fusione tra vescicole come modello di processi … · hanno verosimilmente dominato i processi di...
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Università degli Studi Roma Tre
Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali
Corso di Laurea in Scienze Biologiche
Tesi di laurea
FUSIONE TRA VESCICOLE COME MODELLO DI
PROCESSI CELLULARI
Relatore Laureando
Prof. Dott. Pier Luigi Luisi Filippo Caschera
Anno Accademico 2004/2005
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RIASSUNTO
Lo scopo di questa tesi è lo studio della fusione tra vescicole, come modello per la fusione
di cellule e altri compartimenti biologici. La fusione tra compartimenti intracellulari e tra
cellule è un evento fisiologico frequente che determina una varietà di processi cellulari di
grande rilevanza. L’unione dei gameti, la fusione dei mioblasti, il traffico vescicolare,
l’endocitosi e l’esocitosi, la trasmissione sinaptica (solo per citare i casi più noti) sono tutti
processi nei quali la fusione tra membrane lipidiche esercita un ruolo chiave. Nelle cellule,
la fusione tra membrane è altamente controllata da sistemi proteici il cui meccanismo
d’azione (a livello molecolare) non è ancora completamente noto.
Dal punto di vista biofisico, tuttavia, è lecito domandarsi se la fusione tra compartimenti
separati da membrane possa avvenire sotto il controllo delle sole forze chimico-fisiche, che
hanno verosimilmente dominato i processi di fusione tra protocellule in tempi prebiotici o
comunque prima dello sviluppo dei meccanismi biomolecolari che osserviamo oggi.
La fusione tra vescicole o liposomi convenzionali non è un processo spontaneo, anzi non
si osserva affatto in condizioni normali. Una possibile strategia di avviamento della fusione
vescicolare è basata su precursori elettrostabili di segno opposto. A tal scopo, in questa tesi
si è studiata la reattività di vescicole lipidiche recanti carica opposta (vescicole anioniche e
cationiche). Vescicole cationiche a base di didodecil dimetil ammonio bromuro (DDAB)
sono fatte reagire con vescicole anioniche a base di acido oleico, al fine di determinare se –
e in quali condizioni – la fusione possa aver luogo. Attraverso studi di turbidimetria,
dynamic light scattering (DLS), potenziale zeta e fluorescenza si è dimostrato che la
fusione tra vescicole è un processo possibile e che soggiace a un delicato equilibrio di
forze contrapposte. In particolare, vescicole cationiche (POPC/DDAB 50/50) reagiscono
con vescicole anioniche (POPC/oleato 20/80) con una resa di fusione fino al 25%,
dipendente dal rapporto tra i reagenti. Dall’analisi dei dati è possibile ipotizzare un
meccanismo fusione transiente, simile a quanto noto in neurofisiologia come modello kiss-
and-run di rilascio sinaptico.
I risultati sono analizzati per mostrare se, e in quale misura, lo studio della fusione tra
vescicole sia un utile modello per comprendere la fusione delle membrane cellulari; ed
anche per mettere in luce la possibile rilevanza per le metodologie relative alla
veicolazione di farmaci e alla terapia genica.
LISTA DELLE ABBREVIAZIONI
BICINA = N,N-bis-(2-idrossietil)-glicina
CAC = critical aggregation concentration
(concentrazione critica di aggregazione)
CVC = critical vesicle concentration
(concentrazione critica vescicolare)
DDAB = didodecildimetil bromuro di ammonio
DLS = dynamic light scattering
DODAB = diottadecildimetil bromuro di ammonio
DPA = acido dipicolinico
EDTA = acido etilendiamminotetracetico
EtOH = etanolo
FRET = fluorescence resonance energy transfer
(fluorescenza dovuta al trasferimento di energia di risonanza)
GFP = green fluorescence protein (proteina fluorescente verde)
GV = giant vesicle (vescicole giganti)
HEPES = acido N-(2-idrossietil) piperazina-N′-(2-etansulfonico)
LUV = large unilamellar vesicles (grandi vescicole unilamellari)
MeOH = metanolo
ms = millisecondi
mV = millivolt
NaCl = cloruro di sodio
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nm = nanometri
OD = optical density (densità ottica, sinonimo di assorbanza)
POPC = 1-palmitoil-2-oleoil-sn-glicero-3-fosfatidilcolina
POPS = 1-palmitoil-2-oleoil-sn-glicero-3-[fosfo-L-serina]
SUV = small unilamellar vesicles (piccole vescicole unilamellari)
TbCl3 · 6H2O = cloruro di terbio
Tm = melting temperature (temperatura di transizione)
TRIS HCl = tris-(2-idrossimetil)-amminometano cloroidrato
UV-Vis = ultravioletto-visibile
v/v = volume/volume
V+ = vescicole positive
V- = vescicole negative
VET = vesicles obtained by the extrusion technique
(vescicole ottenute attraverso estrusione)
w/v = peso/volume
β-OG = β-ottil-gluco-D-piranosio
iii
INDICE
1. INTRODUZIONE………………...……………..……………….…………
1.1. Auto-organizzazione, proprietà emergenti e simbiogenesi ……..……...
1.2. Vescicole come modelli cellulari – Rilevanza degli studi sulla fusione
di vescicole ….…………………………………………………………
1.3. Fusione di membrane lipidiche …..…………………………………….
1.4. Agenti in grado di promuovere la fusione tra vescicole …………..……
1.4.1. Cationi e lipidi anionici …………………………………….…...
1.4.2. Agenti deidratanti ……………...………………………………..
1.4.3. Polianioni ……………………………………………………….
1.4.4. Proteine fusogeniche ……………………………………………
1.4.5. Difetti di membrana …………………………………………….
1.5. Forze molecolari e meccanismo della fusione …………….….………...
1.5.1. Possibili intermedi del processo di fusione ………………...…...
1.6. Tecniche utilizzate per studiare la fusione ……………………………..
1.6.1. Esempi di sonde fluorescenti o di cromofori ……………….…...
1.7. Fusione tra vescicole di carica opposta ….…………………………….
1.8. Vescicole a base di tensioattivi cationici ……………………………….
1.8.1. Rilevanza dei tensioattivi cationici per la terapia genica …...….
1.9. Vescicole anioniche a base di acido oleico/oleato ……………………...
1.9.1. Acidi grassi e membrane prebiotiche …………………………..
1.10. Rilevanza della fusione nei processi biologici …………………..
1.10.1. Fusione tra cellule …………...………………………………….
1.10.2. Traffico vescicolare ……………………………………………..
1.10.3. Kiss-and-run …………………………………………………….
2. SCOPO DELLA TESI……………………………………………………...
3. RISULTATI E DISCUSSIONE………………………………….………...
3.1. Metodi sperimentali……..………………………………………………
3.1.1. Turbidimetria …………….………………………………….…...
3.1.2. Fluorescenza ……………………………………………………..
3.1.3. Dynamic light scattering (DLS) ……………………………….…
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3.1.4. Microelettroforesi ………………………………………………..
3.2. Preparazione di vescicole a base di acido oleico/oleato ………..………
3.3. Vescicole a base di sali d’ammonio quaternario ……………………….
3.4. Confronto con vescicole di fosfolipidi …………………………………
3.5. Vescicole miste …………………………………………………………
3.5.1. Preparazione di vescicole oleato/POPC ………………….….…
3.5.2. Preparazione di vescicole miste POPC/tensioattivo cationico
mediante iniezione …………………………..……………………..
3.5.3. Preparazione di vescicole DDAB/POPC mediante aggiunta di
DDAB a vescicole preformate di POPC ……………………….….
3.6. Reattività tra vescicole anioniche e cationiche …………………..……..
3.6.1. La coppia oleato/DDAB …………………………………….…...
3.6.2. La coppia oleato/DODAB …………………………...……….….
3.6.3. La coppia POPS/DDAB …………………………….……….…..
3.7. Saggio di fusione basato sulla formazione del complesso [Tb(DPA)3]3-
3.8. Ottimizzazione delle condizioni di intrappolamento dei soluti ………...
3.8.1. Interferenze chimiche ……………………………………….…...
3.8.2. Metodi di intrappolamento per i differenti casi …………………
3.9. Studio della reattività tra vescicole di carica opposta – Fusione …..…..
3.10. Interpretazione dei dati sperimentali …………………………….
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4. CONCLUSIONI E PROSPETTIVE……………………………………... 86
5. MATERIALI E METODI………………………………………….………
5.1. Materiali ………………………….……………………………….…….
5.2. Metodi spettroscopici …………………………………………………...
5.3. Metodi di preparazione delle vescicole ………………………………...
5.3.1. Metodo dell’idratazione di un film lipidico sottile ………...……
5.3.2. Metodo dell’iniezione a partire da una soluzione alcolica di
lipdi ……………………………………………………………...…
5.3.3. Freeze-and-thaw, sonicazione, estrusione .………………….…..
5.3.4. Cromatografia di esclusione dimensionale e dialisi …………….
5.3.5. Preparazione di vescicole di oleato a partire da micelle ……….
5.3.6. Preparazione di vescicole di oleato a partire da acido oleico
puro ………………………………………………………………...
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5.3.7. Preparazione di vescicole di oleato per titolazione ……………..
5.3.8. Preparazione di vescicole per “salto di pH” …………………...
5.3.9. Preparazione di vescicole di DDAB …………………………….
5.3.10. Preparazione di vescicole di POPC:DODAB 1:1 ………………
5.3.11. Preparazione di vescicole di DDAB:POPC 1:1 mediante
aggiunta esterna di DDAB ………………………………………..
5.3.12. Preparazione di vescicole di oleato/POPC (4:1) contenenti DPA
5.3.13. Preparazione di vescicole di DDAB:POPC 1:1 contenenti Tb3+
5.3.14. Preparazione di vescicole di POPS:POPC 2:3 contenenti DPA
5.3.15. Saggi cinetici e DLS ……………………………………………..
5.3.16. Saggio di fusione ………………………………………………...
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6. BIBLIOGRAFIA…………………………………………………………… 101
APPENDICE 1 Dynamic Light Scattering (DLS) …………………………….. 111
vi
Introduzione
1. INTRODUZIONE
Nel campo dell’origine della vita si cerca di comprendere come i processi di auto-
organizzazione e auto-replicazione hanno guidato la nascita di sistemi complessi quali
le moderne strutture cellulari. Questo campo di ricerca si rivela molto importante
perché, da un lato aiuta a comprendere il percorso evolutivo delle strutture cellulari,
dall’altro può permettere di sfruttare le conoscenze acquisite per lo sviluppo di nuove
bio-tecnologie (es cellule artificiali).
Secondo il principio di continuità (Oparin 1924) è ipotizzabile che vi sia stata una
graduale continuità dalla materia inorganica alle molecole organiche e da qui alla
complessità molecolare fino al sorgere della vita cellulare. Partendo dal presupposto che
alla vita cellulare si sia giunti dalla materia inanimata, ciò implica la possibilità di
riprodurla in laboratorio. Non conosciamo come questa transizione verso la “vita” sia
avvenuta in natura e verosimilmente la ricostruzione “storica” degli eventi risulta essere
di difficile attuazione, anche per ragioni teoriche (teoria della contigenza). Quindi lo
scopo della ricerca sperimentale in questo campo non è quello di delineare la via
attraverso cui la vita cellulare si sia originata spontaneamente sulla terra, ma portare
evidenze, attraverso la realizzazione di modelli, che la vita risulta dall’auto
organizzazione della materia organica (Eschenmoser & Kisakurek, 1996). L’ambizione
degli scienziati che lavorano in questo campo è quello di giungere alla “minimal life”:
un sistema biochimico contenente un numero minimo e sufficiente di componenti
(molecole) tale da essere considerato “vivente”.
1.1 Auto-organizzazione, proprietà emergenti e simbiogenesi
I processi spontanei che portano ad un aumento della complessità molecolare possono
essere descritti con il termine generale di auto-organizzazione. In biologia si possono
fare molti esempi di auto-organizzazione a livello molecolare o supramolecolare.
Esempi classici di tale processo, che è guidato dalla termodinamica (ed è quindi
1
Introduzione
spontaneo), sono: il ripiegamento di proteine, l’interazione tra proteine, la
polimerizzazione dei monomeri di actina e tubolina a costituire lo scheletro cellulare.
L’organizzazione di più componenti, tuttavia, può riguardare “livelli” gerarchici
superiori, ad esempio l’organizzazione interna del citoplasma, del nucleo degli
eucarioti, o delle membrane cellulari (questi non sono esempi guidati dalla
termodinamica). Quest’ultimo punto merita una attenzione particolare. La vita cellulare
è basata sul concetto di compartimento. In natura, la compartimentalizzazione è
raggiunta grazie alle proprietà di auto-organizzazione delle molecole anfifiliche: i lipidi.
E’ importante sottolineare come la formazione di membrane lipidiche sia un processo
spontaneo che è facilmente realizzabile in laboratorio; la formazione di liposomi e
micelle è infatti presa come un classico esempio di auto-organizzazione. Un concetto
basilare, legato ai processi di auto-organizzazione è quello di emergenza: infatti un
processo di incremento di complessità può essere accompagnato dalla nascita di nuove
proprietà (emergenti). Il termine “emergenza” descrive nuove proprietà che sorgono
quando un livello di complessità più alto è raggiunto da un livello più basso, dove
queste proprietà non erano presenti. Tornando all’esempio dei liposomi, vi sono
essenzialmente due concetti strettamente legati all’auto-organizzazione e alle proprietà
emergenti. Il primo è l’ordine spontaneo che si raggiunge da una miscela caotica di
monomeri, il secondo è l’emergenza di un compartimento. La discriminazione tra
l’interno e l’esterno, applicabile ai compartimenti, è uno dei requisiti strutturali delle
cellule viventi. Tuttavia, è possibile pensare all’auto-organizzazione a livelli ancora più
alti, riferendosi a processi inter-cellulari o più in generale inter-compartimentali. Infatti
nuove proprietà emergenti possono essere raggiunte se due o più compartimenti,
inizialmente separati tra loro, possono mettere in comune il loro contenuto, che può
essere inteso in termini di metaboliti, geni, molecole di segnalazione, inibitori, fattori di
attivazione, etc…
Un esempio di questo principio è la simbiogenesi. Tale processo è alla base della
complessità dell’ organizzazione strutturale delle cellule moderne, capaci di compiere
reazioni biochimiche complesse in virtù del raggiungimento di una elevata
organizzazione cellulare. La simbiogenesi rappresenta la fusione di due organismi
separati per formare un nuovo singolo organismo. L’idea fu originata nel 1926 da
Konstantin Mereschkowsky nel suo libro “Simbiogenesi e l’Origine delle Specie” nel
quale si suggeriva che i cloroplasti fossero stati originati da cianobatteri catturati da
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Introduzione
protozoi. Oggigiorno si crede che sia i cloroplasti che i mitocondri abbiano tale origine
e questa rappresenta la teoria endosimbionte. Nel libro “Acquiring genome”: una teoria
sull’origine della specie, Lynn Margulis argomenta che la simbiogenesi sia la forza
primaria dell’evoluzione. Secondo questa teoria, l’acquisizione e l’accumulazione di
mutazioni casuali non sono sufficienti per spiegare come le variazione ereditate siano
manifestate; piuttosto, nuovi organelli, corpi, organi, e specie emergono dal processo di
simbiogenesi. Laddove la classica interpretazione dell’evoluzione (Darwinismo)
enfatizza la competizione come la forza principale dell’evoluzione, Margulis enfatizza
la cooperazione. Infatti, tecniche di mappatura genomica hanno rilevato che le famiglie
dei taxa maggiori appaiono estensivamente correlati, probabilmente a causa di un
trasferimento laterale di geni trasportati da batteri.
La simbiogenesi può essere quindi correlata alla possibilità di aumento di complessità a
partire da strutture meno “ricche”, e il processo di fusione tra compartimenti può essere
visto come un principio d’inizio per processi cellulari complessi. Solo in seguito ad un
evento di questo tipo tutto ciò che era potenzialmente possibile diventa attuale al
momento dell’evento di fusione.
La possibilità di usare i liposomi come dei modelli cellulari è lo scopo di questa tesi,
che si prefissa di studiare la reattività tra popolazioni di vescicole cationiche ed
anioniche cercando di mimare il processo biologico della fusione tra membrane e quindi
più in generale di fusione tra compartimenti cellulari.
1.2 Vescicole come modelli cellulari – Rilevanza degli studi sulla fusione di
vescicole
Fin dai tempi della loro scoperta, le vescicole lipidiche, o liposomi, (Bangham & Horn,
1964; Bangham, et al., 1965), sono state considerate dei modelli di membrane cellulari.
In figura 1.1 è riportata la sezione trasversale di una vescicola, si può notare come le
molecole lipidiche si dispongano ordinatamente, le teste polari a contatto con il solvente
acquoso e le code idrofobiche a stretto contatto tra di loro escludendo l’acqua. In questa
disposizione, che è raggiunta spontaneamente, i lipidi generano una membrana sferica
con all’interno una cavità acquosa. I liposomi sono stati utilizzati in innumerevoli studi
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Introduzione
riguardanti la biofisica delle membrane (struttura, permeabilità, fluidità, reattività,
binding di macromolecole, etc.).
Figura 1.1. Sezione trasversale di una vescicola unilamellare. Lo spessore della membrana è generalmente di 3.5-4.0 nm, mentre le dimensioni (diametro) variano da ca. 30 nm (small unilamellar vesicles SUV) a 100 nm (large unilamellar vesicle LUV) a 5-50 micron (giant vesicles GV).
Un secondo campo di studio dei liposomi è quello riguardante il loro uso come veicoli
di farmaci (specialmente antitumorali, ma non solo) e di materiale genetico (sia per
quanto riguarda la terapia genica, ad oggi in fase di sperimentazione, sia per la
trasfezione in vitro di culture cellulari).
Il terzo campo di indagine, che è in forte espansione negli ultimi anni, è quello che
utilizza le vescicole lipidiche come compartimenti sintetici al fine di realizzare modelli
cellulari veri e propri. Il gruppo di ricerca del Prof. Luisi – presso il quale ho svolto
questo lavoro di tesi – è stato uno dei pionieri di questi studi, iniziati negli anni
Novanta, che hanno attratto l’attenzione di numerosi ricercatori in tutto il mondo.
L’approccio scelto per la costruzione di una cellula minimale prevede la riduzione della
complessità delle cellule moderne includendo, all’interno di vescicole, acidi nucleici ed
enzimi (semi-synthetic approach) (figura 1.2).
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Introduzione
Figura 1.2. Utilizzo di liposomi per la sintesi di una cellula minimale semi-artificiale.
Il termine sintesi è più appropriato di ricostruzione, nel senso di “biologia sintetica”,
anche se, poichè le macromolecole che si vogliono utilizzare già esistono, può essere
definita semi-sentitetica. Lo scopo di questo campo di ricerca non è quello di
sintetizzare una cellula moderna, ma la più semplice forma di essa. In questi ultimi anni
diversi gruppi di ricerca (Luisi et al., 2006) hanno trovato con successo le condizioni
per la realizzazione di reazioni di interesse biologico.
Un processo molto studiato è l’espressione di una proteina all’interno dei liposomi. Per
questi scopi è stata scelta la green fluorescence protein (GFP) grazie alla facilità con cui
si può determinare la sua espressione. La strategia comune è quella di intrappolare nel
core acquoso dei liposomi tutti gli ingredienti per l’espressione in vitro delle proteine: il
gene per la GFP, una RNA polimerasi, i ribosomi e gli enzimi necessari per la
traduzione, e tutti i componenti a basso peso molecolare (aminoacidi, ATP, etc.)
necessari per l’espressione delle proteine. La produzione di GFP all’interno dei
compartimenti è generalmente analizzata spettroscopicamente, (mediante fluorimetria,
citofluirimetria o microscopia confocale) monitorando l’incremento del segnale di
fluorescenza della proteina.
In aggiunta all’uso di liposomi come compartimenti in grado di ospitare reazioni di
biologia molecolare, altri studi hanno riguardato la reattività di vescicole stesse. Un
primo caso è quello della auto-riproduzione di vescicole di oleato in seguito
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Introduzione
all’addizione esterna di nuove quantità di oleato in forma di micelle (Bloechliger et
al.,1998); vi sono delle evidenze, ottenute grazie a varie tecniche, che l’addizione di
nuovo tensioattivo alle vescicole preformate conduca ad un processo di divisione
originando in questo modo delle vescicole figlie. E’ facile intuire come questa peculiare
proprietà renda le vescicole di oleato simili, ma più semplici, alle cellule biologiche, le
quali utilizzano meccanismi di divisione molto complessi, risultanti da un percorso
evolutivo molto lungo.
Il processo complementare alla divisione è quello della fusione. L’importanza di tale
meccanismo, affrontato in questa tesi, giustifica l’utilizzo delle vescicole come modelli
di processi cellulari importanti, quali l’unione dei gameti, l’esocitosi, il trasporto
intracellulare, etc. (vedi paragrafo 1.10).
Prima di affrontare questo argomento bisogna fare delle precisazioni riguardo al termine
“fusione”. In letteratura vi sono molte pubblicazioni che riguardano la fusione tra
vescicole, ma si può capire come a volte sia stato fatto un uso indiscriminato del
termine “fusione”. Il termine fusione dovrebbe essere ristretto ad un processo dove vi
sia scambio e rimescolamento dei contenuti acquosi e formazione di una nuova specie
di vescicole. Invece la parola fusione è molte volte utilizzata per indicare la formazione
di un complesso tra le vescicole, senza fare chiarezza su ciò che accade
successivamente. In generale, la fusione tra vescicole non è un processo spontaneo. Se
due popolazioni di liposomi di POPC, aventi dimensioni differenti, vengono mescolate
insieme, esse non si fondono in una struttura intermedia più stabile, ma stanno nella
stessa soluzione stabili come specie distinte (Cheng and Luisi, 2003). In letteratura,
come verrà mostrato nel paragrafo successivo, per indurre la fusione tra vescicole
anioniche si è fatto uso di specie cationiche, come ad esempio lo ione Ca2+. Un’altra
possibile alternativa per indurre la fusione tra due specie di vescicole è quella relativa
all’uso di membrane di carica opposta. Questo processo, schematizzato nella figura 1.3,
mostra chiaramente che la fusione tra vescicole è una via per aumentare la complessità
dei sistemi compartimentalizzati: ad esempio si potrebbero riunire insieme enzimi e
acidi nucleici, o più enzimi con l’obbiettivo di indurre un ciclo metabolico. In tal caso la
proprietà emergente, intesa come un processo interno, o un ciclo metabolico, o
l’acquisizione di un fattore che migliora il fitness del compartimento, deriva appunto
dalla fusione e dal “salto” di livello di complessità che si raggiunge.
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Introduzione
Figura 1.3. Aumento della complessità in seguito alla fusione tra vescicole.
Nella discussione seguente, verrà prima mostrato ciò che è noto riguardo la fusione tra
vescicole, e poi verrà introdotto l’approccio utilizzato in questa tesi, che si basa sulla
fusione tra vescicole di carica opposta.
1.3 Fusione di membrane lipidiche
La fusione è l’unione di due membrane strettamente giustapposte, che si riorganizzano
portando al mescolamento dei lipidi e permettendo alle soluzioni inizialmente separate
dalle due membrane di entrare in contatto (Prostegard and O’Brien, 1987). Al termine
del processo di fusione, la funzione contenitiva delle membrane deve essere conservata
(Arnold 1995). In un processo ideale le conseguenze della fusione sono il mescolamento
dei lipidi, dei contenuti ed un aumento di dimensione. Molti autori concordano nel
proporre un meccanismo che prevede fondamentalmente due fasi: (1) avvicinamento
(fase aggregativa) tra due membrane e (2) un riarrangiamento delle due membrane
giustapposte (figura 1.4), che conduce al processo di fusione.
Figura 1.4. Meccanismo generale per l’avvicinamento e fusione di due vescicole. Le vescicole V1 devono prima associarsi per formare un complesso (indicato come V2), il quale porta al prodotto di fusione F. Nei casi reali, l’aggregazione può anche essere irreversibile, così come possono esserci altre reazioni competitive o parallele.
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Introduzione
Le vescicole interagenti devono prima formare un complesso (stabile o transiente) a
seguito di pathways aggregativi, successivamente andare incontro a fusione.
Conseguentemente, i fattori (o agenti) che portano alla fusione tra due membrane
lipidiche sono distinguibili tra quelli che facilitano l’aggregazione e quelli che facilitano
la fusione vera e propria. Sulla base di queste considerazioni il vero agente fusogeno
consente il contatto e la fusione tra le membrane mentre, i “falsi” fusogeni
semplicemente promuovono il primo processo di avvicinamento. Spesso il primo stadio
della reazione può essere reversibile. Ad esempio, utilizzando lo ione calcio per indurre
la fusione tra vescicole anioniche a base di oleato, in seguito all’aggiunta di EDTA si
osserva la disaggregazione del complesso (V2) senza che vi sia stata fusione (Cheng &
Luisi, 2003). I fattori che possono promuovere l’aggregazione tra le due specie di
vescicole sono diversi: agenti leganti (ioni di carica opposta alla polarità delle
membrane), attrazione elettrostatica tra le vescicole, proteine che àncorano due
membrane, etc. A seguito dell’avvicinamento, la fusione procede mediante il contatto
idrofobico tra i lipidi delle due membrane (Arnold 1995).
I fattori implicati nel processo di fusione tra membrane sono in delicato equilibrio; in
particolare, l’integrità della membrana e la sua destabilizzazione sono fattori tra loro
contrapposti. Membrane troppo stabili non favoriscono un processo di fusione,
viceversa l’eccessiva destabilizzazione può portare a una rottura delle vescicole (con
conseguente perdita del contenuto). Si deduce che è necessario un bilanciamento fine
delle forza in questione per poter percorrere uno specifico pathway fusogenico. Viste
queste premesse, non stupisce il fatto che la fusione tra membrane cellulari sia un
processo altamente controllato. Negli anni passati, tuttavia, si è cercato di comprendere
quale fosse il meccanismo di fusione tra membrane utilizzando vescicole lipidiche. In
tal caso, lo studio risulta agevolato poiché in tali sistemi estremamenti semplici (rispetto
alle bio-membrane) è possibile modulare la reattività al variare della composizione
lipidica, natura del tampone, pH, dimensione delle vescicole.
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Introduzione
1.4 Agenti in grado di promuovere la fusione tra vescicole
1.4.1. Cationi e Lipidi Anionici
Tra i casi di fusione maggiormente studiati vi è quello indotto dal Ca2+ su vescicole di
fosfatidilserina (PS) (Wilshut et al., 1980). Il processo completo di fusione richiede il
raggiungimento di un valore soglia nella concentrazione dello ione calcio. La fusione tra
vescicole di PS può anche essere indotto dallo ione Mg2+ che risulta essere più selettivo
agendo specificatamente per le SUV senza fondere le LUV. Questo comportamento
viene spiegato invocando i diversi effetti che i due cationi divalenti esercitano,
schermando le cariche, avvicinando i doppi strati lipidici, e riducendo l’idratazione tra
le due membrane giustapposte. Lo ione calcio può promuovere la fusione tra altri lipidi
anionici, secondo la seguente reattività: acido fosfatidico > cardiolipina >
fosfatidilglicerolo; infatti si richiede una concentrazione soglia di Ca2+ che parte da 2
mM per l’acido fosfatidico e arriva a 15 mM per il fosfatidilglicerolo. Questi processi,
oltre ad essere dipendenti dalla natura del lipide e dalla concentrazione dell’agente
fusogeno, sono anche dipendenti dalla dimensione delle vescicole (Arnold, 1995). La
fusione è indotta anche da altri cationi divalenti (Sr2+, Cd2+), cosi come da ioni
trivalenti. Gli ioni monovalenti non sono attivi nei processi descritti, ad eccezione di H+
che può indurre un processo di fusione pH-dipendente (pH<4) secondo il principio
dell’abbassamento della densità di carica. Altri agenti cationici che sono stati studiati
sono le poliammine (spermina e spermidina); usate in co-presenza dello ione calcio,
riducono la sua concentrazione soglia richiesta per esercitare l’attività fusogenica.
1.4.2. Agenti deidratanti
Come accennato nella sezione precedente, nel momento in cui le membrane risultano
strettamente giustapposte, la deidratazione delle stesse è una condizione necessaria per
la fusione. Un agente deidratante noto per questa proprietà è il polietilenglicole (PEG).
Il meccanismo di azione di questo agente, per ciò che riguarda la fusione, non è del tutto
noto, infatti oltre al meccanismo che implica la deprivazione delle molecole d’acqua,
diversi autori ne propongono altri che prevedono la creazione di difetti locali di
membrana a seguito di stress osmotici (Cevc and Richardson, 1999). Una proprietà
importante del PEG è quella di fondere oltre ai liposomi anionici anche quelli neutri che
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Introduzione
notoriamente coesistono in soluzione senza reagire. Si è visto che il PEG può promuove
la fusione tra SUV di lecitina (eggPC).
1.4.3. Polianioni
Anche l’utilizzo di polianioni può avere riscontri produttivi come induttore della fusione
tra vescicole composte di lipidi neutri. Questo effetto si può manifestare in presenza di
Ca2+, con liposomi di POPC (Arnold, 1995). Anche il poly(Glu) è stato utilizzato come
agente fusogenico (Cevc and Richardson, 1999). Si ritiene che questa tipologia di agenti
si comporti come un “ponte molecolare” tra le due specie di vescicole, anche se il
meccanismo non è del tutto noto.
1.4.4. Proteine fusogene
I virus entrano nelle cellule grazie alla fusione tra il capside virale e la membrana
cellulare, ottenuta in seguito all’ausilio di specifiche proteine. Sono stati condotti studi
intensivi, su tale fenomeno, ricostituendo le proteine virali nelle membrane liposomali.
Tra le più studiate, vi sono quelle appartenenti alla famiglia delle emagglutinine. I
risultati suggeriscono che l’azione dell’emagglutinina sia quella di agganciarsi alle
membrane attraverso inserzioni idrofobiche, stimolando successivi meccanismi, ancora
ignoti, necessari per la fusione. Anche le proteine di membrana appartenenti alla
famiglia SNARE, implicate nei processi intracellulari di fusione vescicolare, sono state
studiate in membrane di liposomi (Xiaocheng et al., 2006). Si è visto che alla densità in
cui sono presenti nelle membrane cellulari, le proteine SNARE non sono in grado di
indurre efficacemente la fusione tra vescicole. E’ stato proposto che è necessario
l’intervento di altri fattori che completino la funzione fusogenica delle proteine
SNARE. Oltre a proteine che agiscono in un modo diretto, sono noti casi in cui la
fusione è indotta in modo indiretto, ovvero attraverso modificazione enzimatica dei
lipidi di membrana, che vengono resi potenzialmente fusogenici. Tra gli enzimi studiati
per assolvere alla funzione descritta ci sono la fosfolipasi A2 e la fosfolipasi C (Cevc
and Richardson, 1999) ed anche le sfingomielinasi (Epand, 2000).
1.4.5. Difetti di membrana
Un fattore molto importante, enfatizzato da molti autori, nel promuovere la fusione tra
membrane è quello dei difetti associati alla loro struttura. Tuttavia, i difetti di membrana
10
Introduzione
possono diventare fusogenici solo dal momento in cui le membrane vengono in
contatto: vale a dire che sono richiesti altri fattori a monte che stimolino un processo di
aggregazione. E’ stato dimostrato che liposomi fatti di una miscela di lipidi aventi fasi
separate (lipidi saturi e insaturi) si fondono meglio di liposomi ad una sola fase. Anche
l’elevata curvatura, favorendo i difetti di membrana, è stata giudicata come un fattore
positivo per la fusione. La temperatura anche ha effetti non trascurabili, infatti quando
la temperatura è uguale alla Tm dei lipidi, i difetti di membrana sono massimi. (Cevc
and Richardson, 1999).
1.5. Forze molecolari e meccanismo della fusione
Le forze che in questo processo agiscono sui doppi strati lipidici sono molteplici, e
ancora non sono completamente chiarite. Di seguito vengono comunque brevemente
descritte (figura 1.5).
Figura 1.5. Grafico qualitativo relativo all’energia potenziale nel processo di avvicinamento e fusione tra vescicole (adattato da Prostegard & O’Brien, 1987).
Le forze in gioco possono essere considerate separatamente considerando il fatto che
ogni tipologia di forza agisce in momenti diversi del processo. Le diverse forze
assumono una importanza specifica in relazione alla distanza tra le membrane reagenti,
ed inoltre possono essere di tipo attrattivo o repulsivo. La forza elettrostatica può essere
repulsiva o attrattiva, e agisce a grandi distanze, mentre le forze che agiscono a distanza
11
Introduzione
brevi sono generalmente molto intense e sono: la forza attrattiva di van der Waals, le
forze repulsive di idratazione, eventuali forze attrattive dovute alla formazione di
complessi e forze repulsive di riarrangiamento che spesso implicano l’esposizione di
residui idrofobici al solvente o il rivolgimento radicale della geometria dei lipidi. Si può
affermare che le forze di attrazione di van der Waals sono efficienti a distanze
relativamente grandi (qualche nanometro) mentre al momento dell’avvicinamento
esistono forze di intensità maggiori come quelle di idratazioni e quelle steriche. Le forze
associate all’idratazione delle membrane che giungono in contatto sono forti, e
rappresentano una barriera notevole all’avvio della fusione. Le forze di idratazione
dipendono dalla composizione in lipidi della membrana, ed è noto che l’idratazione è
maggiore per la fosfatidilcolina, e minore per la fosfatidiletanolammina.
1.5.1 Possibili intermedi del processo di fusione
Il processo di fusione si realizza mediante la formazione di un intermedio in cui le due
membrane, vincendo le forze di repulsione, vengono a contatto (figura 1.6).
Figura 1.6. Possibili intermedi relativi alla fusione tra membrane (adattato da Cevc & Richardson, 1999).
A seguito di questo contatto, affinché il processo di fusione si realizzi, molti autori sono
d’accordo nell’affermare che si manifesta un’inversione di geometria dei lipidi. La
conformazione delle membrane assume una curvatura negativa nella zona di contatto tra
le membrane. Due meccanismi vengono descritti in letteratura come possibili vie per la
fusione tra membrane. Il primo prevede la formazione di una micella inversa (figura 1.6
a), dove si osserva l’insorgere di una curvatura negativa della membrana.
Conseguentemente, lipidi che hanno una propensione verso una curvatura negativa (ad
12
Introduzione
esempio fosfatidiletanolammina), sarebbero buoni agenti fumogeni. Il meccanismo più
accettato consiste nella formazione di uno stalk (figura 1.6 b), che prevede la
formazione di un doppio strato tra le due membrane interagenti. Tale intermedio, deve
poi distruggersi assottigliandosi a seguito dello stress provocato dall’insorgere di una
grande curvatura negativa.
A seguito della fusione, per ripristinare la sfericità, deve esserci un influsso di acqua,
poiché il prodotto immediato della fusione è una particella con un rapporto
superficie/volume maggiore di quello che compete a una sfera (infatti si sono sommate
le superficie e si è sommato il volume, ma per una sfera il volume aumenta di un fattore
S3/2 e non S1).
1.6. Tecniche utilizzate per studiare la fusione
Lo studio dettagliato della fusione tra popolazioni di vescicole predilige l’ausilio di
molte tecniche. In seguito all’applicazione di una sola metodica, le indicazioni che se ne
deducono possono risultare limitate, per questo motivo è importante verificare le ipotesi
avanzate mediante l’uso incrociato di diversi metodi sperimentali.
(1) La microscopia elettronica è uno strumento molto importante, ma può
manifestarsi inadeguato per la visualizzazione di un intermedio con tempo di
vita limitato.
(2) Luce diffusa e turbidimetria sono utili per lo studio della reattività tra vescicole.
Non forniscono indicazioni dirette sul meccanismo di fusione in questione,
piuttosto rivelano la presenza di un processo.
(3) Il dynamic light scattering (DLS) permette di vedere se in seguito ad un
processo di fusione vi sia un cambiamento di dimensione nella popolazione
risultante. Se il processo di fusione avviene però con basse rese può risultare
difficile renderlo evidente, soprattutto se non vi è un significativo aumento della
dimensione delle particelle.
(4) La fluorescenza (emissione, FRET) è importante perché permette di osservare lo
scambio dei soluti dei compartimenti acquosi o il mescolamento dei lipidi,
13
Introduzione
rendendo possibile una quantificazione degli eventi di incontro e scambio tra i
compartimenti prima separati.
1.6.1. Esempi di sonde fluorescenti o di cromofori:
Le sonde fluorescenti si dividono in idrosolubili e liposolubili. Le prime verranno
intrappolate nella cavità acquosa delle vescicole, le seconde risiederanno invece nella
membrana vescicolare.
(a) Liposolubili:
Rodamina D-C18 La sonda aumenta la resa quantica in seguito a diluizione, questo si
verifica quando avviene il mescolamento tra una popolazione di vescicole contenente
rodamina D-C18 e un’altra popolazione in cui tale sonda è assente.
Derivati del pirene Anche in questo caso in seguito a “diluizione” della sonda si osserva
una variazione della fluorescenza, dalla forma dovuta al dimero a quella dovuta al
pirene monomero.
Rodamina-PE e NBD-PE Le sonde sono mescolate separatamente ognuna con i
corrispettivi lipidi di membrana delle due popolazioni differenti. Quando i lipidi delle
due popolazioni di vescicole reagiscono rimescolandosi, si osserva il fenomeno FRET.
(b) Idrosolubili:
Complesso Tb(DPA)3-3 Si ha formazione di un complesso fluorescente in seguito al
mescolamento dei contenuti acquosi delle due popolazioni di vescicole contenenti i
reaganti separati Tb3+ e DPA2- (entrambi non fluorescenti).
Complesso tra DPX e ANTS Si osserva un aumento di fluorescenza in seguito a
diluizione del complesso intrappolato in una sola popolazione di vescicole e non nella
complementare.
Arsenazo III e Ca2+ Si osserva uno spostamento del λmax di assorbimento in seguito ad
interazione con l’EGTA intrappolato nella popolazione di vescicole complementari.
Tra tutti i saggi fluorescenti sopra descritti, il più utilizzato, nel campo della fusione tra
vescicole è quello inerente alla formazione del complesso Tb(DPA)3-3, mostrato in
figura 1.7 (Wilschut et al., 1980)
14
Introduzione
Figura 1.7. Formazione del complesso fluorescente Tb(DPA)3-
3.
15
Introduzione
1.7. Fusione tra vescicole di carica opposta
In letteratura sono presenti pochi lavori riguardanti la fusione tra vescicole recanti carica
elettrica opposta ed in Tabella 1.1 ne viene riportato un elenco.
Tabella 1.1. Principali lavori riguardanti la fusione tra vescicole di carica opposta. Anno Autori Sistema studiato 1988 Stamatatos et al. A una base neutra di lecitina e fosfatidiletanolammina
vengono aggiunti DOTAP per formare vescicole cationiche e fosfatidilserina per formare quelle anioniche. Si osserva aggregazione e fusione.
1989 Duezgunes et al. Liposomi cationici a base di fosfatidiletanolammina e DOTAP sono fatti reagire, con apparente fusione, con liposomi anionici a base di lecitina e fosfatidilserina.
1996 Marchi-Artzner et al. E’ stata investigata la reattività tra vescicole cationiche di lecitina/stearilammina e vescicole anioniche a base di lecitina/dicetil fosfato.
1997 Yaroslavov et al. Liposomi a base di lecitina con carica positiva impartita da cetilpiridinio, reagiscono, con bassa resa di fusione, con vescicole a carica negativa impartita da cardiolipina o sodio dodecilsolfato.
1997 Bailey & Cullis Liposomi cationici a base di fosfatidiletanolammina e DODAC sono fatti fondere con liposomi anionici a base di lecitina e fosfatidilserina.
1999 Pantazatos & MacDonald La fusione e l’emifusione di vesicole cationiche a base di lecitina, fosfatidiletanolammina e etil-lecitina con vescicole anioniche a base di lecitina e fosfatidilglicerole è stata osservata mediante l’uso di vescicole giganti e videomicroscopia.
2002 Koulov et al. La fusione è stata studiata tra vesicole di lecitina, fosfatidiletanolammina e sali d’ammonio quaternario, e vescicole negative a base di fosfatidiletanolammina e acido fosfatidico.
2003 Pantazatos et al. Liposomi misti lecitina/fosfatidilglicerolo (anionici) e lecitina/etil-lecitina (cationici) sono fatti reagire, rivelando processi di miscelamento di lipidi, rottura e fusione, dipendenti dalla densità di carica.
2003 Lei & MacDonald Fusione tra vescicole giganti di lecitina/fosfatidilglicerolo (anioniche) e lecitina/etil-lecitina (cationiche)
2005 Stebelska et al. Fusione tra vescicole cationiche di DOTAP e vescicole anioniche a base di lecitina e fosfatidilserina.
16
Introduzione
La maggioranza degli studi affrontati nell’ambito della fusione tra vescicole di carica
opposta sono rivolti a vescicole composte di fosfolipidi. Si è visto che la composizione
del doppio strato lipidico influenza fortemente il processo di fusione in virtù delle
molteplici forze che agiscono su di esso. L’utilizzo di doppi strati lipidici caratterizzati
da monomeri a maggiore mobilità può essere una caratteristica importante da tenere in
considerazione nell’approccio a nuovi sistemi di fusione tra vescicole di carica elettrica
opposta. Ci si potrebbe domandare se utilizzando altri tipi di tensioattivi potrebbero aver
luogo processi fusogenici che con i fosfolipidi sono sfavoriti. A partire da questa
considerazione, in questa tesi la fusione è stata infatti studiata con vescicole miste
contenenti un’elevata percentuale di lipidi semplici.
La fusione mediata da vescicole recanti carica elettrica opposta è vantaggiosa. Il
prodotto ottenuto è meno reattivo dei reagenti (neutralizzazione delle cariche). Nelle
giuste condizioni di bilanciamento tra le cariche, si rendono improbabili eventi
successivi di fusione “aspecifica”.
Tra i lavori pubblicati, riportati in tabella, il più interessante è quello di MacDonald e
collaboratori (Pantazatos & MacDonald, 1999).
Questo lavoro ha grande rilevanza perché testimonia in modo diretto la fusione tra
vescicole contenenti fosfolipidi carichi. L’evidenza di un processo di fusione è riportato
grazie all’utilizzo di tecniche di video-microscopia (figura 1.8) che consentono di
osservare il processo di incontro tra una coppia di vescicole. Si è visto che il processo di
fusione si completa entro pochi millisecondi dopo il contatto (< 30 ms).
Figura 1.8. Video sequenza della fusione tra vescicole (10 µm-17 µm)di carica opposta (Pantazatos & MacDonalds 1999).
Quando la percentuale di lipidi carichi è ridotta, l’interazione tra le due vescicole
cambia, diminuendo l’azione di appiattimento tra le vescicole. Quando invece la
frazione molare di lipidi carichi è >70%, (ed i lipidi cationici nelle vescicole positive
17
Introduzione
eguagliano la percentuale dei lipidi anionici delle vescicole negative) la fusione si
verifica immediatamente dopo il contatto. La diversa reattività di tali vescicole è stata
documentata in tre processi: fusione, emifusione (i monostrati lipidici esterni di ogni
vescicola risultano fusi, mentre i monostrati interni rimangono intatti) e “rottura” con
perdita dei contenuti. In figura 1.9 è riportato un meccanismo ipotetico di interazione tra
vescicole con carica opposta.
Figura 1.9. Meccanismo di fusione proposto (Pantazatos & MacDonalds 1999).
Il meccanismo proposto prevede che l’attrazione elettrostatica porti ad un
“appiattimento mutualistico” delle vescicole facendo emergere in questo modo una
forza di tensione sulla membrane. Se l’energia di adesione è bassa non vi sarà
sufficiente appiattimento tra le vescicole tale da generare una forza che possa portare
alla fusione, e l’intermedio di emifusione diventa indefinitamente stabile. A seguito di
questi studi, si crede che il processo di fusione si verifichi solo quando si supera una
soglia di concentrazione di lipidi carichi.
1.8. Vescicole a base di tensioattivi cationici
L’auto-organizzazione di molecole anfifiliche cationiche in strutture vescicolari offre
l’opportunità di mimare complessi supramolecolari simili alle membrane biologiche e di
sviluppare trasportatori artificiali di molecole (terapia genica). E’ proprio quest’ultima
potenziale applicazione dei tensioattivi cationici che ne ha stimolato lo studio delle loro
18
Introduzione
proprietà, sia in assenza che in presenza di materiale genico. Tra le varie molecole
cationiche con caratteristiche anfifiliche che sono state sottoposte a tali studi, la famiglia
dei sali d’ammonio quaternario riveste un ruolo importante. In figura 1.10 sono
mostrate le formule di struttura dei due composti utilizzati in questa tesi:
didodecildimetilammonio bromuro (DDAB) e diottadecildimetilammonio bromuro
(DODAB).
Figura 1.10. Formule di struttura dei tensioattivi cationici utilizzati.
Le proprietà delle vescicole formate da tali tensioatiivi (puri o in miscela con altri
composti) sono meno note di quelle delle vescicole lipidiche neutre o cariche
negativamente. Il DDAB è un tensioattivo a doppia catena appartenente alla classe dei
tensioattivi cationici ammonici quaternari. La formazione di vescicole composte di tali
molecole anfiliche totalmente sintetiche è stata riportata da Kunitake & Okahata nel
1977, mediante semplice dispersione di DDAB in acqua, seguita da sonicazione.
In accordo con il valore di packing parameter (Israelachvili et al., 1976) P = vc / (lcao) =
0.62 (Warr et al., 1988), (dove vc indica il volume dalla catena alchilica, (lc), la
lunghezza, e (ao) l’area della testa idrofila), la formazione di vescicole di DDAB è un
evento possibile.
Molti studi sono stati dedicati al diagramma di fase del sistema binario DDAB/acqua,
dai quali si evince che la formazione di vescicole multilamellari (Caboi & Monduzzi,
1996) per concentrazioni di DDAB superiori al 30% wt, mentre il valore di c.v.c.
(critical vesicle concentration) è stato determinato (6.5 × 10-6 g/ml) (Matsumoto et al.,
19
Introduzione
1989) semplicemente dissolvendo il solido nell’acqua. Matsumoto ha riportato un
diametro di 10-12 nm per queste vescicole sferiche usando il light scattering e la
microscopia elettronica (Matsumoto, 1992). Un lavoro interessante (Fontana et al.,
2003), descrive il comportamento di vescicole di DDAB a seguito della presenza di un
secondo tensioattivo (a singola catena) di differente idrofobicità. Si osserva, in tali
condizioni, la rottura di vescicole formate spontaneamente.
Le vescicole sono anche state sottoposte a stress osmotici, allo scopo di usare le
vescicole di DDAB come un modello per il rilascio di molecole, utilizzando come forza
guida del processo la pressione osmotica. Lo stress osmotico è generato dall’addizione
di sali sia dentro (stress ipertonico) che al di fuori (stress ipotonico) delle vescicole.
Come detto, se dispersi in acqua, questi tensioattivi cationici di solito formano una fase
lamellare liquida cristallina (lc phase) sopra un certo valore di concentrazione (c.v.c.) ed
a una certa temperatura, Tm, la principale temperatura di transizione. La transizione di
fase si manifesta tra la cosiddetta fase gel (gel-phase) e la fase lamellare (lamellar
phase). Nel caso della fase lamellare liquido-cristallina le catene laterali del tensioattivo
risultano essere in uno stato liquido, inteso come un considerevole disordine
conformazionale, caratterizzato da conformazioni sfalsate nella geometria molecolare.
Nella fase gel le catene risultano invece completamente estese in una configurazione
tutta trans dimostrando una dinamicità di movimento più bassa. La temperatura di
transizione stimata per il DDAB è intorno a 10-15 ºC (Marques et al., 2002; Feitosa et
al., 2006). Lavori recenti (Thomas & Luisi, 2004) descrivono la possibilità di
aggiungere il tensioattivo cationico a vescicole preformate neutre. Ciò si rivela
interessante perché consente di ottenere vescicole cationiche stabili a partire da
vescicole preformate aventi una determinata morfologia (esempio una size distribution
stretta).
Alla stessa classe di tensioattivi cationici ammonici appartiene il (DODAB). La
differenza che lo contraddistingue dalla molecola descritta sopra è la maggiore
lunghezza delle due catene idrofobiche (18 atomi di carbonio per il DODAB, 12 per il
DDAB). Questa caratteristica influenza la sua temperatura di transizione facendola
salire ad un valore di circa 40 ºC. Spesso in letteratura sono riportate discrepanze
riguardo alla temperatura di transizione dalla fase gel a quella liquida di queste
vescicole. La temperatura di transizione di questo lipide sintetico dipende dal metodo di
preparazione, dalla concentrazione, e dalla natura del controione (Br, Cl) (Festosa et al.,
20
Introduzione
2000). E’ stato riportato, ad esempio, che all’aumento del tempo di sonicazione delle
vescicole, la temperatura di transizione diminuisce (Brito & Marques., 2005). Questo
fenomeno è associato con la formazione di aggregati ad alta curvatura dove la
cristallizazione è cineticamente ostacolata. Le proprietà termiche e strutturali delle
vescicole di DODAB Benatti at al., 1999, 2001; Feitosa et al., 2000), o vescicole miste
di DODAB e fosfolipidi (Linseisen et al., 1996) o di DODAB e altri tensioattivi
(Blandamer et al., 1995; Cocquyt et al., 2004) sono state oggetto di intenso studio.
1.8.1. Rilevanza dei tensioattivi cationici per la terapia genica
La terapia genica è divenuta una possibilità per il trattamento di malattie come il cancro.
La sua efficacia è considerevolmente dipendente dal sistema di trasferimento utilizzato,
il quale deve essere efficace e selettivo per il sito bersaglio. Per la terapia genica in
vivo, i sistemi virali sono rapidamente eliminati dall’organismo, limitando il trasporto ai
primi organi con cui vengono in contatto, come il fegato e la milza. Inoltre i vettori
virali possono indurre la risposta immunitaria. Sulla base di queste considerazioni,
sistemi di trasporto non virali come lipidi cationici o polimeri cationici sono stati
studiati come possibili alternative. La natura complementare tra il DNA carico
negativamente e i lipidi cationici, rende la formazione di tali complessi particolarmente
favorevole. Tali complessi vengono spesso chiamati impropriamente “liposomi”.
Tuttavia alcuni autori preferiscono parlare più cautamente di “lipoplessi”. Si pensa
infatti che il DNA sia semplicemente legato (invece che incapsulato) con le vescicole
cationiche unilamellari, mediante dalle interazioni elettrostatiche. Sono anche state
rilevate strutture multilamellari condensate, attraverso la diffrazione a raggi-X e
l’utilizzo della microscopia elettronica (Lasic et al., 1997). Il meccanismo di entrata del
DNA esogeno nelle cellule transfettate (e successivamente nel loro nucleo) non è stato
ancora chiarito.
1.9. Vescicole anioniche a base di acido oleico/oleato
Gli acidi grassi sono acidi carbossilici a catena lunga (generalmente C10- C18), satura o
insatura. Se presenti, i doppi legami hanno una configurazione cis. Questi composti
21
Introduzione
sono presenti nelle cellule poiché vengono largamente utilizzati per la biosintesi dei
fosfolipidi di membrana (in special modo, acidi grassi C16, C18). Tuttavia, è stato
dimostrato che essi stessi possono formare vescicole.
Il comportamento fisico degli acidi grassi è abbastanza complesso, e dipende spesso
dalla composizione degli acidi grassi, dallo stato di ionizzazione, dalla temperatura,
dalla lunghezza della catena e dal tipo di controione cationico. A seguito della loro
ionizzazione in ambiente alcalino, si ha la formazione della base coniugata, che riveste
un ruolo chiave nel processo di auto-organizzazione. In particolare è noto che, solo in
un intervallo relativamente ristretto di pH, si ha la formazione di vescicole di acidi
grassi. La temperatura ha un effetto che riguarda la fluidità delle catene laterali, ed è
responsabile della transizione gel-liquido di questo tipo di membrane. Infine, questi
tensioattivi hanno valori di c.a.c. (concentrazione di aggregazione critica) generalmente
superiori a quelle dei fosfolipidi, in virtù della loro piu alta solubilità in acqua.
L’acido oleico (Figura 1.11 A) è l’acido grasso più utilizzato in questi studi (Cistola et
al., 1986; Hargreaves et al., 1978; Luisi et al., 2004). La capacità di formazione di
membrane è dovuta al fatto che – per pH intermedi – è possibile la formazione di un
dimero di coordinazione tra l’acido oleico e la sua base coniugata, l’oleato (Figura 1.11
B). Sebbene il pKa dell’acido oleico monometrico è 4.8 (Cistola et al., 1986), le
osservazioni riportate hanno indicato che il pKa dell’acido oleico in aggregati
vescicolari (pKa apparente) è di circa 8 ÷ 8.5 (Heines, 1983). La differenza tra i due
valori è dovuta al fatto che gli aggregati hanno una alta densità superficiale di carica
negativa che “sequestra” i protoni sulla superficie della membrana, innalzano quindi il
pKa.
22
Introduzione
Figura 1.11. Formule di struttura dell’acido oleico (A) e del suo dimero con l’oleato (B).
Per valori di pH diversi, come mostrato in figura 1.12, sono presenti anche altre forme
di aggregazione. In particolare, per pH superiori a 10 si ha la formazione di micelle di
oleato, mentre quando pH<7 l’acido oleico si separa come olio e non dà origine ad
aggreagati supramolecolari ordinati.
Figura 1.12. Diagramma di fase dell’acido oleico a diversi pH (da Rasi, 2003).
La spiegazione empirica di questo comportamento è da ricercarsi nello studio del
packing parameter P (Israelachvili et al., 1976). Infatti, se completamente deprotonato,
l’acido oleico si trasforma in anione oleato, il quale, in virtù della propria forma conica
(P < 1/3), si auto-organizza in strutture micellari. Viceversa, come detto sopra, la
23
Introduzione
formazione di un dimero acido oleico:oleato è caratterizzata da una forma quasi-
cilindrica (P ≈ 0.5 ÷ 1) che è invece tipica di geometrie lamellari.
La temperatura di transizione gel-liquido per l’acido oleico è pari a circa 10-15 °C, e
quindi, a temperatura ambiente, le vescicole di acido oleico si trovano sempre in uno
stato fluido. Questo premette una facile manipolazione di tali campioni, che risultano
anche generalmente stabili.
Un altro parametro importante è la concentrazione di aggregazione critica (c.a.c.).
Diversi studi indicano valori diversi di c.a.c. per l’acido oleico, probabilemente dovuti a
diversi fattori come il tipo di tampone utilizzato, la forza ionica e il pH. Un valore
generalmente accettato (Meyer, 1999) per tale c.a.c. è di circa 20 µM (in tampone bicina
200 mM, pH 8.8).
I dati chimico-fisici relativi all’acido oleico sono riassunti in Tabella 1.2 (Rasi, 2003).
Tabella 2. Caratteristiche chimico-fisiche di vescicole di acido oleico/oleato di sodio pKa c.a.c. (µM) Tm (°C) Area della testa
polare (Å2) Spessore della membrana (nm)
8-8.5 21 10 32 40
Una caratteristica peculiare delle vescicole di acidi grassi (e quindi di quelle a base di
oleato) è il rapido equilibrio tra molecole in forma monomerica e quelle in forma
aggregata. Tale concetto, schematizzato in Figura 1.13, rende le vescicole di acidi grassi
diverse dalle più classiche vescicole di fosfolipidi. Ci si può chiedere quindi se tali
sistemi siano definibili in equilibrio termodinamico (come le micelle) o siano piuttosto
analoghi a sistemi intrappolati cineticamente (come i liposomi). Se si eseguono degli
esperimenti mirati a rispondere a tale quesito si ottengono risultati contrastanti. Ad
esempio, è possibile estrudere le vescicole di acido oleico, ottenendo campioni che
mantengono tale dimensione per tempi ragionevolmente lunghi. Questo suggerirebbe
che vescicole di acido oleico siano strutture intrappolate dal punto di vista cinetico.
D’altro canto, a seguito della diluizione di vescicole fino a valori di concentrazione
minori della c.a.c., si osserva una riduzione e/o scomparsa delle vescicole. Questo
comportamento è invece caratteristico di sistemi all’equilibrio.
24
Introduzione
Figura 1.13. Rappresentazione schematica dell’equlibrio tra vescicole e monomeri di acido oleico/oleato (da Rasi, 2003).
1.9.1. Acidi grassi e membrane prebiotiche
L’acido oleico – e gli acidi grassi in generale – hanno attratto l’attenzione di vari gruppi
di ricerca poiché questi composti sono dei potenziali candidati alla formazione di
membrane prebiotiche. Infatti, grazie alla loro natura chimica semplice è possibile
immaginare una loro formazione abiotica (ad esempio per ossidazione di composti a
lunga catena idrocarburica). Inoltre, il ritrovamento di acidi grassi negli estratti di
alcune meteroriti (chiamate carbonaceous chondrites, celebre è il meteorite di
Murchison, caduto nel 1969 nell’omonima cittadina australiana) porta a pensare che tali
composti siano relativamente comuni e che si formino spontaneamente.
Le ricerche riguardanti le proprietà delle vescicole di oleato sono tra le più varie, e
comprendono la trasformazione da micelle di oleato a vescicole (Chen & Szostak,
2004), lo studio della loro auto-riproduzione e del “matrix effect” (Berclaz et al., 2001,
Rasi et al., 2003), la competizione tra vescicole di diversa dimensione o diverso
contenuto (Cheng & Luisi, 2003; Chen et al., 2004), la reattività verso tensioattivi
cationici (Thomas & Luisi 2004).
1.10. Rilevanza della fusione nei processi biologici
La fusione tra membrane cellulari è un evento molto frequente e necessario per il
regolare funzionamento delle cellule. Infatti la fusione tra membrane entra in gioco nei
noti processi di infezione virale, esocitosi, endocitosi, trasmissione sinaptica, trasporto
25
Introduzione
mediato da vescicole e divisione cellulare. Dato il numero elevato di processi associati
alla fusione tra membrane, è facile immaginare come, in una cellula, gli eventi di
fusione siano molto frequenti. In questo paragrafo verranno descritti sia i processi di
fusione tra cellule (che sono stati recentemente descritti come vie potenziali di terapia
genica), sia alcuni dettagli del traffico vescicolare, sia nuovi aspetti della trasmissione
sinaptica (mediante il meccanismo chiamato “Kiss-and-run”).
1.10.1. Fusione tra cellule
Sebbene ogni cellula venga considerata come una unità distinta, è stato osservato che
due o più cellule si possono fondere. Un gran numero di eventi di fusione tra cellule
sono stati studiati in dettaglio, tra i quali: l’accoppiamento tra cellule di lievito, la
fusione delle cellule epidermiche di C. elegans, la fusione del mioblasto, la
fertilizzazione, la fusione del trofoblasto nella placenta, la fusione di macrofagi, e la
fusione di cellule staminali. Inoltre, alcuni autori (Brenda et al., 2005) propongono che
la fusione tra cellule possa promuovere il processo di differenziazione cellulare,
l’emergenza di nuovi virus e la genesi di cellule tumorali.
In figura 1.14 sono schematizzati diversi casi di fusione tra cellule ed il tipo di cellula a
cui daranno origine. Le nuove cellule formate da diversi tipi di esse sono chiamate
heterokaryon, per enfatizzare l’origine eterologa delle cellule multinucleate. Mentre la
formazione di un sincizio (cellula contenente due o più nuclei, di solito avente una
grande massa continua di citoplasma, formatasi in seguito alla fusione di due o più
cellule dello stesso tipo), avviene spontaneamente e può essere infatti trovato in tessuti
normali, inizialmente si pensava che l’heterokaryon si formasse solo in sistemi
sperimentali a seguito di una induzione (Harris et al., 1965). Studi condotti trapiantando
fibroblasti e cellule staminali in animali da esperimento hanno mostrato che
l’heterokaryon si può formare spontaneamente in vivo (Gibson et al., 1995; Gussoni et
al., 2002). I synkarions, che sono stati recentemente osservati in vivo (Wang et al.,
2003; Ogle et al., 2004), sono cellule che si formano in seguito ad un processo di
fusione e contengono un singolo nucleo originato dalla fusione tra i nuclei (alla quale
segue una ridistribuzione dei cromosomi e la perdita selettiva di alcuni di essi). Il
synkaryon si formerebbe da un heterokaryon, che risulterebbe in questo caso un
intermedio. L’utilizzo meglio conosciuto di un synkaryon si deve a Kohler e Milstein
che nel 1975 fusero insieme cellule derivate di un mieloma murino con cellule B
26
Introduzione
derivanti da un topo immunizzato utilizzando come agente fusogeno il polietilene
glicole (PEG). Di seguito sono riportati alcuni esempi di processi coinvolgenti la
fusione tra cellule.
Figura 1.14. Cellule derivanti da fusione. a. Cellule della stessa linea fuse per formare un cellula con nuclei multipli (>2), conosciuto come sincizio. Le cellule fuse possono avere un fenotipo alterato e funzioni nuove come quella di barriera. b. Cellule di linee diverse fuse a formare una cellula con nuclei multipli (>2), conosciuta come heterokaryon. Le cellule dopo la fusione potrebbero revertere il fenotipo o mostrare transdifferenziazione. c. Cellule della stessa linea o di linee diverse si fondono per formare una cellula con un singolo nucleo, conosciuto come synkaryon. Nuove funzioni possono includere la reversione del fenotipo, transdiffereziazione a proliferazione. Se i nuclei si fondono, le cellule fuse possono inizialmente conservare l’intero materiale genetico di entrambi i partners di fusione (4N), ma all’ultimo sono persi o riassorbiti (vedi frecce). Se la fusione dei nuclei non avviene, un heterokaryon (o sincizio) può diventare un synkarion attraverso il rilascio di un intero nucleo.
(a) Tessuti come quello epatico, muscolare, osseo e cartilagineo si rigenerano dopo i
danni. La rigenerazione dovrebbe coinvolgere la proliferazione e la differenziazione
delle cellule staminali che risiedono sul luogo o che migrano nel tessuto danneggiato in
risposta a segnali di stress (van Bekkum, 2004). Si ritiene che le cellule staminali si
fondano con una cellula parenchimatica già correttamente posizionata. In seguito, la
27
Introduzione
cellula che si è fusa potrebbe crescere e/o dividersi; in ogni caso le cellule sane
provvederebbero al giusto orientamento necessario per restituire la funzione del tessuto.
Sebbene la fusione spontanea delle cellule potrebbe essere richiesta per lo sviluppo e il
riparo dei tessuti, essa potrebbe comportare dei rischi, dovuti ad eventi di
ricombinazione del materiale genetico, che potenzialmente potrebbero essere coinvolti
nella genesi di tumori o nell’emergenza di nuovi agenti virali.
(b) Fusione nel lievito: l’accoppiamento di cellule di tipo “a” con cellule di tipo “alfa”
implica l’arresto del ciclo, la degradazione della parete cellulare, la crescita polarizzata
delle cellule, seguita da una giustapposizione e fusione delle membrane. Sebbene
estensivi screening genetici sono stati condotti su ceppi di lievito difettivi
nell’accoppiamento, non sono stati trovati mutanti nel quale il processo di fusione tra le
membrane non sia presente, probabilmente per una ridondanza di funzione dei fattori
coinvolti. Nella fase sessuale di S. cerevisiae, due cellule apolidi si fondono per formare
una cellula diploide ed in seguito due nuclei apolidi si fondono per formare un nucleo
diploide. Gli studi con mutanti difettivi nella fusione tra i nuclei hanno identificato
diversi geni che, quando mutati, prevengono la fusione dei nuclei (Rose, 1996).
(c) Fusione delle cellule epidermiche di C. elegans: Il nematode C. elegans fornisce un
sistema per studiare la fusione tra cellule, perché un terzo delle sue 959 cellule
somatiche si fonde per formare 44 sincizi multinucleati. La fusione si realizza durante lo
sviluppo del nematode ed è richiesta per la formazione di diversi organi (Shemer &
Podbilewicz, 2000; 2003). La fusione delle cellule epidermiche è stata quella meglio
caratterizzata. Screens genetici per mutanti difettivi hanno identificato un gene
potenzialmente fusogeno nominato ephithelian fusion failure 1 (eff-1) che codifica per
una proteina contenente un dominio trans-membrana ed un peptide idrofobico
extracellulare (EHP) che è richiesto per la fusione (Mohler et al., 2002; del Campo et
al., 2005).
(d) Fusione del mioblasto in Drosophila: La fusione di mioblasti mononucleati per
formare fibre muscolari multinucleate è un passo essenziale per la differenziazione del
muscolo scheletrico. Gli embrioni di Drosophila contengono due popolazioni destinate
a fondersi. Studi genetici in Drosophila hanno identificato due classi di proteine
richieste per la fusione del mioblasto. Una classe include proteine transmembrana con
un dominio delle immunoglobuline (Ig) (Ruiz-Gomez et al., 2000; Artero et al., 2001),
28
Introduzione
l’altra è composta da fattori di segnale intracellulari (Hakeda-Suzuki et al., 2002;
Brugnera et al., 2002).
(e) Fertilizzazioni dei mammiferi: La fertilizzazione è forse la forma di fusione tra
cellule meglio conosciuta. Come nel lievito, la fusione delle membrane tra lo
spermatozoo e l’uovo si manifesta in seguito ad eventi di pre-fusione, che comprendono
la penetrazione del monostrato lipidico esterno dell’oocita da parte dello spermatozoo, e
la secrezione di enzimi per la penetrazione nello spazio perivitellino dove avviene la
fusione tra le membrane plasmatiche dello spermatozoo e dell’uovo. Molte proteine
sono state identificate come necessarie per questo processo, ma la sola proteina che si è
dimostrata indispensabile per la fusione è appartenente alla famiglia CD9,
comprendente proteine sulla superficie dell’uovo che contengono quattro domini
transmembrana (Primakoff & Myles, 2002; Kaji & Kudo, 2004).
(f ) Altri esempi di fusione tra cellule sono stati studiati come: la fusione del trofoblasto
alla placenta durante lo sviluppo dell’embrione dei primati, la fusione dei macrofagi a
formare cellule multinucleate nello sviluppo degli osteoclasti e nei processi di risposta
immunitaria ed inoltre la fusione delle cellule staminali. I fattori implicati in
quest’ultimo processo sono completamente sconosciuti. L’identificazione degli agenti
fusogeni responsabili della fusione tra cellule eucariotiche è stata più difficoltosa
dell’identificazione di quelli che mediano la fusione cellula-virus, dal momento che le
cellule eucariotiche esprimono sulla superficie una notevole quantità di glicoproteine.
La lista delle proteine eucariotiche coinvolte nella fusione tra cellule è incompleta dal
momento che nuove proteine fusogene vengono regolarmente scoperte ed alcune di esse
sono già conosciute per assolvere ad altre funzioni come ad esempio la regolazione
genica.
Applicazioni terapeutiche della fusione tra cellule
Forse l’applicazione meglio conosciuta che utilizza la fusione tra cellule è la produzione
di anticorpi monoclonali mediante l’utilizzo di ibridomi. La fusione cellula-cellula è
stata anche esplorata per lo sviluppo di nuove e più efficaci immunoterapie contro il
cancro. L’immunoterapia convenzionale utilizza vaccinazioni utilizzando cellule
dendridiche che esprimono specifici antigeni antitumorali (Trefzer & Walden, 2003;
Blattman & Greenberg, 2004). La fusione di cellule tumorali con le cellule dendridiche
intatte produce ibrodomi che esprimono lo spettro completo di antigeni associati al
29
Introduzione
tumore. La vaccinazione con questi ibridomi si è dimostrata l’immunoterapia più
efficace contro il cancro (Trefzer et al., 2004).
Inoltre anche l’iniezione intramuscolare di mioblasti normali all’interno di topi
distrofici ha portato all’espressione di distrofina in muscoli distrofina-negativi
(Patridge, 2002).
L’amplificazione della fusione cellula-cellula può incrementare efficacemente la terapia
genica in vivo per specifici tessuti bersaglio.
1.10.2. Traffico vescicolare
Il trasporto tra cellule e/o sistemi intracellulari è mediato dalle vescicole, le quali sono
piccoli organelli che gemmano dalla membrana di un compartimento, caricando
all’interno il contenuto da trasportare, e si fondono con la membrana del compartimento
di destinazione. Entrambi gli eventi di gemmazione e fusione sono resi specifici
attraverso la mediazione di proteine che rivestono la membrana delle vescicole. Le
proteine del rivestimento funzionano come indicatori di posizionamento del carico da
trasportare. Le tre classi di proteine di rivestimento sono le proteine del rivestimento di
clatrina (mediano il trasporto delle vescicole dal Golgi alla membrana plasmatica), la
proteine del rivestimento COP I (dal Golgi al reticolo endoplasmatico ed altri
compartimenti del Golgi), e le proteine del rivestimento COP II (dal reticolo
endoplasmatico al Golgi). La clatrina è un esamero assemblato a forma di cesto, che
forma un complesso con altre proteine di adaptina, le quali provvedono alla specificità
del carico e funzionano anche da supporto strutturale. Le proteine del rivestimento di
clatrina gemmano, insieme alla vescicole, crescendo dalla membrana del Golgi e sono
pizzicate via dalla dinamina. Il processo è mediato dalle proteine ARF che hanno
attività GTPasica. Il rivestimento di clatrina viene perso una volta che le vescicole sono
gemmate. Le vescicole rivestite dalle proteine COP I e COP II si formano allo stesso
modo.
Le proteine della famiglia SNARE sono proteine transmembrana che esistono in forma
complementare, v-SNAREs (si trovano sulla membrana delle vescicole) e t-SNARE
(sulla membrana bersaglio). Le SNAREs complementari si legano a formare un
complesso trans-SNARE, consentendo alle due membrane di venire in contatto. Si
pensa che la fusione delle membrane sia dovuta anche all’attivita delle SNAREs, le
quali in seguito all’attracco della vescicola formano un complesso che tende ad
30
Introduzione
escludere le molecole d’acqua dall’interfaccia delle due membrane e permette ad esse di
venire in contatto. Le proteine Rab sulla superficie delle vescicole sono riconosciute
dagli effettori di Rab sul bersaglio, e sono necessarie per facilitare il legame specifico
delle proteine SNARE. NSF catalizza la separazione del complesso formato dalle
proteine SNAREs cosicché esse possono essere riutilizzate.
Fig 1.15. Meccanismo di fusione mediato dalle proteine SNARE (da Bonifacino et al., 2004)
1.10.3. Kiss and run
Il destino delle membrane secretorie dopo la fusione con la superficie delle cellule è
stato al centro di un dibattito interessante per almeno 30 anni.
Quando un impulso elettrico viaggia verso la fine di una cellula neuronale induce il
rilascio di agenti chimici nello spazio tra i neuroni (sinapsi). Questi neurotrasmettitori
stimolano l’attività elettrica del neurone vicino. I neuroni immagazzinano i
neurotrasmettitori nelle vescicole, le quali aspettano vicino alla membrana cellulare il
segnale per il rilascio dei loro contenuti nella sinapsi.
A livello delle terminazioni nervose, il numero limitato delle vescicole sinaptiche e
spesso l’elevato numero di potenziali d’azione che vi giungono, richiedono che un
efficiente macchinario sia presente in loco per ricostituire il pool di vescicole, per
sostenere il flusso dell’informazione attraverso le sinapsi. La ricostruzione delle
vescicole richiederebbe una complessa serie di passaggi che impiegherebbe un tempo
troppo grande per sostenere la domanda del circuito neuronale. I ricercatori di questo
campo sospettano che i neuroni abbiano escogitato un meccanismo che definiscono
“Kiss and run”: le vescicole si aprono brevemente, rilasciano il neurotrasmettitore, si
staccano improvvisamente e risultano pronte per un nuovo ciclo di rilascio dell’agente
chimico intrappolato (figura 1.16). I primi lavori che descrivevano il riciclo delle
vescicole sinaptiche sono di molti anni fa (Heuser & Reese 1973, Ceccarelli et al.,
31
Introduzione
1973), ma il dibattito sul meccanismo responsabile di questo evento ancora persiste. Il
dibattito sul meccanismo di recupero delle vescicole inizia dall’interpretazione delle
immagini di ultrastrutture nelle terminazioni sinaptiche dopo un intenso fuoco di
potenziali d’azione.
Sono state recentemente riportate alcune osservazioni molto interessanti riguardo questo
meccanismo di fusione (Aravanis et al., 2003). Le vescicole furono riempite con una
sonda fluorescente e venne osservato che essa fuoriesce quando le vescicole si aprono.
Molte vescicole rilasciavano solo una parte della sonda, indicando che le vescicole si
erano chiuse prima che tutto il materiale intrappolato fosse stato rilasciato. In seguito ad
impulsi successivi qualche vescicola rilasciava altro materiale fluorescente, dimostrando
che delle vescicole singole si trovavano sul luogo e potevano essere riutilizzate.
Uno dei lavori più recenti (Harata et al., 2006), conferma sperimentalmente che il
processo di Kiss-and-Run non solo ha luogo, ma che anche è molto più comune di
quanto si pensi. E’ stata utilizzata una nuova tecnica di fluorescenza che evidenzia come
la fusione di vescicole a livello delle sinapsi dell’ippocampo segua prevalentemente un
processo di Kiss-and-run, modulabile anche dalla frequenza dello stimolo. Si pensa che
il processo di Kiss-and-run sia necessario per conservare le risorse durante un periodo
in cui gli stimoli sono a bassa frequenza e assicurare che le sinapsi dell’ippocampo, al
momento della domanda, possano rispondere con un consistente numero di vescicole
competenti per la fusione. Questi studi spingono ad considerare il Kiss-and-run come la
via principale della fusione delle vescicole nelle sinapsi e identificano la frequenza di
stimolazioni come il fattore che modula la prevalenza del Kiss-and-run.
Figura 1.16. Fasi del meccanismo Kiss-and-run. (da Schneider 2001).
32
Scopo della tesi
2. SCOPO DELLA TESI
Il presente lavoro di tesi ha come argomento lo studio delle proprietà e della reattività di
vescicole anioniche e cationiche, con particolare riguardo alla fusione.
Come discusso nell’introduzione, la fusione di membrane biologiche è un importante
processo fisiologico delle cellule. I liposomi, d’altro canto, sono modelli di membrane
biologiche molto usati, e nel corso degli ultimi anni gli studi sulla fusione tra vescicole
sono stati diversi e di varia natura.
La possibilità di utilizzare lo ione calcio come induttore del processo di fusione tra
vescicole è stata dimostrata utilizzando liposomi anionici di fosfatidilserina (Wilshut et
al. 1980). Anche le proteine della famiglia SNARE sono state ricostituite nelle
membrane dei liposomi per osservare se esse sono in grado di fondere le vescicole
(Xiaocheng et al. 2006).
Una possibile strategia alternativa per l’induzione della fusione tra membrane è quella
relativa a liposomi recanti carica elettrica opposta. Su questo argomento non sono stati
pubblicati molti lavori, anche se ve ne sono alcuni molto interessanti (Pantazatos &
MacDonald, 1999). La fusione tra vescicole anioniche e cationiche è un evento
possibile, ma che va approfondito per conoscere in che modo sia modulabile l’intrinseca
attrazione elettrostatica tra cariche opposte al fine di ottenere alte rese di fusione.
L’importanza di questi studi sta nel fatto che la fusione sarebbe spontanea, senza
l’intervento di sofisticati meccanismi di regolazione e/o di proteine, e inoltre sarebbe
auto-regolata, in quanto il prodotto di fusione, avente verosimilmente una densità di
carica minore dei reagenti, avrebbe una reattività minore degli stessi. Pertanto, questo
sistema fusogenico rappresenta un importante modello di fusione prebiotica tra
protocellule.
In questa tesi si è cercato di studiare le proprietà dell’acido oleico sotto l’aspetto della
reattività verso vescicole cationiche. Le vescicole di acido oleico (e di acidi grassi più in
generale), sono state oggetto di recenti investigazioni, vista la loro possibile rilevanza
nel campo dell’origine della vita (vedi introduzione). Esse hanno dimostrato di
possedere importanti proprietà che le candidano ad essere delle possibili protocellule
(Luisi et al., 2004; Chen et al., 2004, Hanczyc et al., 2003). Un capitolo nuovo
33
Scopo della tesi
riguardante la reattività delle vescicole di acidi grassi con altri tensioattivi cationici è
stato aperto nel laboratorio del professor Luisi (Thomas & Luisi 2004). In particolare, si
è studiata la capacita dell’oleato di interagire con vescicole composte da un tensioattivo
cationico sintetico (DDAB). Quando mescolate per specifici rapporti molari, dalle due
popolazioni ne emerge una nuova di vescicole catanioniche, monodispersa, e di 100 nm
di raggio. Si è deciso di approfondire questo aspetto della reattività tra vescicole per
capire se il processo alla base del fenomeno osservato corrisponda ad un evento di
fusione tra vescicole cationiche ed anioniche.
Sulla base di quanto detto, lo scopo di questa tesi sarà quello di studiare la fusione di
vescicole anioniche (oleato) e cationiche (DDAB) attraverso la tecniche convenzionali
utilizzate per lo studio delle proprietà dei liposomi (DLS, turbidimetria, mobilità
elettroforetica) e come goal finale quello di capire se – e con quale efficienza – vi sia un
evento di fusione, con conseguente rimescolamento dei rispettivi contenuti acquosi (tale
analisi è possibile attraverso un test di fluorescenza).
Nella prima fase verranno studiate e ottimizzate le condizioni per la preparazione di tali
vescicole di oleato e DDAB, affinché esse risultino stabili, e soprattutto garantendo una
buona percentuale d’intrappolamento di sonde fluorogeniche idrosolubili.
Lo studio della reattività prevede invece la variazione di alcune condizioni, come la
forza ionica della soluzione tampone e i rapporti molari fra tensioattivi anionici e
cationici. Per estendere le conoscenze riguardo alla dipendenza della reattività dalla
tipologia del tensioattivo utilizzato, verranno messi a confronto diverse specie
cationiche, DDAB e DODAB, con diverse specie anioniche, oleato e POPS. Infine verrà
elaborato un sistema che consentirà di quantificare la percentuale le vescicole che hanno
reagito e quante di esse mantengano ancora al loro interno, dopo la reazione, la sonda
fluorescente.
La strategia complessiva prevede quindi l’ottimizzazione delle condizioni per la
preparazione di vescicole anioniche e cationiche stabili, ad alta capacità di
intrappolamento di soluti, e la successiva separazione, in modo riproducibile, dei soluti
non intrappolati attraverso la cromatografia ad esclusione dimensionale.
In figura 2.1 è mostrato schematicamente il processo e la metodologia che si intende
seguire. Vescicole cationiche, preparate con DDAB o DODAB, puri o in miscela con
POPC verranno fatte reagire con vescicole anioniche, a loro volta preparate a partire da
acido oleico/oleato o POPS, in miscela con POPC. A seguito della fusione, si prevede la
34
Scopo della tesi
formazione di una o più specie vescicolari (nello schema è indicato il caso ideale). Per
verificare che la fusione porti al reale mescolamento dei contenuti delle cavità acquose,
all’interno di ciascun tipo di vescicole verranno intrappolati due composti (ione terbio
nelle vescicole positive e ione dipicolinato in quelle negative) che danno vita a un
complesso fluorescente dopo che sono venuti a contatto. L’eventuale fuoriuscita dei
soluti (leakage) può essere quantificata grazie all’effetto di quenching di un terzo
componente (EDTA) presente nel mezzo. In tal modo sarà possibile studiare la reattività
di vescicole di carica opposta e verificarne la possibile fusione.
Figura 2.1. Meccanismo ideale di fusione tra due vescicole recanti carica elettrica opposta (rosso carica positiva, blu carica negativa). La fusione tra le vescicole porta alla formazione del complesso fluorescente Tb(DPA)3-
3.
35
Risultati e discussione
3. RISULTATI E DISCUSSIONE
La descrizione dei risultati prevede l’analisi della preparazione e della reattività di
vescicole anioniche e cationiche. Le prime saranno realizzate utilizzando il sistema
acido oleico/oleato già discusso nell’introduzione, mentre nel secondo caso si
impiegheranno i sali d’ammonio quaternario (DDAB e DODAB). Verranno descritti i
diversi metodi di preparazione di tali vescicole, introducendo anche metodi ad hoc che
sono stati ottimizzati durante questo lavoro di tesi. Ricordando che lo scopo ultimo è lo
studio della fusione tra vescicole, è evidente che le condizioni studiate e la scelta finale
del migliore sistema da adottare sono state dettate da vincoli pratici, quali la stabilità
chimica e fisica dei sistemi vescicolari, la possibilità di ottenere un alto
imtrappolamento di probes idrosolubili e il mantenimento della reattività tra vescicole.
3.1 Metodi sperimentali
Le principali tecniche spettroscopiche e fotometriche che si rivelano utili allo studio
delle vescicole lipidiche (e della loro reattività) sono: turbidimetria, fluorescenza,
dynamic light scattering (DLS), microelettrorforesi. Qui di seguito verranno esposti
brevemente i principi che sono alla base di tali tecniche. Un breve approfondimento sul
DLS è riportato in Appendice 1, mentre la trattazione completa della mobilità
elettroforetica di particelle colloidali esula dallo scopo di questa tesi.
3.1.1. Turbidimetria
La misura quantitativa della torbidità dei liposomi si effettua registrando l’assorbanza
apparente di tali campioni. Sebbene tale valore venga spesso riportato come assorbanza
o densità ottica (OD), un approccio rigoroso prevede l’uso di una unità di misura
speciale, chiamata propriamente “torbidità”.
La relazione tra assorbanza e torbidità è riportata nella equazione 1,
36
Risultati e discussione
( )lA
eIII lA
×=
×=×= −−
10lncm
10
1-
00
τ
τ
(Eq. 1)
dove I0 e I rappresentano l’intensità di radiazione incidente e trasmessa dal campione, A
l’assorbanza, l il cammino ottico e τ la torbidità, che viene misurata in cm-1. Spesso, per
motivi pratici, si omette la trasformazione dei valori di assorbanza in valori di torbidità,
in quanto direttamente proporzionali.
E’ possibile dimostrare che la torbidità è una misura della luce diffusa (Hiemenz &
Rajagopalan, 1997), solo quando tale luce diffusa è di bassa intensità (ovvero quando il
campione è diluito). I fattori che determinano il valore della torbidità sono quelli che
determinano quindi l’intensità di luce diffusa: (1) la lunghezza d’onda, (2) la
dimensione e la forma delle particelle, (3) il numero delle particelle. (4) l’indice di
rifrazione delle particelle.
La dipendenza della torbidità dalla concentrazione è riportata in figura 3.1: la torbidità
diminuisce all’aumentare della lunghezza d’onda. Per particelle di dimensione molto
minore delle lunghezze d’onda (λ) impiegate, la trattazione teorica prevede una
dipendenza del tipo λ-4, ma in pratica la dipendenza funzionale si trova spesso mediante
fitting della curva di torbidità con una funzione del tipo y = y0 + y1 × λ-B; un esempio di
tale analisi verrà mostrata in seguito.
37
Risultati e discussione
300 400 500 600 7000.00
0.05
0.10
0.15
0.20
OD (1
cm)
Lunghezza d'onda (nm)
Figura 3.1. Profilo di torbidità di vescicole di oleato (1 mM) preparate mediante il metodo dell’iniezione in bicina 20 mM pH 8.5 a partire da diverse concentrazioni iniziali 25 mM (linea continua); 50 mM (linea tratteggiata).
La dimensione delle particelle ha un forte effetto sulla luce diffusa, quindi sulla
torbidità: infatti la teoria prevede un fattore del tipo V2, dove V è il volume della
particella, la cui forma – in realtà – è anche determinante.
Vi è dipendenza lineare (a dimensione costante) tra torbidità e numero di particelle
(concentrazione dei liposomi). Tale dipendenza è stata verificata, per liposomi estrusi di
varia dimensione, fino a valori di assorbanza pari a circa 1 (Krishamani et al., 2003).
Infine, l’indice di rifrazione influenza la torbidità in quanto il fenomeno di diffusione
della luce dipende marcatamente dal contrasto tra il mezzo e la particella.
3.1.2. Fluorescenza
La fluorescenza è una tecnica spettroscopica che sfrutta la capacità di alcune molecole
(fluorocromi) di emettere una radiazione luminosa ad una caratteristica lunghezza
d’onda, in seguito ad una previa eccitazione da parte di una sorgente luminosa. La
radiazione emessa è caratteristica, ovvero cade in un preciso intervallo di lunghezze
d’onda che dipendono dalla natura chimica del fluorocromo, e non dalla radiazione
incidente. La spettroscopia di fluorescenza viene ampiamente usata in vari campi di
ricerca. Nell’ambito di questa tesi, la fluorescenza è stata utilizzata per verificare la
38
Risultati e discussione
formazione di una specie capace di emettere fluorescenza, a partire dai due reagenti che
sono individualmente non fluorescenti: la reazione di interesse è: Tb3+ + DPA2-
Tb(DPA)33-.
Nel caso di campioni di liposomi, non si ha fluorescenza. Tuttavia è sempre presente il
fenomeno di diffusione della luce, per cui vi sono più interferenze spettrali che bisogna
considerare: (1) l’effetto di filtro (inner filter effect) che porta a una riduzione del potere
di eccitazione della radiazione incidente a causa del fatto che i liposomi diffondono la
luce; (2) il marcato aumento della linea di base dovuta a fenomeni di diffusione della
luce – presente a tutte le lunghezze d’onda; (3) l’aumento del picco di Rayleigh di
secondo ordine localizzato a lunghezza d’onda doppia di quella della luce incidente. Nei
paragrafi seguenti, verrà mostrato come si è tenuto conto di queste problematiche.
3.1.3. Dynamic light scattering (DLS)
Questa tecnica è una delle più importanti tra quelle associate allo studio dei liposomi.
Infatti le particelle come i liposomi diffondono la luce incidente (si utilizza un laser) in
tutte le direzioni e attraverso lo studio di questa proprietà è possibile risalire alla
struttura dei liposomi. La luce diffusa varia nel tempo in modo casuale, tuttavia le
oscillazioni – che possono essere registrate e analizzate da un correlatore – contengono
delle informazioni relative alla dimensione delle particelle sospese.
Infatti, il moto Browniano è alla base della differenza della mobilità dei liposomi.
Particelle piccole avranno un coefficiente di diffusione elevato, per quelle grandi vale il
contrario. Lo strumento di DLS analizza le variazioni della luce diffusa nel tempo e le
converte in valori di coefficienti di diffusione, i quali a loro volta sono collegati alla
dimensione delle particelle.
Da un’analisi di DLS è possibile ottenere i seguenti risultati: (1) dimensione media e
indice di polidispersità; (2) size distribution delle particelle. Questi risultati si ottengono
con diverse metodologie di fitting, illustrate in dettaglio in Appendice 1.
Nel primo caso, la popolazione di liposomi è descritta in maniera semplificata attraverso
due numeri: la cosiddetta media-z (z-average) che dà un’idea sulle dimensioni delle
particelle, e la polidispersità (P-index) che descrive il campione in termini di
omogeneità di struttura.
39
Risultati e discussione
Nel secondo caso, la size distribution descrive come si distribuiscono i liposomi lungo
una scala di dimensione, individuando le sotto-popolazioni e la loro abbondanza
relativa.
Un aspetto importante di questa tecnica è che generalmente tende a sovrastimare le
particelle più grandi, a scapito delle più piccole; tuttavia, con una strategia di misura a
“multi-angolo” è spesso possibile trarre conclusioni sulla natura del campione.
3.1.4. Microelettroforesi
Questa tecnica studia la mobilità delle particelle all’interno di una cella elettroforetica
(nella quale le particelle vengono sottoposte a campi elettrici oscillanti), sulla base delle
loro dimensioni e della carica elettrica che esse portano. I valori di mobilità
elettroforetica sono generalmente trasformati in valori di potenziale zeta (ζ), espresso in
mV, che rappresenta il potenziale elettrostatico esercitato dalla particella a una precisa
distanza dalla sua superficie (distanza o superficie di shear). Nel caso della fusione tra
vescicole di carica opposta, questa tecnica è molto importante perché permette di
valutare la reattività di vescicole anioniche e cationiche, nonché il binding di tensioattivi
cationici a vescicole neutre.
3.2. Preparazione di vescicole a base di acido oleico/oleato
Come è stato discusso nell’introduzione, le vescicole di acido oleico risultano stabili
solo in un certo intervallo di pH. Pertanto, tutti i metodi di preparazione utilizzati negli
esperimenti, hanno come scopo ultimo quello di disperdere le molecole di acido oleico
in una fase acquosa avente tale pH. Il valore di pH 8.5 è stato scelto sulla base di studi
precedenti (Rasi et al., 2003). Nella discussione che segue verranno presentati e discussi
i diversi metodi di preparazioni di tali vescicole. Le vescicole di oleato possono essere
preparate mediante il metodo dell’iniezione di una soluzione alcolica contenente acido
oleico solubilizzato in forma di monomero. In figura 3.2 è mostrata la variazione della
size distribution delle vescicole al variare della concentrazione del tampone e della
soluzione alcolica stock. Sia in tampone borato che in bicina si osserva la formazione di
una popolazione eterogenea di vescicole, la cui dimensione varia da 10 nm ai 10 µm.
40
Risultati e discussione
1 10 100 1000 100000.00
0.05
0.10
0.15
0.20
raggio idrodinamico (nm)
inte
nsità
rela
tiva
BA
1 10 100 1000 100000.00
0.05
0.10
0.15
0.20
d
b
ca
raggio idrodinamico (nm)
inte
nsità
rela
tiva
Figura 3.2. DLS Size distribution di vescicole di oleato (1 mM) preparate mediante il metodo dell’iniezione in diversi tamponi a partire da diverse concentrazioni stock in EtOH. (A) In borato 200 mM da concentrazione stock 50 mM pH 8.1 (linea continua); pH 8.5 (linea tratteggiata); (B) in bicina 50 mM (a,b) e 20 mM (c,d) entrambe a pH 8.5 a partire da concentrazioni stock di oleato 100 mM (a,c) e 50 mM (b,d) in EtOH.
La concentrazione stock di acido oleico in EtOH è il fattore che influenza
maggiormente la dimensione delle vescicole. Sono stati indagati altri metodi per la
formazione delle vescicole, tutti volti alla determinazione di una procedura che consenta
la massima percentuale di intrappolamento in un tampone a bassa forza ionica,
dell’ordine di 50 mM. La preparazione via dispersione diretta, implica la
solubilizzazione dell’acido oleico (tal quale) in una soluzione tampone a pH 8.5, con
prolungata agitazione (2-8 ore). Tale procedura è stata adoperata con successo per
concentrazioni di oleato relativamente basse, in modo da non variare il pH della
sospensione (10 mM acido oleico in bicina 50 mM, DPA 50 mM, NaCl 10 mM). E’
possibile ottenere vescicole di oleato anche attraverso l’iniezione di micelle di oleato
(pH 11) in una soluzione tampone a pH 8.5; questa metodologia è stata sperimentata a
partire da micelle 200 mM a dare vescicole 10 mM in bicina 50 mM, DPA 50 mM.
Queste procedure non consentono di incrementare la concentrazione di vescicole a
causa della diminuzione del pH, causata dalla dispersione di una quantità elevata di
acido oleico. Ai fini degli esperimenti di fusione tra vescicole, è pero necessario partire
da una sospensione di vescicole ad alta concentrazione. Questo ha portato a studiare
41
Risultati e discussione
ulteriori metodi di preparazione che non mostrino questo limite. Una procedura valida a
tal fine è quella della titolazione di una sospensione di acido oleico. Le vescicole
risultanti sono ben formate, ed è possibile trattarle con i metodi convenzionali, come
evidenziato in figura 3.3
1 10 100 1000 100000.0
0.1
0.2
0.3
0.4
Inte
nsità
rela
tiva
raggio idrodinamico (nm)
Figura 3.3. DLS Size distribution di vescicole di oleato (1mM) preparate per titolazione di una sospensione di acido oleico in bicina 50 mM, DPA 50 mM, pH 8.5, e successivamente estruse (200 nm).
I metodi elencati si sono mostrati soddisfacenti per ottenere delle popolazioni di
vescicole che si possano estrudere ed analizzare attraverso analisi di torbidità e DLS,
ma l’intrappolamento del DPA non si è rilevato soddisfacente ai fini della realizzazione
del saggio di fluorescenza. La metodologia che si è rivelata ottimale per una
soddisfacente incapsulazione del DPA, ottenibile soprattutto con una concentrazione di
lipide dell’ordine di 100 mM è quella della preparazione per “salto di pH”. Questa
procedura prevede l’iniezione di una soluzione alcolica concentrata di acido oleico in un
tampone a pH elevato, sfruttando il fatto che l’aggiunta di acido oleico abbasserà il pH
al valore desiderato (vedi Tabella 3.1)
42
Risultati e discussione
Tabella 3.1. variazione del pH di una soluzione tampone (bicina 50 mM) a seguito dell’aggiunta di acido oleico (100 mM).
pH iniziale 8.5 10.1 10.5
pH finale 7.1 8.1 8.5
Mediante ottimizzazione, si è stabilito che nelle condizioni specificate in Tabella 3.1,
l’iniezione di una soluzione alcolica di oleato in un tampone bicina a pH 10.5,
automaticamente abbassa il pH al valore di 8.5, così da rendere le condizioni ottimali
per la formazione di vescicole. I risultati ottenuti da questa preparazione sono mostrati
in figura 3.4, evidenziando che la popolazione di vescicole ottenuta con questo metodo
è molto eterogenea, tuttavia è possibile ottenere attraverso un’estrusione con membrane
di porosità di 200 e 400 nm, in maniera non del tutto attesa, rispettivamente popolazioni
aventi raggio di 60 nm e 140 nm.
1 10 100 1000 100000.0
0.1
0.2
0.3
bc
a
Inte
nsità
rela
tiva
raggio idrodinamico (nm)
Figura 3.4. DLS Size distribution di oletato/popc 4/1 preparate mediante salto di pH in tampone bicina 50 mM pH 8.5 (a) tal quali; (b) VET 200; (c) VET 400.
Delle vescicole di oleato è stata fatta anche una caratterizzazione attraverso la misura
del potenziale zeta, che, come atteso, risulta negativo. I risultati di questo studio sono
43
Risultati e discussione
mostrati in figura 3.5. Si può vedere come, all’aumentare della forza ionica del
tampone, il potenziale zeta assuma valori sempre meno negativi, in accordo ai dati
riportati in letteratura (Cevc, 1993).
-120 -100 -80 -60 -40 -20 0 20 40 60 80 100 1200
5
10
15
20
25
30
35
INTE
NSIT
Y
potenziale zeta (mV)
Figura 3.5. Profilo del potenziale zeta di vescicole di oleato/POPC 1:4 misurate in diversi tamponi: lipidi 0.25 mM, bicina 20 mM, pH 8.5 (linea continua); lipidi 0.5 mM, bicina 50 mM, saccarosio 150 mM, pH 8.5 (linea tratteggiata).
3.3. Vescicole a base di sali d’ammonio quaternario
Per ottenere vescicole cationiche è stata studiata la possibilità di utilizzare un
tensioattivo cationico a scelta tra il DDAB e il DODAB, i quali si differenziano
molecolarmente per la lunghezza delle due catene idrofobiche, che influenza la
temperatura di transizione (16 e 40 °C, rispettivamente).
La prima caratterizzazione analitica è stata fatta mediante light scattering, (figura 3.6),
che mostra come la popolazione ottenuta attraverso il metodo dell’iniezione sia
polidispersa. Altri metodi di preparazione sono poco convenienti. Ad esempio è difficile
formare un film lipidico da tali composti. Un metodo efficace di preparazione di
vescicole miste DDAB/POPC è invece mostrato nel paragrafo 3.5.3, e si basa
sull’aggiunta di DDAB a vescicole pre-formate di POPC.
44
Risultati e discussione
1 10 100 1000 100000.00
0.05
0.10
0.15
0.20In
tens
ità re
lativ
a
raggio idrodinamico (nm)
Figura 3.6. DLS Size distribution di vescicole di DDAB (1mM) preparate mediante il metodo dell’iniezione a partire da una soluzione stock 50 mM in tampone borato 200 mM a pH 8.5 (linea continua) e 8.1 (linea tratteggiata).
3.4. Confronto con vescicole di fosfolipidi Quando il metodo dell’iniezione è applicato alla formazione di vescicole di fosfolipidi
neutri (tipicamente fosfatidilcolina), esso consente di modulare la size distribution. E’
possibile ottenere delle popolazioni di vescicole monodisperse e centrate intorno a
specifici valori di raggio idrodinamico modulando solamente la concentrazione della
soluzione alcolica contenente il lipide in forma monomerica. Come mostrato in figura
3.7, sono ben visibili due popolazioni monomodali, con raggio medio di 35 e 70 nm,
ottenute semplicemente cambiando la concentrazione iniziale del POPC in EtOH.
Tuttavia, superata una certa soglia di concentrazione in EtOH (tra 50 e 100 mM), la
popolazione ottenuta si suddivide in più insiemi di diametro diverso, uno maggiore
l’altro minore.
45
Risultati e discussione
1 10 100 1000 100000.0
0.1
0.2
0.3
c
b aIn
tens
ità re
lativ
a
raggio idrodinamico (nm)
Figura 3.7. DLS Size distribution di vescicole di POPC (0.5 mM) in tampone borato 200 mM pH 8.5, preparate medinte il metodo dell’iniezione a partire da diverse concentrazioni stock in EtOH, (mantenuto costante al 2% in ogni misura): (a) 50 mM, (b) 25 mM, (c) 100 mM.
1 10 100 1000 100000.00
0.05
0.10
0.15
0.20
0.25
0.30
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0.45
raggio (nm)
inte
nsità
rela
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BA
1 10 100 1000 100000.00
0.05
0.10
0.15
0.20
0.25
0.30
0.35
0.40
0.45
0.50
c
b
a
raggio (nm)
inte
nsità
rela
tiva
Figura 3.8. DLS Size distribution di vescicole di POPC (0.5 mM) in tampone borato 200 mM pH 8.5 mediante il metodo della idratazione di un film lipidico (A) vescicole non estruse: tal quali (linea continua); e dopo 10 cicli di freeze-&-thaw (linea tratteggiate). (B) vescicole estruse: (a) VET400; (b) VET 200; (c) VET 100.
46
Risultati e discussione
Utilizzando il metodo di idratazione di un film lipidico, si ottengono -nel caso del
POPC- delle vescicole di grandezza maggiore rispetto a quelle ottenibili con il metodo
dell’iniezione, figura 3.8 (A). Inoltre, in seguito a dieci cicli di congelamento e
scongelamento (“freeze-and-thaw”) si osserva lo spostamento di tale popolazione verso
valori piu piccoli di raggio idrodinamico, e la comparsa di una popolazione di vescicole
più piccola intorno a 100 nm. La procedura di congelamento e scongelamento è molto
importante perché consente di incrementare sensibilmente la percentuale
d’intrappolamento dei soluti idrosolubili nelle vescicole. Nella figura 3.8 (B) è mostrata
la possibilità di ottenere delle vescicole della misura desiderata attraverso l’estrusione
per mezzo di membrane di policarbonato. Le distribuzioni risultanti sono molto strette e
ben distinte, quindi anche con tale metodo la grandezza delle vescicole è facilmente
modulabile. Un'altra caratteristica importante che è stata osservata per vescicole di
POPC, è la capacità di mantenere la dimensione data attraverso l’estrusione, per tempi
lunghi (>20 giorni). Vedremo come sia possibile sfruttare queste vantaggiose
caratteristiche per la preparazione di vescicole recanti carica elettrica.
3.5. Vescicole miste
3.5.1 Preparazione di vescicole oleato/POPC
In base agli esperimenti condotti e alle considerazioni effettuate sopra, le vescicole di
POPC risultano essere molto stabili, per cui, nell’approccio alla formazione di vescicole
recanti carica elettrica, si è pensato di utilizzarlo come componente neutro in miscela (a
proporzioni variabili) con tensioattivi ionici. Ovviamente ciò ha una conseguenza sulla
reattività di tali vescicole, se comparata a quella di vescicole cariche “pure” ma offre il
vantaggio di una maggiore stabilità ed efficienza di intrappolamento. Questi due aspetti
sono infatti essenziali per realizzare sperimentalmente lo studio della loro reattività,
specialmente in relazione al saggio di fusione. Alcune osservazioni generali si possono
ottenere considerando i diversi esperimenti condotti aumentando gradualmente la
frazione di tensioattivo carico a sfavore del POPC.
47
Risultati e discussione
Introducendo una bassa percentuale di oleato (pari al 10%) è possibile osservare come
le vescicole risultanti anche se estruse, sono caratterizzate da valori di raggio
idrodinamico minori se confrontate con le vescicole di solo POPC. Inoltre, anche nel
caso della preparazione attraverso il metodo dell’iniezione, le popolazioni con una
piccola frazione di oleato risultano di raggio più piccolo, e più omogenee in termini di
dimensione. Esperimenti successivi, condotti aumentando al 20% la frazione di oleato,
confermano che le distribuzioni sono sempre tendenzialmente centrate verso valori di
raggio idrodinamico minori di quelli relativi alle corrispondenti popolazioni di vescicole
a base di POPC (preparate con la stessa metodologia). L’indice di polidespersione
risulta dipendente dalla natura (borato, bicina) e dalla concentrazione del tampone: se il
tampone è borato 200 mM la polidispersità aumenta all’aumentare della frazione molare
di oleato, ma diminuisce sensibilmente se si impiega lo stesso tampone a concentrazione
10 volte minore, per cui si può ottenere una popolazione monodispersa in tampone
borato a bassa forza ionica. Un fenomeno osservato quando la frazione di oleato è pari
all’80% (vescicole preparate con il metodo dell’iniezione da una soluzione stock di 50
mM in una con un tampone Tris HCl 100 mM) è lo spostamento della distribuzione
verso valori di raggio idrodinamico intorno ai 700 nm, discostandosi molto da ciò che ci
si attenderebbe facendo lo stesso esperimento con vescicole di POPC. In effetti tali
vescicole hanno proprietà simili al caso oleato 100% descritto in precedenza. L’ipotesi
che per alti rapporti oleato/POPC sia necessario diminuire la concentrazione della
soluzione tampone, al fine di ottenere una popolazione di vescicole anioniche più
piccole e abbastanza monodisperse, è confermata dalla preparazione delle vescicole in
bicina 50 mM (lipide finale 100 mM) mediante il metodo “salto di pH”, (figura 3.4). In
tale figura si osserva come le vescicole abbiano raggio idrodinamico medio intorno ai
200 nm, risultando quindi più piccole di quelle preparate in un tampone borato (200
mM a partire da una stessa composizione lipidica).
Una ulteriore caratterizzazione delle vescicole miste oleato/POPC è stata ottenuta
attraverso la misura del potenziale zeta, (figura 3.5), che testimonia come la carica
impartita dalle molecole di oleato, anche se in miscela con un fosfolipide zwitterionico,
conferisca un potenziale zeta negativo a tali particelle.
48
Risultati e discussione
3.5.2. Preparazione di vescicole miste POPC/tensioattivo cationico mediante iniezione
La possibilità di utilizzare un tensioattivo cationico nella preparazione di vescicole
cariche positivamente è stata esplorata attraverso l’inserimento graduale, dal 10% al
50%, di un sale d’ammonio quaternario (DDAB o il DODAB) in miscela con il POPC.
Nel caso di una percentuale pari a 10% di DDAB (in borato 200 mM) la distribuzione
delle vescicole preparate per iniezione non si discosta sensibilmente da quanto si ottiene
con vescicole di solo POPC, eccetto un leggero assottigliamento della distribuzione. Per
tale composizione, e in contrasto con quanto avviene nel caso dell’oleato, non si
osservano differenze nel caso di vescicole estruse. Altri comportamenti sono
tipicamente osservabili per questo tensioattivo cationico. Infatti, all’aumentare di carica,
fino al 50%, le distribuzioni risultano essere piuttosto polidisperse in soluzioni borato di
50-100 mM ed invece si ottiene una distribuzione monomodale e di raggio minore
rispetto a quella di solo POPC quando il tampone è borato 200 mM e il tensioattivo
rappresenta al massimo il 20% del totale.
La preparazione di vescicole recanti una carica elettrica positiva è stata anche
sperimentata utilizzando il DODAB, un tensioattivo cationico di struttura simile al
DDAB ma avente catene idrofobiche lunghe 18 atomi di carbonio anziché 12. Questa
differenza influenza la temperatura di transizione (Tm) che passa da 16 ºC (DDAB) a
circa 40 ºC (DODAB). La formazione di vescicole è vincolata dal fatto che è necessario
lavorare a temperatura > Tm affinché le catane laterali del DODAB si trovino in una
fase fluida.
In letteratura è stato osservato che una via possibile per l’abbassamento della Tm è la
miscelazione con un altro lipide o tensioattivo (Sherer and Seelig 1989; Feitosa et al.
2006; Linseisen et al. 1996). A partire da questa osservazione si è pensato di preparare
con il metodo dell’iniezione delle vescicole miste DODAB/POPC a 25º C. In figura 3.9,
è evidente la tendenza di tali sistemi a formare strutture supramolecolari di raggio
intorno ai 10 nm all’aumentare della frazione di POPC, e la conseguente diminuzione
del picco centrato tra 100 e 1000 nm. Un ulteriore aumento della percentuale di lipide
neutro può essere controproducente in termini di reattività delle vescicole la quale è
verosimilmente proporzionale alla quantità di cariche presenti nelle vescicole.
49
Risultati e discussione
1 10 100 1000 100000.0
0.1
0.2
0.3
cb
aInte
nsità
rela
tiva
raggio idrodinamico (nm)
Figura 3.9. DLS Size distribution di vescicole di DODAB/POPC (2.5 mM) preparate mediante il metodo dell’iniezione a 25ºc, in tampone bicina 20 mM pH 8.5, EtOH finale 3%, (a) DODAB/POPC 1:1, (b) DODAB/POPC 1:2.3, (c) DODAB/POPC 1:9.
La prova che la temperatura di transizione è fondamentale per la formazione di
vescicole monodisperse, è fornita in figura 3.10, dove è constatabile che una
popolazione di vescicole estruse (200 nm) a 60 ºC e misurate alla stessa temperatura è
perfettamente omogenea, e della dimensione attesa. Quando il campione è lasciato
raffreddare, la distribuzione diventa bimodale: vi è sia la conservazione della
popolazione iniziale, sia la comparsa di aggregati o frammenti (Feitosa & Brown, 1997)
di dimensioni maggiori. Questo fenomeno è dovuto al cambiamento di temperatura
verso valori minori e lontani da quella di transizione.
Al fine di garantire una alto intrappolamento di composti idrosolubili risulta
conveniente lavorare con concentrazioni lipidiche alte (> 10 mM), ma ciò si rivela
difficile perché, a queste concentrazioni e in miscela con il POPC, si ha la formazione di
un gel quando il campione di vescicole DODAB/POPC viene raffreddato a temperatura
ambiente. Sebbene questo fenomeno limiti l’uso di queste vescicole, è tuttavia possibile
caratterizzare questi campioni (se diluiti), attraverso lo studio del potenziale zeta.
50
Risultati e discussione
1 10 100 1000 10000 1000000.0
0.1
0.2
0.3
0.4
Inte
nsità
rela
tiva
raggio idrodinamico (nm)
Figura 3.10. DLS Size distribution di vescicole di DODAB/POPC 1:1 (1 mM) in tampone bicina 50 mM pH 8.5, TbCl3 2.5 mM, NaCl 75 mM. Misurate a 60 ºC appena dopo l’estrusione (linea continua) e misurate dopo raffreddamento a 25 ºC (linea tratteggiata).
-100 -50 0 50 1000
5
10
15
20
25
30 A
INTE
NSIT
Y
potenziale zeta (mV)-100 -50 0 50 100
0
5
10
15
20
25
30
35
B
INTE
NSIT
Y
potenziale zeta (mV)
Figura 3.11. Profili di potenziale zeta di vescicole positive (A) DDAB/POPC 1/1 (0.5 mM) in tampone bicina 50 mM pH 8.5, saccarosio 170 mM (B) DODAB/POPC 1:1 0.25 mM in tampone bicina 50 mM pH 8.5 (linea tratteggiata), tampone bicina 20 mM pH 8.5 (linea continua).
51
Risultati e discussione
In figura 3.11 (B) è mostrato come sia possibile misurare il potenziale zeta a 25 ºC di
questa miscela, e constatare che tale valore aumenta al diminuire della concentrazione
del tampone, come atteso. Osservando il pannello (A) si vede come la miscela
DDAB/POPC assuma valori abbastanza elevati molto simili a quella del DODAB in
tampone bicina 20 mM.
3.5.3. Preparazione di vescicole DDAB/POPC mediante aggiunta di DDAB a vescicole
preformate di POPC
In base alle osservazioni dedotte dagli esperimenti sopra descritti si è scelto di utilizzare
il DDAB in virtù della maggiore stabilità rispetto al DODAB. Tale scelta ha reso
necessaria la messa a punto di una valida metodologia per la preparazione di vescicole
cationiche che consentisse alta reattività, una buona capacità di intrappolamento, e alta
riproducibilità di preparazione, senza ridurre la reattività delle vescicole. Il metodo
prevede l’aggiunta di DDAB (come soluzione alcolica) a una popolazione pre-formata
di vescicole di POPC.
La dimostrazione che le molecole di DDAB si inseriscono nella membrana di vescicole
di POPC conferendo conseguentemente proprietà elettriche alle stesse, prevede lo studio
della variazione del potenziale zeta (figura 3.12). In questo esperimento le vescicole di
POPC sono state “titolate” con DDAB. Si può notare come il potenziale zeta aumenti
proporzionalmente alla quantità di DDAB aggiunto, per poi raggiungere un valore di
saturazione quando il rapporto tra DDAB e POPC è uguale ad 1, per cui un ulteriore
aumento di DDAB non porta un aumento del potenziale zeta. La possibilità di caricare
le vescicole preformate di POPC dall’esterno, si rivela molto vantaggiosa ai fini ultimi
della fusione. Infatti le vescicole di POPC consentono di intrappolare efficacemente una
buona quantità di soluti (ione Tb3+ in questo caso). In figura 3.13 è mostrato come
l’aggiunta di DDAB attraverso una iniezione alcolica (matrix effect) non perturbi la
popolazione di vescicole di POPC che conservano sorprendentemente le dimensioni
iniziali. Questo metodo si può estendere anche ad altri sistemi, (prove preliminari hanno
dato risultati incoraggianti) e pertanto si presta ad essere generalizzato.
52
Risultati e discussione
0 20 40 60 80-10
0
10
20
30
40
pote
nzia
le ze
ta (m
V)
% DDAB
Figura 3.12. variazione del potenziale zeta in seguito a binding di DDAB a vescicole preformate di POPC VET200 (0.5 mM) in bicina 50 mM pH 8.5, saccarosio 170 mM. L’aggiunta di DDAB è effettuata da una soluzione alcolica (DDAB 20 mM in EtOH). In ogni misura il titolo di EtOH è stato mantenuto costante (8% v/v).
1 10 100 1000 100000.00
0.05
0.10
0.15
0.20
0.25
0.30
0.35
0.40
0.45
raggio (nm)
inte
nsità
rela
tiva
BA
1 10 100 1000 100000.00
0.05
0.10
0.15
0.20
0.25
0.30
0.35
0.40
raggio (nm)
inte
nsità
rela
tiva
Figura 3.13. DLS Size distribution di vescicole DDAB/POPC 1/1 preparate mediante addizione di DDAB a vescicole preformate di POPC VET 200 (1 mM). (A) In bicina 50 mM, TbCl3 10 mM, NaCl 55 mM, pH 8.5: vescicole di POPC preformate (linea tratteggiata) e dopo aggiunta di DDAB (linea continua). (B) In bicina 50 mM pH 8.5, saccarosio 170 mM: vescicole di POPC preformate (linea tratteggiata) e dopo l’aggiunta di DDAB (linea continua).
53
Risultati e discussione
Sulla base di queste indicazioni è stato provato con successo il metodo di preparazione
denominato “matrix effect” (figura 3.13) che si rivela l’unica preparazione possibile per
ottenere una popolazione di vescicole altamente cariche e di dimensione omogenea in
un tampone a bassa forza ionica. Inoltre, tali vescicole risultano stabili così da garantire
l’intrappolamento di soluti necessario alla realizzazione del saggio di fusione).
3.6. Reattività tra vescicole anioniche e cationiche
3.6.1. La coppia oleato/DDAB
Grazie all’ottimizzazione dei metodi preparazione di vescicole cationiche o anioniche,
mostrate nella sezione precedente, si è intrapreso lo studio della loro reattività, cercando
di individuare le condizioni affinchè esse interagiscano e mescolino i rispettivi contenuti
acquosi, dando origine ad una nuova specie di vescicole miste dette catanioniche.
Un fenomeno molto importante, che ha consentito di capire che l’interazione tra le due
popolazioni è guidata da specifici rapporti molari tra le cariche positive e negative è
quello mostrato in figura 3.14, che riporta la variazione dell’indice di polidispersità di
vescicole catanioniche ottenute per mescolamento delle specie cationiche e anioniche in
forme di vescicole (A) o in forma monometrica (B). Si può vedere come solo in
specifiche condizioni la popolazione di vescicole emergenti diventa monodispersa
(indice di polidespersità basso), mentre in altre condizioni non si osserva un sensibile
restringimento della distribuzione. Le osservazioni dedotte da questo grafico assumono
una rilevanza ancor più grande se si prende in considerazione il rapporto tra le cariche
elettriche. Risulta infatti che solo quando si è prossimi alla elettroneutralità il valore
dell’indice di polidispersione assume un valore estremamente basso, indicando una forte
interazione tra le vescicole reaganti, dalle quali emerge una nuova popolazione di
vescicole avente una dimensione media molto più omogenea sia rispetto a quelle
iniziali, sia rispetto agli altri casi con diverso rapporto di carica.
Come accennato più sopra l’esperimento è stato ripetuto in condizioni diverse. Le
vescicole catanioniche sono state preparate a partire da una soluzione EtOH contenente
i monomeri di DDAB ed oleato già miscelati a diversi rapporti molari di carica. Come si
può osservare in figura 3.14 B, la tendenza è molto simile al caso di reazione tra
54
Risultati e discussione
0 20 40 60 80 1000.0
0.2
0.4
0.6
0.8
1.0 AP
inde
x
% DDAB0 20 40 60 80 100
0.0
0.2
0.4
0.6
0.8
1.0
% DDAB
P in
dex
B
Figura 3.14. Variazione dell’indice di polidispersità per diverse miscele oleato/DDAB (lipide totale 1 mM) in borato 200 mM, pH 8.5. (A) Mescolamento di vescicole di oleato con vescicole di DDAB; (B) mescolamento di oleato DDAB in EtOH e successiva formazione di vescicole.
0 20 40 60 80 1000.0
0.2
0.4
0.6
0.8
1.0 A
P in
dex
% DDAB0 20 40 60 80 100
0.2
0.4
0.6
0.8
1.0
% DDAB
P in
dex
B
Figura 3.15. Variazione dell’indice di polidispersità per diverse miscele oleato/DDAB (lipide totale 1 mM) in borato 200 mM, pH 8.1. (A) Mescolamento di vescicole di oleato con vescicole di DDAB; (B) mescolamento di oleato DDAB in EtOH e successiva formazione di vescicole.
55
Risultati e discussione
vescicole infatti in uno specifico intervallo si osserva sempre flocculazione del
campione, indicando che in queste condizioni l’interazione tra le specie è tale da non
consentire la solubilizzazione del prodotto.
Nei dintorni del punto di elettroneutralità (calcolata in base ai rapporti molari di carica
elettrica) si osserva una popolazione di dimensione molto omogenea, mentre le altre
distribuzioni risultano essere molto polidisperse. In contrasto con quanto accade nella
reazione tra vescicole (figura 3.14), è osservabile una nuova popolazione monodispersa
per rapporti molari DDAB/oleato 80/20. Analoghi esperimenti sono stati condotti in un
tampone a pH 8.1. In queste condizioni, lo stato di protonazione dell’acido oleico è
diverso rispetto al caso mostrato sopra (pH 8.5) e quindi i rapporti molari di carica
elettrica risulteranno leggermente variati. In figura 3.15 sono mostrati i risultati
dell’esperimento che sono simili a quelli ottenuti in borato a pH 8.5. Da queste
osservazioni si puo dedurre che, per una piccola variazione di pH, la variazione nello
stato di protonazione dell’acido oleico non influenza fortemente le sue proprietà, quindi
la capacità di interazione con il DDAB.
La possibile reazione tra le vescicole di carica opposta è stata anche studiata mediante
l’analisi delle size distributions. Utilizzando liposomi con carica opposta e di diverso
diametro si è cercato di capire se vi fosse aggregazione aspecifica, e quindi la
formazione di particelle con distribuzione polidispersa, o se invece la nuova
popolazione avesse raggio idrodinamico spostato verso precisi valori (maggiori di quelli
iniziali), proprio a testimoniare un processo di fusione. Infatti a seguito della fusione di
tra due vescicole – ad esempio – di pari dimensioni (R1 = R2 = Rin), un processo di
fusione “ideale” porta alla formazione di una vescicola di raggio Rfin = √2 × Rin. Nella
figura 3.16 (A) si puo vedere come, a seguito del mescolamento di vescicole di 50 nm,
nelle quali vi è una frazione molare di tensioattivo ionico pari al 10%, non vengono
prodotti aggregati; inoltre la popolazione risultante conserva le dimensioni iniziali.
Le stesse osservazioni si possono evincere con vescicole di diversa dimensione
mescolate sempre in rapporto 1:1, si vede infatti nel pannello (B) della stessa figura
come la popolazione emergente sia bimodale proprio per quei valori di raggio
corrispondenti alle popolazioni iniziali prima del mescolamento. Dai risultati di questo
esperimento si può escludere che vi sia un’aggregazione e propendere per una
coesistenza della due specie di vescicole, senza interazione a causa dell’insufficiente
attrazione elettrostatica tra le vescicole debolmente cariche.
56
Risultati e discussione
1 10 100 1000 100000.00
0.05
0.10
0.15
0.20
0.25
0.30
0.35
0.40
0.45
0.50
b
c
a
raggio (nm)
inte
nsità
rela
tiva
BA
1 10 100 1000 100000.0
0.2
0.4
0.6
0.8
f
d
e
raggio (nm)
inte
nsità
rela
tiva
Figura 3.16. DLS Size distribution di vescicole recanti carica opposta e loro miscela in borato 200 mM pH 8.5 (lipide 1 mM). (A) Mescolamento a parità di dimensione (a) DDAB/POPC 1:9 VET 50 (b) oleato/POPC 1:9 VET 50 (c) miscela 1:1; (B) mescolamento di dimensione diverse (d) DDAB/POPC 1:9 VET400 (e) oleato/POPC 1:9 VET50 (f) miscela 1:1.
I risultati sopra descritti portano a ipotizzare che vi sia la necessità di immettere più
tensioattivo carico al fine di avviare un processo di attrazione elettrostatica tra
vescicole, e osservare reattività. L’esistenza di un tale processo è facilmente rilevabile
mediante turbidimetria. Infatti, se la reazione tra vescicole di carica opposta è associata
a variazioni anche piccole di torbidità, queste variazioni possono essere studiate sia
cineticamente che allo stato d’equilibrio. In figura 3.17 è riportata la variazione di
assorbanza (o densità ottica) in seguito al mescolamento di popolazioni di vescicole
anioniche e cationiche ricche di carica. La curva (a) indica un processo reattivo, che si
esaurisce in circa 300 secondi e che conduce ad un valore finale di torbidità pari a circa
0.5. Tale risultato non cambia invertendo l’ordine delle aggiunte. Esperimenti di
controllo (curve b, c) mostrano i valori stabili di torbidità che si ottengono in seguito ad
un processo di diluizione. La curva (d) indica invece il valore teorico per il puro
mescolamento delle due popolazioni di vescicole (in assenza di reazione, calcolata sulla
base delle curve b e c). Di conseguenza, si può concludere che -nelle condizioni
sperimentali illustrate in figura 3.17- la presenza di un elevata densità di carica
(DDAB/POPC 50/50 e oleato/POPC 80/20) abbia prodotto una reazione tra vescicole
57
Risultati e discussione
che porta ad uno stato il cui valore finale di torbidità (0.5) è minore di quello pertinente
al puro mescolamento (0.58).
La riduzione di torbidità è difficile da interpretare, perché dipende dalla dimensione,
dalla concentrazione e dall’indice di rifrazione delle particelle. Poiché nel processo
studiato tutti e tre questi parametri possono cambiare simultaneamente, l’unica
informazione che si può trarre (in questo specifico caso) è la presenza di una reazione
tra le vescicole.
0 50 100 150 200 250 3000.0
0.1
0.2
0.3
0.4
0.5
0.6
0.7
0.8
da
c
b
V-
V+
OD (4
00 n
m)
Time (s)
Figura 3.17. Cinetica di reazione tra vescicole di DDAB/POPC 1/1 e oleato/POPC 4:1 (entrambi 1mM) in Tris HCl 100 mM pH 8.5 (a) mescolamento 1:1 (b) diluizione delle vescicole DDAB/POPC (c) diluizione delle vescicole oleato/POPC (d) valore teorico del puro mescolamento delle soluzioni.
3.6.2. La coppia oleato/DODAB
La reattività tra le vescicole è stata studiata anche cambiando la composizione lipidica
delle vescicole cationiche. Esperimenti analoghi a quelli sopra descritti sono stati
condotti con il DODAB anziché con il DDAB. Come detto prima tale tensioattivo
cationico è caratterizzato da una lunghezza delle due catene idrofobiche pari a 18 atomi
di carbonio, mentre quelle del DDAB sono lunghe 12 atomi di carbonio. La lunghezza
58
Risultati e discussione
delle catene idrofobiche ha un effetto importante sulla temperatura di transizione di
questi tensioattivi cationici. Infatti, tale temperatura aumenta con il progressivo
allungamento delle catene laterali. L’elevata temperatura di transizione del DODAB ha
come conseguenza un importante fenomeno che ne limita l’impiego. Infatti, la miscela
1:1 con il POPC (10 mM) dopo essere stata preparata ed estrusa a 60 ºC, se lasciata
raffreddare a temperatura ambientale, dà origine alla fase gel. Tale fenomeno, peraltro
descritto in letteratura per casi simili, non ha tuttavia impedito di svolgere degli
esperimenti esplorativi utilizzando campioni poco concentrati (0.25-1 mM) a
temperatura ambiente, e in miscela 1:1 con POPC (i valori di torbidità a queste
concentrazioni sono bassi). Al fine di identificare un processo reattivo tra le due
popolazioni di vescicole DODAB/POPC 1:1 ed oleato è stata studiata la cinetica di
reazione tra tali vescicole.
0 1 2 3 4 50.00
0.05
0.10
0.15
0.20
0.25
V -
V +
OD (4
00 n
m)
Tempo (min)
Figura 3.18. Cinetica di reazione tra vescicole di DODAB/POPC 1/1 e vescicole di oleato (entrambi 1 mM) in bicina 20 mM pH 8.5, mescolate in rapporto 3:7.
In figura 3.18 è possibile osservare un processo pseudo-aggregativo che porta ad un
progressivo aumento di torbidità, evidenziando che vi è reattività. Come si può
osservare dalle analisi di size distibutions, comportamenti analoghi a quelli descritti per
la coppia DDAB-oleato sono stati osservati anche per la coppia DODAB-oleato. In
figura 3.19 è riportata la size distributions delle vescicole positive mescolate a diversi
59
Risultati e discussione
rapporti con quelle negative: per specifici rapporti molari si ha la formazione di una
nuova popolazione di vescicole aventi dimensioni piuttosto omogenee.
1 10 100 1000 100000.0
0.1
0.2
0.3
0.4
e
d
c
b
aInte
nsità
rela
tiva
raggio idrodinamico (nm)
Figura 3.19. DLS size distribution di vescicole a base di (a) oleato (b) DODAB/POPC 1:1; entrambe 1 mM , preparate attraverso il metodo dell’iniezione da soluzioni stock 50 e 80 mM in EtOH in bicina 20 mM pH 8.5. Le vescicole sono state mescolate a diversi rapporti in volume 1:9 (c), 2:8 (d), 3:7 (e).
Gli esperimenti mostrati nelle figure 3.18 e 3.19 sono condotti nelle stesse condizioni.
Pertanto si può concludere che un processo pseudo-aggregativo faccia in realtà
emergere una distribuzione più stretta (e spostata verso dimensioni di raggio minori)
rispetto alle distribuzione delle vescicole positive e negative tal quali. Questo processo è
stato investigato variando due parametri: (1) la concentrazione del tampone (2) il
rapporto DODAB/POPC. In figura 3.20 sono mostrati i valori finali di assorbanza
ottenuti per diversi rapporti molari di carica mescolando le vescicole di DODAB/POPC
1:1 con quelle di oleato. I valori raggiunti sono dipendenti dalla concentrazione del
tampone. La tendenza comune nei due casi si riscontra nella seconda metà del grafico
(vescicole positive in eccesso), dove si osserva anche un processo di precipitazione
(flocculazione). Viceversa per rapporti molari a favore delle vescicole negative (lato
sinistro del grafico), la reattività è modulata dalla forza ionica del tampone utilizzato.
60
Risultati e discussione
Figura 3.20. Valori di torbidità osservati dopo il mescolamento a diversi rapporti di volume di vescicole di DDAB/POPC 1:1 e oleato (entrambe 1 mM) in tamponi a concentrazione diversa, bicina 50 mM pH 8.5 (linea tratteggiata), bicina 20 mM pH8.5 (linea continua). La linea retta in basso rappresenta la torbidità in assenza di reazione (calcolata). Il pannello tratteggiato rappresenta la zona dove si osserva precipitazione. I punti inscritti in cerchi rossi corrispondono ai campioni caratterizzati da una size distributions stretta, mostrati in figura 3.21.
E’ molto importante notare che solamente i campioni ottenuti in bicina 20 mM (indicati
con un cerchio nella figura 3.20) possiedono una size distribution stretta. L’effetto della
quantità di DODAB, sul processo di reattività con le vescicole di oleato, è stato studiato
preparando vescicole positive miste DODAB/POPC, nelle quali la percentuale di
DODAB è stata ridotta progressivamente: DODAB/POPC 1:1, 3:7, 1:9 e la reattività è
stata studiata in bicina 20 mM. Al diminuire della frazione di DODAB si osserva prima
una scomparsa della precipitazione, e poi un’inversione di tendenza con la torbidità che
invece di aumentare, diminuisce a tutti i rapporti di reattività, non si osservano perciò
fenomeni pseudo-aggregativi corrispondenti alla formazione di una distribuzione stretta.
Dagli esperimenti condotti si può pensare che sia necessario un tampone poco
concentrato (< 20 mM) una frazione molare di DODAB pari al 50%, (in miscela con il
POPC), per ottenere una size distributions omogenea quando le vescicole cationiche
sono mescolate con le vescicole di oleato.
3.6.3. La coppia POPS/DDAB
Come descritto in precedenza, la reattività tra le vescicole di carica opposta è stata
studiata in diverse condizioni, come la concentrazione del tampone, la quantità di carica
61
Risultati e discussione
introdotta nei diversi sistemi e la tipologia del tensioattivo utilizzato. In questo contesto
si inserisce lo studio della reattività tra vescicole cationiche di DDAB/POPC e quelle
anioniche di POPS/POPC. La reattività con le vescicole cationiche, come di consueto, è
stata indagata mediante turbidimetria, (figura 3.21). Si può osservare come per specifici
rapporti di carica si manifesti un processo aggregativo, corrispondente, come mostrato
in figura 3.22, alla formazione di una popolazione polidispersa, derivante però da
popolazioni di vescicole iniziali estruse a 200 nm. Ne consegue che l’interazione tra
vescicole di DDAB/POPC e POPS/POPC risulta essere forte e che la natura chimica e
strutturale della fosfatidilserina origini un meccanismo diverso, se confrontato alle
vescicole di oleato.
0 20 40 60 80 100 1200.10
0.15
0.20
0.25
0.30
0.35
V -
V +
OD (3
00 n
m)
Tempo (s)
Figura 3.21. Cinetica di reazione tra vescicole di DDAB/POPC 1:1 e POPS/POPC 2:3 Vet200 1 mM in bicina 50 mM, pH 8.5, saccarosio 170 mM, mescolate a rapporti di volume 4:1.
62
Risultati e discussione
1 10 100 1000 100000.0
0.1
0.2
0.3
0.4
b
a
Inte
nsità
rela
tiva
raggio idrodinamico (nm)
Figura 3.22. DLS Size distribution di vescicole di DDAB/POPC 1:1 (a), POPS/POPC 2:3 (b), in bicina 50 mM pH 8.5 saccarosio 170 mM; Dopo mescolamento in rapporti di volume V+, V-, 4:1 (linea tratteggiata).
3.7. Saggio di fusione basato sulla formazione del complesso [Tb(DPA)3]3-
Per indagare il processo di fusione tra le vescicole è stato utilizzato il saggio di fusione
basato sulla formazione del complesso [Tb(DPA)3]3-.In seguito all’eccitazione del
complesso ad una lunghezza d’onda di 276 nm, si ha l’emissione di radiazione per
fluorescenza nell’intervallo 470-500 nm. Il saggio prevede che lo ione terbio sia
incapsulato nelle vescicole recanti carica elettrica positiva e lo ione dipicolinato nelle
vescicole recanti carica elettrica negativa. Dal mescolamento dei contenuti acquosi
dovrebbe risultare la formazione del complesso, con un sostanziale incremento della
fluorescenza che è assente se i due ioni non vengono a contatto. Nel caso in cui l’analisi
cinetica mostri un processo reattivo, ma non vi sia fluorescenza, si può pensare che le
due specie vescicolari si aggreghino senza che avvenga lo scambio dei soluti contenuti
nei rispettivi compartimenti acquosi o che le due specie di vescicole vengano in
contatto, con il solo rimescolamento dei lipidi di membrana. Un’altra ipotesi da
considerare, che porta ad un incremento di fluorescenza, dovuta al complesso
internalizzato, è che le due popolazioni vengano in contatto in modo transiente
scambiando i soluti e rimescolando i lipidi di membrana ma senza produrre una singola
63
Risultati e discussione
nuova vescicola. In tal modo non si verrebbe a formare una specie di diametro
maggiore, ma si avrebbero nuove vescicole a composizione mista contenenti al loro
interno una miscela dei soluti inizialmente separati in due popolazioni diverse. In tal
caso, l’analisi cinetica potrebbe non mostrare un aumento di assorbanza.
Nella figura 3.23 (A) si puo osservare la caratteristica forma dello spettro di emissione
del complesso Tb(DPA)33-.
450 500 550 600 6500
100
200
300
400
500
600
Lunghezza d'onda (nm)
Fluo
resc
enza
(u.a
.)
A
0 2 4 6 8 100.0
0.2
0.4
0.6
0.8
1.0
[DPA]/[Tb]
Fluo
resc
enza
490
nm
(u.a
.)
B
Figura 3.23. Fluorecsenza del complesso Tb(DPA)3
3- in bicina 200 mM, pH 8.5 (A) Spettro di emissione di Tb(DPA)3
3- (13 µM). (B) Variazione della fluorescenza al variare del rapporto [DPA2-]/[Tb3+]. TbCl3 22 µM, DPA2- da 6µM a 190µM.
L’intensità di fluorescenza è dipendente dalla quantità del complesso e dal rapporto tra i
reagenti DPA2- e Tb3+. Nella figura 3.23 (B) è mostrato come all’approssimarsi verso il
rapporto stechiometrico ottimale (DPA/Tb 3:1) si registri la fluorescenza massima,
aumentando ulteriormente la concentrazione di DPA la fluorescenza decresce. Ciò può
essere spiegato considerando l’effetto “filtro” esercitato dal DPA sulla radiazione
incidente (inner filter effect). Infatti, essendo l’acido dipicolinico un composto
aromatico, esso assorbe la radiazione ad una lunghezza d’onda compresa tra i 250-300
nm, questo intervallo comprende la lunghezza d’onda necessaria per l’eccitazione del
complesso. Riducendo l’energia disponibile per l’eccitazione del complesso, l’eccesso
64
Risultati e discussione
di DPA porta a un abbassamento del valore di fluorescenza. Nella figura 3.24 è
mostrato l’effetto dell’utilizzo di filtri ottici sullo spettro di emissione.
300 400 500 600 7000
200
400
600
800
1000
Fluo
resc
enza
(u.a
.)
Lunghezza d'onda (nm)
Figura 3.24. Effetto dell’utilizzo di filtri ottici sullo spettro di emissione del complesso Tb(DPA)3
-3, (16 µM), in presenza di liposomi di POPC (500 µM): liposomi, senza filtro (rosso) e con filtro 430 nm (verde) o con filtro 515 nm (blu) eccitazione 276 nm, slitte 5 nm (eccitazione) e 5 nm (emissione).
Lo spettro del complesso presenta il picco maggiore di fluorescenza nella zona del picco
di Rayleigh di secondo ordine (λ = 2 × 276 nm = 552 nm) perciò esso può essere
mascherato da questa interferenza, soprattutto nel caso di campioni torbidi. Tale
interferenza spettrale può essere raggirata con successo mediante l’utilizzo di filtri ottici
che sopprimono il contributo di scattering lamba-specifico (picco di Rayleigh di
secondo ordine) e lambda-aspecifico. In particolare, utilizzando un filtro “cut-off” 515
nm è possibile tagliare la radiazione luminosa fino al valore desiderato, lo stesso
principio è valido utilizzando un filtro “cut-off” 430 nm. Anche la larghezza delle slits
di eccitazione e di emissione influenza i valori di fluorescenza. In generale è stato
osservato che i cambiamenti maggiori sono dovuti principalmente dalla slit di
emissione. Gli esperimenti sono stati condotti con le slits a 5 nm. Alcuni esperimenti di
controllo per valutare l’effetto dei liposomi sulla fluorescenza, hanno evidenziato che
liposomi di POPC mostrano degli insoliti picchi nello spettro di emissione, interferendo
in questo modo con la determinazione del complesso. Questo effetto è dovuto
65
Risultati e discussione
probabilmente allo scattering, per cui si rende necessario aumentare la concentrazione
del complesso per rendere non influenti queste interferenze. Nella figura 3.25 è mostrata
la curva di calibrazione del complesso in presenza e assenza di liposomi; si può vedere
come la fluorescenza sia proporzionale alla concentrazione del complesso.
0 1 2 3 40
5
10
15
20
25
30
35
40
45
50
Fluo
resc
enza
(u.a
.)
Tb(DPA)33- (µM)
Figura 3.25. Retta di calibrazione del complesso Tb(DPA)33- in bicina 50 mM, pH
8.5, saccarosio 170 mM. In soluzione acquosa (linea tratteggiata) e in presenza di liposomi VET200 a base di POPS/DDAB/POPC 2:2.5:5,5 (500 µM, linea continua).
Un risultato importante è ottenuto quando all’intensità di fluorescenza prodotta in
presenza di liposomi, viene sottratto il contributo dovuto allo scattering degli stessi
liposomi, dimostrando in questo modo che i valori di fluorescenza del complesso sono
proporzionali alla sua concentrazione e risultano anche coincidenti a quanto osservato in
soluzione acquosa. Ciò permette di concludere che la presenza di liposomi non riduce
l’intensità specifica di fluorescenza del complesso.
Lo spegnimento della fluorescenza può essere ottenuto aggiungendo EDTA al
complesso: lo ione terbio viene complessato dall’EDTA e non può piu interagire con lo
ione dipicolinato, e la fluorescenza viene ridotta. Questo effetto viene sfruttato per
discriminare la presenza del complesso Tb(DPA)33- interno alle vescicole da quello
presente all’esterno (ad esempio formatosi in seguito al rilascio dei soluti nel mezzo
66
Risultati e discussione
esterno in seguito all’interazione tra le vescicole), in quanto l’EDTA non permea la
membrana liposomale.
L’utilizzo di detergenti che distruggano la membrana delle vescicole è necessario per
quantificare la concentrazione totale del complesso in ciascun esperimento. Anche
questo saggio ha richiesto una scelta oculata del detergente. Il colato di sodio risulta
inutilizzabile poiché esso interagisce con lo ione Tb3+ causandone la precipitazione; il
triton-X-100 invece, avendo un anello aromatico nella sua struttura molecolare, riduce
fortemente la fluorescenza, quindi il suo impiego risulta controproducente. Il detergente
che invece si è rilevato adatto per questi esperimenti è stato il β-ottil-gluco-D-piranosio
(β-OG), il quale non mostra alcuna interferenza, nè chimica nè spettrale.
3.8. Ottimizzazione delle condizioni di intrappolamento dei soluti
3.8.1. Interferenze chimiche
La scelta di utilizzare la bicina piuttosto che un tampone a base di borato si è rivelata
obbligata ai fini della realizzazione del saggio di fusione con lo ione terbio e l’acido
dipicolinico. L’impiego di vescicole di oleato necessita infatti l’uso di un tampone a pH
8.5 e a questi valori alcalini lo ione terbio precipita sotto forma di idrossidi; ciò è stato
osservato in borato, HEPES, Tris HCl. Tale problema viene risolto usualmente con un
agente chelante che rende il terbio solubile in tali condizioni, e il citrato è l’agente
chimico che si presta a questo scopo. In questo caso specifico, tuttavia, non è possibile
perseguire questa strategia perché il citrato interagisce con il DDAB per cui tale effetto
è controproducente poiché introdurrebbe una interferenza in più nel sistema che si vuole
studiare. Sorprendentemente, il terbio non precipita in soluzione a pH 8.5 se si utilizza
la bicina e questa proprietà si rivela ottimale per condurre gli esperimenti nelle
condizioni prescelte. Sia lo ione terbio che il dipicolinato interagiscono rispettivamente
con l’oleato e il DDAB, e in base a questa considerazione si è deciso di intrappolare il
TbCl3 all’interno delle vescicole positive e il dipicolinato in quelle negative. In seguito
a separazione cromatografica per esclusione dimensionale, le vescicole risulteranno
private dei soluti presenti esternamente, e quando mescolate non sono stati mai osservati
processi di aggregazione grossolani. Tali processi sono invece evidenti se le vescicole
sono mescolate prima della cromatografia, dove gli eventi di aggregazione sono dovuti
67
Risultati e discussione
principalmente ai reagenti esterni alle vescicole. In base a queste osservazioni si
possono fare due considerazioni: la prima è che sia il terbio che il DPA intrappolati
sono concentrati nelle vescicole nell’ordine di poche µmoli, e quindi non sufficienti a
promuovere processi aggregativi, e che poi la formazione del complesso al momento
della reazione tra vescicole potrebbe prevenire l’interazione dei singoli ioni con i
tensioattivi carichi.
3.8.2. Metodi di intrappolamento per i differenti casi
Per l’intrappolamento dei soluti, necessari al saggio di fusione, sono state utilizzate
diverse preparazioni sia per le vescicole anioniche che per quelle cationiche. Nel caso
delle vescicole di oleato i risultati sono soddisfacenti per tutte le preparazioni, anche se
il metodo di preparazione per ”salto di pH” produce i risultati migliori, garantendo una
percentuale di incapsulamento del DPA più consistente. Gli altri metodi utilizzati in fase
preliminare sono (1) la preparazione di vescicole via iniezione di micelle (pH 11) in
tampone a pH 8.5 o (2) quella per dispersione di acido oleico in tampone a pH 8.5, con
successiva titolazione della soluzione ad un valore di pH 8.5 (vedi paragrafo 3.2).
Anche per le vescicole cationiche sono stati impiegati diversi metodi. Nei casi in cui è
stato utilizzato il DDAB il metodo che prevede l’uso del “matrix effect” ha garantito un
buon intrappolamento dello ione terbio, mentre l’utilizzo del solo tensioattivo cationico
come costituente delle vescicole non garantisce una buona percentuale di
intrappolamento. Anche il DODAB è stato studiato in miscela con il POPC con esito
soddisfacente. Come accennato precedentemente, l’uso del DODAB è limitato dalla
elevata temperatura di transizione gel-liquido, per cui in tale caso il sistema è stato
studiato solo mediante turbidimetria.
Come noto, esiste una procedura che garantisce un maggiore intrappolamento di
materiale all’interno dei liposomi definita: “freeze-&-thaw”. Questa semplice procedura
consiste in ripetuti cicli di congelamento e scongelamento (in azoto liquido) dei
liposomi preparati in un tampone contenente i soluti da intappolare. Il trattamento è
stato utilizzato per entrambe le popolazioni di vescicole cationiche e anioniche,
confermando la sua utilità, come evidente dall’incremento di fluorescenza (+25%
rispetto allo stesso esperimento provato senza cicli di congelamento e scongelamento
delle vescicole). Per separare lo ione terbio e lo ione dipicolinato intrappolato
all’interno delle vescicole da quello libero in soluzione, è stata ottimizzata la
68
Risultati e discussione
separazione attraverso cromatografia per esclusione di dimensione. Questa tecnica
prevede l’utilizzo di colonne impaccate con un gel, che funzionerà come un setaccio
molecolare. I soluti che passano attraverso la colonna vengono selezionati sulla base
delle loro dimensione (o peso molecolare). Molecole o particelle di dimensione
maggiore saranno eluite prima di quelle di dimensione inferiore, le quali, percorrendo
con piu efficienza i molteplici percorsi creati dalla porosità del gel, impiegheranno un
tempo maggiore a percorre la colonna. I liposomi, grazie alla loro dimensione
ragguardevole, vengono separati con facilità da molecole o ioni di piccole dimensioni.
Sia le vescicole anioniche che cationiche, prima di essere caricate nella colonna,
vengono estruse con membrane di policarbonato a 200 nm eliminando in questo modo
eventuali aggregati che potrebbero ostruire il cammino dei liposomi all’interno del gel.
In figura 3.26 è mostrato uno schema esplicativo della tecnica appena descritta.
Figura 3.26. Cromatografia di esclusione dimensionale.
Sia le vescicole positive, rese cariche con il DDAB attraverso il “matrix effect”, che
quelle negative di oleato preparate per “salto di pH”, possono essere separate con buoni
risultati (altamente riproducibili) utilizzando il gel “sepharose 4B”, conservando le
dimensioni iniziali, come confermato mediante analisi di DLS delle frazioni raccolte. I
tamponi di eluizione utilizzati negli esperimenti sono isotonici con le soluzioni
69
Risultati e discussione
all’interno delle vescicole evitando in questo modo di sottoporre i campioni ad
indesiderati stress-osmotici.
Nella figura 3.27 (B) sono riportati i picchi di eluizione corrispondenti alla separazione
del DPA libero da vescicole di oleato; la lettura in tempo reale dell’assorbanza dei
campioni eluiti avviene attraverso il collegamento di una unità fotometrica all’apparato
cromatografico.
Figura 3.27. (A) Spettro di vescicole di oleato VET200 (1 mM) in bicina 50 mM, pH 8.5, DPA 50 mM, misurato dopo cromatografia a filtrazione su gel, spettro registrato, torbidità, spettro differenza (B) Profilo di eluizione del campione, che mostra la separazione tra vescicole di oleato contenenti DPA (picco 1) e DPA libero (picco 2).
In figura 3.27 (A) è mostrato lo spettro delle vescicole di oleato dopo separazione
cromatografica, che hanno quindi intrappolato lo ione DPA. Si può notare che lo spettro
di tali vescicole risulti composto da un classico profilo di torbidità al quale risulta
sovrapposto lo spettro di assorbimento dello ione DPA. Questi risultati confermano la
riuscita dell’intappolamento e della successiva separazione.
70
Risultati e discussione
260 280 3000.0
0.2
0.4
0.6
OD (1
cm)
Lunghezza d'onda (nm)
ba BA
0.00 0.05 0.10 0.150.0
0.2
0.4
0.6
OD (1
cm)
[DPA] mM
ba
Figura 3.28. Calibrazione spettrofotometrica per lo ione dipicolinato (DPA) in bicina 50 mM pH 8.5. Spettri del DPA a concentrazioni crescenti (A); rette di calibrazione a 271 nm (a) e 278 nm (b).
In figura 3.28 è mostrata la retta di calibrazione dell’acido dipicolinico, attraverso la
quale è possibile quantificare il DPA intrappolato. Infatti, è possibile sottrarre
matematicamente la torbidità allo spettro delle vescicole di oleato contenenti DPA e
risalire in questo modo, attraverso la retta di taratura, alla concentrazione dell’acido
dipicolinico intrappolato nel core acquoso.
In seguito ad esperimenti preliminari di fluorescenza e di formazione del complesso,
risulta chiaro che la quantità di DPA disponibile nelle soluzioni finali è un parametro
critico. Infatti, essendo la stechiometria del complesso 1:3 a favore del DPA, è
necessario che il suo intrappolamento sia elevato. Questo risultato è stato ottenuto in
modo ottimale con la preparazione per “salto di pH”.
Per ciò che riguarda la separazione cromatografica delle vescicole positive sono emerse
invece alcune problematiche. Vescicole composte di solo DDAB, dopo la cromatografia
non sembrano più contenere lo ione terbio, probabilmente a causa dell’interazione tra
vescicole e matrice. Utilizzando invece vescicole miste DDAB/POPC 1:1, questi
problemi non si verificano, e risulta possibile separare in modo riproducibile gli ioni
71
Risultati e discussione
terbio non intrappolati. Nel caso delle vescicole di DODAB non è possibile adoperare la
separazione cromatografica perché ad alte concentrazioni (necessarie per un migliore
intrappolamento), e basse temperature (25 ºC), le vescicole di DODAB danno origine ad
un gel che non fluisce attraverso la colonna. La separazione dello ione Tb3+ libero è
stata tuttavia ottenuta con il metodo della dialisi: a seguito dell’aggiunta di DPA al
campione dializzato non vi è fluorescenza, che invece emerge considerevolmente al
momento della rottura con il detergente. Da questo risultato si può pensare che nel gel
di DODAB/POPC siano ancora presenti compartimenti derivanti dalla iniziale
formazione delle vescicole. Nella figura 3.29 è mostrato infine come l’intensità di
fluorescenza, a parità di altre condizioni, risulti proporzionale alla concentrazione di
lipidi, poiché con essa aumenta proporzionalmente anche il volume interno totale delle
vescicole e quindi la quantità di complesso.
Figura 3.29. Effetto dell’aumento della concentrazione di vescicole, DDAB/POPC 1:1, TbCl3 10 mM, mescolate 1:1, con vescicole di oleato/POPC 4:1, DPA 50mM, in bicina 50 mM, pH 8.5, NaCl 75 mM, sull’intensità di fluorescenza; il punto dopo il break sull’asse delle ordinate rappresenta il valore dopo l’aggiunta di DPA (15 µmoli).
72
Risultati e discussione
3.9. Studio della reattività tra vescicole di carica opposta - Fusione
Per studiare la fusione tra vescicole, la fluorescenza si rivela uno strumento molto utile
ed importante perché, attraverso la misura dell’intensità prodotta in diversi casi,
permette di distinguere tra processi competitivi che sono in gioco nella reattività tra
vescicole di carica opposta. In base a considerazioni teoriche, che trovano riscontro in
lavori pubblicati (Pantazotos & McDonald, 1999), a seguito all’interazione tra vescicole
si possono verificare i seguenti tre casi principali: (1) fusione, (2) rottura e
riarrangiamento, (3) non reazione. Nel caso della “fusione”, che rappresenta il
comportamento “ideale”, due (o più) vescicole reagiscono fondendosi in un'unica
particella e i soluti internalizzati, inizialmente separati, si mescolano nel nuovo spazio
interno, senza fuoriuscire. Nel secondo caso, chiamato “rottura e riarrangiamento”,
differisce dal primo in quanto il prodotto della reazione tra i soluti inizialmente
internalizzati, viene a trovarsi, al termine del processo, all’esterno delle vescicole. Ciò
può essere dovuto a un aumento della permeabilità (anche solo transiente) durante il
processo reattivo, oppure a un processo nel quale le vescicole si disintegrano
(parzialmente o totalmente) a seguito dell’interazione vescicola-vescicola o vescicola-
tensioattivo. Infine, per “non-reazione” si intende l’assenza di incontro tra le sonde
idrosolubili. Ciò non è sinonimo di assenza di reazione tra le vescicole, che possono
invece aggregarsi tra loro con o senza rimescolamento dei lipidi.
73
Risultati e discussione
Lunghezza d’onda (nm)
Fluo
resc
enza
totF
nrF
rF
outF
inF100 reazionenon %
100 rottura %
100 fusione %
×=
×=
×=
tot
nr
tot
out
tot
in
FF
FFFF
a
c
b
Figura 3.30. Strategia seguita per l’analisi dei dati relativi al saggio di fusione, che fornisce le percentuali di fusione, rottura, non reazione, a partire dagli spettri ottenuti in seguito a mescolamento delle due popolazioni di vescicole con carica opposta contenenti il Tb3+ e DPA2- intrappolati. Intensità totale in seguito al mescolamento ed alla rottura delle vescicole con detergente (a); intensità ottenuta dopo mescolamento delle vescicole (b); intensità ottenuta in seguito all’aggiunta di EDTA (c).
In figura 3.30 è schematizzato il procedimento elaborato per distinguere i tre processi
sopra elencati, attraverso l’analisi del picco di fluorescenza. Mescolando le vescicole in
presenza di detergente è possibile quantificare la fluorescenza massima (Ftot), in quanto
vi è totale rilascio dei soluti intrappolati. Mescolando le due popolazioni e misurando
l’intensità prodotta (tal quale) si quantifica quanta fluorescenza è stata prodotta dalla
reazione tra le vescicole recanti carica elettrica opposta (Fr). In tali condizioni,
aggiungendo un’aliquota di EDTA alla miscela si può spegnere la fluorescenza del
complesso formatosi all’esterno delle vescicole, senza però ridurre la fluorescenza del
complesso contenuto all’interno delle vescicole (Fin), poiché l’EDTA non penetra
attraverso la membrana lipidica. In figura 3.30 sono anche riportate le formule utilizzate
per il calcolo delle percentuali riguardanti i tre processi. La presenza di liposomi può
avere un duplice effetto sulla quantificazione della fluorescenza. In primo luogo, non
deve ridurre il segnale di emissione del complesso; in secondo luogo, la torbidità
associata deve poter essere sottratta dalla fluorescenza. E’ stato già dimostrato (figura
74
Risultati e discussione
3.25) che nelle condizioni tipiche di questi esperimenti, l’intensità di fluorescenza non è
alterata dalla presenza di liposomi. Per sottrarre la torbidità delle vescicole allo spettro
di emissione delle miscele, si misura lo scattering delle vescicole prima di mescolarle e
lo si sottrae, facendo la media pesata per ogni rapporto di mescolamento, all’intensità di
fluorescenza osservata al momento del mescolamento.
La validità di tale metodo è stata verificata con un opportuno esperimento di controllo,
(figura 3.31), che conferma come i valori di scattering calcolati (facendo la media
pesata) per ogni rapporto corrispondano sostanzialmente a quelli misurati
sperimentalmente.
0.0 0.2 0.4 0.6 0.8 1.00
5
10
15
20
25
30
35
40
Fluo
resc
enza
(u.a
.)
% DDAB
Fugura 3.31. Intensità di fluorescenza (544 nm) delle vescicole di DDAB/POPC 1:1, oleato/POPC 4:1, VET200, [lipidi] = 4 mM in bicina 50 mM, pH 8.5, saccarosio 170 mM.Valori misurati (asterisco), valori calcolati (cerchio pieno).
Nello studio della fusione tra due popolazioni di vescicole con carica elettrica opposta
assume un’importanza rilevante il mezzo in cui la reazione avviene. Infatti si può
ipotizzare che la reattività sia minore in soluzioni ad alta forza ionica, poiché le cariche
dei tensioattivi positivi e negativi sono schermate dai rispettivi controioni presenti in
soluzione. Nel caso studiato, la forza ionica è abbastanza elevata perché durante
l’eluizioni dei campioni nella colonna cromatografica (necessaria a separare gli ioni
Tb3+ o DPA2- non intrappolati) si utilizza una soluzione tampone isotonica con quella
interna alle vescicole per evitare stress-osmotici che potrebbero compromettere la loro
75
Risultati e discussione
integrità con conseguente perdita di soluti inizialmente intrappolati. Per compensare la
differenza di osmolarità tra tampone di eluizione e la soluzione delle vescicole, si sono
usati due agenti con proprietà opposte: NaCl e saccarosio. Entrambi, se aggiunti al
tampone bicina 50 mM, ne modificano l’osmolarità, avendo tuttavia forza ionica molto
diversa. E’ stato dimostrato che quando le vescicole si trovano in un mezzo con NaCl
risultano essere meno reattive rispetto a quando si trovano in un mezzo contenente
saccarosio, che non contiene gruppi ionizzabili e quindi non in grado di schermare la
carica delle vescicole abbassandone la reattività. E’ quindi evidente che è possibile
modulare la reattività tra vescicole cariche mediante la variazione della forza ionica del
mezzo. Gli spettri relativi al saggio di fusione per la miscela oleato/POPC 4:1 e
DDAB/POPC 1:1 (4:1 in moli) sono mostrati in figura 3.32.
535 540 545 550
40
60
80
100
120
Lunghezza d'onda (nm)
Fluo
resc
enza
(u.a
.)
b
a
BA
520 530 540 550 5600
20
40
60
Lunghezza d'onda (nm)
Figura 3.32. (A) spettri di emissione della miscela 1:4 delle popolazioni di vescicole, VET200, DDAB/POPC 1:1, 4mM e oleato/POPC 4:1 in bicina 50mM pH 8.5, saccarosio 170 mM (a) dopo mescolamento; (b) dopo aggiunta di EDTA 50 mM (b); (B) rilascio completo dei reagenti in seguito a rottura delle vescicole mediante il detergente β-ottil-gluco-D-piranosio. La line di base della torbidità (linea tratteggiata in basso) è stata linearizzata per chiarezza. In realtà presenta anch’essa un picco centrato a 540 nm.
76
Risultati e discussione
Figura 3.33. Grafico quantitativo dei processi che si manifestano dal mescolamento in volumi di vescicole recanti carica elettrica opposta (A) DDAB/POPC 1:1-oleato/POPC 4:1 (4 mM), TbCl3 10 mM, DPA 50 mM, bicina 50 mM, pH 8.5, NaCl 75 mM (B) DDAB/POPC 1:1-oleato/POPC 4:1 (4mM), TbCl3 10 mM, DPA 50 mM, bicina 50 mM, pH 8.5, saccarosio 170 mM (C) DDAB/POPC 1:1-POPS/POPC 2:3 (500 µM), TbCl3 10 mM, DPA 50 mM, bicina 50 mM, pH 8.5, saccarosio 170 mM.
Sulla base delle considerazioni fatte prima riguardo all’analisi dei dati di fluorescenza, è
stato possibile costruire un grafico ad istogrammi che quantifica i tre eventi sopra citati
(fusione, rottura e non reazione) mostrato in figura 3.33 insieme ad altri casi
comparativi. Come prima cosa si può confrontare la reattività delle vescicole di
DDAB/POPC e oleato/POPC in un mezzo contenente saccarosio con quelle che
77
Risultati e discussione
reagiscono in un mezzo contenente NaCl e vedere come i dati siano tendenzialmente
simili ma come si abbia una percentuale maggiore di reazione (e fusione) in un mezzo
contenente saccarosio. Il terzo istogramma (figura 3.33 C) mostra la reattività delle
vescicole di DDAB/POPC con quelle di POPS/POPC in un mezzo contenente
saccarosio. Si nota che sostituendo all’oleato un fosfolipide carico negativamente, con
la fosfatidilserina, si abbassa la percentuale di rottura rendendo le vescicole però anche
meno reattive.
Oltre agli esperimenti di fluorescenza, la reazione è stata indagata anche utilizzando
tecniche turbidimetriche.
0 2 4 6 8 100.0
0.2
0.4
0.6
0.8
1.0
c
b
a
V-
V+
OD (6
00 n
m)
Tempo (min)
Figura 3.34. Fase lenta della cinetica di reazione tra vescicole di DDAB/POPC 1/1 e oleato/POPC 4:1 (entrambi 4 mM) in bicina 50 mM, pH 8.5, saccarosio 170 mM. Mescolamento delle due popolazioni a diversi rapporti molari, V+, V-; 1:4 (a), 1:1 (b), 4:1 (c). I valori teorici del puro mescolamento sono riportati come linee tratteggiate.
In figura 3.34 si mostra la cinetica delle reazioni tra le vescicole in tampone contente
saccarosio e si può vedere che i valori di equilibrio raggiunti, per tutti i rapporti di
mescolamento, siano minori di quelli teorici corrispondenti alla somma dei valori delle
assorbanze delle due popolazioni, (corrispondenti alla assenza di reazione, ovvero al
puro mescolamento). Da questa osservazione si può confermare che le due popolazioni
reagiscono, come mostrato dagli esperimenti di fluorescenza, ma si può escludere un
processo di tipo aggregativo, risultante in un graduale aumento di assorbanza nel tempo,
78
Risultati e discussione
che porterebbe ad una aggregazione e/o fusione con un conseguente aumento di
dimensione. Questo però non esclude un intermedio di reazione che consenta il
mescolamento dei contenuti acquosi, il mescolamento dei lipidi di membrana e la
successiva disgiunzione conservando in questo modo le dimensioni iniziali. Questo dato
è essenzialmente confermato dalle size distributions mostrate in figura 3.35 dove si vede
che in seguito al mescolamento non si osserva un aumento di dimensione, ma la
dimensione media sembra rimanere nell’intorno di quelle iniziali.
1 10 100 1000 100000.0
0.1
0.2
0.3
0.4
0.5
b
a
Inte
nsità
rela
tiva
raggio idrodinamico (nm)
Figura 3.35. DLS Size distribution di vescicole 1 mM VET200. (a) DDAB/POPC 1:1, (b) oleato/POPC 4:1, bicina 50 mM, pH 8.5, saccarosio 170 mM. La loro miscela, in rapporti di volume V+, V-, 1:4 è mostrata come linea tratteggiata.
Considerando che il processo di fusione è un evento molto veloce, l’utilizzo di un
apparato di stopped-flow diventa necessario per determinare la velocità della reazione
nei primi momenti. In figura 3.36 sono mostrati i profili turbidimetrici del
mescolamento di vescicole. Un processo veloce che termina all’incirca in 20 secondi, è
presente in tutti e tre i rapporti studiati. La velocità iniziale (stimata nei primi 250-500
ms) aumenta all’aumentare della frazione di vescicole positive.
79
Risultati e discussione
Figura 3.36. Fase veloce della cinetica di reazione fra vescicole DDAB/POPC 1:1, oleato/POPC 4:1, VET200 4 mM, in bicina 50 mM, pH 8.5, saccarosio 170 mM, Mescolate mediante stopped-flow a diversi rapporti molari, V+, V-, 1:4 (linea rossa), 1:1 (linea nera), 4:1 (linea verde). Nell’inserto sono mostrate le velocità iniziali; V+/V-; 1:4 (a), 1:1 (b), 4:1 (c). Velocità iniziali (1/s): 0.44 (a), 0.63 (b), 2.77 (c).
Nel caso in cui si adoperi un eccesso di vescicole positive (80% moli) la velocità
iniziale è molto maggiore rispetto alle altre. Queste considerazioni fanno ipotizzare che
in eccesso di vescicole positive la natura degli eventi sia diversa da quella nel caso in
cui le carica positiva è in difetto, e quindi non lo rende confrontabile con gli altri due
casi. Questo fatto dovrà essere considerato piu approfonditamente in studi successivi,
mirati a determinare la stechiometria della reazione.
Se il processo di riconoscimento e la reattività tra vescicole recanti carica opposta è
principalmente dovuto a forze di tipo elettrostatico, e le vescicole di DDAB/POPC
hanno un potenziale zeta pari a 40 mV, mentre per le vescicole di oleato/POPC il valore
misurato è di –20 mV, allora il potenziale delle prime, viene ad essere “neutralizzato”
solo parzialmente in caso di una stechiometria 1:1. Questo porta a pensare che le
vescicole positive possano reagire con più di una vescicola negativa. Sulla base di
queste considerazioni e dai dati ottenuti attraverso gli esperimenti di fluorescenza
(figura 3.32-33), si può suggerire che le vescicole reagiscano in rapporto 2:1
(anioniche:cationiche).
Nel caso in cui si è osservata la maggiore resa in fusione (figura 3.33 B, vescicole
cationiche 20%), la stechiometria 2:1 implicherebbe che la sospensione risultante
mostrasse un potenziale zeta mediamente negativo, a causa della presenza in eccesso di
80
Risultati e discussione
vescicole negative “non reagite”. In figura 3.37 è mostrato il potenziale zeta di tale
miscela di reazione che conferma questa previsione.
-120 -100 -80 -60 -40 -20 0 20 40 60 80 100 1200
5
10
15
20
25
30
INTE
NSIT
Y
potenziale zeta (mV)
Figura 3.37. Profilo del potenziale zeta in bicina 50 mM pH 8.5, saccarosio 170 mM di vescicole VET 200, 500 µM, risultante dal mescolamento di DDAB/POPC 1:1 e oleato/POPC 4:1 in volumi, 1:4.
3.10. Interpretazione dei dati sperimentali
Sulla base dei risultati descritti in questo capitolo, e in particolare dall’analisi del caso
specifico del paragrafo 3.9, si può comprendere come il meccanismo di fusione tra
vescicole sia molto complesso. In particolare, oltre alla natura del sistema lipidico usato
(es. DDAB o DODAB, oleato o POPS, da soli o in combinazione con un fosfolipide
neutro come POPC), e all’effetto della natura e della concentrazione del tampone, si è
riscontrato che il meccanismo di interazione tra vescicole anioniche e cationiche possa
anche dipendere dalla loro concentrazione relativa, nonchè dal rapporto tra le cariche.
Inoltre, nel caso specifico studiato, dove si utilizzano tensioattivi aventi una
(relativamente) alta concentrazione monomerica in equilibrio con gli aggregati, le
complicazioni crescono perché in questi sistemi esiste un equilibrio chimico tra
monomeri nel doppio strato lipidico e monomeri liberi in soluzione. Ad esempio, questo
81
Risultati e discussione
equilibrio è più veloce nelle vescicole di acidi grassi (oleato) e più lento nelle vescicole
di fosfolipidi (POPS).
Attraverso gli esperimenti preliminari, condotti sia su vescicole cationiche a base di
DDAB che quelle contenenti DODAB, si è scelto di focalizzare l’attenzione sulle
prime, in quanto di più facile preparazione e manipolazione, soprattutto tenendo conto
della temperatura di transizione gel/liquido (Tm), troppo alta nel caso del DODAB. In
principio, nulla impedisce di studiare la fusione tra una membrana che si trovi nello
stato liquido con una che si trovi in uno stato gel, tuttavia, per poter creare un modello
più aderente possibile a quanto comunemente avviene nelle cellule viventi, sono stati
preferiti i liposomi contenenti DDAB.
Le vescicole di oleato sono state utilizzato durante questo studio poiché – sebbene vi sia
una ampia varietà di scelta tra vari fosfolipidi con carica negativa, poco è noto sulle
proprietà di vescicole a base di oleato.
Come detto precedentemente, lo studio della fusione tra vescicole recanti carica elettrica
opposta può avere un’ulteriore rilevanza in virtù di una potenziale selettività di tale
processo reattivo, che potrebbe originarsi dal raggiungimento dell’elettroneutralità.
Visto che verosimilmente le vescicole cationiche e anioniche tendono ad attrarsi e a
formare complessi “di incontro” grazie all’esercizio di forze elettrostatiche, è possibile
immaginare che, una volta raggiunto uno stato di neutralizzazione (totale o parziale),
una successiva reazione con altre vescicole cariche potrebbe risultare sfavorita.
Nel lavoro presentato (in particolare i dati riguardanti lo studio dettagliato della
reazione tra vescicole cationiche DDAB:POPC 1:1 e vescicole anioniche POPC:oleato
1:4 in tamponi a diversa forza ionica) sono stati riportati i valori di potenziale zeta delle
vescicole cationiche (V+) e di quelle anioniche (V-). Nel primo caso si ha un valore di
+40 mV, nel secondo di –20 mV. Sembra quindi che, nelle condizioni di lavoro, il
potenziale elettrostatico generato dalle V+ sia maggiore di quello delle V-. Se si guarda
però ai rapporti di carica, risulta che le V+ rechino il 50% di carica, mentre le V- ne
portino circa il 40%. Quindi, una reazione 1:1 potrebbe portare a una specie quasi-
neutra. Tuttavia, se si considerano i valori dei potenziali zeta, risulta che una
stechiometria V+:V- 1:2 sia indice di un basso potenziale reattivo.
I dati sul mescolamento del contenuto interno (figura 3.33, relativi alla fluorescenza)
indicano che la massima resa in fusione si ottiene quando si lavora in “eccesso” di V-
(in particolare per un rapporto V+:V- pari a 1:4), e in un tampone a bassa forza ionica
82
Risultati e discussione
(figura 3.33B). Questo risultato potrebbe suggerire che la miscela 1:1 non rappresenta la
condizione ideale per la fusione (figura 3.33 A-B), viceversa farebbe propendere per
una stechiometria di tipo V+:V- 1:2.
Per determinare l’ordine di reazione è necessario eseguire degli studi sulla cinetica di
reazione delle due specie di vescicole aventi carica elettrica opposta. Il processo di
fusione è molto veloce, pertanto, al fine di cogliere i primi stadi della reazione, che
corrispondono verosimilmente alla formazione del complesso iniziale (v. paragrafo 1.3)
è necessario utilizzare un apparato di stopped-flow. Gli esperimenti preliminari hanno
mostrato che nelle condizioni impiegate è possibile fare delle misure dove effetti
secondari di disturbo non sono presenti (ad esempio un processo di aggregazione non
selettivo). Tuttavia, non sono stati fatti ulteriori esperimenti a questo riguardo perché
dai dati preliminari scaturiti dalla turbidimetria, DLS e fluorescenza, appare evidente
che i processi associati alla reazione tra le vescicole studiate sono in realtà molteplici e
dipendenti dal rapporto tra i reagenti. Per tale motivo l’analisi cinetica potrebbe risultare
complessa.
I due tamponi utilizzati (bicina 50 mM, pH 8.5, in presenza di NaCl oppure in presenza
di saccarosio) sono iso-osmolari con il contenuto interno delle vescicole ma diversi tra
loro per quanto concerne la forza ionica. Si è osservato che la reattività è maggiore in un
mezzo contenete saccarosio (bassa forza ionica) piuttosto che NaCl (alta forza ionica).
Questo comportamento è spiegabile considerando che sia l’avvicinamento di vescicole
anioniche e cationiche che la vera e propria fusione tra le membrane giustapposte
risente dell’effetto di schermo del tampone, che aumenta all’aumentare della forza
ionica. I dati di fluorescenza indicano chiaramente una frazione maggiore di vescicole
“non reagite” ove si operi in presenza di NaCl. Analogamente, la “rottura” – ovvero
quel processo che porta a un rilascio totale o parziale del contenuto delle vescicole nel
tampone – è maggiore quando il tampone è a bassa forza ionica (contenente dunque
saccarosio).
E’ stato osservato anche che le vescicole composte di fosfolipidi (POPC-POPS)
piuttosto che (POPC-oleato) mostrano la possibilità di fondersi, anche se con rese
minori. Tuttavia, dai dati raccolti, sembra che non vi sia associato il processo di
“rottura” che invece caratterizza le vescicole composte da oleato. Questo
comportamento potrebbe suggerire che l’equilibrio monomero/aggregato, gioca, nelle
vescicole a base di oleato, un ruolo non trascurabile.
83
Risultati e discussione
Nella figura 3.38 è schematizzato un possibile meccanismo che comprende le varie vie
reattive relative alla reazione tra vescicole lipidiche di carica opposta. Si può vedere
come i percorsi che portano ad un rimescolamento dei lipidi di membrana e/o dei
contenuti acquosi possa avvenire in diversi modi. Per ciò che riguarda il
rimescolamento dei lipidi di membrana esso può verificarsi sia in seguito ad un contatto
tra le vescicole recanti carica elettrica opposta (con o senza scambio dei soluti
intrappolati) che attraverso uno scambio dei monomeri in equlibrio. In ambedue i casi il
prodotto finale sono vescicole dette “catanioniche” ovvero composte da tensioattivi
cationici e anionici mescolati insieme. Lo scambio dei contenuti acquosi delle vescicole
può anche essere un evento transiente dovuto alla formazione di una zona ad alta
permeabilità (ad esempio un canale o strutture lipidiche non lamellari) tra due o più
vescicole venute in contatto, e che permetterebbe il passaggio dei soluti separati nei due
compartimenti. Questo meccanismo simulerebbe molto da vicino quello che in
neurofisiologia viene indicato come rilascio sinaptico mediante meccanismo “kiss-and-
run”.
Un evento di fusione ideale (anche mostrato in figura 3.38) dovrebbe portare ad un
aumento di superficie e di volume della nuova specie di vescicole, risultante
dall’incontro e fusione delle vescicole di carica opposta, che quindi andrebbero a
mescolare i loro contenuti interni e i loro lipidi. Questo fenomeno dovrebbe essere
osservabile mediante turbidimetria e DLS, anche se all’aumento di dimensioni
(teoricamente di un fattore √2 per vescicole iniziali di pari dimensione)
corrisponderebbe inevitabilmente una riduzione del numero di particelle (di un fattore
½), pertanto le due tendenze potrebbero parzialmente bilanciarsi e rendere complicata
l’identificazione di tale processo.
Sulla base dei risultati sulla auto-riproduzione delle vescicole (Rasi et al. 2003) si può
anche prevedere che, a seguito della fusione e aumento di dimensione, la nuova specie
vescicolare possa anche successivamente dividersi, a formare due o più vescicole aventi
dimensione minore. In tal caso i prodotti finale avrebbero dimensioni comparabili ai
reagenti ma i contenuti acquosi risulterebbero mescolati, così come quelli lipidici.
Nel processo di fusione propriamente detto, invece, va evidenziato che per mantenere la
forma sferica, a seguito della unione tra le vescicole si deve avere un aumento del
volume interno, così come durante la fissione, deve avvenire il contrario.
84
Risultati e discussione
Eventi collaterali, non riportati in figura 3.38, possono comprendere la “rottura” o
permeabilizzazione delle vescicole, o l’incorporazione preferenziale di una certa specie
monomerica nello strato lipidico di altre vescicole, così come l’aggregazione non
selettiva di più vescicole per formare veri e propri “grappoli” vescicolari.
Infine, va notato che i processi indicati in figura 3.38, avvengono verosimilmente in
successione a causa del variare delle principali forze in gioco. Ad esempio, l’iniziale
aggregazione tra vescicole di carica opposta è guidata dalle forze elettrostatiche, il
mescolamento dei lipidi è entropicamente favorito, così come la successiva separazione
tra vescicole aventi bassa densità di carica (ovvero rese pressoché neutre).
Figura 3.38. Modello delle possibile vie di interazione tra vescicole lipidiche aventi carica elettrica opposta (rosso carica positiva, blu carica negativa).
85
Conclusioni e prospettive
4. CONCLUSIONI E PROSPETTIVE
La reattività tra vescicole o liposomi recanti carica elettrica opposta è un argomento non
molto esplorato nel campo della chimica-fisica di tali particelle colloidali. L’analisi dei
dati riportati in letteratura evidenzia una scarsezza di informazioni a tale riguardo;
quando presenti, i lavori riportano unicamente le proprietà reattive di fosfolipidi
anionici nei confronti di fosfolipidi o tensioattivi sintetici. Gli esperimenti condotti in
questa tesi, hanno invece permesso di trarre le prime conclusioni riguardo la reattività di
vescicole anioniche a base di acidi grassi (acido oleico), che rivestono una importanza
particolare visto il loro possibile coinvolgimento nell’origine della vita.
Il sistema studiato in questa tesi è composto da vescicole cationiche, in cui sali
d’ammmonio quaternari (DDAB e DODAB) sono utilizzati tal quali o in miscela con
fosfatidilcolina (POPC), e da vescicole anioniche, realizzate con acido oleico/oleato
puro o in miscela con POPC. La presenza di POPC nelle due specie vescicolari permette
di modularne la reattività, riducendo la densità di carica superficiale, ed inoltre le rende
particolarmente stabili dal punto di vista fisico, permettendo tra l’altro l’impiego della
cromatografia ad esclusione dimensionale per la rimozione dei soluti non intrappolati.
La prima fase degli esperimenti ha riguardato la ricerca delle condizioni di stabilità e
intrappolamento delle sonde fluorogeniche nelle vescicole (anioniche e cationiche),
impiegando una soluzione tampone a forza ionica relativamente bassa (50 mM bicina,
pH 8.5). La stabilità di queste vescicole è necessaria, come detto, per condurre con
successo il saggio di fusione; a tal scopo, l’intrappolamento dei composti idrosolubili
(Tb3+ nelle positive e DPA2- in quelle negative) devo essere alto, così che la formazione
del complesso Tb(DPA)3-3 a seguito della fusione risulti rivelabile attraverso un
significativo aumento della fluorescenza (proporzionale alla concentrazione del
complesso). Le procedure seguite prevedono l’utilizzo del matrix effect (aggiunta del
tensioattivo cationico DDAB a liposomi di POPC preformati) per la preparazione delle
vescicole positive, mentre per le vescicole di oleato è stato messo a punto il metodo
della preparazione per “salto di pH”, che consente la preparazione di una soluzione
concentrata di vescicole di oleato (100 mM) in un tampone meno concentrato (50 mM)
– (vedi risultati e/o metodi). Tutte le metodologie applicate per la preparazione di
86
Conclusioni e prospettive
vescicole anioniche e cationiche sono progettate e ottimizzate nell’ottica della
realizzazione successiva del saggio di fusione. Una grande rilevanza è stata data alla
riproducibilità delle preparazioni, alla possibilità di estrusione e – non ultima – alla
possibilità di separazione del soluto non intrappolato mediante cromatografia ad
esclusione dimensionale. Con i metodi mostrati in questa tesi, si è raggiunto un buon
grado di riproducibilità e successo in tutti questi aspetti.
La scelta di utilizzare come tensioattivi il DDAB e l’oleato risiede nella capacità di tali
sistemi a formare nuove specie di vescicole con un basso indice di polidespersione.
Questo accade quando essi sono mescolati in soluzione acquosa in determinati rapporti,
manifestando perciò una interessante e nuova proprietà. Tale fenomeno, già osservato in
passato nel nostro laboratorio (Thomas & Luisi 2004) è stato studiato più in dettaglio in
questa tesi, per comprendere meglio tale processo. In particolare, si è cercato di capire
se la reattività tra vescicole positive e negative coinvolga la fusione (e in quale resa) o
altri processi meno specifici, quali aggregazione, rottura-riformazione, scambio di
monomeri, etc. Il saggio di fusione scelto (basato sulla formazione del complesso
fluorescente Tb(DPA)3-3 permette di rivelare l’eventuale fusione tra vescicole con
scambio dei contenuti acquosi). In questo lavoro di tesi lo sviluppo di tale saggio di
fluorescenza è stato il goal finale.
Attraverso studi di turbidimetria è stato possibile rilevare processi cinetici diversi a
seguito del mescolamento tra popolazioni di vescicole positive e negative. Ogni
processo è tipico di tipo di coppia (tensioattivi cationici e anionici) studiata, nonché
dipendente dal tampone impiegato. Essenzialmente si è sempre rilevata l’esistenza di un
processo reattivo, e si osserva un aumento della densità ottica nel caso del DODAB-
oleato e del DDAB-POPS, mentre la densità ottica diminuisce nel caso del DDAB-
oleato. Da questi dati si può concludere che nei casi in cui si osserva un aumento di
densità ottica si hanno fenomeni di aggregazione, dai quali non si possono escludere
eventi secondari di fusione; mentre nel secondo caso, relativo alla diminuzione della
densità ottica, si può ipotizzare un rimescolamento dei lipidi di membrana (con o senza
mescolamento dei contenuti), con la formazione di nuove specie vescicolari le cui
dimensioni sono molto simili a quelle delle vescicole inizialmente poste a reagire (vedi
figura 3.38).
Il caso più studiato è relativo alla reattività tra vescicole cationiche di DDAB/POPC 1:1
e vescicole anioniche di POPC/oleato 1:4. Intrappolando lo ione terbio nelle vescicole
87
Conclusioni e prospettive
cationiche e lo ione dipicolinato in quelle anioniche si è osservato che è possibile
ottenere, in tampone a bassa forza ionica, una resa di fusione di circa il 25%, la quale si
riduce a circa il 5% se si utilizza un tampone a più alta forza ionica (contenente NaCl).
Tale differente reattività si riscontra nei vari casi studiati (a diversi rapporti tra vescicole
anioniche e cationiche), dimostrando chiaramente che la presenza di elettroliti in
soluzione riduce la reattività tra vescicole recanti carica opposta (da ~ 43% a ~ 32%, in
bicina/saccarosio e bicina/NaCl, rispettivamente).
In futuro, il sistema studiato potrà essere migliorato al fine di ottenere rese di fusione
maggiori, portando a nuove specie di vescicole che siano “la somma” delle vescicole
reagenti. Questo caso “ideale” prevede un aumento della superficie media e del volume
medio della popolazione di vescicole così che si abbia un concreto processo di
combinazione tra vescicole diverse. Per ottenere ciò, la scelta dei tensioattivi, dei
rapporti molari in cui devono reagire, la natura della soluzione tampone e la forza ionica
sono tutte condizioni che vanno prese in considerazione e ottimizzate ulteriormente.
Raggiunto questo tipo di meccanismo, lo scopo successivo potrebbe comportare
l’impiego di sistemi enzimatici che realizzino in pratica ciò che è stato accennato
nell’introduzione (figura 1.3), ovvero fare in modo che più sistemi semplici si
combinino per dare origine ad una nuova realtà più complessa, che ha proprietà assenti
nei componenti iniziali.
L’obiettivo finale di questa ricerca è quello di ricostruire reazioni biochimiche
complesse a partire dal mescolamento di due o più specie di vescicole, ciascuna
portante al suo interno un sottoinsieme delle sostanze responsabili di tali reazioni
biochimiche, facendo quindi in modo che la fusione sia il processo responsabile del
mescolamento di questi componenti. Lavori che riguardano la sintesi proteica
all’interno di compartimenti – e a partire da diversi compartimenti ciascuno contenente
una parte dei reagenti necessari alla sintesi – sono già stati fatti nel gruppo di ricerca del
professor Luisi (Pietrini and Luisi, 2004; Fiordemondo, 2005) ma utilizzando emulsioni.
L’utilizzo di liposomi è sicuramente un modello biologico più rilevante.
88
Materiali e metodi
5. MATERIALI E METODI
5.1 Materiali
I composti DDAB (didodecildimetil bromuro di ammonio, purezza > 98%) e DODAB
(diottadecildimetil bromuro di ammonio, purezza > 98%) sono stati acquistati da Fluka.
L’acido oleico (cis-9-ottadecenoico) e l’oleato di sodio (cis-9-ottadecenoato di sodio)
sono stati acquistati da Sigma-Aldrich, entrambi di purezza > 99%, mentre i fosfolipidi
POPC (1-palmitoil-2-oleoil-sn-glicero-3-fosfatidilcolina) e POPS (1-palmitoil-2-oleoil-
sn-glicero-3-[fosfo-L-serina], sale sodico) sono stati acquistati da Chemi S.p.A.
(Cinisello Balsamo, MI), entrambi hanno un titolo > 98%. Il cloroformio (CHCl3), il
cloruro di metilene (CH2Cl2) e l’etanolo (CH3CH2OH) sono stati acquistati da Sigma-
Aldrich, ed utilizzati senza ulteriore purificazione. Le membrane in policarbonato
Whatman Nuclepore Track-Etch Membrane, necessarie al processo di estrusione, sono
state acquiestate da NewTechnologies Group (Concorezzo, MI), e sono state utilizzate
mediante l’Extruder® (Lipex Biomembranes, Vancuver, Canada) o mediante il
Liposofast (Avestin, Ottawa, Canada).
Le soluzione tampone utilizzate sono state preparate con acqua deionizzata (Millipore
RX20). La bicina (N,N-bis-(2-idrossietil)-glicina, purezza > 99.5%), l’acido borico
(H3BO3, purezza > 99.5%), il Tris (tris-idrossimetil-amminometano, purezza > 99%) il
cloruro di sodio (NaCl), il saccarosio, l’acido dipicolinico (DPA, acido piridina-2,6-
bicarbossilico, purezza > 98%), l’EDTA (acido etilendiamminotetracetico, purezza >
99%) e il β-OG (β-ottil-gluco-D-piranosio, purezza > 99%) sono stati tutti acquistati da
Fluka; il cloruro di terbio esaidrato (TbCl3·6H2O, purezza > 99%) è stato acquistato
dalla compagnia Sigma-Aldrich.
Le cromatografie di esclusione dimensionale sono state effettuate impiegando il gel
Sepharose 4B (Amersham), mentre per le dialisi si è utilizzata una membrana di
cellulosa (cut-off 12-14 kDa) acquistata da Tecnochimica Moderna (Roma).
Le particelle di latex standard (-50 mV ± 5 mV) per la calibrazione microelettroforetica
sono state acquistate da Malvern Italia (Roma).
89
Materiali e metodi
5.2 Metodi spettroscopici
Turbidimetria
La torbidità delle vescicole è stata registrata con uno spettrofotometro a striscia di diodi
HP8452A (Agilent), utilizzando cuvette in quarzo di spessore pari a 1 cm e di capacità 1
e 0.1 mL. Le misure di stopped-flow sono state realizzate con l’apparato di
mescolamento rapido SFA-12 (HiTech Instruments), collegato ad uno spettrofotometro
Perkin Elmer 14P, che consente un campionamento del segnale a maggiore frequenza
che nel caso dello spettrofotometro HP8452A.
Fluorescenza
Gli spettri di fluorescenza sono stati registrati impiegando uno spettrofluorimetro
LS50B (Perkin Elmer), la lunghezza d’onda di eccitazione è stata fissata a 276 nm, gli
spettri di emissione sono stati registrati nella regione tra 400 e 600 nm. In tutti i casi, le
slits di eccitazione ed emissione sono state impostate ai valori di 5 nm. Ove necessario,
si è fatto uso dei filtri ottici con cut-off 420 nm e 515 nm. Tutte le misure sono state
effettuate – ove non specificato – utilizzando una microcuvetta di quarzo a sezione
quadrata con cammino ottico 0.5 cm (capacità ca. 400 µL)
Dynamic Light Scattering (DLS)
La dimensione delle vescicole è stata ottenuta mediante analisi di dynamic light
scattering (DLS) utilizzando un apparato ALV e uno strumento Malvern, il quale
permette anche misure di potenziale zeta. Nel primo caso, il sistema consiste in un laser
He-Ne di potenza 25 mW (Model 127, Spectra-Physics Lasers, Mountain View,
Canada), un goniometro ALV DLS/SLS-5000 (ALV, Langen, Germany), due fotodiodi
SPCM-AQR (avalanche photodiodes, PerkinElmer Optoelectronics, Vaudreuil, Canada)
ed un correlatore ALV-5000 Multiple-tau Digital Correlator (ALV, Langen, Germany).
Alternativamente, si è utilizzato uno strumento Malvern Zetasizer 5000 (Malvern
Instruments, Malvern, U. K.), avente un laser He-Ne di potenza pari a 5 mW, un tubo
fotomoltiplicatore, e un correlatore Malvern 7132.
Le cuvette di quarzo cilindriche sono immerse in un bagno termostatico di decalina nel
caso dello strumento ALV e di acqua distillata nel caso dello strumento Malvern. La
temperatura, ove non specificato, è stata mantenuta a 25 °C. Tutti gli esperimenti sono
90
Materiali e metodi
stati condotti eseguendo la misura a 90°, eccetto che in casi particolari, dove sono stati
condotti anche a 60° e a 120°, per una migliore interpretazione dei risultati. Altri
parametri: viscosità delle fasi acquose 0.899 mPa⋅s; indice di rifrazione 1.33.
In tutti gli esperimenti, le vescicole sono state misurate senza pre-trattamento, per cui,
in ogni fase della loro preparazione, è stata prestata la massima cura e attenzione al fine
di evitare la presenza di polvere.
Potenziale zeta
Il potenziale zeta di vescicole positive, negative e delle loro miscele, è stato misurato
utilizzando lo stesso strumento Malvern Zetasizer 5000, ma impiegando la cella per la
microelettroforesi. La cella è stata sempre allineata poco prima delle misure utilizzando
come standard una dispersione di latex preparata di fresco, avente potenziale zeta pari a
–50 mV.
5.3 Metodi di preparazione di vescicole
5.3.1 Metodo dell’idratazione di un film lipidico sottile
I liposomi di POPC sono preparati attraverso l’idratazione di un film lipidico sottile.
Una quantità definita di POPC viene dissolta in cloroformio e posta all’interno di un
pallone, in seguito il solvente viene rimosso per evaporazione con l’ausilio di un
rotavapor, a pressione ridotta (ca. 400 mbar) e a circa 40 ºC. Il film lipidico sottile
risultante viene reso completamente secco sottoponendolo ad alto vuoto per 4-8 ore.
Successivamente il film viene idratato con la soluzione acquosa desiderata e la
sospensione risultante viene agitata con il vortex, favorendo in questo modo la
solubilizzazione del film lipidico rimasto adeso alle pareti del pallone. Attraverso la
procedura descritta si ottiene una soluzione di liposomi multilamellari di dimensioni
eterogenee.
91
Materiali e metodi
5.3.2 Metodo dell’iniezione a partire da una soluzione alcolica di lipidi
La quantità desiderata di POPC viene dissolta in etanolo (o metanolo) e un’aliquota
della soluzione stock ottenuta è iniettata velocemente con una microsiringa (Hamilton)
nella soluzione acquosa, mantenuta sotto agitazione magnetica. La soluzione di
liposomi risultante è caratterizzata da una specifica percentuale di etanolo (o metanolo),
dipendente dal volume di soluzione alcolica iniettata per ottenere la concentrazione
finale di lipide desiderata (ad esempio, se da una soluzione stock di lipide pari a 50 mM
si giunge a una soluzione acquosa di concentrazione pari a 1 mM, la quantità di etanolo
in tale fase acquosa risulta essere del 2% v/v). La procedura descritta è applicabile
anche per una miscela di lipidi (tensioattivi) in soluzione alcolica.
5.3.3 Freeze-and thaw, sonicazione, estrusione
Diversi metodi possono essere applicati ad una sospensione di liposomi al fine di
migliorarne le caratteristiche. La procedura di freeze-and-thaw è molto utilizzata
quando si vuole incrementare la percentuale d’intrappolamento dei soluti all’interno del
core acquoso, ottenendo popolazioni di liposomi unilamellari (LUV). La procedura
prevede cicli (almeno 5) di congelamento della sospensione in azoto liquido (-195 ºC) e
scongelamento a una temperatura maggiore della Tm del lipide utilizzato. La
sonicazione è utilizzata per dissolvere una fase solida (lipidi), nella soluzione acquosa,
questa metodologia è utilizzata, tra l’altro, con i tensioattivi sintetici (es. DDAB,
DODAB), per i quali non è possibili preparare un buon film lipidico. In questa tesi la
sonicazione è sempre stata effettuata usando un bagno Bandelin Sonorex RK100H.
Vescicole unilamellari si possono anche ottenere, in modo riproducibile, a partire dalle
corrispondenti vescicole multilamellari attraverso un procedura meccanica definita
estrusione. La sospensione di vescicole viene forzata a passare attraverso una membrana
di policarbonato avente nanopori di diametro controllato (400, 200, 100, 50, e 30 nm).
L’estrusione si esegue con un apparecchio denominato Extruder (Lipex Biomembranes
Inc.), che fa uso di una pressione di azoto di circa 5-10 bar. Le vescicole vengono
estruse 10 volte per ogni fase di dimensionamento, iniziando da 400 nm e terminando
alla size desiderata. Si ottiene in questo modo, in maniera riproducibile, una
popolazione di vescicole relativamente monodispersa e della dimensione desiderata. Nel
92
Materiali e metodi
caso in cui i volumi da estrudere siano dell’ordine di 100-500 µl si può utilizzare un
extruder manuale, chiamato Liposofast (Avestin).
5.3.4 Cromatografia di esclusione dimensionale e dialisi
Questa tecnica prevede l’utilizzo di colonne impaccate con un gel, che funzionerà come
un setaccio molecolare. I soluti che passano attraverso la colonna vengono selezionati
sulla base delle loro dimensione (o peso molecolare). Molecole o particelle di
dimensione maggiore saranno eluite prima di quelle di dimensione inferiore, le quali,
percorrendo con più efficienza i molteplici percorsi creati dalla porosità del gel,
impiegheranno un tempo maggiore a percorre la colonna. I liposomi, grazie alle loro
dimensioni ragguardevoli (specialmente se comparati con sostanze a basso peso
molecolare), vengono separati con facilità da molecole o ioni di piccole dimensioni. Le
vescicole, prima di essere caricate nella colonna, vengono estruse con membrane di
policarbonato (vedi estrusione) eliminando in questo modo eventuali aggregati che
potrebbero ostruire il cammino dei liposomi all’interno del gel. Al fine di evitare
inferenze tra la matrice della colonna e i campioni da separare si effettua una pre-
saturazione della colonna eseguendo dei lavaggi di essa con il tampone di eluizione
contenente una piccola concentrazione di liposomi (generalmente si usa una
concentrazione appena al di sopra della concentrazione di aggregazione critica, in modo
tale che i liposomi non vengano a “disintegrarsi” durante il percorso in colonna, che
implica una diluizione degli stessi). Il tampone di eluizione deve essere iso-osmolare
con la soluzione nella quale sono stati preparati i liposomi. L’equilibrio osmotico si
ottiene utilizzando tamponi di vario genere, ad esempio NaCl oppure saccarosio. La
matrice utilizzata per le separazioni consiste di un gel di sepharose 4-B (ex Pharmacia,
ora Amersham) che viene impaccato manualmente in colonne di lunghezza 25-30 cm e
di 1 cm di diametro. Il flusso della soluzione all’interno della colonna è mantenuto
costante con una pompa peristaltica (Guldner Vario Perpex II), impostata su un flusso di
circa 0.2 ml/min. Nella colonna sono caricati 300 µl della sospensione di vescicole
estruse (100 mM), e raccolte 12 frazioni di circa 1 ml ciascuna.
La separazione è facilmente seguibile mediante collegamento in serie, all’uscita della
colonna, di un rivelatore fotometrico (Monitor UV-1, Pharmacia; λ = 280 nm) e di un
registratore (Kipp & Zonen, BD41).
93
Materiali e metodi
In queste condizioni, le frazioni 5, 6 e 7 sono quelle che contengono la maggior
concentrazione di liposomi. La concentrazione di ogni frazione raccolta si può stimare
mediante turbidimetria, leggendo il valore di assorbanza (torbidità) a 600 nm per ogni
campione eluito e moltiplicandolo per il valore del suo volume. Poiché la torbidità, a
parità di dimensioni (i liposomi sono estrusi prima di essere introdotti in colonna), è
grosso modo proporzionale alla concentrazione, il prodotto Abs × volume è
proporzionale al numero di moli contenute in ogni frazione. Poiché è noto il numero
totale di moli di lipidi prima della eluizione, e assumendo che non vi siano perdite
dovute a forte interazione con la colonna cromatografia, si può stimare la
concentrazione di ciascun campione. I dettagli del metodo sono descritti nelle equazioni
seguenti, dove: è riportata la relazione tra numero di moli, concentrazione e volume (eq.
1), si correla la concentrazione all’assorbanza (eq. 2), si mostra che il numero di moli è
conservato (eq. 3), si deriva il coefficiente fi che rappresenta il contenuto percentuale di
moli nella frazione i-esima (eq. 4), e infine si combinano le equazioni 2-4, al fine di
ottenere la concentrazione Ci della frazione i-esima a partire dai dati noti (eq. 5).
Una seconda tecnica che permettere di rimuovere il soluto non intrappolato è la dialisi.
Essa è un procedimento fisico con cui si separano una o più sostanze disciolte in una
soluzione acquosa utilizzando una barriera semipermeabile (membrana) che permette il
passaggio selettivo (si discrimina in base al peso molecolare) di tali sostanze attraverso i
pori presenti in tale membrana. Si sfrutta il fatto che le membrane utilizzate si lasciano
attraversare dai soluti contenuti in soluzione, mentre costituiscono una barriera per le
94
Materiali e metodi
grandi particelle colloidali quali sono i liposomi. Questo processo permette di separare i
liposomi dal soluto non intrappolato. Tale procedura è stata utilizzata per separare le
vescicole di DODAB-POPC 1:1 (10 mM) a temperatura ambiente (fase gel) dallo ione
Tb3+ non intrappolato. Il campione, 1 ml di sospensione colloidale, è dializzato contro
400 ml di soluzione tampone, reso iso-osmolare per aggiunta di NaCl. La soluzione
tampone viene sostituita 3 volte in 12 ore (totale 1200 mL). Le membrana prima
dell’utilizzazione è bollita in acqua con EDTA e in seguito lavata accuratamente;
inoltre, per evitare la disintegrazione dei liposomi in seguito alla diluizione, il tampone
di dialisi va anche saturato con una concentrazione di lipidi appena al di sopra della
concentrazione di aggregazione critica (c.a.c.).
5.3.5 Preparazione di vescicole di oleato a partire da micelle
La soluzione stock di micelle di oleato si prepara dissolvendo una certa quantità di
oleato di sodio (60.9 mg, 200 µmoli) in acqua distillata (1 ml). Si ottiene una soluzione
micellare trasparente (pH 10.5). La soluzione di micelle stock così ottenuta (200 mM)
viene iniettata (100 µl) in 1.9 ml di soluzione tampone bicina 50 mM pH 8.5, DPA 50
mM. La concentrazione finale di oleato risulta quindi essere 10 mM.
5.3.6 Preparazione di vescicole di oleato a partire da acido oleico puro
Una quantità definita di acido oleico (5.65 mg, 20 µmoli) viene dispersa a temperatura
ambiente in 2 ml di tampone bicina (50 mM, pH 8.5, DPA 50 mM) sotto agitazione
magnetica durante la notte. La sospensione risultante (10 mM) è in seguito sottoposta
alla procedura di frezee-and-thaw come descritto precedentemente.
5.3.7 Preparazione di vescicole di oleato per titolazione
Una quanitita definita di acido oleico (84 mg; 300 µmoli) viene dispersa a temperatura
ambiente in 3 ml di tampone bicina (50 mM, pH 8.5, DPA 50 mM) sotto agitazione
magnetica; per dissolvere tutta la quantità di acido oleico (concentrazione finale pari a
100 mM) è necessario che la soluzione sia titolata nuovamente tramite aggiunta di
NaOH fino a raggiungere il valore di pH pari a 8.5. Il pH è misurato tramite un pHmetro
dotato di un elettrodo di dimensioni ridotte.
95
Materiali e metodi
5.3.8 Preparazione di vescicole per “salto di pH”
300 µl di una soluzione stock di POPC/acido oleico 1:4 mol:mol (1 M totale) vengono
iniettati in 2.7 ml di tampone bicina 50 mM, pH 10.5, DPA 50 mM. A seguito
dell’iniezione, il pH risulterà automaticamente abbassato di 2 unità, pari quindi a un
valore di 8.5.
5.3.9 Preparazione di vescicole di DDAB
Una quantità di DDAB (23 mg, 20 µmoli) viene dissolta in etanolo (1 ml), ottenendo
una soluzione stock di DDAB 50 mM in etanolo. 100 µl di tale soluzione stock vengono
quindi iniettati in 4.9 ml di tampone bicina 50 mM, pH 8.5.
5.3.10 Preparazione di vescicole di POPC:DODAB 1:1
Quantità definite di POPC (38 mg, 50 µmoli) e DODAB (31.5 mg, 50 µmoli) si
dissolvono in cloroformio (3 ml) all’interno di un pallone. Il solvente è evaporato con
l’ausilio di un rotavapor, riducendo la pressione a circa 400 mbar e fissando la
temperatura a circa 40 ºC. Il film lipidico sottile che si ottiene viene poi asciugato sotto
vuoto per 8 ore. Successivamente il film viene idratato con 10 ml di soluzione acquosa a
base di bicina 50 mM, pH 8.5, TbCl3 10 mM. In tal modo, la concentrazione finale di
lipidi (POPC + DODAB) risulta essere 10 mM. Affinché il film si solubilizzi
completamente, é necessario che l’idratazione avvenga a temperature maggiori della Tm
del sistema lipidico impiegato. Si è scelto di operare quindi in un bagno riscaldato (60
ºC), e sonicare per 30 minuti (bagno Bandelin Sonorex RK100H) per favorire la
formazione di vescicole piccole e tendenzialmente unilamellari. La sospensione ottenuta
si estrude successivamente attraverso membrane di policarbonato (Whatman Nuclepore)
mediante l’estruder, avendo cura di termostatare il blocco con un termostato a
circolazione esterna (Termomix BU), impostato a 60 ºC. Se la sospensione ottenuta
viene lasciata raffreddare naturalmente, fino ad arrivare a temperatura ambiente, si ha la
formazione di una fase gel (T < Tm). Per separare lo ione Tb3+ intrappolato nelle
vescicole da quello libero nella soluzione, la tecnica più conveniente è la dialisi, che
viene effettuata come descritto precedentemente.
96
Materiali e metodi
5.3.11 Preparazione di vescicole di DDAB:POPC 1:1 mediante aggiunta esterna di
DDAB
Una quantità definita di POPC (114 mg, 150 µmoli) viene dissolta in cloroformio
all’interno di un pallone di vetro; in seguito il solvente è evaporato con l’ausilio di un
rotavapor come descritto precedentemente. Il film lipidico viene successivamente
asciugato sotto vuoto per circa 8 ore e in seguito idratato con 3 ml di una soluzione
acquosa desiderata (bicina 50 mM, pH 8.5) e agitato con il vortex per circa 10 minuti,
favorendo in questo modo la solubilizzazione del film lipidico rimasto adeso alle pareti
del pallone. La concentrazione finale di POPC risulta quindi essere pari a 50 mM.
Ottenuta la sospensione di liposomi, questa viene estrusa attraverso una membrana di
policarbonato di 200 nm utilizzando l’apparecchio liposofast. In seguito, 67 µl di una
soluzione stock di DDAB in etanolo (600 mM) è iniettata – per mezzo di una
microsiringa Hamilton – nella sospensione di vescicole di POPC preformate (733 µl) e
lasciata equilibrare per 30 minuti.
5.3.12 Preparazione di vescicole di oleato:POPC (4:1) contenenti DPA
Le quantità desiderate di POPC ed acido oleico vengono dissolte in etanolo, ottenendo
una soluzione alcolica stock di POPC:acido oleico 1:4 mol:mol (1 M). In seguito, 300
µl della soluzione stock vengono iniettati in 2.7 ml di un tampone bicina 50 mM, pH
10.5, DPA 50 mM. Dopo l’iniezione il pH risulterà automaticamente ridotto al valore di
8.5. Dopo la preparazione, le vescicole vengono sottoposte alla procedura di freeze-and-
thaw nel modo descritto sopra, per ottenere un maggiore intrappolamento del DPA.
Circa 500 µl della sospensione colloidale ottenuta vengono quindi estrusi con una
membrana di policarbonato avente pori di 400 nm, utilizzando lo strumento liposofast.
Al fine di separare il DPA libero da quello intrappolato all’interno delle vescicole, si
opera una cromatografia di esclusione dimensionale, nel modo descritto
precedentemente. Il tampone di eluizione (saturato con 50 µM di oleato) è composto da
bicina 50 mM, pH 8.5, e viene reso iso-osmolare con la soluzione interna dei liposomi
tramite l’aggiunta di NaCl (80 mM) o saccarosio (160 mM).
5.3.13 Preparazione di vescicole di DDAB:POPC 1:1 contenenti Tb3+
Dopo la preparazione – che avviene in questo caso in un tampone composto da bicina
50 mM, pH 8.5, NaCl 55 mM, TbCl3 10 mM – le vescicole (vedi la descrizione sopra,
97
Materiali e metodi
sezione 5.3.11) sono sottoposte alla procedura di freeze-and-thaw nel modo descritto in
precedenza, al fine di ottenere un maggiore intrappolamento dello ione Tb3+. Ottenuta la
sospensione di liposomi, essa (generalmente 500 µl) viene quindi estrusa attraverso una
membrana di policarbonato avente pori di 200 nm utilizzando lo strumento liposofast.
Dopo l’estrusione, 67 µl di una soluzione stock di DDAB in etanolo (600 mM) vengono
iniettati con una microsiringa Hamilton nella sospensione di vescicole di POPC
preformate (733 µl), contenenti lo ione Tb3+, e poi lasciata equilibrare per 30 minuti. Per
separare lo ione Tb3+ libero in soluzione da quello intrappolato all’interno delle
vescicole viene effettuata una cromatografia ad esclusione di dimensione nel modo
descritto precedentemente. Il tampone di eluizione (saturato con 50 µM di DDAB) è
costituito da bicina 50 mM, pH 8.5, ed è reso iso-osmolare con la soluzione interna dei
liposomi tramite l’aggiunta di NaCl (80 mM) o saccarosio (160 mM).
5.3.14 Preparazione di vescicole di POPS:POPC 2:3 contenenti DPA
Quantità definite di POPC (45.6 mg, 60 µmoli) e POPS (31.4 mg, 40 µmoli) sono
dissolte in cloroformio all’interno di un pallone, in seguito il solvente è evaporato con
l’ausilio di un rotavapor come indicato in precedenza. Il film lipidico sottile ottenuto
viene asciugato sotto vuoto per circa 8 ore. Successivamente il film è idratato con 1 ml
della soluzione acquosa desiderata, bicina 50 mM, pH 8.5, DPA 50 mM e agitato con il
vortex per circa 10 minuti, favorendo in questo modo la solubilizzazione del film
lipidico rimasto adeso alle pareti del pallone. La concentrazione finale dei lipidi risulta
essere 100 mM. Dopo la preparazione, le vescicole sono sottoposte alla procedura di
freeze-and-thaw nel modo descritto prima, per migliorare la resa di intrappolamento del
DPA. Ottenuta la sospensione di liposomi, 500 µl di questa vengono estrusi attraverso
una membrana di policarbonato con pori di 200 nm, utilizzando lo strumento liposofast.
Per separare il DPA libero in soluzione da quello intrappolato all’interno delle
vescicole, viene effettuata una cromatografia ad esclusione di dimensione nel modo
descritto precedentemente. Il tampone di eluizione utilizzato è bicina 50 mM, pH 8.5,
reso iso-osmolare con la soluzione interna dei liposomi tramite l’aggiunta di saccarosio
(160 mM).
98
Materiali e metodi
5.3.15 Saggi cinetici e DLS
La cinetica di reazione tra le due popolazioni di vescicole di carica opposta è stata
misurata utilizzando uno spettrofotometro Perkin Elmer, le cui caratteristiche sono state
descritte sopra. Nel saggio in questione si misura la variazione di densità ottica
(assorbanza) nel tempo, in seguito a mescolamento delle due popolazioni di vescicole.
La variazione è misurata all’interno di una cuvetta in quarzo di 1 ml (Hellma) avente
cammino ottico di 1 cm. La densità ottica viene letta a 400 nm quando la
concentrazione totale di lipide dopo il mescolamento è 1 mM, mentre viene letta a 600
nm quando la concentrazione di lipide è 4 mM. Le popolazioni di vescicole sono
mescolate fino a raggiungere un volume finale di 1 ml secondo i seguenti rapporti di
volume 1:4, 1:1 e 4:1 (vescicole positive:vescicole negative). Il volume minimo del
campione in cuvetta necessario per la lettura iniziale di assorbanza è di 700 µl, mentre il
tempo di mescolamento da 5 a 10 secondi (a seguito dell’addizione e mescolamento dei
reagenti).
Per gli esperimenti di stopped-flow viene usato un apparato di mescolamento rapido
SFA-12 (HiTech Instruments) che consente il mescolamento 1:1 delle due soluzioni
(vescicole) reagenti. Per mescolare le soluzioni ai rapporti molari desiderati, sopra
elencati, bisogna tener conto della diluizione 1:1 che avverrà in cuvetta in seguito al
mescolameto, per cui al fine di ottenere una concentrazione finale di lipidi pari a 4 mM
nei rapporti 1:4, 1:1 e 4:1 (positive:negative), le soluzioni sono preparate e caricate nelle
due siringhe secondo le seguenti concentrazioni: 1.6 mM, 4 mM e 6.4 mM; 10 ml per
ogni soluzione. La lettura del processo si effettua a 400 nm.
La descrizione dell’apparato per le misure di DLS è descritto sopra. Le misure si
effettuano all’interno di cuvette in quarzo di forma cilindrica. Le sospensioni liposomali
concentrate vengono diluite (1 ml) ad un valore di 1 mM. Il mescolamento avviene
all’interno della cuvetta raggiungendo un volume finale di 1 ml secondo i seguenti
rapporti 0:1, 1:4, 1:1, 4:1 e 1:0 vescicole positive contro negative.
5.3.16 Saggio di fusione
Per il saggio di fusione si utilizza un fluorimetro Perkin Elmer LS50B. Le
caratteristiche dello strumento e i parametri impiegati sono descritti sopra. Le misure
sono state effettuate appena le frazioni di vescicole (DDAB:POPC 1:1, bicina 50 mM,
99
Materiali e metodi
pH 8.5, TbCl3 10 mM, NaCl 55 mM (interno), NaCl 80 mM o saccarosio 160 mM;
oleato:POPC 4:1, bicina 50 mM, pH 8.5, DPA 50 mM, NaCl 80 mM o saccarosio 160
mM; POPS:POPC 2:3, bicina 50 mM, pH 8.5, DPA 50 mM, saccarosio 160 mM),
ottenute dalla cromatografia ad esclusione di dimensione, vengono raccolte, e la loro
concentrazione stimata come descritto sopra. Le frazioni maggiormente concentrate
vengono mescolate insieme ed in seguito diluite con un tampone isotonico fino a
raggiungere un valore ottimale per il saggio di fusione (DDAB:POPC 1:1 e
oleato:POPC 4:1 a 4 mM; DDAB-POPC 1:1 e POPS:POPC 2:3 a 500 µM). Una volta
ottenute queste soluzioni, si preparano tre serie da tre soluzioni ciascuna a questi
rapporti 1:4, 1:1 e 4:1 (positive:negative), ciascuna avente un volume finale di 300 µl.
La prima serie di soluzioni rimane tal quale e servirà a determinare la fluorescenza
ottenuta a seguito del mescolamento (fusione + rottura); nella seconda serie ad ogni
soluzione si aggiungono 10 µl di una soluzione di EDTA 50 mM, pH 8, la quale servirà
a misurare la fluorescenza internalizzata, che non viene ridotta dall’aggiunta di EDTA
nel mezzo esterno; nella terza serie ad ogni soluzione si aggiungono 15 µl di una
soluzione acquosa di β-OG 20% (w/v), al fine di misurare la fluorescenza totale dopo
rilascio totale degli ioni Tb3+ e dipicolinato. Tutte le soluzioni (nove in totale) sono
agitate con il vortex e lasciate incubare per 30 minuti prima di essere sottoposte and
analisi fluorimetrica in una cuvetta di quarzo da 400 µl.
100
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110
Appendice
APPENDICE I: Dynamic Light Scattering (DLS)
I.1 Introduzione
Le tecniche di light scattering (statico o dinamico) sono metodi fisici utilizzati per lo studio
della struttura di macromolecole in soluzione. Tali metodi sono stati ampiamente utilizzati
nello studio di polimeri sintetici, proteine, polisaccaridi, particelle colloidali e aggregati
polimolecolari, come micelle, micelle inverse, vescicole e altre forme di aggregazione di
tensioattivi (surfactant).
In questo capitolo verranno presentati i principi della tecnica, la teoria, l’analisi dei dati e i
limiti del metodo, al fine di dare una corretta interpretazione ai risultati ottenuti nel corso di
questo studio.
I.2 Teoria del light scattering
Quando un raggio di luce passa attraverso un mezzo polarizzabile, come l’aria, un solvente o
una soluzione di macromolecole, esso viene diffuso in ogni direzione. Quando la luce
interagisce con la materia, il campo elettrico della radiazione induce una polarizzazione
oscillatoria degli elettroni nelle molecole, le quali, divenendo sorgenti secondarie di
radiazione, emettono luce (luce diffusa).
La geometria di un tipico esperimento di scattering è schematicamente mostrata in figura I.1.
θ
ikr
skr
ikr
skr
−Qr
si kkQrrr
−=detector
scattering volume
incident beam scattered
beam
θ
ikr
skr
ikr
skr
−Qr
ikr
skr
−Qr
si kkQrrr
−=detector
scattering volume
incident beam scattered
beam
Figura I.1. Rappresentazione schematica dell’esperimento di light scattering.
111
Appendice
Un raggio incidente di luce laser, monocromatico e verticalmente polarizzato, di lunghezza
d’onda λi e vettore d’onda ikr
(dove i
ink
λπ 2
=r
e n è l’indice di rifrazione della soluzione)
illumina il volume di scattering Vs contenente N particelle. La luce diffusa, con vettore d’onda
(dove skr
ss
nkλπ 2
=r
) viene osservata ad un angolo di scattering θ, ad una certa distanza dal
volume di scattering.
Il vettore di scattering Qr
svolge un ruolo fondamentale nella descrizione del fenomeno di
scattering; il suo modulo, nel caso di scattering elastico o quasi-elastico è dato da:
⎟⎠⎞
⎜⎝⎛=
2sin 4 θ
λπ nQ
r (I.1)
L’intensità della luce diffusa è una funzione complessa che dipende da molti fattori e può
essere descritta dalla seguente relazione1:
),,(),()( 62
4
20
0 ioneconcentrazRSRPRRNdCdnnII s θθ
λ⋅⋅⋅⎟
⎠⎞
⎜⎝⎛∝ (I.2)
dove, I0 è l’intensità della luce incidente, n0 è l’indice di rifrazione del solvente, λ è la
lunghezza d’onda (nel vuoto), dn/dC è l’incremento dell’indice di rifrazione (n è riferito alla
soluzione), N(R) è il numero di particelle di raggio R, R è il raggio della particella, P(R,θ) è un
fattore di forma della particella che descrive gli effetti di interferenza all’interno della
particella sulla dipendenza angolare dell’intensità di scattering e fornisce informazioni sulla
struttura e sulla forma delle macromolecole, S(R, θ, conc.) è un fattore di struttura mediato nel
tempo che descrive gli effetti di interferenza tra particelle; dipende dalla concentrazione e per
soluzioni diluite S → 1.
Nell’equazione (I.2) si possono individuare i fattori principali che influenzano l’intensità della
luce diffusa di un campione diluito contenente particelle in grado di produrre scattering della
luce: il fattore di contrasto ottico (all’indice di rifrazione delle particelle), il numero, la
grandezza e la forma delle particelle, nonché la loro interazione. Si noti anche la dipendenza
angolare della intensità di luce diffusa.
In particolare, il segnale tipico delle particelle in sospensione potrà essere rilevato
sperimentalmente solo se l’indice di rifrazione delle particelle (gli “scatters”) risulti
sufficientemente diverso da quello del solvente. Si usa spesso l’indice di rifrazione relativo,
i.e. m = nP/nS (gli indici P ed S si riferiscono alle particelle e al solvente, rispettivamente).
112
Appendice
Come corollario, sistemi particella/solvente con indice di rifrazione relativo molto vicino a
uno, risulteranno difficilmente visibili in un esperimento di light scattering, poiché
produrranno un segnale debole rispetto al background di luce diffusa dalle molecole del
solvente.
La dipendenza dalla concentrazione (N nella formula I.2) e dalla dimensione (quindi
polarizzabilità, R6 nella formula I.2) indicano la dipendenza della luce diffusa da proprietà
estensive quali in numero di scatters e il volume di materia che diffonde la luce (volume2 o
analogamente R6). In particolare, a parità di altri fattori, risulta chiaro che particelle grandi
diffondono la luce in modo notevolmente maggiore rispetto a particelle piccole. Nei casi in
cui i fattori P ed S risultino circa uno (particelle piccole rispetto alla lunghezza d’onda della
radiazione incidente e soluzioni diluite, rispettivamente), l’equazione I.2 indica che la luce
diffusa varia come la sesta potenza del raggio di particelle sferiche. In altre parole, in questa
approssimazione (regime di Rayleigh) una particella di raggio 5 nm diffonde un milione di
volte meno luce di una particella di raggio 50 nm. Da qui la conclusione, valida in molti casi e
usata spesso come regola empirica, che la tecnica di light scattering è straordinariamente
sensibile alla presenza di particelle grandi, più che alle piccole.
Mentre la discussione del fattore di struttura S esula dallo scopo di questa tesi (per soluzioni
diluite si consideri approssimabile all’unità), è opportuno introdurre il significato del fattore
di forma P(R, θ).
Il fattore forma P è introdotto per tener conto della forma della particella, ed ha rilevanza solo
nel caso in cui le dimensioni della particella sia comparabile alla lunghezza d’onda λ della
radiazione. Infatti, il fattore P tiene conto essenzialmente della interferenza intraparticellare
tra radiazione diffusa emessa da una certa particella. Le particelle con dimensioni molto
minori di λ sono da considerarsi puntiformi ai fini dell’esperimento, in tal caso P tende a uno
e la radiazione diffusa è isotropa. Viceversa, particelle di dimensioni comparabili alla
lunghezza d’onda λ della radiazione, sono caratterizzate da una dipendenza angolare della
luce diffusa, dipendenza che può essere predetta sulla base della forma di tale particelle.
Esistono infatti delle forme funzionali di P sulla base di una certa geometria della particella
(sfera, sfera cava, bastoncello, etc.). In tali casi P varia – anche di alcuni ordini di grandezza –
con la dimensione tipica della particella e con l’angolo. In particolare vi sono valori che
annullano P, producendo un minimo di luce diffusa.
In conclusione, l’analisi della luce diffusa a diversi angoli permette di ottenere utili
informazioni sulla natura delle particelle sospese in una certa fase, e trarne delle informazioni
qualitative e quantitative, come verrà esposto di seguito.
113
Appendice
Nel nostro studio sono stati utilizzati esclusivamente esperimenti di light scattering dinamico
(DLS), perciò, da qui in avanti ci si riferirà solo alla descrizione di questo metodo, lasciando
gli approfondimenti sul light scattering statico a testi specialistici2.
I.3 Teoria del Dynamic Light Scattering
In un esperimento di Dynamic light scattering (DLS), denominato anche quasi-elastic light
scattering (QELS) o photon correlation spectroscopy (PCS), le fluttuazioni temporali della
luce diffusa attorno al suo valor medio vengono registrate ed analizzate al fine di stimare la
grandezza delle particelle di scattering e la loro “size distribution”. Tali fluttuazioni sono
originate dai moti browniani delle particelle che si muovono continuamente e casualmente in
soluzione a seconda della loro grandezza: piccole particelle generano fluttuazioni rapide,
mentre particelle grandi, a diffusione lenta, generano fluttuazioni lente dell’intensità.
L’analisi delle oscillazioni casuali dell’intensità è eseguita generalmente attraverso una stima
della funzione di autocorrelazione del campo elettrico della luce diffratta nel tempo, definita
come3:
)()()(1 tEtEG SS ⋅+= ττ ( I.3)
dove Es(t) e Es(t+τ) rappresentano l’intensità del campo elettrico della luce diffusa al tempo t e
t + τ, rispettivamente, e descrivono il grado di correlazione di una quantità dinamica in un
periodo di tempo τ.
In un esperimento di DLS, comunque, la funzione di autocorrelazione del campo elettrico, G1,
non viene misurata direttamente ma è ottenuta dalla funzione di autocorrelazione della luce
diffusa, G2, definita come:
)()()(2 tItIG SS ⋅+= ττ ( I.4)
Le due funzioni sono correlate dalla relazione di Siegert4:
[ ])(1)( 212 τβτ gBG ⋅+⋅= ( I.5)
dove B rappresenta la linea di base e β è un parametro ottico. In figura I.2 viene riportata la
rappresentazione schematica di un esperimento di DLS:
114
Appendice
Figura I.2. Diagramma schematico di un esperimento di Dynamic light scatteri
A causa del moto browniano delle particelle di scattering, la radiazione diffusa
ad un valore medio (dipendente secondo l’equazione I.2 dalla natura de
dall’angolo di osservazione). La luce, raccolta da un fotomoltiplicatore o un fo
convertita in un segnale elettrico. Il correlatore calcola la funzione di autocor
campionando il segnale a diversi tempi, τ, generandone una media (eq. I.4). T
corrispondente valore calcolato, g1 (eq. I.5), vengono utilizzati per le succes
possibile mostrare che per una popolazione di particelle di scattering mo
funzione di correlazione g1 è rappresentata da un decadimento monoespone
associata una costante di velocità Г=Q2·D (eq. I.7), dove Q è il vettore di sca
coefficiente di diffusione delle particelle. Risulta quindi che Γ dipende
osservazione e dal coefficiente di diffusione delle particelle D. Se una p
particelle di scattering è polidispersa, la funzione di correlazione g1 conterrà i
ciascuna popolazione e sarà espressa dall’integrale su tutti i possibili valori d
volta, dipendono dai coefficienti di diffusione delle particelle com
dall’equazione ( I.7). Il raggio idrodinamico RH della “sfera equivalente” v
mediante la relazione di Stokes-Einstein (eq. I.8) che correla il coefficiente d
raggio di particelle sferiche (kB è la costante di Boltzmann, T è la temper
viscosità del solvente).
Quindi, conoscendo la lunghezza d’onda della luce, l’angolo di scattering, la
viscosità e l’indice di rifrazione del solvente, è possibile ottenere la size dis
particelle (Particle Size Distribution, PSD), per inversione di Laplace della equ
( I.6)
( I.7) ( I.8)ng.
fluttua attorno
l campione e
todiodo e viene
relazione (G2),
ale valore, o il
sive analisi. E’
nodispersa, la
nziale a cui è
ttering e D è il
dall’angolo di
opolazione di
nformazioni su
i Г, che, a loro
e evidenziato
iene calcolato
i diffusione al
atura e η è la
temperatura, la
tribution delle
azione I.6.
115
Appendice
E’ evidente che piccole particelle hanno un coefficiente di diffusione D maggiore e quindi un
valore di Г grande, che corrisponde ad un decadimento rapido della funzione di correlazione.
Al contrario, particelle grandi genereranno un decadimento lento della funzione di
correlazione.
I.4. Analisi dei dati
Numerosi metodi vengono utilizzati per l’analisi dei dati sperimentali al fine di ottenere
informazioni riguardo alla dimensione media e alla size distribution delle particelle di un
campione.
In questo paragrafo saranno discussi brevemente i due metodi di analisi più comunemente
usati:la ”analisi dei cumulanti” e CONTIN.
I.4.1. Analisi dei cumulanti
E’ utilizzata generalmente per sistemi relativamente monodispersi, fu introdotta da Koppel5 e
utilizza il logaritmo della funzione di correlazione del campo elettrico, ln[g1(τ)] sottoforma di
uno sviluppo in serie di potenze di τ, secondo l’equazione3,6:
[ ] ...!32
)(ln 33221 +⋅−⋅+⋅Γ−= τµτµττ constg ( I.9)
L’analisi è generalmente condotta utilizzando un fitting polinomiale cubico ed ottenendo due
parametri: il valore di z-average, <Γ> e l’indice di polidispersità P-Index, correlato
all’ampiezza della size distribution e calcolato da µ2/<Γ>2.
Dal valore di <Γ> viene calcolato tramite le equazioni ( I.7) e ( I.8) il corrispondente z-
average raggio idrodinamico, che rappresenta la grandezza media delle particelle. Questo
valore è, in linea di principio, differente dal raggio ottenuto dalla media pesata sul numero di
particelle a causa della natura dell’esperimento DLS: le particelle sono pesate a seconda della
loro abilità a diffondere la luce. Il secondo valore ottenuto è l’indice di polidispersità P-Index
che rappresenta una misura dell’ampiezza della size distribution; all’aumentare di P la
distribuzione si allarga.
I due parametri ottenuti dall’analisi dei cumulanti contengono informazioni riguardanti la
distribuzione ma non danno alcuna informazione riguardo alla forma o ai dettagli della
distribuzione. Inoltre, in casi particolarmente sfavorevoli, il metodo dei cumulanti, è di basso
valore pratico, a causa del fatto che la funzione ( I.9) non produce un buon fitting dei dati
sperimentali (i.e., g1), ad esempio per campioni fortemente polidispersi.
116
Appendice
I.4.2. CONTIN
Al fine di ottenere maggiori informazioni sulla size distribution delle particelle è necessario
effettuare una Trasformata Inversa di Laplace dell’equazione ( I.6) attraverso cui viene
calcolata la funzione di distribuzione A(Γ) della variabile Γ (legata a sua volta al coefficiente
di diffusione mediante la relazione Γ = DQ2).
Tra i diversi approcci seguiti per risolvere la trasformata di Laplace, il programma CONTIN è
quello più ampiamente utilizzato7. Tale programma impiega una procedura di smoothing che
tende a ridurre la curvatura nella funzione A(Γ ). CONTIN è un programma complesso che
esegue due cicli: nel primo effettua un’analisi non pesata e seleziona un set di parametri di
prova, mentre nel secondo esegue un’analisi pesata dei dati e propone un set di parametri
ottimali basati su sofisticati test statistici. CONTIN è particolarmente adatto all’analisi di
risultati bimodali largamente distribuiti, di distribuzioni continue e di picchi secondari dove è
presente un componente che diffonde la luce per meno del 10% del picco principale. E’
invece meno adatto alla risoluzione di distribuzioni bimodali a picchi vicini o a riprodurre
strette distribuzioni monomodali.
Il programma CONTIN, come ogni altro programma di analisi dei dati DLS, fornisce una
distribuzione pesata sull’intensità: ogni specie è pesata sul contributo che apporta alla luce
diffusa, in accordo alla equazione ( I.2). In altre parole, il fattore preesponenziale, A(Γ),
rappresenta la dipendenza dell’intensità della luce diffusa dall’angolo di osservazione, dal
raggio e dalla forma delle particelle come discusso in precedenza. La maggiore conseguenza
di ciò è che la distribuzione calcolata dipende dall’angolo di osservazione e, in generale, tende
a sovrastimare le particelle grandi.
I.5. Vantaggi e limiti della tecnica
Il DLS è un metodo indiretto per stimare la dimensione media, la polidispersità e la size
distribution di una popolazione di particelle. E’ una tecnica veloce, non invasiva e non
distruttiva, può essere utilizzata in molti campi di ricerca e caratterizzare vari tipi di particelle.
D’altra parte, è necessario sottolineare alcuni punti che risultano cruciali per una corretta
analisi dei dati:
• L’importanza di utilizzare soluzioni diluite. L’equazione di Stokes-Einstein ( I.8) dà una
misura del raggio indipendente dalla concentrazione solo per sospensioni diluite,
inoltre, per sospensioni concentrate sorge la possibilità di scattering multiplo per il
quale la procedura schematizzata in Figura I.2 non è più valida. Nel caso di particelle
create dall’aggregazione di piccoli monomeri (es. micelle), questo costituisce una
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Appendice
limitazione cruciale, poiché il campione non può essere diluito al di sotto di un certo
valore: gli aggregati scompaiono al di sotto di una concentrazione critica.
• Il campione deve essere preparato in assenza di polvere, poiché le particelle di polvere –
a causa della loro dimensione – possono contribuire fortemente all’intensità della luce
diffusa e, di conseguenza, pregiudicare la size distribution pesata sull’intensità.
• Le particelle non dovrebbero sedimentare, almeno nella scala dei tempi della misura
(pochi minuti), altrimenti la composizione del campione nel volume di scattering varia
durante l’esperimento.
• Il problema principale è legato al fatto che le size distributions sono rilevate in termini
di intensità, che dipende da un gran numero di parametri ed in particolare dal quadrato
del volume della particella. Per una interpretazione più accurata dei fenomeni in studio
sarebbe necessario ottenere una size distribution pesata sul numero di particelle, ma ciò
è complicato sia dal fatto che bisogna fare assunzioni sulla forma delle particelle, sia dal
fatto che i risultati della trasformata inversa di Laplace vanno interpretati con cautela, a
causa della natura “mal-condizionata” del problema matematico che è alla base di tale
procedura.
Riferimenti bibliografici
1. van Holde, K. E. Physical Biochemistry 2nd ed. 1985, Englewood Cliffs, N.J,
Prentice-Hall, Inc.
2. Fennell Evans, D.; Wennerström, H. The Colloidal Domain: where, Physics,
Chemistry, Biology, and Technology Meet 1994, Wiley VCH, New York.
3. Berne, B. J. P. R. Dynamic Light scattering 1976, John Wiley & Sons, Inc. New York.
4. a) Schätzel, K. Dynamic Light scattering 1993, Vol. 1, pp. 76-148, Clarendon press,
Oxford; b) Schurtenberger, P. N. Enviromental Particles 1993, Vol. 2, pp. 37-115,
H.P.V, B. J. L. ed., Lewis, Boca Raton.
5. Koppel, D. E. Journal of Chemical Physics 1972, 57, 4814.
6. Schmitz, K. S. An Introduction to Dynamic Light Scattering by Macromolecules 1990,
Vol. 1.Academic Press, Inc, San Diego.
7. a) Provencher, S. W. Macromolecular Chemistry and Physics 1979, 180, 201-209; b)
Provencher, S. W. Computer Physics Communications 1982, 27, 213-227.
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