno di oggi susciti non solo un sempre maggior interesse, ma anche delle domande che, a mio modo di vedere, il giurista oggi è importante che si faccia, perché nello studiare le norme, nello studiare la giurisprudenza, in particolare questa del 2019, nonché l’iter parlamentare del Disegno di Legge 1078, che prevede la modifica del Codice Penale, ma anche del Codice di Procedura Penale, del

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Codice Civile, nonché delle altre disposizioni in materia della tutela degli animali, ci sono delle domande che, a mio modo di vedere, devono essere affrontate, perché poi le conseguenze delle risposte a queste domande sono molto importanti. Allora il mio contributo è, sostanzialmente, quello di una domanda che io faccio agli illustri Relatori, che ringrazio, di oggi, ed è questa: leggendo le norme, quello che il penalista vede è che la tutela del bene giuridico è quella del sentimento per gli animali; ed allora alcuni sostengono che, secondo una visione antropocentrica, questo sia l’orientamento, quindi il sentimento per gli animali. Nella modifica, quindi nel Decreto Legge, non mi pare che ci sia più il titolo “sentimento per gli animali” e anzi mi pare che con la giurisprudenza del 2019 ci sia, sembrerebbe, una tutela penale rafforzata nei confronti degli animali, cioè sembrerebbe che si possa arrivare ad una visione biocentrica. Allora la domanda è proprio questa che vi faccio: è possibile che si arrivi a una visione biocentrica? E’ vero che la giurisprudenza si sta in questo modo uniformando? E, se così fosse, quali sono gli effetti principali, le conseguenze principali di questo mutamento della visione? Io quindi vi lascio con questa domanda, sono certa che i nostri Relatori che oggi affrontano veramente tantissimi temi spero che affronteranno anche questo. Grazie. AVV. SIMONE ZANCANI Grazie, Tiziana. Prof. Zagato, a lei la parola per il saluto del Centro Studi dei Diritti Umani. PROF. LAUSO ZAGATO La ringrazio. Ringrazio Monica per avermi coinvolto in questa giornata, che mi pare bellissima. Il Centro Studi sui Diritti Umani nasce dalla facoltà di Filosofia e Beni Culturali del nostro Ateneo nel 2012. In precedenza c’erano già attività a tutela dei diritti, ma il Centro Studi nasce con una precisa caratteristica che è esplicitata nel suo sottotitolo: “Per i diritti del vivente, degli individui, delle comunità e dei gruppi”. Quindi è un discorso che cerca di coinvolgere la sfera del bios, la sfera del vivente, com’è stato ben detto poco fa. Abbiamo avuto dei problemi, Monica li ricorda, perché una parte delle persone che si avvicinavano non riuscivano a capire perché perdessimo tempo, la difficoltà da parte di molti colleghi, di molte persone anche interessate al tema dei diritti degli animali, la difficoltà ad accettare il punto di vista che la questione dei diritti riguardi anche gli animali. Però in qualche modo siamo riusciti a proseguire. Il Centro Studi organizza ogni anno a fine giugno in occasione della Giornata mondiale contro la tortura,

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un seminario di studi che quando si rivela molto interessante si traduce poi in un volume. Noi abbiamo dedicato due scadenze non consecutive al tema della tortura e gli animali, e poi ne abbiamo fatto un volume, uscito qualche anno fa, che si intitola “Per gli animali è sempre Treblinka”. Qualcuno si è scandalizzato, ma non sapeva che la frase ovviamente non è nostra, che magari non ci saremmo permessi, ma è del sommo scrittore ebraico Isaac Singer, e lui poteva dirlo anche per le esperienze della sua vita, della sua famiglia. E’ una frase fortissima, ma anche di grandissimo significato e di grandissimo valore. Quindi sono molto contento che in questa stessa sala si rilanci questa tematica, spero che leggeremo tra poco gli esiti e che poi da qui possano nascere ulteriori iniziative. Mi permetto solo una cosa: quando organizzammo il secondo di quei seminari trovammo un clima abbastanza favorevole, però ricordo sempre la collega giurista, non vi dico di che università, che io sapevo essere amante degli animali, che io sapevo essere tendenzialmente vegetariana, la quale disse: “Ma voi cosa fate? Anche un discorso contro le sperimentazioni?”; io, che sapevo che una delle relazioni sarebbe stata proprio su questo tema, le dissi: “Beh, sostanzialmente sì”. Allora incontrammo un rifiuto. Io ho l’impressione che la questione della sperimentazione, della pseudoscientificità – butto lì una provocazione prima di cominciare – delle sperimentazioni sugli animali sia uno dei nodi più duri che ci sono da affrontare, ma ce ne sono molteplici. E quindi con molta soddisfazione, con molta contentezza, perché vedo in questo un segnale di importante continuità con le attività già svolte, porgo i saluti a nome della direttrice del Cestudir, che non ha potuto oggi venire, e ringrazio tutti, ringrazio Monica per l’organizzazione dell’evento. AVV. SIMONE ZANCANI Grazie, Professore. Io vengo da un altro evento questa mattina con il Ministro della Giustizia dove l’ex Sindaco della Città, filosofo, nell’intrattenersi sulle esigenze di repressione e della necessità che ci siano nuovi strumenti repressivi e processuali contro la criminalità organizzata, ha detto che i diritti umani, i diritti fondamentali, sono tutta fuffa, che non serve a niente, di fronte al crimine globalizzato non dobbiamo guardare i diritti fondamentali. Ecco, io sono molto orgoglioso che invece qui la comunità degli Avvocati pensi, non solo ai diritti fondamentali dell’uomo, ma anche ai diritti fondamentali degli animali, e in questo permettetemi di ricordare quel bellissimo passaggio che ha fatto Joaquim Phoenix nell’accettare l’Oscar qualche giorno fa, in cui ha detto che dove c’è lo sfruttamento di una specie

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sull’altra c’è l’esercizio di una autorità e di un potere, di una prevaricazione. Ecco, dove ci sono esercizi autoritari, dove c’è prevaricazione, là ci devono essere gli Avvocati. Passo la parola alla Maggiore Tropea, prego, per il suo indirizzo di saluto. MAGG. ELISABETTA TROPEA Raccolgo la sfida, anche perché il mio intervento sarà comunque finalizzato a cercare delle alleanze tra forze dell’ordine, medici veterinari, Avvocati, perché il fine ultimo penso anche di questa giornata è quello di individuare una strada comune per la tutela di esseri che sono più svantaggiati rispetto all’uomo, anzi direi sfruttati. Quindi nell’augurare buon pomeriggio a tutti i presenti ringrazio gli organizzatori, perché hanno invitato l’Arma dei Carabinieri a questo evento e in particolare me in qualità di Comandante di due Reparti che vengono comunemente chiamati con due acronimi: il CITES e NIPAAF, neo costituiti a seguito dell’assorbimento del Corpo Forestale dello Stato (mezzi, persone e professionalità) nell’Arma dei Carabinieri, avvenuto alla data del 01 gennaio 2017. Nuclei questi che, anche se con assetto parzialmente diverso, già erano operativi nella precedente Amministrazione e quindi forti di una maturata e ampia esperienza nel settore della tutela dell’ambiente in generale e della tutela degli animali in particolare, con competenze anche esclusive in taluni settori, quali quello del traffico illecito di specie in via di estinzione. I due settori sono inevitabilmente collegati, perché il mantenimento degli ecosistemi e degli habitat naturali sono indispensabili per garantire la sopravvivenza delle specie animali e vegetali e la corretta gestione dei rifiuti, dei tagli boschivi, dei reflui delle produzioni agroalimentari, sono a loro volta il presupposto affinché gli ambienti naturali progrediscano secondo gli intrinseci equilibri. In particolare: il Nucleo Investigativo di Polizia Ambientale Agroalimentare e Forestale (meglio conosciuto come NIPAAF), costituito come servizio di polizia giudiziaria in ambito provinciale con ampia competenza su tutta la materia connessa alla tutela ambientale e agroalimentare, compresa la tutela degli animali; il Nucleo CC CITES, sempre costituito come servizio di PG di carattere interprovinciale, con competenza generale in materia di tutela degli animali ed esclusiva su un settore specifico e fondamentale, precisamente sul controllo della corretta applicazione della CITES, Convenzione Internazionale alla quale aderiscono a livello mondiale ben 182 Stati e

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l’Unione Europea e che ha l’obiettivo di monitorare e regolamentare il commercio e lo scambio di specie di fauna e flora in via di estinzione. Mi preme evidenziare che i reati in danno degli animali, negli ultimi anni, hanno subito una profonda evoluzione e non si parla più soltanto del mero maltrattamento limitato al singolo animale, bensì di reati anche associativi, con infiltrazione della criminalità organizzata nel mondo degli allevamenti, della macellazione e distribuzione della carne e del commercio di animali o di parti di essi. Abigeato, falso materiale, falso ideologico, percezione illecita di fondi pubblici, traffico di farmaci vietati, associazione per delinquere, traffico di sostanze dopanti, macellazione clandestina, pascolo abusivo, ricettazione, intestazione fittizia di beni, truffa aggravata, commercio di alimenti nocivi sono solo alcuni dei reati che fanno da cornice e sono strettamente connessi ai delitti di maltrattamento e uccisione di animali. Ed è stato appositamente coniato il neologismo ZOOMAFIA facendo riferimento appunto a quel “settore criminale che trae profitto dal controllo di attività illegali ai danni degli animali”, i cui crimini più comuni sono il maltrattamento e l’uccisione di animali, i reati venatori, i combattimenti e corse clandestine, la gestione illecita dei canili, l’olocausto marino, il traffico internazionale di animali e piante. Basti pensare che il traffico di specie selvatiche è il quarto mercato più fiorente dopo droga, armi e tratta degli umani. Secondo uno degli ultimi rapporti Interpol, tale traffico è stimato pari a 23 miliardi di dollari l’anno ed è una delle principali cause di perdita di biodiversità nel mondo: ogni anno, centinaia di milioni di esemplari di specie rare vengono prelevate dal loro ambiente naturale e vendute a peso d'oro sui mercati clandestini sia con lo scopo di farne animali da compagnia o da esposizione che per la realizzazione (con le loro parti o prodotti derivati) di medicine, manufatti, arredi o abbigliamento. Per dare uno spaccato dell’attività svolta a livello locale dai miei Reparti, in particolare nelle province di Venezia e Padova, il Nucleo Carabinieri Cites nell’anno 2019 ha effettuato più di 400 controlli, con oltre 1000 esemplari controllati (anche tra quelli sottoposti a specifiche tutele, animali vivi e purtroppo, in alcuni casi anche morti). Di questi esemplari (intesi anche come parti di animali morti) ne sono stati sequestrati 601, per un valore stimato di oltre 50.000 euro e 30 soggetti sono stati denunciati in S.L., oltre alla contestazione di 52 illeciti amministrativi per un importo contestato pari a oltre 60.000 euro. A ciò si aggiungano le attività di indagine nel settore oggi in discussione, portate a termine brillantemente dal NIPAAF, che, per l’alto grado di complessità, hanno richiesto spesso settimane se non mesi di lavoro.

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I controlli e le attività propriamente di polizia giudiziaria, sono stati espletati presso allevamenti amatoriali e commerciali (di animali da compagnia e da reddito), negozi di animali, allevamenti ittici, giardini zoologici e abitazioni private, ove sono stati anche rinvenuti vari esemplari appartenenti a specie animali non detenibili dai privati ai sensi della normativa vigente, illecitamente acquisite o detenute da soggetti in numero eccessivo (accumulatori seriali di animali) e comunque nella maggior parte dei casi lontane da uno stile di vita idoneo alle caratteristiche etologiche di animali stessi. Sono altresì stati attenzionati ditte di trasformazione del settore manifatturiero che trattano pellami di specie animali (coccodrillo, pitone, varano etc.) il cui prelievo in natura o il commercio deve svolgersi secondo regole ferree di tracciabilità e con documentazione attestante la legittima provenienza; i rivenditori di oggetti preziosi, gli antiquari e i rigattieri al fine di altresì contrastare la commercializzazione illegale di parti di esemplari illecitamente abbattiti, basti pensare al fiorente mercato dell’avorio ottenuto dall’indiscriminata uccisione di elefanti quale, da ultima quella avvenuta nel 2018 in Botswana dove sono state rinvenute 87 carcasse vicino ad un area naturale, unitamente a quelle di 5 rinoceronti, bracconati rispettivamente per le zanne ed per i corni. Numerosi sono stati inoltre i controlli presso le fiere al fine di verificare la detenzione ed esposizione degli animali in situazioni di benessere e la loro corretta e lecita commercializzazione, controlli ai quali si aggiungono quelli effettuati su strada, con la preziosa collaborazione dei Reparti Territoriali dell’Arma, indispensabili per il monitoraggio, intercettazione e fermo dei veicoli attenzionati. Tutti i soggetti oggi presenti, spesso portatori di aspettative contrapposte nei corridoi delle Procure e nelle aule dei Tribunali, si trovano pertanto, qui, per fare un focus su un settore estremamente complesso e delicato, in primis perché vi è la concorrente applicazione di numerose leggi speciali e di carattere tecnico e di matrice comunitaria che si affiancano e integrano le previsioni codicistiche e soprattutto perché il fine ultimo da raggiungere è garantire un’esistenza etologicamente corretta a esseri viventi diversi dalle persone ma ugualmente portatori di diritti giuridici e naturali. E, l’esperienza sul campo, mi ha sempre positivamente stupito di come, nel momento in cui bisognava intervenire per garantire il benessere degli animali, anche di specie disparate e di numero e dimensioni non facilmente gestibili, in situazioni irte di difficoltà e di difficile risoluzione, la sinergia e collaborazioni tra Enti, Istituzioni e operatori del settore ha consentito risultati immediati e sempre diretti alla primaria tutela degli animali, con la convinzione che era necessario operare insieme per risolvere situazioni

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gravi ed emergenziali e che tutto il resto si sarebbe poi discusso nelle aule dei Tribunali. Meglio vi dirà il Dott. Carmine Guadagno di quanto spesso ci confrontiamo, essendoci sempre la necessità che le situazioni di incuria, di non idoneità alla detenzione e al trasporto e purtroppo anche di maltrattamento nei confronti degli animali, vengano accertate da personale veterinario, primariamente competente all’analisi delle circostanze e alle valutazioni dei diversi casi di fronte ai quali ci si trova, senza che siano lasciate alla personale sensibilità e affectio verso le varie specie animali. Vi potrà raccontare di come in meno di 24 ore abbiamo salvato da gravi conseguenze e in alcuni casi da morte certa, 45 cavalli (puledri, stalloni, fattrici anche gravide) prelevandoli e trasportandoli da una provincia all’altra, lavorando insieme, ognuno per le proprie competenze, operatori di polizia, medici veterinari, associazioni, privati. E proprio in forza di questa sempre auspicata sinergia, fondamentale per operare in modo efficiente ed efficace, rinnovo il mio ringraziamento a chi ha voluto che la l’Arma dei Carabinieri fosse presente a questo evento/giornata che senza ombra di dubbio è un importantissimo momento di confronto giuridico e di esperienze sul campo, tra operatori del settore, avvocati, magistrati e cultori del diritto in generale. Non sottraggo pertanto ulteriore tempo agli interventi e restituisco la parola al moderatore augurandovi un buon ascolto. AVV. SIMONE ZANCANI Grazie, Maggiore. L’Avvocatura le assicura non solo un’alleanza, di più di un’alleanza: il confronto, il dialogo, la dialettica su tutti questi temi. L’Avvocatura su questi temi sulla prospettiva della tutela degli animali, su quelle che sono le ricadute processuali di queste norme penali, è sempre pronta al confronto, al dialogo, al contraddittorio anche più serrato, convinti che sia proprio il confronto e il dialogo il metodo unico per arrivare a delle soluzioni giuste, condivise e condivisibili. In questo io esprimo il plauso del Consiglio Direttivo, del Presidente Fogliata, a questa iniziativa. Il fatto di aver voluto creare un panel di discussione che sia così eterogeneo, così interdisciplinare, è motivo di particolare onore per la Camera Penale, perché proprio nel confronto delle varie sensibilità, delle varie funzioni, dei vari compiti all’interno dell’attività e di prevenzione ed eventualmente di repressione e, nella prospettiva nostra, nell’attività processuale, che si concorre tutti, con un’alleanza, a vivificare quei diritti, siano essi diritti fondamentali dell’uomo, siano essi diritti degli animali.

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Io, nell’esprimere davvero la mia personale gratitudine e la gratitudine del Consiglio Direttivo a Monica e a tutta la Commissione che ha organizzato questo convegno, così seguito, una visione, Monica, poi vedrai, particolarmente entusiasmante quella di questo uditorio, vi leggo due righe che ha scritto l’Avvocato Fogliata per voi: «Troppo spesso abbiamo tiranneggiato la natura e soprattutto gli altri esseri viventi negando l’essenza stessa di creature senzienti. Eppure basterebbe soffermarsi a riflettere a San Marco, sotto la cupola della Genesi nel turbinio scintillante delle innumerevoli creature riflesse nei mosaici duecenteschi. In fondo questa città ci aveva già insegnato che noi siamo parte di una natura unica e noi dobbiamo riconoscere che la nostra vita dentro questa natura passa anche attraverso i diritti degli animali». Io ringrazio davvero tutti, invito i Relatori sul palco e mi accomodo a sentire le vostre interessantissime relazioni. AVV. MONICA GAZZOLA - Introduzione Buonasera a tutti. Dopo queste bellissime parole di saluto, introduco i nostri Relatori con un paio di riflessioni. Perché questo convegno? Si può parlare di “diritti fondamentali degli animali”’? Perché la Camera Penale Veneziana, in particolare la Commissione Diritti Fondamentali della Camera Veneziana, ha pensato di fare un convegno sulla tutela penale degli animali? Gli animali hanno diritti? Hanno diritti fondamentali? A una prima lettura del sistema della tutela penale degli animali nel nostro Codice, sorgono dei dubbi interpretativi profondi. Innanzitutto, la collocazione sistematica dell’articolo storico del nostro Codice Penale, quel famoso articolo 727, che prevede una contravvenzione piuttosto blanda, un’ipotesi di reato, tra l’altro, oblabile. In origine, nel Codice Rocco del 1930, l’art.727 c.p. prevedeva tutta una serie di ipotesi che andavano dalle sevizie, alla crudeltà, fino all’ipotesi aggravata della morte dell’animale, e il tutto era inquadrato nell’ambito delle contravvenzioni concernenti la polizia dei costumi, subito dopo l’art. 726 c.p. che punisce gli atti contrari alla pubblica decenza e il turpiloquio: le forme di protezione degli animali erano collocate alla fine del Codice e alla fine degli interessi tutelati dal legislatore. Tant’è che la dottrina assolutamente prevalente – cito Antolisei, cito Manzini – non aveva alcun dubbio nell’affermare che il bene giuridico tutelato da questa norma non fossero assolutamente gli animali ma fosse il sentimento dell’uomo verso le sofferenze dell’animale, quella pietas di cui troviamo esplicazione in Kant. Ricordiamo che Kant è spesso additato

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come il filosofo che per primo compiutamente ha soffermato l’attenzione sulla sofferenza degli animali, ma in realtà egli ha codificato una visione assolutamente antropocentrica. Kant diceva: “Bisogna evitare di creare sofferenze agli animali, perché questo può creare dolore agli esseri umani che vedono le loro sofferenze e ancor più perché questo può istigare gli uomini a loro volta a incrudelire verso altri uomini”. Questa era l’impostazione dell’art. 727 c.p. che pareva non lasciare alcun margine interpretativo che andasse, appunto, oltre la tutela del sentimento umano. Ma a cominciare dagli anni Ottanta, ancor prima delle riforme che hanno inciso anche sull’art. 727 c.p., dapprima una giurisprudenza coraggiosa di merito, ma poi vi arrivò anche la Corte di Cassazione, ancora prima delle novelle legislative successive, arrivò ad affermare che accanto alla tutela del sentimento degli uomini nei confronti delle sofferenze animali bisognava e bisogna considerare come soggetto diretto, come bene giuridico tutelato, anche l’animale in sé considerato. Mi risulta che la prima sentenza di legittimità sia stata una sentenza della Cassazione Penale, sezione III, del 14 marzo 1990 che ha statuito: “l’art.727 c.p. tutela gli animali in quanto autonomi esseri viventi”. Sentenza che ha avvallato una giurisprudenza di merito, e in questo voglio ricordare in particolare il Pretore di Padova, dott. Montini Trotti, storico propugnatore dei diritti animali, del quale è uscito da poco un libro postumo di raccolta di suoi scritti che si intitola “Gli animali hanno diritti”. Quindi, grazie a questa prima giurisprudenza coraggiosa, si è aperto un varco interpretativo negli anni ’80. Ma non è un caso la collocazione temporale di questa novità ermeneutica nell’applicazione della norma. Nel 1975 era uscito infatti il libro fondamentale del filosofo australiano Peter Singer “Animal liberation”, tradotto anche in Italia, e accanto a questo forte pensiero animalista che obbligava a un ripensamento del nostro rapporto con gli animali sono iniziati nuovi studi divulgativi di etologia, ricordo fra tutti Konrad Lorenz col suo bellissimo “L’anello di Re Salomone”, ricordo il nostro amatissimo Danilo Mainardi, che ha insegnato qua a Venezia, che ha aperto gli occhi di tantissime persone a livello divulgativo sulla realtà della vita animale che è ben altro di una res cartesiana che se percossa o smembrata urla solo per reazione meccanica. Dopodiché, abbiamo avuto, come tutti sappiamo, la riforma fondamentale della Legge 189/2004, che ha introdotto dei concetti che mutuano da queste nuove conoscenze dell’etologia, tant’è che fa espresso riferimento alla sofferenza, alle caratteristiche etologiche, alla natura dell’animale. Anche questa novella legislativa però purtroppo ha introdotto gli articoli che

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riguardano l’uccisione e il maltrattamento degli animali nell’ambito di un titolo, il Titolo IX bis, riduttivamente rubricato “Delitti contro il sentimento degli animali”. Tuttavia, il fatto di avere introdotto quali parametri valutativi della condotta il riferimento al sentire degli animali, alle caratteristiche intrinseche del singolo animale, ha creato una strada maestra per la giurisprudenza non solo di merito, ma anche di legittimità, che direi oggi assolutamente prevalente, che afferma che il bene tutelato dagli artt. 544 bis e 544 ter c.p. è l’animale in sé considerato. Infatti, la giurisprudenza ormai prevalente della Corte di Cassazione afferma che ai fini della condanna per maltrattamento di animali – per il delitto di cui all’art.544 ter e per la contravvenzione di cui all’art.727 – non assumono rilievo solamente condotte offensive del sentimento di pietas umana nei confronti degli animali, ma anche quelle che incidono sulla stabilità e serenità fisiopsichica di questi esseri senzienti, anche qualora non si determinino in essi processi patologici. Così da ultimo: Cassazione III Sezione del 8/2/19, Cassazione III Sezione del 14/12/18, e Cassazione III Sezione del 15/11/18, che ha ritenuto sussistente il reato di maltrattamenti anche in relazione a una sofferenza temporanea dell’animale. Vi sono ulteriori spiragli normativi che offrono la possibilità ermeneutica di rafforzare il riconoscimento dell’animale in sé quale soggetto di tutela. Innanzitutto, la Legge del 14 agosto del 1991 sugli animali d’affezione e prevenzione del randagismo vieta l’uccisione dei cani randagi, una volta che siano catturati, e con questo pare enucleare un diritto alla vita del cane randagio. E, per quanto riguarda i gatti, una volta che siano sterilizzati viene previsto l’obbligo di introdurli liberi in colonie feline apposite, perché etologicamente il gatto non può essere rinchiuso in una gabbia: questo pare riconoscere un diritto fondamentale del gatto al rispetto del suo essere libero. Ancor più significativa è la Legge 26/2014 d’attuazione della Direttiva Europea sulla vivisezione: la legge italiana di attuazione prevede che vi sia il divieto assoluto di utilizzare nella sperimentazione scientifica le grandi scimmie antropomorfe - gorilla, bonobo, scimpanzé e oranghi -, un divieto assoluto tout court. In questo, una volta tanto, il legislatore italiano è stato più severo rispetto a quello europeo, perché invece la direttiva prevede sì il divieto come principio generale, che però può essere derogato allorquando vi sia necessità di contrastare particolari affezioni nelle stesse grandi scimmie antropomorfe oppure nell’essere umano, previa autorizzazione della specifica Commissione costituita (articoli 8 e 55 della Direttiva). Quindi possiamo parlare, per quanto riguarda le scimmie antropomorfe, di un vero e proprio riconoscimento del diritto fondamentale alla vita e del divieto di tortura.

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Nel disegno di legge n.1078 del 2019, si propone di modificare la rubrica, eliminando il riferimento al “sentimento per gli animali”, e prevedere invece la diretta tutela dell’animale. Vi è un problema giuridico a monte in tutta questa riflessione, ossia: è possibile parlare di “diritti degli animali”? Gli animali possono essere titolari di diritti? La risposta tradizionale, espressione dell’antropocentrismo filosofico, biblico e logocentrico, assolutamente maggioritaria a tutt’oggi, è: no, gli animali non possono essere titolari di diritti. La ragione fondamentale può essere riassunta nel pensiero dell’ultimo esponente, uno dei più famosi, di questo no assoluto, Scruton, e direi di tutti i neocartesiani attuali, che afferma: gli animali sono privi di senso morale, di responsabilità, quindi non fanno parte del contratto sociale e quindi, poiché solo chi fa parte del contratto sociale può essere titolare di diritti, gli animali non possono essere titolari di diritti. Vi è tuttavia una riflessione filosofica, etica e giuridica di diverso avviso, che invece afferma: gli animali hanno rilevanza morale diretta, a prescindere dal fare parte o meno della comunità morale e, quindi, anche a essi devono essere riconosciuti diritti, quanto meno i diritti fondamentali alla vita e all’integrità psico-fisica. Il primo esponente di questa riflessione è Peter Singer, che richiamando la teoria neoutilitaristica della uguale considerazione degli interessi, afferma che la stessa quantità di sofferenza ha lo stesso valore indipendentemente dal soggetto che la prova e, quindi, deve essere garantita la medesima tutela. Poichè è pacifico che gli animali, quanto meno la maggior parte degli animali con cui entriamo in contatto, sentono dolore quanto noi, un dolore sia fisico che psicologico, dobbiamo riconoscere il loro diritto a non provare questa sofferenza, quindi il diritto alla vita e il diritto alla libertà come diritti fondamentali. Accanto alla posizione di Peter Singer vi è la teoria del filosofo americano Tom Reagan, che è particolarmente interessante per i giuristi, perché introduce il concetto di pazienti morali. Afferma Reagan: sì, ci sono gli agenti morali che sono i soggetti che sono pienamente consapevoli, pienamente responsabili della loro attività, delle loro azioni, ma anche nel consesso umano vi sono pazienti morali, come i bambini e le persone con disabilità mentali. Occorre considerare gli animali così come i pazienti morali umani e quindi deve essere garantita anche ad essi quella tutela minima dei diritti fondamentali, quali il diritto alla vita e il diritto alla libertà. Questa teoria è ripresa in Italia da Rescigno.

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E’ inevitabile osservare come tutte queste riflessioni sull’attribuzione di diritti agli animali appaiono sempre essere esplicazione di un modello antropocentrico, sia nell’individuazione di diritti, che è tipica espressione di un modello cognitivo e comportamentale umano, sia nell’attribuire diritti solo agli animali più vicini a noi per tradizione culturale (cani e gatti) o per somiglianza genetica e comportamentale (grandi scimmie antropomorfe). E la stessa legge n.189/2004 costituisce la cartina al tornasole della visione antropocentrica: infatti l’art. 19 ter delle disposizioni di attuazione del nostro Codice Penale, introdotto dalla novella del 2004, esclude l’applicabilità degli artt. 544 bis e ter, quindi i reati di maltrattamento e uccisione, nelle materie disciplinate dalle leggi su caccia, pesca, allevamento, macellazione, sperimentazione scientifica, zoo, attività culturali. Da ciò discende che la tutela degli animali introdotta dalla novella del 2004 appare limitata agli animali antropizzati, ai “pets”, ed esclude gli animali che vengono utilizzati per la nutrizione, la salute e addirittura per il divertimento dell’uomo. Sembrerebbe che sia per noi impossibile uscire dal nostro schema antropocentrico. In realtà si confondono due aspetti del problema: un conto è parlare della teoria antropogenica del valore, cioè riconoscere l’inevitabilità dell’antropocentrismo inteso come modello percettivo e cognitivo, come limitatezza dei nostri mezzi, come caratteristica intrinseca del nostro essere umani; altra cosa è la sfera di attribuzione del valore che possiamo riconoscere. La genesi dell’etica e del diritto non può che attuarsi a partire dalle nostre caratteristiche umane, ma da ciò non deriva che l’etica e la tutela giuridica possano riguardare esclusivamente gli esseri umani: è possibile estendere il nostro riconoscimento morale e giuridico anche agli animali non umani, è possibile modificare il nostro comportamento nei confronti degli animali. In realtà, proprio il fatto di essere esseri razionali, pensanti, dotati di coscienza, di libero arbitrio, insomma di tutte quelle qualità che ci fanno essere orgogliosi di essere umani, credo che dovrebbe condurci, e anzi obbligarci, a un ripensamento e a estendere i nostri mezzi di tutela a tutti gli esseri senzienti, con tutti i nostri limiti ma con tutta la nostra consapevolezza. Sono molto contenta di dare la parola alla Dottoressa Marta Paccagnella, Vicepresidente dell’Ufficio del Giudice per le Indagini Preliminari di Venezia, che da tempo con grande sensibilità e attenzione si occupa di questa materia. Grazie.

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DOTT.SSA MARTA PACCAGNELLA – Strumenti di tutela sostanziale e processuale L’animale in cattività, l’animale domestico, l’animale d’affezione e da compagnia, l’animale impiegato nelle esibizioni circensi, nelle attività sportive e nella caccia, l’animale preda nella attività di caccia e di pesca, l’animale che fornisce all’uomo un aiuto terapeutico, quello da studio scientifico e sperimentazione, l’animale impiegato per la riproduzione o che ci fornisce uova e latte, persino l’animale in sé destinato alla alimentazione sono sempre da considerare soggetti “deboli”, soggetti “senzienti” in grado di provare sensazioni e sentimenti, di soffrire, di gioire, di deprimersi ed esaltarsi, proprio come lo siamo noi esseri umani che abbiamo colonizzato l’intero pianeta e ne stiamo sfruttando e consumando irreparabilmente le risorse ai danni delle generazioni che verranno dopo di noi. Anche nell’antichità ed anche in diversi contesti socio-culturali è per certi aspetti assai meglio conosciuto e riconosciuto il dovere di rispettare l’ambiente e tutti gli esseri viventi che lo popolano. Illustri pensatori e filosofi ci hanno ammonito riguardo al fatto che il nostro grado di civiltà si misura attraverso il rispetto portato agli esseri indifesi e fra essi vi sono di certo gli animali, ormai tutti. Si pensi del resto al rispetto “sacrale” portato ai livelli estremi da alcune religioni induiste come la Giainista che predica un’assoluta non violenza ed il rispetto della vita anche nelle sue dimensioni più infinitesimali, praticando un’alimentazione vegetariana nella sua forma più radicale. Non possiamo nel contempo nasconderci che altrettanto antiche religioni e culture – anche profondamente diverse come può essere per la tradizione ebraica e musulmana - ci chiedono di tollerare l’uccisione di animali attuata con modalità che per noi occidentali è normale considerare crudeli, laddove ad esempio non è considerato kosher o halal lo stordimento dell’animale da macello, prima della iugulazione. Si tratta di regola religiosa che verosimilmente trae origine da ragioni igienico-sanitarie finalizzate a prevenire la trasmissione di malattie: l’animale destinato all’alimentazione deve godere di piena salute e la prima dimostrazione di questo è la sua vitalità. Lo stordimento ante mortem – praticato nella moderna macellazione per evitare maggiori sofferenze all’animale – impedisce appunto di percepirne vitalità e buona salute. Se da un lato possiamo rammaricarci del progressivo depauperamento delle specie animali per effetto di politiche e comportamenti poco assennati e lungimiranti dell’uomo, dall’altro non possiamo negare che si è andata

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sviluppando nella società moderna la consapevolezza ed esigenza di disporre di precise regole di comportamento da osservare e fare osservare, e su questa linea è certo molto apprezzabile l’impegno che è stato profuso dalle amministrazioni locali per tutelare gli animali che vivono al nostro fianco e popolano le aree urbane, siano essi da compagnia o selvatici, e per dotarsi di dettagliati regolamenti. In questa prospettiva è stato espresso un grande sforzo nel tentativo di conciliare le tanto diverse istanze sociali, non ultima quella della prevenzione delle malattie e della salute collettiva. Vi sono ad esempio specie appartenenti alla cosiddetta fauna sinantropica – quali roditori o piccioni – che possono veicolare infestazioni pericolose e dannose per la salute pubblica e per la salute degli stessi animali, sia domestici che d’allevamento. Dunque – già tali ragioni – talvolta in modo radicale, talaltra cercando di contemperare il rispetto per le specie animali (ad esempio distribuendo mangimi che contengono sostanze contraccettive), siamo propensi a sacrificare la loro vita per tutelare la nostra o i nostri beni. Non per questo sono comunque tollerabili e tollerate pratiche crudeli che nulla hanno a che vedere con la protezione ambientale, come – ad esempio - l’uso di piccioni vivi come esche da pesca: sull’argomento sono intervenute più decisioni della Corte di Cassazione a sancire definitivamente il principio secondo cui, in materia di pesca e di caccia, non può essere invocata la normativa speciale per escludere la sussistenza della fattispecie penale ed affermare la legittimità di comportamenti che non corrispondono a situazioni naturali, sebbene sfruttino istinti naturali, come la propensione di determinati pesci a cibarsi di altri animali vivi. E va però detto che – a ben guardare – l’analisi globale delle tantissime aree tematiche che debbono essere prese in necessaria considerazione se si vuole ragionare di “tutela degli animali” ci conduce alla aspirazione a rendere l’ambiente - urbano e non – il migliore e più vivibile possibile perché non si tratta di interessi contrapposti, ma del tutto comuni e condivisi. La presenza degli animali al nostro fianco e liberi nell’ambiente non solo è e deve essere lo specchio della salubrità dell’ambiente. Non di rado assume essa stessa un valore terapeutico vero e proprio attraverso la vicinanza, il calore e l’affetto che gli animali da compagnia sono in grado di portare alle persone sole ed anziane, o ai bambini malati attraverso l’accesso anche in ambiente ospedaliero; ai soggetti svantaggiati portatori di handicap che possono ricavare – ad esempio - grandi benefici da attività svolte con èquidi.

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Sono stati elaborati dai Comuni regolamenti ricchi di informazioni ed iniziative improntate alla difesa degli animali (si pensi al censimento delle colonie feline, alla organizzazione di aree dedicate ai cani per favorirne l’attività fisica o zone urbane nelle quali può essere consentito distribuire alimenti anche ai volatili, di tipologie adeguate) che doverosamente si coniugano alla tutela delle altre primarie esigenze sociali, prima fra tutte quella della salute pubblica, ma anche – ad esempio – alla salvaguardia del riposo e del benessere collettivo, della prevenzione dei rumori e delle esalazioni moleste. E non per questo, nonostante i citati interessi diffusi, né gli enti locali né la giurisprudenza riconoscono il diritto di infliggere sofferenze agli animali, ad esempio impiegando museruole per un tempo prolungato o utilizzando collari “antiabbaio” che rilasciano scosse elettriche per ridurre al silenzio i cani, condotte che sono infatti perseguibili e sanzionate. Le norme di carattere amministrativo e regolamentare dettano regole precise finalizzate a tutelare gli animali ed attribuiscono al Sindaco ed alla Polizia municipalizzata, guardie zoologiche, venatorie e forestali, associazioni che hanno come finalità la protezione degli animali il compito di garantire il rispetto ed adottare misure a salvaguardia che possono (o debbono) comportare interventi in urgenza, irrogazione di sanzioni amministrative e, nelle situazioni più gravi, denuncia e sequestro penale in via di urgenza, richiesta di iniziative da parte del P.M. e del giudice per le indagini preliminari i quali, attraverso lo strumento del sequestro prevenivo, possono promuovere ed adottare interventi estremamente incisivi e tempestivi. Del resto – come ribadito nella giurisprudenza della Corte di Cassazione con sentenza Sez.4 n.18167 del 31/1/2017 - qualora nessun ente o associazione faccia richiesta di affidamento di animali sequestrati o confiscati, ai sensi dell'art. 19 quater disp. att. c.p., né comunque offra adeguate garanzie di poterli tenere in modo adeguato, l'obbligo di far fronte al loro mantenimento, dopo la confisca, grava proprio sul Comune, in quanto ente che vanta una posizione di garanzia rispetto al benessere degli animali presenti sul territorio.

Nel settore penale è consistente il numero di decisioni che possiamo rinvenire negli archivi della giurisprudenza della Corte di Cassazione, ci offrono la misura della gran varietà di condotte aberranti che gli esseri umani sanno porre in essere (anche) verso gli animali e ci danno la misura degli interventi sanzionatori a carico degli autori di condotte di reato. Interessa maggiormente in questa sede porre attenzione alle fasi che precedono il processo e la eventuale condanna definitiva, ovvero agli

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strumenti di tutela approntati dall’ordinamento ed ai soggetti chiamati ad intervenire nel loro percorso applicativo. L’intervento sanzionatorio – in fondo - non è che il momento successivo e secondario rispetto alla evidente esigenza di intervenire con tempestività ed incisività sul terreno della prevenzione o – quanto meno – della risposta immediata dell’ordinamento per porre rimedio ai comportamenti offensivi e lesivi che spesso possono perdurare a lungo nel tempo e restare “sommersi”, dal momento che frequentemente si svolgono in ambiente privato, spesso poco accessibile e poco esposto agli occhi indiscreti, dal quale non è detto che filtrino facilmente le notizie di reato e che vi siano soggetti capaci e pronti a coglierne i segnali. La reazione sociale non sembra più essere sporadica ed occasionale, spesso l’attenzione rivolta al cortile o al terrazzo del vicino di casa che offrono l’informazione preziosa e l’occasione per il controllo e l’intervento “liberatorio” dell’animale sofferente e maltrattato, esposto alle intemperie o al sole cocente, malnutrito e non curato nella malattia, percosso e maltrattato, allevato in ambienti ristretti ed igienicamente scadenti. Nessuno oggi pensa più che si tratta di “affari altrui” mentre questa era l’originaria impostazione del Codice Rocco che esprimeva una concezione di animale come “cosa” di proprietà dell’uomo che ne è detentore e che – a certe condizioni può persino essere abbattuto a tutela del patrimonio – visione la cui sintesi è espressa nell’art.638 cod. pen. che punisce chi senza necessità uccide o rende inservibili o comunque deteriora animali che appartengono ad altri è punito, salvo che il fatto costituisca più grave reato, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a euro 309 o con una pena da sei mesi a quattro anni, se il fatto - per cui in questo caso si procede di ufficio - è commesso su tre o più capi di bestiame raccolti in gregge o in mandria, ovvero su animali bovini o equini, anche non raccolti in mandria. Si tratta per giunta di norma che ammette non solo estensioni dettate dal sempre relativo concetto di “necessità” che può comprendere – quanto meno nella interpretazione soggettiva sufficiente a lasciare indenne da condanna penale per difetto di dolo – ma che già nel corpo della stessa norma vede al co.3 esplicitata una previsione in deroga secondo cui “Non è punibile chi commette il fatto sopra volatili sorpresi nei fondi da lui posseduti e nel momento in cui gli recano danno”. Nel presente non prevale più tale visione sebbene tutt’ora, in assenza di diverse disposizioni normative che assimilino in tutto e per tutto i diritti degli animali a quelli dell’essere umano, come potrebbe essere – ad esempio – per la sottrazione accompagnata dalla privazione della libertà (“sequestro” piuttosto che furto o appropriazione indebita), si possa

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profilare l’esigenza di fare applicazione delle norme e della giurisprudenza più risalenti che riconoscevano all’animale lo status di “cosa”, oggetto di “detenzione” da parte dell’uomo (o dello Stato – la fauna selvatica), possibile oggetto di danneggiamento (638 c.p.), di furto, anche aggravato quanto ai capi raccolti in gregge o mandria, o ai bovini o equini (625 n.8 c.p.); di appropriazione indebita; possibile oggetto di “smarrimento” e quindi di “apprensione”. Il tutto anche in forma di tutela dell’animale, oltre che del suo proprietario. Gli animali sono considerate "cose", assimilabili - secondo i principi civilistici - alla "res", anche ai fini della legge processuale, e, pertanto, ricorrendone i presupposti, possono costituire oggetto di sequestro preventivo. Sez. 5, Sentenza n. 231 del 11/10/2011 Nel vigore dell’abrogato art.647 c.p., l’acquisizione del possesso di un cane che si fosse "smarrito" poteva essere fatta rientrare fra le ipotesi di "caso fortuito" (difficilmente configurabile però in presenza di microchip di identificazione). Oggi l'art. 925 cod. civ. prevede l'acquisto della "proprietà" dell'animale mansuefatto da parte di chi se ne sia impossessato qualora l'animale non sia stato reclamato entro venti giorni da quando il proprietario ha avuto conoscenza del luogo ove esso si trova. (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 18749 del 05/02/2013). Di converso, ove il proprietario ne reclami la restituzione, l’inosservanza volontaria potrebbe tornare ad integrare una delle fattispecie penali poste a tutela della proprietà e del possesso. Ancora entro i limiti ristretti di questa prospettiva privatistica ed obsoleta si poneva il riconoscimento che condotte lesive e l’uccisone ingiustificata di animali potevano implicare danno morale oltre che economico ed essere sotto tale profilo passibili di sanzione perché “ferivano” i sentimenti dell’uomo, in quanto legato all’animale.

L’evoluzione degli ultimi decenni ha visto l’affermarsi dei principi recepiti dal diritto internazionale che per primo li ha formalmente sanciti - nella Dichiarazione Universale dei diritti degli animali, proclamata a Parigi presso la sede dell'Unesco il 15/10/1978, con la quale è stato affermato il principio cardine secondo cui "Tutti gli animali nascono uguali davanti alla vita e hanno gli stessi diritti all'esistenza"; - quasi 10 anni più tardi, nella Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia, firmata a Strasburgo il 13 novembre 1987 e successivamente ratificata nel nostro Paese con legge nazionale n. 201 del 2010 (addirittura 23 anni dopo) sul traffico illecito degli animali da compagnia in cui è sancito "che l'uomo ha l'obbligo morale di rispettare

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tutte le creature viventi", ed è stata affermata "l'importanza degli animali da compagnia a causa del contributo che essi forniscono alla qualità della vita e dunque il loro valore per la società"; - 20 anni dopo la Convenzione di Strasburgo, nel Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea (firmato a Lisbona dai 27 Paesi dell'Unione il 13 dicembre 2007, ratificato però prime dall'Italia prima del 2010, con legge n. 130 del 2008 ed in vigore dall’1 gennaio 2009) con cui è stata riconosciuta agli animali, in base all'art.13, la condizione di esseri "senzienti" ed è stato imposto al legislatore comunitario di tenere in considerazione tale status giuridico nel processo di formazione delle norme comunitarie. Prima ancora della Dichiarazione Universale dei diritti degli animali, in attuazione della Convenzione sul commercio internazionale delle specie animali e vegetali in via di estinzione, firmata a Washington il 3 marzo 1973, di cui alla legge 19 dicembre 1975, n. 874, e del regolamento (CEE) n. 3626/82 era stata introdotta in Italia normativa speciale di cui alla L. 7 febbraio 1992, n. 150 che ha sancito divieti e sanzioni sia amministrative che penali in materia importazione, trasporto, detenzione (e tutte le ulteriori condotte connesse elencate nella legge) di esemplari di specie protette perché in via di estinzione o di esemplari vivi di mammiferi e rettili che possono costituire pericolo per la salute e l’incolumità pubblica. Prima del riassetto del complessivo sistema penale attualmente vigente, solo l’art.727 c.p. (la cui versione attuale è appunto quella introdotta da art.1 L.189 del 2004) si arricchiva di modifiche introdotte con L.22.11.93 n.473 (norma peraltro in parte contestata laddove il testo previgente prevedeva la punibilità dell’incrudelimento sic et simpliciter mentre nella versione modificata diveniva punibile solo se realizzato “senza necessità”). E’ invece successiva alla Dichiarazione Universale dei diritti degli animali ed alla Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia, firmata a Strasburgo il 13 novembre 1987 (peraltro ratificata formalmente solo nel 2010) l’introduzione del - Titolo IX bis del Libro secondo codice penale (con Legge 20 luglio 2004 n.189) - Disposizioni concernenti il divieto di maltrattamento degli animali, nonché' di impiego degli stessi in combattimenti clandestini o competizioni non autorizzate - che introduce una più moderna concezione del mondo animale, nei cui confronti lo Stato deve garantire protezione e benessere; quindi codifica divieti e prescrizioni finalizzate alla tutela dell’animale in sè, la cui rappresentanza viene ora affidata non più o non solo a colui che ne è proprietario o detentore (o alla Stato per la fauna selvatica) ma ad altri soggetti riconosciuti dall’ordinamento – gli enti e le associazioni individuati in base a decreto ministeriale come previsto dalla norma di attuazione di cui all’art.19 quater

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disp. att. c.p. – ai quali “gli animali oggetto di provvedimento di sequestro o di confisca sono affidati, in quanto ne facciano richiesta”. Accanto al privato che – in quanto detentore di animale addomesticato - è gravato da precisi doveri, anche soggetti pubblici o privati possono farsi portatori di rivendicazioni ed istanze, ovviamente all’occorrenza anche contro il titolare di diritti di natura privatistica, se questi sia proprio il soggetto al quale le condotte di reato appaiono addebitabili. Una importante svolta è quindi individuabile nelle norme che tutelano gli animali indipendentemente dal loro legame con il singolo individuo, o a prescindere da esso, o addirittura in contrasto con esso. E’più fruibile di quanto si tende a pensare il potere di intervento con lo strumento del sequestro penale, di cui viene fatta pacificamente applicazione anche a fronte di fattispecie contravvenzionale come l’art.727 c.p. (in situazioni non gravi al punto da delineare una delle fattispecie delittuose di cui al Titolo IX bis, ma pur sempre in condizione di “abbandono” o in condizioni incompatibili con la natura dell’animale, tali da essere “produttive di sofferenze”). E’ stato ritenuto che l’animale – a propria tutela – sia suscettibile di confisca ai sensi dell’art.240 c.p. anche in relazione alla fattispecie contravvenzionale di cui all’art.727 c.p., pure se il provvedimento ablativo non è previsto dall’art.544 sexies c.p. (che menziona solo i delitti, non le contravvenzioni). Del resto, anche se muoviamo dalla premessa che la confisca degli animali ha nella maggior parte dei casi una sostanziale finalità di tutela, non si vede perché non potrebbe comunque essere inquadrato il sequestro preventivo nell’alveo degli strumenti tipici essendone propria (anche) la finalità di prevenire la reiterazione di analoghe condotte di reato (sebbene con l’anomalia che lo stesso animale – oggetto passivo delle condotte di reato - sarebbe anche il destinatario del provvedimento cautelare, come di regola non accade per la parte offesa dal reato) . Per quanto riguarda il procedimento penale in sé ed i poteri di rappresentanza, non sempre e non necessariamente associazioni ed enti di cui all’art.19 quater disp att. c.p. saranno chiamati nel giudizio quale “parte offesa del reato”. ma non vi è dubbio che questo sarà di significativo rilievo per la maggior parte delle ipotesi in cui si profilino condotte di reato poste in essere da individui che detengono – di fatto o in base a diritto – nella loro sfera di controllo le condizioni esistenziali dell’animale (o degli animali). Accanto a questa posizione riconosciuta per legge, di notevole rilievo è inoltre il potere attribuito (come conferma la giurisprudenza della Corte di Cassazione) anche ad altri enti che abbiano tra le finalità perseguite in base

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a statuto la tutela degli interessi lesi dai reati previsti dal Titolo IX bis (Sez. 3, Sentenza n. 52031 del 04/10/2016) di costituirsi in giudizio avanzando iure proprio una pretesa risarcitoria: “In tema di reati commessi ai danni di animali, l'art. 7 della legge 20 luglio 2004, n. 189, nell'attribuire "ope legis" alle associazioni e agli enti individuati con decreto del Ministro della salute 2 novembre 2006 - per l'affidamento degli animali oggetto di provvedimento di sequestro o di confisca - la finalità di tutela degli interessi lesi dai reati previsti dalla stessa legge, non esclude la legittimazione a costituirsi parte civile di associazioni diverse, anche non riconosciute, che perseguano la stessa finalità e che deducano di aver subito un danno diretto dal reato. In tema di affidamento degli animali sottoposti a sequestro è stato poi sancita anche la legittimità dell'affidamento provvisorio a privati degli animali oggetto di confisca e sequestro, effettuato nel corso del processo, in attesa di individuare gli enti ed associazioni che si dichiarino disponibili ad accoglierli, in quanto l’iniziativa non contrasta con la previsione di cui all'art. 19 quater disp. att. cod. pen.: “Infondata è .. la censura relativa alla confisca. Dispone invero l’art.19 quater disp.att. c.p. che gli animali oggetto di confisca e sequestro sono affidati ad enti o associazioni che ne facciano richiesta, individuati con decreto del Ministero della salute. Orbene il tribunale nel disporre la confisca si è riservato di provvedere con separata ordinanza all'affidamento agli enti che ne avrebbero fatto richiesta. L'affidamento provvisorio di alcuni cani a privati effettuato nel corso del processo nell'attesa dell'individuazione degli enti e dell'acquisizione delle loro disponibilità non contrasta con il disposto normativo posto che gli stessi enti affidatari li assegneranno poi a privati, come risulta dalla documentazione prodotta dalla parte civile” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 22039 del 21/04/2010). Infine, come ribadito nella giurisprudenza della Corte di Cassazione con sentenza Sez.4 n.18167 del 31/1/2017, va ricordato che nella sequenza delle garanzie previste dall’ordinamento, qualora nessun ente o associazione o privato faccia richiesta di affidamento di animali sequestrati o confiscati, ai sensi dell'art. 19 quater disp. att. c. p., né comunque offra adeguate garanzie di poterli tenere in modo adeguato, l'obbligo di far fronte al loro mantenimento, dopo la confisca, grava comunque in ultimo sul Comune, in quanto ente che vanta una posizione di garanzia rispetto al benessere degli animali presenti sul territorio.

Il Disegno di legge “Perilli – Maiorino” 19 febbraio 2019 si propone un riassetto generale della normativa ed un incremento ulteriore dei presidi a

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difesa del mondo animale in alcuni casi con apporti pregevoli seppure ancora non risolutivi di tutte le problematiche che attualmente la giurisprudenza si trova ad affrontare. Oltre alla introduzione di nuove fattispecie ed alla abrogazione di altre, verrebbero inasprite svariate previsioni sanzionatorie (anche per l’illecita introduzione nel territorio dello Stato sia di animali da compagnia che di animali in via di estinzione). In particolare, per fattispecie di reato previste da normative speciali come l’art.4 della L.201 del 2004 relativamente al traffico di animali da compagnia verrebbe prevista l’introduzione di pena pecuniaria congiunta alla detentiva, con conseguente esclusione della possibilità di definire il procedimento mediante oblazione. E’ poi estesa – nel progetto di legge – la previsione dell’applicabilità delle pene accessorie di cui all’art.544 sexies c.p. anche al decreto penale di condanna attraverso il quale si perviene di frequente a definire i procedimenti per violazione della’art.727 c.p.. Dovrebbe prevedere inoltre la risoluzione di un problema assai frequente che ancora non ha trovato indirizzo univoco inerente la possibilità o meno di affidare in via definitiva alle associazioni gli animali oggetto di sequestro, provvedimento che per sua natura è di carattere cautelare e che allo stato vede contrapposti diversi orientamenti interpretativi.

Sono tante peraltro le problematiche che si pongono in assenza di una previsione che svincoli in certa misura i provvedimenti adottati a tutela degli animali dall’esito del procedimento penale. Voglio solo esemplificare alcune problematiche interpretative: quid iuris se il procedimento viene poi archiviato, definito con oblazione, o per speciale tenuità del fatto ex art.131 bis c.p.? Vi è un’ampia gamma di casi in cui il sequestro non sarebbe (o potrebbe non essere) destinato ad essere poi seguito da confisca in assenza di espressa previsione normativa e della conseguente sussistenza dei presupposti formali per farne applicazione, dal che dovrebbe discendere la restituzione all’avente diritto. Tralasciando la considerazione che “speciale tenuità del fatto” potrebbe esser in linea di principio e nella maggior parete dei casi in contrasto con le fattispecie di cui ci occupiamo (e proprio l’art.131 bis c.p. – a scanso di dubbi – ce lo ricorda escludendo che l’offesa possa essere ritenuta di particolare tenuità nei casi in cui l’autore abbia agito “per motivi abietti o futili, o con crudeltà, anche in danno di animali”) già ora molti commentatori si orientano comunque a favore della confisca sottolineando

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che l’art.131 bis c.p. implica comunque accertamento del reato e della responsabilità dell’autore, sicché non vi sarebbe motivo per riconoscergli il diritto alla restituzione. Suggerimenti interpretativi di segno contrario ed a sfavore di orientamenti che tendano a dilatare troppo i casi di ablazione definitiva e sembrerebbero sanzionare il “tipo di autore”, sembra si possano in qualche misura trarre dalla decisione della Corte di Cassazione inerente la prole nata da animali sottoposti a sequestro secondo cui il sequestro non si estende (Sez. 3, Sentenza n. 20934 del 21/03/2017), pur sancendo la stessa decisione che “nei delitti contro il sentimento per gli animali, ai fini della confisca prevista dall'art. 544 sexies c.p., l'animale rileva non come corpo del reato o cosa ad esso pertinente, né come bene patrimoniale produttivo di frutti, ma esclusivamente come essere vivente dotato, in quanto tale, di una propria sensibilità psico – fisica”. Personalmente vorrei da ultimo ricordare come si possa almeno in alcuni casi giungere a soluzioni pratiche soddisfacenti utili a contemperare i diritti in gioco, attraverso uno sforzo interpretativo e senza discostarsi dalle norme vigenti, come accaduto in un caso in cui era stata negata la restituzione all’avente diritto - proprietaria dell’animale ed estranea alla condotta di reato che però avveniva nella sua casa in danno di un cucciolo di cane durante le ore del giorno in cui ella era assente per lavoro – sottolineandosi l’inadeguatezza dell’ambiente a prevenire la reiterazione di situazioni di sofferenza dell’animale, posto che l’ambiente – appunto - corrispondeva nella sostanza ad una condizione di convivenza con l’autore della condotta di reato che aveva provocato il sequestro. Alla interruzione della convivenza (scelta a questo punto dall’interessata) aveva subito potuto far seguito la restituzione del cane maltrattato. Questa vicenda ci suggerisce dunque di ricordare che, in ogni caso, i soggetti privati – oltre che responsabili civilisticamente dei danni provocati dalle condotte degli animali affidati allo loro custodia e nel contempo responsabili sotto il profilo penale della salute e del benessere degli animali stessi - possono non solo attori e “parti offese” nel procedimento penale (come può accadere – ad esempio - ai proprietari di cani e gatti affidati a strutture che forniscono servizi, a carico dei cui gestori emergesse notizia di condotte di reato), ma soprattutto possono trovarsi in condizione di rappresentare legittimamente e pienamente anche gli interessi propri dell’animale pure nel caso in cui essi stessi siano direttamente attinti dal provvedimento cautelare.

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AVV. MONICA GAZZOLA Grazie alla Dottoressa Paccagnella per questa illustrazione di apertura che ha toccato tutti i punti fondamentali del tema del nostro convegno. Nel suo intervento ha fatto riferimento a una questione fondamentale che può presentarsi al Giudice per le Indagini Preliminari, ossia il caso del sequestro preventivo dell’animale maltrattato. In merito a questo punto, vorrei ricordare il passaggio di una richiesta di convalida di sequestro preventivo del dott. Giorgio Gava, Pubblico Ministero presso la Procura della Repubblica del nostro Tribunale di Venezia. Lo cito perché egli avrebbe voluto partecipare a questo convegno e ci ha aiutato e supportato nell’organizzazione ma non gli è stato possibile presenziare. Il Dottor Gava afferma nella sua richiesta: “Il punto è che gli animali non sono più nel nostro ordinamento cose. Proprio perché gli animali non sono cose il legislatore non ne ha concepito, anche a seguito della loro confisca, la vendita, ma ha concepito per essi un istituto, l’affidamento, che è lo stesso istituto previsto per i minori. Gli animali sono stati cioè assimilati dal legislatore alle persone piuttosto che alle cose. Il legislatore ha inteso concepirli quali vittime di reato che non possono essere consegnate al miglior offerente, e questo a loro tutela”. L’ho voluto ricordare perché credo che a volte l’attività di chi è sul campo, Avvocati, Magistrati, vada oltre il freddo precipitato normativo, e questo ricorda un po' - faccio una similitudine un po’ azzardata - il discorso della violenza sessuale: voi ricordate che fino al 1996 la violenza sessuale era ricompresa tra i reati contro la morale pubblica, solo successivamente finalmente è stata ricompresa nei reati contro la persona. Tuttavia, ben prima della modifica legislativa del ‘96, era pacifico nella giurisprudenza e nella dottrina che il bene tutelato dalla norma fosse l’integrità psicofisica della persona. Perché ho fatto questo esempio? Per dire che anche se ancora oggi il bene giuridico tutelato formalmente dal nostro ordinamento penale è il sentimento umano nei confronti degli animali, vi è la possibilità e quasi direi il dovere di considerare in realtà come bene primario tutelato il diritto all’incolumità psicofisica dell’animale. Faccio questo azzardo perché gran parte del pensiero femminista si è interessato anche al Movimento di Liberazione Animale per il medesimo principio di rivendicazione di una dignità e di una titolarità di diritti. Dopo questo bellissimo intervento della Dottoressa Paccagnella, passo con piacere la parola alla collega Maria Cristina Giussani del Foro di Milano, che è attivista e esponente di Animal Law, associazione che raccoglie giuristi italiani impegnati nella tutela degli animali, e ci parlerà nel merito della disciplina prevista nel nostro codice.

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Anticipo che l’Avv. Giussani, tra l’altro, toccherà un punto fondamentale, ossia l’applicazione della scriminante dell’art. 19 ter disp.att. c.p.p. di cui ho accennato prima nell’introduzione: la tutela degli animali appare ristretta agli animali antropizzati, ossia gli animali che sono più vicini all’essere umano per consuetudine, tradizione, gratificazione umana o vicinanza genetica, quindi cani, gatti, grandi scimmie. Mentre c’è tutta quella massa indistinta di animali di cui ci cibiamo - cioè molti si cibano – o che vengono utilizzati per pellicce e pellami, che sono esclusi dalla tutela del Titolo IX bis del codice penale. Ricordo che in Italia vi è il divieto, sempre introdotto con la legge del 2004, della produzione e del commercio di pellicce derivanti da cani e gatti, mentre tutti gli altri animali possono essere allevati e scuoiati per le pellicce. E’ con piacere che lascio la parola alla collega Maria Cristina Giussani. AVV. MARIA CRISTINA GIUSSANI – La tutela degli animali nel nostro sistema penale. Luci e ombre Grazie mille, grazie Monica per l’invito, grazie a tutti voi che siete qui, Camera Penale, Ordine degli Avvocati e Università Cà Foscari di Venezia. Inizio il mio intervento riprendendo le parole di Monica, sottolineando che oggi intendo occuparmi, in realtà, non degli animali da compagnia, quindi quelli tutelati dagli artt. 544 bis, ter e seguenti, introdotti nel Codice Penale dalla Legge 189/2004, ma di tutti gli altri che, purtroppo, sono completamente esclusi da questa normativa. Mi riferisco alle attività normate dalla c.d. legislazione speciale, e quindi tutte le attività lecite, che sono purtroppo ancora lecite nella nostra società: la caccia, la pesca, l’allevamento, la macellazione, l’attività circense e la vivisezione. Tra queste, concentrerò in particolare la mia attenzione in materia di macello e trasporto degli animali destinati al macello e alla sperimentazione scientifica su modello animale, perchè ritengo siano le parti più delicate in termini di compromissione dei diritti degli animali. Non perchè non ci siano norme comunitarie o statali a regolare minuziosamente la materia, ma perchè è più facile che in queste specifiche materie gli interessi contrapposti (la produzione, il consumo, il reddito, financo l’interesse personale e l’ambizione) finiscano con il prevalere sui diritti degli animali. Per questi animali c.d. “da produzione” si prevedono delle “regole minime” e quando dico minime intendo veramente minime; infatti quando ci si riferisce ad un ipotetico “benessere animale” in realtà non si intende mai un

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benessere degli o per gli animali, piuttosto il riferimento è alla carne migliore come prodotto per i consumatori. Non vi è cenno all’animale inteso come essere senziente. Dopo il 2004 cominciano le prime pronunce giurisprudenziali in materia di maltrattamento animale, essendo aumentata la sensibilità dei giudici nei confronti di questa materia in genere, ma soprattutto a tutela degli animali che non siano da affezione. Questo sia per una maggiore coscienza e sensibilità sociale, sia per effetto anche della legge 189/2004. Per quanto riguarda la coscienza sociale, negli ultimi anni abbiamo assistito a una “dimostrazione visiva” abbastanza efficace di quello che succede negli allevamenti, che siano allevamenti di visoni, di mucche, di polli, ecco abbiamo assistito grazie alle associazioni, a molte associazioni animaliste e coordinamenti, che rendono un servizio alla comunità, perché fanno delle investigazioni e poi mostrano quello che succede all’interno di questi luoghi e i numerosissimi abusi che avvengono. In tema di pronunce giurisprudenziali, vorrei segnalarvi innanzitutto una sentenza della Suprema Corte di Cassazione, non è recentissima ma è rivoluzionaria, la 16497 del 2013, che proprio in tema di norme minime per la tutela di questi animali sancisce il principio che il delitto di maltrattamento possa essere applicato anche agli animali da reddito. Ve la leggo “la necessità di scriminare attività che, già riconosciute come lecite dalle leggi speciali”, quindi quello di cui stavamo parlando prima, “possano essere obiettivamente lesive della vita e della salute degli animali” e qui arriva il punto importante “incontra evidentemente il proprio limite applicativo nella funzionalità della condotta posta in essere rispetto agli scopi e alle ragioni poste a base della normativa speciale”. Quindi, quando in questi settori legati alla produzione si commettono degli abusi nei confronti degli animali, e ce ne sono moltissimi, anche e soprattutto sugli animali che vanno al macello, proprio perché per una visione aberrante, abietta e tutta antropocentrica, sugli animali che vengono portati al macello si pensa di poter fare qualsiasi cosa, a questo punto viceversa le norme minime della legislazione di settore si contraggono e si riespande la normativa prevista dalla Legge 189/2004 in tema di maltrattamento animale. Sempre in tema di trasporto di animali destinati al macello, vorrei citare la sentenza Cass. Pen. , sez. III, 24 giugno 2015 n. 38789. Nel famoso caso in questione, assurto alle cronache, un bovino destinato alla macellazione, impossibilitato a deambulare per le precarie condizioni

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di salute, veniva sottoposto ad inutili sevizie e vessazioni da parte dei lavoranti nel trasporto al macello. In particolare, si legge nella sentenza, “al fine di trascinare l’animale, non più in grado di camminare, questi viene spinta lungo il pavimento con l’ausilio della pala di un trattore, caricata sulla pala e sollevata, trascinata, schiacciata tra il camion e la rampa, picchiata, calpestata sulle mammelle, pungolata con un bastone elettrico e fatta rotolare nel camion chiudendo la rampa del camion mentre lei vi giaceva sopra”. Il coraggioso Tribunale di Cuneo aveva condannato queste persone nel 2010, e la sentenza era stata poi confermata dalla Corte d’Appello di Torino nel 2013, infine è intervenuta la pronuncia della Suprema Corte a confermare la condanna per il delitto di maltrattamento animale nei confronti dei sei imputati. E’ una sentenza importante perchè evidenzia come la tutela penale non sia e soprattutto non debba essere limitata agli animali da affezione, ma si estenda a quelli destinati al macello. L’orientamento della giurisprudenza nell’applicare il reato p. e p. dall’articolo 544ter all’attività di macellazione o altre attività in cui sono coinvolti animali, pur in presenza di disposizioni speciali, è ribadita nella sentenza del Tribunale di Brescia 13 Febbraio 2017 n. 233 nei confronti dei proprietari, dei lavoranti e dei veterinari del macello Italcarni di Ghedi ( Bs). Si affermano in questa sentenza, a mio modo di vedere, due principi molto importanti: il primo, che è un reato maltrattare gli animali nei macelli ( le violazioni delle cure sul benessere animale nell’allevamento in questione erano state sistematiche e consistevano in inequivocabili maltrattamenti dovuti al trascinamento su pavimenti per mezzo di catene, corde e trazioni con mezzi meccanici sproporzionati nella forza applicata), il secondo, importantissimo a mio modo di vedere di vedere, è che si riconosce al veterinario della struttura una posizione di garanzia “A fronte del quale lo stesso ha l’obbligo di intervenire in presenza di condotte da parte dei dipendenti che gestiscano gli animali in modo non corretto”. La figura del veterinario è infatti fondamentale: molto spesso nei casi che ho avuto occasione di affrontare o come attivista o nel corso della mia professione, come parte civile o come difensore di attivisti, la posizione del veterinario è sempre stato IL nodo cruciale soprattutto, dispiace affermarlo, per le frequenti e vergognose omissioni dei veterinari sia pubblici sia interni alla struttura produttiva.

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Il macello di Ghedi venne chiuso dalla Forestale, gli animali vennero posti sotto sequestro, vi furono patteggiamenti da parte dell’amministratore del macello e di tre suoi dipendenti. I veterinari furono condannati a due anni e ad un anno e sei mesi. Purtroppo mi è giunta notizia che, nonostante lo scempio, questo macello in provincia di Brescia è stato riaperto. Questi sono esempi delle innumerevoli situazioni di maltrattamento animale che si scatenano in questi luoghi, sono due esempi insieme ad altri che sono eclatanti, perché assurti alle cronache, perché ci sono state pronunce giurisprudenziali particolarmente importanti che magari hanno ribaltato degli orientamenti precedenti che andavano in tutt’altro senso. Però, diciamo così, grazie proprio a queste sentenze, grazie a queste denunce, si è scatenato un dibattito mediatico e la proposta al Parlamento da parte di associazioni animaliste ( tra cui Animal Law) di introdurre anche in Italia una legge che preveda l’obbligo di installare impianti di videosorveglianza in tutti i macelli ( cosi come già previsto in altri Stati, tra cui Israele nel 2016, lo Stato indiano di Uttar Pradesh, nel Regno Unito, nei Paesi Bassi, se ne parla in Francia e anche in Spagna). Ovviamente insieme a questi casi così eclatanti non dobbiamo dimenticarci che ci sono dei casi più piccoli, magari, ma comunque di maltrattamento animale, che non conosceremo mai. E’ il caso, ad esempio, di una denuncia da me presentata per l’associazione Vita da Cani, investita anche dell’affidamento degli animali che vengono posti sotto sequestro, in custodia e quant’altro, in situazioni, dicevo, di documentata, tramite fotografie e filmati, incuria, malnutrizione, abbandono di animali all’interno degli allevamenti. Abbiamo sporto una denuncia nei confronti di questo allevamento nel mantovano: denuncia che ha riposato negli uffici della Procura per circa 4 anni, per poi essere riesumata un paio di mesi fa con una richiesta di archiviazione. Ora abbiamo fatto opposizione alla richiesta di archiviazione, ma è molto interessante leggere il provvedimento che nelle gravi condotte degli allevatori vede integrate semplicemente delle ipotesi contravvenzionali e nemmeno legate al maltrattamento animale ma ad altre irregolarità dell’azienda stessa. Non solo, il veterinario ASL di zona scrive nella sua relazione che era presente un solo capo in evidente condizione di malnutrizione a terra, e quindi a quel punto se n’è ordinato l’immediato abbattimento, e pertanto non si può parlare di maltrattamento! Ecco, io dico, anche qui deve cambiare assolutamente, a mio modesto parere, la visione dei veterinari che operano per le ASL e vanno quotidianamente o periodicamente negli allevamenti, perché anche in

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questo caso emerge la visione assolutamente antropocentrica di queste persone che in realtà dovrebbero tutelare prima di tutto ed unicamente il benessere dell’animale e invece tutelano esclusivamente il profitto dell’azienda. Ci sono poi dei volontari che hanno sporto diverse denunce, erano più di trenta, nei confronti di un c.d. rifugio situato ad Appiano Gentile. Le denunce hanno portato a due decreti penali di condanna, uno dei quali è stato opposto. Anche in questo caso, il Pubblico Ministero ha ravvisato esclusivamente l’ipotesi contravvenzionale! Nella costituzione di parte civile abbiamo voluto sottolineare che non si possa ritenere configurata solo l’ipotesi contravvenzionale per circa 320 individui di tutte le specie, dalle capre, alle mucche, ai cinghiali, ai conigli, morti per malnutrizione, per mancanza di luoghi dove stare, per incuria, sotto il freddo e quant’altro, bensì piuttosto un maltrattamento degli animali, essendo configurati sia l’elemento oggettivo sia l’elemento soggettivo del reato nella forma del dolo eventuale. Gli animali, 19 suini, sono stati affidati a Vitadacani in custodia giudiziaria e la relazione che ha portato al sequestro parla “di animali che si presentano in evidente stato di denutrizione, disidratazione e sofferenza, senza possibilità di ricovero. Non sono visibili contenitori per il cibo nè tracce di cibo, da cui si evince che i soggetti vengono alimentati saltuariamente”. Il processo è appena iniziato. Il maltrattamento di questi animali, in ogni caso, supera i confini nazionali e si hanno documentate situazioni di maltrattamento anche, ad esempio in Spagna. Dico in Spagna perché io lavoro in diverse zone della Spagna e anche qui sono state documentate da tante associazioni animaliste, Igualdad Animal o Equalia, dei maltrattamenti che avvengono all’interno degli allevamenti o dei macelli, in una vasta area vicino a Madrid, la zona nord ovest, a Segovia. La situazione spagnola è questa, almeno in parte: in Spagna sono aumentati sicuramente esponenzialmente i casi di denunce di maltrattamento nei confronti degli animali, e i casi di condanna dal 2015/ 2016 ad oggi sono quasi raddoppiati. Dalla Spagna mi sembra interessante segnalarvi quattro casi di condanna per maltrattamento animale che hanno portato all’ingresso addirittura in carcere degli autori del crimine. Il primo caso è quello del cavallo Sorky, nell’ ottobre 2015, Tribunale di Palma di Maiorca, fu caso pioniere in quanto per la prima volta una persona entrò in carcere esclusivamente per il delitto di maltrato animal (senza avere altre pene pendenti da scontare),

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colpevole nel 2012 di avere ucciso a bastonate il proprio cavallo da corsa, a seguito di un cattivo risultato in una gara di trotto. Il proprietario fu condannato ad otto mesi e il giudice affermò che in un caso di inusitata violenza come questo, la sospensione della pena avrebbe potuto trasformarsi in un messaggio “antipedagogico” . Dopo due mesi di carcere, a seguito di ricorso, la Audiencia Provincial concesse al condannato il beneficio della sospensione condizionale della pena alla condizione di seguire un programma di protezione degli animali. Un secondo caso è quello del cane Mix, in cui la medesima Magistrata del Tribunale di Palma di Maiorca condannò per maltrattamento animale un uomo colpevole di avere lasciato morire il suo cane di fame e di sete. Anche qui l’uomo entrò in carcere. Secondo le motivazioni del Giudice infatti la morte di fame è una delle più crudeli, sia per le persone che per gli animali. Al contrario, la Sezione Seconda de la Audiencia Provincial de Baleares confermò la sentenza di primo grado, 12 mesi di condanna, sottolineando che non c’era stata la benchè minima revisione della condotta da parte del condannato. Il terzo riguarda un allevatore delle Asturie, condannato nel 2016 dal Tribunale di Oviedo a nove mesi di carcere, per avere abbandonato un vitello senza avere accesso all’acqua e al cibo, sotto il sole cocente per vari giorni, con l’aggravante che il medesimo era invalido delle zampe posteriori. Poi veniamo al caso più recente, siamo a novembre 2017, e particolarmente grave di condanna della presidentessa dell’associazione Parque Animal de Torremolinos, condannata dal Tribunale Penale di Malaga a tre anni e nove mesi per il sacrificio in massa di gatti e cani randagi ( si stima almeno 2183) ospitati nel proprio rifugio in un periodo che va dal 2008 al 2010, sacrificio al fine lucrativo di liberare spazio nella struttura per accogliere nuovi randagi, per i quali percepiva un rimborso dal Ayuntamento. Il tutto avveniva ovviamente senza alcun controllo veterinario e i prodotti eutanasici erano somministrati direttamente dalla condannata e in dosi minori di quelle indicate per evitare la sofferenza degli animali. Anche in questo caso, la Audiencia Provincial confermò la sentenza di primo grado, non venne concessa la sospensione condizionale della pena, venne imposta altresì una multa di 24.200 euro, oltre l’inabilitazione per tre anni. Diciamo che la Spagna, pur con le sue gravi lacune dal punto di vista del mantenimento delle c.d. “tradizioni” (leggi: corrida) in alcune delle sue Comunità autonome, ha fatto comunque un passo in avanti grazie anche

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alla sensibilità di qualche giudice più illuminato di altri, soprattutto in punto di effettività della pena. Ora vorrei soffermarmi su di un settore della legislazione speciale in cui le pronunce delle Corti per maltrattamento animale sono davvero pochissime, una rarità: la vivisezione. La sentenza storica, è il caso di dirlo, è quella di Green Hill, allevamento di cani beagle di Montichiari, dove tremila circa cani beagle allevati al fine di essere sottoposti a sperimentazione erano tenuti in condizioni contrarie alla loro natura, maltrattati e uccisi se non rispondevano a determinati requisiti praticando l’eutanasia in modo disinvolto. Furono condannati, mai abbastanza vorrei ribadire, il cogestore della struttura, il veterinario e il direttore dell’allevamento. La tenacia di un Pubblico Ministero nel volere approfondire quello che quotidianamente succedeva tra i muri di questa multinazionale e insieme il grande clamore mediatico che ne è derivato, scosse le coscienze dei più, anche dei comuni cittadini indignati di quello che succedeva all’interno dell’allevamento poi sottoposto a sequestro, affidati gli animali alle associazioni animaliste e infine adottati da privati cittadini. Una delle poche storie a lieto fine per quanto riguarda gli animali destinati alla sperimentazione. E’ recente la sentenza della Corte d’Appello di Brescia (3 Luglio 2019) che ribalta la sentenza di primo grado sui maltrattamenti di animali avvenuti sempre all’interno dell’allevamento Green Hill di Montichiari. Due veterinari dell’Ats di Brescia erano stati assolti in primo grado così come tre dipendenti della struttura. Un veterinario è stato condannato a tre anni per concorso in maltrattamenti di animali, uccisione, omessa denuncia e falso in atto pubblico. Condanna a un anno e 4 mesi invece per tre ex dipendenti di Green Hill per falsa testimonianza perché, nel processo collegato (Green Hill 1) non avrebbero raccontato la reale situazione che c’era all’interno dell’allevamento. Sentenza molto importante perchè si afferma che era impossibile che durante i controlli dei veterinari pubblici, non fossero emerse evidenze dei maltrattamenti e delle uccisioni ingiustificate verificatesi nella struttura, per le quali i vertici e il veterinario di Green Hill sono stati condannati in tutti e tre i gradi di giudizio. Questa sentenza è la dimostrazione di come il maltrattamento, inteso come deprivazione dell’etologia animale, sia penalmente rilevante anche in settori considerati intoccabili come quello della vivisezione. Infatti sono descritte nel dettaglio le eto-anomalie causate dalla scellerata gestione

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dell’azienda che – ricordiamo – “aveva un solo medico veterinario per circa 3000 cani e dalle h18 alle h7 del mattino i beagle erano letteralmente abbandonati a loro stessi, anche se malati. Plurime le anomalie riscontrate nell’allevamento: le temperature riscontrate erano ‘ben oltre quelle indicate nel Decreto legislativo 116/92’, l’areazione inadeguata, la struttura sovraffollata, mancavano all’interno dei box aree di isolamento per garantire il riposo dei cani, la lettiera per dimensioni e qualità (polverosa) costituiva un ‘serio problema’ perché ingerita da cuccioli e causa ‘molto diffusa’ di morte specie tra i cuccioli”. Esplicitamente il Giudice afferma che ‘reputa sussistente il nesso di causalità diretta tra il considerevole numero di decessi e l’attività di sorveglianza oltremodo discontinua e con assistenza inadeguata’. Chissà se ci sarà giustizia per i 750 topi, che comunque sono sempre esseri viventi, se sposiamo un’ottica antispecista il topo ha la stessa dignità e diritto alla vita di una scimmia, di un cane, di un uomo, ospitati nello stabulario del centro di ricerche biomediche “Mario Negri Sud” di S. Maria Imbaro (Chieti), chiuso nel 2014 per crisi economica, compresa l’impossibilità di mantenere questi animali vivi, e infatti, vennero uccisi per asfissia con il gas alla stregua di oggetti, pur prevedendo il Decreto Legislativo 26-14 (sulla sperimentazione) “il reinserimento degli animali in un habitat adeguato”. Solo 49 superstiti furono sequestrati per ordine della Procura della Repubblica di Lanciano e affidati ad una associazione animalista. Speriamo che la normativa sul maltrattamento animale, sull’uccisione senza necessità, sull’uccisione con crudeltà o per motivi abietti e futili venga applicata anche in questo caso e in tutti gli altri in cui non si tratti di cani e di gatti. Perchè è evidente che anche nelle normative che riguardano gli animali, c’è una disparità di trattamento anche se, negli ultimi tempi, è la giurisprudenza che pare suggerire che la posizione degli “altri animali”, quelli non di compagnia, vada rivisitata. Mi piace ricordare due sentenze, la sentenza (Cass. Penale, sez. III, 17/4/2019, n. 29510) che ha ravvisato un maltrattamento nell’avere provocato lesioni, anche se non siano croniche, alle penne di alcuni volatili. La Corte ha infatti ritenuto irrilevante l’obiezione difensiva centrata sulla ricrescita delle piume (il danno sarebbe pertanto solo provvisorio). Ciò che conta, secondo i Giudici, è il fatto che gli uccelli hanno subito lesioni innaturali ad opera dell’uomo, lesioni che ne hanno limitato la libertà di movimento. E, in tema di utilizzo di animali vivi come esca per la pesca sportiva, la Cass. Penale, sez. III, 14/12/2018, n. 11, ha ritenuto non potersi intendere

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tale condotta scriminata ex art. 19 disp. coord. c.p. L’imputato era stato condannato dalla Corte di Appello di Firenze per il reato di cui all’art. 544 ter c.p. per aver gettato nel fiume alcuni piccioni vivi dopo averli appesi per una zampa all’amo. La Cassazione, che ha confermato la condanna in appello, affermando “le condotte degli imputati, in relazione alle condizioni in cui gli animali erano utilizzati, hanno determinato in essi rilevanti sofferenze, senza che ricorresse il requisito della necessità” ha dimostrato di voler considerare, anzitutto, l’offesa agli animali e alle loro caratteristiche biologiche e non tanto il sentimento di umana compassione verso gli stessi. Conclusivamente c’è da augurarsi che si persegua questa linea evolutiva, affinchè la chiave di lettura in tema di sofferenza degli animali non sia più antropocentrica bensì biocentrica, egualitaria ed etologica così da rendere l’animale – creatura complessa e dotata di sentimenti, coscienza e dignità in quanto essere vivente – il vero soggetto passivo dei reati di maltrattamenti. AVV. MONICA GAZZOLA Grazie alla collega Giussani per il suo esteso, approfondito e appassionato intervento, e anche grazie per questo sguardo sull’esperienza in Spagna, perché è sempre utile confrontarsi con altre realtà. Passo adesso la parola all’Avvocato Michele Pezone del Foro di Chieti, che è responsabile diritti animali e coordinatore dell’ufficio legale della Lega Nazionale del Cane. La Lega Nazionale del Cane è una di quelle associazioni di cui abbiamo parlato già in precedenza che si occupano di tutela degli animali sia quali soggetti affidatari nel corso dei procedimenti penali, sia rappresentando i loro interessi con la costituzione di parte civile, sia attivandosi per il miglioramento legislativo: sia la Lega Nazionale del Cane, sia tante altre associazioni pensiamo alla Lav - sono state e continuano a essere fondamentali per quelle modifiche normative che oggi ci consentono oggi di potere parlare di un possibile presente e futuro migliore per l’altra metà del cielo, gli animali. Passo quindi la parola all’Avvocato Pezone, che ci parlerà del ruolo delle associazioni e la costituzione nel giudizio penale degli enti protezionistici. AVV. MICHELE PEZONE – Il ruolo delle associazioni e la costituzione nel giudizio penale degli enti protezionistici Grazie, Monica. Ringrazio la Camera Penale Veneziana, l’Ordine degli Avvocati di Venezia e tutti quelli che hanno organizzato questo interessante convegno.

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Per me è veramente un privilegio essere qui e lo dico non come frase di circostanza, perché gli argomenti di cui ci stiamo occupando mi hanno sempre interessato sin dai tempi dei miei studi universitari. Io mi sono laureato con una tesi sui diritti degli animali negli anni Novanta, quando non era così facile poter parlare di questi argomenti, anzi, all’epoca era certamente considerata come stravagante una tesi di quel genere. Poi ho continuato, sia come attivista e sia come Avvocato, ad occuparmi di queste tematiche e da una decina d’anni a questa parte sono il coordinatore dell’Ufficio Legale Nazionale della Lega per la Difesa del Cane. Seguiamo tutti i giorni casi come quelli di cui abbiamo sinora parlato, anzi, rispondo alla collega che voleva sapere che fine avesse fatto quel processo sull’uccisione dei 750 topolini in un istituto di ricerca abruzzese, che è uno di quelli che stiamo seguendo: la discussione ci sarà questo giovedì. Il processo si sta svolgendo davanti al Tribunale di Lanciano e il Giudice lo sta istruendo con grandissima attenzione. E’ entrato nel dettaglio di ogni questione, ha convocato ai sensi dell’articolo 507 c.p.p. anche alcuni stabularisti per cercare di capire in concreto chi avesse dato l’ordine di soppressione di questi 750 topi. Si è evidenziato in quel processo come in altri istituti di ricerca viene seguita la prassi, che poi è prevista dalle normative di settore, di cercare una ricollocazione per gli animali che non vengono utilizzati negli esperimenti, e questa prassi non era stata seguita. L’unica preoccupazione è sembrata essere quella di tipo economico. Quindi confidiamo anche in una sentenza di condanna. E’ un osservatorio importante quello che abbiamo noi, perché, con un’associazione che ha cento sedi in Italia, riceviamo ogni giorno segnalazioni di fatti gravi che riguardano abusi sugli animali. Facciamo le nostre denunce e successivamente ci costituiamo parte civile nei processi. Ma non è solo questa la nostra attività. Questa attiene a quello che posso definire un po’ il lato patologico del nostro lavoro, e cioè quello che dobbiamo svolgere quando purtroppo non siamo riusciti, nonostante le tante iniziative che poniamo in campo tutti i giorni, ad arginare fenomeni di violenza contro gli animali. Credo che questi argomenti avranno sempre maggiore attenzione perché, seguendo casi di questo tipo ogni giorno, vedo che la sensibilità nei confronti degli animali è sempre maggiore. Non escludo che si arrivi anche a una vera e propria codificazione organica sul diritto degli animali, cioè ad un codice che metta insieme le varie norme, che oggi sono sparse nell’ordinamento civile, penale, amministrativo, e che se ne faccia addirittura anche materia di insegnamento universitario. E’ successo in realtà anche in altri settori: il diritto della navigazione non esisteva come materia di insegnamento fino alla metà del secolo scorso. Poi, con l’intensificarsi dei traffici commerciali, il giurista Antonio Scialoja

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ha avuto l’intuizione di unire le varie norme, penali, amministrative, civilistiche, che erano sparse nell’ordinamento e che riguardavano il diritto della navigazione, e il suo lavoro ha poi portato alla formazione del “Codice della Navigazione”. Da lì è nata anche la relativa materia di insegnamento universitario. Peraltro, ad Harvard già si insegna animal law. I Paesi anglosassoni hanno una maggiore facilità ad adattarsi ai mutamenti della sensibilità collettiva, anche perché il loro ordinamento giuridico è basato maggiormente sui precedenti giurisprudenziali e questo li rende un po’ più al passo con i tempi. Noi ci mettiamo un po’ più di tempo ad adeguarci, dal punto di vista normativo, alle nuove sensibilità collettive, però poi abbiamo, per converso, delle codificazioni più strutturate e più approfondite. Facendo una comparazione devo dire che non siamo messi malissimo sulle norme che tutelano gli animali, ma ovviamente dobbiamo ancora fare molta strada per assicurare loro una tutela davvero adeguata. Una delle attività che svolge la Lega per la Difesa del Cane è quella di collaborare con le istituzioni, sia quelle locali che quelle nazionali, anche con i parlamentari, con i quali abbiamo delle interlocuzioni quando ci sono progetti di legge che riguardano gli animali. Per esempio, sul recente Disegno di Legge Perilli, siamo stati convocati anche noi in audizione presso la Commissione Giustizia del Senato e abbiamo fornito le nostre osservazioni. Molte previsioni normative di quel disegno di legge sono attese da tempo e speriamo che vengano introdotte. Sulla base della nostra esperienza, poi, ci permettiamo anche di dare dei suggerimenti. Quando, per esempio, vediamo che molti processi per reati contro gli animali si chiudono con una messa alla prova, che è un istituto che non è stato citato nel precedente intervento, cerchiamo di fare in modo che questa possibilità non venga data agli autori di queste condotte. Per esempio, Striscia la Notizia seguì il caso – ne dico uno ma ne potrei citare tantissimi – di quel pastore sardo che, per punire un cane che aveva ucciso una pecora del suo gregge, lo legò dietro la macchina e lo trascinò. La cosa fu ancora più cruenta perché questo pastore, mentre stava guidando la macchina, incrociò un’auto dei Carabinieri che fecero inversione e lo inseguirono e quindi ci fu una scena drammatica con il pastore che scappava con il cane legato dietro e la macchina dei Carabinieri che lo inseguiva: una vicenda terribile che si è conclusa giudiziariamente con una semplice messa alla prova: il pastore è andato, credo, a fare le fotocopie negli uffici comunali proprio di fronte a casa sua ed è uscito con grande facilità dal processo. Quindi noi abbiamo suggerito, qualora non ci fosse l’aumento di pena fino a cinque anni per i reati di uccisione di animali proposto nel Disegno di Legge Perilli, che venga comunque stabilita un’ipotesi di sottrazione di questi reati da quelli

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per i quali è possibile richiedere la messa alla prova. Una sorta di norma speciale, come è stata fatta anche per la tenuità del fatto, che è un istituto non applicabile ai reati commessi con crudeltà in danno degli animali. Inoltre, collaboriamo molto con le amministrazioni territoriali, a volte anche cercando, nel nostro piccolo, di dare un contributo per il controllo del territorio. Noi formiamo le nostre guardie zoofile, che sono espressamente riconosciute anche dalla Legge 189/2004. Lo erano già prima, ma hanno avuto un ulteriore riconoscimento da questa normativa. Diciamo che le Guardie Zoofile sono a tutti gli effetti degli agenti di Polizia giudiziaria, ovviamente con compiti limitati alla tutela degli animali d’affezione. Hanno inoltre una competenza territoriale limitata su base provinciale. Però, laddove le Guardie zoofile si comportano bene, riescono a stabilire dei buoni rapporti anche con la Procura e i Pubblici Ministeri si accorgono di potersi avvalere effettivamente della loro collaborazione, ottengono deleghe anche per attività importanti, come sopralluoghi, assunzione di sommarie informazioni, eccetera. Quella della formazione delle Guardie zoofile è dunque un’altra attività che viene svolta dalla Lega per la Difesa del Cane. Poi c’è l’argomento che mi è stato assegnato, cioè la costituzione di parte civile nel processo. Laddove riceviamo segnalazioni di abusi contro gli animali, come detto, facciamo le nostre denunce e ci costituiamo parte civile nei relativi processi. Abbiamo avuto qualche caso veramente molto, molto isolato di sentenze di merito che non ci hanno riconosciuto una legittimazione alla costituzione di parte civile, non riconoscendoci la qualifica di parte danneggiata dal reato. E’ successo, per esempio, di fronte al Tribunale di Catania in un processo che abbiamo noi faticosamente portato avanti, insieme ad altre associazioni, opponendoci alla richiesta di archiviazione ed ottenendo l’imputazione coatta per i reati di maltrattamento di animali e associazione a delinquere finalizzata alla truffa ai danni dei Comuni connessi alla gestione di un canile. In realtà, devo dire che la giurisprudenza di legittimità su questo è unanime: la Corte di Cassazione ha sempre affermato che le associazioni sono legittimate a fare valere in giudizio un danno iure proprio, un danno da lesione della propria personalità laddove le condotte che si ripercuotono contro gli animali vanno a pregiudicare la finalità statutaria della tutela degli animali. In questo modo si tutelano gli stessi associati, che ricevono una frustrazione per quel tipo di condotte che si ripercuotono contro gli animali. Queste condotte sono dunque fonte di un vero e proprio diritto al risarcimento del danno. Questo afferma unanimemente la Cassazione. Ovviamente per quei colleghi che saranno incaricati da qualche associazione animalista di costituirsi parte civile, ci sono dei suggerimenti da dare: per esempio, la

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giurisprudenza, soprattutto di merito, ma anche di legittimità, specifica che l’interesse statutario leso deve essere quello primario dell’associazione. Spesso ci sono delle previsioni statutarie molto generiche, per cui occorre dimostrare che quello leso dal reato è proprio l’interesse principale dell’associazione. In un caso, per esempio, mi è capitato di essere stato escluso come parte civile in un processo in cui ho chiesto di costituirmi per la Lav e si trattava di un processo per reati ambientali che poi si ripercuotevano anche sugli animali e sulla salute stessa degli uomini. Pur essendo la Lav riconosciuta anche come associazione di protezione ambientale con decreto del Ministero dell’Ambiente, ciononostante il Giudice del dibattimento ha disposto l’esclusione di questa associazione sul rilievo che non aveva come scopo principale la tutela di quell’interesse specifico che era leso dalle condotte che erano contestate in giudizio. Ci sono poi delle ulteriori indicazioni che sono state date dalla giurisprudenza di merito sulla necessità, per esempio, che vi sia un collegamento territoriale tra l’associazione che chiede di costituirsi parte civile ed il luogo in cui è avvenuto il fatto delittuoso. Visto che le associazioni lamentano un danno iure proprio, un danno subito dai propri associati per l’afflizione che quell’evento ha in loro provocato, occorre che ci sia un radicamento territoriale dell’associazione e quindi bisogna dimostrare la sussistenza di questo requisito e comunque di avere seguito la vicenda, di avere avuto un interessamento per quell’accadimento. Queste restrizioni servono anche a scremare il numero delle parti civili, specialmente in quei processi dove si riscontra una grande confluenza di richieste di ammissione in quanto si tratta di fatti molto eclatanti. Per esempio, noi abbiamo seguito qualche anno fa il caso del cane Angelo, il cane che fu purtroppo seviziato e impiccato da quattro ragazzi a Sangineto, e che filmarono le sevizie facendo girare il video su internet. Quella vicenda ha veramente scosso l’opinione pubblica, sia locale che nazionale ed è stato girato anche un film su questa triste storia che è stato patrocinato anche dalla Lega per la Difesa del Cane, che ha dato un importante contributo alla realizzazione del cortometraggio. In quel processo ci sono state almeno quindici parti civili che sono state ammesse, tra cui anche, meritoriamente, il Comune di Sangineto in persona del Sindaco, che ha ritenuto importante dare alla collettività questo segnale di civiltà. Vero è che il nostro codice di procedura penale prevede, per gli enti rappresentativi di interessi lesi dal reato, anche un altro modo per entrare nel processo, cioè l’atto di intervento previsto dagli artt. 91 e seguenti. Però in quel caso non si fa valere un vero e proprio diritto al risarcimento del danno. Inoltre, questo tipo di intervento può essere effettuato da un solo ente e previo consenso della persona offesa dal reato. Si tratta, quindi, di

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una forma di intervento nel giudizio molto diversa dalla costituzione di parte civile, che viene poco applicata anche perché, sulla scorta della giurisprudenza unanime della Cassazione, la possibilità di costituirsi parte civile in questi processi è, come detto, pacificamente ammessa. Ovviamente la Lega per la Difesa del Cane non si costituisce parte civile con la mera finalità di ottenere il risarcimento economico del danno, anzi, devo dire che l’attività di costituzione di parte civile nei processi è sostanzialmente in perdita dal punto di vista economico. Tranne in alcuni casi, in cui abbiamo potuto essere effettivamente risarciti, come ad esempio nel caso del processo nei confronti dei gestori dell’allevamento di beagle destinati alla sperimentazione Green Hill, in cui era stata citata come responsabile civile anche questa società, che era un’affiliata della Marshall, e c’è stata la possibilità di avere effettivamente un risarcimento del danno, spesso le sentenze di condanna rimangono solo sulla carta. Noi, però, abbiamo interesse a costituirci perché il nostro scopo è quello di far affermare dei principi, come quelli che sono stati affermati nei Tribunali spagnoli e di cui ha pocanzi parlato la relatrice che mi ha preceduto. Per esempio, c’è stato un caso, che ho seguito di fronte al Tribunale di Massa, di un ex cacciatore che aveva deciso di smettere di andare a caccia e, non avendo più bisogno del suo cane, aveva smesso di dargli da mangiare, lasciandolo quindi morire di stenti. I vicini di casa avevano iniziato a lanciare un po’ di cibo a questo povero animale che purtroppo è stato sottoposto a sequestro e affidato a noi quando era in condizioni irrecuperabili, per cui è morto poco dopo il nostro intervento. In quel processo veniva contestato all’autore di questa condotta il maltrattamento aggravato dall’evento morte. Invece è stata accolta in sentenza la nostra tesi secondo cui si era in presenza del reato di uccisione dolosa di animale tramite una condotta omissiva. L’intenzione del proprietario di quel cane, a nostro avviso, non era quella di maltrattarlo, ma proprio quella di farlo arrivare alla morte in questo modo così doloroso e nella sentenza il Giudice ha riqualificato il fatto sussumendolo nella previsione di cui all’art. 544 bis c.p. Dal punto di vista della quantificazione della pena cambia poco, perché tra maltrattamento aggravato dall’evento morte e uccisione di animale non vi è una grossa differenza, però come concetto è ben diverso avere maltrattato il cane che poi è morto dall’averlo voluto uccidere in quel modo così doloroso. Quindi a volte ci costituiamo anche per fare affermare questioni di principio per noi molto importanti. Del resto, alcune sentenze della Cassazione riconoscono alle associazioni proprio questo ruolo di stimolo. Il nostro lavoro non è quello di andare a ruota del Pubblico Ministero, anzi, spesso ci troviamo noi, come stavo dicendo anche prima, a fare opposizione ad alcune richieste di

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archiviazione che ci sembrano a volte veramente fuori dalla grazia di Dio, ottenendo poi l’imputazione coatta. Per esempio, a Trapani, la Presidente della LNDC Piera Rosati ha voluto che presenziassi personalmente ad un’udienza camerale fissata a seguito della nostra opposizione alla richiesta di archiviazione, perché il caso era per noi di estrema gravità: un signore un giorno era andato al mare, aveva legato il proprio cane a una corda con una pietra e lo aveva buttato in acqua; fortunatamente c’era una coppia di ragazzi che stava facendo il bagno, avevano visto il cane che stava annaspando dopo essersi liberato della corda, si erano tuffati e avevano tratto in salvo il cane, che poi è stato anche adottato. Sentito l’indagato, quest’ultimo aveva riferito che era andato a lavare il cane al mare verso gli scogli. Poi, dato che il cane si agitava parecchio, a un certo punto lo stesso si era attorcigliato alla corda la quale a sua volta era rimasta impigliata alla pietra caduta in acqua. Però, visto che l’indagato - a suo dire - sapeva che il suo cane se la sapeva cavare in tutte le situazioni, era tornato a casa convinto che poi anche il cane sarebbe tornato. Queste sono state davvero le dichiarazioni rese da quell’indagato, che il PM, nella sua richiesta di archiviazione, aveva affermato di ritenere credibili. Ovviamente abbiamo fatto opposizione alla richiesta di archiviazione e, poiché, a pena di inammissibilità, si devono indicare ulteriori elementi di investigazione, io, in modo anche un po’ sfrontato, ho chiesto una consulenza per verificare se una corda, da sola, si poteva legare intorno a una pietra e contestualmente legare anche intorno a un cane. Il GIP ha disposto direttamente l’imputazione coatta. Ma ho citato questo caso per dire che spesso ci troviamo a dover faticare per arrivare a ottenere dei risultati. A proposito delle richieste di archiviazione, la settimana prossima, per esempio, si terrà a Trento la prima udienza che segue a un’imputazione coatta nei confronti dell’ex Presidente della Provincia Autonoma di Trento Ugo Rossi che diede l’incarico di abbattere l’orsa KJ2, a nostro avviso, ed è sempre stata questa la nostra tesi, in assenza dei presupposti che legittimassero l’ordine di uccisione di quell’orsa; anche lì ci fu la richiesta di archiviazione e abbiamo convinto il GIP che non c’era alcuna necessità di abbattere l’animale, tanto che ha disposto, come detto, l’imputazione coatta. Spesso abbiamo anche la fortuna di collaborare con consulenti che apportano importanti contributi in sede processuale, per cui, quando arriviamo al processo, in vista della costituzione di parte civile, depositiamo le nostre liste di testimoni e di consulenti, perché sappiamo che sono spesso decisivi per la ricostruzione dei fatti. Spesso ci avvaliamo di consulenti veterinari. Esiste una disciplina che qualche decennio fa sarebbe stata proprio inimmaginabile, che è la Medicina Veterinaria Forense. A Grosseto c’è il Centro di Referenza

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Nazionale della Medicina Veterinaria Forense che è diretto dal Dottor Rosario Fico, che in alcuni casi ho nominato come mio consulente. Questo Centro è una specie di RIS come quello di Parma, però si occupa di crimini contro gli animali. Quando c’è bisogno di fare un accertamento tecnico, un’autopsia, loro dispongono di tutte le strumentazioni e spesso le loro indagini scientifiche sono davvero fondamentali. A proposito di indagini di tipo scientifico, stiamo seguendo il caso dell’uccisione in Abruzzo di un orso da parte di un agricoltore, che lamentava le continue depredazioni del suo pollaio da parte di questo animale. La sui tesi è stata quella che una sera si è trovato l’orso davanti e aveva il fucile in mano e preso da paura era indietreggiato, e cadendo aveva sparato due colpi che avevano colpito l’animale mortalmente. In primo grado l’imputato è stato assolto e anche in questo caso il Giudice ha ritenuto credibili le parole dell’imputato. In appello stiamo cercando di ottenere un ribaltamento della sentenza di primo grado, sulla base delle risultanze dell’autopsia e della perizia balistica, e dunque sulla base di accertamenti che, ripeto, sarebbero stati inimmaginabili anni fa. In base a queste le risultanze, che sono state oggetto di approfondimento in appello mediante la rinnovazione dell’esame del nostro consulente balistico, abbiamo acclarato che l’orso era stato colpito di schiena e che la distanza tra chi ha sparato e l’orso era di circa 20 metri, non tale da poter da credito, a nostro avviso, alla tesi difensiva secondo cui l’orso si era parato davanti all’imputato. Anche in questo processo, dunque, stiamo cercando di supportare l’attività del Pubblico Ministero, nell’ottica di ottenere una sempre maggiore tutela degli animali. Poi c’è un’altra importante attività che svolge la LNDC, ed è quella di prendere in custodia giudiziaria gli animali sottoposti a sequestro. Qui si apre un altro capitolo gigantesco dell’attività che svolgiamo, perché a volte penso che sia più agevole gestire la custodia di un carico di materiale radioattivo che di animali vivi, specialmente quando si tratta di numeri importanti. Il Corpo Forestale, ora confluito nell’Arma dei Carabinieri, ha stimato che negli ultimi 20 anni sono stati sottoposti a sequestro 30 mila animali tra quelli selvatici, quelli esotici e quelli familiari. Solo nel caso di Green Hill sono stati sottoposti a sequestro oltre 2600 beagle in un colpo solo. Se non ci fossero state tutte le associazioni a collaborare in quell’occasione sarebbe stato impossibile gestire le attività di custodia degli animali. In quella circostanza si era fatto ricorso alla subdelega delle attività di custodia e poi alla vendita degli animali agli affidatari finali, sulla base della loro equiparazione ai beni deperibili. Quello è stato, probabilmente, l’unico caso in cui le associazioni protezioniste hanno tollerato l’equiparazione degli animali alle cose. Nel progetto di legge

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Perilli si introduce, a tal proposito, l’istituto che, più correttamente, viene definito come “affidamento definitivo” e siamo d’accordo con questa previsione contenuto nel predetto progetto di legge. Tante volte i sequestri di animali creano dei problemi applicativi importanti, innanzi tutto perché spesso non si trovano strutture dove collocare gli animali, specialmente se si tratta ci animali esotici. A Chieti, per esempio, abbiamo ottenuto il sequestro degli animali di un’attività circense, il cui proprietario è poi stato condannato in via definitiva per detenzione di animali con modalità non compatibili con le loro caratteristiche etologiche. Tra gli animali sequestrati vi erano due alligatori e ricordo che il Pubblico Ministero mi confidò di avere avuto enormi difficoltà per la loro collocazione. Non c’era un bioparco in tutta Italia dove si potevano tenere questi alligatori, che avevano, tra l’altro, le zampe atrofizzate e dovevano essere sottoposti a degli interventi delicati; è stato trovato un centro di recupero in Francia, e questo ha comportato la necessità di tradurre ufficialmente tutta la documentazione. Poi, per ogni attività che bisognava fare in relazione a questi animali, bisognava chiedere l’autorizzazione al PM perché erano sotto sequestro ed ogni richiesta e la relativa autorizzazione dovevano sempre essere tradotte ufficialmente. In ogni caso, quando hai in custodia un animale sottoposto a sequestro, non ti puoi prendere alcun tipo di libertà. Se l’animale deve essere sottoposto ad un intervento di qualsiasi tipo che incide sulla sua integrità, questo deve essere autorizzato dal PM. Poi c’è il capitolo relativo alle spese di custodia. A Trani qualche anno fa è stato sequestrato un canile dove gli animali venivano tenuti in modo terribile. Nel canile c’erano circa 500 cani, che sono stati quasi tutti dati in custodia alla Lega per la Difesa del Cane. Gestire un sequestro di 500 cani che devono essere tutti i giorni alimentati e curati è davvero difficile, soprattutto se si tratta, come succede in questi casi, di animali diventati problematici per il modo in cui sono stati tenuti. Noi siamo riusciti, anche grazie alla nostra rete capillare di sedi e di attivisti, a trovare una collocazione per quasi tutti questi cani, ma abbiamo maturato spese vive per la loro gestione superiori a 300 mila euro, di cui una parte sono state rimborsate dai Comuni, che erano proprietari della maggior parte degli animali. Ma poi c’era una parte di quei cani che non erano microchippati e dunque non erano formalmente intestati a nessuno. Tra l’altro, nel capo d’imputazione, i gestori di questo canile sono imputati anche di truffa ai danni dei Comuni perché avrebbero, uso il condizionale non essendoci ancora una sentenza di primo grado, trasferito il microchip di cani deceduti su cani non microchippati. In definitiva, c’era un importante numero di cani non di competenza delle amministrazioni, le quali non hanno dunque pagato per le spese di custodia per quegli animali, e ci siamo permessi di

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chiedere il rimborso delle spese alla Procura, perché era stata quest’ultima a darci l’incarico di custodirli. Stiamo ancora aspettando, dopo diversi anni, un rimborso di oltre centomila euro. Non ci sono peraltro tabelle, non ci sono tariffe per le spese di custodia degli animali. Ci sono stati persino dei provvedimenti stravaganti di alcuni Magistrati: in un caso un Magistrato ha liquidato le spese di custodia tenendo come riferimento le tabelle per la custodia degli automezzi basata sul loro ingombro. Succede anche questo! Di provvedimenti non condivisibili in questa materia ce ne sono, purtroppo, davvero tanti. Ultimamente è successo a Brindisi che hanno sequestrato dei maiali che erano tenuti in modo indecoroso da un allevatore che poi li macellava abusivamente. E’ stato aperto un procedimento, in cui viene contestato all’allevatore, tra i vari reati, anche quello di cui al secondo comma dell’art. 727 c.p., cioè la detenzione di animali con modalità non compatibili con le loro caratteristiche etologiche. La ASL ha evidenziato la pericolosità di questi animali per la salute umana, non essendo stati allevati seguendo le corrette procedure e ne ha richiesto la “termodistruzione”. Il Pubblico Ministero ha conseguentemente disposto la “distruzione delle cose in sequestro”. Abbiamo fatto una richiesta in via urgentissima chiedendo di poterli prendere noi in affidamento questi ventuno maiali, essendo noi collegati a centri di recupero di animali salvati dalla macellazione (cosiddetti “santuari”) e nella richiesta ho evidenziato la contraddizione in cui si stava incorrendo, perché nello stesso procedimento in cui si perseguiva l’autore di una condotta di maltrattamento o comunque di mancato rispetto delle esigenze etologiche di quei maiali, questi ultimi finivano con l’essere destinatari, da parte della stessa magistratura, di un ordine di “distruzione”. Questa è la dizione normativa, anche se si tratta di animali, e la cosa ci è sembrata inaccettabile. Queste sono le battaglie che portiamo avanti ogni giorno. La cosa bella del lavoro che mi trovo a svolgere è che spesso mi imbatto in vuoti normativi, che poi vengono colmati dalle sentenze che otteniamo e che a volte vengono prese come riferimento anche per delle riforme di tipo normativo. Questo rende il mio lavoro davvero molto stimolante. Si ha la sensazione non solo di cercare di fare qualche cosa di buono, ma anche di contribuire a creare una nuova giurisprudenza e questo, per chi svolge il lavoro di Avvocato, è davvero una cosa molto gratificante. Grazie. AVV. MONICA GAZZOLA Grazie al collega Pezone per questa sua relazione che è anche una testimonianza di quello che è lo stato attuale della giurisprudenza nazionale e una prospettazione di quello che si può fare di più a livello nazionale.

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Sono particolarmente felice adesso di dare la parola alla Prof.ssa Sara De Vido, associata di Diritto Internazionale a Ca’ Foscari e Vicedirettrice del Centro Studi per i Diritti dell’Uomo. Con Sara De Vido abbiamo lavorato assieme in questa materia, per questo sono particolarmente felice di darle la parola: il Prof. Zagato aveva accennato a quel convegno che abbiamo fatto quattro anni fa su tortura e animali, aveva partecipato anche la Prof.ssa De Vido e anche lei ha collaborato con un suo scritto alla pubblicazione del volume “Per gli animali è sempre Treblinka”. La Prof.ssa Sara De Vido, in virtù del suo ambito di studi di ricerca e di insegnamento, ci darà un affresco dello stato attuale della legislazione internazionale dell’Unione Europea. PROF.SSA SARA DE VIDO – La tutela degli animali nel diritto internazionale e nell’Unione Europea Grazie. Ringrazio moltissimo l’Avvocato Monica Gazzola per avermi

invitato a questo tavolo, ringrazio voi tutti, i Relatori e le Relatrici che mi

hanno preceduto, perché mi hanno dato degli spunti molto interessanti.

Sono una giurista internazionalista e lavoro nel campo del Diritto

internazionale e del Diritto dell’Unione Europea, quindi il mio approccio,

che è meno pratico, più accademico, vi porterà a riflettere sull’esigenza di

un cambio di paradigma negli studi sulla tutela degli animali non umani a

mio avviso necessario. Parlerò infatti di animal welfare, di benessere

animale, ma non nel senso tradizionale del termine (che considera

“benessere” il trattamento di animali non umani destinati al macello), bensì

alla luce di un approccio nuovo rivolto al riconoscimento dei diritti degli

animali non-umani, collocando il mio discorso nel contesto dei diritti della

natura.

Aggiungo soltanto alla ricostruzione che ha fatto l’Avvocata Gazzola prima

con riferimento agli studiosi che hanno parlato di diritti di animali non

umani invocando un internazionalista, Jeremy Bentham, che nel 1789 in

una nota del suo Introduction to the Principles of Morals and Legislation

scrive:

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Verrà il giorno in cui il resto degli esseri animali - il resto degli esseri

animali, notare anche la raffinatezza della scelta linguistica, - potrà

acquisire quei diritti che non gli sono mai stati negati se non dalla

mano della tirannia. I francesi hanno già scoperto che il colore nero

della pelle non è un motivo per cui un essere umano debba essere

abbandonato senza riparazione ai capricci di un torturatore. Si potrà

un giorno giungere a riconoscere che il numero delle gambe, la

villosità della pelle, o la terminazione dell'osso sacro sono motivi

egualmente insufficienti per abbandonare un essere sensibile allo

stesso fato. Che altro dovrebbe tracciare la linea invalicabile? La

facoltà di ragionare o forse quella del linguaggio? Ma un cavallo o

un cane adulti sono senza paragone animali più razionali, e più

comunicativi, di un bambino di un giorno, o di una settimana, o

persino di un mese. Ma anche ammesso che fosse altrimenti, cosa

importerebbe? La domanda non è Possono ragionare?, né Possono

parlare?, ma: Possono soffrire?

Quindi Bentham usa un linguaggio dei diritti, benché la sua concezione del

diritto fosse in realtà ben più complessa. Il dato rilevante è tuttavia il

principio di uguaglianza sul piano interspecistico.

Quasi un secolo dopo, nel 1892, Henry Salt nei suoi Diritti animali

considerati in relazione al progresso sociale segna il passaggio dalla teoria

dei doveri a quella dei diritti, benché considerasse gli animali inferiori. Egli

scrive infatti: Have the lower animals rights? Undoubtely, if men have e

ribadiva quindi che la non sofferenza degli animali diventava un loro diritto

e non un dovere degli esseri umani nei loro confronti.

In tema di soggettività giuridica degli animali non umani rileva anche il

contributo di Cesare Goretti, autore nel 1928 di un saggio dal titolo

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L’animale quale soggetto di diritto. Egli rifiuta una concezione

antropomorfica della vita animale. L’animale è visto come un vero e

proprio soggetto titolare di diritti pubblici soggettivi, non originari, così

come per gli umani, riflesso di un ordinamento giuridico al quale in

qualche modo partecipano.

È già stato citato Peter Singer nel suo Animal liberation, 1975, e Monica,

se ricordi, avevamo intervistato questo autore via Skype in un convegno a

Treviso – molto interessante e anche innovativo nella modalità, virtuale.

Tom Regan, già nominato, nel 1983 pubblica The case for animal rights:

Non esiste una ragione singola per attribuire la coscienza o una vita

mentale a certi animali. Esiste un insieme di ragioni che, se

considerate complessivamente, costituiscono quello che si potrebbe

chiamare argomento cumulativo a sostegno della coscienza animale.

Regan individua le caratteristiche della soggettività in elementi come la

percezione, la memoria, il desiderio, la credenza, l’autocoscienza,

l’intenzione, il senso futuro, la capacità di provare emozioni ed essere

dotati di una forma di sensibilità e ammette nel club della soggettività

umani e non umani. Diritti-doveri: obbligo per gli umani di non permettere

che i loro diritti vengano violati per cause frivole o triviali.

È già stata altresì citata la Dichiarazione Universale dei Diritti degli

Animali del 1978, uno strumento di soft law, interessante in quanto era

stato proposto all’Unesco da parte dei rappresentanti di alcune associazioni

animaliste. Tale dichiarazione era frutto di un’iniziativa privata e si

avvertiva in essa un tentativo di cambiamento dell’approccio di cui

discuteremo a breve.

Molto recentemente, lo Special Rapporteur delle Nazioni Unite sul diritto a

un ambiente salubre, David Boyd, ha scritto un libro ricco di spunti, The

rights of the nature, quindi proprio i diritti della natura, in cui vi sono due

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capitoli dedicati agli animali non umani di particolare rilievo. Lui stesso

afferma: “Dagli elefanti, ai cetacei, alle formiche, ai pesci, gli animali

chiaramente sentono, pensano e ragionano, sono esseri senzienti, non

macchine. Non potremo mai capire”, sostiene Boyd, “la complessità delle

altre specie, possiamo studiarne il DNA, fare esperimenti complessi, ma

conoscerli completamente è impossibile”, e rileva, e questo si ricollega

anche alle relazioni che mi hanno preceduto, l’evoluzione della legislazione

e della giurisprudenza, soprattutto, va detto, a livello nazionale più che

internazionale. Sulla giurisprudenza recente vi parlerò dell’approccio

piuttosto tradizionale adottato dalla Corte internazionale di giustizia nella

sentenza del caso Caccia alle balene nell’Antartico (Australia v. Japan).

Il punto su cui volevo riflettere con il pubblico oggi parte dal concetto di

benessere animale come concetto scientifico per andare poi ad esplorare un

terreno poco conosciuto, quello dei diritti degli animali non-umani.

Il benessere animale disciplina la vita e la morte di animali non umani che

sono tenuti, commerciati e uccisi dagli esseri umani, ed è basato

sull’assunzione che gli umani hanno moralmente titolo a comportarsi in un

certo modo. Il benessere animale è stato identificato in tre dimensioni: la

salute dell’animale, il suo stato effettivo, il suo vivere naturale, e uno

scienziato, Gardner, disse: “Gli animali non devono soffrire ma non hanno

diritti”. Argomenterò che questo paradigma in realtà è insufficiente.

La FAO ha riconosciuto che vi siano prove per ritenere esista un crescente

consenso sull’importanza degli standard di benessere animale e

l’Organizzazione Mondiale del Commercio ha definito il benessere animale

come una questione globalmente riconosciuta.

Nel diritto internazionale, vi sono strumenti per la protezione delle specie a

rischio di estinzione, per la protezione degli habitat, per la diversità

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biologica. Si dice poco sul benessere degli animali, figuriamoci sui loro

diritti. Generalmente si trovano diverse norme a seconda del fatto, e anche

questo è stato sottolineato molto bene prima, che gli animali siano animali

da fattoria, selvatici o animali usati per gli esperimenti, e le norme a

disposizione sul piano internazionale sono disperse e frammentarie. Così, è

già stata citata la Convenzione sul Commercio Internazionale di specie

animali e vegetali in via di estinzione, la CITES, 1973, ampiamente

ratificata dagli Stati, che certamente nel preambolo riconosce il valore della

flora e della fauna come insostituibili nei sistemi naturali e il crescente

valore sotto vari punti di vista, ma che ciononostante, - ed ecco l’approccio

antropocentrico emergere in tutta la sua forza – riconosce che gli uomini e

gli Stati sono coloro che meglio possono proteggere la fauna e la flora.

A questa si aggiunge la Convenzione sulla Conservazione delle Specie

Migratorie di Animali Selvatici del 1979: si riconosce che gli Stati devono

essere i protettori di queste specie di animali selvatici e proprio in questi

giorni, proprio ora in realtà, è in corso la conferenza degli Stati parte di

questa Convenzione in India, dove si rifletterà anche sull’aggiornamento

degli allegati alla medesima convenzione.

E ancora, del 1982 è la Convenzione sulla Conservazione della Vita

Selvatica e dell’Ambiente Naturale in Europa. Va poi citato il protocollo

sulla protezione ambientale al trattato sull’Antartico del 1991 che richiede

che la cattura degli animali sia compiuta – cito – “in modo che comporti la

minore sofferenza possibile”.

Si arriva poi alla World Charter for Nature del 1982 e nel 1992 la

Conferenza di Rio che sviluppa il diritto ambientale sul piano

internazionale.

Sul benessere animale, più che convenzioni internazionali si trovano atti di

organizzazioni o conferenze di Stati parte. Così, per esempio, lo standing

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committee della Convenzione di Berna che citavo prima sulla

conservazione della vita selvatica ha raccomandato che i metodi per

sradicare le specie aliene debbano essere selettivi, etici e senza crudeltà per

quanto ciò possibile, compatibilmente con l’obiettivo di eliminare in modo

permanente le specie invasive. La Commissione baleniera, istituita dalla

Convenzione del 1946 che disciplina (non vieta!) la caccia alle balene,

pone la questione della moratoria della caccia alle balene a scopi

commerciali.

I Paesi europei hanno adottato delle norme che regolano il trattamento degli

animali, il trasporto, l’uccisione, la tutela degli animali da compagnia. Nel

quadro del Consiglio d’Europa è in vigore una convenzione per la

protezione degli animali durante il trasporto internazionale, del 1968, e una

Convenzione per la protezione degli animali per scopi di allevamento del

1976. A livello UE, la normativa sul benessere animale è ampia: va dalle

norme minime per la protezione dei polli allevati per la produzione di

carne al divieto delle orribili casse di gestazione, al divieto di antibiotici

tranne per trattare gli animali da malattie. Mancano indubbiamente degli

strumenti uniformi.

Negli anni Novanta a San Francisco, negli Stati Uniti, è stata proibita la

vendita di cani e la loro uccisione pubblica a China Town. L’Unione

Europea ha bandito completamente nel 2013 l’animal testing per i

cosmetici. E protegge le foche. È stato infatti adottato un regolamento (poi

modificato alla luce del ricorso di cui si dirà) sul divieto di commercio di

prodotti derivanti dalla foca, che è costato moltissimo all’Unione Europea,

in quanto è scattato un ricorso complesso davanti all’Organizzazione

Mondiale del Commercio – Canada, affiancato anche dalla Norvegia,

contro l’Unione Europea (iniziato nel 2009, conclusosi nel 2014). Nel

rapporto adottato dal panel dell’OMC si parla di metodi inumani di

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uccisione delle foche. Inoltre, l’Unione Europea ha elaborato una

normativa sulla tutela della biodiversità tra le più avanzate al mondo, con

l’istituzione del Network Natura 2000, che protegge le specie e i loro

habitat.

Nel Trattato di Lisbona il già citato art. 13 del Trattato sul funzionamento

dell’Unione Europea contiene un riferimento al benessere animale:

‘l’Unione e gli Stati membri tengono pienamente conto delle esigenze in

materia di benessere degli animali in quanto esseri senzienti.’ Va letta

attentamente però la seconda parte del medesimo articolo: ‘rispettando nel

contempo le disposizioni legislative o amministrative e le consuetudini

degli Stati membri per quanto riguarda in particolare i riti religiosi, le

tradizioni culturali e il patrimonio regionale.’ Questo testo è stato

concordato su pressione spagnola; non a caso una legge spagnola del 2013

ha poi considerato la tauromachia quale patrimonio culturale. Va posta

dunque particolare attenzione a quella che potrebbe apparire quale una

sorta di missione civilizzatrice: c’è il rischio cioè che la protezione degli

animali sia utilizzata per colpire minoranze etniche o religiose, quando

miliardi di maiali – che come minimo, ma dico come minimo, hanno la

stessa capacità di sentire il dolore degli esseri umani – vengono uccisi ogni

anno per l’industria alimentare occidentale.

Boyd, lo Special Rapporteur delle Nazioni Unite per l’ambiente già citato,

lavora sull’ambiente, ma in realtà è molto aperto alla questione dei diritti

degli animali non umani; afferma infatti un aspetto chiarissimo: “Le norme

sulla crudeltà animale ancora escludono comportamenti comuni ma

violenti, le prassi industriali sono considerate generalmente accettate; solo

in casi estremi di violenza, crudeltà ed abbandono sono portati

all’attenzione della legge. Se un’attività umana è divertente (circhi),

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conveniente (vedi fast food), generatrice di profitto, allora il danno agli

animali è considerato giustificato e legittimo”.

Certamente è importantissimo il dibattito sul benessere animale, perché ha

portato i consumatori anche nei Paesi industrializzati ad aspettarsi dal

legislatore di prendere sul serio questo aspetto, benché, come è già stato

detto molto bene prima dall’Avvocata, spesso per scopi antropocentrici,

cioè per la qualità della carne, non tanto per la protezione degli animali non

umani. Va tuttavia riconosciuto che la pressione politica in seno all’Unione

Europea è abbastanza forte, sono stati banditi gli esperimenti sugli animali

e anche il regime di divieto dei prodotti derivanti dalla foca deriva da

questa pressione dal basso.

Vi vorrei citare, tra conservazione, preservazione e benessere animale, il

caso delle balene della Corte Internazionale di Giustizia, caso Australia

contro Giappone del 2014, che riguardava la Convenzione del 1946 sulla

regolamentazione della caccia alle balene. La caccia non è vietata da questa

convenzione, è semplicemente regolamentata. Tuttavia, esiste una

moratoria sulla caccia alle balene per scopi commerciali, elaborata grazie al

lavoro della commissione baleniera; caccia che persiste entro determinati

limiti per scopi di ricerca scientifica. Ebbene, nel 2010, l’Australia, dopo

anni di tentativi diplomatici, avviava un procedimento davanti alla Corte

dell’Aja lamentando la violazione da parte del Giappone che, come

sappiamo, è uno Stato che promuove moltissimo la caccia alle balene, della

Convenzione del ‘46 con riferimento all’autorizzazione e all’attuazione di

un programma, Jarpa II, che non era altro che un programma per la caccia

alle balene a scopo (dichiarato) di ricerca scientifica. Questo programma,

secondo l’Australia, non poteva considerarsi a scopo di ricerca scientifica,

perché si era scoperto che in realtà il numero di animali cacciati era

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talmente alto da non potersi giustificare quale ricerca scientifica. Nel corso

del procedimento era intervenuta anche la Nuova Zelanda a sostegno

dell’Australia ricordando che non era possibile utilizzare le norme della

Convenzione a scopo di ricerca scientifica per circuire l’oggetto e lo scopo

del trattato del 1946. La Corte aveva affermato che in effetti il programma

di ricerca scientifica poteva ritenersi “a scopo di ricerca scientifica,”

tuttavia il Giappone non aveva dimostrato la proporzionalità di questo

programma e l’assenza di alternative non letali.

Nella sua posizione concorrente, il Giudice Cançado Trindade, uno dei più

avanzati nel ragionamento giuridico, forse anche un po’ creativo, richiama

l’evocativo preambolo della Convenzione del 1946: “Gli interessi delle

Nazioni al mondo nella salvaguardia per le future generazioni delle grandi

risorse naturali che sono rappresentate dalle balene”. Il Giudice ha

sottolineato che vi era stato un passaggio da una situazione di

unilateralismo, di azione di un singolo Stato, al multilateralismo e quindi

alla cooperazione, nella conservazione delle risorse marine e dunque anche

degli stock di balene. E Cançado fonda il suo ragionamento su due nozioni:

l’equità intergenerazionale e il principio di precauzione, quest’ultimo

invocato dall’Australia e anche dalla Nuova Zelanda. Non menzionato poi

nella sentenza da parte della Corte Internazionale di Giustizia, il principio

di precauzione mette in luce che l’interesse alla protezione delle balene è

diventato un interesse comune di tutta la comunità internazionale.

Recentissima, invece, spostandoci al piano regionale, nell’ambito della

tutela della biodiversità, è la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione

Europea sui lupi in Finlandia del 10 ottobre del 2019. Questa applica il

principio di precauzione per la prima volta con riguardo alla tutela degli

animali non umani; il giudice del rinvio – si trattava infatti di un rinvio

pregiudiziale – chiede alla Corte di giustizia dell’Unione europea se sia

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legittimo autorizzare l’uccisione di alcuni esemplari di specie protette per

la lotta al bracconaggio. La Direttiva Habitat del 1992 prevede delle

eccezioni e delle deroghe, pur riconoscendo il patrimonio naturale

costituito dagli habitat e dalle specie. L’Agenzia finlandese per la caccia

aveva sostenuto che la caccia di gestione fosse idonea a ridurre il

bracconaggio, il che veniva contestato da un’associazione non governativa,

Tapiola, e dalla Commissione Europea. Il Giudice del rinvio aveva spiegato

che nessuna prova scientifica consentiva di giungere alla conclusione che la

caccia legale di una specie protetta facesse diminuire il bracconaggio in una

misura tale da produrre globalmente un effetto positivo sullo stato di

conservazione del lupo. La Corte conferma questa argomentazione

affermando che “la mera esistenza di un’attività illecita quale il

bracconaggio o le difficoltà incontrate nell’effettuare il controllo su

quest’ultima non possono essere sufficienti per dispensare uno Stato

membro dal suo obbligo di garantire la tutela delle specie protette ai sensi

di un allegato della Direttiva Habitat. Anzi – dice la Corte – lo Stato è

tenuto a privilegiare il controllo rigoroso ed efficace su tale attività illecita

e l’applicazione di mezzi che non comportino l’inosservanza dei divieti

sanciti. Le deroghe quindi a questa direttiva che protegge le specie elencate

negli allegati sono ammesse ma vanno interpretato in modo restrittivo”.

Qui in una breve frase è racchiusa l’applicazione del principio di

precauzione in questo contesto; dice infatti la Corte:

conformemente al principio di precauzione sancito dall’art. 192

paragrafo 2 del TFUE, se l’esame dei migliori dati scientifici

disponibili lascia sussistere un’incertezza quanto al fatto che una

siffatta deroga pregiudichi o meno il mantenimento o ripristino delle

popolazioni di una specie minacciata di estinzione in uno stato di

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conservazione soddisfacente, lo Stato membro deve astenersi

dall’adottarla o dall’attuarla.

Il terzo caso – meglio, situazione, visto che non citerò alcuna sentenza –

concerne il bracconaggio degli elefanti. Nell’Africa Orientale, si è

registrato il declino del 50% della popolazione animale dal 2007, causata

da una perdita molto ampia degli elefanti in Tanzania soprattutto e poi in

Sudafrica. L’analisi delle norme a tutela degli elefanti va dalla

Convenzione Unesco sul patrimonio dell’umanità, che protegge le specie in

via di estinzione nei loro siti; la CITES che è già stata ampiamente citata

oggi con l’inclusione degli elefanti africani nell’appendice 1, tranne le

popolazioni di Botswana, Namibia, Sudafrica, Zimbabwe collocati

nell’appendice 2; poi la Convenzione sulla conservazione delle specie

migratorie: in questi giorni in India, come dicevo, si sta discutendo

l’aggiornamento degli allegati, con la proposta di inserimento degli elefanti

asiatici nell’allegato 1, cioè tra le specie veramente a rischio di estinzione.

Infine, naturalmente, la protezione che deriva più in generale dalla

Convenzione sulla diversità biologica del 1992.

Ecco dunque la necessità di cambiare completamente paradigma. Ce lo dice

un’altra studiosa, Anne Peters, in un articolo intitolato “Liberté, egalité,

animalité”, che inizia ricordando un episodio del 1879 e del 1935 allo zoo

di Basilea, in Svizzera, quando vennero messi in mostra degli esseri umani

non europei con abiti tradizionali; gli organizzatori di allora si assicurarono

che questi individui non parlassero una lingua europea, la de-

umanizzazione, i primitivi erano relegati a livello di animali non umani.

Allora qual è il confine tra homo e animale? Alla luce di tutte le scienze,

incluse quelle umane, è stato contingente, variabile, molto labile. Le

conoscenze scientifiche oggi ci permettono di dire che ad esempio i

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pipistrelli utilizzano l’eco-localizzazione, che i delfini, le balene, i primati,

gli elefanti sono estremamente intelligenti. Dave Peterson ha scritto che “i

delfini hanno una memoria eccezionale e alti livelli di socialità e

autoconsapevolezza, eccellenti nel mimare il comportamento di altri e

rispondere a delle presentazioni simboliche, formano sistemi sociali

complessi”. Ecco allora che gli studi scientifici sulle abilità degli altri

animali e la dimostrazione del continuum tra i nostri geni e i loro creano

l’obbligo di giustificare qualsivoglia costruzione, sia essa di unicità umana

ovvero di animalità umana, altrimenti se non vi sono giustificazioni per

attribuire solo agli animali umani certi diritti, siano essi morali o di matrice

giuridica, allora la distinzione si rivela mero specismo.

Il dislivello quindi è evidente nel fatto che la violenza permessa o

condonata dalla legge è costitutiva di due dei principali usi che sono fatti

nella società attuale: la produzione di cibo e l’animal testing. L’ultimo

solleva enormi critiche anche se in termini di numeri è irrilevante rispetto

all’industria alimentare.

Per giungere a una riflessione seria sui diritti degli animali non umani

dovremmo prima svolgere un parallelo con altri discorsi giuridici, quali il

razzismo, lo specismo e il sessismo. Bentham nel 1789 lo aveva detto

facendo un parallelo con la missione colonizzatrice europea dell’epoca.

Catherine MacKinnon, nota femminista radicale, scrisse che le donne sono

state animalizzate e gli animali femminilizzati spesso allo stesso modo.

Aveva assolutamente ragione. Pensate solo a questo episodio: nel 1792

Mary Wollstonecraft pubblicò un pamphlet dal titolo “La rivincita dei

diritti delle donne”, cui un autore inglese rispose in un altro pamphlet

intitolato “La rivendicazione dei diritti dei bruti” per dimostrare l’assurdità

delle richieste delle donne e disse: “Se uno comincia su questo sentiero,

prima o poi si riconosceranno anche i diritti agli animali”. Eccola,

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l’esclusione dell’altro e l’uso di immagini animali non umani per denigrare

e disumanizzare il diverso.

Allora perché passare dall’obbligo di non trattare male gli animali al diritto

degli animali? I diritti si fondano su degli interessi ed è piuttosto intuitivo

dire che gli animali senzienti hanno interessi, quantomeno di non soffrire.

Quindi il diritto degli animali non umani a non soffrire. La domanda che ci

potremmo porre è: cosa cambia se comunque un pollo o un gatto non

possono presentare le proprie istanze davanti ad un giudice?

Ci sono per la verità dei casi medievali incredibili. Uno studio del 1906

dimostrò che “the frequency with which pigs were brought to trial and

adjudged to death, was owing, in a great measure, to the freedom with

which they were permitted to run about the streets and to their immense

number” e, citando un caso francese, riportò che “Another more mild-

mannered (though no less impious) pig was hanged in France in 1394 “for

having sacrilegiously eaten a consecrated wafer.” In tempi recenti ci sono

stati dei tentativi di iniziare procedimenti sui diritti degli animali non umani

davanti a corti domestiche e persino davanti alla Corte Europea dei Diritti

Umani Fondamentali, che nel 2008 ha respinto un ricorso ratione materiae

con riferimento a delle scimmie di cui i ricorrenti invocavano la libertà dal

confinamento negli zoo.

Vari tentativi di portare le istanze di animali non umani davanti alle corti

possono essere citati, mi limiterò a due di questi:

1.Steven Wise, fondatore di Non-Human Rights Project, ha cercato di far

riconoscere in giudizio i diritti degli scimpanzé. Nel dicembre 2013, ha

tentato il riconoscimento dell’habeas corpus per Tommy, uno scimpanzé

che era di “proprietà” di un privato e che viveva in una gabbia di metallo.

L’avvocato ha argomentato che questo e altri due scimpanzé che erano

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usati per esperimenti all’università avevano diritti e che dovevano essere

trasferiti in un rifugio in Florida dal titolo Save the chimps. La personalità

giuridica è stata negata a Tommy dalla New York Supreme Court. Nel caso

degli altri due scimpanzé, Hercules e Leo, la giudice si disse vincolata dal

precedente, quello di Tommy, ma ha argomentato nel senso che estendere i

diritti agli scimpanzé era legittimo. “Un giorno potrebbero farcela – ha

detto invocando i diritti così difficilmente conquistati degli schiavi afro-

americani e delle donne. Nonostante l’esito dei ricorsi, le pressioni

pubbliche sono state tali che tutti gli scimpanzé sono stati trasferiti al

santuario.

2.Il caso delle orche di Sea World a San Diego. PETA, la nota associazione

ambientalista, ha presentato un ricorso per violazione del divieto di

schiavitù, che è stato respinto dal giudice Miller della US District court for

Southern California. Ha argomentato come segue: The only possible

interpretation of the 13. Amendments is that it is applicable to persons, not

to non-persons such as orcas.

Possono essere citati anche casi in India davanti alla Corte Suprema, che ha

applicato l’art. 21 della Costituzione indiana, affermando che

l’addomesticare i tori con il maltrattamento è contrario al diritto

costituzionale di vivere un’atmosfera salutare e pulita, di non essere

picchiato, calciato, torturato e ricoperto di alcol.

Quali sarebbero dunque i benefici di considerare dei diritti animali?

Secondo Anne Peters, la questione non è tanto quella del se gli animali non

umani meritino diritti, quanto piuttosto del considerare cosa possa

significare dire che un allevatore europeo ha l’obbligo di tenere delle

gabbie per polli di 740 centimetri quadrati come minimo per pollo o che un

pollo ha diritto o è titolare di una certa gabbia avente determinate misure.

L’aspetto pratico della concessione dei diritti è la loro giustiziabilità.

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Alcuni potrebbero argomentare – ne sono certa – che ciò è assolutamente

superfluo; tuttavia la giustiziabilità non significa necessariamente sedere al

banco davanti ai Giudici. Andrebbe distinto dunque l’avere il diritto dalla

questione del come e in quale sede, in quale foro, farlo valere; ciò ha

sicuramente un effetto di empowering, nel senso che la posizione fisica

degli animali non umani (contro l’essere uccisi ad esempio) è rafforzata; e

che l’idea dei loro diritti può essere utilizzata per combattere a loro nome.

Si otterrebbe dunque maggiore protezione dal riconoscimento di diritti. La

differenza nell’avere un diritto consiste anche nel sapere che le restrizioni a

questo diritto devono essere giustificate e devono essere proporzionali. Se

si riconosce, dice Anne Peters, un diritto dei polli alla libertà di movimento,

questo significa che i centimetri del loro spazio vitale non sono definiti e

che a seconda della situazione, l’obbligo di rispettare questo diritto può

cambiare. Per queste ragioni, poiché avere diritti implica un obbligo di

giustificare la loro limitazione, poiché il peso cambia in un bilanciamento

di interessi, vista l’indeterminatezza degli obblighi che discendono da

diritti, i diritti offrono una protezione maggiore che la semplice

affermazione di obblighi concreti e selettivi da affidare agli animali nel

quadro dell’animal welfare non può garantire.

Negli anni Novanta uno studioso statunitense di diritto internazionale,

Anthony D’Amato, aveva ricostruito un diritto emergente alla vita dei

cetacei analizzando la prassi internazionale in materia di regolamentazione

della caccia alle balene. Egli era convinto che se la moratoria alla caccia

alle balene per scopi commerciali fosse diventata permanente, questa

avrebbe determinato l’affermazione di un diritto alla vita delle balene.

Ecco allora che quella che David Boyd chiama “rivoluzione giuridica” non

può prescindere da osservazioni che riguardano i diritti della natura, perché

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vi è un’interdipendenza inevitabile tra le specie animali e le specie con

l’ambiente, e anche se volessimo essere egoisti e puramente antropocentrici

potremmo dire che il nostro diritto a un ambiente sano dipende

indissolubilmente dai diritti della natura e degli animali non umani.

Secondo Boyd, la rivoluzione giuridica che lui propone si fonda su tre

elementi: ridurre la sofferenza degli animali senzienti, fermare l’estinzione

causata dall’uomo, proteggere i sistemi di supporto della vita del pianeta.

Per fare si avverte la necessità di nuovi diritti e responsabilità. Ci sono

prove che nel mondo leggi e corti riconoscono e proteggono i diritti di altri

membri della comunità umana e non umana; vi sono leggi che proteggono

gli ominidi, i cetacei, ci sono ricorsi per proteggere i diritti degli animali

non umani e c’è un principio, quello di precauzione, che se meglio

utilizzato dalle Corti – perché molte volte viene relegato a un principio che

è nulla, praticamente – dicevo, invece di essere il vago principio di diritto

internazionale che va bene in ogni situazione, la precauzione ha il

potenziale di proteggere gli animali non umani. Basti solo pensare che nel

2010 l’Unione Europea ha posto dei limiti stringenti agli esperimenti di

ricerca sugli octopus, in quanto vi sono prove scientifiche della loro abilità

a sperimentare il dolore, la sofferenza e il danno duraturo. Quello che si

vorrebbe stimolare è una riforma normativa a livello internazionale e

regionale. Il diritto internazionale non è ancora attrezzato per questo, siamo

lontani da quella che Anne Peters chiama global animal law, ma ha dei

principi e dei diritti quanto meno umani, incluso il diritto umano a un

ambiente sano, che al momento attuale mi pare sia assolutamente un

nonsense se non lo consideriamo nel quadro più ampio del noi, noi inteso

come umani, non umani, ambiente. Il quesito è ancora più forte e

drammatico: con la crisi della biodiversità a livello internazionale, con

specie estinte e migliaia in pericolo, hanno queste specie il diritto di

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sopravvivere? E noi umani non abbiamo forse delle responsabilità, non solo

nei confronti del pianeta e delle sue specie, ma anche in modo egoistico e

specista, se vogliamo, ma se serve per proteggere tutte le specie animali mi

sembra si possa accettare, per le generazioni future? Grazie.

AVV. MONICA GAZZOLA Grazie, Sara, per questa bellissima relazione, che amplia il nostro sguardo, mediante il confronto con le norme e i sistemi sovranazionali. Concludiamo il convegno con il Dottor Carmine Guadagno, Direttore dell’Unità Operativa Complessa del Servizio Veterinario Area C attinente al Dipartimento Prevenzione dell’ASL Serenissima. La UOC Veterinaria Area C, ha molteplici compiti tra i quali, sintetizzo, l’igiene urbana veterinaria ambientale, la tutela del benessere degli animali da affezione, il contrasto prevenzione e randagismo canino e felino, vigilanza e controllo di farmaci e alimenti negli allevamenti, controllo del benessere degli animali di interesse zootecnico e del loro trasporto, la vigilanza e il controllo sull’impiego degli animali da esperimento e delle popolazioni di animali sinantropi in ambito urbano, ad esempio i colombi e i gabbiani. Credo che questo sia il punto in cui si congiungerà con le relazioni precedenti: ricordiamo che l’art. 19 ter delle disposizioni di attuazione del Codice Penale, introdotto con la riforma del 2004, prevede una scriminante in relazione ai reati che puniscono l’uccisione e il maltrattamento nei confronti degli animali qualora, ad esempio, ci sia l’applicazione delle leggi sull’allevamento e sulla macellazione. Quindi uno dei compiti fondamentali del ruolo del veterinario dell’ufficio pubblico è, credo, anche la verifica dell’eventuale superamento di questi limiti anche in via preventiva. Dottor Guadagno, a lei la parola. DOTT. CARMINE GUADAGNO - Il medico veterinario di sanità pubblica nell’accertamento e nella prevenzione dei reati contro gli animali

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Ringrazio gli Organizzatori del Convegno per l’invito ricevuto che per me rappresenta, oltre che un onore, una grande responsabilità sia per il luogo prestigioso che ci ospita e sia per la materia trattata. Porto anche i saluti della Direzione aziendale dell’Aulss 3 Serenissima che mi ha permesso di essere oggi qui presente. Presentare il lavoro del Medico veterinario pubblico appare complicato, e se vogliamo pure ingrato, perchè le sue mansioni vengono declinate in modo differente nelle diverse Regioni italiane in virtù della loro autonomia sanitaria. Comunque, non si sbaglia dicendo che, essendo incardinati funzionalmente nel Dipartimento di Prevenzione, il nostro compito principale è quello di prevenire i danni alla salute e al benessere delle persone e degli animali. E quindi è pure quello di prevenire e perseguire il consumo dei reati e dei maltrattamenti nei confronti di tutti gli animali. In questa veste operiamo come ufficiali di polizia giudiziaria (UPG). Senza dilungarmi nelle funzioni della Polizia Giudiziaria, perché in questa sala ci sono figure professionali che meglio del sottoscritto potranno esplicitare tale argomento, mi limiterò a dire che la qualifica di UPG del veterinario pubblico dipendente del Sistema Sanitario Nazionale (SSN) ha subito un’evoluzione nel corso del tempo. Si parte inizialmente dall’art. 57 comma 3 cpp che lo definisce tale in virtù delle sue competenze esercitate in tema di igiene degli alimenti di origine animale ai sensi della Legge n. 281 del 30 aprile 1962, in questo periodo il veterinario pubblico era unico con funzioni generaliste e trasversali in tutte le sue aree di attività, diversamente da ora che lo vede impegnato in ambiti lavorativi distinti e separati. A quel tempo i medici veterinari che lavoravano nel SSN facevano un po’ di tutto, c’era un veterinario unico che aveva varie competenze e in base a queste competenze generiche, che riguardavano anche gli alimenti, gli vennero attribuite le funzioni di ufficiali di Polizia Giudiziaria. Successivamente le competenze si sono specializzate e divise, per arrivare agli attuali tre servizi o unità operative complesse veterinarie (UOC). L’Avvocato Gazzola diceva che io mi interesso di benessere animale anche se lavoro nel servizio della UOC veterinaria Area C (o SVET C), ossia nel Servizio di Igiene degli allevamenti e delle produzioni zootecniche e questo, che di primo acchito potrebbe sembrare antitetico, cosa vuol dire? Vuol dire che, svolgendo più funzioni con diversi compiti, a volte il nostro lavoro sembrerebbe avere aspetti contraddittori specie in campo zootecnico poiché dovendo incrementare le produzioni degli animali allevati

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intensivamente questo potrebbe comportare una diversa, e forse minore, considerazione dell’importanza del benessere animale tout court. Sulla falsariga del termine “creativo” delle precedenti comunicazioni non vorrei parimenti arrivare alla simpatica definizione di “veterinaria creativa”, e far pensare che ogni servizio dà le interpretazioni che crede in riferimento ai propri compiti istituzionali da svolgere. Mi preme invece dire che ora le nostre conoscenze e preparazioni si sono ampliate toccando nuovi ambiti prima poco esplorati che permettono prestazioni migliori e più efficaci. Le competenze che ci qualificano come UPG riguardano più norme e partono anche da regolamenti comunitari: il primo è il Regolamento (CE) n. 882 del 29 aprile 2004 che ci attribuisce queste funzioni per quanto riguarda una serie di attività e di materie che vanno dai mangimi, agli alimenti, alle norme sulla salute e benessere degli animali. Questo Regolamento comunitario è stato rinforzato dal D.Lgvo n.193 del 6 novembre 2007 laddove prevede quale Autorità competente veterinaria dei controlli ufficiali a livello locale i medici veterinari delle Aulss. Il Regolamento (UE) n. 625 del 15 marzo 2017 (che abroga e sostituisce il precedente Regolamento 882/2004) allarga ulteriormente le competenze veterinarie pure all’igiene ambientale. E quest’ultima competenza è una novità importante, perché ci fa capire che non possiamo garantire a priori la tutela del benessere animale e della salute delle persone senza considerare anche il rispetto dell’ambiente entro cui queste due componenti si trovano inserite, venendo a costituire fra loro un “unicum” globale entro cui i comportamenti di tutti si influenzano e condizionano reciprocamente. Ora un piccolo riferimento ai LEA. I LEA sono i Livelli Essenziali di Assistenza, essi vengono definiti periodicamente con un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri che stabilisce le prestazioni che i dirigenti sanitari del SSN, medici e veterinari, devono erogare alla collettività obbligatoriamente e a titolo gratuito. Per quanto riguarda i LEA del SVET C essi sono esplicitati nell’allegato 1 “Prevenzioni collettive e sanità pubblica” del DPCM 12 gennaio 2017. Quelli che interessa citare per gli argomenti che oggi trattiamo sono: il LEA D4 “Controllo sul benessere degli animali da reddito”, il D9 “Lotta al randagismo e controllo sul benessere degli animali da affezione”, il D13 “Vigilanza e controllo sull’impiego di animali nella sperimentazione”, e il D14 “Soccorso degli animali a seguito di incidente stradale” che testimoniano il nostro impegno nella tutela e controllo del benessere di tutti animali mediante la vigilanza veterinaria continua e la prevenzione dei reati nei loro confronti a 360 gradi.

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Il campo d’azione è così vasto da rendere difficile sapere cosa effettivamente faccia un veterinario di sanità pubblica. Spesso non si conosce la funzione e cosa effettivamente debba fare un veterinario del SVET C; nell’immaginario collettivo delle persone comuni il veterinario è solo quello che sta negli ambulatori per la cura degli animali da affezione, insomma è quello dei cani e gatti; ignorando così che ci sia anche un veterinario all’interno delle Aulss che lavora per il bene degli animali e delle persone. Per colmare questa lacuna ritengo che spetti a noi veterinari pubblici farci conoscere anche al di fuori del nostro ambito lavorativo dove magari, fino a qualche tempo fa, qualcuno cercava di apparire il meno possibile. E ritengo che questo impegno debba essere, in primis, un compito nostro e, in secundis, dei nostri interlocutori affinché essi stessi sappiano cosa effettivamente possiamo fare e dare a loro. Oggi questo incontro è un’occasione importante per far conoscere a voi qui presenti cosa noi facciamo, descrivendo brevemente cosa abbiamo fatto nel corso degli ultimi anni nella prevenzione dei reati contro gli animali. Vedremo come l’esito degli interventi eseguiti sia stato diverso e non sempre tutto a favore degli animali, a seconda dei relativi pronunciamenti finali della Magistratura che, ne sono convinto, abbiano risentito del momento storico di allora, caratterizzato dal considerare l’animale ancora “res” piuttosto che “essere senziente”. Primo episodio. Nel 2016 operammo a supporto dei Baschi Verdi della Guardia di Finanza di Venezia che al Porto di Venezia, cercando delle sigarette di contrabbando su una nave traghetto proveniente dalla Grecia, trovarono invece 4 persone tedesche dentro due furgoni e un’automobile con 25 cani sia adulti che cuccioli. Tra questi c’erano pure due femmine gravide. La situazione era piuttosto confusa e di tipo “fai da te”: queste persone prendevano i cani dalla Grecia e li portavano in Germania. Dicevano di far parte di un’associazione animalista tedesca che si interessava di far adottare cani randagi greci. Noi ci siamo trovati di colpo a dover sistemare 25 cani. Nel 2016 il Comune di Venezia aveva un canile rifugio con diverse criticità strutturali, dove i volontari presenti facevano i miracoli nelle condizioni di grande difficoltà gestionale di quella struttura: ricoverare ed assistere quei 25 cani non è stata una cosa facile. Noi li abbiamo curati, identificati con i microchip ed abbiamo assistito le partorienti e relativi cuccioli dopodiché, dopo un anno e mezzo, l’esito è stato il loro dissequestro e relativa riconsegna a chi li aveva così irregolarmente prelevati e trasportati.

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Quando parlai col Magistrato per esprimere il mio disappunto in quanto il nostro lavoro era stato vanificato dalla restituzione degli animali a chi li aveva maltrattati, lei mi rispose autorevolmente: “Dottore, guardi che la legge in questi casi è chiara e dice che non si poteva fare altrimenti”. Sicuramente era così, ma sono convinto che allora fossero altri tempi e che ora, con l’attuale maggiore sensibilità nei confronti degli animali familiari, le cose sarebbero potute andare diversamente, prevedendo il loro affidamento a persone migliori di quelle. Secondo episodio. Nel 2018 in attività di normale vigilanza veterinaria venni avvisato che stavano per arrivare nella nostra Provincia, tramite delle “staffette”, dei cani randagi provenienti dalla Sicilia. Ora qui, parlando di staffette, si apre un capitolo ampio e complesso, infatti è cosa nota che il mondo delle staffette animaliste sia affollato di molte persone (qualcuno sostiene troppe) e che fra queste a volte qualcuna scantoni, attuando comportamenti egocentrici tesi a soddisfare più le esigenze personali che i bisogni degli animali che dicono di tutelare. Dico questo perché con i cani siciliani ci trovammo proprio in un caso del genere: io conoscevo bene la volontaria animalista che doveva ricevere i cani destinati al Veneto e questa, candidamente contrariata, mi dichiarò che non aveva dato la sua disponibilità a riceverli in quanto anziana, malata e sprovvista di locali idonei ad ospitarli. Ma la cosa strana fu che i cani arrivarono lo stesso, infatti quattro persone li portarono in due automezzi non autorizzati al loro trasporto, con l’avvallo di una sorta di finanziatrice dell’operazione che, una volta convocata nel mio ufficio, si prese la piena responsabilità dell’operazione con la motivazione che aveva fatto il tutto a scopo benefico per i cani. Peccato però che ben otto dei cuccioli trasportati morirono per parvovirosi (malattia assai mortale per la quale la vaccinazione, seppure non obbligatoria per legge, è vivamente consigliata). Chiunque ometta di assicurare il livello minimo di tutela della salute di un animale di cui ha disponibilità e che per questo suo comportamento venga a morte, è responsabile del maltrattamento di quell’animale. Considerato che nessuno si sognerebbe di non vaccinare un cucciolo di cane per quelle malattie (tra cui la parvovirosi) che ormai tutti (comunità scientifica e cittadino comune) riconoscono come obbligatorie da farsi, pena il rischio inaccettabile della sua morte, e ritenendo di trovarmi nella fattispecie dell’art. 544 bis c.p. (uccisione di animali) mi rivolsi ai Carabinieri NAS di Treviso (con i quali si collabora regolarmente) per

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cercare di perseguire a termine di legge chi aveva causato la morte di quei cuccioli. Ne seguì la regolare segnalazione in Procura ma, alla fine del procedimento, il caso fu archiviato e noi abbiamo ancora parte di quei cani nel Canile rifugio ENPA di Mira (Ve) in attesa di essere adottati. Terzo episodio. A fine 2018 abbiamo lavorato a supporto ed in sinergia con i Carabinieri CITES di Mestre (Ve) qui presenti, per il caso dei cavalli di Chioggia che prima ha bene descritto il Maggiore Elisabetta Tropea. Non mi dilungo quindi sui dettagli, ma sintetizzo solo dicendo che in questo caso l’esito per gli animali è stato migliore dei precedenti, in quanto siamo riusciti a darne un certo numero in affidamento definitivo all’Associazione Salto Oltre il Muro di Milano, evitando la loro restituzione a chi li aveva maltrattati. Quarto episodio. Siamo nel 2020. Proprio la settimana scorsa, il GIP del Tribunale di Venezia, a seguito della presenza incustodita di 2 pitoni reali nell’appartamento di una persona tradotta in carcere che ne era il proprietario, incarica per la prima volta il SVET C dell’Aulss 3 Serenissima (come primo attore e non più a supporto di altri) affinché “compia tutto quanto necessario agli animali ivi presenti”, “con facoltà di subdelega” a tutela della salute dei serpenti e dell’incolumità delle persone ivi presenti. Questa volta, diversamente da prima, su mandato del GIP siamo stati noi a chiedere supporto alla Polizia di Stato (che aveva arrestato il proprietario degli animali) e ai Carabinieri CITES di Mestre (competenti alla gestione dei serpenti). Bisognava agire velocemente, perché in questa abitazione, oltre ai 2 pitoni liberi, sembrava ci fossero pure un cane e un gatto che correvano seri rischi per la loro incolumità. Le cose fortunatamente sono andate bene in quanto, quando abbiamo fatto l’intervento, abbiamo appurato che il giorno stesso dell’arresto il cane e il gatto erano stati affidati ad amici o parenti, mentre i serpenti non erano liberi ma stavano in una sorta di teca riscaldata ma poco adatta alla loro custodia, senza cibo e acqua da bere. Quindi si è potuto intervenire e fare una prima relazione al GIP, proponendo in questo caso il loro sequestro e immediato trasferimento in luogo di cura e riabilitazione in attesa della definitiva collocazione in una struttura autorizzata alla loro detenzione. A seguito di un reciproco scambio di informazioni con il GIP, questi decise che avrebbe fatto in modo che il proprietario cedesse i serpenti a terzi in

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grado di tenerli rispettando le norme vigenti in tema di benessere animale riferito ai pitoni reali. Questa volta l’esito finale sarà ben diverso e migliore dei primi due per gli animali coinvolti. Considerando questo ultimo episodio e questo Convegno, mi sono permesso di chiedere prima alla Dott.ssa Paccagnella se pure lei non ritenga utile creare una sorta di “ponte operativo” comune fra tutte le realtà istituzionali qui presenti per rendere più efficaci ed efficienti le reciproche azioni di contrasto e repressione dei reati contro gli animali. Oggi qui, ascoltando le relazioni dei partecipanti, abbiamo l’importante occasione di sapere ed essere informati su cosa, come, quando, perché e con chi fare le cose per non vanificare il nostro operato nel perseguire chi commette reati e altri comportamenti illeciti responsabili di indebite sofferenze e maltrattamenti dei nostri animali. Il compito principale spetta all’Autorità Giudiziaria, la quale deve dare l’avvio ad agire a noi sanitari che, in questo ambito, siamo il competente braccio tecnico più qualificato e con compiti ineludibili. Personalmente sento sulla pelle l’esigenza di condividere un “modus operandi” comune, magari elaborando documenti di lavoro preparati insieme, tipo delle check list precise che, specie durante interventi particolarmente difficili e disagiati, ci permettano di scrivere i verbali in modo corretto ed inattaccabile da parte dei difensori della nostra controparte. A Venezia abbiamo già avuto un esempio di simile collaborazione inter-forze, ossia quello che riguarda il monitoraggio sanitario dei colombi di città, che a suo tempo fu elaborato dalla Procura di Venezia insieme al Comune di Venezia e ai Servizi veterinari e che è ancora valido ed efficace a tutela della sanità animale e della salute dei cittadini. Questo monitoraggio è tutt’ora efficace dimostrando ancora la presenza di zoonosi trasmissibili dai colombi all’Uomo (Salmonella typhimurium, Clamidia psittaci, Toxoplasmosi). Questa collaborazione reciproca sarebbe particolarmente utile nei confronti di nuove tipologie di reati che riguardano i nostri animali e che risultano molto difficili da contrastare con gli attuali mezzi a nostra disposizione: mi riferisco al commercio illecito di animali on line che va ben oltre quello, ugualmente difficile da perseguire, che avviene per gomma dai paesi esteri in particolare dall’Est europeo. Mi piace sognare, perché ho visto che qualche volta i sogni si realizzano e fanno il botto. Quindi sogno ancora e quello che auspico da questo incontro, e ve lo dico proprio dal profondo del cuore, è di poter lavorare insieme, di fare rete, di

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fare qualcosa che sia efficace per tutti, perché non è vero che il Servizio Veterinario ha degli obiettivi opposti a quelli delle associazioni animaliste, anzi! Ci sono solo modi di operare diversi, ma che possono e devono avere punti di convergenza comune affinché il fine da perseguire sia lo stesso. Perdonate l’autoreferenzialità, ma nel 2018 un esempio di questo è stato fatto nel nostro territorio all’atto della fusione delle precedenti 3 Aulss: la 12 Veneziana con la 13 di Mirano Dolo e la 14 di Chioggia nell’unica attuale Aulss 3 Serenissima. Ci fu la necessità di uniformare i comportamenti per la lotta al randagismo animale e la tutela dei gatti a vita libera nelle colonie feline. Proprio per cercare di evitare il più possibile gli inevitabili conflitti causati da tre modi diversi di affrontare le cose, all’inizio del mio mandato convocai le associazioni animaliste più rappresentative presenti sul territorio in una Conferenza comune dove esposi cosa la Veterinaria pubblica poteva mettere in atto con le esigue risorse a disposizione, chiedendo l’aiuto e la collaborazione dei presenti per poter fare di più. Temevo una accanita richiesta di prestazioni da parte di tutti, avanzando le solite motivazioni e la rivendicazione di particolari diritti da parte di ognuno. E invece no: seppur dopo una vivace discussione, ci fu il miracolo e riuscimmo a preparare un programma comune di interventi che accontentava un po' tutti e che ancora funziona. Questa collaborazione continua tutt’ora, permettendo di dare un buon servizio ad animali e cittadini. Quindi questo io vorrei che si sapesse: che c’è un Servizio Veterinario che ha idee chiare e personale molto preparato. Mi è piaciuto prima il riferimento a Peter Singer e a Tom Regan, autorevoli figure dell’animalismo e dei diritti degli animali: personalmente mi interesso pure di bioetica veterinaria e nel 2014 ho avuto l’opportunità di frequentare un summer-course alla Colorado State University tenuto da Bernard Rollin, autentico luminare di questa disciplina e che, tra l’altro, è una persona cordiale e molto simpatica. La Classe veterinaria ha bisogno di maggiori cognizioni bioetiche da applicare nei propri ambiti lavorativi. Ringrazio ancora la Camera Penale Veneziana e l’avv. Monica Gazzola per l’opportunità che mi è stata data di essere qui con autorevoli amici e colleghi competenti e preparati. Invito tutti a cogliere e sfruttare queste occasioni perché sono molto, molto utili per far meglio e per continuare a fare del bene ai nostri amati animali. Grazie per la vostra attenzione!

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AVV. MONICA GAZZOLA Grazie, Dottor Guadagno, per questa interessantissima relazione, per questa testimonianza e anche per questa passione per la sua attività. Il mio augurio è che lei si debba sempre meno preoccupare di allevamenti e di macelli, nel senso che diminuiscano fino a sparire del tutto. Finché lei parlava, ci siamo scambiati un cenno con la Dottoressa Paccagnella, e lanciamo la proposta di istituire un tavolo di lavoro per arrivare a un protocollo di collaborazione tra associazioni, Ufficio di Veterinaria, le forze dell’ordine, l’Avvocatura, per trovare delle modalità operative che consentano di tutelare al meglio gli animali. Le relazioni sono terminate. Avevamo programmato tutto, l’orario, i tempi di intervento, per consentire, visto il panel dei Relatori, domande del pubblico. DOTT.SSA MARTA PACCAGNELLA Se non ci sono domande vorrei intervenire un attimo sul tema “messa alla prova” e “risorse economiche”. Ha ragione, innanzitutto non avevo preso in considerazione, forse perché non mi è mai capitato, però questa è una riflessione che deve fare la Magistratura e l’Avvocatura, che ci propone anche le messe alla prova. La messa alla prova prevede delle condotte positive che consentano un percorso di riabilitazione. Non penso, come capita per la guida, che la strada migliore sia la previsione dei mesi di arresto o del piccolo periodo di carcere; può essere il momento in cui colui che vuole essere messo alla prova avendo commesso una condotta di quelle di cui ci stiamo occupando deve prendere iniziative positive verso il mondo animale, mandarlo a lavorare in Archivio non è certamente la cosa più specifica. Costringerlo innanzitutto a frequentare corsi, a frequentare ambienti di altro genere e lavorare magari proprio in mezzo agli animali può avere un altro effetto; costringerlo a versare qualche somma a titolo riparatorio ha un altro effetto ancora e, come succede nelle messe alla prova di cui ci occupiamo normalmente, sono le guide in stato di ebbrezza che non possono accedere solo al lavoro sostitutivo perché magari c’è stato il sinistro stradale, la frequentazione dei corsi di guida sicura, il versamento di somme magari simboliche a favore delle associazioni che si occupano di vittime di sinistri stradali, può essere riversata, secondo me, nel settore di cui ci stiamo occupando e quindi non diventare più una scappatoia senza finalità ricostruttiva, ma magari un percorso utile per recuperare l’individuo. MAGG. ELISABETTA TROPEA

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Stavamo ripercorrendo i casi che ci hanno visto affiancati o operare insieme alle USL, associazioni, eccetera, quindi stavamo facendo un bilancio di questa collaborazione che è stata sempre proficua. Il plauso va sia al Dottor Guadagno che a voi che siete riusciti a organizzare questo evento, ecco, era un commento che facevamo tra di noi. AVV. MONICA GAZZOLA Interpello di nuovo la Dottoressa Paccagnella perché ha accennato al fatto che si è occupata di cinghiali. Siccome io vengo dai Colli Euganei, ahimè c’è questo problema dei cinghiali, ci sono i cacciatori che dicono che distruggono tutto e bisogna ammazzarli, ci sono animalisti e ambientalisti che dicono: “Più gli sparate e più si riproducono”, che è vero, e comunque c’è il cinghiale che, poveretto, è un animale intelligente, fa i cuccioli, non vorrebbe essere ammazzato. DOTT.SSA MARTA PACCAGNELLA Anche il Dottor Guadagno conosce un caso che abbiamo avuto di una persona che deteneva in un recinto due cinghiali; a un certo punto sono scappati e lui si è subito autodenunciato sapendo che non era consentito detenere questa tipologia di animali in cattività. I cinghiali però avevano la consuetudo revertendi, sono tornati a casa poco dopo, la persona si è trovata col procedimento penale aperto e nulla più poteva fare, né potevamo lasciare a lui affidati i cinghiali, dovevamo per forza sequestrarli, perché sono per forza oggetto di confisca. A quel punto è stato estremamente complesso trovare una destinazione, qui parliamo solo di due, perché hanno iniziato a proporci l’abbattimento. Noi siamo orgogliosi, perché nel nostro territorio non abbiamo neanche lontanamente pensato all’ipotesi di abbattimento dei cinghiali perché conviene economicamente, però non riuscivamo a collocarli neanche in fattorie didattiche, non c’erano centri; alla fine con l’aiuto credo del Settore Veterinario, del Dottor Gava Pubblico Ministero che è molto sensibile alla tematica, siamo riusciti a trovare un centro a Parma. Questo è accaduto un anno e mezzo, due anni fa. Recentemente ho liquidato le spese di giustizia per il trasporto e con questo abbiamo risolto il nostro problema senza danneggiare gli animali. AVV. MONICA GAZZOLA Grazie. Prima di lasciare la parola a Simone Zancani per i saluti, voglio ricordare il prossimo appuntamento organizzato dalla nostra Commissione sui Diritti Fondamentali che è la premiazione del premio Lora Biga edizione

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2019/2020, organizzato dalla nostra Presidente Onoraria Annamaria Marin con il Soroptimist di Venezia. Si tratta di un premio assegnato a scritti di commento a sentenze che riguardano la violenza sulle donne, ne abbiamo parlato all’inizio, c’è qualche profilo di contiguità con il tema di oggi. Quindi per chi fosse interessato tra i colleghi ci sarà la premiazione il 13 marzo. Ringrazio tutti i Relatori, le Relatrici, il pubblico, e invito il nostro Vicepresidente Simone Zancani per i saluti finali. AVV. SIMONE ZANCANI Solo per ringraziare tutti, soprattutto i Relatori, per queste bellissime e interessantissime relazioni che hanno aperto sicuramente un panorama diverso nella nostra vita professionale. Ringrazio le forze dell’ordine per l’attenzione che hanno rivolto a questo convegno. Buon lavoro a tutti, la Camera Penale tradizionalmente fa un piccolo gesto di riconoscenza ai propri Relatori e in questo mi consentirete di farvi questo piccolo omaggio. Grazie alla Commissione Diritti Fondamentali per questo che spero possa essere un evento a scadenza, se non annuale, biennale, per fare un po’ il punto sulla situazione su questi nuovi diritti e su queste nuove sfide della professione. Grazie a tutti.