galileo in germania

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Luciano Celi GALILEO IN GERMANIA Lo scienziato pisano e la lingua italiana acciò [il pensiero] possa esser inteso, almeno in gran parte, da tutta la città Universität Konstanz 20 ottobre 2009 Istituto Italiano Studi Filosofici Heidelberg 23 ottobre 2009 Istituto Italiano di Cultura Heidelberg 22 ottobre 2009

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dispensa delle conferenze tedesche su Galileo e la letteratura: ottobre 2009

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Luciano Celi

GaLiLeoin

GermaniaLo scienziato pisano e la lingua italiana

acciò [il pensiero] possa esser inteso,almeno in gran parte, da tutta la città

Universität Konstanz

20 ottobre 2009

istituto italiano Studi Filosofici

Heidelberg23 ottobre 2009

istituto italiano di Cultura

Heidelberg22 ottobre 2009

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Grau, Theurer freund, ist alle Theorieund grün des Lebens goldner Baum.

Johann Wolfgang von Goethe

La forza è nel sapere.José Julián martí Pérez

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0. in aLto a SiniStra. Per Una breve introdUzione (non aCCademiCa)

di certo si rimane affascinati. dai ghirigori intendo dire. da quelle decorazio-ni, da quelle volute che servono - o forse sono servite, in passato - a dare solen-nità a certe architetture, all’impressionante gotico-manuelino che si incontra nelle cattedrali del Portogallo (ma questo è solo un esempio), che magari in un portale maestoso, magnificente, ti raccontano la storia del mondo, o di un santo. decorazioni e motivi che servono mutatis mutandis a conferire la stessa solennità a certificati, a diplomi, questi sì, tipicamente accademici.

Così se guardo la mia laurea, conseguita ormai qualche anno fa all’Università di Pisa, trovo, tra i motivi che in essa fanno da cornice, piccoli riquadri con mi-niature di ritratti, talvolta stilizzati e quindi non proprio somiglianti, al punto che, per non sbagliare - avrà pensato l’ideatore dell’accademico certificato - era bene scriverci anche il nome.

in alto a sinistra - quindi il primo che si incontra ‘leggendo’ il diploma - c’è proprio Galileo. Pisa, ai suoi tempi, aveva già l’Università, essendo questo ate-neo tra i più antichi d’europa (1343). e di questo signore, con sguardo in veri-tà austero e un poco accigliato - compensato solo dal sorriso di un cherubino, al centro della decorazione - si avverte in qualche modo il “peso specifico”.Parlare di Galileo non è una operazione semplice: più si approfondisce la sua opera, più ci si rende conto di quante cose egli abbia esplorato, non solo pun-tando i suoi occhi verso il cielo. Forse gli manca solo d’aver scritto qualche trattato di cucina, ma come vedremo - anche solo per accenni - non gli fu estra-nea la poesia, né la conoscenza dei grandi umanisti prima di lui.Questo per dirvi quanto io mi senta onorato - e mi auguro: all’altezza - di rappresentare questa figura nell’anno dedicato all’astronomia, coincidente - e non è un caso - con i 400 anni esatti dalle prime osservazioni con il ‘cannone’ o ‘occhiale’ (da cui: ‘cannocchiale’) che lo scienziato pisano fece del nostro

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satellite, diligentemente redatte in un’operetta uscita l’anno successivo (1610): il Sidereus nuncius.Un satellite sul quale l’astronauta statunitense neil armstrong mise piede esat-tamente 40 anni fa, il 20 luglio 1969, accompagnando il suo galleggiare sul suolo lunare con una frase destinata a rimanere scolpita nella nostra avventu-rosa Storia su questo pianeta: «Questo è un piccolo passo per un uomo, ma un balzo enorme per l’umanità»1.Una frase che suggestivamente sembra bucare lo spazio siderale e il tempo di secoli, a riecheggiare quella di un altro grande genio toscano, ancor precedente il Galileo, dante alighieri: «fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza» (Divina Commedia, Inferno, canto XXVI, 116-120).

Luciano Celi

1 in originale: «that’s one small step for [a] man, one giant leap for mankind».

La schermata del motore di ricerca Google il 25 agosto 2009. Guardando su altri portali (quello tedesco, per esempio) l’immagine era la stessa. Segno del valore internazionale della celebrazione

Galileo, sul certificato di laurea

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1. PremeSSa

in questo 2009 molti, moltissimi eventi di varia entità e portata si sono susse-guiti per celebrare l’anno dell’astronomia, Galileo, le osservazioni lunari. Si va da eventi istituzionali di risonanza nazionale a drammatizzazioni e teatralizza-zioni in rassegne minori, locali. difficile tenere traccia di tutto, ma la perce-zione che ne ho avuta, è quella di aver colto in queste celebrazioni una specie di affetto verso la figura galileiana, verso uno scienziato che forse - almeno in italia - è secondo, nell’immaginario collettivo, solo ad einstein (entrambi, per altro hanno parlato di relatività…).Qui di seguito una specie di carrellata che non rende merito della qualità, quantità e portata delle celebrazioni. Si parte da quelle più istituzionali e mu-seali che hanno visto coinvolte le città dove Galileo risiedette: Firenze, Pisa e Padova, in ordine cronologico, con la mostra bibliografica dal titolo Galileo e l’universo dei suoi libri, tenutasi a Firenze presso i locali della biblioteca nazionale Centrale dal 5 dicembre 2008 al 28 febbraio 2009; si passa da Padova con Il futuro di Galileo (presso il Palazzo S. Gaetano del Centro Culturale altinate, dal 28 febbraio al 14 giugno 2009) e si arriva a Pisa con Il cannocchiale e il pennello. Nuova scienza e nuova arte nell’età di Galileo (Palazzo blu, dal 9 maggio al 19 luglio 2009). il cerchio si chiude idealmente ancora con Firenze, dove Palazzo Strozzi ha ospitato dal 13 marzo al 30 agosto Galileo. Immagini dell’Universo dall’antichità al telescopio. e poi ancora convegni, conferenze un po’ per tutta l’italia: nuovamente a Firenze si è tenuto un simposio internazio-nale di studi, organizzato dall’istituto Strensen, dal 26 al 30 maggio, dedicato a Il caso Galilei. Una rilettura storica, filosofica e teologica e a Padova si terrà un convegno scientifico internazionale su L’Universo come laboratorio, previsto per il gennaio 2010.tra gli eventi minori e locali, al netto della messe di articoli comparsi su quo-tidiani2 e riviste anche generaliste3, cito il Sidereus nuncius, messo in scena

2 ne cito due per tutti. Si tratta di un bell’esperimento che pare abbia una certa risonanza editoriale proprio sui quotidiani anche qui in italia, ovvero il gioco delle «interviste impossibili»: lo scrittore siciliano andrea Camilleri ha intervistato Galileo al teatro «verdi» di Pisa il 6 giugno 2009: ne dà notizia il quotidiano «La Stampa» il giorno successivo con un articolo dal titolo Eppur si abiura, nella quale si riporta pressoché integralmente l’intervista. identicamente fa - ma più di un anno prima - Piergiorgio odifreddi, matematico e divulgatore: L’ intervista impossibile allo scienziato, è uscita su «La repubblica» del 10 marzo 2008, p. 35. Potrete trovare sulla pagina web dedicata a questo intervento (http://www.lucianoceli.it/galileo) materiali audio, video, a stampa che corredano ed ‘estendono’ questa dispensa.

3 Personalmente sono venuto a conoscenza della mostra pisana Il cannocchiale e il pennello

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dalla matematica («prestata al teatro», come si definisce lei stessa) maria rosa menzio proprio in questo ottobre 2009 a torino.io stesso mi troverò, nell’ambito della manifestazione «massa Scienza» - in provincia di massa Carrara - tra la fine di dicembre e l’inizio dell’anno prossi-mo, a intervistare Luca novelli per una sua biografia a fumetti su Galileo4, oltre a far da assistente all’ingegnere, esperto di cultura materiale, vittorio marchis, per una «anatomia del telescopio».molto si potrebbe ancora citare in tal senso ma si tratta davvero di perdersi in un (benefico e consolante) mare magnum: Galileo sembra ancora vivere, il suo spirito sembra essere ancora tra noi, soprattutto in quelle città che lo ospitarono5.

2. Lo SCenario

malgrado il prestigio culturale che la lingua italiana consegue nei secoli Xvi e Xvii per gli usi letterari, è ancora il latino a dominare i trattati filosofici e scientifici. Un po’ come accade per l’inglese al giorno d’oggi - lingua franca per essere compresi in quasi tutti gli angoli del mondo - il latino era utilizzato nor-malmente all’università e a questa stessa lingua si rifanno neonate accademie divenute illustri (una per tutte: i Lincei, fondata nel 1603) oltre che le facoltà di scienza come medicina, le discipline ‘naturali’6 e il diritto.La propensione - che potremmo definire ‘rivoluzionaria’ - all’uso del volgare7

sfogliando distrattamente un giornale di becero gossip, nella sala d’attesa del medico. Segno che la risonanza vi è stata ed è diffusa anche in luoghi… impensabili!

4 apprendo dal web che Luca novelli ha anche pubblicato in lingua tedesca le sue biografie a fumetti di scienziati famosi per l’editore arena (www.arena-verlag.de).

5 Per una suggestiva carrellata di ‘memorie’ scolpite nella sola città di Firenze riguardo allo scienziato, invito alla lettura dell’intervento di Cristina acidini, Soprintendente per il Patrimonio Storico, artistico ed etnoatropologico della città toscana, ne Il cannocchiale e il pennello. Nuova Scienza e nuova arte nell’età di Galileo, catalogo della mostra, Giunti, Firenze 2009, pp. 14-15.

6 ‘naturali’ è qui inteso come termine che indica quelle che al giorno d’oggi chiamiamo “scienze dure”, con particolare riferimento a fisica (allora come ora distinta solo per comodità tassonomica dall’astronomia), matematica e geometria. L’origine del termine si può far risalire al greco antico: i presocratici indicano la parola ‘natura’ con ‘physis’ che, ritradotta poi nella lingua italiana diviene ‘fisica’. Che letteralmente quindi significa “osservazione della natura”. osservare però per descrivere, attraverso l’aiuto di queste discipline (fisica e matematica). d’altra parte in una celebre metafora de Il Saggiatore (1623) lo stesso Galileo afferma che l’universo è “scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi e altre figure geometriche”.

7 volgare - che nel dizionario italiano ha un altro significato corrente - è qui da intendersi come

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da parte di grandissimi nomi di quel tempo, come tommaso Campanella e Giordano bruno, è di fatto un’eccezione e non la regola. nel complesso, sulla totalità di libri stampati in questo periodo di riferimento, la quota di quelli che adottano il latino è di gran lunga superiore a quanti utilizzano l’italiano: la prima e non la seconda era depositaria dei saperi e costituiva la chiave per comunicare con la comunità scientifica internazionale. L’italiano sembra far ca-polino solo per brevi trattati di tipo pratico - come la medicina pratica, l’oste-tricia, ecc.8

Se da un lato infatti ci possono essere contrasti, divergenze e fratture, fino a quel momento queste rimangono in seno all’accademia stessa. Un esempio celebre di questo aspetto è costituito dal ‘rivoluzionario’ - e lo è davvero stato - De Humani Corporis Fabrica di andrea vesalio9.il vesalio con quest’opera10 fu il primo a mettere in seria discussione le con-cezioni galeniche, risalenti al ii secolo d.C. ed entrò in aperta polemica, sin dall’introduzione, con gli anatomisti, in relazione alla pratica medica. Usanza dell’epoca era infatti insegnare agli studenti che sarebbero dovuti diventare chirurghi, le leggi del buon anatomista dall’alto di uno scranno: «È così ac-caduto che questa deplorevole divisione dell’arte medica ha introdotto nelle nostre scuole l’odioso sistema ora in voga, per cui uno esegue il sezionamento del corpo umano e l’altro ne descrive le parti. Quest’ultimo è appollaiato su un

sinonimo di un (proto)italiano e veniva così definito ricorrendo all’etimologia di ‘volgo’, ‘popolo’, in contrapposizione ovviamente alla lingua ‘dotta’, dei dottori, che era appunto il latino.

8 d’altra parte occorre «contemplare un fascio di realizzazioni che corrono a diversi livelli: da quello alto, speculativo e accademico, a quello basso, empirico e “meccanico”, attraverso una gradazione intermedia che - per certe discipline e in certi periodi - può essere molto complessa. […] a tale stratificazione sociale, culturale (e linguistica) degli emittenti, corrispondono analoga stratificazione dei destinatari, diversa intenzionalità della scrittura, diverso sistema di riferimenti culturali, diversa consapevolezza linguistica», come sostiene maria Luisa altieri biagi nell’esauriente saggio Forme della comunicazione scientifica, in Letteratura Italiana, Le opere, vol. ii, a cura di a. asor rosa, einaudi torino, 1993, pp. 897-898.

9 andrea vesalio - forma (latinizzata e poi) italianizzata di andreas van Wesel - (bruxelles, 31 dicembre 1514 - zante, 15 ottobre 1564) è stato un anatomista e medico fiammingo.

10 Composta comunque in italia, a Padova, nel cui ateneo (a Palazzo del bo) si può ancora visitare, splendidamente conservato, il teatro anatomico, con la particolarità che «anticamente, essendo vietata la pratica di dissezione dei cadaveri, i cadaveri venivano issati da un canale sotterraneo attraverso una botola nascosta subito sotto il tavolo». (fonte: Wikipedia). rinvio in tal senso anche a un mio modestissimo contributo: Luciano Celi, ‘Anatemnein’: note per una storia iconica e semiotica del corpo umano, su «Le apuane», anno XXiv, n° 47, maggio 2004, pp. 99-111, con particolare riferimento, in relazione a vesalio, alle pp. 104-106. Scaricabile in formato PdF all’indirizzo: http://www.webalice.it/luciano.celi/new_site/divulgazione_e_sds/0405-anatemnein(Le_apuane).pdf.

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alto pulpito come una cornacchia e, con fare sdegnoso, ripete fino alla monoto-nia notizie su fatti che egli non ha osservato direttamente, ma che ha appreso a memoria da libri di altri o dei quali tiene una descrizione davanti agli occhi. il sezionatore11, ignorando l’arte del parlare, non è in grado di spiegare il seziona-mento agli allievi e arrangia malamente la dimostrazione che dovrebbe seguire alle parole del medico»12.Questa scissione tra ‘scienza’ (medicina/anatomia) e ‘tecnica’ (nell’eseguire materialmente le operazioni sul cadavere) corrispondeva quindi a una divi-sione che non giovava al progresso della disciplina. merito di vesalio è quindi quello di aver dato avvio alla ricomposizione della figura del chirurgo, nella moderna accezione in cui la conosciamo, secondo cui, possiamo contare, in

11 altrove chiamato anche ‘barbiere’.

12 Citato in Paolo rossi, I filosofi e le macchine, 1400-1700, Feltrinelli, milano 2002, pp. 30-31. da tener presente però che queste parole di introduzione al De Humani Corporis Fabrica nell’originale, sono in latino.

Una tavola del De Humani Corporis Fabrica di vesalio, dove si coniugano scienza e arte grazie alla mano di Jan van Calcar

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sala operatoria, su una persona che ha in sé le conoscenze teoriche adeguate per condurre la sua mano sicura sui suoi consimili13.Questo contesto, pur se di qualche anno precedente, ci introduce ai motivi per cui il Galilei decide, come alcuni suoi illustri coevi, di usare il volgare. nelle parole di maria Luisa altieri biagi:

non ci possono essere convivenze pacifiche, nella storia della scienza; le “novità” che in essa si producono sono fatalmente al-ternative alle “verità” consolidate e - se si affermano - determina-no il crollo di queste (e delle forme linguistiche corrispondenti). ma, prima di assestarsi in un nuovo “paradigma”14, ristabilendo - temporaneamente - il clima irenico, anche le più “sensate espe-rienze” e le più “certe dimostrazioni” attraversano una fase di lot-ta, che di solito si traduce in scritture polemiche la cui virulenza non è neppure paragonabile a quella di coevi scontri letterari.15

Con la precisazione che:

Per la scrittura scientifica occorre infatti (molto di più di quan-to occorra o sia legittimo farlo per altri tipi di scrittura) tenere conto dell’alternanza fra periodi caratterizzati da stabilità delle idee, dei metodi, e - quindi - degli istituti formali volta per volta selezionati, e periodi in cui la rinunzia al sistema di idee, o “pa-radigma”, investe anche i principi che regolano la codificazione formale delle opere in cui quel paradigma si è espresso.16

13 tra i meriti che a vesalio possiamo senz’altro attribuire vi è quello, non secondario, di aver dato luogo, a detta degli esperti, a uno dei libri “più belli [e meglio conservati] del mondo”, dove si coniuga l’arte - le tavole anatomiche del libro sono opera di Jan Steven van Calcar (1499?-1546), allievo di tiziano vecellio - con la scienza. Per chi ama le coincidenze con le date: il De Humani fu pubblicato a basilea nel 1543, vale a dire lo stesso anno in cui fu pubblicato il trattato eliocentrico di Copernico, il De Rivolutionibus orbium coelestium. Un anno che potremmo quindi definire suggestivamente rivoluzionario visto che attraverso queste due opere si minano concezioni scientifiche (sia nel caso della medicina, con Galeno, sia in quello dell’astronomia con tolomeo, risalenti al ii secolo d.C.).

14 La nozione di paradigma non può non far venire alla mente il thomas Kuhn de La struttura delle rivoluzioni scientifiche, einaudi torino, 1999.

15 maria Luisa altieri biagi, op. cit., p. 893.

16 Ibid., p. 894.

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3. L’itaLiano Per eSSere CaPito da tUtti: dai “voLGari meCCaniCi” e i “dottori in memoria” Fino aLLa “rePUbbLiCa Litteraria”

Le ragioni che indussero Galileo a scrivere in italiano sono molteplici. egli pubblicò il Sidereus nuncius nel 1610 in latino: delle 550 copie date alle stampe dopo neppure una settimana non ne rimaneva neppure una17. in quel breve trattato egli dava notizie delle sue prime scoperte e osservazioni, meritandosi il plauso e il consenso di Keplero.nell’arco di brevissimo tempo Galileo si trova così a passare da “animale acca-demico” a personaggio pubblico. La conversione verso l’italiano matura imme-diatamente dopo: nel 1612 dà alle stampe il Discorso sui galleggianti che, come si evince dal titolo, è già in italiano18. il fine è quello di coinvolgere nel nuovo sapere un pubblico diverso e più ampio di quello strettamente legato ai pro-fessori dell’università. egli infatti dichiara espressamente, in riferimento alla scelta linguistica, di aver scritto il trattato «in lingua italiana, acciò possa esser inteso, almeno in gran parte, da tutta la città». Pur potendo rientrare forse tra le opere che usano il volgare in quanto non esclusivamente destinate a interlo-cutori specialisti19, in una discussione epistolare con il Walser20 (italianizzato velseri) egli ribadisce questo aspetto: «dispiacemi ancora della difficoltà che apporta [… per …] l’aver io scritto nella nostra favella fiorentina; il che ho fatto per diversi rispetti, uno de i quali è il non volere in certo modo abusare la ricchezza e perfezion di tal lingua, bastevole a trattare e spiegar e’ concetti di

17 Già nel 1612 il suo “messaggio” sulle scoperte celesti arrivava a mosca e in india; tre anni dopo se ne ebbe una sintesi in lingua cinese; nel 1631 il cannocchiale fu segnalato in Corea e nel 1638 in Giappone. nel 1640 grazie alla sua popolarità il nome di Galileo venne traslitterato in cinese, dove diventò Chia-Li-Lueh. notevoli, del Sidereus nuncius, furono gli influssi su artisti e letterati, come vedremo nel prosieguo.

18 Questa prassi secondo la quale era necessario usare canoni diversi a seconda dei pubblici era ovviamente già nota e largamente diffusa tra i contemporanei di Galileo: «il torricelli che scrive le Lezioni accademiche, il De motu… proiectorum, le Scritture e relazioni… sopra le bonificazioni della Chiana, ha in mente pubblici diversi; nell’ordine: quello “letteratissimo” dell’accademia della Crusca, quello, altamente specializzato, dei matematici, quello sempre specialistico, ma allargato a tecnici (periti, ingegneri, ecc.)». maria Luisa altieri biagi, op. cit., p. 899.

19 Un po’ come per le pubblicazioni di cui si fa cenno nel paragrafo precedente, appartenenti ai trattati di tipo pratico.

20 Filosofo e giureconsulto di augusta, scolaro di m.a. muret, corrispondente di Galileo Galilei. accademico linceo (1612). Senatore e poi console in augusta, una delle città più antiche della Germania (la seconda dopo treviri), è quella oggi chiamata augsburg.

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tutte le facultadi; e però dalle nostre accademie e da tutta la città vien gradito lo scrivere più in questo che in altro idioma. ma in oltre ci ho auto un altro mio particolar interesse, ed è il non privarmi delle risposte di v. S. in tal lingua, vedute da me e da gli amici miei con molto maggior diletto e meraviglia che se fossero scritte del più purgato stile latino; e parci, nel leggere lettere di locu-zione tanto propria, che Firenze estenda i suoi confini, anzi il recinto delle sue mura, sino in augusta»21.a facilitare il compito del Galilei nel traslare al volgare termini scientifici conso-lidati e cristallizzati in latino è la sua posizione geografica. Pisa è la città natale dello scienziato, non lontano da quella Firenze di dante alighieri che con la sua Commedia aveva già tracciato il solco della lingua nazionale. egli si trova co-munque nel mezzo di quella toscana che fu davvero culla della lingua italiana22:

21 Terza lettera del sig. Galileo Galilei al sig. Marco Velseri delle macchie solari nella quale anco si tratta di Venere, della Luna e Pianeti Medicei, e si scoprono nuove apparenze di Saturno, datata 1° dicembre 1612 (fonte: www.liberliber.it).

22 non pochi sono i termini inglobati su un qualsiasi dizionario della lingua italiana - e quindi fatti appartenere di fatto alla lingua - seppure etimologicamente identificati come ‘toscanismi’. Per il rapporto tra Galileo e dante, si veda oltre.

il frontespizio del Sidereus nuncius

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quello che all’apparenza sembra un modo di dire è una realtà23.opera che, in Galileo, può essere vista come la “prova generale” che conduce al Dialogo è Il Saggiatore,

scritto in forma di lettera a don virgilio Cesarini; ma la trian-golazione scenica che ha per vertici Galileo, il Cesarini, Lotario Sarsi, ha ben poco a che vedere con il genere epistolare. […] Una “semplice lettera” [però] è forma troppo angusta per un discorso ampiamente proliferante come il suo. L’esperienza fruttificherà immediatamente dopo (la pubblicazione del Saggiatore, nel 1623, confina cronologicamente con l’inizio della scrittura del Dialogo) e Galileo motiverà l’adozione del nuovo genere proprio con l’op-portunità che questo offre di arricchimento della materia, di di-gressione dall’argomento principale.24

Che la forma epistolare de Il Saggiatore fosse percepita come angusta lo dimo-stra il fatto che, pur essendo mantenuta formalmente da Galileo, in maniera via via crescente nel “botta e risposta” epistolare con il Cesarini (che fa da spalla a Galileo) emerge la figura del Sarsi - sempre più somigliante al futuro Simplicio - che viola con sempre maggior forza l’essere citato come terza persona, per arrivare quasi ad animarsi, a vivere di vita propria.

È una vera e propria sceneggiatura che urge all’interno della “semplice lettera” […]. Fin dal Saggiatore, dunque, Galileo ha in mente la scena: il Sarsi di cui dovrebbe parlare, di cui si dovrebbe limitare a citare la togata scrittura latina, gli “si leva su” continua-mente, come un fantoccio che vuol prendere vita. il trucco non soddisfa completamente Galileo, costretto a continue didascalie, a continui passaggi dal “riferito” al “parlato”, all’uso di parole ed espressioni ambigue perché riferibili al Sarsi che scrive (le-gittimamente citato, dunque) e al Sarsi che interviene oralmente (abusivamente introdotto come terzo)25.

23 L’accademia della Crusca nel 1589 aveva posto il dibattito “se la lingua toscana fosse capace di ricevere in sé le scienze”: Galileo sembra, in tal senso, sciogliere il nodo e risolvere la questione in modo affermativo.

24 maria Luisa altieri biagi, op. cit., p. 912.

25 Ibid., pp. 914-915.

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i tempi sono dunque maturi per il Dialogo, sebbene, come osserva ancora una volta maria Luisa altieri biagi, i generi letterari non possono prescindere dalla dinamica che investe la comunità scientifica in rapporto alla società in cui essa opera26.

Un’altra delle ragioni per adottare la “rivoluzione linguistica” è di tipo ideolo-gico: usare l’italiano è un modo - forse il privilegiato - di fare una bella pulizia nell’armamentario terminologico degli aristotelici27:

26 Per società qui si vuole intendere precisamente la longa manus dell’inquisizione, che più volte lambì lo scienziato italiano. egli si sentì incoraggiato nel proseguire lungo la strada tracciata per il Dialogo anche a seguito del cambio della guardia avvenuto in vaticano. maffeo barberini, infatti, divenuto Papa nel 1623 sotto il nome di Urbano viii, «quando era cardinale, aveva preso le difese di Galilei allorquando si erano accese, in Firenze, le dispute sulle varie ipotesi dei fenomeni di galleggiamento. Per cui, quando egli fu eletto papa, Galileo fu indotto a sperare in un benevolo atteggiamento del nuovo pontefice verso la sua persona e i suoi studi nonché verso la moderna scienza. Sul finire del 1623 Galilei diede alle stampe un volume intitolato Il Saggiatore […]. L’opera di Galilei fu valutata positivamente da Urbano viii. il Papa ricevette ufficialmente lo scienziato a roma nel mese di aprile del 1624 e lo incoraggiò a riprendere i suoi studi sul confronto tra i massimi sistemi, purché il confronto avvenisse soltanto su basi matematiche» (fonte: Wikipedia).

27 Gli aristotelici o ‘peripatetici’ sono i seguaci della dottrina tolemaica e quindi del geocentrismo,

il frontespizio de Il Saggiatore

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L’adozione del volgare è dichiaratamente antagonistica al latino della scienza di livello accademico; il tipo di volgare (letterario-bembesco28) è antagonistico a quello della produzione tecnico-scientifica di livello “meccanico”-empirico; la terminologia drasticamente semplificata, e comunque sempre accuratamente risemantizzata, è antagonistica alla terminologia peripatetica, macchinosa e ormai scissa da referenti palpabili; i generi privile-giati (il discorso, la lettera, il dialogo, contaminato con il trattato geometrico euclideo) sono antagonistici al trattato di tradizione aristotelica di cui sconfessano la rigida organizzazione formale.29

Come sottolinea ancora l’altieri biagi, tutto questo si inserisce poi in un di-scorso di carattere più generale, secondo il quale il plurilinguismo - la capacità cioè di far capo a diversi registri linguistici (più dotti, più popolari, ecc.) - all’interno della stessa opera d’arte (come, per esempio, la commedia) passa dall’essere discriminatorio di diverse classi sociali (e quindi funzionale a una società interessata a mantenere rigide barriere tra una classe sociale e l’altra) ad essere elemento ludico, sempre più spostato verso una sorta di acrobazia verbale, legata talvolta anche a forme popolari irriverenti, e quindi destinato a un pubblico che non tollera più rigidi confini linguistici30.nel Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo,31 i sostenitori della dottrina aristotelica sono impietosamente ritratti nella figura di Simplicio, il cui nome ri-manda appunto a quel senso della semplicità un po’ dispregiativo, assonante con la faciloneria, con il perdere di vista la complessità del mondo intorno a noi.alla rivoluzione ‘linguistica’ è associata inestricabilmente quella ‘concettuale’. termini come ‘simpatia’ e ‘antipatia’ o ‘virtù calamitica’ non hanno alcun valo-

contrapposti, nella disputa che si avrà nel Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, ai copernicani, sostenitori dell’eliocentrismo.

28 L’aggettivo ‘bembesco’ è qui riferito a Pietro bembo (venezia, 20 maggio 1470 - roma, 18 gennaio 1547) che fu «grammatico, scrittore e umanista veneziano. regolò per primo in modo sicuro e coerente la Lingua italiana fondandola sull’uso dei massimi scrittori toscani trecenteschi. Contribuì potentemente alla diffusione in italia e all’estero del modello poetico petrarchista» (fonte: Wikipedia).

29 maria Luisa altieri biagi, op. cit., pp. 896-897.

30 Ibid., p. 897. non dimentichiamo inoltre che Galileo era un ammiratore del commediografo popolare padovano noto come ruzante - pseudonimo di angelo beolco (1496?-1542).

31 ‘mondo’ qui, come si evince dall’etimo indicato in figura, significa ‘cosmo’. il cosmo, coincidente con il nostro sistema solare, che era considerato di fatto l’universo.

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re scientifico: vengono destituiti della loro accezione nella descrizione fisica, e quindi, come conseguenza non esprimono più alcun concetto, essendo depau-perati del significato che gli aristotelici gli avevano attributo. Più in generale possiamo mettere a confronto

il concetto di movimento e di velocità nella meccanica aristote-lica e galileiana. Per aristotele il movimento include tutti i cam-biamenti che avvengono nel tempo: movimento, crescita, decadi-mento e così via. egli distingue due tipi differenti di movimento: naturale o violento. il suo resoconto relativo alla fisica di questi è abbastanza differente: il movimento naturale include gli oggetti che cadono sulla terra, la salita del fumo nell’aria, la crescita dei fiori e così via, ed essi sono spiegati in termini di ogni luogo o sta-to di tipo naturale. i movimenti violenti, o artificiali, sono invece causati da un agente attivo, come, per esempio, il movimento di una persona o il calore del fuoco, e sono spiegati in termini di meccanismi completamente differenti. in contrasto con questa

L’etimologia della parola ‘mondo’

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visione, Galileo restrinse il suo studio sui movimenti attraverso lo spazio, e disse che, di fatto, non vi erano distinzioni da fare tra movimenti violenti e naturali, facendo crollare la distinzio-ne nel dominio di una singola teoria sulla meccanica. il sistema galileiano non ha concetti quali luogo o stato naturale. inoltre, aristotele non distinse tra velocità media e velocità istantanea - che fu la distinzione chiave che portò la cinematica di Galileo fuori dalle basi aristoteliche su cui giaceva.32

Senza entrare troppo nel dettaglio è utile immaginare come aristotele com-prendesse il movimento nella sua distinzione tra ‘naturale’ (secondo natura) e ‘violento’ (contro natura): egli infatti considera come movimento anche l’alte-razione qualitativa di un oggetto (come accennato, per esempio, il crescere di un fiore, ma anche la sua generazione o corruzione). insomma: mentre l’uomo di scienza fino a prima di Galileo si chiedeva “a che fine?”, intravvedendo in questa domanda ‘teleologica’ anche la tacita risposta secondo la quale il fine doveva essere il disegno divino che possiamo, solo a tratti, scorgere, dopo Galileo, essendo il disegno divino imponderabile, più modestamente lo scien-ziato si chiede: “in che modo?”. Questo scioglie alcuni vincoli di ordine meta-fisico, a beneficio di una più veritiera descrizione del mondo e del cosmo.Quindi la rivoluzione linguistica porta inevitabilmente con sé una rivoluzione di più ampia portata, che ha un valore semantico, di significato, che è legata a doppio filo alla distinzione di ciò che ha senso esprimere da un punto di vista scientifico, da ciò che questo senso non lo ha più33.Galileo, in questo processo di transizione, compie lo sforzo di adottare termini della lingua comune, dotati di contenuto immediatamente riconoscibile. Pur in un tentativo di formalizzazione utile a non indurre ambiguità nel lettore,

32 Luciano Celi., La valigia di Aristotele. Concetti, prototipi, orsi bianchi & lavatrici, aracne editrice, roma 2008, p. 100.

33 non è questa la sede, ma a titolo di esempio questo aspetto lo si può trovare anche in una delle biografie di Ludwig Wittgenstein: “il modo in cui Grant affronta il problema dello “shock” è analogo a quello in cui Heinrich Hertz affronta il problema della “forza” in fisica. nei Prinzipien der Mechanik Hertz aveva proposto di non cercare una risposta diretta alla domanda “Che cos’è la forza”, per tentare invece una risistemazione della fisica newtoniana evitando di usare il concetto di forza come concetto basilare. Questo tipo di soluzione del problema fu sempre considerato daWittgenstein un valido modello per eliminare le confusioni in campo filosofico […]. in diretto riferimento a questa affermazione Wittgenstein scrive: «L’obiettivo finale del mio modo di far filosofia è di esprimermi in forma tale da far scomparire certe inquietudini. (Hertz)»”, in monk r., Wittgenstein, il dovere del genio, bompiani, milano 1991, p. 440.

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Galileo definisce concetti quali il “candore lunare”, il “pendolo” e soprattutto quello di “momento” che lo scienziato pisano eredita dal linguaggio comune34. d’altra parte lo scienziato non esita ad adottare termini che nella lingua volgare si siano già stabiliti e ne sia regolato l’uso: ‘apogeo’, ‘parallasse’, ‘microscopio’ o ‘termometro’ entrano con gran sicurezza nelle disquisizioni galileiane.non ultimo il termine con cui viene battezzata la più grande tra le sue inven-zioni35: il ‘cannone’ o ‘occhiale’ - da cui l’italiano ‘cannocchiale’ - che diviene in uso, nella variante proposta dall’amico Federico Cesi36, come ‘telescopio’37.

34 L’espressione “momento di stadera” - la stadera è la bilancia con i due piatti, o con un piatto e i contrappesi dall’altro - che risale addirittura al duecento, è vicina, ma non sovrapponibile, a quella di “peso”: «momento è la propensione di andare in basso, cagionata non tanto dalla gravità del mobile, quanto dalla disposizione che abbino tra di loro diversi corpi gravi, mediante il qual momento si vedrà molte volte un corpo men grave contrappesare un altro di maggior gravità». Si pensi, per fare un ulteriore esempio che possa servire a comprendere meglio questa nozione della fisica, a quando spingiamo una porta: se lo facciamo nei pressi della maniglia lo sforzo che faremo sarà minimo (perché il braccio del momento angolare è massimo); se la spingiamo vicino ai cardini, lo sforzo sarà massimo (il braccio ha una lunghezza quasi nulla).

35 Per essere corretti fino in fondo: è improprio parlare di invenzione in relazione al cannocchiale o telescopio. vero fu piuttosto che Galileo lo fece diventare strumento di dignità scientifica, da quel che inizialmente era: poco più di una curiosità che arrivava dall’olanda. in riferimento a questo argomento si veda anche oltre.

36 Federico Cesi (roma, 26 febbraio 1585 - acquasparta, 1 agosto 1630) è stato uno scienziato e naturalista italiano, fondatore dell’accademia dei Lincei.

37 in una specie di contrapposizione con il termine, appunto già introdotto, di ‘microscopio’.

il frontespizio del Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo

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anche qui la lingua sembra capace di introdurre spaventevoli novità epistemo-logiche: che razza di ordigno sarà mai questo ‘cannone’ o ‘occhiale’?«Quel mirare per quegli occhiali m’imbalordiscon la testa: basta, non ne vo-glio sapere altro». Così accoglie Cremonini38, filosofo aristotelico, il galileiano ‘occhiale’: anch’egli fu amico di quel Galileo che voleva convincerlo a vedere il cielo sopra Padova attraverso la sua invenzione.taluni, a differenza dello scettico e impaurito Cremonini, ebbero paura (nel timore di rimanere accecati) anche solo di poggiare l’occhio sullo strumento. altri - per quel concerne il riadattamento dello strumento galileiano a micro-scopio - ne furono entusiasti. Giovanfrancesco Sagredo - che diverrà in seguito uno dei protagonisti del Dialogo - amico dello scienziato fu, oltre che collezio-nista d’arte, studioso eclettico: dalla termometria alle ricerche sulla propaga-zione del suono, dalla collezione di strumenti scientifici alla catalogazione di quelli curiosi. nel carteggio con Galileo si rinviene una missiva in cui compare l’informazione secondo la quale «[…] a venezia […] hora […] si fanno alcuni cannoncini corti buoni. io li uso», scrive Sagredo, «per vedere pitture da vici-no. Le ben fatte rappresentano il naturale, e l’altre maggiormente si scoprono imperfette»39.ma non è l’unico: nel maggio del 1624 Giovanni Faber informa Federico Cesi: «Sono stato hier sera col sig.r Galilei nostro […] ha dato un bellissimo occhia-lino al Sig.r cardinale zollern per il duca di baviera. io ho visto una mosca che il sig.r Galilei stesso mi ha fatto vedere, sono restato attonito, et ho detto al sig.r Galilei che esso è un altro creatore, atteso che fa apparire cose che finhora non si sapeva che fossero state create»40. ma lo stesso Galileo, in una lettera di accompagnamento41 al Cesi, lo informa: «io ho contemplato […] moltissimi animalucci con infinita ammirazione: tra i quali la pulce è orribilissima, la zan-

38 «Cesare Cremonini (Cento, 22 dicembre 1550 - Padova, 19 luglio 1631) è stato un filosofo e scienziato italiano. Ultimo esponente dell’aristotelismo del rinascimento in italia, e professore di filosofia naturale dal 1573, fu insegnante per alcuni anni a Ferrara e, nel 1590, venne chiamato dall’Università di Padova dove rimase fino al (1629) e dove per alcuni anni fu titolare anche della cattedra di medicina. amico e rivale di Galileo Galilei fu difensore della medicina averroista e sostenitore della mortalità dell’anima, legata indissolubilmente al corpo umano» (fonte: Wikipedia).

39 il carteggio galileiano è completamente inserito nelle Opere dell’edizione nazionale. in questo caso specifico cito da Lucia tongiorgi tomasi, Galileo, le arti, gli artisti, in Il cannocchiale e il pennello, cit., pp. 34-35.

40 Giovanni Gabrieli (a cura di), Il carteggio linceo, accademia nazionale dei Lincei, roma 1996, p. 875, citato in Lucia tongiorgi tomasi, op. cit., p. 37.

41 La lettera accompagnava proprio il dono di un «occhialino per vedere da vicino le cose minime».

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zara e la tiguola sono bellissimi»42.Gli ‘occhiali’ comunque li si voglia… vedere, servivano per osservare cose nuo-ve. Per aprire nuovi confini di conoscenza, ma, come ben sappiamo, per ogni cosa nuova, c’è una fisiologica resistenza al cambiamento, che Kuhn descrive, in ogni rivoluzione scientifica che si rispetti.Per concludere: una rivoluzione nella rivoluzione, contenuta nel Dialogo è pro-prio la forma letteraria del dialogo. ma chi mai, al giorno d’oggi si sognerebbe di sconvolgere qualche legge generale della fisica inscenando una piece teatrale?È come pensare che einstein avesse deciso di sconvolgere le leggi dello spazio-tempo enunciando la teoria della relatività in un libretto divulgativo, o in un saggio di danza, o in una partitura musicale, nella quale personaggi inventati discutessero di esperimenti come quello di michelson e morley43, anziché pub-blicare, come invece fece, il suo celebre articolo Zur Elektrodynamik bewegter Körper sugli «annalen der Physik» nel 1905.

4. GaLiLeo Letterato #1: QUeL CHe Ci LaSCia in eredità

Galileo ci lascia una prosa ineguagliata. basta legger le sue opere per compren-derlo. Sarà che siamo in un momento storico di mutamento, sarà per ragioni - in qualche modo esplicitate anche qui - di ‘rivoluzione’ linguistica e concet-tuale, ma il segno che Galileo lascia, al netto della sua preminente opera scien-tifica, si riverbera anche sui grandi scrittori e intellettuali del nostro tempo. in italia, due su tutti: Giacomo Leopardi e italo Calvino. Parto da quest’ultimo, in una specie di percorso a ritroso nel tempo.in estemporanee riflessioni giornalistiche è lo stesso Calvino a tracciare pro-prio questo percorso a ritroso, nel quale congiunge i punti che legano tutti questi autori.

4.0 itaLo CaLvino, La LUna e i CavaLLi

italo Calvino - universalmente conosciuto come scrittore - è stato saggista e

42 Giovanni Gabrieli (a cura di), Il carteggio linceo, accademia nazionale dei Lincei, roma 1996, p. 942, citato in Lucia tongiorgi tomasi, op. cit., p. 37-38.

43 «L’esperimento di michelson-morley, è uno dei più famosi ed importanti esperimenti della storia della fisica. venne eseguito nel 1887 nell’attuale Case Western reserve University ed è considerato la prima forte prova contro la teoria dell’etere luminifero. [...] La conclusione, che la velocità della luce è indipendente dal moto della sorgente e dell’osservatore, fu l’ipotesi da cui partì einstein per sviluppare la teoria della relatività ristretta» (fonte: Wikipedia).

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ottimo talent scout per la casa editrice einaudi di torino. nel corso degli anni torna più volte su Galileo. Forse lo sente affine a sé, lui che, pur letterato, arriva da una famiglia di ‘scienziati’ (il padre era un agronomo apprezzato, la madre botanica con una laurea in Scienze naturali).nel 1967, a un paio d’anni dal primo sbarco sulla Luna, Calvino ha una collabo-razione con il «Corriere della Sera». Sul quotidiano tiene una rubrica, Filo diret-to, che consiste in scambi tra scrittori. il giorno prima del natale di quell’anno, risponde a una ‘collega’ scrittrice, anna maria ortese, che in una lettera indiriz-zata al giornale, ma a lui in particolare, manifesta le sue inquietudini in relazione a questo ennesimo tentativo dell’umanità di ‘impossessarsi’ di nuovi spazi - in questo caso lo sforzo tenace proprio verso la conquista del nostro satellite - con tutti i rischi insiti che l’operazione ha: «ora, questo spazio, non importa da chi, forse da tutti i paesi progrediti, è sottratto al desiderio di riposo, di ordine, di beltà, allo straziante desiderio di riposo di gente che mi somiglia. diventerà fra breve, uno spazio edilizio. o nuovo territorio di caccia, di meccanico progresso, di corsa alla supremazia, al terrore». ora, a oltre quarant’anni da questa lettera, lo spazio intorno al nostro pianeta, pur essendo fornito di ‘scudi stellari’, gode, come sappiamo, di relativa quiete. ma Calvino così risponde:

Le notizie di nuovi lanci spaziali sono episodi d’una lotta di su-premazia terrestre e come tali interessano solo la storia dei modi sbagliati con cui ancora i governi e gli stati maggiori pretendono di decidere le sorti del mondo passando sopra la testa dei popoli.Quel che mi interessa invece è tutto ciò che è appropriazione vera dello spazio e degli oggetti celesti, cioè conoscenza: uscita dal nostro quadro limitato e certamente ingannevole, definizio-ne d’un rapporto tra noi e l’universo extraumano. La luna, fin dall’antichità, ha significato per gli uomini questo desiderio, e la devozione lunare dei poeti così si spiega. ma la luna dei poeti ha qualcosa a che vedere con le immagini lattiginose e bucherellate che i razzi trasmettono?44 Forse non ancora; ma il fatto che siamo

44 Piuttosto suggestivamente sembra voler rispondere a questa domanda il fisico statunitense richard P. Feynman, nobel per la Fisica nel 1965, che, in una nota al libro Sei pezzi facili, afferma: «i poeti dicono che la scienza rovina la bellezza delle stelle, riducendole solo ad ammassi di atomi di gas. Solo? anch’io mi commuovo a vedere le stelle di notte nel deserto, ma vedo di meno o di più? La vastità dei cieli sfida la mia immaginazione; attaccato a questa piccola giostra il mio occhio riesce a cogliere luce vecchia di un milione di anni. vedo un grande schema, di cui sono parte, e forse la mia sostanza è stata eruttata da qualche stella dimenticata, come una, ora, sta esplodendo lassù. oppure vederle con il grande occhio di Palomar correre via l’una dall’altra, allontanandosi da uno stesso

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obbligati a ripensare la luna in modo nuovo ci porterà a ripensare in un modo nuovo tante cose.45

e in relazione al valore aggiunto che non si limita al solo dato oggettivo e tec-nico dell’esplorazione spaziale, Calvino prosegue dicendo che

Questo qualcosa che l’uomo acquista riguarda non solo le cono-scenze specializzate degli scienziati ma anche il posto che queste hanno nell’immaginazione e nel linguaggio di tutti: e qui entria-mo nei territori che la letteratura esplora e coltiva.Chi ama la luna davvero non si contenta di contemplarla come un’immagine convenzionale, vuole entrare in un rapporto più stretto con lei, vuole vedere di più nella luna, vuole che la luna dica di più. il più grande scrittore della letteratura italiana d’ogni secolo, Galileo, appena si mette a parlare della luna innalza la sua prosa a un grado di precisione ed evidenza ed insieme di rarefa-zione lirica prodigiose. e la lingua di Galileo fu uno dei modelli della lingua di Leopardi, gran poeta lunare…46

Sul nome ‘Galileo’ citato in quest’ultimo pezzo compare una nota: «Questa af-fermazione perentoria [il fatto cioè di attribuire a Galileo il nome di più grande scrittore d’ogni secolo, n.d.a.] non mancò di suscitare reazioni e proteste (di Carlo Cassola47, tra gli altri)». in una intervista riportata poco oltre nelle pagi-ne dello stesso volume, Calvino risponde proprio a questa domanda: «Lei ha

punto in cui erano forse riunite tutte insieme. Qual è lo schema, quale il suo significato, il perché? Saperne qualcosa non distrugge il mistero, perché la realtà è tanto più meravigliosa di quanto potesse immaginare nessun artista del passato! Perché i poeti di oggi non ne parlano? Che uomini sono mai i poeti, che riescono a parlare di Giove pensandolo simile a un uomo, ma se è un’immensa sfera di metano e ammoniaca ammutoliscono?». Si ricorda che lo stesso Calvino ha scritto un romanzo dal titolo Palomar, pubblicato per la prima volta nel 1983: «il titolo Palomar è una scelta ponderata, onde evitare ogni tipo di distorsione nelle traduzioni. La parola in ispagnolo significa “colombaia”, anche se per esplicita affermazione dell’autore ciò non ha nulla a che vedere col libro. il legame infatti va cercato sicuramente con l’osservatorio americano» (fonte: Wikipedia).

45 italo Calvino, «il rapporto con la luna», in Una pietra sopra, mondadori, milano 2002, p. 220.

46 Ibid., pp. 220-221.

47 «Carlo Cassola (roma, 17 marzo 1917 - montecarlo, 29 gennaio 1987) è stato un importante scrittore e saggista italiano. dal suo romanzo La ragazza di Bube (1960), che ricevette il Premio Strega, fu realizzato nel 1963, da Luigi Comencini, il film omonimo e, sempre nel 1963, dal racconto “La visita”, il film diretto da antonio Pietrangeli» (fonte: Wikipedia).

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detto recentemente che il più grande scrittore italiano è Galileo. Perché?»

Leopardi nello Zibaldone ammira la prosa di Galileo per la pre-cisione e l’eleganza congiunte. e basta vedere la scelta di passi di Galileo che Leopardi fa nella sua Crestomazia48 della prosa ita-liana, per comprendere quanto la lingua leopardiana - anche del Leopardi poeta - deve a Galileo. [… Quest’ultimo] usa il linguag-gio non come uno strumento neutro, ma con una coscienza lette-raria, con una continua partecipazione espressiva, immaginativa, addirittura lirica. Leggendo Galileo mi piace cercare i passi in cui parla della Luna: è la prima volta che la Luna diventa per gli uomini un oggetto reale, che viene descritta minutamente come cosa tangibile, eppure appena la Luna compare, nel linguaggio di Galileo si sente una specie di rarefazione, di levitazione: ci s’in-nalza in un’incantata sospensione. non per niente Galileo ammi-rò e postillò quel poeta cosmico e lunare che fu ariosto. (Galileo commentò anche tasso, e lì non fu un buon critico: appunto perché la sua passione addirittura faziosa per ariosto lo portò a stroncare tasso in modo quasi sempre ingiusto)49. L’ideale di sguardo sul mondo che guida anche il Galileo scienziato è nu-trito di cultura letteraria. tanto che possiamo segnare una linea ariosto-Galileo-Leopardi come una delle più importanti linee di forza della nostra letteratura.Quando ho detto che Galileo resta il più grande scrittore ita-liano, Carlo Cassola è saltato su a dire: come, credevo che fosse dante! Grazie, bella scoperta. io prima di tutto intendevo dire scrittore in prosa […]. Quel che posso dire è che nella direzione in cui lavoro adesso, trovo maggior nutrimento in Galileo, come precisione di linguaggio, come immaginazione scientifico-poeti-ca, come costruzione di congetture. ma Galileo - dice Cassola

48 La crestomazia è una «antologia; raccolta, selezione di brani significativi, spesso commentati, delle opere in prosa o in versi, degli studi, dei motti, delle sentenze ecc. di uno stesso autore o di autori vari, già in uso presso Greci e romani» (fonte: Wikipedia).

49 da notare incidentalmente che lo stesso Calvino - come Galileo - ha nutrito una forte passione per l’ariosto. ne scrisse quand’ancora era in vita (cfr. «La struttura dell’ “orlando”», in Perché leggere i classici, mondadori, milano 1991, pp. 78-88), ma soprattutto il suo lavoro condusse a una pubblicazione postuma dal titolo Orlando Furioso di Ludovico Ariosto raccontato da Italo Calvino, mondadori, milano 1995.

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- era scienziato, non scrittore. Questo argomento mi pare facil-mente smontabile: allo stesso modo anche dante, in un diverso orizzonte culturale, faceva opera enciclopedica e cosmologica, anche dante cercava attraverso la parola letteraria di costruire un’immagine dell’universo. Questa è una vocazione profonda della letteratura italiana che passa da dante a Galileo: l’opera letteraria come mappa del mondo e dello scibile, lo scrivere mos-so da una spinta conoscitiva che è ora teologica ora speculativa ora stregonesca ora enciclopedica ora di filosofia naturale ora di osservazione trasfigurante e visionaria.50

ma ancora Calvino, amico di raymond Queneau e di conseguenza frequenta-tore dell’oulipo51, era affascinato in generale dall’arte combinatoria52, e in par-ticolare, per ciò che riguarda Galileo, dalla sua idea sull’alfabeto, inteso come strumento principale e - guarda caso - combinatorio53 per ciò che riguarda la comprensione ma anche la ‘costruzione’ del mondo e della sue conoscenze. Più volte egli cita il celebre passo ne Il Saggiatore che vale la pena riportare:

La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico l’universo), ma non si può intendere se prima non s’impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri, ne’ quali è scritto. egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto.54

50 italo Calvino, «due interviste su scienza e letteratura», in Una pietra sopra, mondadori, milano 2002, pp. 225-227.

51 acronimo dal francese Ouvroir de Littérature Potentielle, traducibile in italiano “officina di letteratura potenziale”.

52 Per questo particolare aspetto di Calvino si rimanda ai saggi - facilmente rintracciabili - presenti come capitoli dei già citati libri Una pietra sopra e Perché leggere i classici. Per una acuta analisi di questi stessi aspetti invece rimando a Piergiorgio odifreddi, «Se una notte d’inverno un calcolatore», in raffaele aragona, Italo Calvino: percorsi potenziali, manni editori, Lecce 2008, pp. 151-169. Per un breve flash, tra i numerosissimi articoli usciti in questo anno di celebrazioni galileiane, invece, si veda odifreddi: Lo scrittore matematico, su «la repubblica», 7 maggio 2009, p. 55.

53 «Quando parla dell’alfabeto, Galileo intende dunque un sistema combinatorio in grado di render conto di tutta la molteplicità dell’universo». italo Calvino, «il libro della natura in Galileo», in Perché leggere i classici, mondadori, milano 1991, p. 104.

54 Galileo Galilei, Il Saggiatore, 6.

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La metafora del libro-mondo non è certo nuova, ma in Galileo acquista una forza tutta nuova e polemica contro coloro che si limitano a leggere i libri di aristotele, senza guardarsi intorno, senza osservare e compiere le “sensate esperienze”, utili, insieme alle “certe dimostrazioni”, a un reale progresso della scienza e, più in generale, della conoscenza.il suggestivo discorso di Calvino, che sottolinea le predilezioni galileiane per questa idea di alfabeto - che lo scienziato pone come «sigillo di tutte le ammi-rande invenzioni umane» a conclusione della prima giornata del Dialogo - lo pone in quell’empireo dei letterati che lo stesso Calvino menziona. ma tutto questo ha in sé un valore di portata amplissima della quale qui accenneremo soltanto: vale a dire la potenza della parola, della parola che genera, che costru-isce mondi e conoscenze. Una parola che è quasi magia, che profferita dà nome e quindi esistenza alle cose del mondo, agli oggetti, alle storie.nella tradizione cristiana il vangelo di Giovanni (1, 1-18) afferma che: «in Principio era il verbo. e il verbo era presso dio. e il verbo era dio». il verbo in questione è logos, parola.e pur non potendo di fatto dar credito a una creazione del mondo in sette giorni55, è suggestivo pensare che questa sia avvenuta attraverso il semplice profferire parole da parte della divinità: il semplice atto di nominare una cosa, un oggetto, un fenomeno, una specie vivente, la fa esistere. Le conferisce, come direbbero i filosofi, uno statuto ontologico, un posto nella realtà che viviamo. identicamente accade in altre religioni e - all’interno di queste - secondo altre forme. Se pensiamo all’ebraismo sappiamo che il libro ‘codificato’ è la torah, ma quello ‘parlato’, quello che vive, quello che si ‘discute’ è il talmud56.d’altra parte il parlare, l’emettere suoni, il profferire sillabe, ha a che fare con un altro atto fondamentale nell’essere umano: quello di respirare. il respiro è “soffio” (vitale). nella Grecia antica, identificato con il pneuma, con l’afflato che è la vita o non lo è più quando, appunto, uno cessa di respirare. Lo spirito vitale è la modesta quantità d’aria che esce dalle labbra degli eroi omerici quan-do decidono di passare a miglior vita. da qui l’identificazione pneuma-anima nel mondo greco, o meglio miceneo.

55 Qualcuno mi ha fatto notare, per amor di correttezza, che i giorni della Creazione furono di fatto 6: il settimo dio si riposò.

56 Che per altro prevede nel ‘mishnah’ una «coazione a ripetere» tipica, potremmo notare, di tutte le religioni: dai mantra alla danza dei dervisci, dal ciclo della vita induista (e non solo) al semplice snocciolare i grani di un rosario e dire, per ognuno di essi, una preghiera, una formula. La coazione a ripetere sembra l’ingrediente ‘magico’, quello che dà potere alla parola (o al gesto) di modificare la realtà fuori o dentro di noi.

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Forse per questo chi narra storie si è sempre sentito - o è sempre stato visto - un po’ come una sorta di demiurgo, come colui che, pur in una sfera limitata, era in grado di dare vita a mondi che, più o meno verosimili, venivano partoriti dalla sua mente per il tramite delle sue parole.tutto questo però ci condurrebbe lontano anche dal nostro Galileo e dalla principale arte del buon narratore: il suo ‘correre’ e ‘discorrere’.«La novella è un cavallo», dice ancora Calvino, «è un mezzo di trasporto, con una sua andatura, trotto o galoppo, secondo il percorso che deve compiere, ma la velocità di cui si parla è una velocità mentale»57. in questo particolare frangente egli si riferisce a Giovanni boccaccio e a una novella del Decamerone nella quale un maldestro cavaliere tenta di narrare una storia a una giovane fanciulla, madonna oretta. il povero cavaliere però incespica continuamen-te, torna indietro nel racconto, non si ricorda nomi e fatti, facendo alla fine, perder la pazienza alla povera oretta, che spazientita, dice: «messer, questo vostro cavallo ha troppo duro trotto, perché io vi priego che vi piaccia di pormi a piè». Calvino suppone che, ancora una volta, il primato di questa metafora della ‘velocità’ a cavallo sia da attribuirsi a Galileo:

Se il discorrere circa un problema difficile fusse come il portar pesi, dove molti cavalli porteranno più sacca di grano che un ca-val solo, io acconsentirei che i molti discorsi facesser più che un solo; ma il discorrere è come il correre, e non come il portare, ed un caval barbero solo correrà più che cento frisoni.58

e ancora:

«discorrere», «discorso» per Galileo vuol dire ragionamen-to, e spesso ragionamento deduttivo. «il discorrere è come il correre»: questa affermazione è come il programma stilistico di Galileo, stile come metodo di pensiero e come gusto lette-rario: la rapidità, l’agilità del ragionamento, l’economia degli argomenti, ma anche la fantasia degli esempi sono per Galileo

57 italo Calvino, «rapidità», in Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio, mondadori, milano 1999, p. 47. Con una certa serendipity, o per fortuita coincidenza, scopro che questa seconda delle lezioni americane dedicata alla rapidità, inizia con il racconto di una leggenda che ha a che fare con l’imperatore Carlomagno e… il lago di Costanza, uno dei luoghi che ospita questo incontro.

58 Galileo Galilei, Il Saggiatore, 45.

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qualità decisive del pensar bene.a questo s’aggiunga una predilezione per il cavallo nelle metafo-re e nei Gedanken-experimenten di Galileo: in uno studio che ho fatto sulla metafora negli scritti di Galileo ho contato almeno undici esempi significativi in cui Galileo parla di cavalli: come immagine in movimento, dunque come strumento d’esperimenti di cinetica, come forma della natura in tutta la sua complessità e anche in tutta la sua bellezza, come forma che scatena l’immagi-nazione nelle ipotesi di cavalli sottoposti alle prove più inverosi-mili o cresciuti fino a dimensioni gigantesche; oltre che nell’iden-tificazione del ragionamento con la corsa: «il discorrere è come il correre».La velocità del pensiero nel Dialogo sopra i due massimi sistemi è impersonata da Sagredo […]. Salviati e Sagredo rappresentano due diverse sfaccettature del temperamento di Galileo: Salviati è il ragionatore metodologicamente rigoroso, che procede lentamen-te e con prudenza; Sagredo è caratterizzato dal suo «velocissimo discorso», da uno spirito più portato all’immaginazione, a trarre conseguenze non dimostrate e a spingere ogni idea alle estreme conseguenze, come quando fa ipotesi su come potrebbe essere la vita sulla luna o su cosa succederebbe se la terra si fermasse.Sarà però Salviati a definire la scala di valori in cui Galileo situa la velocità mentale: il ragionamento istantaneo, senza passaggi, è quello della mente di dio, infinitamente superiore a quella umana, che però non deve essere avvilita e considerata nulla, in quanto è creata da dio, e procedendo passo passo ha compreso e investigato e compiuto cose meravigliose.59

4.1 GiaComo LeoPardi e GaLiLeo: Storia Un raPPorto ConFLittUaLe

Quale fu la ricezione da parte di Leopardi - che arrivò, non lo dimentichiamo, a scrivere una Storia della Astronomia - di Galileo? Come afferma uno dei libri più recenti e documentati degli ultimi anni60, conviene chiedersi, in via pre-

59 italo Calvino, «rapidità», in Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio, mondadori, milano 1999, pp. 50-51.

60 Gaspare Polizzi, Galileo in Leopardi, Le Lettere editore, Firenze 2007. mi avvarrò di questo testo come ‘guida’ per tutta questa parte.

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liminare, in che modo e attraverso quali opere, nella biblioteca leopardiana, Galileo fosse presente.di sicuro erano presenti le Opere di Galilei, nell’edizione curata da Giuseppe toaldo nel 1744 e molte altre che non citeremo per non annoiare il lettore: ci basti sapere che in molte di esse - trattandosi di repertori e manuali scientifici e astronomici - Galileo è ben rappresentato e ha un speso specifico piuttosto importante. tra queste spicca senz’altro Lo spettacolo della natura esposto in varj Dialoghi non meno eruditi, che ameni, concernenti la storia naturale: si trat-ta di un’opera tradotta dal francese in “lingua toscana”, a cura di Giambattista Pasquali, formalmente indicata con autore anonimo, ma in realtà opera di noël-antoine Pluche. Si tratta di una vera e propria enciclopedia da cui il giovane Leopardi attinge per la sua formazione.in quest’opera Galileo viene menzionato nel Trattenimento VI dedicato al te-lescopio61, nel VII dedicato al Microscopio, e le altre Invenzioni de’ Moderni62. tale e tanta è la suggestione che la storia della dimostrazione col telescopio, eseguita da Galileo presso i senatori di venezia nel 1609, ha sul giovane let-terato, che egli riporta integralmente l’episodio anche nella sua stessa Storia della Astronomia. L’opera di Pluche però ha altri meriti che vengono recepiti ‘a metà’ dal Leopardi, a causa delle sue convinzioni religiose63. infatti,

il passaggio più significativo della presentazione del copernicane-simo tramite la figura di Galilei si ritrova nel collegamento svol-to da Pluche tra l’eliocentrismo e la messa in discussione della centralità dell’uomo nel disegno divino. nella sua teologia natu-rale Pluche critica la negazione dell’antropocentrismo, attribui-ta a una non meglio precisata «irreligione di parecchi Filosofi», collegandola con la concezione della pluralità dei mondi abitati (con ogni probabilità ricavata dagli Entretiens sur la pluralité des mondes di bernard Le bovier de Fontenelle, richiamati espressa-mente a proposito nell’osservazione delle quattro lune di Giove). tale teoria viene nettamente criticata con un appello all’insonda-

61 Lo spettacolo della natura, cit., tomo viii, pp. 140-180.

62 Ibid., tomo viii, pp. 180-209.

63 «ricevette la prima educazione come da tradizione familiare, da due precettori ecclesiastici, il gesuita don Giuseppe torres fino al 1808 e l’abate don Sebastiano Sanchini fino al 1812, che influirono sulla sua prima formazione con metodi improntati alla scuola gesuitica. tali metodi erano incentrati non solo sullo studio del latino, della teologia e della filosofia, ma anche su una formazione scientifica di buon livello contenutistico e metodologico» (fonte: Wikipedia).

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bilità della provvidenza divina e con un ulteriore richiamo alla grandezza di dio: pur accettando che dio abbia «distribuite di-verse intelligenze per essere dalle medesime lodato» nondimeno - osserva Pluche - egli trova nell’uomo colui che gode in modo privilegiato della sua opera creatrice.64

L’autore de Lo spettacolo della natura, però compie una curiosa operazione, poiché

prosegue il trattenimento vi mantenendo insieme le due ipotesi - geocentrica ed eliocentrica - come testimonianza della potenza e della bontà divina, che non muta se non nella diversa econo-mia del disegno complessivo dell’universo; anche se la lode della provvidenza divina dirige verso l’ipotesi eliocentrica, che premia ancor più la verità della teologia naturale.65

È buffo perché questa specie di ‘indecisione’ sul versante da adottare (geocen-trismo vs. eliocentrismo) - un’indecisione epistemologica che a noi moderni risulta quasi del tutto incomprensibile - sembra ripercuotersi in una specie di ambivalenza nella ricezione dell’opera galileiana nel suo insieme.altro importante testo certamente presente nella biblioteca leopardiana è l’Hi-stoire de l’astronomie moderne di bailly, così come è presente l’omologo volu-me tradotto in italiano e compendiato da Francesco milizia: in queste opere è presente un’estesa trattazione delle scoperte astronomiche galileiane e tracce di queste si trovano nel leopardiano Epistolario e nello Zibaldone. tuttavia «le attestazioni sulla presenza di Galileo nell’opera leopardiana devono neces-sariamente muovere dagli scritti giovanili […]»66. Con esplicito riferimento al sapere astronomico leopardiano «la figura di Galilei viene presentata per la prima volta nella Dissertazione sopra l’astronomia, subito dopo quella di Copernico, con un rilievo non proprio comune nella storiografia settecentesca sull’astronomia»67. Sta di fatto che «la successiva favorevole descrizione del sistema copernicano si conclude con un’affermazione che […] si presenta del

64 Gaspare Polizzi, op. cit., pp. 11-12.

65 Ibid., p. 13.

66 Ibid., p. 51.

67 Ibid., pp. 51-52.

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tutto in linea con l’interpretazione ortodossa della chiesa cattolica»68.insomma: laddove Galileo compare viene variamente inteso e recepito - in re-lazione alla querelle geocentrismo/eliocentrismo - quando non del tutto omes-so. nella Dissertazione sopra la gravità, infatti, si discute «della caduta dei corpi e delle oscillazioni del pendolo e del moto perpetuo, senza alcun cenno tuttavia […] alle ricerche svolte al proposito da Galilei»69. ed è ancor più curioso che tra le assenze evidenti per il genere letterario che fu rivoluzionario in Galileo - il dialogo - non compaia, tra i nomi di coloro che lo adottarono, proprio quello dello scienziato:

nel Dialogo filosofico sopra un moderno libro intitolato «Analisi delle idee ad uso della gioventù» (1812) Leopardi giustifica la scel-ta del genere dialogico appoggiandosi a una lunga tradizione che, per quanto concerne gli autori moderni, contempla «addison, regnault, Fontanelle, Courcillon de dangeau, Fenelon, Pluche, algarotti, roberti, muzzarelli, ed altri molti». L’assenza di Galilei, che peraltro viene richiamato espressamente almeno da algarotti nei suoi dialoghi sopra l’ottica newtoniana, va segnalata come l’indice di un’omissione che pare piuttosto volontaria che non come il segno di una persistente ignoranza.70

Leopardi si interessa di fatto anche a molti aspetti specifici delle questioni di-battute in astronomia. Uno tra questi è la librazione, ovvero quell’effetto cau-sato da piccole asimmetrie del movimento della Luna rispetto alla terra, che consente di osservare una frazione del suolo lunare superiore al 50%; la com-binazione di tre tipi di librazione (in latitudine, in longitudine e diurna) per-mette di osservare direttamente, anche se con discontinuità, circa il 59% della superficie lunare. di questo fenomeno è già a conoscenza Galileo e Leopardi ne è a lungo incuriosito. Parimenti va sottolineato come Galilei compaia per la prima volta tra gli scritti del pensatore di recanati proprio in relazione alle sue ricerche sulla luna, e come l’attenzione verso queste ricerche sia costante in Leopardi. tuttavia

68 Ibid., p. 53. identicamente «Leopardi sembra attribuire le disavventure processuali dello scienziato pisano all’invidia e non viene in alcun modo ricostruita la difesa di Galilei e la sua interpretazione “realistica” del sistema copernicano». Gaspare Polizzi, ibid., p. 66.

69 Ibid., p. 56.

70 Ibid., p. 56.

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il rilievo del pensiero di Galilei nell’opera di Leopardi si ricono-sce soprattutto nella Crestomazia della prosa (pubblicata in due tomi fra l’ottobre e il dicembre 1827). La quantità dei brani tra-scelti da scritti galileiani71 […], con selezioni dal Saggiatore, dal Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo e da opere minori e lettere […] - ben 17, 16 dei quali per la sezione Filosofia specu-lativa e uno per gli Apologhi - non soltanto rende Galilei l’auto-re maggiormente presente […], ma anche il più rappresentativo nell’ambito della Filosofia speculativa. nonostante le ricerche di Giulio bollati, curatore moderno della Crestomazia della prosa, il libro di Lorenzo Polato e il saggio di Paolo Galluzzi72, manca ancora una ricostruzione sistematica delle scelte antologiche in funzione della sensibilità non soltanto stilistica ma anche filoso-fica del loro singolare compilatore; e ciò vale a maggior ragione per la presenza dei testi galileiani.73

Galilei viene consacrato come letterato per la «magnanimità e di pensare e di scrivere» nello Zibaldone, posto niente meno che di fianco a Pietro bembo e Francesco redi. Questo ha ancor più valore perché

Leopardi asserisce e dimostra che gli scienziati non scrivono «in bella lingua» innanzitutto perché sono stati indirizzati a studi di-versi da quelli necessari a «possedere il vero sensorio del bello scrivere», e quindi perché non hanno il tempo e l’applicazione necessari per dedicarsi a quelle «gravissime e lunghissime medi-tazioni, e revisioni, e correzioni, e lime» senza le quali il bello stile non si può acquisire.74

ma forse il Leopardi che conosciamo meglio, il poeta, è, ancora una volta colui che guarda al nostro satellite e lo interroga e lo rende a noi vicino, nella bella e celebre poesia Canto notturno di un pastore errante dell’Asia:

71 riportati integralmente in appendice dall’autore.

72 il libri o i brani citati sono, nell’ordine: Introduzione, in G. Leopardi, Crestomazia Italiana, a cura di G. bollati; L. Polato, Lo stile e il Labirinto. Leopardi e Galileo e altri saggi, Franco angeli, milano 1991; P. Galluzzi, Leopardi e la rivoluzione astronomica e fisica: Copernico e Galileo, in G. Stabile (a cura di), Giacomo Leopardi e il pensiero scientifico.

73 Gaspare Polizzi, op. cit., p. 81.

74 Ibid., p. 138.

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Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai,Silenziosa luna?Sorgi la sera, e vai,Contemplando i deserti; indi ti posi.ancor non sei tu pagadi riandare i sempiterni calli?ancor non prendi a schivo, ancor sei vagadi mirar queste valli?Somiglia alla tua vitaLa vita del pastore.Sorge in sul primo alboremove la greggia oltre pel campo, e vedeGreggi, fontane ed erbe;Poi stanco si riposa in su la sera:altro mai non ispera.dimmi, o luna: a che valeal pastor la sua vita,La vostra vita a voi? dimmi: ove tendeQuesto vagar mio breve,il tuo corso immortale?

vecchierel bianco, infermo,mezzo vestito e scalzo,Con gravissimo fascio in su le spalle,Per montagna e per valle,Per sassi acuti, ed alta rena, e fratte,al vento, alla tempesta, e quando avvampaL’ora, e quando poi gela,Corre via, corre, anela,varca torrenti e stagni,Cade, risorge, e più e più s’affretta,Senza posa o ristoro,Lacero, sanguinoso; infin ch’arrivaColà dove la viae dove il tanto affaticar fu volto:abisso orrido, immenso,ov’ei precipitando, il tutto obblia.vergine luna, talee’ la vita mortale.

nasce l’uomo a fatica,ed è rischio di morte il nascimento.

Prova pena e tormentoPer prima cosa; e in sul principio stessoLa madre e il genitoreil prende a consolar dell’esser nato.Poi che crescendo viene,L’uno e l’altro il sostiene, e via pur sempreCon atti e con paroleStudiasi fargli core,e consolarlo dell’umano stato:altro ufficio più gratonon si fa da parenti alla lor prole.ma perché dare al sole,Perché reggere in vitaChi poi di quella consolar convenga?Se la vita è sventura,Perché da noi si dura?intatta luna, talee’ lo stato mortale.ma tu mortal non sei,e forse del mio dir poco ti cale.

Pur tu, solinga, eterna peregrina,Che sì pensosa sei, tu forse intendi,Questo viver terreno,il patir nostro, il sospirar, che sia;Che sia questo morir, questo supremoScolorar del sembiante,e perir dalla terra, e venir menoad ogni usata, amante compagnia.e tu certo comprendiil perché delle cose, e vedi il fruttodel mattin, della sera,del tacito, infinito andar del tempo.tu sai, tu certo, a qual suo dolce amorerida la primavera,a chi giovi l’ardore, e che procacciil verno co’ suoi ghiacci.mille cose sai tu, mille discopri,Che son celate al semplice pastore.Spesso quand’io ti miroStar così muta in sul deserto piano,Che, in suo giro lontano, al ciel confina;

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ovver con la mia greggiaSeguirmi viaggiando a mano a mano;e quando miro in cielo arder le stelle;dico fra me pensando:a che tante facelle?Che fa l’aria infinita, e quel profondoinfinito Seren? che vuol dir questaSolitudine immensa? ed io che sono?Così meco ragiono: e della stanzaSmisurata e superba,e dell’innumerabile famiglia;Poi di tanto adoprar, di tanti motid’ogni celeste, ogni terrena cosa,Girando senza posa,Per tornar sempre là donde son mosse;Uso alcuno, alcun fruttoindovinar non so. ma tu per certo,Giovinetta immortal, conosci il tutto.Questo io conosco e sento,Che degli eterni giri,Che dell’esser mio frale,Qualche bene o contentoavrà fors’altri; a me la vita è male.

o greggia mia che posi, oh te beata,Che la miseria tua, credo, non sai!Quanta invidia ti porto!non sol perché d’affannoQuasi libera vai;Ch’ogni stento, ogni danno,ogni estremo timor subito scordi;ma più perché giammai tedio non provi.

Quando tu siedi all’ombra, sovra l’erbe,tu se’ queta e contenta;e gran parte dell’annoSenza noia consumi in quello stato.ed io pur seggo sovra l’erbe, all’ombra,e un fastidio m’ingombraLa mente, ed uno spron quasi mi pungeSì che, sedendo, più che mai son lungeda trovar pace o loco.e pur nulla non bramo,e non ho fino a qui cagion di pianto.Quel che tu goda o quanto,non so già dir; ma fortunata sei.ed io godo ancor poco,o greggia mia, nè di ciò sol mi lagno.Se tu parlar sapessi, io chiederei:dimmi: perchè giacendoa bell’agio, ozioso,S’appaga ogni animale;me, s’io giaccio in riposo, il tedio assale?

Forse s’avess’io l’aleda volar su le nubi,e noverar le stelle ad una ad una,o come il tuono errar di giogo in giogo,Più felice sarei, dolce mia greggia,Più felice sarei, candida luna.o forse erra dal vero,mirando all’altrui sorte, il mio pensiero:Forse in qual forma, in qualeStato che sia, dentro covile o cuna,e’ funesto a chi nasce il dì natale.

5. GaLiLeo Letterato #2: Prima di LUi dante, PetrarCa, arioSto e… taSSo

Ludovico ariosto75 compone questa specie di opera non finita, l’Orlando

75 «Ludovico ariosto (reggio emilia, 8 settembre 1474 - Ferrara, 6 luglio 1533) è stato un poeta, scrittore e drammaturgo italiano, autore dell’Orlando furioso (1516-32)» (fonte: Wikipedia).

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Furioso - che ancora una volta italo Calvino76 suggestivamente definisce «poe-ma che si rifiuta di cominciare, e si rifiuta di finire» - dopo infinite stesure, in-credibili rifacimenti, aggiunte, ristrutturazioni tra il 1504 e il 1532, anno della sua stesura che possiamo considerare definitiva - a un anno dalla morte dell’au-tore. Come tanta parte dell’epica - che sia essa classica o moderna, poco im-porta - ha il suo fascino proprio in questa caratteristica di essere una specie di “opera aperta”77, una di quelle opere il cui intreccio con i miti e leggende e altri aspetti immaginifici e/o attinenti alla realtà è pressoché infinito. in quest’opera Calvino scorge e ravvede quel legame che l’opera ha, in qualche modo, con la rinnovata visione del cosmo che echeggia proprio Galileo, ma ancora prima di lui, il Giordano bruno della «pluralità dei mondi»:

Che [l’ariosto, n.d.a.] faccia passare la costruzione di questo uni-verso per una continuazione, un’appendice, una - com’egli dice - «gionta» a un’opera altrui78, può essere interpretato come un segno della straordinaria discrezione di ariosto, un esempio di quello che gl’inglesi chiamano understatement, cioè lo speciale spirito d’ironia verso se stessi che porta a minimizzare le cose grandi e importanti; ma può essere visto come segno d’una con-cezione del tempo e dello spazio che rinnega la chiusa configura-zione del cosmo tolemaico, e s’apre illimitata verso il passato e il futuro, così come verso una incalcolabile pluralità di mondi.79

e proprio uno dei protagonisti dell’intricato poema ariostesco, astolfo, sarà il primo, nella narrativa del poema stesso, a raggiungere la Luna, a renderla, come ben vede Calvino, a noi più vicina, in una missione importante, non dentro la navicella spaziale apollo 11, ma in groppa al mitico ippogrifo, con la

76 italo Calvino, «La struttura dell’ “orlando”», in Perché leggere i classici, mondadori, milano 1991, p. 78.

77 Quelle che altrove Franco moretti definisce “opere mondo”. Cfr. il libro omonimo, pubblicato per i tipi di einaudi nel 1994.

78 Si ricorda che l’Orlando Furioso è (o vorrebbe essere) la continuazione dell’Orlando Innamorato di matteo maria boiardo (1441-1494).

79 italo Calvino, «La struttura dell’ “orlando”», in Perché leggere i classici, mondadori, milano 1991, p. 81. Per il rapporto Calvino/Leopardi/Galileo rinvio il lettore interessato all’appendice i del documentatissimo libro di Gaspare Polizzi Galileo in Leopardi, Le Lettere editore, Firenze 2007. L’appendice, dal titolo Uno sguardo sul cosmo: Calvino tra Galileo e Leopardi si trova alle pagine 165-189.

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missione importante di recuperare il senno di orlando, impazzito per amore.Forse può apparire a questo punto un po’ meno incomprensibile il motivo per cui Galileo parteggi per l’ariosto in un paio di dispute che oggi di domi-nio pubblico, furono allora di carattere squisitamente privato e personale: le Considerazioni al Tasso80 e le Postille sull’Ariosto. tanto amava quest’ultimo quanto denigrava - secondo molti, e non ultimo come abbiamo visto, lo stesso italo Calvino: ingiustamente - il primo e la sua Gerusalemme liberata.Le due considerevoli opere, pur narrando come “argomento principale” la guerra tra mori e cristiani, sono di fatto due opere completamente diverse. Galileo, a seguito di una polemica in voga allora su quale fosse il più mirabile dei due componimenti, ma anche per motivi squisitamente personali, annotò e corresse con abilità pressoché filologica una scorrettissima edizione dell’Or-lando Furioso che gli capitò tra le mani, a dimostrazione di quanto fosse votato alle lettere.Sul tasso invece esordisce, con un incipit81 davvero ben poco incoraggiante, ma al solito acuto e geniale per la maestria con cui crea similitudini e accosta-menti - in questo caso particolare con le tecniche pittoriche - che sono il tratto distintivo di Galileo e, di fatto, la sua cifra stilistica:

Uno tra gli altri difetti è molto familiare al tasso, nato da una grande strettezza di vena e povertà di concetti; ed è, che mancan-dogli ben spesso la materia, è costretto andar rappezando insie-me concetti spezati e senza dependenza e connessione tra loro; onde la sua narrazione ne riesce più presto una pittura intarsiata che colorita a olio…

in una pittura intarsiata, infatti, si vedono gli stacchi, si notano subito i punti di giuntura tra un tassello e l’altro, mentre nella pittura ad olio, che ovviamente nella metafora è da attribuirsi all’ariosto, tutto è più sfumato e armonioso82.

80 «torquato tasso (Sorrento, 11 marzo 1544 - roma, 25 aprile 1595) è stato uno scrittore e poeta italiano. La sua opera più importante e conosciuta è la Gerusalemme liberata (1575)» (fonte: Wikipedia).

81 il riferimento all’opera del tasso è, nello specifico, come già detto, la Gerusalemme liberata, con particolare riferimento, per questo poco benevolo commento, alla Stanza i, versi 7 e 8, come ben esplicitato dalla versione che mi è stato possibile consultare (e scaricare gratuitamente in formato PdF) grazie all’iniziativa mondiale proposta da Google libri, in relazione alla scansione di tutto il patrimonio librario non protetto da copyright.

82 artisticamente attivo solo qualche anno prima era Giuseppe arcimboldo (1527-1593), pittore che Galileo non stima per gli stessi motivi: nei suoi celebri ritratti antropomorfi egli non trova la

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tale, quindi, dice Galileo, è la poesia dei due. Una ‘grezza’ e priva di armonia, l’altra, con tinte che sfumano dall’una all’altra decisamente più gradevole alla lettura, all’orecchio, e più ‘avvincente’ nelle storie che in essa si narrano.il Chiari83 inoltre sottolinea ancor di più, se mai ve ne fosse il bisogno, che l’accuratezza con cui Galileo chiosa la scorrettissima edizione che dell’ariosto aveva per le mani, fosse in qualche modo giustificata dal desiderio «di rendere ancora più in ogni parte perfetto quel testo ammiratissimo». ma il parallelo tra i due autori non si ferma qui: se l’uno è raffinato poeta e sommo “pittore di bellezze” e l’altro un rude che accozza maldestramente pezzi di poemi nel suo intarsio, il parallelo si estende alla differenza che allora poteva sussistere tra una wunderkammer84 e una tribuna di statue antiche:

e quando mi volgo a considerare i cavalieri con le loro azioni e avvenimenti come anche tutte le altre favolette di questo poe-ma, parmi giusto d’entrare in uno studietto di qualche ometto

compostezza e la compiutezza classicheggiante che per lui si identifica con la bellezza artistica.

83 alberto Chiari (a cura di), Scritti letterari di Galileo Galilei, Le monnier, Firenze 1943 (ristampa 1970).

84 o anche «gabinetto di curiosità (scientifiche)», tipicamente formato di oggetti anche molto eterogenei tra loro. È ciò che a buon titolo possiamo considerare l’antenato del moderno museo. immodestamente, ancora una volta, rimando a un mio lavoro:‘Naturalia’ e ‘Artificialia’: note per una storia dei musei della scienza, su «Le apuane», rivista di Storia Cultura etnologia, anno XXiv, n° 48, pp. 54-76, scaricabile in PdF all’indirizzo http://www.lucianoceli.it/files/0411-naturalia_artificialia(Le_apuane).pdf e anche sul sito di torino Scienza all’indirizzo http://www.torinoscienza.it/dossier/apri?obj_id=9521.

Le Considerazioni al Tasso, nell’edizione Pagliarini del 1793

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curioso, che si sia dilettato di adornarlo di cose che abbiano, o per antichità o per rarità o per altro del pellegrino, ma che però siano in effetto coselline, avendovi come saria a dire un granchio pietrificato, un camaleonte vero, una mosca e un ragno in gela-tina, in un pezzo d’ambra, alcuni di quei fantoccini di terra che dicono trovarsi ne i sepolcri antichi di egitto, e così, in materia di pittura, qualche schizzetto di baccio bandinelli o del Parmigiano e simili altre cosette; ma all’incontro, quando entro nel Furioso veggo aprirsi un guardaroba, una tribuna, una galleria regia or-nata di cento statue antiche dei più celebri scultori, con infinite storie intere, e le migliori, di pittori illustri, con un numero gran-de di vasi, di cristalli, d’agate di lapislazzuli, e d’altre gioie, e finalmente ripieno di cose rare, preziose, e di tutta eccellenza.85

in questo è da vedersi incidentalmente anche «il più perfetto simbolo della fedeltà del Galilei alla magnificenza rinascimentale, alla sua spiegata opulenza ed alla sua “classica”, organica compiutezza: come il tasso è il sintomo di un turbamento e sommovimento che a Galileo profondamente ripugna»86. Più in generale è da notare, con Lina bolzoni, che nel momento in cui lo scienziato

esprime il suo punto di vista in modo così icastico, e così impre-gnato dei suoi umori e dei suoi gusti letterari e artistici, egli at-tinge le metafore di base a una tradizione retorica ben precisa: il testo è qualcosa che si situa in una dimensione spaziale: «quando entro nel Furioso»; i suoi luoghi e le sue immagini si rispecchiano sia nei luoghi e nelle immagini della mente, sia in quelli mate-riali, costruiti dagli architetti, ornati dai pittori e dagli scultori. Galileo, in altri termini opera su schemi topici - quelli per cui il testo è percepito in forma di edificio, e la lettura, come la scrittu-ra, comporta un percorso spaziale - e costituisce una splendida e personalissima variazione sul tema.87

85 Galileo Galilei, Considerazioni al Tasso, in alberto Chiari (a cura di), op. cit., pp. 96-97.

86 antonio Corsano, Galileo e gli «Studi» di curiosità naturali, editoriale Universitaria, bari 1965, pp. 52-54. ma, per un riferimento più recente, si veda anche Lina bolzoni, Galileo lettore di poesia, in Il cannocchiale e il pennello, cit., pp. 47-57.

87 Lina bolzoni, op. cit., p. 48.

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ma Galileo non si ferma qui e postilla anche il Petrarca88, oltre al noto esordio accademico del 1588 in cui dà prova del suo acume e della sua profonda cono-scenza dell’opera del poeta sommo: Due lezioni all’Accademia fiorentina circa la figura, sito e grandezza dell’inferno di Dante89.

6. PerCHé La Forma Letteraria deL diaLoGo: Una diGreSSione FiLoSoFiCa

da quanto descritto sopra sappiamo dunque di trovarci - oltre che di fronte a un insigne scienziato - anche ad un sensibile umanista. egli sceglie quindi, per la sua opera più famosa, la forma letteraria del dialogo. alcuni motivi sono stati altrove accennati, ma per chi ha un poco di memoria filosofica quello di Galileo

88 mentre questa propensione letteraria a postillare i grandi del tempo suo e precedenti era ben nota la vicenda galileiana, curiosamente in riferimento alla figura del Petrarca, non si fa quasi cenno, se non in una Storia letteraria d’Italia, curata da G. dal Pozzo (nuova edizione curata da a. balduino), nella quale, al tomo 3 - dal titolo Il Cinquecento. La letteratura tra l’eroico e il quotidiano. La nuova religione dell’utopia e della scienza (1573-1600) - a pagina 2076, nota 153, si offre un riferimento bibliografico a cui si rimanda per l’approfondimento. Si tratta di n. vianello, Le postille al Petrarca di G. Galilei, in «Studi di filologia italiana», vol. Xiv (1956), riportate, pare, anche nella già citata opera del Chiari, Scritti letterari, che, nella edizione del 1970 (l’opera originale è del 1943), comprende anche le Postille al Petrarca. Purtroppo non ho avuto modo, per mancanza di tempo, di consultare presso la biblioteca nazionale, nessuna delle due opere in oggetto. Se questo lavoro dovesse auspicabilmente trovare una sua prosecuzione, sarà mia cura approfondire questo aspetto.

89 Per questo aspetto rinvio direttamente all’intervento di matteo motolese, Misurare l’invisibile. Appunti sulle lezioni galileiane circa la figura, sito e grandezza dell’inferno di Dante, in Floriana Calitti, Scrittori in cattedra: la forma della “lezione” dalle Origini al Novecento, bulzoni editore, roma 2003, pp. 79-103.

L’inferno dantesco di botticelli

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sembra essere piuttosto un punto di ritorno: Platone già divide brachilogia e macrologia90 e divulga tanta della sua filosofia non attraverso saggi o altre for-me, quanto piuttosto attraverso i dialoghi di socratica memoria. infatti:

Socrate non è solo un modello di comportamento, ma il coagulo in personaggio di un modo di “intendere” che è un continuo ten-dere verso una verità mai globalmente esplorata e posseduta. Per questo Galileo rifiuta il “sistema” e rifiuta, assieme ad esso, forme di scrittura sistematiche o comunque presupponenti un tessuto di cognizioni assestate e coerenti. il “trattato” (Trattato di fortifica-zione, Trattato della sfera) è una formula didatticamente motivata nel periodo padovano, che Galileo supererà91 rapidamente per il “discorso” (Discorso intorno alle cose che stanno in su l’acqua; Discorso delle comete)92 […]; i “discorsi” spostano verso l’oralità […] una scrittura già insofferente di registri troppo formali, ma che non ha ancora trovato la sua forma necessaria.93

La monografia di rigido schema aristotelico, la formulazione a ‘enciclope-dia’ lasciano quindi spazio a questa forma che sottende e fa percepire con forza dirompente «l’angoscia dell’uomo consegnato ai limiti del suo faticoso

90 «brachilogia deriva dalle parole greche brachys (breve) e logos (discorso). il termine si riferisce infatti a un parlare conciso e sentenzioso. riferendosi alla dialettica, Platone sostiene che essa preveda un incontro di anime, interventi brevi e proposizioni corte. dette brachilogie, sono prive di intrusioni di elementi estranei e di digressioni, ma ricche di ellissi, frasi che omettono ciò che è deducibile dal contesto del discorso. Sempre secondo Platone, in opposizione alla brachilogia ci sarebbe la macrologia, un discorso continuo e riccamente articolato tipico della retorica» (fonte: Wikipedia).

91 anche se poi vi ritornerà: infatti mentre la prima delle due opere è del 1594, mentre la seconda è del 1656 (quindi posteriore al Dialogo - che, lo ricordiamo, è del 1632).

92 identicamente può dirsi qui: mentre il Discorso intorno alle cose che stanno in su l’acqua (1612) e il Discorso delle comete (1619) sono precedenti al Dialogo, ritroviamo i Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze attenenti alla meccanica e i movimenti locali sono pubblicati posteriormente ad esso (1638).

93 maria Luisa altieri biagi, op. cit., pp. 910-911. in relazione a stili che vanno fuori dagli schemi della saggistica classica, in tempi moderni si cita incidentalmente lo stile aforistico (e in qualche modo socratico-maieutico) del Wittgenstein delle Philosophische Untersuchungen del quale si consiglia a tutti la lettura - soprattutto ai non filosofi. motto di Wittgenstein è che “fare filosofia” è “una attività”, proprio come si intende, per esempio, l’attività fisica. da qui l’idea di andare “in palestra” per tenersi in allenamento. La “palestra” in questo caso sono ovviamente le Philosophische Untersuchungen, ma anche molte altre opere del filosofo austriaco.

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“intendere”»94. inoltre Platone si può definire a buon titolo il padre filosofico-scientifico del dialogo; questi fornisce a Galileo il grimaldello per aprire le anguste stanze nelle quali aristotele e i suoi barocchismi hanno chiuso il pro-gresso della scienza. d’altra parte lo stesso Platone è forse il più “matematico” dei filosofi. e Galilei è molto platonico: nella sua visione il mondo è scritto in caratteri matematici - il platonico mondo delle idee diventa il mondo della ma-tematica, generale, astratta, razionale, costante, nascosta dietro la molteplicità delle apparenze, dell’empiria. Un esempio chiaro del suo platonismo è proprio la teorizzazione dell’esperimento mentale. e la maieutica galileiana del «mo-strar figura» - di cui altrove si parla in questo stesso scritto - è stretta parente, nell’impostazione teorica quanto meno, della celebre dimostrazione del teo-rema di Pitagora nel dialogo platonico del Menone, in cui Socrate - attraverso il suo metodo - riesce a far apprendere i rudimenti della geometria al servo95. inoltre, per tornare alla forma letteraria,

se è così, il dialogo è il luogo letterario in cui si collocano i dubbi, si potenziano gli stimoli intellettuali, si cercano collaborativamente quelle verità circoscritte, ma “dimostrabili concludentemente”, a cui l’uomo può “con fatica grande” arrivare (con un verbo di cui ci piace ricuperare l’etimo dell’approdo, a partire dal “pelago” delle incertezze). L’oralità del dialogo, la sua azione drammatica, con-sentono insomma di valorizzare il processo euristico che precede le conclusioni e che andrebbe perduto in un trattato concepito come esposizione e sistemazione organica dei risultati.96

in tempi decisamente contemporanei Heidegger97, esegeta ed ermeneuta del linguaggio parla98 di ‘discussione’, di Erörterung, interpretandone l’etimologia come (suggestiva) “conduzione a luogo” (ort). ma quale? Quello in cui noi

94 Ibid., p. 910.

95 Sono debitore, per questa specifica incursione al platonico dialogo del Menone, nel suo suggestivo avvicendarsi con quello galileiano, a Silvia Paris.

96 Ibid., p. 916.

97 martin Heidegger (meßkirch, 26 settembre 1889 - Friburgo in brisgovia, 26 maggio 1976) è stato un filosofo tedesco.

98 Sia in Sein und Zeit (1927) che in Unterwegs zur Sprache (1959) la questione del linguaggio è fondamentale. Per le nozioni qui esposte si fa riferimento alla seconda delle due opere, di più agile lettura e comprensione anche per non filosofi.

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esseri umani, immersi in un linguaggio come lo si è in una foresta99, decidiamo di incamminarci per i sentieri, tendenzialmente oscuri, attraverso il dialogo100. il dialogo diventa quindi “moto a” luogo, motore per andare verso quella che lo stesso Heidegger chiama Lichtung, radura, dove chi dialoga ha la possibilità di pervenire a un qualche “chiarimento”, a una chiarezza, a una chiarificazione che ha a che fare con quel rischiarare generato dalla luce solare che filtra con maggiore intensità proprio nella Lichtung.Quest’ultima - da non confondere con la potente luce solare della caverna di Platone - ci lascia nella consapevolezza di una verità in ogni caso parziale, per la quale sono necessari ulteriori cammini sui sentieri della conoscenza. Cammini che - l’epistemologia ci insegna - possono condurre anche molto lontano.al netto di questa digressione che evidenzia i natali illustri di una modalità letteraria più volte adottata e collaudata nella storia del sapere occidentale, il dialogo si volge come forma e come stile in primo luogo contro «una scienza ufficiale “ben pettinata, indiscutibile, senza perplessità, senza angosce”»101.

6.0 vantaGGi e SvantaGGi deLL’adeSione aL diaLoGo Come Forma Letteraria

tra i vantaggi dell’uso del dialogo si possono enumerare, oltre alla maggior libertà espressiva rispetto ai trattati di tipo classico, l’idea di una

“commedia filosofica”, [che] se da una parte poteva aggancia-re quel pubblico allargato a cui Galileo soprattutto aspirava, dall’altra parte poteva fornire alibi per certe audacie filosofiche: l’inclusione in essa di un personaggio “curioso”, credibile per il pubblico colto, ma meno responsabile filosoficamente perché non specialista, consentiva l’introduzione di argomenti pericolo-si. il ruolo di un Sagredo, fra Salviati e Simplicio, non è soltanto quello di movimentare il discorso, di assicurargli profondità sce-nica […], ma anche quello di sollecitare spiegazioni (giustificate dalla minore competenza), di autorizzare deviazioni, di orientare la discussione su argomenti scottanti; la sua “ingenuità” di laico

99 Chissà che questa weltanschauung non scaturisca direttamente dall’aver abitato per molti anni nella Schwarzwald?

100 etimologicamente composto dal prefisso ‘dia-’ e dalla parola ‘logos’, viene quindi inteso come “attraversamento della parola” dall’uno all’altro dei parlanti…

101 maria Luisa altieri biagi, op. cit., p. 911.

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della scienza gli consente insomma una varietà di interessi e una libertà di giudizio che il filosofo di professione potrebbe permet-tersi ben difficilmente.102

inoltre, cautelativamente, Galileo, allentando consapevolmente i lacci dal rigi-do schematismo dei trattati, sa di navigare, con il Dialogo, in acque pericolose. Seguendo il consiglio di papa Urbano viii103, egli mette le mani avanti, e, in una sorta di captatio benevolentiae, nella prefazione Al discreto lettore, dice, tra le altre cose:

Per tanto è mio consiglio nella presente fatica mostrare alle na-zioni forestiere, che di questa materia se ne sa tanto in italia, e particolarmente in roma, quanto possa mai aver imaginato la diligenza oltramontana; e raccogliendo insieme tutte le specula-zioni proprie intorno al sistema Copernicano, far sapere che pre-cedette la notizia di tutte alla censura romana, e che escono da questo clima non solo i dogmi per la salute dell’anima, ma ancora gl’ingegnosi trovati per delizie degl’ingegni.a questo fine ho presa nel discorso la parte Copernicana, proce-dendo in pura ipotesi matematica, cercando per ogni strada artifi-ziosa di rappresentarla superiore […].104

Quasi a subodorare quell’odor di bruciato che si sprigiona dalle fascine pronte per un eventuale rogo, egli stesso, negli atti processuali del 1633 si scusa «d’es-sere incorso in error tanto alieno, come dicesti, dalla tua intenzione, per aver scritto in dialogo, e per la natural compiacenza che ciascuno ha delle proprie sottigliezze e del mostrarsi più arguto del comune de gl’uomini in trovar, anco

102 Ibid., p. 915.

103 «L’opera di Galilei [Il Saggiatore, n.d.a.] fu valutata positivamente da Urbano viii. il Papa ricevette ufficialmente lo scienziato a roma nel mese di aprile del 1624 e lo incoraggiò a riprendere i suoi studi sul confronto tra i massimi sistemi, purché il confronto avvenisse soltanto su basi matematiche. La qual cosa era da intendersi nel senso che una certezza matematica, ovvero astratta, nulla aveva a che vedere con le certezze del mondo reale. Seppur con questa limitazione, la Chiesa di roma sembrava aver ammorbidito la sua posizione circa la nuova teoria» (fonte: Wikipedia). Cfr. anche nota 26.

104 Corsivo mio. Si suppone non sia quindi un caso che egli firmi i documenti negli atti processuali del 1633 come Galileo Galilei mathematicum.

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per le proposizioni false, ingegnosi e apparenti discorsi di probabilità»105.Quindi se da una parte il dialogo - proprio per il suo essere genere meno for-male - diviene condizione meno forte, che alleggerisce la scomoda posizione galileiana di fronte all’inquisizione, dall’altra viene criticato perché di minor peso scientifico.Galileo, pur difendendo i suoi ‘dialoghi’ e ‘discorsi’, lamenta, in occasione del-la pubblicazione olandese presso l’editore Lodewijk elzevier delle sue opere, il fatto che quest’ultimo ribattezza, senza previo consenso dell’autore, i ‘dialoghi’ in ‘discorsi’, con operazione del tutto arbitraria106.L’arbitrarietà scandalizza Galileo per ovvi motivi. e, in una lettera, si lamenta con elia diodati:

e con maraviglia e travaglio son restato della libertà presasi il Sig.re elzevirio di trasformare l’intitolazione del mio libro, ridu-cendola di nobile, quale ella meritamente deve essere, a volgare troppo, per non dire plebea; et è forza, per mio credere, che qual-che mio poco affetto in amsterdam gl’abbia tenuto mano: e v. S. molto ill.re, come mio vero e sincero amico e padrone, ben fa a procurare la reintegrazione di essa intitolazione.107

La lettera è indirizzata a Parigi dove il diodati si trova, incaricato, tra le altre cose di seguire la stampa dell’opera. ma l’editore «doveva pensarla, in pro-posito, come l’amico di Galileo che […] aveva tentato di dissuadere l’autore dal mantenere il contatto con il precedente, disgraziato, Dialogo»108. Siamo già di qualche anno oltre l’atto d’inquisizione che colpì Galileo, e nonostante la distanza di tempo, ma soprattutto di spazio - la protestante olanda, terra in qualche modo remota, dove l’artiglio inquisitorio poteva ghermire con minor

105 S. timpanaro (a cura di), Cronologia galileiana, appendice alle Opere di Galilei (2 voll., rizzoli, milano 1936-38), pp. 1036-42. Questa citazione è a p. 1039 ed è citata in maria Luisa altieri biagi, op. cit., p. 916. in occasione dell’anno dell’astronomia e dell’anno galileiano il vaticano, con insperata quanto auspicata apertura, in una coedizione Collectanea Archivi Vaticani e Pontificia Academia Scientiarum, ha deciso di pubblicare il contenuto dei documenti processuali allo scienziato pisano, in un’opera dal titolo I documenti vaticani del processo di Galileo Galilei, a cura del vescovo Sergio Pagano. Se ne trova notizia in un articolo sul quotidiano «la repubblica» del 28 maggio 2009: L’uomo che salvò Galilei dal rogo, a firma di orazio La rocca.

106 maria Luisa altieri biagi, op. cit., p. 920.

107 Galileo Galilei, Lettera a elia diodati dell’agosto 1638, in Le Opere, vol. Xvii dell’edizione nazionale (1937).

108 maria Luisa altieri biagi, op. cit., p. 920.

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efficacia - il più appropriato ‘dialogo’ si fa ‘discorso’.Che però la scelta del dialogo continui ad essere ‘coraggiosa’, e per questo a incutere fondati timori, lo dimostra la rinuncia verso questa stessa forma let-teraria da parte di bonaventura Cavalieri109 in risposta all’opera di Guldin110: «il matematico della Geometria indivisibilibus continuorum aveva in effetti non solo progettato, ma cominciato a scrivere sotto forma di dialogo a tre voci la riposta a Guldin: benedetto Castelli avrebbe fatto la parte di Cavalieri stesso, Cesare marsili quella del galileiano Sagredo, e Usulpa Ginuldus (anagramma di Paulus Guldinus) sarebbe stato il nuovo Simplicio. Solo dopo aver compo-sto la prima «giornata» Cavalieri ritorna sulla sua decisione e quello che dove-va essere un dialogo si traduce nelle secche Exercitationes geometricae sex»111.altrove - e nello stesso periodo in cui Grimaldi opta per una scelta radical-mente opposta a quella galileiana attenendosi al latino e al saggio nel senso

109 matematico importante, fu allievo di Galileo nel periodo pisano.

110 «Paolo Guldino (nome originale Habakkuk Guldin) (San Gallo, 12 giugno 1577 - 3 novembre 1643) è stato un matematico e astronomo svizzero. a lui si devono i teoremi di Pappo Guldino, che consentono di determinare la superficie ed il volume dei solidi di rotazione. i teoremi portano anche il nome del matematico alessandrino Pappo, che li intuì alcuni secoli prima.[...] nella sua epoca Paolo Guldino è uno studioso famoso. nell’opera astronomica di Paolo Casati Terra machinis mota (1658), Casati immagina un dialogo tra Guldino, Galileo e marin mersenne su varie tematiche riguardanti cosmologia, geografia, astronomia e geodesia» (fonte: Wikipedia).

111 maria Luisa altieri biagi, op. cit., p. 920.

L’etimologia delle parole ‘discorso’ e ‘dialogo’.

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classico112 - il dialogo verrà difeso come genere a proposito della trattazione di materie scientifiche:

Coraggiosa dunque appare - se paragonata con le precedenti ri-nunzie alla forma dialogica - la decisione di tommaso Cornelio di premettere ai suoi Progymnasmata (1663) un Dialogus (in funzio-ne di «proemio») che, per il numero e la collocazione ideologica dei personaggi (Stelliola, bruno, «trusiano», medico galenista e novello Simplicio), è chiaramente allusivo a Galileo.113

Particolarmente importante risulta, ai nostri fini, la difesa del dialogo come genere «a proposito» per la trattazione di materie scientifiche: «nelle materie scientifiche, dee lo stile per quanto n’ha altri lasciato scritto, esser non dissimile da quello che gli huomini letterati sogliono usare, quando tra di essi ragionano, che però da gli huomini grandi è stata stimata a proposito per tali materie la forma de’ dialoghi».114

nella ricerca scientifica Galileo vede la dimensione della curiosità indomita che porta alla grande avventura del pensiero umano e non già l’esercizio del-lo specialista. Le rinunce a dover dar per scontate nel lettore cognizioni di matematica e geometria, vengono facili grazie all’aspetto dialettico/dialogico, soprattutto laddove ci si addentra in specifici ambiti, che potrebbero risultare difficoltosi da comprendere e irti di ostacoli per il non specialista. memorabili splendide pagine di divulgazione scientifica sono quelle in cui Galileo smussa gli spigoli del discorso geometrico con gesto deittico, mostrando ciò che viene più arduo descrivere a parole al peripatetico Simplicio, proprio in relazione alla modalità di rappresentazione dello spazio tridimensionale su un foglio che dimensioni ne ha due:

112 Francesco maria Grimaldi (bologna, 2 aprile 1618 - bologna, 28 dicembre 1663), gesuita, fisico e astronomo, la cui fama è legata alla scoperta della diffrazione della luce, in ovvio riferimento a Galileo, nella sua opera Physico-mathesis de lumine... Opus posthumum, pubblicata nel 1665, scrive nel Proemium, ovviamente in latino: «Si è preferito distribuire tutta la materia in proposizioni, anziché in discorsi o dialoghi o altra forma didascalica, perché è parso così di poter procedere più speditamente».

113 di questo dialogo ne fa un’analisi maurizio torrini in Tommaso Cornelio e la ricostruzione della scienza, Guida, napoli 1977. Citato in maria Luisa altieri biagi, op. cit., p. 921, nota 12.

114 Ibid., pp. 921-922.

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e per più facile intelligenza piglieremo carta e penna, che già veggio qui per simili occorrenze apparecchiate, e ne faremo un poco di figura. e prima noteremo questi due punti a, b, e tirate dall’uno all’altro le linee curve aCb, adb e la retta ab, vi do-mando qual di esse nella mente vostra è quella che determina la distanza tra i termini a, b, e perché.115

È quel prender «carta e penna» che distingue da un punto di vista squisita-mente comunicativo Galileo dagli altri scienziati del suo tempo. egli prende letteralmente per mano il lettore, con tanto di figura:

per arrivare, nell’arco di un paio di paginette, a dimostrare come si rappresenta un oggetto in tre dimensioni su un piano, avviene così:

ma questo non è un caso isolato, infatti, poco oltre:

mi dichiarerò meglio col segnarne un poco di figura. Però noterò questa linea ab parallela, all’orizonte, e sopra il punto b drizzerò la perpendicolare bC, e poi congiungerò questa inclinata Ca.116

Certo, letto così può apparire a prima vista difficile, ma se per disegnare la

115 Galileo Galilei, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo tolemaico e copernicano, edizione Studio tesi, Pordenone 1992, p. 15.

116 Ibid., p. 29.

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stessa figura dico: “disegnate un triangolo rettangolo con angolo retto in b”, si danno come acquisite le nozioni di:

triangolo;•del fatto che i triangoli possono avere diverse forme (rettangolo, sca-•leno, isoscele);che quella scelta è ad “angolo retto” (da cui ‘rettangolo’);•che l’angolo retto deve insistere sul vertice b.•

Questi non sono che due dei numerosi esempi e,

Chi ripensi alla rigida struttura di proposizioni, teoremi, lemmi, corollari, problemi in cui si dispone il discorso in trattati di ge-ometria euclidea, o più in generale alla severità di linguaggio di opere, anche scientificamente e filosoficamente vicine a Galileo (come poteva essere il Diversarum speculationum mathematica-rum et Physicarum liber (1585) di Giambattista benedetti), non può non cogliere la disponibilità pedagogica con cui Galileo sor-regge i primi passi del suo uditorio nel mondo dei circoli e dei triangoli: le figure, i simboli letterari, diventano «un poco di fi-gura»; la loro funzione è quella di «dilucidare», di concretizzare graficamente concetti che la mente umana è in grado di pensare, benché «in confuso».117

resta pure inteso che il Dialogo, comunque lo si voglia vedere, sembra aver su-scitato le invidie d’oltralpe in più d’una occasione. descartes infatti interpreta-va lo soluzione dialogica di Galileo come un mezzo per «vendere meglio la sua

117 maria Luisa altieri biagi, op. cit., p. 917. Lo stile che si fa deittico, che invita all’osservazione non può ricondurre al già citato Wittgenstein delle Philosophische Untersuchungen. Uno stile che non solo invita, ma esorta il lettore a osservare ancor prima di pensare. in riferimento al tentativo (vano) di definire il concetto o la nozione di ‘gioco’, il filosofo austriaco conclude: «... giuochi da scacchiera, giuochi di carte, giuochi di palla, gare sportive e via discorrendo. Che cosa hanno in comune tutti questi giuochi? - non dire: “deve esserci qualcosa di comune a tutti, altrimenti non si chiamerebbero ‘giuochi’” - ma guarda se ci sia qualcosa di comune a tutti. - infatti, se li osservi, non vedrai certamente qualcosa che sia comune a tutti, ma vedrai somiglianze e parentele, e anzi ne vedrai tutta una serie. Come ho detto: non pensare ma osserva!» (satze 66). e ancora: «(...) non posso caratterizzare queste somiglianze meglio che con l’espressione “somiglianze di famiglia”» (satze 67), per arrivare alla conclusione secondo la quale «il concetto di ‘giuoco’ è un concetto dai contorni sfumati» (satze 71). Uno stile che ricorda, per certi aspetti, il modo di condurre il ragionamento socratico: nulla si dà per presupposto o già conosciuto, ma si illustra semplicemente un metodo che ogni individuo può applicare per giungere a qualche pur modesta conoscenza.

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merce» e per triplicare gli elogi e l’esaltazione di se stesso118. identicamente, in tempi più recenti, in un articolo non privo di un certo sarcasmo, si afferma, seppure non in relazione al Dialogo, ma alla intera figura di Galileo:

Ci hanno provato con Cristoforo Colombo119, ci sono riusciti con antonio meucci120, adesso nel mirino c’è addirittura Galileo Galilei. L’allarme non può essere più grave: il genio italiano è nel mirino, la nazione è debole, distratta, e quindi vulnerabile. il futuro è incerto, ma anche il passato è a rischio. La storia è que-sta: allo Science museum di Londra da qualche giorno c’è una mostra, una delle tante che girano nel mondo per accompagnare i 40 anni dell’arrivo sulla Luna degli astronauti di apollo 11. ma sono anche i 400 anni dai misteriosi, insidiosissimi disegni che il 26 luglio del 1609 un tale thomas Harriot iniziò a schizzare os-servando il satellite con un rudimentale “dutch trunke”, il tubo olandese che avvicinava le cose lontane solo di 6 volte. il proble-ma è che solo 4 mesi più tardi il pisano Galileo Galilei, dopo aver perfezionato un telescopio molto più potente, avviò e completò la migliore osservazione della Luna mai realizzata al tempo. […] nel trattato pubblicato il 13 marzo 1610 per la prima volta lo

118 il riferimento è a una lettera indirizzata a marin mersenne dell’11 ottobre 1638, citata in maria Luisa altieri biagi, op. cit., p. 918, nota 21.

119 La polemica è qui riferita ai natali del celebre navigatore. Una persona su Yahoo answers ne chiede dettagli in relazione alla paternità: «nelle scuole italiane ci insegnano che Colombo è italiano, in quelle spagnole che è spagnolo...ma nelle altre nazioni, che cosa studiano? Che ne pensano?». Gli viene risposto: «Puoi fare una cosa furba, cerchi Cristoforo Colombo su Wikipedia, e poi clicchi sulla versione delle varie lingue, io l’ho fatto, ho notato che la maggior parte delle volte si afferma sia nato a Genova, altre volte dicono località incerta, ma la cosa più divertente è capitata vedendo la versione portoghese, non solo dicono che il luogo della nascita è incerta, ma la voce relativa a Colombo nella versione portoghese è anche protetta, non modificabile dagli utenti (evidentemente hanno la coda di paglia..)». Sta di fatto che su Wikipedia, anche sulla versione italiana, c’è tutta una sezione dedicata alla sua nazionalità.

120 in questo caso ci si riferisce all’invenzione del telefono, per oltre un secolo incontestabilmente riconosciuta ad alexander Graham bell. Sempre sul sito italiano di Wikipedia si legge: «Per oltre un secolo, ad eccezione che in italia, alexander Graham bell è stato considerato l’inventore del telefono. Grazie al lavoro di ricerca di basilio Catania, recepito dalla Federazione italiana di elettrotecnica tale certezza è stata messa in discussione a livello internazionale. L’11 giugno 2002 il Congresso degli Stati Uniti, con la risoluzione 269, ha riconosciuto che se meucci avesse avuto i soldi per pagare il caveat del 1871, alexander Graham bell non avrebbe potuto acquistare il brevetto; e che il lavoro di antonio meucci nell’invenzione del telefono deve essere riconosciuto».

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scienziato pisano parla della “rugosità” della Luna, smentendo la convinzione che il satellite fosse perfettamente piatto e costi-tuito di materia celeste incorruttibile. disegna i mari, le catene montuose, ma soprattutto dalla modificazione progressiva delle ombre, dal modo sempre diverso in cui la luce solare illuminava il satellite, ebbe le prime intuizioni sui movimenti relativi fra Sole, terra e Luna. thomas Harriot però aveva iniziato prima: il Times di ieri rivendicava la primogenitura, scrivendo che “Galileo sfrut-tava ogni possibilità per farsi pubblicità e aveva bisogno di soldi; Harriot era un nobile timido che non intuì la necessità di pubbli-care il suo lavoro”. Una sintesi volgare sarebbe che Harriot non aveva compreso l’importanza di quanto aveva visto. ma la verità [… è che…] nel 1609 anche Galilei aveva ricevuto un telescopio “olandese”: solo che lui allora viveva a Padova, nella Serenissima repubblica di venezia. Con i mastri vetrai di murano perfezionò le lenti del telescopio, potenziò di 20 volte la visione, lo presentò ai suoi padroni e si fece pagare una cattedra a vita e garantire fondi per le sue osservazioni.121

insomma: al di là degli aspetti contingenti alla storia di Harriot e a quella di Galilei, forse il “valore aggiunto” dello scienziato pisano - quel qualcosa in più che di Galileo lo fa essere così speciale ai nostri moderni occhi - consiste pro-prio nell’intuizione di dover raccontare in modo pubblico le sue osservazioni. il dato ‘banale’ della faccenda è che non serve a molto essere, per ipotesi, più bravi o essere arrivati primi - come nel caso specifico - se poi tutto questo non si riverbera in qualche modo nella comunità (come abbiamo visto: non solo scientifica) in cui si opera.

6.1 iL diaLoGo GaLiLeiano tra imitazioni, Parodie e nemeSi StoriCHe

il dialogo quindi, a seguito della scelta galileiana che mira espressamente ad essere inteso da tutti, ha adesioni che possono sommariamente essere divise in una sorta di duplice finalità. La prima è quella di proseguire e perseguire seriamente gli obiettivi scientifici e di comunicazione che lo stesso Galileo si è dato; la seconda quello di mettere in ridicolo sul suo stesso terreno - e quindi

121 vincenzo nigro, Londra contro Galileo sulle mappe della Luna la sfida è astronomica, su «la repubblica» di sabato 25 luglio 2009, p. 33.

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al fine di gettare discredito - lo scienziato pisano.Coraggiosa prova del tentativo di perseguire la prima finalità è costituita dal gesuita Giuseppe Ferroni122. il suo Dialogo fisico astronomico123, formalmente di autore anonimo, difende a spada tratta la teoria copernicana, utilizzando l’espediente della sua confu-tazione. «non piccola audacia, da parte di un gesuita», sostiene maria Luisa altieri biagi, «dato che l’anonimato era tale per modo di dire; avendo infatti il Ferroni inviato copia del suo scritto al magliabecchi (nodo di fittissime relazio-ni epistolari) tale invio corrispondeva - agli effetti dell’identificazione dell’au-tore - a una dichiarazione pubblica di paternità dell’opera»124.ma se da un lato un gesuita arriva a esporsi agli strali delle punizioni terrene della Chiesa per amor di verità e di scienza, dall’altra c’è sempre chi, in appar-tenenza allo stesso ordine religioso, ha idee preconcette e dogmi che nessuna scienza può scardinare. Così

compare a roma, nel 1691, autore il gesuita Filippo buonanni, un dialogo a tre interlocutori il cui titolo è già tutto un program-ma: Observationes circa viventia, quae in rebus non viventi bus reperiuntur. il lettore di redi si rende subito conto del rovescia-mento del titolo di una famosa opera del medico toscano125 e - vi-sto l’autore, difensore della generazione ex putri, correligionario del Kircher e, in coppia con questi, bersaglio dell’ironia rediana - può già prevedere ben più sostanziali ribaltamenti.[…] Scritto in latino, con scelta inversa a quella galileiana e re-

122 «il pistoiese Giuseppe Ferroni (1628-1709), allievo di borelli [...], opera contraddittoriamente tra due difformi modelli culturali. La sua formazione è contrassegnata dall’ingresso nella Compagnia di Gesù e dai contatti con la scuola galileiana: a Pisa è scolaro di borelli intorno al 1660 e, successivamente diviene assiduo corrispondente del viviani. insegna matematiche nei Collegi gesuitici di roma, mantova e bologna e mantiene rapporti col mondo scientifico toscano. nell’autunno del 1686, grazie all’interessamento di magalotti, viene nominato lettore di matematiche allo studio di Siena. Sollecitato dal magliabecchi a pronunciarsi durante la polemica suscitata nel 1685 [...] sul movimento dei gravi lungo un piano inclinato, interviene a favore della parte galileiana». emanuele zinato, La scienza dissimulata nel Seicento, Liguori editore, napoli 2005, p. 138.

123 il titolo per esteso è: Dialogo fisico astronomico contro il sistema copernicano tenuto fra due interlocutori, Sig. Francesco Bianchini Veronese sotto nome d’Adimanto, Sig. Ignatio Rocca Piacentino, sotto nome di Silvio (Longhi, bologna 1680).

124 maria Luisa altieri biagi, Forme della comunicazione scientifica, cit., p. 922.

125 Cfr. Francesco redi, Osservazioni intorno agli animali viventi che si trovano negli animali viventi, matini, Firenze 1684. in nota così anche nel testo citato.

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diana, non solo riconferma a questa lingua un ruolo privilegiato nella comunicazione scientifica, ma offre l’opportunità di citare in latino (dall’edizione di amsterdam dell’opera del redi) ampi brani rediani, sottraendo loro «assai di grazia, e forse di energia e anco di chiarezza»126, tre caratteristiche legate all’originaria scrittura volgare del redi.127

al di là della ovvia omissione di Galileo tra i predecessori che utilizzano la forma letteraria del dialogo - egli viene fatto rientrare da buonanni in un gene-rico “et alii” nella introduzione - è chiaro che dietro le maschere indossate dai singoli personaggi - che sono di fatto un rovesciamento fatto e finito di quelle del Dialogo galileiano - il redi/rufo è quello che ha la peggio ed è colui che viene schernito dagli altri due128. Così

l’operazione del buonanni è dunque abilissima, perché mette sul viso di Galileo la «maschera» di un personaggio che - nonostante la sua fama, i suoi trionfi - doveva essere più temuto che stimato; certamente pochissimo amato. Le accuse di superbia mentale, di toscana mordacità, di intolleranza che, se rivolte a Galileo, sa-rebbero state respinte dalla grandezza del personaggio (piccole ombre riscattate da una gran luce), aderiscono a redi-rufo come un guanto.Galileo, creando Simplicio, aveva fatto la caricatura di un «tipo»; buonanni, creando rufo, fa il ritratto di un «individuo» (anche se questi, poi, è assunto a rappresentare la «setta» galileiana).129

Chiudiamo la carrellata dei gesuiti con Paolo Casati130 che offre una sor-

126 Questa citazione è di fatto tratta, da parte di maria Luisa altieri biagi, da una lettera indirizzata da Galileo a Fulgenzio micanzio in data 16 agosto 1636. Galileo si esprime in realtà in questi termini in previsione dell’edizione latina delle sue opere.

127 maria Luisa altieri biagi, Forme della comunicazione scientifica, cit., p. 924.

128 altri due che sono rappresentati da bemarco, uomo di raffinata dottrina aristotelica - da cui, sostiene maria Luisa altieri biagi, lo stesso buonanni prende astutamente le distanze. e Fulberto, incarnazione che prendo posto tra lo sciocco galileiano rufo e, appunto, l’aristotelico bemarco.

129 maria Luisa altieri biagi, cit., p. 930.

130 «Paolo Casati (in latino, Paulus Casatus; Piacenza, 1617 - Parma, 22 dicembre 1707) è stato un matematico, astronomo e teologo italiano. nato a Piacenza da una famiglia di origine milanese, entrò nell’ordine dei gesuiti nel 1634. al completamento degli studi di matematica e teologia, fu inviato

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ta di nemesi storica per lo stesso Galileo, divenuto nel suo Terra machinis mota, personaggio e protagonista del dialogo, ancora una volta a tre voci. in quest’opera del 1658, «Casati immagina un dialogo tra Galileo, Paolo Guldino e marin mersenne131 su vari problemi di cosmologia, geografia, astronomia e geodesia. tra gli altri problemi discute le dimensioni della terra, i corpi celesti sospesi nel vuoto, la capillarità, e l’esperimento di otto von Guericke del 1654 sul vuoto. Un aspetto notevole di questo lavoro è che presenta Galileo in una luce positiva, appena 25 anni dopo la condanna da parte della Chiesa»132.

7. GLi inFLUSSi neLLa LetteratUra e neLL’arte

Che Galileo ebbe rapporti con vari artisti del suo tempo, alcuni dei quali gli furono amici per tutta la vita133, è cosa nota134. egli stesso, nella biografia del fedele discepolo vincenzo viviani135, pare fosse molto votato per la pittura, dando a questa una posto d’onore tra le arti in generale e tra le figurative in particolare136.

a roma, dove divenne professore al Collegio romano. dapprima insegnò teologia e filosofia, ed in seguito passò alla cattedra di matematica. nel 1651 Casati fu inviato in missione a Stoccolma per sincerarsi dell’intenzione della regina Cristina di convertirsi al Cattolicesimo. nel 1677 fu trasferito al collegio gesuitico di Parma, dove rimase fino alla morte. il cratere Casati, sulla superficie della Luna, è stato così battezzato in suo onore» (fonte: Wikipedia).

131 marin mersenne (oizé, 8 settembre 1588 - Parigi, 1 settembre 1648) è stato un teologo, filosofo e matematico francese. egli è noto soprattutto per i numeri che portano il suo nome.

132 Fonte: Wikipedia.

133 in particolar modo Ludovico Cardi, detto “il Cigoli” (San miniato, 1559 - roma, 1613).

134 Segno di amicizia e stima nei confronti del mondo della pittura sono anche (forse) i non pochi ritratti che di Galileo ci sono pervenuti. nel solo catalogo Il cannocchiale e il pennello se ne contano tredici: tanti gli artisti che si sono cimentati nel riprodurre, più o meno felicemente e degnamente le effige dello scienziato: da famosi - dal Passignano - ai famosissimi - l’attribuzione di uno di questi a tintoretto - per arrivare ai meno, noti, l’impressione è quella di un «successo in parte ascrivibile al modo in cui [… si] presenta l’effigiato: quasi il pittore operasse una sorta di divinizzazione del soggetto per dare vita a un’icona di forte tensione intellettuale». Federico tognoni, Le sembianze di Galileo: maschera e volto, in Il cannocchiale e il pennello, op. cit., pp. 265-266.

135 Si tratta del Racconto istorico della vita del sig. Galileo Galilei, redatto sotto forma di lettera indirizzata nel 1654 al principe Leopoldo dei medici. Pur traendo ispirazione da un fondo di verità storica, la biografia è caratterizzata da un tono fortemente elogiativo che la rende più simile a una sorta di agiografia non sempre attendibile. in tal senso si veda m. Segre, Nel segno di Galileo, il mulino, bologna 1991, pp. 112-116.

136 in una celebre lettera inviata dallo scienziato proprio all’amico Cigoli nel 1612 viene dibattuta

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in molti punti della produzione letteraria galileiana troviamo riferimenti ad essa. e partendo proprio dal Dialogo, laddove la discussione dei tre personaggi affronta il problema del rapporto tra il movimento di una nave e il moto ter-restre, questo viene esemplificato con l’attività di un ipotetico artista in navi-gazione da venezia ad alessandretta, intento a disegnare per l’intero corso del viaggio137:

SaGr. Quando dunque un pittore nel partirsi dal porto avesse cominciato a disegnar sopra una carta con quella penna, e conti-nuato il disegno sino in alessandretta, avrebbe potuto cavar dal moto di quella un’intera storia di molte figure perfettamente din-tornate e tratteggiate per mille e mille versi, con paesi, fabbriche, animali ed altre cose, se ben tutto il vero, reale ed essenzial mo-vimento segnato dalla punta di quella penna non sarebbe stato altro che una ben lunga ma semplicissima linea; e quanto all’ope-razion propria del pittore, l’istesso a capello avrebbe delineato quando la nave fusse stata ferma. Che poi del moto lunghissimo della penna non resti altro vestigio che quei tratti segnati su la carta, la cagione ne è l’essere stato il gran moto da venezia in alessandretta comune della carta e della penna e di tutto quello che era in nave; ma i moti piccolini, innanzi e ‘n dietro, a destra ed a sinistra, comunicati dalle dita del pittore alla penna e non al foglio, per esser proprii di quella, potettero lasciar di sé vestigio su la carta, che a tali movimenti restava immobile.138

egli stesso, nell’annus mirabilis 1609, a seguito delle prime osservazioni col cannocchiale - avvenute durante 55 notti di rigido inverno - si cimentò nel disegno di quel che vide: una Luna che, dopo quei momenti, non fu più la stes-sa agli occhi dell’intera umanità. Galileo dovette affrontare - e mirabilmente

la vexata quaestio della superiorità della pittura sulla scultura o viceversa. nella missiva, una specie di denso saggio teorico sul paragone delle arti, Galileo sostiene il primato della pittura che «non avendo ella rilievo alcuno ci mostra rilevare quanto la scultura» ed è tuttavia «capace di rappresentare, attraverso l’abilità dell’artista la lontananza di un paese, et una distesa di mare di molte e molte miglia».

137 il riferimento è alla nota legge - nota… dopo Galileo! - secondo la quale c’è equivalenza tra la quiete e quello che in Fisica viene definito “moto rettilineo uniforme”…

138 Galileo Galilei, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo tolemaico e copernicano, edizione Studio tesi, Pordenone 1992, p. 217.

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risolvere - il problema di trovarsi di fronte a qualcosa di totalmente nuovo: un fenomeno celeste che percettibilmente in quelle 55 notti mutava sotto i suoi occhi. Le fasi lunari furono quindi rese con un sapiente gioco di luci ed ombre e la “cinematica” del fenomeno poteva essere resa con immagini in sequenza - concetto che a noi oggi sembra banale e scontato, ma che per l’epoca era fortemente innovativo.

Galilei, che in questo modo viene riconosciuto come il fondatore della cine-matica fisica riconoscendo alla Luna, in accorate e poetiche parole del Dialogo, quello statuto di vicinanza alla nobiltà della terra che abitiamo. Una vicinanza che solo dopo la poesia galileiana fu fatta propria da poeti e scrittori. Contro la teoria tolemaica di un cielo immutabile, fisso e sterile egli mette in bocca queste parole a Sagredo:

SaGr. io non posso senza grande ammirazione, e dirò gran re-pugnanza al mio intelletto, sentir attribuir per gran nobiltà e per-fezione a i corpi naturali ed integranti dell’universo questo esser impassibile, immutabile, inalterabile etc., ed all’incontro stimar grande imperfezione l’esser alterabile, generabile, mutabile, etc.: io per me reputo la terra nobilissima ed ammirabile per le tante e sì diverse alterazioni, mutazioni, generazioni, etc., che in lei incessabilmente si fanno; e quando, senza esser suggetta ad al-

Fasi della Luna, disegni di Galileo, Firenze, biblioteca nazionale Centrale

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cuna mutazione, ella fusse tutta una vasta solitudine d’arena o una massa di diaspro, o che al tempo del diluvio diacciandosi l’acque che la coprivano fusse restata un globo immenso di cri-stallo, dove mai non nascesse nè si alterasse o si mutasse cosa veruna, io la stimerei un corpaccio inutile al mondo, pieno di ozio e, per dirla in breve, superfluo e come se non fusse in na-tura, e quella stessa differenza ci farei che è tra l’animal vivo e il morto; ed il medesimo dico della Luna, di Giove e di tutti gli altri globi mondani. ma quanto più m’interno in considerar la vanità de i discorsi popolari, tanto più gli trovo leggieri e stolti. e qual maggior sciocchezza si può immaginar di quella che chiama cose preziose le gemme, l’argento e l’oro, e vilissime la terra e il fango? e come non sovviene a questi tali, che quando fusse tanta scarsità della terra quanta è delle gioie o de i metalli più pregiati, non sarebbe principe alcuno che volentieri non ispendesse una soma di diamanti e di rubini e quattro carrate di oro per aver solamente tanta terra quanta bastasse per piantare in un picciol vaso un gelsomino o seminarvi un arancino della Cina, per veder-lo nascere, crescere e produrre sì belle frondi, fiori così odorosi e sì gentil frutti? È, dunque, la penuria e l’abbondanza quella che mette in prezzo ed avvilisce le cose appresso il volgo, il quale dirà poi quello essere un bellissimo diamante, perché assimiglia l’acqua pura, e poi non lo cambierebbe con dieci botti d’acqua. Questi che esaltano tanto l’incorruttibilità, l’inalterabilità, etc., credo che si riduchino a dir queste cose per il desiderio grande di campare assai e per il terrore che hanno della morte; e non considerano che quando gli uomini fussero immortali, a loro non toccava a venire al mondo. Questi meriterebbero d’incontrarsi in un capo di medusa, che gli trasmutasse in istatue di diaspro o di diamante, per diventar più perfetti che non sono.139

Come ben vide Calvino - ma il primato non è suo - fu proprio Galileo il pri-mo ad avvicinare con queste parole nei sentimenti umani (oltre che per buon senso scientifico) la Luna a noi, a trasformare nella realtà e nell’immaginario quel corpo celeste immortale e immutabile com’era stato visto fino ad allora, in quell’astro simile alla terra su cui poggiamo i piedi, soggetto alle stesse leggi

139 Galileo Galilei, op. cit., pp. 73-75. nel seguito delle pagine i protagonisti continuano a discutere della Luna e della sua ipotetica ‘incorruttibilità’.

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del cosmo, come tutti gli altri pianeti che lo compongono.Parole che, sul finale, suonano come estrema condanna e costituiscono un se-vero giudizio morale verso coloro che valutano come ‘tesori’ i diamanti e non già il miracolo quotidiano di una natura che vive e ci dà fiori frutti e sembra es-sere, in una sorta di “personale panteismo”, la reale manifestazione del divino. ma Sagredo, non ancora pago, rincara la dose, con argomentazioni che sono più di semplice - ma acuto - buon senso che scientifiche:

SaGr. adunque la natura ha prodotti ed indirizzati tanti vastis-simi, perfettissimi e nobilissimi corpi celesti, impassibili, immor-tali, divini, non ad altro uso che al servizio della terra, passibile, caduca e mortale? al servizio di quello che voi chiamate la feccia del mondo, la sentina di tutte le immondizie? e a che proposito far i corpi celesti immortali etc., per servire a uno caduco etc.? tolto via questo uso di servire alla terra, l’innumerabile schiera di tutti i corpi celesti resta del tutto inutile e superflua, già che non hanno, né possono avere, alcuna scambievole operazione fra di loro, poiché tutti sono inalterabili, immutabili, impassibili: ché se, v. g., la Luna è impassibile, che volete che il Sole o altra stella operi in lei? sarà senz’alcun dubbio operazione minore assai che quella di chi con la vista o col pensiero volesse liquefare una gran massa d’oro.in oltre, a me pare che mentre che i corpi celesti concorrano alle generazioni ed alterazioni della terra, sia forza che essi ancora sieno alterabili; altramente non so intendere che l’applicazione della Luna o del Sole alla terra per far le generazioni fusse altro che mettere a canto alla sposa una statua di marmo, e da tal con-giugnimento stare attendendo prole.140

Converrà tornare - dopo questa istruttiva divagazione che mostra il legame di-retto tra l’arte, la necessità di rappresentare e l’amor di verità, di scienza e il tri-buto, tutto ‘umanistico’ in questo crescente lirismo contro argomentazioni che vengono travolte da questo impeto galileiano - a ciò che lo scienziato ci lascia. È noto che il Sidereus nuncius va letteralmente a ruba, ma egli non è soddisfatto del suo lavoro illustrativo, tanto da pensare a una seconda ristampa che rechi

140 Galileo Galilei, op. cit., p. 75.

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delle tavole fatte da un artista141. La ristampa non si farà, ma egli continuerà a confrontarsi con artisti anche di altissima caratura come michelangelo merisi, detto il Caravaggio.i due non si incontreranno mai, ma secondo una suggestiva ipotesi142, la figura del Galileo nel suo rappresentare questa nuova idea del “metodo sperimen-tale”, basato sulle “sensate esperienze e certe dimostrazioni”, si riverbera sul celebre artista. Un influsso tale da far pensare a una convergenza tra i due proprio in un dipinto che sembra la raffigurazione di questa necessità di speri-mentare per capire: L’incredulità di San Tommaso.

Chi fa da cerniera tra i due è il cardinale Francesco maria del monte, di en-

141 Proprio in queste pagine abbiamo citato il vesalio e la sua ‘rivoluzione’ che è consistita anche e forse soprattutto nell’avvalersi di un vero artista che tratteggiasse particolari e dettagli del corpo umano a fini didattici e di studio. Lo stesso problema si pose Galileo. inoltre «le discussioni suscitate in merito agli acquerelli delle fasi lunari […] sono state di recente riaccese dall’individuazione da parte di Horst bredekamp di una copia del Sidereus, contraddistinta dal timbro a secco della biblioteca di Federico Cesi […] che reca negli spazi dedicati alle tavole cinque acquerelli non del tutto coincidenti con gli originali conservati nel fondo galileiano della biblioteca nazionale di Firenze. Secondo lo studioso, anche per la presenza di una profonda cavità lunare (“il cratere boemo”), furono proprio questi ad essere usati dallo scienziato come modello delle parallele incisioni che presentano la medesima enorme cavità notata da svariati studiosi fino a Feyerabend e giudicata frutto di immaginazione». Lucia tongiorgi tomasi, Galileo, le arti, gli artisti, in Il cannocchiale e il pennello, cit., pp. 26-27. L’opera di bredekamp citata è Der Mond Die Sonne Die Hand. Galilei der Künstler, berlin 2007.

142 avanzata originariamente da Ferdinando bologna - in L’ incredulità del Caravaggio e l’esperienza delle «cose naturali», bollati boringhieri, torino 1992 (ristampato nel 2006) - ma ripresa successivamente da altri.

Caravaggio. L’incredulità di San Tommaso (1601)

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trambe generoso sostenitore e protettore. a corroborare questa ipotesi di contatto l’aneddoto storico secondo il quale il cardinale massimo massimi commissionò contemporaneamente a tre artisti di punta (Passignano, Cigoli e Caravaggio) un dipinto che rappresentasse la crocefissione del Cristo. La ‘gara’ venne vinta proprio dall’amico di Galileo, il Cigoli, ma nella versione caravaggesca uno dei due personaggi - quello che mostra il Cristo, con sguardo scettico - sembra voler somigliare, più per posa che per reale somiglianza fisica, allo scienziato pisano.

La Luna galileiana, con la sua superficie scabra, intanto comincia il suo lungo percorso nella rappresentazione artistica mondiale: non più cerchio - o parti di esso - dal colore omogeneo, ma bitorzoluto e craterico, puntinato e ‘sporco’ a indicare proprio quella scabrosità evidenziata dalle osservazioni galileiane. Così proprio il Cigoli è l’iniziatore di questa nuova visione del nostro satel-lite. egli la inaugura nel 1612, a un anno dalla morte, mettendo sotto i piedi dell’immacolata Concezione dipinta nell’affresco della basilica di Santa maria maggiore a roma, una mezza luna che ha veri e propri crateri visibili, secondo la nuova visione che dell’astro si ha attraverso il cannocchiale. tuttavia proprio a partire dalla morte dell’amico artista Cigoli, Galileo allenterà poco a poco i contatti con l’arte visiva per eccellenza:

La ragione dell’abbandono della pratica disegnativa da parte di Galilei risiede in svariate cause. Le ombre cupe che si addensa-vano sulle teorie dello scienziato pisano fecero sì che i suoi in-teressi si incentrassero esclusivamente su speculazioni teoriche, accanto a una presa d’atto delle notevoli difficoltà - le «veglie, studi e sudori» - nel produrre immagini soddisfacenti di feno-meni tanto fluidi e istantanei da tradurre fedelmente col mezzo grafico. anche la salute malferma, fra cui una progressiva affe-zione della vista143, […] distolse lo scienziato dalla realizzazione

143 Galileo inizia con le parole che seguono una lettera a elia diodati, spedita dalla villa di arcetri, sulle colline di Firenze, il 6 giugno 1637: « alla lettera di v. S. molt’ill., piena della solita cortesia ed offizio affettuosissimo, datami alli 12 maggio, rispondendo, le dico che quanto alla prima domanda ch’ella mi fa, io mi trovo tanto molestamente aggravato dalla flussione nell’occhio destro, che non solamente mi vien tolto il poter nè leggere nè scrivere una sillaba, ma il far ancora nessuno di quegli esercizi che ricercano l’uso della vista, né più né meno che se io fussi del tutto cieco. trovomi per ciò in una grandissima afflizione, per non dire disperazione, attesochè ne i miei maggiori bisogni non posso supplire nè al debito nè al desiderio di v. S. molt’ill., insieme con i SS. realio ed ortensio, che mi fanno istanza di quanto prima mandargli la resoluzione ed esplicazione de i quattro capi attenenti

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di immagini astronomiche.144

La Luna tuttavia fa il suo corso. anzi: se il Cigoli è il primo a recepire le sco-perte lunari galileiane, il pittore tedesco - ma attivo a roma per quasi tutta la sua vita - adam elsheimer sembra quasi un veggente. nel 1609 infatti, prima ancora che Galileo compia le sue osservazioni, porta a compimento La fuga in Egitto:

nonostante l’elevata luminosità della Luna piena, l’artista ha ri-prodotto anche molte stelle per cui si riconosce persino la via Lattea. Questo particolare lascia molto perplessi perché la via Lattea non si può osservare in notti di plenilunio e addirittura con un cielo velato dalle nuvole. Se si fa attenzione si notano al-cune stelle dipinte addirittura sopra le nuvole. analizzando poi le costellazioni rappresentate non si trovano riscontri plausibili: se si escludono l’orsa minore o l’ammasso delle Pleiadi, la costella-zione in alto a destra potrebbe suggerire l’orsa maggiore seppur rappresentata troppo piccola rispetto al diametro della Luna.Le due stelle finali del quadrilatero danno la direzione del nord e ciò fa dedurre che ci si trovi nell’emisfero boreale, tra 30 e 50 gra-di di latitudine circa. Questo è convincente perché a meno che elsheimer fosse stato in egitto, le costellazioni che può aver visto e dipinto sono solo quelle visibili dall’europa. ovviamente, in queste ipotesi, anche la posizione della Luna sarebbe impossibile perché bassissima sull’orizzonte nord e sarebbe altresì sbagliata la posizione della via Lattea perché quella vera si troverebbe a passare sopra l’orsa, verso Cassiopea.Probabilmente si tratta di una rappresentazione di fantasia in cui l’artista abbia deciso di rappresentare le stelle in un secondo tempo, senza troppa correlazione con la realtà. tuttavia in un ar-ticolo del “Suddeutsche zeitung magazin” si sostiene che la rap-presentazione del cielo sia esattamente quella visibile a roma il 16 giugno 1609 e che l’autore abbia fatto uso di un telescopio.145

al mio negozio della longitudine.»

144 Lucia tongiorgi tomasi, Galileo, le arti, gli artisti, in Il cannocchiale e il pennello, cit., p. 33.

145 Fonte: Wikipedia, alla voce «Fuga in egitto (elsheimer)».

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Forse, come suggestivamente sostiene eugenio battisti, il fine pittore tedesco e il grande Galilei scrutavano ammirati «lo stesso cielo, con il medesimo interes-se e un’analogamente scrupolosa necessità documentaria»146.

8. ConCLUSioniin un bell’articolo - tradotto in italiano - di apertura del domenicale de «il Sole 24 ore»147, donald Sasooon rileva quale sia il livello culturale dei cittadini europei, in relazione alla cultura non attinente al proprio Paese di provenien-za. alle già sconfortanti statistiche nazionali sul livello culturale dell’italiano medio - che hanno, per carità, le loro considerevoli e degne eccezioni, tendenti però come si dice a confermare delle regole… - sembrano aggiungersi i dati d’oltralpe. il sottotitolo dell’articolo recita, in maniera piuttosto scioccante: «i cittadini del vecchio continente sanno ben poco gli uni degli altri. Solo il 10% dei francesi ha idea di chi fosse dante, il 40% degli italiani non conosce neppure un personaggio storico d’oltralpe».in previsione di questo mio modesto excursus galileiano, mi sono preoccupato di vedere che l’autore dell’articolo non citasse proprio lo scienziato pisano, in relazione alla ‘dimenticanze’ di chi vive fuori dai confini nazionali. Con un certo sollievo ho potuto constatare l’assenza di Galileo. Questo potrebbe in realtà voler dire almeno tre cose: (1) che Galileo stia nell’empireo nella buona compagnia di un dante o di un newton - sebbene, come abbiamo visto anche dante non se la passi benissimo; (2) che Galileo davvero non si sappia chi sia, oppure (3) banalmente che il suo nome non rientrasse nell’insieme dei perso-naggi celebri attraverso i quali è stata condotta l’indagine.Le ultime due ipotesi sono quelle di fatto più sconfortanti - forse più la terza della seconda - ma auspico che con il nostro incontro e questo breve resoconto si siano almeno un po’ riequilibrate le sorti di questo sorprendente scienziato.

9. rinGraziamentiUn po’ come accade per i titoli di coda di un film, posso dire che questo inter-vento in occasione della settimana della Cultura italiana non avrebbe potuto aver luogo senza l’invito della professoressa alessandra Parodi (Università di

146 eugenio battisti, L’Antirinascimento, con una appendice di manoscritti inediti, Feltrinelli, milano 1962.

147 «il Sole 24 ore» è un celebre quotidiano nazionale di economia, ma la domenica, da ormai lunghi anni, contiene un pregevole inserto di cultura, in prevalenza letteraria. il numero a cui si fa riferimento è il 176 di domenica 28 giugno 2009. L’articolo ha per titolo Europa unita dall’ignoranza.

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Heidelberg). Una sincera amicizia che ha scavalcato gli anni e le alpi ci lega, cementata da interessi scientifici comuni legati all’epistemologia, così come una condivisa weltanschauung su molte questioni del vivere.L’entusiasmo e l’ottimismo della professoressa ivana nolli-meyer (Università di Heidelberg), sono due componenti che mi hanno infuso coraggio e han-no funzionato come ‘carburante’, utile ad affrontare un “mostro sacro” come Galileo. identicamente posso dire per la gentilezza, la disponibilità e la enco-miabile (quanto proverbiale) precisione (tutta tedesca) della professoressa eva maria remberger (Università di Costanza).inoltre: Luca Galeazzi che più di un editore è ormai un vero e proprio amico: senza di lui questa dispensa non sarebbe leggibile e bella come la vedete. Per un confronto, in questa come in altre occasioni del passato, non posso esimer-mi dal ringraziare Silvia Paris e daniele Gouthier che hanno letto con grande attenzione questo scritto. Loro, così come Silvia Pieri e Francesca romana Capone, hanno contribuito in vario modo e sotto varie forme a dar qualità a questo testo. Gli errori, le sviste, i potenziali e possibili miglioramenti ulteriori sono attribuibili solo all’autore.Last but not least, due persone che, pur in un rapporto più indiretto, hanno parimenti permesso che gli incontri galileiani avessero luogo: il dottor Cesare Ghilardelli (istituto italiano di Cultura, sede di Stoccarda) e il professor martin Sattler (direttore dell’istituto italiano di Studi Filosofici, sede di Heidelberg): un sentito grazie per avermi concesso questa opportunità.

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indiCe

in alto a sinistra. Per una breve introduzione (non accademica)0. . . . . . . . . . . . . . . .5

Premessa1. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .7

Lo scenario2. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .8

L’italiano per essere capito da tutti: dai “volgari meccanici” 3. e i “dottori in memoria” fino alla “ripubblica letteraria” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12

Galileo letterato #1: quel che ci lascia in eredità4. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21

italo Calvino, la luna e i cavalli4.0 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21

Giacomo Leopardi e Galileo: storia di un rapporto conflittuale4.1 . . . . . . . . . . . . 28

Galileo letterato #2: prima di lui dante, Petrarca, ariosto e… tasso5. . . . . . . 34

Perché la forma letteraria del dialogo: una digressione filosofica6. . . . . . . . . . . . . 39

vantaggi e svantaggi dell’adesione al dialogo come forma letteraria6.0 . . . . . . . . 42

il dialogo galileiano tra imitazioni, parodie e nemesi storiche6.1 . . . . . . . . . . . . . . . . 50

Gli influssi nella letteratura e nell’arte7. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 53

Conclusioni8. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 60

ringraziamenti9. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 61

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