giochi, svaghi e sport nel mondo romano

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INTRODUZIONE INTRODUZIONE INTRODUZIONE INTRODUZIONE Panem et circenses”, detto latino che significa “mangiare e divertirsi”, stava ad indicare le distribuzioni gratuite di grano e l’allestimento di frequenti giochi circensi, che avevano il potere di distogliere il popolo romano dai suoi problemi. Essi infatti erano nati per scopi religiosi, ma con il passare del tempo persero la loro funzione originale diventando uno strumento politico: organizzare giochi fastosi e spettacolari era un modo per accattivarsi le simpatie del popolo e per frenare le rivolte, inoltre costituivano un’ottima forma di propaganda elettorale. I Romani amavano soprattutto i ludi più cruenti, come gli spettacoli dei gladiatori, che con la loro violenza eccitavano il pubblico: ”Ammazzalo, colpiscilo, brucialo! Perché va incontro al ferro con tanta titubanza? Perché muore così poco volentieri?”, queste sono le parole di uno spettatore che ci riferisce Seneca, uno dei pochi autori che scrisse con disapprovazione nei confronti di questi divertimenti bestiali. Essi consistevano infatti in cacce di animali esotici (venationes), esecuzioni di criminali, ma anche di martiri cristiani, battaglie navali (naumachiae) e lotte all’ultimo sangue fra gladiatori, che finivano quasi sempre con la morte di uno dei due contendenti (ludi gladiatorii). Divertimenti meno sanguinari erano invece le corse dei carri, che nonostante ciò erano ugualmente, anzi più amate dal popolo. In seguito all’influenza greca nacquero anche a Roma i ludi theatrales: nei teatri romani si svolgevano diverse rappresentazioni: commedie, tragedie, mimi e pantomimi. Il teatro, però, era molto meno amato dei ludi circensi. Le strutture che ospitavano gli spettacoli, anfiteatri e circhi, facevano parte del palazzo imperiale o erano collocati all’esterno della città, per non intralciare il traffico urbano a causa della grande affluenza di gente (addirittura in una città vicino a Roma crollò un anfiteatro per la troppa affluenza di spettatori provocando la morte di moltissime persone). Tutte le rappresentazioni generalmente erano diurne; la durata poteva variare: potevano continuare anche per parecchie ore e gli spettatori portavano con sé cibi e bevande. In età repubblicana la cura dei giochi era affidata al pretore e agli edili; in epoca imperiale l’imperatore decideva se organizzare dei giochi e ne affidava l’organizzazione ad apposite persone: i curatores ludorum. Il popolo di solito pretendeva la presenza dell’imperatore durante gli spettacoli, ed era in queste situazioni che avveniva un contatto diretto tra popolo e sovrano. Il popolo trascorreva il proprio tempo libero anche con altri divertimenti; infatti sono state ritrovate un'infinità di testimonianze che hanno contribuito a ricostruire i vari tipi di svaghi da loro praticati, dai giochi per i bambini, per lo più caratterizzati da giocattoli di vario materiale e dall’imitazione delle azioni e comportamenti degli adulti, a quelli dei grandi con giochi di abilità, d'azzardo e sportivi: evidentemente ai Romani la voglia di divertirsi non è mai venuta meno, anche perché da sempre rappresenta un mezzo per non pensare ai dispiaceri e per rilassarsi dalle dure giornate lavorative. Pedine e dadi per giochi da tavolo Bambola con arti snodabili

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Page 1: Giochi, svaghi e sport nel mondo romano

INTRODUZIONEINTRODUZIONEINTRODUZIONEINTRODUZIONE “Panem et circenses”, detto latino che significa “mangiare e divertirsi”, stava ad indicare le distribuzioni gratuite di grano e l’allestimento di frequenti giochi circensi, che avevano il potere di distogliere il popolo romano dai suoi problemi. Essi infatti erano nati per scopi religiosi, ma con il passare del tempo persero la loro funzione originale diventando uno strumento politico: organizzare giochi fastosi e spettacolari era un modo per accattivarsi le simpatie del popolo e per frenare le rivolte, inoltre costituivano un’ottima forma di propaganda elettorale.

I Romani amavano soprattutto i ludi più cruenti, come gli spettacoli dei gladiatori, che con la loro violenza eccitavano il pubblico: ”Ammazzalo, colpiscilo, brucialo! Perché va incontro al ferro con tanta titubanza? Perché muore così poco volentieri?”, queste sono le parole di uno spettatore che ci riferisce Seneca, uno dei pochi autori che scrisse con disapprovazione nei confronti di questi divertimenti bestiali. Essi consistevano infatti in cacce di animali esotici (venationes), esecuzioni di criminali, ma anche di martiri cristiani, battaglie navali (naumachiae) e lotte all’ultimo sangue fra gladiatori, che finivano quasi sempre con la morte di uno dei due contendenti (ludi gladiatorii). Divertimenti meno sanguinari erano invece le corse dei carri, che nonostante ciò erano ugualmente, anzi più amate dal popolo. In seguito all’influenza greca nacquero anche a Roma i ludi theatrales: nei teatri romani si svolgevano diverse rappresentazioni: commedie, tragedie, mimi e pantomimi. Il teatro, però, era molto meno amato dei ludi circensi. Le strutture che ospitavano gli spettacoli, anfiteatri e circhi, facevano parte del palazzo imperiale o erano collocati all’esterno della città, per non intralciare il traffico urbano a causa della grande affluenza di gente (addirittura in una città vicino a Roma crollò un anfiteatro per la troppa affluenza di spettatori provocando la morte di moltissime persone). Tutte le rappresentazioni generalmente erano diurne; la durata poteva variare: potevano continuare anche per parecchie ore e gli spettatori portavano con sé cibi e bevande. In età repubblicana la cura dei giochi era affidata al pretore e agli edili; in epoca imperiale l’imperatore decideva se organizzare dei giochi e ne affidava l’organizzazione ad apposite persone: i curatores ludorum. Il popolo di solito pretendeva la presenza dell’imperatore durante gli spettacoli, ed era in queste situazioni che avveniva un contatto diretto tra popolo e sovrano.

Il popolo trascorreva il proprio tempo libero anche con altri divertimenti; infatti sono state ritrovate un'infinità di testimonianze che hanno contribuito a ricostruire i vari tipi di svaghi da loro praticati, dai giochi per i bambini, per lo più caratterizzati da giocattoli di vario materiale e dall’imitazione delle azioni e comportamenti degli adulti, a quelli dei grandi con giochi di abilità, d'azzardo e sportivi: evidentemente ai Romani la voglia di divertirsi non è mai venuta meno, anche perché da sempre rappresenta un mezzo per non pensare ai dispiaceri e per rilassarsi dalle dure giornate lavorative.

Pedine e dadi per giochi da tavolo

Bambola con arti snodabili

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Concorso a quizConcorso a quizConcorso a quizConcorso a quiz

Aulo Gellio, Noctes atticae, XVIII, 2

In questo brano l’autore racconta di come trascorreva ad Atene le feste dei Saturnali, ed in particolare descrive lo svolgimento di un gioco di gruppo sotto forma di quiz.

Probabilmente Aulo Gallio nacque a Roma, fra il 123 e il 130 d.C., in una famiglia benestante che gli permise di frequentare a Roma i corsi del grammatico Sulpicio Apollinare e di completare poi la sua formazione culturale in Grecia, ospite del retore Erode Attico. Lì iniziò la sua unica opera, a carattere enciclopedico, intitolata Noctes Atticae. Visse il resto della sua vita a Roma e morì probabilmente nel 175. La sua opera, in 20 libri, tratta senza una organizzazione sistematica degli argomenti più disparati (diritto, geometria, antiquaria, religione…) ed in particolare della storia della lingua latina, con la critica degli autori e il confronto fra Greci e Latini.

Saturnalia Athenis agitabamus hilare prorsum ac modeste, non, ut dicitur, remittentes animum, nam “remittere – inquit Musonius – animum quasi amittere est”, sed demulcentes eum paulum atque laxantes iucundis honestisque sermonum inlectationibus. Conveniebamus autem ad eandem cenam complusculi qui Romani in Graeciam veneramus quique easdem auditiones eosdemque doctores colebamus. Tum qui et cenulam ordine suo curabat, praemium solvendae quaestionis ponebat librum veteris scriptoris vel Graecum vel Latinum et coronam e lauro plexam, totidemque res quaerebat quot homines istic eramus. Quaestio igitur soluta corona et praemio donabatur ; non soluta autem transmittebatur ad eum qui sortito successerat, idque in orbem vice pari servabatur. Si nemo dissolvebat, corona quaestionis eius deo cuius id festum erat dicabatur.

“Celebravamo ad Atene i Saturnali1 in modo davvero piacevole e semplice, non, come si dice, svagandoci, infatti ha detto Musonio2 ‘svagarsi è un po’ come perdersi’,3 ma dilettandoci e rilassandoci con conversazioni gradevoli e dignitose. Ci riunivamo alla stessa tavola in parecchi fra i Romani venuti in Grecia e che frequentavano le stesse lezioni e seguivano gli stessi maestri. Colui che dava a turno la cena offriva in premio, a chi risolveva un quesito, l’opera di un antico scrittore Greco o Latino e una corona intrecciata di lauro, e poneva altrettanti quesiti quanti erano i convitati. Chi aveva risolto il quesito riceveva la corona e il premio; se esso invece non era stato risolto, veniva sottoposto ad un altro che subentrava a sorte, e questo procedimento veniva ripetuto successivamente a turno. Se nessuno lo risolveva, la corona de quesito veniva offerta al dio di cui era la festa.” ----------------- 1. Si tratta in realtà della festa dei Kronia, che si celebravano ad Atene in onore di Crono e che corrispondevano alla festività dei Saturnali romani. 2. Filosofo stoico del I secolo d. C. 3. La frase remittere animum quasi amittere est contiene in latino un gioco di parole che non è possibile rendere adeguatamente nella traduzione.

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Il gioco del rimbalzelloIl gioco del rimbalzelloIl gioco del rimbalzelloIl gioco del rimbalzello Minucio Felice, Octavius, III, 3, 6

Il brano è tratto da un dialogo in stile ciceroniano di Minucio Felice, l’Octavius, in cui l’autore stesso arbitra una disputa tra Ottavio, un cristiano, e Cecilio, un pagano: mentre essi discutono passeggiando lungo l’incantevole lido di Ostia in un sereno pomeriggio, vedono un gruppo di fanciulli giocare sulla riva lanciando dei cocci sull’acqua.

Minucio Felice, nativo della Numidia, esercitò l’avvocatura a Roma. Di famiglia pagana, trasferitosi a Roma si convertì al cristianesimo e scrisse un dialogo apologetico, l’Octavius (fine II secolo d. C.), esponendo la discussione, a cui Minucio partecipa come moderatore, tra il pagano Cecilio ed il cristiano Ottavio.

Cecilio propone le ragioni del paganesimo: l’uomo che è finito non può conoscere il dio infinito, bisogna tuttavia mantenere la religione degli avi, per conservare la tradizione e l’unità politica dell’Impero, fondata sul politeismo. Egli accusa i cristiani di uccidere bambini, mangiare carne umana (fraintendendo l’eucarestia: il rito del “mangiare il corpo di Cristo”) e di incesto (per via del loro uso di chiamarsi “fratelli” e “sorelle” anche tra coniugi). Ottavio controbatte esponendo il contenuto della sua religione: la provvidenza di Dio è testimoniata dalla bellezza e armonia del cosmo; la religione pagana è sanguinaria, basata com’è su sacrifici di bestie innocenti e spesso anche di esseri umani, mentre il Cristianesimo si fonda su carità, fede e semplicità. Cecilio alla fine si dichiara convinto.

L’Octavius è scritto in un latino elegante e si ispira ai dialoghi di Cicerone, di cui riprende la cura per l’ambientazione e la tecnica espositiva, nel tentativo di instaurare un dialogo con il paganesimo. Minucio tende a conciliare concezione classica e messaggio cristiano, pur non nascondendo la sua condanna del materialismo religioso dei Romani.

Sensim itaque tranquilleque progressi oram curvi molliter litoris iter fabulis fallentibus legebamus. Haec fabulae erant Octavi dissserentis de navigatione narratio. Sed ubi eundi spatium satis iustum cum sermone consumpsimus, eandem emensi viam rursus versis vestigiis terebams. Et cum ad id loci ventum est, ubi subductae naviculae substratis roboribus a terrena labe suspensae quiescebant, pueros videmus certatim gestientes testarum in mare iaculationibus ludere. Is lusus est testam teretem, iactatione fluctuum levigatam, legere de litore: eam testam plano situ digitis comprehensam, inclinem ipsum atque humilem, quantum potest, super undas inrotare, ut illud iaculum vel dorsum maris raderet, vel enataret, dum leni impetu labitur, vel, summis fluctibus tonsis, emicaret, emergeret, dum adsiduo saltu sublevatur. Is se in pueris victorem ferebat, cuius testa et procurreret longius et frequentius exsiliret. ”E così procedendo a poco a poco tranquillamente, costeggiavamo la dolce curva del lido e alleviavamo il cammino discorrendo. Questi discorsi erano il racconto di Ottavio che parlava della navigazione. Ma quando terminammo un tratto di cammino proporzionale al nostro discorrere, ripercorrendo di nuovo la stessa via la facevamo in senso inverso. E quando giungemmo a quel luogo, dove alcune piccole imbarcazioni tirate a riva giacevano sollevate al di sopra del terriccio da travi di quercia infilate sotto, vediamo dei fanciulli che facevano a gara impegnandosi in lanci di cocci nel mare.

Questo gioco consiste nel raccogliere dalla spiaggia un coccio levigato dallo sbattere delle onde e, dopo averlo afferrato di piatto con le dita, lanciarlo facendolo ruotare, disteso e radente il più possibile sulle onde, in modo che l’oggetto lanciato o sfiori la superficie del mare o nuoti via, mentre scivola con dolce slancio; oppure balzi via, sbuchi, spuntando la cresta dei flutti, mentre si innalza con salti ripetuti. Si riteneva vincitore tra i fanciulli, quello il cui coccio arrivava più lontano e saltava via più volte.”

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Giocatori di palla alle termeGiocatori di palla alle termeGiocatori di palla alle termeGiocatori di palla alle terme Petronio, Satyricon, XXVI-XXVII

Nel romanzo di Petronio il protagonista Encolpio, perseguitato dal dio Priapo che gli ha tolto la virilità, vaga con l’efebo Gitone e l’amico Ascilto per le città dell’Italia meridionale, incorrendo in varie avventure e situazioni d’ogni tipo, spesso scabrose o comicissime. In questo caso, mentre gironzolano nelle terme in attesa di farsi il bagno, i tre assistono ad una scena curiosa.

Non ci sono certezze sull’identità di Petronio: alcuni studiosi identificano questo autore in Gaio Petronio, vissuto alla corte di Nerone e ritenuto uomo di grande raffinatezza, un arbiter elegantiae secondo la definizione che ne dà Tacito negli Annales.

L’opera attribuita a questo autore, il Satyricon, composta con ogni probabilità alla fine dell’epoca giulio-claudia, ci è giunta incompleta. Si tratta di un romanzo che unisce prosa e versi, ed è ritenuto una fonte preziosa per la conoscenza del sermo plebeius; nell’opera infatti si concede molto spazio ai discorsi di alcuni liberti e di Trimalchione, un liberto arricchito, rozzo e vanitoso, che rispecchiano la lingua parlata delle classi inferiori dello impero: l’autore consape-volmente la immette nella lingua letteraria, spesso con intenzioni ironiche o parodiche.

Amicimur ergo diligenter obliti omnium malorum, et Gitona libentissime servile officium tuentem iubemus in balneo1 sequi. Nos interim vestiti errare coepimus…immo iocari magis et circulis accedere, cum subito videmus senem calvum, tunica vestitum russea, inter pueros capillatos ludentem pila. Nec tam pueri nos, quamquam erat operae pretium, ad spectaculum duxerant, quam ipse pater familiae, qui soleatus pila prasina exercebatur. Nec amplius eam repetebat quae terram contigerat, sed follem plenum habebat servus sufficiebatque ludentibus. Notavimus etiam res novas: nam duo spadones in diversa parte circuli stabant, quorum alter matellam tenebat argenteam, alter numerabat pilas, non quidam eas quae inter manus lusu espellente vibrabant, sed eas quae in terram decidebant. “Ci vestiamo dunque con cura dimenticando tutte le nostre disgrazie e ordiniamo a Gitone, volenterosissimo di assumere il ruolo di servo, di seguirci alle terme. Noi intanto ancora vestiti, cominciamo a gironzolare, anzi piuttosto a svagarci e ad unirci ai gruppi quando ad un tratto vediamo un vecchio calvo, vestito con una tunica rossa, che giocava a palla in mezzo ad alcuni ragazzi dai lunghi capelli. E non erano i ragazzi, benché ne valesse la pena, a indurci a guardare, quanto quel padre di famiglia che, calzato di sandali, si allenava con una palla verde. E non la raccoglieva più se gli cadeva a terra, ma c’era un

servo che ne aveva una borsa piena e riforniva i giocatori. Notammo anche altre cose strane: infatti due eunuchi stavano in parti diverse del circolo, dei quali uno teneva un vaso da notte d’argento, l’altro contava le palle, non però quelle che rimbalzavano tra le mani dei giocatori nei rinvii, ma quelle che cadevano per terra.” ----------------- 1. Il balneum si differenziava dalle thermae, per essere uno stabilimento di dimensioni più ridotte e costruito per iniziativa di privati, aveva in genere anche una clientela più selezionata.

Acrobati alla cena Acrobati alla cena Acrobati alla cena Acrobati alla cena di Trimalchionedi Trimalchionedi Trimalchionedi Trimalchione Petronio, Satyricon, LIII

Questo brano si colloca all’interno di una delle avventure più note dei tre amici: la cena in casa di Trimalchione. Costui è un liberto arricchito che, essendo riuscito ad accumulare una vera fortuna, vive in mezzo allo spreco, sperimentando ogni sorta di novità e stravaganze per vincere la noia e sbalordire i suoi

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ospiti, ma non riesce in nessun modo a mascherare la rozzezza delle proprie origini e la sua mancanza di buon gusto. Per intrattenere gli ospiti durante la cena si esibiscono tra gli altri anche dei giocolieri.

Petauristarii autem tandem venerunt. Baro insulsissimus cum scalis constitit puerumque iussit per gradus et in summa parte odaria saltare, circulos deinde ardentes transigere et dentibus amphoram sustinere. Mirabatur haec solus Trimalchio dicebatque ingratum artificium esse: ceterum duo esse in rebus humanis, quae libentissime spectaret, petauristarios et cornicines; reliquia, animalia, acroamata, tricas meras esse. "Nam et comoedos, inquit, emeram sed malui illos Atellanam facere, et choraulen meum iussi Latine cantare ». Cum maxime haec dicente Gaio puer ... Trimalchionis delapsus est. Conclamavit familia, nec minus convivae, non propter hominem tam putidum, cuius etiam cervices fractas libenter vidissent, sed propter malum exitum cenae, ne necesse haberent alienum mortuum plorare.

“Infine vennero gli acrobati. Un insulsissimo balordo si piazzò con una scala e ordinò ad un fanciullo di salire ballando al suono di canzonette gradino per gradino fin sulla parte più alta, poi di attraversare dei cerchi infuocati e di reggere un’anfora fra i denti. Solo Trimalchione ammirava queste esibizioni e diceva che si trattava di un’arte ingrata e che del resto c’erano solo due spettacoli al mondo che guardava davvero volentieri: gli acrobati e i suonatori di corno; tutto il resto, animali, concerti, erano vere sciocchezze: ‘Infatti’ – disse – ‘avevo scritturato anche degli attori di commedia, ma ho preferito che essi rappresentassero Atellane1 e ho ordinato al mio flautista di suonare roba latina.’

Mentre Caio diceva queste cose, il fanciullo … [sul triclinio] di Trimalchione cadde. I servi gridarono ed anche gli invitati, non per quel disgustoso ballerino (del quale avrebbero visto volentieri anche la testa rotta) ma per la cattiva riuscita della cena, temendo di dover piangere la morte di un estraneo.” ----------------- 1. Le Atellane erano farse popolari di origine italica, così chiamate dalla città di Atella, caratterizzate dalla presenza

di maschere fisse (Macus, il ghiottone, Bucco, lo scroccone, Pappus, il vecchio spilorcio, ecc.) e originariamente improvvisate.

Donna con la palla Terme di Caracalla

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Un poeta innamorato al circoUn poeta innamorato al circoUn poeta innamorato al circoUn poeta innamorato al circo Ovidio, Amores, III, 2, 1 - 68

Un giovane innamorato si reca al circo durante il corteo d’apertura dei giochi circensi e la corsa dei cavalli, ma in realtà non è interessato ad assistere a questi spettacoli, bensì a vedere la donna da lui amata: egli prega la dea Venere affinché faccia in modo che la donna ricambi il suo amore.

Publio Ovidio Nasone nacque a Sulmona nel 43 a.C. da famiglia di rango equestre e, giovanissimo, si recò a Roma dove frequentò le migliori scuole di eloquenza e di retorica. Abbandonò tuttavia presto gli studi per dedicarsi alla poesia e divenne il cantore di una società che , dopo essere uscita dall’incubo dalle guerre civili, assaporava i frutti della pace abbandonandosi al lusso e al consumismo, in contraddizione con i programmi politici di Augusto. Ben presto riscosse un successo immediato e strepitoso.

Nell’8 d.C., con procedura eccezionale, forse per uno scandalo alla corte di Augusto, Ovidio venne relegato dall’imperatore a Tomi, sul Mar Nero, e vi rimase fino alla morte avvenuta nel 18 a.C.

La produzione di Ovidio è vastissima e comprende varie opere di carattere amoroso come gli Amores, le Heroides, l’Ars Amatoria, i Remedia Amores, di argomento mitologico come le Metamorfosi e i Fasti, di carattere personale come i Tristia e le Epistulae ex Ponto, scritte dall’esilio per impietosire Augusto e cercare invano di ottenere la revoca del grave provvedimento.

Non ego nobilium sedeo studiosus equorum; 1 cui tamen ipsa faves, vincat ut ille, precor. Ut loquerer tecum veni, tecumque sederem, ne tibi non notus, quem facis, esset amor. Tu cursus spectas, ego te; spectemus uterque 5 quod iuvat, atque oculos pascat uterque suos. O, cuicumque faves, felix agitator equorum! Ergo illi curae contigit esse tuae? Hoc mihi contingat, sacro de carcere missis insistam forti mente vehendus equis, 10 et modo lora dabo, modo verbere terga notabo, nunc stringam meta interiore rota. Si mihi currenti fueris conspecta, morabor, deque meis manibus lora remissa fluent. […]

Quid frustra refugis? Cogit nos linea iungi. Haec in lege loci commoda circus habet. 20 Tu tamen a dextra, quicumque es, parce puellae; contactu lateris laeditur illa tui. Tu quoque, qui spectas post nos, tua contrahe crura, si pudor est, rigido nec preme terga genu! Sed nimium demissa iacent tibi1 pallia terra. 25 Collige, vel digitis en ego tollo meis! Invida vestis eras, quae tam bona crura tegebas; quoque magis spectes -- invida vestis eras! […]

Sed iam pompa venit linguis animisque favete! Tempus adest plausus: aurea pompa venit. Prima loco fertur passis Victoria pinnis: 45 huc ades et meus hic fac, dea, vincat amor! Plaudite Neptuno, nimium qui creditis undis! Nil mihi cum pelago 2; me mea terra capit. Plaude tuo Marti, miles! Nos odimus arma; pax iuvat et media pace repertus amor. 50

Auguribus Phoebus, Phoebe venantibus adsit! Artifices in te verte, Minerva, manus! Ruricolae, Cereri teneroque adsurgite BacchoPollucem pugiles, Castora placet 3 eques! Nos tibi, blanda Venus, puerisque potentibus arcu 55 plaudimus; inceptis adnue, diva, meis daque4 novae mentem dominae! Patiatur amari! Adnuit et motu signa secunda dedit. Quod dea promisit, promittas ipsa, rogamus; pace loquar Veneris, tu dea maior eris. 60

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Particolare di una quadriga in corsa, dal mosaico della villa di Piazza Armerina

Per tibi tot iuro testes pompamque deorum, te dominam nobis tempus in omne peti. Sed pendent tibi crura; potes, si forte iuvabit, cancellis primos inseruisse pedes. Maxima iam vacuo praetor spectacula circo 65 quadriiugos aequo carcere misit equos. Cui studeas, video. Vincet, cuicumque favebis. Quid cupias, ipsi scire videntur equi. ----------------- 1) Tibi è un dativo di etico-affettivo. 2) Il verbo è sottinteso. 3) Placet è congiuntivo esortativo da placo, as. 4) Da è imperativo di do (+ que enclitico); patiatur può essere considerato un congiuntivo desiderativo oppure il verbo di una completiva (ut sottinteso) retta appunto dall’imperativo da .

“Io non siedo qui appassionato dei cavalli di razza; tuttavia prego che vinca quello per cui tu fai il tifo. Io sono venuto per parlare con te e per sedermi con te, affinché non ti fosse sconosciuto l’amore che susciti in me. Tu guardi le corse, io te: entrambi guardiamo ciò che ci piace e ognuno di noi due possa soddisfare i propri occhi. Oh fortunato l'auriga, chiunque sia, per cui fai il tifo! Egli dunque ha avuto la fortuna di suscitare il tuo interesse? Magari capitasse anche a me! Trasportato dai cavalli usciti dai sacri cancelli con forte coraggio incalzerò, ora allenterò le briglie, ora colpirò i loro dorsi con la frusta, ora con la ruota interna rasenterò le mete1; ma se io ti vedrò durante la corsa, rallenterò e dalle mie mani scivoleranno via le briglie allentate. Perché invano ti tiri indietro? Una linea di divisione ci costringe a stare uniti. Il Circo ha questi vantaggi in base alla legge del luogo2. Ma tu, chiunque tu sia che stai alla sua destra, lascia stare questa fanciulla: ella è infastidita dal contatto del tuo fianco; e anche tu, che siedi dietro di noi, tira indietro le tue gambe, se hai un po' di pudore, e non premere la sua schiena con le tue ginocchia dure. Ma il tuo mantello troppo abbassato tocca a terra: sollevalo, oppure ecco io lo alzo con le mie mani. Eri una veste gelosa, tu che coprivi gambe così belle; e per guardarle di più... eri proprio una veste gelosa3. […]

Ma ormai arriva il corteo4: tacete e fate attenzione; è il momento di applaudire: arriva il corteo splendido. Al primo posto avanza la Vittoria con le ali spiegate: vieni, o dea, e fa’ in modo che questo mio amore trionfi. Applaudite a Nettuno, voi che vi fidate troppo delle onde: col mare io non ho nulla da spartire; mi trattiene la mia terra. Applaudite al vostro Marte, soldati: io odio le armi; amo la pace e l’amore che ho trovato in essa. Apollo assista agli auguri, Diana i cacciatori, attira a te, Minerva, le mani degli artisti. Contadini, alzatevi davanti a Cerere e al giovane Bacco; i pugili si rendano benevolo Pollùce, i cavalieri Castore. Io applaudo alla dolce Venere, e agli amorini esperti nell’arco: concedi il tuo assenso alle mie imprese, o dea, e infondi nella mia nuova signora un sentimento, che si lasci amare; lei annuì e con questo gesto mi diede un segno di benevolenza. Ti prego di promettere anche tu ciò che la dea promise; senza offesa per Venere, tu sarai per me una dea ancor più grande di lei. E ti giuro davanti a tanti testimoni e al corteo degli dei che ti desidero come mia signora per sempre. Ma le tue gambe non poggiano a terra: se ti fa' piacere, puoi appoggiarti con la punta dei piedi alle sbarre. Ma ora il pretore ha fatto uscire le quadrighe5

dei cavalli, il più grande spettacolo, dallo stesso punto di partenza. Vedo per chi fai il tifo; vincerà, chiunque abbia la tua preferenza: sembra che perfino i cavalli sappiano che cosa desideri.” -----------------

1. Colonnetta di forma conica Veduta del Circo Massimo Naumachia intorno a cui giravano i corridori del circo. 2. Al circo, a differenza che nel teatro, ognuno poteva occupare il posto che desiderava, senza alcun vincolo

riguardo al ceto o al sesso. 3. Il poeta si rivolge direttamente alla veste che, gelosa della bellezza della donna, la copre al suo sguardo.

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4. Il poeta si rivolge direttamente alla veste che, gelosa della bellezza della donna, la copre al suo sguardo. Il corteo circense era la sfilata dei corridori che passavano sotto l’arco del trionfo per dirigersi verso la propria postazione di partenza.

5. Le quadrighe erano carri trainati da quattro cavalli.

Veduta del Circo Massimo Naumachia

Magnificenza degli spettacoli di CesareMagnificenza degli spettacoli di CesareMagnificenza degli spettacoli di CesareMagnificenza degli spettacoli di Cesare Svetonio, “Vita dei dodici Cesari”, I, 39

Svetonio riferisce che Cesare, quando faceva ritorno vittorioso dalle campagne militari, era solito allestire giochi e spettacoli per celebrava il suo trionfo; spesso ad essi partecipavano anche cittadini illustri.

Di Gaio Svetonio Tranquillo sono incerti il luogo e il tempo di nascita. E’ probabile che sia nato a Roma intorno al 70 d.C., da una ricca famiglia dell’ordine equestre, e che sia morto nel 140 d.C.

Egli rifiutò la carriera d’amministratore o di soldato, riservata in genere a quelli del suo rango, e consacrò tutta la sua vita a ricerche erudite. Intorno al 120 d.C. riuscì a diventare segretario ad epistulas (incaricato cioè della corrispondenza) al servizio dello imperatore Adriano. Nel 122 Adriano lo allontanò con un pretesto, Svetonio così trascorse gli ultimi anni della sua vita immerso negli studi ed attendendo alla pubblicazione delle sue vaste e numerose opere.

A noi Svetonio è noto soprattutto come autore del De viris illustribus, opera sugli uomini illustri della latinità, e del De vita Caesarum, biografia dei primi dodici imperatori (includendo fra essi anche Cesare), ma abbiamo notizie di molti altri scritti. Tra le sue opere “minori” figura una Historia ludica sui giochi romani.

Edidit spectacula varii generis: munus gladiatorium, ludos etiam regionatim urbe tota et quidem per omnium linguarum histriones, item circenses, athletas, naumachiam. Munere in foro depugnavti Furius Leptinus stirpe praetoria et Q. Calpenus, senator quondam auctor causarum. Pyrricham saltaverunt Asiae Bithyniaeque principum liberi. Ludis Decimus Laberius eques Romanus mimum suum egit, donatusque quingentis sestertiis et anulo aureo, ut sederet in quattuordecim, e scaena per orchestram transiti. Circensibus, spatio circi ab utraque parte produco et in gyrum euripo addito, quadrigas bigasque et equos desultorios agitaverunt nobilissimi iuvenes. Troiam lusit turma duplex, maiorum minorumque puerorum. Venationes editae sunt per dies quinque, ac novissime pugna divisa in duas acies, quingenis peditibus, elephantis vicenis, tricenis equitibus, hinc et inde commissis. Nam quo laxius dimicaretur, detractae metae et in locum earum bina castra exadversum constitua erant. Athletae, stadio ad tempus extructo regione Martii campi, certaverunt per triduum.

Navali proelio, in minore Codeta defosso lacu, biremes ac triremes quadriremesque Tyriae et Aegyptiae classis magno pugnatorum numero conflixerunt. Ad omnia spectacula tantum undique

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confluxit hominum, ut plerique advenae aut inter vicos aut inter vias tabernaculis positis manerent ; ac paene prae turba elisi exanimatique sunt plurimi et in his duo senatores.

“Cesare allestì spettacoli di vario tipo: un combattimento fra gladiatori, rappresentazioni teatrali anche per quartieri in tutta la città e persino con attori di tutte le lingue, e inoltre giochi circensi, gare atletiche e una naumachia1. Furio Leptino di stirpe pretoria e Quinto Calpeno, un tempo senatore e avvocato, sono scesi in campo durante il combattimento nel foro. Figli di principi dell’Asia Minore e della Britannia ballarono la pirrica2. Durante i giochi il cavaliere Romano Decimo Laberio3 recitò un suo mimo, gli vennero dati in premio cinquecento sesterzi e un anello d’oro, dalla scena andò a sedersi nelle quattordici file4, passando attraverso l’orchestra5. Durante i giochi del circo nell’arena allungata da entrambi le parti e dotata tutto intorno di un fossato pieno d’acqua, giovani della migliore nobiltà guidarono quadrighe, bighe, cavalli per cavallerizzi6. Un gruppo diviso in due, uno di fanciulli e uno di ragazzi, eseguì il ludo di Troia7.”

Le cacce si svolsero per cinque giorni e alla fine ci fu un combattimento tra due schieramenti, opponendo fra loro cinquecento fanti, venti elefanti, trenta cavalieri per volta da entrambe le parti. Infatti per lasciare maggior spazio al combattimento erano state tolte le mete e al loro posto erano stati messi due accampamenti posti l’uno di fronte all’altro. Gli atleti gareggiarono per tre giorni, in uno stadio costruito per l’occasione nel Campo di Marte8. Per la battaglia navale fu scavato un bacino nella Codeta9 più piccola: si scontrarono tra loro biremi, triremi e quadriremi della flotta di Tiro e dell’Egitto con un gran numero di combattenti. E a tutti questi spettacoli accorse da ogni parte così tanta gente che molti stranieri alloggiarono, piantando delle tende per i vicoli e per le strade; a causa della ressa molti quasi rimasero schiacciati e morirono e tra questi anche due senatori.”

------------------ 1. Battaglia navale. 2. Danza guerresca degli Spartani 3. Poeta di mimi nell’età di Cesare. 4. Le prime quattordici file delle gradinate, riservate ai cittadini dell’ordine dei cavalieri. 5. Il luogo più ragguardevole del teatro, corrispondente all’odierna platea, riservato ai senatori . 6. Cavalli addestrati su cui i cavallerizzi (desultores) saltavano dall’uno all’altro in corsa. 7. Antichissima gara di velocità tra due squadre di giovani cavalieri, la cui istituzione era collegata ai ludi tenuti da

Enea in onore di Anchise. 8. Luogo di comizi, esercitazioni militari, esercizi ginnici e gare. 9. Le Codete erano terreni posti al di là del Tevere, così chiamati perché vi crescevano erbe somiglianti a code di

cavallo (caudae).

Raffigurazione di una caccia Naumachia su moneta

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Importanza dei ludi gladiatoriiImportanza dei ludi gladiatoriiImportanza dei ludi gladiatoriiImportanza dei ludi gladiatorii Plinio il Giovane, Epistulae, VI, 34

In questa lettera, indirizzata ad un suo caro amico, Plinio spiega il suo punto di vista sull’allestimento di combattimenti tra gladiatori.

Plinio il giovane (Gaio Cecilio Secondo) nacque a Como nel 61 da una facoltosa famiglia di rango equestre. Alla morte del padre fu adottato dallo zio Plinio il Vecchio che gli diede il proprio nome. Studiò a Roma sotto la guida del famoso oratore Quintiliano. Fu avvocato e uomo politico sotto i Flavi, console nel 100 e poi governatore della Bitinia sotto Traiano, che celebrò nel magniloquente “Panegirico”. Morì probabilmente nel 112.

Nell’ “Epistolario”, in 10 libri, annotò fatti di interesse pubblico e privato, che ci offrono uno spaccato della società del tempo. Notevole storicamente il X libro, comprendente il carteggio di Plinio con Traiano sulla situazione giuridica dei cristiani; tra le lettere di maggiore interesse va inoltre ricordata l’epistola all'amico Publio Cornelio Tacito, che narra l’eruzione del Vesuvio in cui perse la vita lo zio Plinio il Vecchio.

Plinio appare nelle lettere come un generoso filantropo, interessato alle attività culturali, alle arti e all'architettura.

C. PLINIUS MAXIMO SUO S. Recte fecisti quod gladiatorium munus Veronensibus nostris promisisti, a quibus olim amaris, suspiceris, ornaris. Inde etiam uxorem carissimam tibi et probatissimam habuisti, cuius memoriae aut opus aliquod aut spectaculum atque hoc potissimum, quod maxime funeri, debebatur. Praeterea tanto consensu rogabari, ut negare non constans, sed durum videretur. Illud quoque egregie, quod tam facilis tam liberalis in edendo fuisti; nam per haec etiam magnus animus ostenditur. Vellem Africanae, quas coemeras plurimas, ad praefinitum diem occurrissent: sed licet cessaverint illae tempestate detentae, tu tamen meruisti ut acceptum tibi fieret, quod quo minus exhiberes, non per te stetit. Vale.

“Caio Plinio invia i suoi saluti al caro Massimo.

Hai fatto bene a promettere un allestimento di combattimenti tra gladiatori ai nostri Veronesi, che già da molto tempo ti vogliono bene, ti ammirano, ti rendono omaggio. Di là hai ricevuto anche una moglie a te carissima e irreprensibile: al suo ricordo si doveva dedicare una qualche costruzione o uno spettacolo e questo più di ogni altro, perché adatto ad una celebrazione funebre. Inoltre la richiesta ti era rivolta in modo così concorde che dire di no sembrava non segno di carattere, ma di insensibilità. Infatti la grandezza d’animo si mostra anche attraverso queste cose. Avrei voluto che fossero arrivate per il giorno fissato le bestie africane che avevi comprato in gran numero. Ma, anche se sono mancate perché bloccate dalla tempesta, tu hai comunque il diritto che ti sia riconosciuta a merito quell’attrazione che non dipese da te non poter presentare. Sta’ bene.”

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Diversi spettacoli offerti nei ludi: gladiatori, cacce ed esecuzioni di condannati

Scontri durante uno spettacolo di gladiatoriScontri durante uno spettacolo di gladiatoriScontri durante uno spettacolo di gladiatoriScontri durante uno spettacolo di gladiatori Tacito, Annales, XIV, 17

Il brano ci offre un resoconto dei gravi disordini verificatisi tra il pubblico che assisteva ad uno spettacolo di gladiatori a Pompei nel 59 d.C.: tali episodi erano purtroppo frequenti e ciò spiega la durezza con cui vengono puniti dall’imperatore.

Publio Cornelio Tacito (55 - 120 d. C) probabilmente nacque nella Gallia Narbonese (ma forse a Terni o a Roma), da una ricca famiglia del rango equestre. Studiò a Roma e divenne presto famoso come oratore. Divenne anche amico di Plinio il Giovane. Iniziò la carriera politica sotto Vespasiano e poi sotto Tito e Domiziano. Poté però dedicarsi alla carriera letteraria solo dopo la morte dell’ultimo dei Flavi. Fu questore nell’81-82, pretore nell’88 e nel 97 divenne console sotto Nerva. Abbandonata in seguito l’oratoria, si dedicò solamente alla ricerca storica. Il primo degli scritti di Tacito in ordine cronologico fu il “Dialogo degli oratori” (81 d.C.); seguirono poi a breve intervallo nel 98 la “Vita di Agricola” e la monografia geografico-etnogra- fica sulla Germania; da ultimo, nella piena maturità, vennero composte le Hitoriae e gli Annales (14 o 12 le “Storie”, 16 o 18 gli “Annali”), che narrano gli avvenimenti del primo secolo dell'età imperiale, dalla morte di Augusto a quella di Domiziano (14-96 d.C.).

Sub idem tempus levi inizio atrox caedes orta inter colonos Nucerinos Pompeianosque gladiatorio spectaculo, quod Livineius Regulus edebat. Quippe oppidana lascivia invicem incessantes probra, dein saxa, postremo ferrum sumpsere, validiore Pompeianorum plebe, apud quos spectaculum edebatur. Ergo deportati sunt in urbem multi e Nucerinis trunco per vulnera corpore, ac plerique liberorum aut parentum mortes deflebant. Cuius rei iudicium princeps senatui, senatus consulibus permisit. Prohibiti publice in decem annos eius modi coectus, collegiaque, quae contra leges instituerant, dissoluta. Livineius et qui seditionem conciverant exilio multati sunt.

“Pressappoco nello stesso periodo ci fu un violento massacro per un futile motivo tra gli abitanti di Nocera e quelli di Pompei durante uno spettacolo di gladiatori che organizzava Livineio Regolo. Infatti con la rudezza tipica dei provinciali si lanciavano insulti, poi sassi e infine usarono le armi; ebbero la meglio quelli di Pompei presso i quali era organizzato lo spettacolo. Così molti di quelli di Nocera furono riportati nella loro città con il corpo mutilato per le ferite, e parecchi piangevano la morte dei figli e dei genitori. Il principe1 affidò il compito di accertare le responsabilità di questo incidente al senato e il senato ai consoli. Furono pubblicamente vietate per dieci anni simili manifestazioni a Pompei e vennero sciolte le associazioni che si erano costituite illegalmente. Livineio e coloro che avevano provocato il disordine furono condannati all’esilio.”

----------------- 1. Si tratta di Nerone, che regnò dal 54 al 68 d.C.