giordano bruno - epistole italiane - a cura di stefano ulliana (file definitivo

283

Upload: stefano-ulliana

Post on 19-Jun-2015

615 views

Category:

Documents


9 download

DESCRIPTION

Analisi e commento dei "Dialoghi Italiani" di Giordano Bruno.

TRANSCRIPT

Page 1: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo
Page 2: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo
Page 3: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

GIORDANO BRUNO

EPISTOLE ITALIANE

Introduzione, note e commento

di Stefano Ulliana

MIMESIS

Page 4: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

© 2006 – Associazione Culturale Mimesisvia Mario Pichi 3 – 20143 MilanoCF.: 97078240153; P. IVA: 10738360154.telefax: +39 02 89403935Per urgenze: +39 347 4254976E-mail: [email protected] e sito Internet: www.mimesisedizioni.itTutti i diritti riservati.

Page 5: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

INDICE

INTRODUZIONE p. 7

CENA DE LE CENERI p. 15Commento p. 23

DE LA CAUSA, PRINCIPIO E UNO p. 37Commento p. 49

DE L’INFINITO, UNIVERSO E MONDI p. 75Commento p. 93

SPACCIO DE LA BESTIA TRIONFANTE p. 131Commento p. 147

CABALA DEL CAVALLO PEGASEO p. 183Commento p. 199

DE GLI EROICI FURORI p. 213Commento p. 231

CONCLUSIONI PRATICHE p. 265

PICCOLA BIBLIOGRAFIA BRUNIANA p. 275

Page 6: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo
Page 7: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

INTRODUZIONEL’attualità della speculazione bruniana

I Dialoghi morali – Spaccio de la Bestia trionfante, Cabala del Cavallopegaseo (con l’Aggiunta dell’Asino cillenico), De gli Eroici furori – costi-tuiscono nelle intenzioni di Giordano Bruno il tentativo – meravigliosamen-te riuscito – di portare a frutto in ambito etico-politico e religioso le argo-mentazioni escogitate e sviluppate nei Dialoghi metafisico-cosmologici –Cena de le Ceneri; De la Causa, Principio e Uno; De l’Infinito, Universo emondi. Pertanto l’opera in volgare del filosofo nolano dimostra con persi-stente ed instancabile continuità la propria unità e la propria coerenza inter-na. Quella speciale coerenza interna che pare prorompere, sia a livello teo-retico che pratico, sin dalle prime opere bruniane in latino a noi giunte: ilDe umbris idearum e il Cantus Circaeus (1582).

Se qui infatti il tema dell’apertura della relazione di possibilità venivaprima teoreticamente accennato e poi praticamente sviluppato,1 nei testidialogici in volgare l’autore nolano moltiplica la valenza ed il peso dell’in-novazione speculativa introdotta, rispetto alla tradizione neoplatonico-ari-stotelica, accentuando progressivamente i tratti della sua nuova (antica)scoperta: l’affermazione dell’infinito creativo e dialettico.

Il concetto dell’infinito creativo e dialettico permette infatti a GiordanoBruno di procedere oltre la schematizzazione proposta da Nicola Cusano,per dare finalmente consistenza al passaggio dall’infinito astratto all’infini-to concreto. Se nelle opere che da Giovanni Gentile in avanti vengono tra-dizionalmente – ma anche con modernistica semplificazione – riferite adargomenti ontologico-naturalistici il filosofo nolano prepara e sviluppa,prima il concetto della relazione in movimento (Cena de le Ceneri), poi ladefinizione del rapporto dialettico così instaurato (De la Causa, Principio eUno), e se alla fine del suo primo tragitto speculativo queste argomentazio-

7

1 S. ULLIANA, Il De umbris idearum di Giordano Bruno. Commento integrale. Aracne,Roma 2005.

Page 8: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

ni gli consentono la determinazione del proprio Universo etico-fisico (Del’Infinito, Universo e mondi), all’inizio del suo secondo tragitto filosofico –quello che lo porterà alla definizione della propria concezione etico-politi-ca e religiosa – il progresso della sua riflessione sarà subito costretto adaggredire il cardine ed il principio della tradizione politica neoplatonico-aristotelica: la concezione dell’Uno, necessario e d’ordine (Spaccio de laBestia trionfante). Di qui essa dovrà procedere ed inoltrarsi in un imperviocammino, che le imporrà la revisione e la rivoluzione del concetto di mate-ria e di potenza (Cabala del Cavallo pegaseo). Infine il tragitto argomenta-tivo bruniano potrà fermarsi e momentaneamente acquietarsi – prima diriprendere ed approfondirsi, sia sul lato materiale che in quello spirituale,nelle successive opere in latino – nella definizione del rapporto fra potenzaed atto e nella costituzione alla visione soprannaturale dell’atrio stesso delladivinità, figura ed immagine interna alla medesima (De gli Eroici furori).

Un contenuto, dunque, quello delle opere in volgare che non può nonessere considerato centrale nello sviluppo della riflessione bruniana. Delresto a dimostrare la valenza e la funzione di queste opere sta – oltre la lorocollocazione fra i primi testi in latino e le argomentazioni successivamenteespresse nella lingua universale dei dotti – proprio il fatto che l’autore nola-no predisponga in testi dall’elevato valore didattico (ed autodidattico) – eper ciascuno di essi – una piccola e breve introduzione, sotto forma diEpistola dedicatoria od esplicativa. Sembra quasi che lo spirito di Bruno,passato attraverso la difficile e progressiva fuoriuscita dal dettato neoplato-nico ed aristotelico – traccia di questo superamento compare nella stessalettera dedicatoria a Philip Sidney degli Eroici furori – alla determinazionedel proprio nuovo – ed antico, nei suoi riconosciuti debiti filosofici con ipensatori presocratici – presupposto teologico, naturale e politico, voglia edesideri, oppure senta la necessità, sia personale che didattica, di svelare inuclei più importanti di questo passaggio, di questa trasformazione e rivo-luzione, nel contempo speculativa e pratica.

Perché di rivoluzione si tratta, in ogni caso. La modernità si aprirà infat-ti cercando di negare, di eliminare sino in fondo, la possibilità teoretica epratica indicata da Bruno, sviluppando – quasi per una sorta di volutadimenticanza e censura (autocensura) – una doppia, ma concorrente, lineadi sviluppo: una nuova tradizione metafisica dell’oggettività ed una nuovatradizione metafisica della soggettività che, pur apparentemente rivali fraloro, si guarderanno bene dal rimettere a tema, ad analisi ed argomentazio-ne i problemi suscitati dal frate ex-domenicano. Come se questi fosseroquindi dei veri e propri tabù filosofici, per una classe intellettuale che –tranne rari esempi (Spinoza) – sembra accettare senza eccessiva critica oconsapevolezza gli effetti della ricomposizione sociale in atto, la nuovafusione fra le forze spirituali ed istituzionali assolutiste e le istanze materia-

8

Page 9: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

li della nuova classe emergente: la borghesia cittadina (commerciale efinanziaria) dei paesi e delle nazioni occidentali (Francia, Inghilterra, PaesiBassi).

Passato attraverso le forche caudine di questa nuova alleanza proprio inambiente inglese,2 Giordano Bruno avverte i pericoli di questo nuovo edincombente progetto per l’egemonia, sia dal punto di vista culturale checivile. Così non può che combatterlo – e lo combatte strenuamente, nellesue opere in volgare, scritte e pubblicate a Londra tra il 1584 ed il 1585,così dannatamente scandalose per gli ambienti accademici di quella nazio-ne – sino ad impegnare tutto se stesso e tutta la propria vita e la stessa esi-stenza in un combattimento impari, che gli chiederà il prezzo alla fine – inun contesto diverso – della propria stessa sopravvivenza fisica, immortalan-done di riflesso il pensiero e la riflessione, insieme alla propria indomita,personale, coscienza e libertà.

Così il lascito ed il patrimonio bruniano ha atteso – si potrebbe dire quasiin sonno – lungamente durante i secoli una trasformazione intellettuale ecivile che tardava a compiersi – come direbbe lui stesso: non per tutti e nonsempre – restando la funzione della comprensione ed azione razionale nelmondo – in questo periodo sempre più aristotelicamente unico, di quantonon lo fosse nel passato – essenzialmente vitale per quel nascente progettodi egemonia mondiale che oggi assume la definizione di globalizzazionecapitalistica. Poche le correnti filosofiche ed i singoli pensatori che neriecheggiarono in parte le movenze di pensiero e le finalità pratiche, e tuttecombattute o messe ai margini dalle posizioni intellettuali che aderironocon consapevolezza e volontà, o non avversarono più di tanto, quel proget-to di egemonia: il movimento libertino; poi i movimenti più rivoluzionaridell’Inghilterra del ‘600, come per esempio il New Model Army; natural-mente la figura isolata di Spinoza; poi il deismo inglese, soprattutto nellafigura di Toland; alcune importanti figure del periodo romantico, comeGoethe, Coleridge, Schelling; quindi Schopenhauer, e nella tradizione del-l’hegelismo di sinistra Feuerbach, per giungere sino al comunismo di KarlLiebknecht od alla speculazione di Ernst Bloch. Così di fronte alla crisi delpositivismo scientifico della seconda metà del XIX secolo e del riflesso chepareva comportare per ogni prospettiva di razionalità, l’infinito creativo edialettico bruniano poteva essere portato in auge solamente dalle avanguar-die culturali e politiche occidentali, prima della definitiva crisi indotta dallamodernità stessa tramite i due conflitti mondiali. Non ancora uscita dallacrisi indotta, la modernità post-bellica si ritrovava così a riproiettare di fron-

9

2 F. RAIMONDI, La Repubblica dell’assoluta giustizia. La politica di Giordano Bruno inInghilterra. ETS, Pisa 2003.

Page 10: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

te e davanti a sé i due filoni della metafisica dell’oggettività e della sogget-tività, proprio attraverso ciò che occlude e decapita in anticipo la visione ela prassi del presupposto bruniano: la concezione di uno Stato eticamentefondato o giustificato, nella sua versione socialista ed in quella liberale.Eguaglianza senza libertà e libertà con un’eguaglianza solamente formalecombatterono allora dopo il secondo conflitto mondiale per l’impossessa-mento, totale e definitivo, per il dominio ed il controllo, di un mondo cosìunico da rinverdire i fasti – e nefasti – della più antica tradizione neoplato-nico-aristotelica. Facile fu, inevitabilmente, la vittoria del secondo conten-dente, dove almeno l’apparenza superiore della libertà, pur nella sua astrat-tezza e strumentalità, poteva almeno espletare per la libertà personale la fin-zione di una ragione di completezza ed integralità .

La vittoria del contendente liberale doveva però portare in campo – comeporta attualmente in campo – la virtù nascosta ed originaria della moderni-tà: dare alla finzione della completezza ed integralità della libertà persona-le l’antico valore premoderno della separazione e della differenza. Farerisorgere l’antico prospetto neopitagorico-aristotelico del periodo inglese diGiordano Bruno, per ribadire la necessità di un atto prioritario e di unapotenza ad esso gerarchicamente subordinata. In questo contesto la riattua-lizzazione delle argomentazioni bruniane – in particolar modo di quelleportate dalla Cabala del Cavallo pegaseo, con la loro carica ironica e bef-farda nei confronti del progetto di costituzione ordinata e gerarchica delmondo – non possono non far ancora tremare di sdegno e di scandalo gliesegeti e cultori del Nuovo Ordine mondiale, così simili in immagine efigura, argomentazioni e comportamenti, ai cortigiani del periodo bruniano.

Ora pare infatti giungere a conclusione il sistema del mondo preparatolungo tutti i secoli dalla modernità stessa, attraverso la necessaria espunzio-ne dalla storia e soprattutto dalla memoria – pericolosamente sempre arti-stica, come aveva scoperto Bruno, sin dal suo De umbris idearum – di tuttequelle anomalie o scarti diversivi e pericolosi, che hanno sì apparentemen-te portato il sistema stesso a progredire, ma hanno nel contempo costituito– soprattutto per il tempo presente e futuro – un’occasione rivoluzionaria:a partire dalla Rivoluzione sovietica del 1917 e regredendo sino allaRivoluzione francese del 1789-92/3, per giungere a ritroso appunto sino algiusnaturalismo del ‘600, la volontà intellettuale moderna ora egemone –l’ideologia iper-borghese della simbolicità dell’Uno, necessario e d’ordine,della civiltà occidentale – procede alla sradicazione, abrasione ed espulsio-ne di qualsiasi spazio e tempo di vitale – libera ed eguale – comunanza efratellanza, umana e naturale. Nella fase definitivamente regressiva dellaguerra infinita e preventiva, la civiltà occidentale è giunta conclusivamente– ed in modo apparentemente fatale – ad identificare l’infinito astratto dellatradizione neoplatonico-aristotelica con la volontà attuale di terrorizzare e

10

Page 11: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

distruggere ogni parvenza di movimento apparentemente estraneo ed auto-nomo. Nel mondo unico abitato dal principio capitalistico del profitto certoed assicurato, necessario, la sola logica capace di mantenere e conservare invita il sistema che di ciò si alimenta e prospera è la logica della sopraffazio-ne preventiva, mentre l’unico strumento destinato a realizzarla si mostradefinitivamente come lo strumento delle armi e della distruzione selettiva(culturale, socio-economica, istituzionale ed infine, come extrema ratio,fisica e collettiva). Contraddizione ed opposizione vengono allora delegit-timate e criminalizzate nella propria reale esistenza ed idealità, per essereassunte e neutralizzate entro una cornice predisposta ad attutirne gli urti, lepulsioni e, soprattutto, le dinamiche. Per questo la neutralizzazione preven-tiva operata dal diritto iper-borghese internazionale non può non restringe-re in maniera sempre più asfissiante ogni spazio e tempo che, tenacemente,desiderino continuare ad essere abitati da una concezione e da una praticavitale – ancora, libera ed eguale – della convivenza, umana e naturale.Specchio riflesso di questa costituzione legalistica e formale, tendente ora-mai ad una piena e totale fascistizzazione del diritto, e supporto di reazio-nario consenso è poi la civiltà materiale che quel progetto egemonico edi-fica e continuamente elabora e costruisce, nell’intento di occupare tutti glispazi dell’immaginazione singola e collettiva: qui l’infinito astratto dellatradizione neoplatonico-aristotelica ridiventa il motore di un costante e diu-turno perseguimento simbolico. L’integro e l’integrale, pretesi ed offertidalla figura ed immagine dell’Uno necessario e d’ordine della civiltà occi-dentale, scavano un fossato ed una frattura, un vero e proprio Vallo diAdriano, nei confronti delle nuove minacce e dei nuovi barbari, stanziati aiconfini dell’Impero, ma anche oramai penetrati nelle pieghe più interne delmedesimo tessuto connettivo economico-sociale mondiale.

Di fronte ad una salvezza di nuovo totalmente a rischio per effetto del-l’irriducibile molteplicità della materia mondiale – la diversità dei popoli edelle culture – la nuova forma universale, che congiunge la potenza dellaproduzione con la virtù della sua attuale finanziarizzazione economica iper-capitalistica, innalza una torre di separazione ed una differenza ultima – laclasse mondiale dei proprietari e degli azionisti – per determinare e defini-re l’estremo rifugio e salvezza del profitto capitale, al di là e al di fuori dellatemuta annichilazione. Così di fronte alla scelta fra inclusione necessaria opossibile esclusione – con la terribile persuasione indotta dal terrore delladistruzione certa ed assicurata – da questo mondo di nuovo unico, dove solola sofferenza pare restare l’unica modulata necessità comune, può stagliar-si e farsi all’opposto valere la reale e rivoluzionaria alternativa costituita dalrichiamo, dal suono e dal canto circeo, dal sogno utopico – ma tremenda-mente reale nella sua eventuale negazione – rappresentato dall’attualizza-zione del presupposto teologico, politico e naturale bruniano. Quella attua-

11

Page 12: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

lizzazione che i movimenti culturali, teorici e pratici, nati alla metà deglianni ‘60 del secolo XX hanno già iniziato a compiere e che i successivi svi-luppi delle filosofie o delle scienze umane e naturali hanno contribuito a farprogredire. Considerazione e definizione dell’inconscio come insiemi infi-niti (Matte Blanco), teoria delle stringhe (supersimmetria), filosofia e logi-ca della paraconsistenza, matematiche della non-linearità e della comples-sità, teologie della liberazione e della partecipazione collettiva, movimentialtermondialisti: tutte queste correnti intellettuali e pratiche possono ritro-vare spazio e tempo di libera agibilità entro il presupposto bruniano, che intal modo offre uno stabile e rivoluzionario riferimento di civiltà.

Natura ed Anima, nella loro interpretazione bruniana, paiono infatti poterslanciare finalmente un presupposto teologico, naturale e politico rovesciatoed opposto rispetto a quello continuamente tramandato dalla tradizione neo-platonico-aristotelica (la severiniana “follia dell’Occidente”). Con un ritor-no ed una ripresa delle argomentazioni care ai pensatori presocratici ed unarivoluzione nella concezione dello Spirito3 Giordano Bruno costituiva ecostituisce tutt’ora una splendida occasione per una modernità diversa4 daquella che poi pare essersi effettivamente realizzata e sviluppata. Ora, final-mente e definitivamente, in tutte le sue dilaceranti separazioni ed esizialicontraddizioni. Un’occasione di modernità che però ora ha la possibilità diriapparire, proprio nella sua virtù e nella sua tensione risolutrice.

Così all’indagine teologica spetta quella preminenza che potrà garantire –secondo lo stesso costume bruniano – frutti fecondi anche sul piano di que-gli schemi culturali che siamo usi predisporre, per leggere ed interpretare siala realtà che chiamiamo, generosamente, Natura sia quella che, affettuosa-mente, denominiamo con i termini di Anima e Ragione. Conseguentementel’aspetto teologico, quello politico e quello naturale non saranno mai presen-tati in maniera distinta e separata nelle osservazioni che qui accompagnanoi testi delle Epistole bruniane, superando in tal modo quella visione interpre-tativa di tipo modernista che, dopo avere separato i testi fisico-ontologici daquelli politico-morali e religiosi, non riusciva più a ritrovare il filo condut-tore dell’intera opera bruniana in volgare, addebitandole addirittura quellecontraddizioni che erano invece dovute unicamente ad un difetto di appro-fondimento e di ampliamento dell’orizzonte interpretativo, esso stesso rin-chiuso e cattivato entro il necessario predominio – in ambiente accademicoed universitario – della tradizione neoplatonico-aristotelica.

12

3 S. ULLIANA, Il concetto creativo e dialettico dello Spirito nei Dialoghi Italiani diGiordano Bruno. Il confronto con la tradizione neoplatonico-aristotelica: il testo bru-niano De l’Infinito, Universo e mondi. Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2003.

4 S. ULLIANA, Una modernità mancata: Giordano Bruno e la tradizione aristotelica.Armando Editore, Roma 2004.

Page 13: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

Premessa metodologica.

Il lavoro di analisi e di commento operato sulle Epistole bruniane intro-duttive, che viene qui presentato, rientra nel progetto di costituire una formaquasi plastica di precomprensione virtuale, che possa essere utilizzata qualestrumento per l’impossessamento anticipato del senso e del significato com-plessivo dei sei Dialoghi Italiani di Giordano Bruno. Senza pretendere divoler costruire una trappola perfetta, questo lavoro però tenta di rilevare isentieri alti e profondi della gigantesca filosofia bruniana, senza mai perde-re di vista la loro perfetta e coerente tracciabilità. Per questo esso vale sem-plicemente quale ipotesi interpretativa per un successivo lavoro di analisi edi conferma (o di modificazione e confutazione), che dovrà essere teso alriesame analitico di tutti e sei i dialoghi in oggetto. Solamente alla conclu-sione di quest’ultimo lavoro, che qui viene comunque predisposto, si potràdire se il sarto avrà cucito un vestito non troppo stretto all’animale, apparen-temente selvaggio ed indomabile, rappresentato dal pensiero bruniano.

In rapida successione verranno pertanto presentate ed analizzate leEpistole introduttive dei seguenti testi bruniani: La cena de le Ceneri(Londra, 1584); De la Causa, Principio e Uno (Londra, 1584); Del’Infinito, Universo e mondi (Londra, 1584); Spaccio de la Bestia trionfan-te (Londra, 1584); Cabala del Cavallo pegaseo (con l’Aggiunta dell’Asinocillenico) (Londra, 1585); De gli Eroici furori (Londra, 1585). Di seguitoverranno infine disposte le conclusioni e le ultime personali osservazioni.

13

Page 14: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

AVVERTENZA

L’edizione dei Dialoghi bruniani qui utilizzata è quella curata daG.Gentile e G.Aquilecchia (Firenze, Sansoni, 19583, 1985 ristampa), allaquale si rinvia per i riferimenti testuali posti in nota ai commenti dalcuratore.

Stefano Ulliana

Page 15: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

15

IEPISTOLA INTRODUTTIVA

LA CENA DE LE CENERI

AL MAL CONTENTO.

Se dal cinico dente sei trafitto,Lamentati di te, barbaro perro;

Ch’invan mi mostri il tuo baston e ferro,Se non ti guardi da farmi despitto.Perché col torto mi venesti a dritto,Però tua pelle straccio, e ti disserro;

E s’indi accade ch’il mio corpo atterro,Tuo vituperio è nel diamante scritto.

Non andar nudo a tôrre a l’api il mele;Non morder, se non sai s’è pietra o pane;

Non gir discalzo a seminar le spine.Non spreggiar, mosca, d’aragne le tele;

Se sorce sei, non seguitar le rane;Fuggi le volpi, o sangue di galline.

E credi a l’Evangelo,Che dice di buon zelo:

Dal nostro campo miete penitenzaChi vi gittò d’errori la semenza.

Page 16: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

PROEMIALE EPISTOLASCRITTA

ALL’ILLUSTRISSIMO ED ECCELLENTISSIMOSIGNOR DI MAUVISSIERO

cavalier de l’Ordine del Re e Conseglier del suo privatoConseglio,

Capitano di cinquant’uomini d’arma, Governator generale di S. Desiderio

ed Ambasciator di Francia in Inghilterra.

Or eccovi, Signor, presente, non un convito nettareo del’Altitonante, per una maestà; non un protoplastico, per una umanadesolazione; non quel d’Assuero, per un misterio; non di Lucullo,per una ricchezza; non di Licaone, per un sacrilegio; non di Tieste,per una tragedia; non di Tantalo, per un supplicio; non di Platone,per una filosofia; non di Diogene, per una miseria; non de le san-guisughe, per una bagattella; non d’un arciprete di Pogliano, peruna bernesca; non d’un Bonifacio candelaio, per una comedia; maun convito sí grande, sí picciolo; sí maestrale, sí disciplinale; sísacrilego, sí religioso; sí allegro, sí colerico; sí aspro, sí giocondo;sí magro fiorentino, sí grasso bolognese; sí cinico, sí sardanapale-sco; sí bagattelliero, sí serioso; sí grave, sí mattacinesco; sí tragico,sí comico; che, certo, credo che non vi sarà poco occasione da dove-nir eroico, dismesso; maestro, discepolo; credente, mescredente;gaio, triste; saturnino, gioviale; leggiero, ponderoso; canino, libera-le; simico, consulare; sofista con Aristotele, filosofo con Pitagora;ridente con Democrito, piangente con Eraclito. Voglio dire: dopoch’arrete odorato con i peripatetici, mangiato con i pitagorici, bevu-to con stoici, potrete aver ancora da succhiare con quello che,mostrando i denti, avea un riso sí gentile, che con la bocca toccaval’una e l’altra orecchia. Perché, rompendo l’ossa e cavandone lemidolla, trovarete cosa da far dissoluto san Colombino, patriarca degli Gesuati, far impetrar qualsivoglia mercato, smascellar le simie eromper silenzio a qualsivoglia cemiterio.

Mi dimandarete: che simposio, che convito è questo? È una cena.Che cena? De le ceneri. Che vuol dir cena de le ceneri? Fuvi postoforse questo pasto innante? Potrassi forse dir qua: cinerem tamquam

16

Page 17: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

17

panem manducabam? Non, ma è un convito fatto dopo il tramontardel sole, nel primo giorno de la quarantana, detto da’ nostri pretidies cinerum, e talvolta giorno del memento. In che versa questoconvito, questa cena? Non già in considerar l’animo ed effetti delmolto nobile e ben creato sig. Folco Grivello, alla cui onorata stan-za si convenne; non circa gli onorati costumi di que’ signori civilis-simi, che, per esser spettatori ed auditori, vi furono presenti; macirca un voler veder quantunque può natura in far due fantastichebefane, doi sogni, due ombre e due febbri quartane: del che, mentresi va crivellando il senso istoriale, e poi si gusta e mastica, si tiranoa proposito topografie, altre geografice, altre raziocinali, altre mora-li; speculazioni ancora, altre metafisiche, altre matematiche, altrenaturali.

Argomento del primo dialogo.

Onde vedrete nel primo dialogo proposti in campo doi suggetticon la raggion di nomi loro, se la vorrete capire; secondo, in grazialoro, celebrata la scala del numero binario; terzo, apportate le con-dizioni lodabili della ritrovata e riparata filosofia; quarto, mostratodi quante lodi sia capace il Copernico; quinto, postivi avanti glifrutti de la nolana filosofia, con la differenza tra questo e gli altrimodi di filosofare.

Argomento del secondo dialogo.

Vedrete nel secondo dialogo: prima la causa originale de la cena;secondo, una descrizion di passi e di passaggi, che più poetica e tro-pologica, forse, che istoriale sarà da tutti giudicata; terzo, comeconfusamente si precipita in una topografia morale, dove par che,con gli occhi di Linceo quinci e quindi guardando (non troppo fer-mandosi) cosa per cosa, mentre fa il suo camino, oltre che contem-pla le gran machine, mi par che non sia minuzzaria, né petruccia, nésassetto, che non vi vada ad intoppare. Ed ciò fa giusto com’un pit-tore; al qual non basta far il semplice ritratto de l’istoria; ma anco,per empir il quadro, e conformarsi con l’arte a la natura, vi depingede le pietre, di monti, de gli arbori, di fonti, di fiumi, di colline; e vi

Page 18: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

18

fa veder qua un regio palaggio, ivi una selva, là un straccio di cielo,in quel canto un mezo sol che nasce, e da passo in passo un ucello,un porco, un cervio, un asino, un cavallo: mentre basta di questo farveder una testa, di quello un corno, de l’altro un quarto di dietro, dicostui l’orecchie, di colui l’intiera descrizione; questo con un gestoed una mina, che non tiene quello e quell’altro, di sorte che conmaggior satisfazione di chi remira e giudica viene ad istoriar, comedicono, la figura. Cossì, al proposito, leggete e vedrete quel chevoglio dire. Ultimo, si conclude quel benedetto dialogo con l’essergionto a la stanza, esser graziosamente accolto e cerimoniosamenteassiso a tavola.

Argomento del terzo dialogo.

Vedrete il terzo Dialogo, secondo il numero de le proposte del dot-tor Nundinio, diviso in cinque parti. De quali la prima versa circa lanecessità de l’una e de l’altra lingua. La seconda esplica l’intenzio-ne del Copernico, dona risoluzione d’un dubio importantissimo circale fenomie celesti, mostra la vanità del studio di perspettivi ed opti-ci circa la determinazione della quantità di corpi luminosi, e porgecirca questo nuova, risoluta e certissima dottrina. La terza mostra ilmodo della consistenza di corpi mondani; e dechiara essere infinitala mole de l’universo, e che invano si cerca il centro o la circonfe-renza del mondo universale, come fusse un de’ corpi particulari. Laquarta afferma esser conformi in materia questo mondo nostro, ch’èdetto globo della terra, con gli mondi, che son gli corpi degli altriastri; e che è cosa da fanciulli aver creduto, e credere, altrimente; eche quei son tanti animali intellettuali; e che non meno in quellivegetano ed intendono molti ed innumerabili individui semplici ecomposti, che veggiamo vivere e vegetar nel dorso di questo. Laquinta, per occasion d’un argomento ch’apportò Nundinio al fine,mostra la vanità di due grandi persuasioni, con le quali, e simili,Aristotele ed altri son stati acciecati sí, che non veddero esser vero enecessario il moto de la terra; e sono stati sí impediti, che non hanpossuto credere quello esser possibile; il che faccendosi, vengonodiscoperti molti secreti de la natura sin al presente occolti.

Page 19: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

19

Argomento del quarto dialogo.

Avete al principio del quarto dialogo mezzo per rispondere a tutteraggioni ed inconvenienti teologali, e per mostrar questa filosofiaesser conforme alla vera teologia e degna d’esser faurita da le verereligioni. Nel resto vi se pone avanti uno, che non sapea né dispu-tar, né dimandar a proposito; – il quale per esser più impudente edarrogante pareva a gli più ignoranti più dotto ch’il dottor Nundinio;ma vedrete che non bastarebbono tutte le presse del mondo percavar una stilla di succhio dal suo dire, – per prender materia da fardimandar Smitho, e rispondere il Teofilo; ma è a fatto soggetto dele spampanate di Prudenzio e di rovesci di Frulla. E certo mi rin-cresse che quella parte ve si trove.

Argomento del quinto dialogo.

S’aggionge il quinto dialogo, vi giuro, non per altro rispetto cheper non conchiudere sí sterilmente la nostra cena. Ivi primamentes’apporta la convenientissima disposizione di corpi nell’eterea reg-gione, mostrando che quello che si dice ottava sfera, Cielo de lefisse, non è sí fattamente un cielo, che que’ corpi, ch’appaiono luci-di siano equidistanti dal mezzo; ma che tali appaiono vicini, che sondistanti di longhezza e latitudine l’uno da l’altro più che non possaessere l’uno e l’altro dal sole e da la terra. Secondo, che non sonosette erranti corpi solamente, per tal caggione che sette n’abbiamocompresi per tali; ma che, per la medesima ragione, sono altri innu-merabili, quali da gli antichi e veri filosofi non senza causa son statinomati aethera, che vuol dire corridori, perché essi son que’ corpi,che veramente si muovono, e non l’imaginate sfere. Terzo, che cotalmoto procede da principio interno necessariamente, come da pro-pria natura ed anima; con la qual verità si destruggono molti sogni,tanto circa il moto attivo della luna sopra l’acqui ed altre sorte d’u-mori, quanto circa l’altre cose naturali, che par che conoscano ilprincipio de lor moto da efficiente esteriore. Quarto, determina con-tra que’ dubii, che procedeno con la stoltissima raggione della gra-vità e levità di corpi; e dimostra ogni moto naturale accostarsi al cir-colare o circa il proprio centro, o circa qualch’altro mezzo. Quinto,fa vedere quanto sia necessario, che questa terra ed altri simili corpi

Page 20: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

20

si muovano non con una, ma con più differenze di moti; e che quel-li non denno esser piú, né meno di quattro semplici, benché concor-rano in un composto; e dice quali siano questi ne la terra. Ultimo,promette di aggiongere per altri dialogi quel che par che manca alcompimento di questa filosofia; e conchiude con una adiurazione diPrudenzio.

Restarete maravigliato, come con tanta brevità e sufficienza s’e-spediscano sí gran cose. Or qua, se vedrete talvolta certi men gravipropositi, che par che debbano temere di farsi innante alla superci-liosa censura di Catone, non dubitate; perché questi Catoni sarannomolto ciechi e pazzi, se non sapran scuoprir quel ch’è ascosto sottoquesti Sileni. Se vi occoreno tanti e diversi propositi attaccati insie-me, che non par che qua sia una scienza, ma dove sa di dialogo,dove di comedia, dove di tragedia, dove di poesia, dove d’oratoria;dove lauda, dove vitupera, dove dimostra ed insegna; dove ha or delfisico, or del matematico, or del morale, or del logico; in conclusio-ne, non è sorte di scienza, che non v’abbia di stracci. Considerate,Signore, che il dialogo è istoriale, dove, mentre si riferiscono l’oc-casioni, i moti, i passaggi, i rancontri, i gesti, gli affetti, i discorsi,le proposte, le risposte, i propositi ed i spropositi, remettendo tuttosotto il rigore del giudizio di que’ quattro, non è cosa, che non vipossa venir a proposito con qualche raggione. Considerate ancora,che non v’è parola ociosa; perché in tutte parti è da mietere e dadisotterrar cose di non mediocre importanza, e forse più là dovemeno appare. Quanto a quello che nella superficie si presenta, quel-li che n’han donato occasione di far il dialogo, e forse una satira ecomedia, han modo di dovenir più circonspetti, quando misuranogli uomini con quella verga, con la quale si misura il velluto, e conla lance di metalli bilanciano gli animi. Quelli, che sarrano spetta-tori o lettori, e che vedranno il modo, con cui altri son tocchi, hannoper farsi accorti ed imparar a l’altrui spese. Que’, che son feriti opunti, apriranno forse gli occhi; e vedendo la sua povertà, nudità,indignità, se non per amore, per vergogna almeno si potran correg-gere o cuoprire, se non vogliono confessare. Se vi par il nostroTeofilo e Frulla troppo grave e rigidamente toccare il dorso d’alcu-ni suppositi, considerate, Signor, che questi animali non han sí tene-ro il cuoio; che se le scosse fussero a cento doppia maggiori, non lestimarebono punto, o sentirebbono più che se fussero palpate d’una

Page 21: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

fanciulla. Né vorrei che mi stimate degno di riprensione per quelche sopra sí fatte inepzie e tanto indegno campo, che n’han porgiu-to questi dottori, abbiamo voluto exaggerar sí gravi e sí degni pro-positi; perché son certo, che sappiate esser differenza da togliereuna cosa per fondamento, e prenderla per occasione. I fondamentiinvero denno esser proporzionati alla grandezza, condizione enobiltà de l’edificio; ma le occasioni possono essere di tutte sorte,per tutti effetti; perché cose minime e sordide son semi di cose gran-de ed eccellenti, sciocchezze e pazzie sogliono provocar gran con-segli, giudizii ed invenzioni. Lascio ch’è manifesto, che gli errori edelitti han molte volte porgiuta occasione a grandissime regole digiustizia e di bontade.

Se nel ritrare vi par che i colori non rispondano perfettamente alvivo, e gli delineamenti non vi parranno al tutto proprii, sappiatech’il difetto è provenuto da questo, che il pittore non ha possutoessaminar il ritratto con que’ spacii e distanze, che soglion prende-re i maestri de l’arte; perché, oltre che la tavola, o il campo era trop-po vicino al volto e gli occhi, non si possea retirar un minimo passoa dietro, o discostar da l’uno e l’altro canto, senza timor di far quelsalto, che feo il figlio del famoso defensor di Troia. Pur, tal qual è,prendete questo ritratto, ove son que’ doi, que’ cento, que’ mille,que’ tutti; atteso che non vi si manda per informarvi di quel chesapete, né per gionger acqua al rapido fiume del vostro giudizio edingegno; ma perché so, che secondo l’ordinario, benché conoscia-mo le cose più perfettamente al vivo, non sogliamo però dispreggiaril ritratto e la rapresentazion di quelle. Oltre che son certo, ch’ilgeneroso animo vostro drizzarà l’occhio della considerazion piùalla gratitudine dell’affetto con cui si dona, che al presente dellamano che vi porge. Questo s’è drizzato a voi, che siete piú vicino evi mostrate piú propizio e piú favorevole al nostro Nolano, e peròvi siete reso più degno supposito di nostri ossequi in questo clima,dove i mercanti senza conscienza e fede son facilmente Cresi, e glivirtuosi senz’oro non son difficilmente Diogeni. A voi, che contanta munificenza e liberalità avete accolto il Nolano al vostro tettoe luogo più eminente di vostra casa; dove, se questo terreno, in veceche manda fuori mille torvi gigantoni, producesse altri tantiAlessandri Magni, vedreste più di cinquecento venir a corteggiarquesto Diogene, il qual per grazia de le stelle non ave altro, che voiche gli venga a levar il sole, se pur (per non farlo più povero di quel

21

Page 22: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

cinico mascalzone) manda qualche diretto o reflesso raggio dentroquella buca, che sapete. A voi si consacra, che in questa Britanniarapresentate l’altezza di sí magnanimo, sí grande e sí potente Re,che dal generosissimo petto de l’Europa, con la voce de la sua famafa rintronar gli estremi cardini de la terra; quello che, quando iratofreme, come leon da l’alta spelonca, dona spaventi ed orror morta-li a gli altri predatori potenti di queste selve, e quando si riposa e siquieta, manda tal vampo di liberale e di cortese amore, ch’infiam-ma il tropico vicino, scalda l’Orsa gelata, e dissolve il rigor de l’ar-tico deserto, che sotto l’eterna custodia del fiero Boote si raggira.Vale.

22

Page 23: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

23

LA CENA DE LE CENERI (LONDRA, 1584)Note ed osservazioni in forma di commento

La potenza rivoluzionaria della libertà indicata dalla speculazione bru-niana (il “cinico dente”) subito si presenta ed immediatamente reagisce –nella poesia introduttiva Al mal contento – allo spirito di negazione, didispregio e di travisamento manifestato dal pedante di terra inglese, contutta certezza oxoniense:1 contro la minacciata ostentazione degli strumen-ti coercitivi di correzione (“il tuo baston e ferro”), che bramano rinchiude-re il pensiero e l’azione entro il corpo della determinazione dogmatica edaccademica, la speculazione bruniana ne dissolve immediatamente la steri-le ed infeconda limitazione, liberandoli alla loro vera vita (“Però tua pellestraccio, e ti disserro”).

La vera vita del pensiero e dell’azione è infatti fonte di pericolo, percolui il quale non è capace di predisporre il suo spirito alla profonda ed ele-vata animazione bruniana (“Non andar nudo a tôrre a l’api il mele”), perchénon è abituato a distinguere l’apertura da essa decretata, scambiandola conuna definitiva chiusura ideologica (“Non morder, se non sai s’è pietra opane”). L’avventura della riflessione bruniana non consente infatti l’usodelle consuete argomentazioni logiche di stile aristotelico (“Non gir discal-zo a seminar le spine”): al contrario, essa dispiega un orizzonte razionalecapace di tessere la rete completa dei concetti. Una rete capace di intrappo-lare qualsiasi intelletto (“Non spreggiar, mosca, d’aragne le tele”): liberan-done lo spirito a chi ne colga l’apertura razionale; lasciandolo invece nellasua cattività a chi non sappia muovere la volontà insieme all’intelletto (“Sesorce sei, non seguitar le rane; / Fuggi le volpi, o sangue di galline”).

L’opera della speculazione bruniana è dunque opera di salvezza: essa ècapace di rovesciare il rovesciamento imposto dalla tradizione neoplatoni-co-aristotelica, nello stesso campo ed ambito superiore della fede religiosa,con effetti che in primis toccano e coinvolgono la stessa concezione teolo-gica trinitaria:

1 M. CILIBERTO, N. MANN. Giordano Bruno, 1583-1585. The English Experience /L’esperienza inglese. Atti del Convegno (Londra, 3-4 giugno 1994). Leo S. OlschkiEditore, Firenze 1997.

Page 24: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

E credi a l’Evangelo,Che dice di buon zelo:

Dal nostro campo miete penitenzaChi vi gittò d’errori la semenza.

L’apertura alta e profonda dell’intenzione universale bruniana risuona, delresto, con il suo graduato movimento dialettico, sin dalle prime righe dellalettera introduttiva rivolta a Michel de Castelnau, ambasciatore francese allacorte inglese di Elisabetta I, al quale Giordano Bruno dedica questo primotesto in italiano (dopo la commedia filosofica Candelaio, pubblicata a Pariginel 1582). La scansione stessa delle frasi retoriche ad effetto dell’argomenta-re bruniano nascondono in realtà una traccia ed un grado razionale, che ilresto del testo non mancherà di porre in luce e spiegare. Ecco, allora, che ilricordo delle filosofie aristotelica, pitagorica e democritea rappresenta l’invi-to ad una decodificazione nascosta, dove la prima sembianza materiale,accolta secondo lo spirito di un’anima aristotelica,2 può trasmutarsi nell’or-dine indicato dall’Uno di matrice pitagorica, per allargarsi poi secondo unaduplice apertura, di molteplicità – ecco gli atomi di tradizione democritea3 –e di unità negli opposti – ecco la rivisitazione, oltre la ripresa della specula-zione di Nicola Cusano,4 della speculazione e della strutturazione preparataed immaginata da Eraclito. La duplice relazione così aperta dalla riflessionee dall’immaginazione bruniana non potrà non costituire quell’ambito primoe fondante, religioso in senso ampio e profondo, all’interno del quale la stes-sa tradizione teologica trinitaria doveva subire una vera e propria torsionerivoluzionaria. Qui, sfruttando le scoperte già effettuate nei primi testi in lati-no – il De umbris idearum, in particolare – il filosofo di Nola prepara ilcampo razionale e naturale per la trascrizione e sovrimpressione di uno sche-ma teologico (con valenze politiche e naturali) assolutamente innovativo.Attraverso il concetto della sintesi come apparente alta chiusura – il futuroMinimo bruniano – e della altissima libertà infinita, espressa tramite la figu-ra teologica del Padre – il futuro Massimo bruniano – Giordano Bruno dispo-ne il concetto dell’infinito creativo e dialettico. Dispone il movimento delFiglio al Padre, per il tramite dello Spirito: il movimento – lo stabilissimomoto metafisico – dell’eguaglianza alla libertà, che apre e mantiene attraver-

24

2 A Tolosa Giordano Bruno consegue il titolo di magister artium ed ottiene un posto di“lettore ordinario” di filosofia. Qui, per circa venti mesi, fa lezione sul De anima diAristotele. M. CILIBERTO. Giordano Bruno. Editori Laterza, Roma-Bari 1990.

3 G. BRUNO. De triplici minimo et mensura ad trium speculativarum scientiarum et mul-tarum activarum artium principia libri quinque; De monade, numero et figura liberconsequens quinque De minimo magno; De innumerabilibus, immenso et infigurabili,seu De universo et mundis libri octo. Wechel, Francoforte 1590.

4 G. BRUNO. De umbris idearum. Gilles Gourbin, Parigi 1582.

Page 25: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

25

so l’amore le due relazioni dell’universale e dell’infinito.5 In questa prospet-tiva – con le parole dello stesso filosofo nolano – «trovarete cosa da far dis-soluto san Colombino, patriarca de gli Gesuati, far impetrar qualsivogliamercato, smascellar le simie e romper silenzio a qualsivoglia cemiterio.»

È la libertà del desiderio nella materia infatti il motore nascosto della filo-sofia bruniana, la sua rivoluzionaria concezione dello Spirito, prima natura-le e poi razionale. Apparentemente povero e spontaneo, esso nel suo liberomovimento spaventa e viene disprezzato, ma resuscita a vita effettivamenteeterna ogni essere creato, apparentemente posto nella morte. Sarà, dunque,della libertà del desiderio nella materia (naturale e razionale) – desiderio unoed universale – che la Cena de le Ceneri effettivamente discuterà, in tutte lesue valenze ed effetti: teologici, politico-razionali e naturali.

Così sarà proprio il naturale ed il razionale del desiderio infinito ed uni-versale a dare il via a «quantunque può natura in far due fantastiche befa-ne, doi sogni, due ombre e due febbri quartane »: a costituire lo spazio ed iltempo per due meravigliosi e sognanti luoghi di determinazione, all’inter-no dei quali possano comparire ogni sorta di definizioni intellettuali ed ognitipo di movenza e passione razionale; per poter, appunto, dopo aver coltoattraverso l’intenzione universale l’idea e la realtà dello Spirito – “il sensoistoriale”6 – tracciare gli spazi di due aperture7 – “topografie” – capaci dicontenere da un lato la descrizione del movimento naturale, dall’altro diquello razionale – “altre geografice, altre raziocinali” – unificate nel sensoetico – “altre morali” – offerto dall’ordine divino, che predispone « specu-lazioni ancora, altre metafisiche, altre matematiche, altre naturali».

Con un ripensamento totale e rivoluzionario della materia e dell’Uno ditradizione platonica – qui basti il rapido riferimento al Parmenide –Giordano Bruno dedica il primo dialogo della Cena de le Ceneri – secondoquanto riportato dall’Argomento del primo dialogo – al modo attraverso ilquale il numero della dualità – “due suggetti” – sale alla ragione propria,fondante – “la scala del numero binario” – che viene posta in piena luce dal-

5 G. BRUNO. Lampas triginta statuarum. Wittenberg 1587. Qui, accanto alle figure teo-logiche tradizionali del Padre, Spirito e Figlio compaiono le immagini del Chaos,dell’Orco e della Notte, parti divine deputate all’apertura ed alla formazione di un dop-pio infinito, razionale e naturale.

6 G. BRUNO. De umbris idearum, cit. S. ULLIANA, Il De umbris idearum di GiordanoBruno, cit.

7 La X, insieme alla Y della tradizione pitagorica – ricorda il breve componimento poe-tico introduttivo del De umbris idearum – costituiscono il riferimento immaginativo erazionale della filosofia nolana, la possibilità che la speculazione bruniana raccolga edesprima entro se stessa una scrittura ed una pittura interna, un’articolazione argomen-tativa e uno slancio immaginativo capaci di rendere visivamente il presupposto teolo-gico, politico e naturale bruniano.

Page 26: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

l’investigazione bruniana attraverso le caratteristiche – “le condizioni loda-bili” – del necessario richiamo – ecco di nuovo la memoria dell’arte bru-niana – fra pura fonte creativa e movimento dialettico della sua comparsa,distinzione e ricomposizione. Qui trova spazio il rimando che Bruno svilup-pa a proposito dell’impostazione copernicana, per prima capace di mostra-re il movimento di rotazione e rivoluzione del pianeta Terra, rispettivamen-te attorno al proprio asse ed attorno all’astro solare, ma nello stesso tempoincapace di salire dal piano puramente “matematico” a quello più propria-mente “filosofico”, raggiunto unicamente dalla filosofia nolana. Se, infatti,il matematico polacco mantiene ancora l’universo all’interno di una sferadelle stelle fisse, l’infinito bruniano si svela subito come movimento di rot-tura di questa limitazione. Allo stesso tempo, mentre la posizione coperni-cana considerava quale mondo unico il sistema planetario che ruotava attor-no al Sole, la posizione bruniana moltiplica all’infinito il numero di questisistemi, dissolvendo l’idea di una centralità assoluta nello spazio. GiordanoBruno, in tal modo, prolunga il movimento di rivoluzione terrestre per darerappresentazione alla necessità di un passaggio ulteriore, un passaggio cheavviene nell’immaginazione: il passaggio al senso metafisico del movimen-to e la considerazione della sua presenza all’interno di ogni corpo e mate-ria. Solamente in questo modo – secondo l’Argomento del secondo dialogo– il desiderio che muove dall’interno ogni cosa potrà trovare una giustifica-zione razionale adeguata, effettivamente sia universale che particolarmenteindividuale. Così la filosofia nolana – “com’un pittore” – riesce a dare pro-fondità e pluralità di dimensioni alla rete di concetti razionali, alle relazio-ni (verticali ed orizzontali) che riesce a comporre.

L’Argomento del terzo dialogo vede Giordano Bruno rapidamente riassu-mere le cinque proposte di Nundinio, accademico oxoniense, per espander-si poi in un’articolata loro confutazione. La prima riguarda la risposta pole-mica del filosofo nolano alla necessità esplicitata dall’accademico inglese,della conoscenza della lingua inglese, laddove le principali lingue dotte delcontinente rimanevano invece il latino, il francese, lo spagnolo e l’italiano.Alla seconda proposta di Nundinio – la pura convenzionalità geometricadella concezione copernicana8 – Bruno risponde attraverso il proprio alterego Teofilo, rimarcando il valore fisico e naturale delle affermazioni dell’a-stronomo polacco. In più, riprendendo e capovolgendo i dubbi sollecitati dai«perspettivi ed optici circa la determinazione della quantità di corpi lumino-si», ovvero circa la relazione fra l’apparente grandezza e la reale distanza

26

8 Nel testo bruniano il pedante Torquato fa valere la premessa al De revolutionibusorbium coelestium scritta da Andrea Osiander, intitolata: Ad lectorem. De hypothesi-bus huius operis.

Page 27: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

27

dalla Terra dei diversi corpi celesti, giunge alla prima formulazione dellanecessaria apertura d’infinito: prima, infatti, la capacità dimostrativa delfilosofo nolano stabilisce la grande distanza del Sole dalla Terra, quindi infe-risce una distanza enormemente maggiore per gli astri comunemente defini-ti stelle, che riescono con la loro luminosità intrinseca a comprendere l’inte-ro spazio celeste, quasi “vedendo chiaramente e senza ombra” ogni puntodello stesso. Anzi, pare dichiarare apertamente l’argomentazione bruniana:gli “opposti” si vedono allo stesso modo nel quale noi possiamo alla finevederli, stabilendo in questo modo il termine infinito di visione. Con questa«nuova, risoluta e certissima dottrina» – l’identificazione sensibile e ladistinzione fra minimo e massimo9 – la speculazione bruniana riesce a dareuna nuova formulazione generale alla costituzione dell’universo e di tutti icorpi in esso compresi. L’infinito sensibile bruniano con la sua distinzioneriesce, infatti, a costituire il primo passo per l’esplicazione di una processua-lità che si sviluppa per fasi: se la Terra non è più – come vuole aristotelica-mente Nundinio nella sua terza proposta – «il mezzo e centro de l’universo,al quale tocca essere fisso e costante fundamento d’ogni moto»,10 allora lospazio di movimento dei corpi celesti può espandersi in ogni direzione,senza alcun privilegio e senza alcun ordine presupposto. Solamente il corpoconcreto di un astro celeste può costituirsi quale relativo termine di riferi-mento. Se, dunque, lo spazio bruniano è spazio in ogni direzione illimitato,esso non potrà non contenere corpi celesti se non in numero esso stesso illi-mitato. Con le parole presenti nella stessa sintesi epistolare bruniana:

La terza mostra il modo della consistenza di corpi mondani; e dechiaraessere infinita la mole de l’universo, e che invano si cerca il centro o la cir-conferenza del mondo universale, come fusse un de’ corpi particulari.

Alla quarta proposta di Nundinio – che gli astri celesti siano composti,secondo la tradizione aristotelica, di etere – Giordano Bruno poi rispondeche nella composizione degli stessi pare entrare un principio dialettico, percui alcuni sono astri solari ed altri pianeti simili in tutto alla Terra. Tutti peròsono mossi da un motore interno, capace di offrire loro sensibilità e movi-mento interrelato, che li rende vivi “animali intellettuali”. Vivi animali intel-lettuali all’interno dei quali si moltiplicano «molti ed innumerabili individuisemplici e composti, che veggiamo vivere e vegetar nel dorso di questo».

9 Nell’identificazione sensibile e nella distinzione fra minimo e massimo relazione evariazione, finito come somma di variazioni, si annullano, per riproporsi secondo latraccia dell’infinito. Vedremo in seguito che Giordano Bruno innesterà su questa trac-cia d’infinito appunto la sensibilità prima ed il primo movimento.

10 G. BRUNO. La cena de le Ceneri. Sansoni Editore, Firenze 19583 (rist. 1985). Pag. 103.

Page 28: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

28

Ecco dunque che il primo principio di sensibilità e di movimento, affer-mato dal filosofo di Nola tramite il concetto di un infinito semplice e nelcontempo distintivo, trova una sua ulteriore diramazione attraverso la predi-sposizione di uno sviluppo dialettico, dotato di un interno motore di correla-zione: astri solari e pianeti terrestri si tengono insieme ed insieme si influen-zano e trasformano grazie ad un interno desiderio, che abita la profonditàdelle loro correlate consistenze materiali. È questo intrinseco principio acostituire, infine, la necessità del moto della Terra, contro la quinta propostadi Nundinio che invece pretende – seguendo in modo maldestro il propriomaestro Aristotele – di applicare i principi assoluti del moto locale, separan-do ciò che non deve essere separato, facendo appunto corpo unico – le nuvo-le, insieme alla superficie scabra della Terra – e considerando in modo uni-vocamente rettilineo ciò che invece si dimostra piuttosto distinguibile aseconda del sistema di riferimento scelto – il moto di caduta dei gravi. QuiGiordano Bruno introdurrà nel testo vero e proprio della Cena quel princi-pio, che Galileo Galilei definirà successivamente quale principio della rela-tività e composizione dei movimenti: «perché è differenza tra il moto dellanave e moto de quelle cose che sono nella nave».11 Così, nel caso particola-re di un corpo che entri nella sfera d’influenza terrestre, esso, apparentemen-te in caduta rettilinea secondo un sistema di riferimento, potrebbe dimostra-re di possedere una traiettoria curvilinea secondo un altro sistema, che vedail primo ruotare su se stesso, con lo stesso movimento della Terra stessa.12

La virtù dell’efficiente intrinseco, la sua animazione intelligente, dimo-strata attraverso il desiderio interno alla materia, diviene – nell’Argomentodel quarto dialogo – materia di discussione fra Teofilo e Torquato, dottoreoxoniense che, «per esser più impudente ed arrogante pareva a gli più igno-ranti più dotto ch’il dottor Nundinio». Quindi, dopo avere pur sottolineato

11 G. BRUNO. La cena de le Ceneri, cit., pag. 116.12 Ivi, pag. 117. Per concludere, nota: «Teofilo. Or, per tornare al proposito, se dunque

saranno dui, de’ quali l’uno si trova dentro la nave che corre, e l’altro fuori di quella, de’quali tanto l’uno quanto l’altro abbia la mano circa il medesmo punto de l’aria, e da quelmedesmo loco nel medesmo tempo ancora l’uno lascie scorrere una pietra e l’altro un’al-tra, senza che gli donino spinta alcuna, quella del primo, senza perdere punto né deviarda la sua linea, verrà al prefisso loco, e quella del secondo si trovarrà tralasciata a dietro.Il che non procede da altro, eccetto che la pietra, che esce dalla mano de l’uno che èsustentato da la nave, e per consequenza si muove secondo il moto di quella, ha tal virtùimpressa, quale non ha l’altra, che procede da la mano di quello che n’è di fuora; benchéle pietre abbino medesma gravità, medesmo aria tramezzante, si partano (se possibil fia)dal medesmo punto, e patiscano la medesma spinta. Della qual diversità non possiamoapportar altra raggione, eccetto che le cose, che hanno fissione o simili appartinenze nellanave, si muoveno con quella; e la una pietra porta seco la virtù del motore il quale simuove con la nave, l’altra di quello che non ha detta participazione. Da questo manife-stamente si vede, che non dal termine del moto onde si parte, né dal termine dove va, né

Page 29: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

29

come l’intento delle Sacre Scritture fosse essenzialmente morale e non filo-soficamente naturale, Giordano Bruno procede nel testo del quarto dialogodella Cena ad una sorta di giustificazione teologica della propria rivoluzio-naria dottrina. Per fare questo si richiama al Libro di Giobbe ed al Genesi,dove ritrova la concezione dialettica degli astri – solari e terrestri – e doveper prima annuncia la torsione dialettica razionale della propria speculazio-ne naturale, aprendo il campo e l’ambito della riflessione e della successivaimmaginazione creativa. Il Dio di Giobbe viene infatti ricordato da Brunocome orizzonte e motore interno di concordia universale,13 praticamenteidentificabile con il concetto bruniano di intelletto ed anima dell’universostesso. L’ambito creativo e dialettico aperto ed elevato da questo intellettoanimato – significato dall’immagine allegorica delle “acqui superiori” e delle“acqui inferiori”14 – mostra così il movimento e la potenza della materia bru-nianamente definita ed intesa, apparentemente distinta in materia interna edesterna, inferiore e superiore. Qui il “realismo” bruniano non può non rifarsiinfatti a quella alta e profonda produttività ideale già messa in luce nelle pro-prie prime opere in latino – De umbris idearum, Explicatio triginta sigillo-rum, Sigillus sigillorum – che hanno costituito ed ancora costituiscono l’os-satura e l’impianto razionale della sua attuale speculazione. In questo modol’orizzonte dell’Uno infinito, la presenza in esso di un movimento insiemecreativo e dialettico, suggellano l’alleanza della filosofia bruniana con lamigliore religione, rigettando lontano da sé qualunque disprezzata, svalutatae voluta mistificazione volessero apportare i seguaci tradizionali dello stileinterpretativo e della dottrina aristotelica, sia in ambito teologico-religiosoche in quello filosofico-naturale. È infatti, al contrario, la dottrina aristoteli-ca a costituire un insormontabile impaccio ed intralcio alla vera filosofia edalla autentica religione,15 come dimostra del resto l’arroganza e l’ignoranza

dal mezzo per cui si move, prende la virtù d’andar rettamente; ma da l’efficacia de lavirtù primieramente impressa, dalla quale depende la differenza tutta. E questa mi parche basti aver considerato quanto alle proposte di Nundinio». Ivi, pagg. 118-119.

13 Ivi, pag. 124. 14 Ivi, pag. 125. 15 Ivi, pagg. 126-127. «Teofilo. Dalla censura di onorati spirti, veri religiosi, ed anco

naturalmente uomini da bene, amici della civile conversazione e buone dottrine non side’ temere; perché quando bene arran considerato, trovaranno che questa filosofia nonsolo contiene la verità, ma ancora favorisce la religione più che qualsivoglia altra sortede filosofia; come quelle che poneno il mondo finito, l’effetto e l’efficacia della divi-na potenza finiti, le intelligenze e nature intellettuali solamente otto o diece, la sustan-za de le cose esser corrottibile, l’anima mortale, come che consista più tosto in un’ac-cidentale disposizione ed effetto di complessione e dissolubile contemperamento edarmonia, l’esecuzione della divina giustizia sopra l’azioni umane, per consequenza,nulla, la notizia di cose particolari a fatto rimossa dalle cause prime ed universali, ed

Page 30: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

del pedante oxoniense Torquato, che incassa una dopo l’altra le confutazionicon le quali Bruno dissolve le obiezioni portate dal secondo dottore inglese.Così dopo la prima – riguardante la mancata modificazione delle dimensio-ni apparenti di Marte, rigettata da Bruno attraverso la rammentata reciproci-tà dei movimenti di rivoluzione attorno al Sole ed attraverso una adeguataricalibrazione delle mutue distanze interplanetarie, molto più estese di quel-le consentite dalla dottrina aristotelico-tolemaica – Giordano Bruno puòrimarcare il fatto che, oltre la possibilità di leggere i dati osservativi secondoteorie diverse, la propria dottrina apporta significative novità per quantoriguarda la spiegazione della natura e della possibilità dell’intero universoapparente. Apertamente uno ed infinito, esso infatti contiene ed è costituitoda innumerevoli corpi celesti, non distinti secondo l’ordine aristotelico dellematerie, ma tutti rappresentanti ed effetti della «infinita divina potenza attua-le».16 Questa, non più scolasticamente distinta fra un antecedente assoluta-mente libero (absoluta potentia) ed un conseguente necessariamente limita-to (ordinata potentia),17 manifesta di se stessa un infinito effetto ed una infi-nita efficacia, un infinito universo ed una illimitata ed impredeterminatacapacità trasformativa, che ha come risultato il rimescolamento circolare percapi apparentemente opposti – ecco la famosa “vicissitudine” bruniana – diogni corpo mondano dell’universo stesso.18 Alla fine, dunque, Torquato ed isuoi compagni inglesi non possono far altro che ribadire la propria fede nella

30

altri inconvenienti assai; li quali non solamente, come falsi, acciecano il lume de l’in-telletto, ma ancora, come neghittosi ed empii, smorzano il fervore di buoni affetti».

16 Ivi, pag. 131. 17 M.A. GRANADA. Il rifiuto della distinzione fra potentia absoluta e potentia ordinata di

Dio e l’affermazione dell’universo infinito. In: «Rivista di storia della filosofia», XLIX(1994). Pagg. 519-524.

18 G. BRUNO. La cena de le Ceneri, cit., pagg. 131-132. «Questi sono gli grandi animali,de’ quali molti con lor chiaro lume, che da’ lor corpi diffondeno, ne sono di ogni con-torno sensibili. De’ quali altri son effettualmente caldi, come il sole ed altri innumera-bili fuochi; altri son freddi, come la terra, la luna, Venere ed altre terre innumerabili.Questi, per comunicar l’uno all’altro, e participar l’un da l’altro ìl principio vitale, acerti spacii, con certe distanze, gli uni compiscono gli lor giri circa gli altri, come èmanifesto in questi sette, che versano circa il sole; de’ quali la terra è uno, che, moven-dosi circa il spacio di 24 ore dal lato chiamato occidente verso l’oriente, caggiona l’ap-parenza di questo moto de l’universo circa quella, che è detto moto mundano e diur-no. La quale imaginazione è falsissima, contra natura ed impossibile: essendo che siipossibile, conveniente, vero e necessario, che la terra si muova circa il proprio centro,per participar la luce e tenebre, giorno e notte, caldo e freddo; circa il sole per la par-ticipazione de la primavera, estade, autunno, inverno; verso i chiamati poli ed opposi-ti punti emisferici, per la rinovazione di secoli e cambiamento del suo volto, a fin che,dove era il mare sii l’arida, ove era torrido sii freddo, ove il tropico sii l’equinoziale;e finalmente sii de tutte cose la vicissitudine, come in questo, cossì ne gli altri astri,non senza raggione da gli antichi veri filosofi chiamati mondi».

Page 31: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

31

dottrina aristotelica, mentre Teofilo-Bruno ricorda la propria radice filosofi-ca nelle argomentazioni di Pitagora e Platone, pure mettendo però sull’avvi-so i propri avversari circa la loro effettiva e profonda comprensione delleintenzioni speculative del loro stesso maestro.19

Nell’Argomento del quinto dialogo Giordano Bruno dispone la tracciasufficientemente sintetica dei punti principali della sua nuova e rivoluziona-ria dottrina filosofica e naturale, aprendone la progressiva giustificazionerazionale. Per prima si preoccupa di estendere in modo illimitato lo spaziodell’universo sensibile, dimostrando che le cosiddette stelle fisse non sonocorpi celesti affissi ad una distanza costante dalla Terra – nel tradizionalmen-te detto cielo o sfera delle stelle fisse – quanto piuttosto degli astri brillantidi luce propria, non solo enormemente distanti dalla Terra stessa e dal Sole,ma pure incredibilmente separati spazialmente gli uni dagli altri. Solo l’ap-parenza ad un osservatore terrestre li dispone in maniera accostata: in realtàessi si muovono nello spazio infinito in modo impercettibile allo stessoosservatore, a motivo appunto delle loro gigantesche distanze reciproche.Sono queste distanze, quindi, a dimostrare l’enormità, l’illimitatezza dell’u-niverso sensibile. Offerto analogamente il movimento a questi corpi lonta-nissimi, come alla Terra e agli altri pianeti del sistema solare, Bruno puòaffermare come implicazione razionale del punto precedente il generalemovimento dell’universo e dei suoi innumerevoli corpi. Movimento che nonprocede da una causa esterna – innaturale e violenta, direbbe un aristotelico– quanto piuttosto da una causa interna: un “principio interno” che, come“natura” ed “anima” del corpo celeste, ne determina la molteplicità deimovimenti, quantitativi e qualitativi. Quadro di riferimento di questi movi-menti resta il rapporto dialettico fra gli astri, per il quale uno è la causa fina-le e provvidenziale dell’altro. Questo rapporto dialettico, inoltre, consente dicostituirsi quale “vivo specchio” del rapporto dialettico vigente all’internodella manifestazione stessa del divino (il rapporto effetto-efficacia), costi-tuendo in tal modo l’immagine del movimento interiore.20 Questo movimen-to interiore è la potenza spirituale del desiderio che è intrinseco alla materia.Non sussiste dunque una causa esterna che si imponga esternamente ed ete-rogeneamente al soggetto considerato, per trascinamento ed opposta mag-

19 Per superare le obiezioni avanzate dalla dottrina aristotelica alla concezione infinitistabruniana, il filosofo di Nola dovrà rivoluzionare completamente i presupposti teologi-ci, politici e naturali determinati dalla tradizione neoplatonico-aristotelica, come sivedrà nel testo bruniano De l’Infinito, Universo e Mondi. S. ULLIANA, Il concetto crea-tivo e dialettico dello Spirito nei Dialoghi Italiani di Giordano Bruno, cit.

20 G. BRUNO. La cena de le Ceneri, cit., pag. 146. « È dunque cosa conveniente alla com-modità delle cose che sono ed a l’effetto della perfettissima causa, che questo moto siinaturale da principio interno e proprio appulso senza resistenza. »

Page 32: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

32

giore resistenza, quanto piuttosto il soggetto naturale stesso ha in sé un luogocollettore di tutti i propri movimenti, una finalità interna che non abbisognadi sovrastrutture logiche e razionali, che predispongano una reciprocità dicorrispondenza fra regole dell’astratto e adeguazione del concreto (signifi-cazione intenzionale).21 È, dunque, solamente questa finalità interna a costi-tuirsi quale reale e razionale causa e principio produttivo (“causa efficien-te”), per ogni sorta di movimento (locale e di trasformazione). Viene pertan-to demolita – ecco il quarto punto della serie argomentativa bruniana – lastrutturazione onto-logica aristotelica relativa alla distinzione e separazionedei movimenti: non è vero che corpi presuntivamente superiori abbianomovimenti circolari perfetti, mentre all’opposto i corpi sublunari, presunti-vamente inferiori, godano di movimenti imperfetti, destinati alla corruttibi-lità ed alla scomparsa. Vero è, invece, che senza questa opposta separazione,tutti i corpi celesti si muovono attorno a ciò che determina la propria finali-tà interna: quindi o attorno a se stessi con movimento circolare o attorno adaltri corpi, sempre con movimento similcircolare. È il movimento di appa-rente attrazione verso il centro di un corpo che genera, dunque, l’attribuzio-ne distintiva della pesantezza o, all’opposto, della relativa leggerezza. Nelladisposizione naturale degli elementi ognuno occupa il luogo ad esso deputa-to, muovendosi dall’alto verso il basso, o viceversa, semplicemente obbe-dendo ad un principio di pura conservazione della propria potenza e capaci-tà naturale. Così la stessa disposizione della coda delle comete e la penetra-zione onniforme dell’aria confermano la validità di questo principio, ancorauna volta contro la predetta separazione e distinzione dei movimenti.22 Icorpi celesti – nella loro dialettica distinzione di astri solari e pianeti terre-stri – dimostrano, poi, una molteplice varietà di movimenti semplici, la cuirisultante concreta e non astratta definisce quantità e qualità delle loro reci-proche movenze e traiettorie. Così gli astri solari, all’apparenza esibenti tuttequelle caratteristiche che paiono essere vincolate all’elemento del fuoco,sembrano essere coinvolti in un moto turbolento, che pare rivoluzionare con-tinuamente le parti del globo solare in una circolazione continua, in uninflusso ed efflusso costante. Al contempo e in modo complementare i pia-neti terrestri, maggiormente legati all’elemento dell’acqua, paiono muover-si verso i primi, per una sorta di reciproca soddisfazione ed equilibrio, peruna necessaria reciproca conservazione. Come gli astri solari, poi, vedonouna composizione con gli altri elementi della fisica aristotelica, ed in parti-colar modo con l’aria, per generare la veloce fiamma aperta, così i pianetiterrestri combinano l’aria con l’acqua, per generare il lento vapore. Su ambe-

21 Ivi, pag. 147. 22 Ivi, pagg. 151-152. 23 Ivi, pagg. 152-154.

Page 33: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

33

due i corpi, infine, gli elementi “opposti”, rispettivamente acqua e fuoco,tendono a rifuggire rapidamente. L’elemento dell’aria costituisce, poi, nellaspeculazione naturale di Giordano Bruno una sorta di medio, capace diespandersi verso gli opposti principi estremi del caldo e del freddo e diapportarne e diffonderne gli effetti nei rispettivi corpi celesti.23

Dopo la definizione e determinazione dei moti qualitativi, più complessaè la questione relativa alla descrizione e giustificazione filosofica dei motiquantitativi: così il moto complessivo della Terra attorno al Sole viene irra-dicato nella ragione, naturale e provvidenziale, che pare presiedere aglieffetti qualitativi di movimento precedentemente indicati. La Terra si muove“verso” il Sole per poter conservare se stessa: e conserva se stessa per il tra-mite delle dinamiche fisiche fra gli elementi che la costituiscono; dinamichea loro volta strettamente correlate a quelle capaci di garantire, contempora-neamente, la vita dell’astro solare. Se tutta la materia che può essere, rima-ne eterna attraverso la circolazione in ogni soggetto naturale, ogni soggettonaturale, per poter partecipare di tale eternità, deve muovere se stesso allarigenerazione continua delle sue parti ulteriori: solo in questo modo ognisoggetto naturale obbedirà allo schema che vuole l’identificazione della pos-sibilità alla necessità, del divenire all’essere. Solamente quando il divenirenon si immedesima con l’essere, allora essere e divenire apparentemente siscindono: l’essere diventa il luogo dello scomparire del determinato, inquanto sacrificabile contingente, innalzandosi nel contempo quale ideale diuna nuova generazione e di una nuova specie. Così solamente la circolazio-ne profonda ed integrale delle parti materiali dei soggetti naturali può garan-tire l’indissolubilità degli stessi, vincolando il divenire come possibilitàd’essere all’essere come necessità totale e reale. Qui la speculazione diGiordano Bruno attua il primo terzo di semigiro, passando dal concetto ini-zialmente espresso dell’infinito sensibile24 a quello dell’infinito astratto,all’immagine e figura dell’universale, nello spirito e nel corpo.25

24 Ivi, Dialogo Terzo. 25 Ivi, pag. 156. « se una è la materia delle cose, in un geno, se due sono le materie, in dui

geni: perché ancora non determino, se la sustanza e materia, che chiamiamo spirituale,si cangia in quella che diciamo corporale e per il contrario, o veramente non. Cossì tuttecose nel suo geno hanno tutte vicissitudine di dominio e servitù, felicità ed infelicità, dequel stato che si chiama vita e quello che si chiama morte, di luce e tenebre, di bene emale. E non è cosa alla quale naturalmente convegna esser eterna, eccetto che allasustanza, che è la materia, a cui non meno conviene essere in continua mutazione. Dellasustanza soprasustanziale non parlo al presente, ma ritorno a raggionar particularmentedi questo grande individuo, ch’è la nostra perpetua nutrice e madre, di cui dimandasteper qual caggione fusse il moto locale. E dico, che la causa del moto locale, tanto deltutto intiero quanto di ciascuna delle parti, è il fine della vicissitudine, non solo perchétutto si ritrove in tutti luoghi, ma ancora perché con tal mezzo tutto abbia tutte disposi-

Page 34: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

34

Il movimento universale – l’aderenza e la coincidenza, nella materia, diessere e divenire – posto e definito da Bruno, consente all’autore nolano diconfrontarsi successivamente con la dottrina aristotelica, esposta neiMeteorologica,26 e di portare alla luce, insieme alle corrette intuizioni delmaestro stagirita, quei difetti di comprensione che ne hanno limitato e smi-nuito i risultati. Così le modificazioni delle parti nelle quali è possibile sud-dividere la superficie e l’interno della Terra dovrebbero essere giustificate,secondo le migliori ragioni bruniane, da una più profonda ed alta compren-sione del senso per il quale il Sole ne è causa, insieme al movimento di “cir-colazione”. Movimento di “circolazione” che – secondo Aristotele – nonpuò essere assegnato al Sole, che percorre sulla superficie sferica terrestreun’oscillazione delle proprie radiazioni sempre entro il limiti dei due tropi-ci; né può essere associato al movimento degli altri pianeti, che percorronosolamente lo spazio zodiacale; né può essere congiunto al movimento delcosiddetto primo mobile, in quanto esso sembra valere solamente per l’ap-parente rotazione giornaliera; né può essere assegnato al movimento delcielo, perché questo era indistinto nella determinazione; non poteva, infine,essere associato al movimento della Terra, perché questo movimento eranegato per principio dal filosofo stagirita.27 Giordano Bruno è pertantocostretto a precisare le indeterminazioni aristoteliche, fissando:

1. che il Sole – “vivo elemento del fuoco” – sia fattore di comunicazio-ne della potenza e dell’atto di ogni movimento vitale;

2. che il reciproco e dialettico movimento fra gli astri celesti consentalo sviluppo continuo e costante di questa comunicazione.

In questo modo la presenza di questo movimento dialettico deve asse-gnare ai due diversi poli cosmologici – i Soli e le Terre – sia la “virtù atti-va”, sia la “virtù passiva”, con una reciproca e complementare assegnazio-ne delle medesime all’opposto polo cosmologico. In base a questa afferma-zione di principio, la Terra deve ruotare e rivoluzionare attorno al Sole. Allostesso modo e con modalità analoghe anche gli altri pianeti devono muo-versi nell’aria attorno al Sole.28

La riflessione naturale di Giordano Bruno definisce quindi il numero e lacomposizione dei moti della Terra, cercando di completare la parte di polocosmologico da questa compiuta in quella relazione dialettica. A questoproposito i moti terrestri individuati sono:

zioni e forme: per ciò che degnissimamente il moto locale è stato stimato principio d’o-gni altra mutazione e forma; e che, tolto questo, non può essere alcun altro.»

26 Ivi, pag. 157 e segg.27 Ivi, pagg. 160-161. 28 Ivi, pag. 162.

Page 35: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

35

1. il moto vitale, che tocca e rivoluziona nella lunghissima durata ogniparte della superficie terrestre: esso è il moto di rotazione giornaliera dellaTerra attorno al proprio asse (“diurno”);

2. il moto vitale, che tocca e rivoluziona completamente, dalla nascitaalla morte, i corpi che vivono sulla superficie terrestre: esso è il motoannuale di rivoluzione della Terra attorno al Sole (“annuale”);

3. il moto vitale, che tocca e rivoluziona completamente la disposizio-ne degli emisferi e dei poli terrestri, rispettivamente retrocedendoli ecapovolgendoli (“emisferico” e “colurale”).

Chiusa in questo modo la breve e succinta riepilogazione del contenutodegli ultimi tre dialoghi della Cena de le Ceneri – una necessaria integra-zione delle sintesi presenti nella Proemiale Epistola, dovuta alla superficia-lità e velocità con le quali il filosofo di Nola vi si è dedicato – il ritorno altesto della lettera introduttiva ci consente di prendere nota, di nuovo, dellavalenza razionale e morale delle importanti conclusioni naturali della spe-culazione e riflessione bruniana. Nella parte finale di questa, infatti,Giordano Bruno dichiara apertamente il carattere razionale delle proprieriflessioni naturali, effettuando un aperto richiamo alla presenza di unastruttura di senso e di significato nascosta e latente – ecco la ricomparsa delconcetto bruniano di silenicità –

dove, mentre si riferiscono l’occasioni, i moti, i passaggi, i rancontri, igesti, gli affetti, i discorsi, le proposte, le risposte, i propositi ed i spropositi,remettendo tutto sotto il rigore del giudizio di que’ quattro, non è cosa, che nonvi possa venir a proposito con qualche raggione. Considerate ancora, che nonv’è parola ociosa; perché in tutte parti è da mietere e da disotterrar cose di nonmediocre importanza, e forse più là dove meno appare.

Questa struttura di senso e di significato nascosta e latente è già progre-dita nella Cena de le Ceneri dall’iniziale affermazione di un infinito sensi-bile e distinto alla considerazione, già razionale, di un infinito astratto,prima stazione della progressiva liberazione bruniana verso un concettoprima dialettico e poi creativo e dialettico dell’infinito stesso. Le tracce diquesto nuovo percorso filosofico, appena dischiuso dal novatore di Nola, sitroveranno nei due dialoghi successivi: il De la Causa, Principio e Uno e ilDe l’Infinito, Universo e mondi. Al lettore l’invito a proseguire, lungo il nonfacile cammino della decodificazione del messaggio bruniano.

Page 36: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo
Page 37: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

37

IIEPISTOLA INTRODUTTIVA

DE LA CAUSA, PRINCIPIO E UNO

PROEMIALE EPISTOLASCRITTA ALL’ILLUSTRISSIMO

SIGNOR MICHEL DI CASTELNOVOSignor di Mauvissiero, Concressalto e di Ionvilla,

Cavallier de l’ordine del Re Cristianissimo, Conseglier delsuo privato Conseglio,

Capitano di 50 uomini d’armee Ambasciator alla Serenissima Regina d’Inghilterra.

Illustrissimo e unico cavalliero, s’io rivolgo gli occhi della con-siderazione a remirar la vostra longanimità, perseveranza e solleci-tudine, con cui, giongendo ufficio ad ufficio, beneficio a beneficio,m’avete vinto, ubligato e stretto, e solete superare ogni difficultà,scampar da qualsivoglia periglio, e ridur a fine tutti vostri onoratis-simi dissegni; vegno a scorgere quanto propriamente vi convienequella generosa divisa, con la quale ornate il vostro terribil cimiero:dove quel liquido umore, che suavemente piaga, mentre continuo espesso stilla, per forza di perseveranza rammolla, incava, doma,spezza e ispiana un certo, denso, aspro, duro e ruvido sasso.

Se da l’altro lato mi riduco a mente come (lasciando gli altrivostri onorati gesti da canto), per ordinazion divina e alta providen-za e predestinazione, mi siete sufficiente e saldo difensore negl’in-giusti oltraggi ch’io patisco (dove bisognava che fusse un animoveramente eroico per non dismetter le braccia, desperarsi e darsivinto a sí rapido torrente di criminali imposture, con quali a tuttapossa m’ave fatto émpeto l’invidia d’ignoranti, la presunzion disofisti, la detrazion di malevoli, la murmurazion di servitori, gli sus-surri di mercenarii, le contradizioni di domestici, le suspizioni di

Page 38: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

38

stupidi, gli scrupoli di riportatori, gli zeli d’ipocriti, gli odii di bar-bari, le furie di plebei, furori di popolari, lamenti di ripercossi e vocidi castigati; ove altro non mancava ch’un discortese, pazzo e mali-zioso sdegno feminile, di cui le false lacrime soglion esser piùpotenti, che quantosivoglia tumide onde e rigide tempeste di pre-sunzioni, invidie, detrazioni, mormorii, tradimenti, ire, sdegni, odiie furori); ecco vi veggio qual saldo, fermo e constante scoglio, che,risorgendo e mostrando il capo fuor di gonfio mare, né per iratocielo, né per orror d’inverno, né per violente scosse di tumide onde,né per stridenti aerie procelle, né per violento soffio d’Aquiloni,punto si scaglia, si muove o si scuote; ma tanto più si rinverdisce edi simil sustanza s’incota e si rinveste. Voi, dunque, dotato di dop-pia virtù, per cui son potentissime le liquide e amene stille, e vanis-sime l’onde rigide e tempestose; per cui contra le goccie si rende sífiacco il fortunato sasso, e contra gli flutti sorge sí potente il trava-gliato scoglio; siete quello, che medesimo si rende sicuro e tranquil-lo porto alle vere muse, e ruinosa roccia in cui vegnano a svanirsile false munizioni de impetuosi dissegni de lor nemiche vele. Io,dunque, qual nessun giamai poté accusar per ingrato, nullo vitupe-rò per discortese, e di cui non è chi giustamente lamentar si possa;io, odiato da stolti, dispreggiato da vili, biasimato da ignobili, vitu-perato da furfanti e perseguitato da genii bestiali; io, amato da savii,admirato da dotti, magnificato da grandi, stimato da potenti e favo-rito dagli dei; io, per tale tanto favore da voi già ricettato, nodrito,difeso, liberato, ritenuto in salvo, mantenuto in porto; come scam-pato per voi da perigliosa e gran tempesta; a voi consacro questaàncora, queste sarte, queste fiaccate vele, e queste a me più care eal mondo future più preziose merci, a fine che per vostro favore nonsi sommergano dall’iniquo, turbulento e mio nemico Oceano.Queste, nel sacrato tempio della Fama appese, come saran potenticontra la protervia de l’ignoranza e voracità del tempo, cossì rende-ranno eterna testimonianza dell’invitto favor vostro; a fin che cono-sca il mondo che questa generosa e divina prole, inspirata da altaintelligenza, da regolato senso conceputa e da nolana Musa parturi-ta, per voi non è morta entro le fasce, e oltre si promette vita, men-tre questa terra col suo vivace dorso verrassi svoltando all’eternoaspetto de l’altre stelle lampegianti.

Eccovi quella specie di filosofia nella quale certa e veramente siritrova quello che ne le contrarie e diverse vanamente si cerca. E

Page 39: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

39

primeramente con somma brevità vi porgo per cinque dialogi tuttoquello che par che faccia alla contemplazion reale della causa, prin-cipio e uno.

Argomento del primo dialogo.

Ove nel primo dialogo avete una apologia, o qualch’altro non soche, circa gli cinque dialogi intorno La cena de le ceneri, ecc.

Argomento del secondo dialogo.

Nel dialogo secondo avete primamente la raggione della difficul-tà di tal cognizione, per sapere quanto il conoscibile oggetto siaallontanato dalla cognoscitiva potenza. Secondo, in che modo e perquanto dal causato e principiato vien chiarito il principio e causa.Terzo, quanto conferisca la cognizion della sustanza de l’universoalla noticia di quello da cui ha dependenza. Quarto, per qual mezzoe via noi particolarmente tentiamo di conoscere il primo principio.Quinto, la differenza e concordanza, identità e diversità, tra il signi-ficato da questo termino «causa» e questo termino «principio».Sesto, qual sia la causa la quale si distingue in efficiente, formale efinale, e in quanti modi è nominata la causa efficiente, e con quanteraggioni è conceputa; come questa causa efficiente è in certo modointima alle cose naturali, per essere la natura istessa, e come è incerto modo esteriore a quelle; come la causa formale è congionta al’efficiente, ed è quella per cui l’efficiente opera, e come la medesi-ma vien suscitata dall’efficiente dal grembo de la materia; comecoincida in un soggetto principio l’efficiente e la forma, e comel’una causa è distinta da l’altra. Settimo, la differenza tra la causaformale universale, la quale è una anima per cui l’universo infinito,come infinito, non è uno animale positiva- ma negativamente, e lacausa formale particulare moltiplicabile e moltiplicata in infinito; laquale, quanto è in un soggetto più generale e superiore, tanto è piùperfetta; onde, gli grandi animali, quai sono gli astri, denno esser sti-mati in gran comparazione più divini, cioè più intelligenti senzaerrore e operatori senza difetto. Ottavo, che la prima e principalforma naturale, principio formale e natura efficiente, è l’anima de

Page 40: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

40

l’universo: la quale è principio di vita, vegetazione e senso in tuttele cose, che vivono, vegetano e sentono. E si ha per modo di conclu-sione, che è cosa indegna di razional suggetto posser credere che l’u-niverso e altri suoi corpi principali sieno inanimati; essendo che dale parti ed escrementi di quelli derivano gli animali che noi chiamia-mo perfettissimi. Nono, che non è cosa sí manca, rotta, diminuta eimperfetta, che, per quel che ha principio formale, non abbia mede-simamente anima, benché non abbia atto di supposito che noi dicia-mo animale. E si conchiude, con Pitagora e altri, che non in vanohanno aperti gli occhi, come un spirito immenso, secondo diverseraggioni e ordini, colma e contiene il tutto. Decimo, se viene a fareintendere che, essendo questo spirito persistente insieme con lamateria, la quale gli Babiloni e Persi chiamaro ombra; ed essendol’uno e l’altra indissolubili, è impossibile che in punto alcuno cosaveruna vegga la corrozione, o vegna a morte secondo la sustanza;benché, secondo certi accidenti, ogni cosa si cangie di volto, e si tra-smute or sotto una or sotto un’altra composizione, per una o perun’altra disposizione, or questo or quell’altro essere lasciando e repi-gliando. Undecimo, che gli aristotelici, platonici e altri sofisti nonhan conosciuta la sustanza de le cose; e si mostra chiaro che ne lecose naturali quanto chiamano sustanza, oltre la materia, tutto èpurissimo accidente; e che da la cognizion de la vera forma s’inferi-sce la vera notizia di quel che sia vita e di quel che sia morte; e, spen-to a fatto il terror vano e puerile di questa, si conosce una parte de lafelicità che apporta la nostra contemplazione, secondo i fondamentide la nostra filosofia: atteso che lei toglie il fosco velo del pazzo sen-timento circa l’Orco ed avaro Caronte, onde il più dolce de la nostravita ne si rape ed avelena. Duodecimo, si distingue la forma, nonsecondo la raggion sustanziale per cui è una; ma secondo gli atti egli essercizii de le facultose potenze e gradi specifici de lo ente cheviene a produre. Terzodecimo, si conchiude la vera raggion definiti-va del principio formale: come la forma sia specie perfetta, distintanella materia, secondo le accidentali disposizioni dependenti da laforma materiale, come da quella che consiste in diversi gradi edisposizioni de le attive e passive qualitadi. Si vede come sia varia-bile, come invariabile; come definisce e termina la materia, come èdefinita e terminata da quella. Ultimo, si mostra con certa similitu-dine accomodata al senso volgare, qualmente questa forma, quest’a-nima può esser tutta in tutto e qualsivoglia parte del tutto.

Page 41: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

41

Argomento del terzo dialogo.

Nel terzo dialogo (dopo che nel primo è discorso circa la forma,la quale ha più raggion di causa che di principio) si procede allaconsiderazion de la materia, la quale è stimata aver più raggion diprincipio ed elemento che di causa: dove, lasciando da canto glipreludii che sono nel principio del dialogo, prima si mostra che nonfu pazzo nel suo grado David de Dinanto in prendere la materiacome cosa eccellentissima e divina. Secondo, come con diverse viedi filosofare possono prendersi diverse raggioni di materia, benchéveramente sia una prima e absoluta; perché con diversi gradi si veri-fica ed è ascosa sotto diverse specie cotali, diversi la possono pren-dere diversamente secondo quelle raggioni che sono appropriate asé; non altrimente che il numero che è preso dall’aritmetrico pura-e semplicemente, è preso dal musico armonicamente, tipicamentedal cabalista, e da altri pazzi e altri savii altrimente suggetto. Terzo,si dechiara il significato per il nome materia per la differenza esimilitudine che è tra il suggetto naturale e arteficiale. Quarto, sipropone come denno essere ispediti gli pertinaci, e sin quanto siamoubligati di rispondere e disputare. Quinto, dalla vera raggion de lamateria s’inferisce che nulla forma sustanziale perde l’essere; e for-temente si convence, che gli peripatetici e altri filosofi da volgo,benché nominano forma sustanziale, non hanno conosciuta altrasustanza che la materia. Sesto, si conchiude un principio formaleconstante, come è conosciuto un constante principio materiale; eche con la diversità de disposizioni, che son nella materia, il princi-pio formale si trasporta alla moltiforme figurazione de diverse spe-cie e individui; e si mostra onde sia avenuto che alcuni, allevatinella scuola peripatetica, non hanno voluto conoscere per sustanzaaltro che la materia. Settimo, come sia necessario che la raggionedistingua la materia da la forma, la potenza da l’atto; e si replicaquello che secondariamente si disse: come il suggetto e principio dicose naturali per diversi modi di filosofare può essere, senza incor-rere calunnia, diversamente preso; ma piú utilmente secondo modinaturali e magici, piú variamente secondo matematici e razionali;massime se questi talmente fanno alla regola ed essercizio dellaraggione, che per essi al fine non si pone in atto cosa degna e nonsi riporta qualche frutto di prattica, senza cui sarebbe stimata vanaogni contemplazione.

Page 42: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

42

Ottavo, si proponeno due raggioni con le quali suol essere consi-derata la materia, cioè come la è una potenza, e come la è un sog-getto. E cominciando dalla prima raggione, si distingue in attiva epassiva, e in certo modo se riporta in uno. Nono, s’inferisce dall’ot-tava proposizione, come il supremo e divino è tutto quello che puòessere, e come l’universo è tutto quello che può essere, e altre cosenon sono tutto quello che esser possono. Decimo, per conseguenzadi quello ch’è detto nel nono, altamente breve e aperto si dimostraonde nella natura sono i vizii, gli mostri, la corrozione e morte.

Undecimo, in che modo l’universo è in nessuna e in tutte le parti;e si dà luogo a una eccellente contemplazione della divinità.

Duodecimo, onde avvenga che l’intelletto non può capir questoabsolutissimo atto e questa absolutissima potenza. Terzodecimo, siconchiude l’eccellenza della materia, la quale cossí coincide con laforma, come la potenza coincide con l’atto. Ultimo, tanto da questo,che la potenza coincide con l’atto e l’universo è tutto quello che puòessere, quanto da altre raggioni, si conchiude ch’il tutto è uno.

Argomento del quarto dialogo.

Nel quarto dialogo, dopo aver considerata la materia nel secon-do, in quanto che la è una potenza, si considera la materia in quan-to che la è un suggetto. Ivi prima, con gli passatempi Poliinnici,s’apporta la raggion di quella secondo gli principii volgari, tanto diplatonici alcuni, quanto di peripatetici tutti. Secondo, raggionando-si iuxta gli proprii principii, si mostra una essere la materia di cosecorporee e incorporee con più raggioni. De quali la prima si prendedalla potenza di medesimo geno; la seconda, dalla raggione di certaanalogia proporzionale del corporeo e incorporeo, absoluto e con-tratto; la terza, da l’ordine e scala di natura, che monta ad un primocomplettente o comprendente; la quarta, da quel che bisogna che siauno indistinto prima che la materia vegna distinta in corporale e noncorporale; il quale indistinto vien significato per il supremo genodella categoria; la quinta, da quel che, siccome è una raggion comu-ne al sensibile e intelligibile, cossí deve essere al suggetto della sen-sibilità; la sesta, da quel, che l’essere della materia è absoluto dal’esser corpo, onde non con minor raggione può quadrare a coseincorporee che corporee; la settima, da l’ordine del superiore e infe-

Page 43: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

43

riore che si trova ne le sustanze, perché, dove è questo, se vi pre-suppone e intende certa comunione, la quale è secondo la materiache vien significata sempre per il geno, come la forma vien signifi-cata dalla specifica differenza; la ottava, è da un principio estraneo,ma conceduto da molti; la nona, dalla pluralità di specie che si dicenel mondo intelligibile; la decima, dalla similitudine e imitazione ditre mondi, metafisico, fisico e logico; la undecima, da quel, cheogni numero, diversità, ordine, bellezza e ornamento è circa lamateria.

Terzo si apportano con brevità quattro raggioni contrarie; e sirisponde a quelle. Quarto si mostra come sia diversa raggione traquesta e quella, di questa e quella materia, e come ella nelle coseincorporee coincida con l’atto, e come tutte le specie de le dimen-sioni sono nella materia, e tutte le qualitadi son comprese ne laforma. Quinto, che nessun savio disse mai le forme riceversi da lamateria come di fuora, ma quella, cacciandole come dal seno, man-darle da dentro. Laonde non è un prope nihil, un quasi nulla, unapotenza nuda e pura, se tutte le forme son come contenute da quel-la, e dalla medesima per virtù dell’efficiente (il qual può esser ancoindistinto da lei secondo l’essere) prodotte e parturite; e che nonhanno minor raggione di attualità nell’essere sensibile ed esplicato,se non secondo sussistenza accidentale, essendo che tutto il che sivede e fassi aperto per gli accidenti fondati su le dimensioni, è puroaccidente; rimanendo pur sempre la sustanza individua e coinciden-te con la individua materia. Onde si vede chiaro, che dall’esplica-zione non possiamo prendere altro che accidenti, di sorte che le dif-ferenze sustanziali sono occolte, disse Aristotele forzato da la veri-tà. Di maniera che, se vogliamo ben considerare, da questo possia-mo inferire una essere la omniforme sustanza, uno essere il vero edente, che secondo innumerabili circostanze e individui appare,mostrandosi in tanti e sì diversi suppositi.

Sesto, quanto sia detto fuor d’ogni raggione quello che Aristotelee altri simili intendono quanto all’essere in potenza la materia, ilqual certo è nulla: essendo che, secondo lor medesimi, questa è sífattamente permanente, che giamai cangia o varia l’esser suo, macirca lei è ogni varietà e mutazione, e quello che è dopo che posse-va essere, anco secondo essi, sempre è il composto. Settimo sidetermina de l’appetito de la materia, mostrandosi quanto vanamen-te vegna definita per quello, non partendosi da le raggioni tolte da’

Page 44: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

44

principii e supposizioni di color medesimi che tanto la proclamanocome figlia de la privazione e simile a l’ingordiggia irreparabile dela vogliente femina.

Argomento del quinto dialogo.

Nel quinto dialogo, trattandosi specialmente de l’uno, viene com-pito il fondamento de l’edificio di tutta la cognizion naturale e divi-na. Ivi prima s’apporta proposito della coincidenza della materia eforma, della potenza e atto: di sorte che lo ente, logicamente divisoin quel che è e può essere, fisicamente è indiviso, indistinto ed uno;e questo insieme insieme infinito, immobile, impartibile, senza diffe-renza di tutto e parte, principio e principiato. Secondo, che in quellonon è differente il secolo da l’anno, l’anno dal momento, il palmo dalstadio, il stadio da la parasanga, e nella sua essenza questo e quell’al-tro essere specifico non è altro ed altro; e però nell’universo non ènumero, e però l’universo è uno. Terzo, che ne l’infinito non è diffe-rente il punto dal corpo, perché non è altro la potenza e altro l’atto; eivi, se il punto può scorrere in lungo, la linea in largo, la superficie inprofondo, l’uno è lungo, l’altra è larga, l’altra è profonda; e ogni cosaè lunga, larga e profonda; e per consequenza, medesimo e uno; e l’u-niverso è tutto centro e tutto circonferenza. Quarto, qualmente daquel, ché Giove (come lo nominano) più intimamente è nel tutto chepossa imaginarsi esservi la forma del tutto (perché lui è la essenzia,per cui tutto quel ch’è ha l’essere; ed essendo lui in tutto, ogni cosapiù intimamente che la propria forma ha il tutto), s’inferisce che tuttele cose sono in ciascuna cosa, e per consequenza tutto è uno. Quinto,se risponde al dubio che dimanda, perché tutte le cose particolari sicangiano, e le materie particolari, per ricevere altro e altro essere, siforzano ad altre e altre forme; e si mostra come nella moltitudine èl’unità, e ne l’unità è la moltitudine; e come l’ente è un moltimodo emoltiunico, e in fine uno in sustanza e verità. Sesto, se inferisce ondeproceda quella differenza e quel numero, e che questi non sono ente,ma di ente e circa lo ente. Settimo, avertesi che chi ha ritrovato que-st’uno, dico la raggione di questa unità, ha ritrovata quella chiave,senza la quale è impossibile aver ingresso alla vera contemplazion dela natura. Ottavo, con nova contemplazione si replica, che l’uno, l’in-finito, lo ente e quello che è in tutto, è per tutto, anzi è l’istesso ubi-

Page 45: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

que; e che cossí la infinita dimensione, per non essere magnitudine,coincide con l’individuo, come la infinita moltitudine, per non essernumero, coincide con la unità. Nono, come ne l’infinito non è partee parte, sia che si vuole ne l’universo esplicatamente; dove però tuttoquel che veggiamo di diversità e differenza, non è altro che diversoe differente volto di medesima sustanza. Decimo, come ne li doiestremi, che si dicono nell’estremità de la scala della natura, non èpiú da contemplare doi principii che uno, doi enti che uno, doi con-trarii e diversi, che uno concordante e medesimo. Ivi l’altezza è pro-fondità, l’abisso è luce inaccessa, la tenebra è chiarezza, il magno èparvo, il confuso è distinto, la lite è amicizia, il dividuo è individuo,l’atomo è immenso; e per il contrario. Undecimo, qualmente certegeometriche nominazioni come di punto e uno, son prese per promo-vere alla contemplazione de lo ente e uno, e non sono da per sé suf-ficienti a significar quello. Onde Pitagora, Parmenide, Platone nondenno essere sí scioccamente interpretati, secondo la pedantesca cen-sura di Aristotele. Duodecimo, da quel, che la sustanza ed essere èdistinto dalla quantità, dalla misura e numero, s’inferisce che la è unae individua in tutto e in qualsivoglia cosa.

Terzodecimo, s’apportano gli segni e le verificazioni per qualigli contrarii veramente concorreno, sono da un principio e sono inverità e sustanza uno; il che, dopo esser visto matematicamente, siconchiude fisicamente.

Ecco, illustrissimo Signore, onde bisogna uscire prima che volerentrare alla piú speciale e appropriata cognizion de le cose. Quivi,come nel proprio seme, si contiene ed implica la moltitudine de leconclusioni della scienza naturale. Quindi deriva la intessitura,disposizione e ordine de le scienze speculative. Senza questa isago-gia in vano si tenta, si entra, si comincia. Prendete, dunque, congrato animo questo principio, questo uno, questo fonte, questocapo, perché vegnano animati a farsi fuora e mettersi avanti la suaprole e genitura, gli suoi rivi e fiumi maggiori si diffondano, il suonumero successivamente si moltipliche e gli suoi membri oltre sidispongano a fin che, cessando la notte col sonnacchioso velo etenebroso manto, il chiaro Titone, parente de le dive Muse, ornatodi sua fameglia, cinto da la sua eterna corte, dopo bandite le nottur-ne faci, ornando di nuovo giorno il mondo, risospinga il trionfantecarro dal vermiglio grembo di questa vaga Aurora. Vale.

45

Page 46: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

46

GIORDANO NOLANOAI PRINCIPI DE L’UNIVERSO

Lethaea undantem retinens ab origine campumEmigret o Titan, et petat astra precor.

Errantes stellae, spectate procedere in orbemMe geminum, si vos hoc reserastis iter.

Dent geminas somni portas laxarier usque,Vestrae per vacuum me properante vices:

Obductum tenuitque diu quod tempus avarum,Mi liceat densis promere de tenebris.

Ad partum properare tuum, mens aegra, quid obstat,Seclo haec indigno sint tribuenda licet?

Umbrarum fluctu terras mergente, cacumenAdtolle in clarum, noster Olimpe, Iovem.

AL PROPRIO SPIRTO

Mons, licet innixum tellus radicibus altisTe capiat, tendi vertice in astra vales.

Mens, cognata vocat summo de culmine rerum,Discrimen quo sis manibus atque Iovi.

Ne perdas hic iura tui fundoque recumbensImpetitus tingas nigri Acherontis aquas.

At mage sublimeis tentet natura recessus,Nam, tangente Deo, fervidus ignis eris.

AL TEMPO

Lente senex, idemque celer, claudensque relaxans,Anne bonum quis te dixerit, anne malum?

Largus es, esque tenax: quae munera porrigis, aufers;Quique parens aderas, ipse peremptor ades;Visceribusque educta tuis in viscera condis,

Tu cui prompta sinu carpere fauce licet.Omnia cumque facis cumque omnia destruis, hinc te

Nonne bonum possem dicere, nonne malum?

Page 47: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

Porro ubi tu diro rabidus frustraberis ictu,Falce minax illo tendere parce manus,

Nulla ubi pressa Chaos atri vestigia parentNe videare bonus, ne videare malus.

DE L’AMORE

Amor, per cui tant’alto il ver discerno,Ch’apre le porte di diamante e nere

Per gli occhi entra il mio nume; e per vedereNasce, vive, si nutre, ha regno eterno.

Fa scorger quant’ha il ciel terr’ed inferno,Fa presente d’absenti effigie vere,

Repiglia forze, e, trando dritto, fere,E impiaga sempre il cor, scuopre ogn’interno.

O dunque, volgo vile, al vero attendi,Porgi l’orecchio al mio dir non fallace,

Apri, apri, se puoi, gli occhi, insano e bieco.Fanciullo il credi, perché poco intendi;

Perché ratto ti cangi, ei par fugace;Per esser orbo tu, lo chiami cieco.

Causa, principio ed uno sempiterno,Onde l’esser, la vita, il moto pende,

E a lungo, a largo e profondo si stendeQuanto si dic’in ciel, terr’ed inferno;

Con senso, con raggion, con mente scernoCh’atto, misura e conto non comprendeQuel vigor, mole e numero, che tendeOltr’ogn’inferior, mezzo e superno.

Cieco error, tempo avaro, ria fortuna,Sord’invidia, vil rabbia, iniquo zelo,

Crudo cor, empio ingegno, strano ardireNon bastaranno a farmi l’aria bruna,

Non mi porrann’avanti gli occhi il velo,Non faran mai che il mio bel sol non mire.

47

Page 48: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo
Page 49: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

DE LA CAUSA, PRINCIPIO E UNO (LONDRA 1584)Note ed osservazioni in forma di commento

Ricordata con molta retorica ed enfasi la difesa della propria persona, com-piuta da Michel De Castelnau, dopo gli accessi d’ira e le reazioni provocatedalla pubblicazione della Cena de le Ceneri, con i suoi tratti negativi nei con-fronti degli accademici e dello stesso popolo inglese, Giordano Bruno dedica– con spirito di riconoscenza ed alto senso del valore della propria speculazio-ne filosofica – al medesimo ambasciatore francese la sua nuova opera:

a voi consacro questa àncora, queste sarte, queste fiaccate vele, e queste ame più care e al mondo future più preziose merci, a fine che per vostro favo-re non si sommergano dall’iniquo, turbulento e mio nemico Oceano. Queste,nel sacrato tempio della Fama appese, come saran potenti contra la proterviade l’ignoranza e voracità del tempo, cossí renderanno eterna testimonianzadell’invitto favor vostro; a fin che conosca il mondo che questa generosa edivina prole, inspirata da alta intelligenza, da regolato senso conceputa e danolana Musa parturita, per voi non è morta entro le fasce, e oltre si promettevita, mentre questa terra col suo vivace dorso verrassi svoltando all’eternoaspetto de l’altre stelle lampegianti.

Questa opera è destinata a mostrare, a svelare un tesoro speculativo checostituisce una vera e propria rivoluzione nell’orizzonte filosofico deltempo. Così, dopo la breve apologia dei dialoghi della Cena de le Ceneri,l’Argomento del secondo dialogo fa subito precipitare l’attenzione e la con-siderazione del lettore verso la difficoltà che anima la comprensione effetti-va della struttura che vincola in modo mirabile il concetto di Causa conquello di Principio e di Uno. Infatti il filosofo nolano, per poter far intende-re la profonda ed alta posizione assunta dal suo concetto di Causa, deveintrodurre all’inizio della trattazione filosofica una distinzione (o differenza)fondamentale: la distinzione/differenza fra l’atto dell’oggetto conoscibile ela potenza conoscitiva, fra ciò che in altro ma equivalente modo può esseredefinito come orizzonte di ragione e ciò che fa risaltare il movimento dideterminazione o natura. Così, per la stessa ragione per la quale Causa ePrincipio possono essere distinti, per quella stessa ragione essi debbono

49

Page 50: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

venire ricomposti – “Quinto, la differenza e concordanza …” – stante che ilmovimento di determinazione non può trovare altra origine che una ragioneintellettuale apparentemente alta ed interna al proprio stesso comparire comedistinzione, distinzione interna all’apparente separazione: questa ragioneintellettuale è l’intelletto animatore dell’Universo,1 “causa … efficiente, for-male e finale” dell’insieme degli esseri creati – “intima … natura istessa”–e di ciascuno di essi – “esteriore”. Luogo immaginato e reale dell’appariredel movimento di determinazione – “causa formale … congionta a l’effi-ciente” – l’intelletto animatore non risulta scisso dalla materia che lo accom-pagna e dal cui più profondo ed elevato interno scaturisce l’essere termina-le: l’idea che fa realtà,2 il soggetto principiale, che si distingue in se stessofra un’aperta negazione del singolo essere e concentrato – “causa formaleuniversale” – ed una potenza e capacità, vincolate e relative alla propriamanifestazione – “causa formale particulare”.3 Così quanto più gli esserianimati potranno godere dell’ascesa verso ciò che è più eminentemente aper-to, tanto più potranno assorbire tutte quelle note caratteristiche che riesconoa tenere insieme, senza contraddizione e reciproca opposizione, immediataperfezione del movimento d’operazione e visibile corporeità, un subitaneoinfinito distribuibile ed una corrispondente ed adeguata, complessa materia-lità.4 Fra questi esseri animati, quelli più perfetti saranno allora – secondo

50

1 G. BRUNO. De la Causa, Principio e Uno. Sansoni Editore, Firenze 19583 (rist. 1985).Pag. 231. «Teofilo. Assai mi piace il vostro ordine di proponere. Or, quanto alla causaeffettrice, dico l’efficiente fisico universale essere l’intelletto universale, che è la primae principal facultà de l’anima del mondo, la quale è forma universale di quello.»

2 Ivi, pag. 233. « Teofilo. … Da noi si chiama artefice interno, perché forma la materiae la figura da dentro, come da dentro del seme o radice manda ed esplica il stipe; dadentro il stipe caccia i rami; da dentro i rami le formate brance; da dentro queste ispie-ga le gemme; da dentro forma, figura, intesse, come di nervi, le frondi, gli fiori, glifrutti; e da dentro, a certi tempi, richiama gli suoi umori da le frondi e frutti alle bran-ce, da le brance agli rami, dagli rami al stipe, dal stipe alla radice. Similmente neglianimali spiegando il suo lavore dal seme prima, e dal centro del cuore a li membriesterni, e da quelli al fine complicando verso il cuore l’esplicate facultadi, fa come giàvenesse a ringlomerare le già distese fila.»

3 Ivi, pag. 234. «Teofilo. … Son tre sorte de intelletto; il divino che è tutto, questo mun-dano che fa tutto, gli altri particolari che si fanno tutto; perché bisogna che tra gli estre-mi se ritrove questo mezzo, il quale è vera causa efficiente, non tanto estrinseca comeanco intrinseca, de tutte cose naturali.»

4 Ivi, pag. 235. «Dicsono. Il scopo e la causa finale, la qual si propone l’efficiente, è laperfezion dell’universo; la quale è che in diverse parti della materia tutte le formeabbiano attuale esistenza: nel qual fine tanto si deletta e si compiace l’intelletto, chemai si stanca suscitando tutte sorte di forme da la materia, come par che voglia anco-ra Empedocle. Teofilo. Assai bene. E giongo a questo che, sicome questo efficiente èuniversale nell’universo ed è speciale e particulare nelle parti e membri di quello, cossíla sua forma e il suo fine.»

Page 51: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

l’immaginazione sensibile (e razionale) bruniana – gli astri celesti, i corpianimati del cielo, nel loro movimento e produzione naturali e perfetti.5

La speculazione bruniana riesce, pertanto, sin dalle prime movenze pre-senti nella nuova opera a compiere il salto dall’infinito astratto, ultimo rag-giungimento del testo precedente, La cena de le Ceneri, all’infinito che, nonappena dichiara la propria dialetticità – il movimento di distinzione ericomposizione fra Causa e Principio nell’apertura dell’Uno – deve scopri-re in se stesso, nella profondità ed all’interno di se stesso, il proromperedella fonte primigenia, della fonte e della propulsione creativa. Ecco dun-que, allora, che l’esperienza filosofica bruniana compie in due scatti a bre-vissimo giro quel progresso che la porta ad esaurire tutte le fasi dell’espe-rienza infinitale: prima l’infinito sensibile, poi l’infinito astratto, quindi inrapida cadenza quello dialettico e creativo. Il materiale argomentativo pre-sente nel De la Causa, Principio e Uno dovrà così ora riformulare i rappor-ti fra Spirito e materia, per procedere nell’opera successiva – il Del’Infinito, Universo e mondi – ad una ridefinizione del tessuto conoscitivogià approntato nel testo italiano d’esordio, La cena de le Ceneri. Nel frat-tempo la speculazione bruniana si rivolge al contesto argomentativo appe-na scoperto ed escogitato: il contesto di un’immaginazione sensibile e nellostesso tempo razionale, che gli consente di indicare, prima, la sussistenza diun’anima dell’universo – “anima de l’universo” – reale accompagnatricedell’intelletto universale nella sua funzione di vivificazione, crescita e rag-giungimento dell’orizzonte comune della razionalità,6 quindi di predispor-re l’accoglienza di questa e dei suoi infiniti riflessi corporei – gli astri delcielo e gli animali che vivono in questi – all’interno di una tendenza e di unorizzonte di senso che dirama, distribuisce e fa partecipare, capovolgendoin continuazione i minimi nei massimi e questi nei primi. Per questoGiordano Bruno potrà affermare che:

non è cosa sí manca, rotta, diminuta e imperfetta, che, per quel che ha prin-cipio formale, non abbia medesimamente anima, benché non abbia atto di sup-posito che noi diciamo animale. E si conchiude, con Pitagora e altri, che nonin vano hanno aperti gli occhi, come un spirito immenso, secondo diverse rag-gioni e ordini, colma e contiene il tutto.

In questo movimento di circolazione continua – che ricorda la vicissitu-dine della Cena de le Ceneri – la struttura che comprime la materia all’in-

51

5 Ivi, pag. 237.6 Ivi, pagg. 238-239. «Dicsono. Mi par udir cosa molto nova: volete forse che non solo la

forma de l’universo, ma tutte quante le forme di cose naturali siano anima? Teofilo. Sí.»

Page 52: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

terno dei suoi due capi spirituali – il termine nascente e quello finale – restaindistruttibile ed immodificabile (“l’uno e l’altra indissolubili”), per quan-to invece tutto ciò che compare fra questi due estremi non può non modifi-care la propria apparenza ed il proprio scopo, secondo una variabilità estre-ma, aperta ed infinita (“ogni cosa si cangie di volto”).7 In questo modo,ferma restando la mediazione necessaria rappresentata dalla materia, laduplice variabilità della natura e della ragione impedisce che queste possa-no essere considerate della medesima necessità della prima. Esse, al contra-rio, assumono – entro le coordinate bruniane – lo status di enti “contingen-ti”, di esseri la cui determinazione risiede nella possibilità (appunto possi-bilità di essere).8 Se la possibilità di essere – nella finalità naturale o nelloscopo razionale – definisce allora l’indistruttibile ed ineliminabile moven-za dell’essere bruniano – vedremo che questa costituirà il suo intrinsecodesiderio – ciò che viene a decadere e dissolversi, ciò che viene puntual-mente e totalmente rivoluzionato è proprio il tratto finitista e necessitaristastabilito e codificato dalla tradizione neoplatonico-aristotelica, che viene

52

7 Ivi, pagg. 244-245. « Teofilo. Se dunque il spirto, la anima, la vita si ritrova in tutte lecose e, secondo certi gradi, empie tutta la materia; viene certamente ad essere il veroatto e la vera forma de tutte le cose. L’anima, dunque, del mondo è il principio forma-le constitutivo de l’universo e di ciò che in quello si contiene. Dico che, se la vita sitrova in tutte le cose, l’anima viene ad esser forma di tutte le cose: quella per tutto è pre-sidente alla materia e signoreggia nelli composti, effettua la composizione e consisten-zia de le parti. E però la persistenza non meno par che si convegna a cotal forma, che ala materia. Questa intendo essere una di tutte le cose; la qual però, secondo la diversitàdelle disposizioni della materia e secondo la facultà de’ principii materiali attivi e pas-sivi, viene a produr diverse figurazioni, ed effettuar diverse facultadi, alle voltemostrando effetto di vita senza senso, talvolta effetto di vita e senso senza intelletto, tal-volta par ch’abbia tutte le facultadi suppresse e reprimute o dalla imbecillità o da altraraggione de la materia. Cossí, mutando questa forma sedie e vicissitudine, è impossibi-le che se annulle, perché non è meno subsistente la sustanza spirituale che la materiale.Dunque le formi esteriori sole si cangiano e si annullano ancora, perché non sono cosema de le cose, non sono sustanze, ma de le sustanze sono accidenti e circostanze.»

8 È da notare e sottolineare il fatto di ragione bruniano che la duplice apparente contin-genza degli enti di ragione e di quelli naturali sussiste come possibilità di essere. Alcontrario, secondo il presupposto stabilito dalla tradizione neoplatonico-aristotelica, lacontingenza degli enti di ragione o di quelli naturali dipende dalla possibilità di nonessere: mentre, infatti, si noterà quanto la possibilità bruniana si radichi nella libertàche apre la vita e l’intelligenza (l’Uno universale infinito), la contingenza tramandatadalla tradizione speculativa occidentale si fonda sulla necessità di un finire, che vienestabilito dall’opposizione dimorante fra l’Essere ed il divenire, l’eterno ed il corrutti-bile. Qui l’Uno, come ordine della fine necessaria, non può non chiudere univocamen-te il movimento del mondo unico nell’annichilazione delle diversità, a favore di diffe-renze astratte che devono mantenere la funzione della necessaria corrispondenza edadeguazione. È per tale ragione che il composto astratto deve indurre o imporre la finedel composto concreto.

Page 53: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

pertanto rovesciata e distrutta dalla posizione bruniana. Con le parole dellostesso filosofo nolano:

Undecimo, che gli aristotelici, platonici e altri sofisti non han conosciuta lasustanza de le cose; e si mostra chiaro che ne le cose naturali quanto chiamanosustanza, oltre la materia, tutto è purissimo accidente; e che da la cognizion de lavera forma s’inferisce la vera notizia di quel che sia vita e di quel che sia morte;e, spento a fatto il terror vano e puerile di questa, si conosce una parte de la feli-cità che apporta la nostra contemplazione, secondo i fondamenti de la nostra filo-sofia: atteso che lei toglie il fosco velo del pazzo sentimento circa l’Orco ed avaroCaronte, onde il più dolce de la nostra vita ne si rape ed avelena.

Scoperta, ma non ancora esplicitamente affermata, “la vera forma” – ildesiderio intrinseco alla materia9 – la speculazione di Giordano Bruno puòperseguire la definizione della sua duplice e molteplice apparenza. Primapuò innalzare la sua potenza naturale, poi può declinare lo stato della suapotenza razionale,10 così distinguendo fra “gli atti e gli essercizii de le facul-tose potenze e gradi specifici de lo ente che viene a produre.”Conseguentemente la sua riflessione può predisporre un duplice quadro diriferimento, in interna corrispondenza: alla finalità naturale, che dispone inmodo complementare e dialettico attività e passività – “attive e passive qua-

53

9 Si tratta della forma materiale. Ivi, pag, 247-248. « Teofilo. … Per ora notate questadistinzione de la forma, che è una sorte di forma prima, la quale informa, si estende edepende; e questa, perché informa il tutto, è in tutto; e perché la si stende, comunicala perfezione del tutto alle parti; e perché la dipende e non ha operazione da per sé,viene a communicar la operazion del tutto alle parti; similmente il nome e l’essere.Tale è la forma materiale, come quella del fuoco; perché ogni parte del fuoco scalda,si chiama fuoco, ed è fuoco.» L’anima vegetativa e sensitiva, invece, sembra saltareagli estremi, stando presso il termine iniziale e finale, lasciando in tal modo la funzio-ne di medio all’intervento dell’anima intellettiva, che rimane superiore. Ivi, pag. 248.« Secondo, è un’altra sorte di forma, la quale informa e depende, ma non si stende; etale, perché fa perfetto e attua il tutto, è nel tutto e in ogni parte di quello; perché nonsi stende, avviene che l’atto del tutto non attribuisca a le parti; perché depende, l’ope-razione del tutto comunica a le parti. E tale è l’anima vegetativa e sensitiva, perchénulla parte de l’animale è animale, e nulladimeno ciascuna parte vive e sente. Terzo, èun’altra sorte di forma, la quale attua e fa perfetto il tutto, ma non si stende, né depen-de quanto a l’operazione. Questa perché attua e fa perfetto, è nel tutto, e in tutto e inogni parte; perché la non si stende, la perfezione del tutto non attribuisce a le parti; per-ché non depende, non comunica l’operazione. Tale è l’anima per quanto può esercitarla potenza intellettiva, e si chiama intellettiva; la quale non fa parte alcuna de l’uomoche si possa nomar uomo, né sia uomo, né si possa dir che intenda.»

10 Ivi, pagg. 248-249. « Di queste tre specie la prima è materiale, che non si può inten-dere, né può essere senza materia; l’altre due specie (le quali in fine concorreno a uno,secondo la sustanza ed essere, e si distingueno secondo il modo che sopra abbiamodetto) denominiamo quel principio formale, il quale è distinto dal principio materiale.»

Page 54: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

litadi” – deve corrispondere un grado più elevato, dove egualmente attivitàe passività possano essere assegnati in modo analogo pure al soggetto razio-nale. Solo in questo modo la forma terminale potrà essere diffusa e distribui-ta entro il cosmo nella sua interezza, in quanto che il cosmo stesso non possanon ritornare ed aprirsi alla propria stessa fonte genetica: la libertà.11 In que-sto modo, ancora, la materia stessa – che nelle argomentazioni della Cena siera costituita come luogo d’incontro fra divenire ed essere – ora diviene unalibera apertura superiore, un ente di ragione (come sarà determinatamentedefinito nella Cabala del Cavallo pegaseo). Un ente di ragione che unisce leforme molteplici che appaiono nell’orizzonte inferiore della sensibilitàimmaginativa, trasferendole, riproiettandole e ruotandole all’interno dell’o-rizzonte infinito della forma invariabile dell’Uno.12 Solo in questo modo laspeculazione bruniana può affermare che “questa forma, quest’anima puòesser tutta in tutto e qualsivoglia parte del tutto”. Tutta in tutto da un lato,quello razionale, e in qualsivoglia parte del tutto, per il suo verso naturale.Restando “inesistente” – ovvero essendo forma generale dell’esistenza appa-rente – venendo accostata ad ogni soggetto come capo della sua realizzazio-ne – ecco il suo essere “associata” – e risultando in ultimo potenza separatadi ogni operazione – in ciò consiste il suo essere “assistente” – la forma sepa-rabile bruniana crea in se stessa l’immagine e la sostanza della materia, in sémobile, e più su l’atto d’impressione individuale della forma.13

Ritornando e retrocedendo di un passo in questo modo ad una concezio-ne astratta dell’essere e del divenire, la speculazione bruniana può mostra-re la sussistenza di un triplice grado: quello della forma separata, quellodella forma separabile e quello della forma inseparabile, all’effetto dell’o-perazione intellettuale. Entro questo triplice grado l’infinito bruniano nonpuò, conseguentemente, non assumere il valore della libera apertura (uno),della creativa moltiplicazione (tutto in tutto) e della molteplice determina-zione (tutto da tutto).14

54

11 Ovvero l’indipendenza della forma prima, una e separata, perciò universale. Ivi, pag. 249. 12 Ivi, pagg. 249-250. «Dicsono. Oltre, in sé invariabile, variabile poi per li soggetti e

diversità di materie. E cotal forma, benché nel soggetto faccia differir la parte dal tutto,ella però non differisce nella parte e nel tutto; benché altra raggione li convegna comesubsistente da per sé, altra in quanto che è atto e perfezione di qualche soggetto, ed altrapoi a riguardo d’un soggetto con disposizioni d’un modo, altra con quelle d’un altro.»

13 Ivi, pag. 250. «Dicsono. Questa forma non la intendete accidentale, né simile alla acci-dentale, né come mista alla materia, né come inerente a quella, ma inesistente, associa-ta, assistente. Teofilo. Cossí dico. Dicsono. Oltre, questa forma è definita e determinataper la materia; perché, avendo in sé facilità di constituir particolari di specie innumera-bili, viene a contraersi, a constituir uno individuo; e da l’altro canto, la potenza dellamateria indeterminata, la quale può ricevere qualsivoglia forma, viene a terminarsi aduna specie: tanto che l’una è causa della definizione e determinazion de l’altra.»

14 Ivi, pagg. 251-253.

Page 55: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

Nell’Argomento del terzo dialogo Giordano Bruno può quindi lodareDavid di Dinant,15 per la sua concezione della materia, vicina alla determi-nazione di essa appena stabilita: quella di essere intimo ad ogni determina-zione, potenza creativa capace di svilupparsi ed articolarsi. Come materiainterna all’intero orizzonte dell’esistenza e della sensibilità la materia bru-niana potrebbe, poi, essere interpretata in maniera diversa, a seconda deipresupposti filosofici adottati. All’interno della posizione speculativa dimatrice neoplatonica magico-astrologica o cabalistica – linea interpretativache aveva visto quali esponenti Ficino, Pico, Reuchlin, Zorzi, Agrippa – lospazio razionale occupato dalla materia bruniana viene decodificato attra-verso una graduazione progressiva, che vede disporsi in serie, secondo unatendenza superiore, immaginazione, ragione e mente (o intelletto).16 In que-sta impostazione, però, l’estremo risultato dell’ascesa e dell’elevazionedelle facoltà dell’anima portava ad intravedere ed inquadrare le propagginirazionali della molteplicità ideale in forma apparentemente sensibile (gliallettamenti della phantasia) all’interno di una concezione univocadell’Essere. L’Uno necessario e d’ordine implicito in questa impostazionespeculativa avocava e conservava in sé la totalità della volontà, della poten-za e dell’intelligenza, per mostrarle successivamente nello svolgimento

55

15 David di Dinant (XII sec.) sosteneva, secondo la testimonianza di Alberto Magno, cheDio e la materia prima si identificassero. La materia era un ente di ragione, al cui inter-no compariva la molteplicità sensibile delle forme. Dio resta comunque al di fuori diogni genere come essere in potenza. Potenza pura era, poi, la materia prima. Si puòdunque immaginare, qui, un’identità di relazione capace di mostrare una possibile giu-stapposizione perfetta fra la topologia dei concetti di David di Dinant e quelli diGiordano Bruno, contro il reciproco schiacciamento e la fusione prospettati dall’inter-pretazione del maestro di Tommaso d’Aquino. In particolare la materia prima di Daviddi Dinant era – sempre secondo la medesima testimonianza – soggetto immobile diinfinite trasformazioni, senza principio e senza fine, anteriore e posteriore a tutte lemutazioni in quanto sopravvivente ad esse. A. RODOLFI. Il velo di Atena. La critica diAlberto Magno a David di Dinant. Università di Ferrara, «Castelli di Yale», Anno V(2001-2002). L’identità di relazione fra Dio e la materia, qui indicata, può trovare cor-rispondenza nel testo bruniano. G. BRUNO. De la Causa, Principio e Uno. Cit., pagg.262-263. «Teofilo. …troviamo che è necessario conoscere nella natura doi geni disustanza, l’uno che è forma e l’altro che è materia; perché è necessario che sia un attosustanzialissimo, nel quale è la potenza attiva di tutto, ed ancora una potenza e un sog-getto nel quale non sia minor potenza passiva di tutto: in quello è potestà di fare, inquesto è potestà di esser fatto.»

16 S. BENASSI. Marsilio Ficino e il potere dell’immaginazione. Università di Ferrara,«Castelli di Yale», Anno II (1997). V. PERRONE COMPAGNI. Riforma della magia eriforma della cultura in Agrippa. Università di Ferrara, cit. M. BERTOZZI. MensulaJovis. Considerazioni sulle fonti filosofiche della Melencolia I di Albrecht Dürer.Università di Ferrara, cit. A.F. YATES. Cabbala e occultismo nell’età elisabettiana.Einaudi, Torino 1982.

Page 56: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

determinato della propria progressione (numero). Ecco allora che il sogget-to tradizionale veniva a subire una moltiplicazione essa stessa progressivae successiva, con ampliamento ed estensione finale delle forme e dellematerie a queste congiunte. Naturalmente e razionalmente in questa impo-stazione filosofica non si poteva trovare spazio, tempo e movimento alcu-no per ciò che veniva rivoluzionarmente supportato dal plesso argomenta-tivo bruniano: il concetto e la prassi dell’infinito creativo e dialettico.Sebbene qui – nel De la Causa, Principio e Uno – si dimostri ancora oscil-lante fra la concezione astratta e quella concreta dell’infinito, GiordanoBruno approfondirà nelle opere successive – nel De l’Infinito, Universo emondi, ma specialmente nello Spaccio de la Bestia trionfante, nella Cabaladel Cavallo pegaseo e negli Eroici furori – il senso razionale della moltipli-cazione nell’affermazione libertaria dell’Uno. Qui, allora, il senso per ilquale l’Amore universale ed infinito rende stabile l’identità di relazione emovimento della figura teologica del Figlio (Eguaglianza) con quella delPadre (Libertà) aprirà un concetto ed una prassi materiale superiore (civil-tà) all’insegna della mutua e reciproca fraternità dei soggetti (prima natura-li e poi razionali). Per il momento la concezione della materia bruniana siarresta, però, al limite naturale stabilito da una certa disposizione analogi-ca: essa, infatti, “dechiara il significato per il nome materia per la differen-za e similitudine che è tra il suggetto naturale e arteficiale.” Materia è ora,per Giordano Bruno, il soggetto naturale, al quale apparentemente vienesovrapposta e irradicata interiormente la forma.17 Essa quindi non ha di perse stessa alcuna forma, per poterle ottenere tutte: conseguentemente valecome l’assoluto indeterminato, messo in movimento di trasformazione dal-l’assoluto determinante, rispetto al quale ha una relazione necessaria.Questa relazione è una relazione razionale: razionale dunque sarà pure lanatura della materia bruniana (come meglio si vedrà nella Cabala delCavallo pegaseo).18 Le forme, dunque, che si sviluppano dalla materia eattraverso la materia, in virtù di un efficiente intrinseco, interno ma apertoalla totalità delle stesse, estendono nell’immaginazione una specie di svi-luppo e di successione che non perde mai di vista un orizzonte di determi-nazione plurale illimitato, che non esclude da se stesso alcun essere. Con leparole del filosofo di Nola: “dalla vera raggion de la materia s’inferisce chenulla forma sustanziale perde l’essere”.19 Una riduzione elementare del

56

17 G. BRUNO. De la Causa, Principio e Uno. Cit., pag. 265. «Teofilo. … È dunque unaspecie di soggetto, del qual, col quale e nel quale la natura effettua la sua operazione,il suo lavoro; e il quale è da lei formato di tante forme che ne presentano a gli occhidella considerazione tanta varietà di specie.»

18 Ivi, pag. 266. 19 Ivi, pag. 270. «Teofilo. Da questo si può conchiudere (ancor a lor dispetto) che nessu-

Page 57: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

concetto di materia è, quindi, quella apportata dalla tradizione aristotelica,incapace di staccarsi dalla rappresentazione della materia determinata, dal-l’entità corpuscolare intrinsecamente animata da una qualità particolare.

Toccato l’uJpokeivhenon aristotelico, Giordano Bruno può rinominare etrattare brevemente di nuovo il “principio formale constante”, opponendo-lo al principio relativo, al soggetto logico della realtà considerata (il sog-getto delle categorie aristoteliche). Esso, naturalmente, è il già indicatointelletto formatore.20 La relazione d’identità che permette di congiungeremateria e forma trova poi, nella prospettiva bruniana, uno slancio interno,si potrebbe dire quasi una propulsione immaginativa. Qui la speculazionebruniana trova e propone la propria originalità, qui la posizione brunianaapre la propria rivoluzionarietà, rispetto alla linea speculativa di matriceneoplatonica magico-astrologica e cabalistica, con notevoli influssi quindisulla trasformazione di questi stessi concetti all’interno della prospettivabruniana stessa. Qui la riflessione di Giordano Bruno distende, infatti, unimpulso immaginativo legato alla possibilità d’essere, per il tramite delladistinzione fra la caratteristica per la quale la materia è soggetto(uJpokeivhenon) e quella per la quale la medesima è potenza, potenza attiva(duvna±mi$, ejnevrgeia). In questo modo la riflessione bruniana, proprio per iltramite dell’apertura decretata dalla possibilità d’essere, potrà riqualificaree rivoluzionare sia la parte pratica della filosofia – consentendo alla magiail primato dell’intervento nella realtà civile – sia quella teoretica – asse-gnando un movimento principale all’universo, uno stabilissimo “motometafisico”, il cui primo segno consiste nel movimento di rotazione-rivolu-zione del pianeta terrestre. Riconosciuta dunque la valenza di base allamateria, rispetto alla quale l’intenzione e la disposizione immaginativa svi-luppa e riconquista le forme via via prodotte – qui sta il richiamo brunianoalla traccia interpretativa offerta dalla scuola aristotelica rinascimentale distampo naturalistico21 – immediata preoccupazione bruniana è quella di

57

na cosa si anichila e perde l’essere, eccetto che la forma accidentale esteriore e mate-riale. Però tanto la materia quanto la forma sustanziale di che si voglia cosa naturale,che è l’anima, sono indissolubili ed adnihilabili, perdendo l’essere al tutto e per tutto;tali per certo non possono essere tutte le forme sustanziali de’ peripatetici e altri simi-li, che consisteno non in altro che in certa complessione e ordine di accidenti; e tuttoquello che sapranno nominar fuor che la lor materia prima, non è altro che accidente,complessione, abito di qualità, principio di definizione, quiddità.»

20 Ivi, pagg. 272-273. «Teofilo. Questo vuole il Nolano, che è uno intelletto che dà l’es-sere a ogni cosa, chiamato da’ pitagorici e il Timeo datore de le forme; una anima eprincipio formale, che si fa e informa ogni cosa, chiamata da’ medesmi fonte de leforme; una materia, della quale vien fatta e formata ogni cosa, chiamata da tutti ricet-to de le forme.»

21 Ivi, pagg. 273-274.

Page 58: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

dare stabile ed alto fondamento a tale intenzione e disposizione, rivelando“come sia necessario che la raggione distingua la materia da la forma, lapotenza da l’atto”. È dunque un atto/apertura superiore, che muove a sé lapropria potenza, la quale si distingue ma non si distacca, rimanendo sempree costantemente elevata possibilità d’essere. Visibilità (sensibilità) raziona-le di quella “forma universale”, questa “anima vivificatrice del tutto” indi-rizza intellettualmente l’apparenza delle determinazioni (il “soggetto”).22

Ecco perché, secondo Bruno, non deve essere assolutamente disprezzata latradizione speculativa sviluppata dai filosofi presocratici, per quanto l’as-senza del concetto di numero razionale – metafisicamente inteso – nonabbia loro consentito di inerpicarsi lungo il tronco di un albero celeste daifrutti teoretici e pratici abbondantissimi, copiosissimi e fecondissimi. Conle parole del filosofo di Nola:

e si replica quello che secondariamente si disse: come il suggetto e princi-pio di cose naturali per diversi modi di filosofare può essere, senza incorrerecalunnia, diversamente preso; ma più utilmente secondo modi naturali e magi-ci, più variamente secondo matematici e razionali; massime se questi talmen-te fanno alla regola ed essercizio della raggione, che per essi al fine non sipone in atto cosa degna e non si riporta qualche frutto di prattica, senza cuisarebbe stimata vana ogni contemplazione.

Dopo avere dunque brevemente tracciato una propria storia della miglio-re filosofia,23 Giordano Bruno pone l’architrave ed il caposaldo della pro-pria originale e rivoluzionaria concezione: la distinzione della materia comepotenza e come soggetto.

58

22 Ivi, pagg. 274-275. 23 Ivi, pagg. 275-279. È la traccia stabilita dal termine universale a costituire quella linea

di sviluppo delle filosofie prebruniane o coeve alle formulazioni del filosofo di Nolache definisce e pone in evidenza il particolare sincretismo bruniano: le filosofie magi-che ed astrologiche, la medicina paracelsiana, l’alchimia, sono tutte impostazioni utili,nel momento in cui riescano a perseguire con successo il fine che si erano proposto.Diversa è, invece, la considerazione relativa all’ambito della giustificazione filosofica:qui il metro ed il criterio della verità e della bontà impongono che si tralasci la comunemagia ed astrologia, per giungere alla ragione della natura e della moralità. Così il sog-getto e la tendenza necessaria sono stati acquisiti e divulgati in modo diverso dalle filo-sofie di Epicureo e Lucrezio (più vicine alla base materiale), da quella di Eraclito (vici-na alla sola anima), da quella di Anassagora (che, come quella di Socrate, di Platone, diErmete Trismegisto e della tradizione dei teologi cristiani, riconosce la presenza dell’in-telletto universale). Così dall’atomo al numero razionale la storia della migliore filoso-fia può, essa stessa, delineare una prospettiva di indagine valida: « Circa il modo poi difilosofare, non men comodo sarà di esplicar le forme come da un implicato che distin-guerle come da un caos, che distribuirle come da una fonte ideale, che cacciarle in attocome da una possibilità, che riportarle come da un seno, che dissotterrarle alla luce

Page 59: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

La definizione bruniana della materia come potenza non è altro che ladeterminazione razionale dell’immaginativa tendenza (intenzione universa-le): come questa è attiva nel soggiacere ad un universale sensibile – e sen-sibile perché toccato – così questo è attivo nel determinarne, nell’orientar-ne ed indirizzarne il movimento, la passione. Per questo la definizione dellamateria come potenza impone la distinzione nell’universale stesso fra unatto, prioritario, ed una potenza, conseguente.24 Nello stesso tempo peròquesta distinzione non vale come separazione e reciproco allontanamento:essa, al contrario, come fosse luce superiore, muove a che il prorompere edil succedersi delle forme dalla materia e nella materia non possa e nondebba mai andar disperso, o diminuito, od addirittura annichilito. Così lavariazione e la varietà delle forme nell’universo sensibile mantengono unorizzonte illimitato e costante, infinito. Infinito e, nello stesso tempo, uno.Di qui ciò che successivamente verrà definito circa l’unicità del soggetto.Ora, però, l’orizzonte infinito appena dischiuso non può non richiamare –per identità logica e nel contempo reale – il fatto che atto e potenza in finecoincidano. Questa coincidenza è, per Bruno, Dio.25

In Dio, quindi, atto e potenza coincidono: “il supremo e divino è tuttoquello che può essere”.26 Nell’Universo invece atto e potenza sono nel con-tempo due ed uno: “l’universo è tutto quello che può essere”, apparente-mente accostato a Dio stesso, come aperto orizzonte di diversità e comeunità delle differenze.27 Circostanza ampia, variabile e diversa è invecel’apparire razionale della natura, dove “altre cose non sono tutto quello cheesser possono”.28 Qui i soggetti – dall’unico soggetto principale che è,appunto, l’apparire razionale della natura – scivolano fuori e paiono comemoltiplicarsi, come altrettante determinazioni. Unitari nell’orizzonte supe-riore della ragione, essi paiono dividersi, come distribuirsi da un unicoseno, profondo ed alto, rispetto al quale valgono comunque come imperfe-zione, difetto nell’effetto.29

Se, dunque, l’Universo ha come immagine di se stesso una dualità, aper-ta superiormente secondo diversità razionale, chiusa inferiormente secondo

59

come da un cieco e tenebroso abisso; perché ogni fundamento è buono, se viene appro-vato per l’edificio, ogni seme è convenevole se gli arbori e frutti sono desiderabili.»

24 Ivi, pag. 280. 25 Giordano Bruno eleva la potenza all’atto e li fa alla fine coincidere, intendendo in que-

sto modo rovesciare la tradizionale impostazione neoplatonico-aristotelica che, in rela-zione all’atto finale, sembra predisporre una potenza assolutamente astratta, separata enon solo distinta dall’orizzonte della sensibilità e della passione.

26 Ivi, pag. 281. 27 Ivi, pag. 282. 28 Ivi, pagg. 281-282. 29 Ivi, pagg. 282-283.

Page 60: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

l’unità delle differenze comparenti (enti naturali sensibili), allora questa stes-sa immagine può fungere da rappresentazione del movimento che appareessere intrinseco alle nature divine: l’Universo diviene il luogo dell’appari-zione della dialettica sussistente fra le persone divine (Padre, Figlio eSpirito). Se il Figlio è eguaglianza al Padre, allora questa relazione non puòemergere quale ideale reale di visione e prassi se non attraverso l’opera delloSpirito, che presenterà l’immagine reale e viva di Dio per il tramite di unmovimento di ricomposizione e restituzione: in questo modo l’amore chesussiste fra le creature ridiviene l’amore di Dio stesso. L’apertura e la rela-zione amorosa l’infinito di Dio stesso, eccedente oltre ogni comprensione.30

Così, dopo avere codificato in modo latente e nascosto i punti undecimo eduodecimo della sua epistola proemiale, Giordano Bruno può giungere final-mente ad una trattazione rivoluzionaria della materia: ad una trattazione perla quale la materia è intrinsecamente desiderio ed immagine dell’amore infi-nito. In questo modo la materia è anima e spirito. Era inevitabile che, con taletrattazione, il filosofo di Nola si scontrasse con l’impostazione tradizionale,neoplatonico-aristotelica ed, insieme, con l’interpretazione tradizionaleofferta dalla dottrina cristiana, che di quella si serviva. Quanto questa, infat-ti, disponeva nella scala dell’essere l’infima collocazione della materia,altrettando ed all’opposto la considerazione bruniana doveva innalzarla quasiad occhio e mano dell’intelletto; quanto la prima doveva neutralizzarne l’ef-ficacia e l’effetto disordinante, trattenendola entro i limiti e confini dell’uni-co mondo, altrettanto ed all’opposto la valutazione bruniana voleva indicar-la come la forza interiore che prorompeva oltre ogni limite e confine, essen-do libertà ed eguaglianza amorosa del desiderio, passione alla tolleranza ereciproco rispetto. La considerazione bruniana della materia come anima espirito doveva, quindi, avere efficacia ed effetto, non solamente sulle argo-mentazioni naturali, ma successivamente – come vedremo nei DialoghiMorali – anche su quelle più strettamente etico e politico-religiose.

Qui, intanto, la rivoluzionaria considerazione bruniana della materia nonpoteva non comportare un’eguale radicale trasformazione nel concetto enella prassi del tutto e dell’uno. Come la tradizione neoplatonico-aristoteli-ca rimane affatto alla disposizione di un infinito astratto e separato, così edall’opposto la rivoluzionaria impostazione bruniana – il suo presuppostoteologico, politico e naturale – non poteva non disciogliere e liberare l’u-manità e la considerazione della natura dal vincolo e dall’obbligo costituitidal concetto e dalla prassi di un Uno necessario e d’ordine, per sostituirviinvece un Uno che fosse fonte di libertà eguale ed amorosa, per tutti i sog-getti, naturali e razionali.31

60

30 Ivi, pagg. 283-285. 31 Ivi, pagg. 286-288.

Page 61: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

Terminata la trattazione della materia come potenza, il procedere dell’ar-gomentazione bruniana giunge ad indicare quale Argomento del quarto dia-logo l’enucleazione e lo sviluppo delle riflessioni riguardanti la materia comesoggetto. Qui, subito, la speculazione bruniana si infrange contro la resisten-za offerta dalla stessa tradizione neoplatonico-aristotelica: “secondo gli prin-cipii volgari, tanto di platonici alcuni, quanto di peripatetici tutti” la materiain quanto soggetto non può non essere suddivisa in due gradi separati edopposti, quello intelligibile e quello sensibile. Solo in questo modo infatti èloro sembrato di poter dare forma alla sua eccedenza, alla sua cattiva infini-tà, al suo movimento disordinato, a quella sua imperfezione che quella mede-sima tradizione usualmente associava al sesso femminile. Quella tendenza inogni direzione, che pare infatti essere signora della materia stessa, vieneapparentemente neutralizzata dal procedere superiore della determinazioneformale. È questa determinazione formale a costituire quella materia intelli-gibile, o materia di cose incorporee, che non può non essere destinata – dallamedesima divina provvidenza – ad imprimere nella materia soggetta, inferio-re, sensibile quella finalità di movimento ordinata che riesce a salvarla dallapropria quasi connaturata tendenza alla perdizione ed alla sciagura.32 Dando,invece, opposto senso e significato alla distinzione della materia in intelligi-bile e sensibile, Giordano Bruno riconosce il primato della liberazione porta-ta da quell’apertura materiale che, prima, fornisce l’origine di quel movimen-to che non può in alcun modo essere distolto dalla ragione naturale: essa, alcontrario, mostra bene infisso in se stessa lo stesso ordine universale. È que-st’ordine universale che la porta ad essere – ed è la prima ragione del secon-do punto nell’elenco bruniano – una ed infinita, nell’orizzonte dell’essere chediviene.33 Ma, proprio per poter essere tale, essa deve conseguentementevalere come – ecco la seconda e la terza ragione del secondo punto – ragio-ne ed asse determinante, come principio unico ed indivisibile, indistinto,capace vicendevolmente di aprirsi e di tenere insieme.34 Stante questo prin-cipio, è possibile per Bruno – qui la quarta ragione – irradicare la differenzaportata dalla forma distintiva (essa stessa sensibile o intelligibile).35 Ma,soprattutto, stante questo principio, è possibile per Bruno affermare – questala quinta ragione – l’unicità profonda ed alta del soggetto, razionale e natu-rale. Esso in tal modo riesce a mantenere una caratteristica ed una nota aper-ta di sensibilità, una capacità di effondere affetto e passione che, a sua volta,non può non suscitare dalla e nella materia stessa una elevazione del deside-rio. Un desiderio che pare uscire da se stesso, attraverso il proprio stesso

61

32 Ivi, pagg. 289-297. 33 Ivi, pagg. 297-298.34 Ivi, pag. 298, «uno principio di subsistenza». 35 Ibidem.

Page 62: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

movimento, per dare realizzazione al prorompere superiore della forma, allasua variazione e moltiplicazione. Qui può comparire quel movimento che,nella sua visibilità, mostra la successione dell’universale. Questo movimen-to dell’universale tiene allora insieme – perché fra essi si svolge – i due ter-mini di “cose incorporee” e “cose corporee”.36 Superata, perché realizzata, lasesta ragione, Giordano Bruno concentra l’attenzione del proprio occhio filo-sofico – questa la settima ragione – sull’apparente rovesciamento al qualepare dare luogo il movimento dell’universale: mentre nella materia formatasembra poter e dover sussistere un’unità indifferenziata, per la forma chemuove l’apparenza superiore della materia deve poter sussistere un principiodi pluralità e di moltiplicazione finale, che la priva di una visibilità identica.37

62

36 Ivi, pagg. 300-301. «Teofilo. …. Per il che il mondo superiore non solamente deveesser stimato per tutto indivisibile, ma anco per alcune sue condizioni divisibile edistinto: la cui divisione e distinzione non può esser capita senza qualche soggettamateria. E benché dichi che tutta quella moltitudine conviene in uno ente impartibilee fuor di qualsivoglia dimensione, quello dirò essere la materia, nel quale si unisconotante forme. Quello, prima che sia conceputo per vario e multiforme, era in concettouniforme, e prima che in concetto formato, era in quello informe.»

37 Ivi, pagg. 301-308. La successione delle argomentazioni bruniane si preoccupa inizial-mente di affermare l’opposizione fra la materia dimensionata e qualitativa dei corpi e lamateria inversa incorporale. Se il principio di quella la stabilisce nel movimento di tra-sformazione, il principio di questa la unifica in una passione razionale che la sottrae adivenire, mantenendola sempre alta e costante: « Se dunque vogliamo dir composizio-ne tanto ne l’una quanto ne l’altra natura, la doviamo intendere in una ed un’altramaniera; e considerar che se dice nelle cose eterne una materia sempre sotto un atto, eche nelle cose variabili sempre contiene or uno or un altro; in quelle la materia ha, unavolta, sempre ed insieme tutto quel che può avere, ed è tutto quel che può essere; maquesta in più volte, in tempi diversi, e certe successioni.» Ma, se opposto pare essere ilmovimento di determinazione, una resta la ragione della medesima: tanto quanto sem-bra sussistere un’unità di genere dei corpi, altrettanto pare sussistere un’unità superioredella materia incorporea; tanto quanto sussiste separazione fra i corpi, altrettanto sussi-ste un fine di moltiplicazione e di apertura nella materia apparentemente superiore, chepare annullarne la visione identica: « Quella materia per esser attualmente tutto quelloche può essere, ha tutte le misure, ha tutte le specie di figure e di dimensioni; e perchéle ave tutte, non ne ha nessuna, perché quello che è tante cose diverse, bisogna che nonsia alcuna di quelle particolari. Conviene a quello che è tutto, che escluda ogni essereparticolare.» Così la materia attinge l’universale aperto, l’atto: « Dicsono. Vuoi dunqueche la materia sia atto? Vuoi ancora che la materia nelle cose incorporee coincida conl’atto? Teofilo. Come il posser essere coincide con l’essere.» Il risultato finale che pareraggiungere la ragione nel suo movimento di determinazione sembra, dunque, essereduplice ed opposto: ai minimi contratti della materia corporea corrisponde infatti il mas-simo indeterminato della materia incorporea. « Cossí dunque mai è informe quellamateria, come né anco questa, benché differentemente quella e questa; quella ne l’istan-te de l’eternità, questa negl’istanti del tempo; quella insieme, questa successivamente;quella esplicatamente, questa complicatamente; quella come molti, questa come uno;quella per ciascuno e cosa per cosa, questa come tutto e ogni cosa.»

Page 63: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

Secondo il fine attuoso appena raggiunto e conquistato questo movimento dirovesciamento, esso stesso apparente, consente poi – ed è l’ottava ragione –a Giordano Bruno di affermare la validità della concezione che vuole unasorta di deposizione superiore delle forme come atto di determinazione: que-sta deposizione deve, dunque, implicare la preesistenza – ecco la nona ragio-ne – di una molteplicità ideale, apparentemente separata, perché prima rispet-to alla sua applicazione. Avendo in tal modo esaurito ogni grado dell’essere(e del poter essere), distinguendo razionalmente fra natura e sopranatura –decima ragione del secondo punto – la speculazione bruniana può riordinare– ecco l’undecima ragione – la serie delle note e delle caratteristiche, essestesse razionali, che devono essere accostate alla pluralità ordinata dellamateria inferiore (quantità e qualità) ed all’atto determinativo di quella supe-riore (grandezza e bellezza).

Ripetute, con maggiore precisione di dettaglio, le ultime ragioni nellasuccessione dei punti seguenti il secondo – terzo, quarto e quinto punto – ilprocesso argomentativo del filosofo di Nola ripercorre negli ultimi puntidella propria sintesi – il sesto ed il settimo – la necessità di indicare ed offri-re un alto fondamento al principio della materia come soggetto. Questo altofondamento viene ricapitolato prima nell’apertura superiore della materia,poi nella coincidenza orizzontale fra possibilità ed essere, infine nellosquarcio inferiore dei soggetti, nella loro mutua e reciproca composizione.Nella sintesi offerta dalle parole dell’epistola bruniana:

Di maniera che, se vogliamo ben considerare, da questo possiamo inferireuna essere la omniforme sustanza, uno essere il vero ed ente, che secondoinnumerabili circostanze e individui appare, mostrandosi in tanti e sì diversisuppositi.

Fattesi allora coincidenti, in questo alto fondamento, le nozioni di mate-ria come potenza e come soggetto, la posizione bruniana non può non entra-re in rotta di collisione – e questo è il sesto punto dell’epistola proemiale –con quella tradizione dei testi aristotelici che vuole la materia stessa in posi-zione subordinata, distaccata e neutralizzata: “la materia non è quel propenihil, quella potenza pura, nuda, senza atto, senza virtù e perfezione.”38

Questo innalzamento bruniano della potenza fa sì che l’ordine universalesia immediatamente presente in ogni essere creato, con la sua capacità crea-tiva e determinante, generando la sua inclusione all’interno dell’orizzonteinfinito dell’Uno. Se, dunque, l’anima del mondo costituisce il termine del-l’attività speculativa naturale, la nozione dell’intelletto universale non può

63

38 Ivi, pag. 307.

Page 64: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

non rimanere implicata dalla fede nella presenza e nell’atto di determina-zione divina. Dalla concezione del Deus in omnibus Giordano Bruno pro-cede così a quella del Deus supra omnia.39 Filosofo e teologo insieme, l’au-tore nolano ha pertanto la possibilità di qualificare il movimento internoalla materia razionale come desiderio spirituale, superando in tal modo –ecco il punto settimo dell’epistola proemiale – la tradizionale scissione fradesiderio sensibile ed amore spirituale.

In conclusione, essere riuscito a scardinare la concezione portata dalla tra-dizione aristotelica, che voleva confinare la materia ad un essere della pura esola immaginazione,40 elevandola attraverso uno spirito razionale che staall’interno del movimento (potenza) della stessa come ragione del suo esse-re finale onniforme, consente alla speculazione bruniana di procederecomunque oltre l’apparente linea di confine fra filosofia e teologia e di met-tere in questione conseguentemente non solamente l’apporto tradizionale allescienze fisiche, ma pure quell’impianto metafisico di matrice neoplatonico-aristotelica che garantiva un certo tipo di lettura ed interpretazione dei dogmireligiosi: che, anzi, pareva addirittura costituirne l’essenza e la motivazione.Così la stessa disputa fra explicatio ed implicatio41 rivela la necessità brunia-na di riconnettere strutture di pensiero aristoteliche con un’impostazione pla-tonizzante, per rivoluzionarle però entrambe, non solo all’interno del connu-bio scienze fisiche – scienze metafisiche, ma bensì pure per i riflessi che que-sta rivoluzione non poteva non avere circa la forma e la materia dei dogmicristiani stessi. Così il primo innesco di crisi e di rivoluzione di questi nonpoteva non essere se non l’affermazione della presenza di un desiderio spiri-tuale all’interno di una materia razionale: esso doveva trasformare tutti i rap-porti e le relazioni vigenti all’interno dell’infinito bruniano, dimostrandocome la verticalità della relazione trinitaria fosse lo stabilissimo motore dellarotazione-rivoluzione-trasformazione reciproca dei corpi celesti e mondani edella rivoluzione nella civiltà dell’amore per i soggetti razionali, dove l’ani-ma di un’eguale libertà poteva riprodurre perfettamente il dettato e coman-damento divino. Così è – fisicamente, metafisicamente, teologicamente – lamateria ad avere in sé una fonte creativa, non già il corpo diveniente ad averein sé un fine predeterminato, secondo un presupposto disequilibrio fra atto epotenza.42 In più: è la materia ad avere infisso in se stessa un ordine univer-sale – ed è questo il suo essere o natura razionale – che la muove e rivoluzio-

64

39 Ivi, pagg. 308-309. 40 Ivi, pag. 309. 41 Ivi, pag. 310. 42 Ivi, pag. 314. «Teofilo. … Certo non è chi debba dubitare che, o per ricevere le forme

o per mandarle da sé, quanto all’essenza e sustanza sua, essa non riceve maggior eminor attualità; e però non esser raggione, per la quale venga detta in potenza.»

Page 65: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

na. Il suo essere creativo è pertanto congiunto con il suo essere dialettico: o,se meglio si vuol dire, è il desiderio da essa ed in essa escogitato e riflessoche rende la figura (razionale) della natura e l’immagine (intellettuale) deldivino. Il Deus in omnibus ed il Deus supra omnia.

La predeterminazione alla quale la materia/atto bruniana pare quindiassurgere43 non è tanto necessità indissolubile, che vincoli a sé come egua-le ma maggiore necessità la sostanza divina, quanto piuttosto semplicemen-te la principialità di quel cammino che guardando indietro alla propria ori-gine dovrà osservare più in alto la libertà universale, in tal modo aprendoun infinito d’amore che è fonte del movimento pratico e teoretico dei sog-getti. È dunque un’eguaglianza aperta, o meglio riaperta (come si vedrànegli Eroici furori), alla libertà quella che deve contraddistinguere comenota essenziale la così raggiunta nozione bruniana di materia/atto.

In questo modo diviene più facile comprendere la ragione per la qualenell’Argomento del quinto dialogo Giordano Bruno, cominciando la tratta-zione dell’Uno, e dunque penetrando oltre il confine apparente fra materiafilosofica e materia teologica, assegni all’Essere/Poter Essere una serie dicaratteristiche – “infinito, immobile, impartibile, senza differenza di tutto eparte, principio e principiato” – che paiono quasi codificarne una assolutamonoliticità. La trattazione bruniana, infatti, lungi dall’affermare una sortadi assoluto principio di predeterminazione – che toglierebbe assolutamenteil concetto di Causa – vuole ed intende far valere il primato dell’aperturasuperiore, nella sua immagine di orizzonte infinito, inalienabile ed intogli-bile, apparentemente opposto nella sua natura alla disposizione naturale esensibile inferiore, per la quale e nella quale sembra vigere l’opposizione ela divaricazione fra possibilità e determinazione individuale. È questo oriz-zonte infinito ad essere, pertanto, universo senza numero, universo che èuno.44 Questa assenza di distinzione e di misura assumerà poi, nei DialoghiMorali, il valore dell’assenza di discriminazione, mostrando così in modoriflessivo quanto la parte apparentemente solo teoretica della speculazionebruniana abbia sempre in realtà con sé il proprio alter ego pratico.

Così una lettura necessitarista dell’impostazione bruniana riuscirebbesenz’altro a decodificare l’infinito universo bruniano come una sfera immo-bilmente puntiforme (una sfera regressiva), ma impedirebbe l’accesso inter-no ad essa della forma divina superiore, a meno di non considerarne effettoesteriore l’apparizione e la comparsa, misteriose, di una esplicazione indivi-

65

43 Ivi, pagg. 315-317. 44 Ivi, pag. 319. «Questo è termine di sorte che non è termine, è talmente forma che non

è forma, è talmente materia che non è materia, è talmente anima che non è anima: per-ché è il tutto indifferentemente, e però è uno, l’universo è uno.»

Page 66: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

duale, quasi atomica. Al contrario una lettura ed interpretazione possibilista– legata alla già decodificata possibilità d’essere – inquadra quell’aperturasuperiore nei suoi due apparenti estremi – il centro e la circonferenza – valu-tandone l’inseparabilità come affermazione – questa sì necessaria (e lovedremo per motivazioni e giustificazioni etico-teologiche) – di una virtù edi una potenza politico-teologale (Giove), capace di muovere in sé ed a sél’intero panorama dell’essere esistente, ruotandolo ed allargandolo, in unarelazione invariabile, ad una serie di relazioni infinite.45 Importante resta quil’apparente differenza fra l’in-sé e l’a-sé: tanto il primo sembra offrire ladirezione di una interna ed unitaria sottomissione, quanto la seconda ne offrela rotazione-rivoluzione esterna, a disegnare un’apertura quasi sensibile, unlimite superiore come fine apparente delle nature create.46 Così è solo graziea questa rotazione-rivoluzione che si riesce a rendere ragione del “perchétutte le cose particolari si cangiano, e le materie particolari, per ricevere altroe altro essere, si forzano ad altre e altre forme”. Nasce, infatti, così il pano-rama dell’infinito bruniano, ripieno di infinite relazioni (o modi di essere):relazioni che hanno innestato in sé l’infinito (come meglio si vedrà nellerelazioni dialettico-alterative che intercorrono fra soli e pianeti terrestri, neltesto bruniano del De l’Infinito, Universo e mondi).47

È nello spazio e tempo aperti da questo panorama che riesce a prendereforma e collocarsi la particolare croce bruniana: l’intersezione fra la dimen-sione verticale del movimento e l’apertura della relazione orizzontale dellapartecipazione. Così “si mostra come nella moltitudine è l’unità, e ne l’uni-tà è la moltitudine; e come l’ente è un moltimodo e moltiunico, e in fine unoin sustanza e verità.”48 Se, infatti, nel passaggio fra Minimo e Massimo l’u-nità naturale si fa, prima razionale e poi intellettuale, allora la molteplicitàstessa segue il medesimo cammino di trasformazione: la differenza di mate-rie e soggetti naturali ruota e procede lungo la direzione della vicissitudine– ricorda le argomentazioni presentate nella Cena de le Ceneri49 – per dare

66

45 Ivi, pagg. 319-322. « Ecco come non è impossibile, ma necessario che l’ottimo, mas-simo, incompreensibile è tutto, è per tutto, è in tutto, perché, come semplice e indivi-sibile, può esser tutto, essere per tutto, essere in tutto. E cossí non è stato vanamentedetto che Giove empie tutte le cose, inabita tutte le parti de l’universo, è centro de ciòche ha l’essere, uno in tutto e per cui uno è tutto. Il quale, essendo tutte le cose e com-prendendo tutto l’essere in sé, viene a far che ogni cosa sia in ogni cosa.»

46 Compare qui la distinzione, visiva e razionale insieme, fra concentrazione necessitatadal Minimo ed apertura resa possibile dal Massimo.

47 Ivi, pagg. 322-323. 48 Ivi, pag. 324. 49 E qui ricordate, approfondite ed ampliate, secondo il nuovo contesto problematico

(tutto per tutto, da tutto tutto, nell’uno tutto, secondo il tutto la molteplicità), daDicsono. Ivi, pagg. 325-329. Qui l’uno infinito immobile diviene soggetto materiale,

Page 67: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

rappresentazione al movimento interno che dalla potenza vuole risalireall’atto della medesima.50 Qui, a livello razionale, la molteplicità si rendedualità:51 dualità che, però, non perde un ulteriore movimento di rotazione.L’ultimo: quello che, come fine, ricompone tutte le prime differenze e laseconda differenza, nell’apertura d’infinito, in quell’orizzonte unitario chetutte le fa essere e le giustifica.52

Resi in questo modo, rapidamente, i punti sesto, settimo ed ottavo dellaproemiale epistola bruniana, pare necessario di nuovo ritornare per unbreve momento alla critica della lettura necessitarista del testo bruniano.Questa lettura sembra, infatti, essere incapace di risalire oltre la secondadifferenza, tutta presa com’è dalla necessità (tutta modernamente corpusco-lare)53 di inserire nello spazio assoluto dell’immanenza la trama dei rappor-ti e delle relazioni naturali ed umane. Conturbata dal fascino della filosofiagalileiana, cartesiana e newtoniana, essa separa e getta su di un altro piano(quello morale, politico e religioso), ciò che Bruno mai separerebbe ed alie-nerebbe: il fondamento teologico-politico della libertà eguale e fraterna.Proprio questo è infatti il punctum dolens di questa interpretazione: dove

67

quindi vita, anima e, nell’anima, la riapertura capace di comprendere del vero e delbuono. Solamente dopo essere risalita all’estremo orizzonte teoretico e pratico, la spe-culazione bruniana acconsente a che la potenza rappresentativa divina sia presente inogni relazione creaturale, sostenendo ogni rapporto dialettico secondo un’alta capaci-tà creativa (modi, ragioni e forme). « Però volete che quello che è generato e genera(o sia equivoco o univoco agente, come dicono quei che volgarmente filosofano) equello di che si fa la generazione, sempre sono di medesima sustanza.»

50 Ivi, pag. 329. « Prima, dunque, voglio che notiate essere una e medesima scala per laquale la natura descende alla produzion de le cose, e l’intelletto ascende alla cogniziondi quelle; e che l’uno e l’altra da l’unità procede all’unità, passando per la moltitudinedi mezzi.»

51 Ivi, pagg 329-330. « Lascio che, con il suo modo di filosofare, gli Peripatetici e moltiPlatonici alla moltitudine de le cose, come al mezzo, fanno procedere il purissimo attoda un estremo e la purissima potenza da l’altro; come vogliono altri per certa metafo-ra convenir le tenebre e la luce alla constituzione de innumerabili gradi di forme, effi-gie, figure e colori. Appresso i quali, che considerano dui principii e dui principi, soc-correno altri nemici e impazienti di poliarchia, e fanno concorrere quei doi in uno, chemedesimamente è abisso e tenebra, chiarezza e luce, oscurità profonda e impenetrabi-le, luce superna e inaccessibile.»

52 Ivi, pagg. 330-334. « Secondo, considerate che l’intelletto, volendo liberarse e discior-se dall’immaginazione alla quale è congionto, oltre che ricorre alle matematiche edimaginabili figure, a fin che o per quelle o per la similitudine di quelle comprenda l’es-sere e la sustanza de le cose, viene ancora a riferire la moltitudine e diversità di speciea una e medesima radice. » «Cossí dunque, montando noi alla perfetta cognizione,andiamo complicando la moltitudine; come, descendendosi alla produzione de le cose,si va esplicando la unità. Il descenso è da uno ente ad infiniti individui e specie innu-merabili, lo ascenso è da questi a quello.»

53 Anch’essa, potrebbe forse dire un Brunus redivivus, di derivazione platonico-aristotelica.

Page 68: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

Bruno vede unità, questa vede non solo separazione, ma addirittura possi-bile e contraddittoria opposizione. Così la stessa trama unitaria e coerentedei sei dialoghi italiani dovrebbe essere spezzata, interrotta e quasi capovol-ta, al momento del passaggio ai testi d’argomento morale. Tanto quanto,infatti, questa lettura predica l’assoluta affermazione di un principio neces-sitarista a livello naturale, altrettanto ed all’opposto la speculazione brunia-na – lasciando il piano naturale ed inoltrandosi in quello morale, politico ereligioso – intenderebbe far valere la possibilità di uno smarcamento, di unadistinzione, assegnata all’uomo speciale, all’uomo superiore: al mago.Intellettuale prima (a livello naturale), mago poi (a livello politico-religio-so), il filosofo bruniano dovrebbe essere capace di far valere le conoscenzeteoriche possedute per un miglior controllo e dominio di sé e degli altri.Inserita pertanto la speculazione bruniana all’interno della tradizione aver-roista, diviene facile per questa interpretazione separare il gioco di forzeagenti sul piano politico-religioso, da quello apparentemente più neutraledel piano e livello naturale. Così la speculazione bruniana si avvierebbe sindalle sue prime movenze lungo il crinale dell’antitrinitarismo, per svelleresubito la ragione di qualunque richiamo ad una possibilità tanto elevataquanto essa stessa rivoluzionaria, sia naturalmente che razionalmente (enon si capirebbe perché, rivoluzionario in natura, Bruno rimarrebbe conser-vatore, se non addirittura reazionario, in ambito politico-religioso).54 Ineffetti la chiusura epistemologica nei confronti di questa possibilità sulpiano morale, politico e soprattutto teologico non può non avere delle con-seguenze pure sul piano naturale, dove infatti l’universo bruniano pare

68

54 Contro l’interpretazione antitrinitaria della speculazione bruniana sta la lettera mede-sima dell’opera del filosofo di Nola. « Quindi è il grado delle intelligenze; perché leinferiori non possono intendere molte cose, se non con molte specie, similitudini eforme; le superiori intendeno megliormente con poche; le altissime con pochissimeperfettamente. La prima intelligenza in una idea perfettissimamente comprende iltutto; la divina mente e la unità assoluta, senza specie alcuna, è ella medesimo lo cheintende e lo ch’è inteso. Cossí dunque, montando noi alla perfetta cognizione, andia-mo complicando la moltitudine; come, descendendosi alla produzione de le cose, si vaesplicando la unità. Il descenso è da uno ente ad infiniti individui e specie innumera-bili, lo ascenso è da questi a quello.» Ivi, pag. 333. Qui ciò che Bruno definisce comela prima intelligenza è proprio l’apparire immaginativo e razionale della forma trinita-ria. La lettura necessitarista della filosofia nolana rischia, poi, di ottenere un effettoparadossale: nata per sottolineare, sin dall’inizio dello sforzo teoretico bruniano, la suaavversione per i dogmi del cristianesimo e per la figura del Cristo, pare associarla infi-ne a quella stessa separazione astratta che costituisce il principio epistemologico stes-so della tradizione platonico-cristiana: la differenza fra il mondo inferiore, dominatodalla discriminazione, ed il mondo superiore, ricco e pieno dell’eguaglianza in Cristo.A patto, infine, di smarcarla pure da quest’ultima, concretizzandola attraverso il pri-mato dell’uomo politico, del mago-intellettuale capace di dominare sé e gli altri.

Page 69: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

retrocedere ed assumere le caratteristiche di un mondo unico aristotelico,semplicemente ampliato ed allargato, con le nuove caratteristiche spazio-temporali decretate dalla incombente rivoluzione scientifica.

Senza quello spazio superiore – lo spazio d’infinito – com’è possibileritrovare un fondamento di rotazione che ricollochi inferiormente l’unitàdel molteplice, secondo una pluralità superiore che è effetto del valoreimmaginativo (moltiplicativo)?55 O come dice Bruno, nel nono puntodell’Argomento del quinto dialogo,

come ne l’infinito non è parte e parte, sia che si vuole ne l’universo espli-catamente; dove però tutto quel che veggiamo di diversità e differenza, non èaltro che diverso e differente volto di medesima sustanza.

Senza quello spazio, scomparirebbe pure questa possibilità. Ancora:senza quello spazio non si potrebbe assolutamente giustificare l’affermazio-ne bruniana dell’unità degli opposti.56 Ancora con le espressioni del filoso-fo di Nola:

Decimo, come ne li doi estremi, che si dicono nell’estremità de la scaladella natura, non è più da contemplare doi principii che uno, doi enti che uno,doi contrarii e diversi, che uno concordante e medesimo. Ivi l’altezza è pro-fondità, l’abisso è luce inaccessa, la tenebra è chiarezza, il magno è parvo, ilconfuso è distinto, la lite è amicizia, il dividuo è individuo, l’atomo è immen-so; e per il contrario.

Senza quello spazio – lo spazio dell’infinito creativo e dialettico57 – nonvi sarebbe più alcun tempo e movimento, alcun fine e scopo, insieme razio-

69

55 Ivi, pag. 334. « Terzo, devi sapere che, essendo la sustanza ed essere distinto ed asso-luto da la quantità, e per conseguenza la misura e numero non è sustanza ma circa lasustanza, non ente ma cosa di ente, aviene che necessariamente doviamo dire la sustan-za essenzialmente essere senza numero e senza misura, e però una e individua in tuttele cose particolari; le quali hanno la sua particularità dal numero, cioè da cose che sonocirca la sustanza.» Nel testo successivo – il De l’Infinito, Universo e mondi – il luogoteoretico occupato dal valore moltiplicativo dell’immaginazione razionale sarà riem-pito concretamente dall’innumerabilità dei mondi bruniani.

56 Ivi, pagg. 335-340. «Quarto, prendi i segni e le verificazioni per le quali conchiudervogliamo gli contrarii concorrere in uno, onde non fia difficile al fine inferire che lecose tutte sono uno, come ogni numero, tanto pare quanto ímpare, tanto finito quantoinfinito, se riduce all’unità; la quale iterata con il finito pone il numero, e con l’infini-to nega il numero. I segni le prenderai dalla matematica, le verificazioni da le altrefacultadi morali e speculative.»

57 Ivi, pag. 339. «Quindi è aperto che non solo ocorreno talvolta i dui massimi nella resi-stenza e li dui minimi nella concordanza, ma etiam il massimo e il minimo per la vicis-situdine di trasmutazione; …» Pagg. 340-342. «In conclusione, chi vuol sapere massi-

Page 70: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

nale e naturale. Giordano Bruno ribadisce il movimento di sottomissione –“punto” o Minimo – e di apertura – “uno” o Massimo – portati dalla suarivoluzione di possibilità. Confutando proprio quell’interpretazione neces-sitarista di tradizione aristotelica, che pare schiacciarli all’interno di unadimensione univoca ed immanente, per l’appunto di spazio logico e lingui-stico. Così si esprime il filosofo nolano:

Undecimo, qualmente certe geometriche nominazioni come di punto e uno,son prese per promovere alla contemplazione de lo ente e uno, e non sono daper sé sufficienti a significar quello. Onde Pitagora, Parmenide, Platone nondenno essere sí scioccamente interpretati, secondo la pedantesca censura diAristotele.

È, infatti, nell’ambito logico-linguistico aristotelico che spazio e dimen-sione vengono a coincidere: che la sostanza può e deve essere successiva-mente declinata secondo le proprie categorie. Secondo questa impostazionel’universo bruniano, dopo avere reso nullo (perché inutile) Dio, non potreb-be sussistere se non come numero misurato della quantità: della quantità dipotenza astratta necessaria a produrlo (nello spazio, con il tempo e sottoopportune ed adeguate condizioni). All’opposto l’impostazione bruniana –il suo diverso ed incomponibile (incompromissorio) presupposto teologico,politico e naturale – mantiene sempre quell’alta virtù creativa, che non siappalesa come volontà di potenza, ma bensì apre il cammino della libertàalla ragione ed alla natura, insieme.58

70

mi secreti di natura, riguardi e contemple circa gli minimi e massimi de gli contrarii eoppositi. Profonda magia è saper trar il contrario dopo aver trovato il punto de l’unio-ne. A questo tendeva con il pensiero il povero Aristotele, ponendo la privazione (a cuiè congionta certa disposizione) come progenitrice, parente e madre della forma; manon vi poté aggiungere. Non ha possuto arrivarvi, perché, fermando il pié nel geno del’opposizione, rimase inceppato di maniera che, non descendendo alla specie de lacontrarietà, non giunse, né fissò gli occhi al scopo; dal quale errò a tutta passata, dicen-do i contrarii non posser attualmente convenire in soggetto medesimo.» Il tema del-l’inseparabilità dei contrari e del doppio movimento che inducono (unità-differenza)qualificherà l’opposizione bruniana all’impostazione aristotelica, qui appena accenna-ta e successivamente sviluppata, con abbondanza di argomentazioni, nel testo seguen-te il De la Causa: il De l’Infinito, Universo e mondi. Qui il creativo-dialettico che con-serva ed alimenta reciprocamente Soli e pianeti terrestri, troverà apertura superioreverso un dialettico più alto e profondo, quello teologico (con immediate valenze mora-li, politiche e religiose). Non è dunque difficile vedere una fortissima continuità ecoerenza nello sviluppo successivo delle argomentazioni bruniane, nel passaggio dalleopere c.d. metafisico-cosmologiche a quelle morali.

58 Non è difficile vedere, qui, l’attualità del conflitto fra l’impostazione bruniana ed il pre-supposto sul quale sembra sedersi la tradizione scientifica e politico-teologica modernaoccidentale: lo stesso infinito astratto della tradizione medievale, corroborato da un infi-

Page 71: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

La conclusione dell’opera bruniana presentata nel De la Causa,Principio e Uno non può, dunque, non essere se non una trasfigurazione delmatematico-fisico platonico, contro ancora la riduzione aristotelica ed afavore di una logica e di una realtà razionale commisurate da quella croce:una croce di salvezza e non di perdizione, una croce che non viene più vistacome segno e verificazione della necessaria uccisione, morte e resurrezio-ne del Cristo, che non viene più considerata come simbolo di una necessa-ria ed assoluta sofferenza, finalmente e fatalmente per tutto e per tutti, maal contrario riapre alla grazia ed alla gioia di una libertà indiscutibile ed ina-lienabile, innestata nel cuore naturale ed intellettuale dell’essere intero.Disciolta la tradizione dei dogmi cristiani, la speculazione di GiordanoBruno può, allora, elevarsi (ed elevare) alla considerazione di un universo-universale totalmente rigenerato, un universo-universale lontano dalla suaconcezione volgare (come si vedrà negli Eroici furori), e quindi ben diver-so dalla considerazione puramente e meramente copernicana. Lasciamo,pertanto, concludere questa breve analisi delle argomentazioni presentinella proemiale epistola del De la Causa, Principio e Uno alle raffigurazio-ni allegorico-razionali della poeticissima espressione bruniana.

Ecco, illustrissimo Signore, onde bisogna uscire prima che voler entrarealla piú speciale e appropriata cognizion de le cose. Quivi, come nel proprioseme, si contiene ed implica la moltitudine de le conclusioni della scienzanaturale. Quindi deriva la intessitura, disposizione e ordine de le scienze spe-culative. Senza questa isagogia in vano si tenta, si entra, si comincia. Prendete,dunque, con grato animo questo principio, questo uno, questo fonte, questocapo, perché vegnano animati a farsi fuora e mettersi avanti la sua prole egenitura, gli suoi rivi e fiumi maggiori si diffondano, il suo numero successi-vamente si moltipliche e gli suoi membri oltre si dispongano a fin che, cessan-do la notte col sonnacchioso velo e tenebroso manto, il chiaro Titone, parentede le dive Muse, ornato di sua fameglia, cinto da la sua eterna corte, dopo ban-dite le notturne faci, ornando di nuovo giorno il mondo, risospinga il trionfan-te carro dal vermiglio grembo di questa vaga Aurora.

Il Sole della filosofia nolana, attorniato in alto dal cerchio delle idee,diventa il soggetto della breve composizione poetica in latino che vienedestinata dall’autore nolano quale anticipazione della conclusione effettivadella proemiale epistola del De la Causa, Principio e Uno. Qui la feconda

71

nito della potenza, artificiale e politicamente dominabile e governabile. A costituire ilmonolite di un Uno, ancora necessario e d’ordine, capace di salvaguardare la successionedelle conquiste della civiltà occidentale (essenzialmente la fusione del profitto capitalecon il precedentemente indicato infinito astratto). Vedi, in questo testo, l’INTRODUZIONE.

Page 72: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

allegoria razionale e fantastica bruniana riesce a disporre, in un mirabileordinamento logico e con altissima bellezza visibile e sentimentale, la retee la traccia delle argomentazioni precedentemente escogitate e portate acompimento.

Come questo Sole esce religiosamente ad occupare il campo dell’infini-to, precedentemente occupato dall’aperta notte della molteplicità, raggiun-gendo il cielo, così il doppio cordone di stelle che lo accompagna nell’im-magine bruniana a rappresentare l’apparenza dei termini contrari, potrà allostesso modo conservare la propria posizione ed il movimento indotto (aper-to). Un movimento che nell’immagine fantastica apre gli estremi a talpunto, da introdurre una relazione verticale estrema: di modo che chi vi siintroduca divenga possesso di un movimento profondo, dal quale comun-que sia possibile cavarsi fuori, ponendo in aperto i frutti della mente, altri-menti perduta ed ammalata. Un intelletto che, dalle immagini sensibili delleidee, risalito alla molteplicità dei corpi celesti, può raggiungere l’alta virtùdella perfezione (Giove).

Un’alta virtù che sottenderà lo spirito alle ancora più elevate perfezioni,ingenerando la vita della mente e la sua più alta capacità e potenza distinti-va. Questa sarà l’unica necessità giustificata, affinché lo spirito stesso nonreceda e sprofondi nella concezione della morte – la necessità della fineimposta dall’infinito astratto – ma si salvi per il tramite delle aperture razio-nali. Così, toccato dalla divinità stessa, lo spirito medesimo sarà spirito divita (fervidus ignis eris).

Spirito capace di seguire l’opposto andamento della graduazione dell’es-sere bruniana, dall’Uno infinito, al rapporto fra Minimo e Massimo, essoterrà per sé le caratteristiche della libertà e della necessità, trasformando laseconda nella prima. Eternità del movimento, esso vale sempre e costante-mente quale superamento: negazione della necessità, prorompe alla possi-bilità, facendo nascere alla vita ed all’essere. Al divenire. Spirito, infine,capace di misericordiosa salvezza nel giorno del trapasso, esso finalmenteaccetta la libertà assoluta dell’essere stesso, nella sua molteplicità.

È, infatti, l’amore che sta nella possibilità d’essere – come Bruno subitoosserva all’inizio della composizione poetica che chiude la proemiale epi-stola del De la Causa, Principio e Uno – l’amore universale ed infinito, acostituire la salvezza offerta dalla ragione alla natura, affinché con il movi-mento di continua rivoluzione l’essere stia con l’essere, in un’amicizia eter-na. Graduato secondo la traccia offerta dall’immaginazione razionale nelletre sedi – cielo, terra, inferno – rese stabili dal concetto dell’unità degliopposti, grazie a questo stesso concetto ed alla prassi che impone, esso ècapace di indicare ciò che si sottrae apparentemente alla vista, resuscitandol’opera e la materia grazie all’immagine viva e reale del desiderio, onnifor-me e onnidirezionato. Contro la cattiveria della follia della quale resta preda

72

Page 73: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

la molteplicità dei soggetti illiberali, l’apertura totale del desiderio amoro-so bruniano vale quale radice eterna per l’intelletto e per l’azione, in talmodo disgregando le critiche superficiali di originalità, labilità ed oscuritàaddossate al nuovo/antico messaggio della nolana filosofia.

Oltre il mirabile impegno di fede assunto

Causa, principio ed uno sempiterno,Onde l’esser, la vita, il moto pende,

E a lungo, a largo e profondo si stendeQuanto si dic’in ciel, terr’ed inferno;

Con senso, con raggion, con mente scernoCh’atto, misura e conto non comprendeQuel vigor, mole e numero, che tendeOltr’ogn’inferior, mezzo e superno.

Cieco error, tempo avaro, ria fortuna,Sord’invidia, vil rabbia, iniquo zelo,

Crudo cor, empio ingegno, strano ardireNon bastaranno a farmi l’aria bruna,

Non mi porrann’avanti gli occhi il velo,Non faran mai che il mio bel sol non mire.

il tema del desiderio, nelle sue valenze ed effetti naturali, occuperà inprofondità le argomentazioni del testo bruniano successivo: il De l’Infinito,Universo e mondi.

73

Page 74: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo
Page 75: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

75

IIIEPISTOLA INTRODUTTIVA

DE L’INFINITO, UNIVERSO E MONDI

PROEMIALE EPISTOLA,

SCRITTA ALL’ILLUSTRISSIMO

SIGNOR MICHEL DI CASTELNOVO

Signor di Mauvissiero, Concressalto e di Ionvilla, Cavallierde l’ordine del Re Cristianissimo, Conseglier del suo privato Conseglio, Capitano di 50 uomini d’arme e Ambasciator alla Serenissima Regina d’Inghilterra.

Se io, illustrissimo Cavalliero, contrattasse l’aratro, pascesse ungregge, coltivasse un orto, rassettasse un vestimento, nessuno miguardarebbe, pochi m’osservarebono, da rari sarei ripreso e facil-mente potrei piacere a tutti. Ma per essere delineatore del campo dela natura, sollecito circa la pastura de l’alma, vago de la coltura del’ingegno e dedalo circa gli abiti de l’intelletto, ecco che chi adoc-chiato me minaccia, chi osservato m’assale, chi giunto mi morde,chi compreso mi vora; non è uno, non son pochi, son molti, sonquasi tutti. Se volete intendere onde sia questo, vi dico che la cag-gione è l’universitade che mi dispiace, il volgo ch’odio, la moltitu-dine che non mi contenta, una che m’innamora: quella per cui sonlibero in suggezione, contento in pena, ricco ne la necessitade evivo ne la morte; quella per cui non invidio a quei che son servinella libertà, han pena nei piaceri, son poveri ne le ricchezze e mortine la vita, perché nel corpo han la catena che le stringe, nel spirto

Page 76: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

76

l’inferno che le deprime, ne l’alma l’errore che le ammala, ne lamente il letargo che le uccide; non essendo magnanimità che le deli-bere, non longanimità che le inalze, non splendor che le illustre, nonscienza che le avvive. Indi accade che non ritrao, come lasso, ilpiede da l’arduo camino; né, come desidioso, dismetto le braccia dal’opra che si presenta; né, qual disperato, volgo le spalli al nemicoche mi contrasta; né, come abbagliato, diverto gli occhi dal divinooggetto; mentre, per il piú, mi sento riputato sofista, piú studiosod’apparir sottile che di esser verace; ambizioso, che piú studia disuscitar nova e falsa setta che di confirmar l’antica e vera; ucellato-re, che va procacciando splendor di gloria con porre avanti le tene-bre d’errori; spirto inquieto, che subverte gli edificii de buone disci-pline e si fa fondator di machine di perversitade. Cossí, Signor, glisanti numi disperdano da me que’ tutti che ingiustamente m’odiano,cossí mi sia propicio sempre il mio Dio, cossí favorevoli mi sienotutti governatori del nostro mondo, cossí gli astri mi faccian tale ilseme al campo ed il campo al seme ch’appaia al mondo utile e glo-rioso frutto del mio lavoro con risvegliar il spirto ed aprir il senti-mento a quei che son privi di lume: come io certissimamente nonfingo e, se erro, non credo veramente errare e, parlando e scriven-do, non disputo per amor de la vittoria per se stessa (perché ogniriputazione e vittoria stimo nemica a Dio, vilissima e senza punto dionore, dove non è la verità), ma per amor della vera sapienza e stu-dio della vera contemplazione m’affatico, mi crucio, mi tormento.Questo manifestaranno gli argumenti demostrativi, che pendeno davivaci raggioni, che derivano da regolato senso, che viene informa-to da non false specie che, come veraci ambasciatrici, si spiccano dagli suggetti de la natura, facendosi presenti a quei che le cercano,aperte a quei che le rimirano, chiare a chi le apprende, certe a chi lecomprende. Or ecco, vi porgo la mia contemplazione circa l’infini-to, universo e mondi innumerabili.

Argomento del primo dialogo.

Avete dunque nel primo dialogo prima, che l’inconstanza del sensomostra che quello non è principio di certezza e non fa quella se nonper certa comparazione e conferenza d’un sensibile a l’altro ed unsenso a l’altro; e s’inferisce come la verità sia in diversi soggetti.

Page 77: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

Secondo, si comincia a dimostrar l’infinitudine de l’universo, e siporta il primo argumento tolto da quel, che non si sa finire il mondoda quei che con l’opra de la fantasia vogliono fabricargli le muraglia.Terzo, da che è inconveniente dire che il mondo sia finito e che siain se stesso, perché questo conviene al solo immenso, si prende ilsecondo argumento. Appresso si prende il terzo argumento dall’in-conveniente ed impossibile imaginazione del mondo come sia innessun loco, perché ad ogni modo seguitarrebe che non abbia esse-re, atteso che ogni cosa, o corporale o incorporal che sia, o corpora-le- o incorporalmente, è il loco. Il quarto argumento si toglie da unademostrazione o questione molto urgente che fanno gli epicurei:

Nimirum si iam finitum constituaturomne quod est spacium, si quis procurrat ad oras

Ultimus extremas iaciatque volatile telum,Invalidis utrum contortum viribus ire

Quo fuerit missum mavis longeque volare,An prohibere aliquid censes obstareque posse?

Nam sive est aliquid quod prohibeat officiatque,Quominu’ quo missum est veniat finique locet se,

Sive foras fertur, non est ea fini’ profecto.1

Quinto, da che la definizion del loco che poneva Aristotele nonconviene al primo, massimo e comunissimo loco, e che non valprendere la superficie prossima ed immediata al contenuto, ed altrelevitadi che fanno il loco cosa matematica e non fisica; lascio chetra la superficie del continente e contenuto che si muove entro quel-la, sempre è necessario spacio tramezante a cui conviene più tostoesser loco; e se vogliamo del spacio prendere la sola superficie,bisogna che si vada cercando in infinito un loco finito. Sesto, da chenon si può fuggir il vacuo ponendo il mondo finito, se vacuo è quel-lo nel quale è niente.

Settimo, da che, sicome questo spacio nel quale è questo mondo,se questo mondo non vi si trovasse, se intenderebbe vacuo; cossídove non è questo mondo, se v’intende vacuo. Citra il mondo, dun-que, è indifferente questo spacio da quello: dunque, l’attitudine

77

1 LUCREZIO. De rerum natura. I, 968-973; 977-979.

Page 78: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

78

ch’ha questo, ha quello; dunque, ha l’atto, perché nessuna attitudi-ne è eterna senz’atto; e però eviternamente ha l’atto gionto; anziessalei è atto, perché nell’eterno non è differente l’essere e posseressere. Ottavo, da quel che nessun senso nega l’infinito, atteso chenon lo possiamo negare per questo, che non lo comprendiamo colsenso; ma da quel, che il senso viene compreso da quello e la rag-gione viene a confirmarlo lo doviamo ponere. Anzi se oltre ben con-sideriamo, il senso lo pone infinito; perché sempre veggiamo cosacompresa da cosa, e mai sentiamo, né con esterno né con internosenso, cosa non compresa da altra o simile.

Ante oculos etenim rem res finire videtur:Aer dissepit colleis atque aëra montes,

Terra mare et contra mare terras terminat omneis:Omne quidem vero nihil est quod finiat extra.Usque adeo passim patet ingens copia rebus,Finibus exemptis, in cunctas undique parteis.2

Per quel dunque, che veggiamo, più tosto doviamo argumentarinfinito, perché non ne occorre cosa che non sia terminata ad altroe nessuna esperimentiamo che sia terminata da se stessa. Nono, dache non si può negare il spacio infinito se non con la voce, comefanno gli pertinaci, avendo considerato che il resto del spacio, dovenon è mondo e che si chiama vacuo o si finge etiam niente, non sipuò intendere senza attitudine a contenere non minor di questa checontiene. Decimo, da quel che, sicome è bene che sia questomondo, non è men bene che sia ciascuno de infiniti altri. Undecimo,da che la bontà di questo mondo non è comunicabile ad altro mondoche esser possa, come il mio essere non è comunicabile al di questoe quello. Duodecimo, da che non è raggione né senso che, come sipone un infinito individuo, semplicissimo e complicante, non per-metta che sia un infinito corporeo ed esplicato. Terzodecimo, da chequesto spacio del mondo che a noi par tanto grande, non è parte enon è tutto a riguardo dell’infinito, e non può esser suggetto de infi-nita operazione, ed a quella è un non ente quello che dalla nostraimbecillità si può comprendere, e si risponde a certa instanza, che

2 LUCREZIO. De rerum natura. I, 998-1001; 1006-1007.

Page 79: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

79

noi non ponemo l’infinito per la dignità del spacio, ma per la digni-tà de le nature; perché per la raggione, da la quale è questo, deveessere ogni altro che può essere, la cui potenza non è attuata perl’essere di questo, come la potenza de l’essere di Elpino non è attua-ta per l’atto dell’essere di Fracastorio. Quartodecimo da che, se lapotenza infinita attiva attua l’esser corporale e dimensionale, que-sto deve necessariamente essere infinito; altrimente si deroga allanatura e dignitade di chi può fare e di chi può essere fatto.Quintodecimo, da quel, che questo universo conceputo volgarmen-te non si può dir che comprende la perfezion di tutte cose altrimen-te che come io comprendo la perfezione di tutti gli miei membri eciascun globo tutto quello che è in esso: come è dire, ognuno è riccoa cui non manca nulla di quel ch’ha. Sestodecimo, da quel, che inogni modo l’efficiente infinito sarrebe deficiente senza l’effetto enon possiamo capir che tale effetto solo sia lui medesimo. Al che siaggiunge che per questo, se fusse o se è, niente si toglie di quel chedeve essere in quello che è veramente effetto, dove gli teologinominano azione ad extra e transeunte, oltre la immanente; perchécossí conviene che sia infinita l’una come l’altra.

Decimo settimo, da quel, che, dicendo il mondo interminato, nelmodo nostro séguita quiete nell’intelletto, e dal contrario sempreinnumerabilmente difficultadi ed inconvenienti. Oltre, si replicaquel ch’è detto nel secondo e terzo. Decimo ottavo, da quel che, seil mondo è sferico, è figurato, è terminato, e quel termine che è oltrequesto terminato e figurato (ancor che ti piaccia chiamarlo niente),è anco figurato di sorte che il suo concavo è gionto al di costui con-vesso; perché onde comincia quel tuo niente è una concavità indif-ferente almeno dalla convessitudinale superficie di questo mondo.Decimo nono, s’aggiunge a quel che è stato detto nel secondo.Ventesimo, si replica quello che è stato detto nel decimo.

Nella seconda parte di questo dialogo, quello ch’è dimostrato perla potenza passiva de l’universo, si mostra per l’attiva potenza del’efficiente, con più raggioni: de le quali la prima si toglie da quel,che la divina efficacia non deve essere ociosa; e tanto più ponendoeffetto extra la propria sustanza (se pur cosa gli può esser extra), eche non meno è ociosa ed invidiosa producendo effetto finito cheproducendo nulla. La seconda da la prattica, perché per il contrariosi toglie la raggione della bontade e grandezza divina, e da questonon séguita inconveniente alcuno contra qualsivoglia legge e

Page 80: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

sustanza di teologia. La terza è conversiva con la duodecima de laprima parte; e si apporta la differenza tra il tutto infinito e totalmen-te infinito. La quarta, da che non meno per non volere che per nonpossere la omnipotenza vien biasimata d’aver fatto il mondo finitoe di essere agente infinito circa suggetto finito. La quinta induceche, se non fa il mondo infinito, non lo può fare; e se non ha poten-za di farlo infinito, non può aver vigore di conservarlo in infinito; eche, se lui secondo una raggione è finito, viene ad essere finitosecondo tutte le raggioni, perché in lui ogni modo è cosa, e ognicosa e modo è uno e medesimo con l’altra e l’altro. La sesta è con-versiva de la decima de la prima parte. E s’apporta la causa per laquale gli teologi defendeno il contrario non senza espediente rag-gione, e de l’amicizia tra questi dotti e gli dotti filosofi.

La settima, dal proponere la raggione che distingue la potenzaattiva da l’azioni diverse, e sciorre tale argumento. Oltre, si mostrala potenza infinita intensiva- ed estensivamente più altamente che lacomunità di teologi abbia giamai fatto. La ottava, da onde si mostrache il moto di mondi infiniti non è da motore estrinseco ma da lapropria anima, e come con tutto ciò sia un motore infinito. La nona,da che si mostra come il moto infinito intensivamente si verifica inciascun de’ mondi. Al che si deve aggiongere che da quel, che unmobile insieme insieme si muove ed è mosso, séguita che si possavedere in ogni punto del circolo che fa col proprio centro; ed altrevolte sciorremo questa obiezione, quando sarà lecito d’apportar ladottrina più diffusa.

Argomento del secondo dialogo.

Séguita la medesima conclusione il secondo dialogo. Ove, primo,apporta quattro raggioni, de quali la prima si prende da quel, chetutti gli attributi de la divinità sono come ciascuno. La seconda, dache la nostra imaginazione non deve posser stendersi più che ladivina azione. La terza, da l’indifferenza de l’intelletto ed aziondivina, e da che non meno intende infinito che finito. La quarta, dache, se la qualità corporale ha potenza infinita attiva, la qualità,dico, sensibile a noi, or che sarà di tutta che è in tutta la potenza atti-va e passiva absoluta? Secondo, mostra da che cosa corporea nonpuò esser finita da cosa incorporea, ma o da vacuo o da pieno; ed in

80

Page 81: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

ogni modo estra il mondo è spacio, il quale al fine non è altro chemateria e l’istessa potenza passiva, dove la non invida ed ociosapotenza attiva deve farsi in atto. E si mostra la vanità dell’argomen-to d’Aristotele dalla incompossibilità delle dimensioni. Terzo, seinsegna la differenza che è tra il mondo e l’universo, perché chi dicel’universo infinito uno, necessariamente distingue tra questi duinomi. Quarto, si apportano le raggioni contrarie, per le quali sistima l’universo finito: dove Elpino referisce le sentenze tutte diAristotele, e Filoteo le va essaminando. Quelle sono tolte altre dallanatura di corpi semplici, altre da la natura di corpi composti; e simostra la vanità di sei argumenti presi dalla definizione de gli motiche non possono essere in infinito, e da altre simili proposizioni, lequali son senza proposito e supposito, come si vede per le nostreraggioni. Le quali più naturalmente faran vedere la raggione de ledifferenze e termino di moto, e, per quanto comporta l’occasione eloco, mostrano la più reale cognizione dell’appulso grave e lieve;perché per esse mostramo come il corpo infinito non è grave nélieve, e come il corpo finito riceve differenze tali, e come non. Edindi si fa aperta la vanità de gli argomenti di Aristotele, il quale,argumentando contra quei che poneno il mondo infinito, suppone ilmezzo e la circonferenza, e vuole che nel finito o infinito la terraottegna il centro. In conclusione, non è proposito grande o piccioloche abbia amenato questo filosofo per destruggere l’infinità delmondo, tanto dal primo libro Del cielo e mondo quanto dal terzo Dela fisica ascoltazione, circa il quale non si discorra assai più che abastanza.

Argomento del terzo dialogo.

Nel terzo dialogo primieramente si niega quella vil fantasia dellafigura, de le sfere e diversità di cieli; e s’affirma uno essere il cielo,che è uno spacio generale ch’abbraccia gl’infiniti mondi; benchénon neghiamo più, anzi infiniti cieli, prendendo questa voce secon-do altra significazione; per ciò che come questa terra ha il suo cielo,che è la sua regione nella quale si muove e per la quale discorre,cossí ciascuna di tutte l’altre innumerabili. Si manifesta onde siaaccaduta la imaginazione di tali e tanti mobili deferenti e talmentefigurati che abbiano due superficie esterne ed una cava interna; ed

81

Page 82: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

82

altre ricette e medicine che dànno nausea ed orrore agli medesimiche le ordinano e le esequiscono, e a que’ miseri che se le inghiot-tiscono.

Secondo, si avertisce che il moto generale e quello de gli dettieccentrici e quanti possono riferirse al detto firmamento, tutti sonofantastici: che realmente pendeno da un moto che fa la terra con ilsuo centro per l’ecliptica e quattro altre differenze di moto che facirca il centro de la propria mole. Onde resta, che il moto proprio diciascuna stella si prende da la differenza che si può verificare sug-gettivamente in essa come mobile da per sé per il campo spacioso.La qual considerazione ne fa intendere, che tutte le raggioni delmobile e moto infinito son vane e fondate su l’ignoranza del motodi questo nostro globo. Terzo, si propone come non è stella che nonsi muova come questa ed altre che, per essere a noi vicine, ne fannoconoscere sensibilmente le differenze locali di moti loro; ma chealtrimente se muoveno gli soli che son corpi dove predomina ilfoco, altrimente le terre ne le quali l’acqua è predominante; e quin-di si manifesta onde proceda il lume che diffondeno le stelle, dequali altre luceno da per sé altre per altro.

Quarto, in qual maniera corpi distantissimi dal sole possanoequalmente come gli più vicini partecipar il caldo; e si riprova lasentenza attribuita ad Epicuro, come che vuole un sole esser bastan-te all’infinito universo; e s’apporta la vera differenza tra quei astriche scintillano e quei che non. Quinto s’essamina la sentenza delCusano circa la materia ed abitabilità di mondi e circa la raggion dellume. Sesto, come di corpi, benché altri sieno per sé lucidi e caldi,non per questo il sole luce al sole e la terra luce alla medesima terraed acqua alla medesima acqua; ma sempre il lume procede dall’ap-posito astro, come sensibilmente veggiamo tutto il mar lucente daluoghi eminenti, come da monti; ed essendo noi nel mare, e quan-do siamo ne l’istesso campo, non veggiamo risplendere se nonquanto a certa poca dimensione il lume del sole e della luna ne sioppone. Settimo, si discorre circa la vanità delle quinte essenze: esi dechiara che tutti corpi sensibili non sono altri e non costano d’al-tri prossimi e primi principii che questi, che non sono altrimentemobili tanto per retto quanto per circulare. Dove tutto si tratta conraggioni più accomodate al senso commune, mentre Fracastorios’accomoda all’ingegno di Burchio; e si manifesta apertamente chenon è accidente che si trova qua che non si presuppona là, come non

Page 83: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

è cosa che si vede di là da qua, la quale, se ben consideriamo, nonsi veda di qua da là; e conseguentemente, che quel bell’ordine escala di natura è un gentil sogno ed una baia da vecchie ribambite.Ottavo, che, quantunque sia vera la distinzione de gli elementi, nonè in nessun modo sensibile o intelligibile tal ordine di elementiquale volgarmente si pone; e secondo il medesimo Aristotele, gliquattro elementi sono equalmente parti o membri di questo globo,se non vogliamo dire che l’acqua eccede; onde degnamente gli astrison chiamati or acqua or fuoco tanto da veri naturali filosofi quan-to da profeti divini e poeti; li quali, quanto a questo, non favoleg-giano né metaforicheggiano, ma lasciano favoleggiare ed impuerirequest’altri sofossi. Cossí li mondi se intendeno essere questi corpieterogenei, questi animali, questi grandi globi, dove non è la terragrave piú che gli altri elementi, e le particelle tutte si muoveno ecangiano di loco e disposizione non altrimente che il sangue ed altriumori e spiriti e parte minime, che fluiscono, refluiscono, influisco-no ed effluiscono in noi ed altri piccioli animali. A questo proposi-to s’amena la comparazione, per la quale si trova che la terra, perl’appulso al centro de la sua mole, non si trova più grave che altrocorpo semplice che a tal composizion concorre; e che la terra da persé non è grave né ascende né discende; e che l’acqua è quella chefa l’unione, densità, spessitudine e gravità.

Nono, da che è visto il famoso ordine de gli elementi vano, s’infe-risce la raggione di questi corpi sensibili composti che, come tantianimali e mondi, sono nel spacioso campo che è l’aria o cielo ovacuo. Ove son tutti que’ mondi che non meno contegnono animalied abitatori che questo contener possa, atteso che non hanno minorvirtù né altra natura. Decimo, dopo che è veduto come soglianodisputar gli pertinacemente additti ed ignoranti di prava disposizio-ne, si fa oltre manifesto in che modo per il più delle volte soglionoconchiudere le disputazioni; benché altri sieno tanto circonspetti che,senza guastarsi punto, con un ghigno, con un risetto, con certa mode-sta malignità, quel che non vagliono aver provato con raggioni né lormedesimi possono donarsi ad intendere, con queste artecciuole dicortesi dispreggi, la ignoranza in ogni altro modo aperta vogliononon solo cuoprire, ma rigettarla al dorso dell’antigonista; perché nonvegnono a disputar per trovare o cercar la verità, ma per la vittoria eparer più dotti e strenui defensori del contrario. E simili denno esse-re fuggiti da chi non ha buona corazza di pazienza.

83

Page 84: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

Argumento del quarto dialogo.

Nel seguente dialogo prima si replica quel ch’altre volte è detto,come sono infiniti gli mondi, come ciascun di quelli si muova ecome sia formato. Secondo, nel modo con cui, nel secondo dialogo,si sciolsero le raggioni contra l’infinita mole o grandezza de l’uni-verso, dopo che nel primo con molte raggioni fu determinato l’in-menso effetto dell’inmenso vigore e potenza; al presente, dopo chenel terzo dialogo è determinata l’infinita moltitudine de mondi, siscioglieno le molte raggioni d’Aristotele contro quella, benché altrosignificato abbia questa voce mondo appresso Aristotele, altroappresso Democrito, Epicuro ed altri.

Quello dal moto naturale e violento, e raggioni de l’uno e l’altroche son formate da lui, vuole che l’una terra si derrebe muovere al’altra; e con risolvere queste persuasioni prima, si poneno fonda-menti di non poca importanza per veder gli veri principii della natu-ral filosofia. Secondo, si dechiara che, quantunque la superficied’una terra fusse contigua a l’altra, non averrebe che le parti del’una si potessero muovere a l’altra, intendendo de le parti eteroge-nee o dissimilari, non de gli atomi e corpi semplici; onde si prendelezione di meglio considerare circa la natura del grave e lieve.Terzo, per qual caggione questi gran corpi sieno stati disposti da lanatura a tanta distanza, e non sieno più vicini gli uni e gli altri, disorte che da l’uno si potesse far progresso a l’altro; e quindi, da chiprofondamente vede, si prende raggione per cui non debbano essermondi come nella circonferenza dell’etere, o vicini al vacuo tale incui non sia potenza, virtù ed operazione; perché da un lato nonpotrebono prender vita e lume. Quarto, come la distanza localemuta la natura del corpo, e come non; ed onde sia che, posta unapietra equidistante da due terre, o si starebbe ferma, o determinareb-be di moversi più tosto a l’una che a l’altra. Quinto, quanto s’ingan-ni Aristotele per quel che in corpi, quantunque distanti, intendeappulso di gravità o levità de l’uno all’altro; ed onde proceda l’ap-petito di conservarsi nell’esser presente, quantunque ignobile, ne lecose: il quale appetito è causa della fuga e persecuzione. Sesto, cheil moto retto non conviene né può esser naturale a la terra o altricorpi principali, ma a le parti di questi corpi che a essi da ogni dif-ferenza di loco, se non son molto discoste, si muoveno. Settimo, dale comete si prende argomento che non è vero che il grave, quan-

84

Page 85: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

tunque lontano, abbia appulso o moto al suo continente. La qualraggione corre non per gli veri fisici principii, ma dalle supposizio-ni della filosofia d’Aristotele, che le forma e compone da le partiche sono vapori ed exalazioni de la terra. Ottavo, a proposito d’unaltro argomento, si mostra come gli corpi semplici, che sono dimedesima specie in altri mondi innumerabili, medesimamente simuovano; e qualmente la diversità numerale pone diversità de luo-ghi, e ciascuna parte abbia il suo mezzo e si referisca al mezzo com-mune del tutto; il quale mezzo non deve essere cercato nell’univer-so. Nono, si determina che gli corpi e parti di quelli non hannodeterminato su e giù, se non in quanto che il luogo della conversa-zione è qua o là. Decimo, come il moto sia infinito, e qual mobiletenda in infinito ed a composizioni innumerabili, e che non perciòséguita gravità o levità con velocità infinita; e che il moto de le partiprossime, in quanto che serbino il loro essere, non può essere infi-nito; e che l’appulso de parti al suo continente non può essere senon infra la regione di quello.

Argomento del quinto dialogo.

Nel principio del quinto dialogo si presenta un dotato di più feli-ce ingegno; il qual, quantunque nodrito in contraria dottrina, peraver potenza di giudicar sopra quello ch’ave udito e visto, può fardifferenza tra una ed un’altra disciplina, e facilmente si rimette ecorregge. Si dice chi sieno quei a’ quali Aristotele pare un miraco-lo di natura, atteso che coloro che malamente l’intendeno e hannol’ingegno basso, magnificamente senteno di lui. Perché doviamocompatire a simili, e fuggir la lor disputazione, per ciò che con essinon vi è altro che da perdere.

Qua Albertino, nuovo interlocutore, apporta dodici argumenti, neli quali consiste tutta la persuasione contraria alla pluralità e molti-tudine di mondi. Il primo si prende da quel, che estra il mondo nons’intende loco né tempo né vacuo né corpo semplice, né composto.Il secondo, da l’unità del motore. Il terzo, da luoghi de corpi mobi-li. Il quarto, dalla distanza de gli orizonti dal mezzo. Il quinto, dallacontiguità de più mondi orbiculari. Il sesto, da spacii triangulari checausano con il suo contatto. Il settimo, dall’infinito in atto, che nonè, e da un determinato numero, che non è più raggionevole che l’al-

85

Page 86: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

tro. Da la qual raggione noi possiamo non solo equalmente, ma e digran vantaggio inferire, che per ciò il numero non deve essere deter-minato, ma infinito. L’ottavo, dalla determinazione di cose naturalie dalla potenza passiva de le cose, la quale alla divina efficacia edattiva potenza non risponde. Ma qua è da considerare che è cosainconvenientissima, che il primo ed altissimo sia simile ad unoch’ha virtù di citarizare e, per difetto di citara, non citareggia; e siauno che può fare, ma non fa, perché quella cosa che può fare, nonpuò esser fatta da lui. Il che pone una più che aperta contradizione,la quale non può essere non conosciuta, eccetto che da quei checonoscono niente. Il nono dalla bontà civile che consiste nella con-versazione. Il decimo, da quel, che per la contiguità d’un mondocon l’altro séguita, che il moto de l’uno impedisca il moto de l’al-tro. L’undecimo, da quel, che, se questo mondo è compìto e perfet-to, non è dovero che altro o altri se gli aggiunga o aggiungano.

Questi son que’ dubii e motivi, nella soluzion delli quali consistetanta dottrina, quanta sola basta a scuoprir gl’intimi e radicali erro-ri de la filosofia volgare ed il pondo e momento de la nostra. Eccoqua la raggione, per cui non doviam temere che cosa alcuna difflui-sca, che particolar veruno o si disperda o veramente inanisca o sidiffonda in vacuo che lo dismembre in adni[c]hilazione. Ecco laraggion della mutazion vicissitudinale del tutto, per cui cosa non èdi male da cui non s’esca, cosa non è di buono a cui non s’incorra,mentre per l’infinito campo, per la perpetua mutazione, tutta lasustanza persevera medesima ed una. Dalla qual contemplazione, sevi sarremo attenti, avverrà che nullo strano accidente ne dismettaper doglia o timore, e nessuna fortuna per piacere o speranza neestoglia: onde aremo la via vera alla vera moralità, saremo magna-nimi, spreggiatori di quel che fanciulleschi pensieri stimano; e ver-remo certamente più grandi che que’ dei che il cieco volgo adora,perché dovenerremo veri contemplatori dell’istoria de la natura, laquale è scritta in noi medesimi, e regolati executori delle divineleggi, che nel centro del nostro core son inscolpite. Conosceremoche non è altro volare da qua al cielo che dal cielo qua, non altroascendere da qua là che da là qua, né è altro descendere da l’uno al’altro termine. Noi non siamo più circonferenziali a essi che essi anoi; loro non sono più centro a noi che noi a loro; non altrimentecalcamo la stella e siamo compresi noi dal cielo, che essi loro.

86

Page 87: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

Eccone, dunque, fuor d’invidia; eccone liberi da vana ansia estolta cura di bramar lontano quel tanto bene che possedemo vicinoe gionto. Eccone più liberi dal maggior timore che loro caschinosopra di noi, che messi in speranza che noi caschiamo sopra di loro;perché cossí infinito aria sustiene questo globo come quelli, cossíquesto animale libero per il suo spacio discorre ed ottiene la suareggione come ciascuno di quegli altri per il suo. Il che consideratoe compreso che arremo, oh a quanto più considerare e comprende-re ne diportaremo! Onde per mezzo di questa scienza otteneremocerto quel bene, che per l’altre vanamente si cerca.

Questa è quella filosofia che apre gli sensi, contenta il spirto,magnifica l’intelletto e riduce l’uomo alla vera beatitudine che puòaver come uomo, e consistente in questa e tale composizione; perchélo libera dalla sollecita cura di piaceri e cieco sentimento di dolori,lo fa godere dell’esser presente, e non più temere che sperare delfuturo; perché la providenza o fato o sorte, che dispone della vicis-situdine del nostro essere particolare, non vuole né permette che piùsappiamo dell’uno che ignoriamo dell’altro, alla prima vista e primorancontro rendendoci dubii e perplessi. Ma mentre consideramo piùprofondamente l’essere e sustanza di quello in cui siamo inmutabili,trovaremo non esser morte, non solo per noi, ma né per verunasustanza; mentre nulla sustanzialmente si sminuisce, ma tutto, perinfinito spacio discorrendo, cangia il volto. E perché tutti soggiace-mo ad ottimo efficiente, non doviamo credere, stimare e sperarealtro, eccetto che come tutto è da buono; cossì tutto è buono, perbuono ed a buono; da bene, per bene, a bene. Del che il contrario nonappare se non a chi non apprende altro che l’esser presente, come labeltade dell’edificio non è manifesta a chi scorge una minima partedi quello, come un sasso, un cemento affisso, un mezzo parete; mamassime a colui che può vedere l’intiero e che ha facultà di far con-ferenza di parti a parti. Non temiamo che quello che è accumulato inquesto mondo, per la veemenza di qualche spirito errante o per ilsdegno di qualche fulmineo Giove, si disperga fuor di questa tombao cupola del cielo, o si scuota ed emuisca come in polvere fuor diquesto manto stellifero; e la natura de le cose non altrimente possavenire ad inanirsi in sustanza, che alla apparenza di nostri occhiquell’aria ch’era compreso entro la concavitade di una bolla, va incasso; perché ne è noto un mondo, in cui sempre cosa succede a cosasenza che sia ultimo profondo, da onde, come da la mano del fabro,

87

Page 88: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

irreparabilmente emuiscano in nulla. Non sono fini, termini, margi-ni, muraglia che ne defrodino e suttragano la infinita copia de lecose. Indi feconda è la terra ed il suo mare; indi perpetuo è il vampodel sole, sumministrandosi eternamente esca a gli voraci fuochi edumori a gli attenuati mari; perché dall’infinito sempre nova copia dimateria sottonasce. Di maniera che megliormente intese Democritoed Epicuro che vogliono tutto per infinito rinovarsi e restituirsi, chechi si forza di salvare eterno la costanza de l’universo, perché mede-simo numero a medesimo numero sempre succeda e medesime partidi materia con le medesime sempre si convertano. Or provedete,signori astrologi, con li vostri pedissequi fisici, per que’ vostri cerchiche vi discriveno le fantasiate nove sfere mobili; con le quali venetead impriggionarvi il cervello di sorte che me vi presentate non altri-mente che come tanti papagalli in gabbia, mentre raminghi vi veg-gio ir saltellando, versando e girando entro quelli. Conoscemo che sígrande imperatore non ha sedia sí angusta, sí misero solio, sí arto tri-bunale, sí poco numerosa corte, sí picciolo ed imbecille simulacro,che un fantasma parturisca, un sogno fracasse, una mania ripare, unachimera disperda, una sciagura sminuisca, un misfatto ne toglia, unpensiero ne restituisca; che con un soffio si colme e con un sorso sisvode; ma è un grandissimo ritratto, mirabile imagine, figura eccel-sa, vestigio altissimo, infinito ripresentante di ripresentato infinito, espettacolo conveniente all’eccellenza ed eminenza di chi non puòesser capito, compreso, appreso. Cossí si magnifica l’eccellenza deDio, si manifesta la grandezza de l’imperio suo: non si glorifica inuno, ma in soli innumerabili: non in una terra, un mondo, ma in die-cecento mila, dico in infiniti. Di sorte che non è vana questa poten-za d’intelletto, che sempre vuole e puote aggiungere spacio a spacio,mole a mole, unitade ad unitade, numero a numero, per quella scien-za che ne discioglie da le catene di uno angustissimo, e ne promovealla libertà d’un augustissimo imperio, che ne toglie dall’opinatapovertà ed angustia alle innumerevoli ricchezze di tanto spacio, di sídignissimo campo, di tanti coltissimi mondi; e non fa che circolod’orizonte, mentito da l’occhio in terra e finto da la fantasia nell’e-tere spacioso, ne possa impriggionare il spirto sotto la custodia d’unPlutone e la mercé d’un Giove. Siamo exempti da la cura d’un tantoricco possessore e poi tanto parco, sordido ed avaro elargitore, edalla nutritura di sí feconda e tuttipregnante e poi sí meschina emisera parturiscente natura.

88

Page 89: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

Altri molti sono i degni ed onorati frutti che da questi arbori siraccoglieno, altre le messe preciose e desiderabili che da questoseme sparso riportar si possono. Le quali, per non più importuna-mente sollecitar la cieca invidia de gli nostri adversarii, non ame-niamo a mente, ma lasciamo comprendere dal giudizio di quei chepossono comprendere e giudicare. Li quali, da per se medesimi,potranno facilmente a questi posti fondamenti sopraedificar l’intie-ro edificio de la nostra filosofia; gli cui membri, se cossí piacerà achi ne governa e muove, e se l’incominciata impresa non ne verràinterrotta, ridurremo alla tanto bramata perfezione, a fine che quel-lo, che è seminato ne gli dialogi De la causa, principio ed uno, peraltri germoglie, per altri cresca, per altri si mature, per altri, median-te una rara mietitura, ne addite e, per quanto è possibile, ne conten-te; mentre (avendolo sgombrato de le veccie, de gli lolii e de le rac-colte zizanie) di frumento meglior che possa produr terreno de lanostra coltura, verremo ad colmar il magazzino de studiosi ingegni.

Tra tanto, benché son certo che non è bisogno de lo raccoman-darvi, non lasciarò pure, per far parte del debito mio, di procurarche vi sia veramente raccomandato quello che non intrattenete travostri familiari come uomo di cui avete bisogno, ma come personache ha bisogno di voi per tante e tante caggioni che vedete; consi-derando che, per aver appresso di voi tanti che vi serveno, non sietedifferente da plebei, borsieri e mercanti; ma, per aver alcunamentedegno che da voi sia promosso, difeso ed aggiutato, sète, come sem-pre vi siete mostrato e fuste, conforme a’ principi magnanimi, eroie Dei, li quali hanno ordinati pari vostri per la difesa de gli loroamici. E vi ricordo quel che so che non bisogna ricordarvi: che nonpotrete al fine esser tanto stimato dal mondo e gratificato da Dio,per essere amato e rispettato da principi quantosivoglia grandi de laterra, quanto per amare, difendere e conservare un di simili. Perchénon è cosa che quelli che con la fortuna vi son superiori, possonofare a voi che molti di lor superate con la virtude, che possa durarepiú che gli vostri pareti e tapezzarie; ma tal cosa voi possete fare adaltri, che facilmente vegna scritta nel libro dell’eternitade, o siaquello che si vede in terra o sia quell’altro che si crede in cielo: atte-so che quanto che ricevete da altri, è testimonio de l’altrui virtute,ma il tanto che fate ad altro, è segno ed indizio espresso de la vostra.Vale.

89

Page 90: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

Mio passar solitario, a quelle parti,A quai drizzaste già l’alto pensiero,Poggia infinito, poi che fia mestiero

A l’oggetto agguagliar l’industrie e l’arti.Rinasci là; là su vogli’ allevarti

Gli tuoi vaghi pulcini, omai ch’il fieroDestin av’ispedito il corso intiero

Contra l’impresa, onde solea ritrarti.Vanne da me, che più nobil ricetto

Bramo ti godi; e arrai per guida un dio,Che da chi nulla vede è cieco detto.Il ciel ti scampi, e ti sia sempre pio

Ogni nume di questo ampio architetto;E non tornar a me, se non sei mio.

** *

Uscito de priggione angusta e nera,Ove tant’anni error stretto m’avinse,

Qua lascio la catena, che mi cinseLa man di mia nemica invid’e fera.

Presentarmi a la notte fosca seraOltre non mi potrà, perché chi vinseIl gran Piton, e del suo sangue tinse

L’acqui del mar, ha spinta mia Megera.A te mi volgo e assorgo, alma mia voce:

Ti ringrazio, mio sol, mia diva luce;Ti consacro il mio cor, eccelsa mano,

Che m’avocaste da quel graffio atroce,Ch’a meglior stanze a me ti festi duce,

Ch’il cor attrito mi rendeste sano.

** *

E chi mi impenna, e chi mi scalda il core?Chi non mi fa temer fortuna o morte?

Chi le catene ruppe e quelle porte,

90

Page 91: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

Onde rari son sciolti ed escon fore?L’etadi, gli anni, i mesi, i giorni e l’oreFiglie ed armi del tempo, e quella corte

A cui né ferro, né diamante è forte,Assicurato m’han dal suo furore.Quindi l’ali sicure a l’aria porgo;

Né temo intoppo di cristallo o vetro,Ma fendo i cieli e a l’infinito m’ergo.

E mentre dal mio globo a gli altri sorgo,E per l’eterio campo oltre penetro:

Quel ch’altri lungi vede, lascio al tergo.

91

Page 92: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo
Page 93: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

DE L’INFINITO, UNIVERSO E MONDI (LONDRA 1584)Note ed osservazioni in forma di commento

La visione razionale della natura ha portato di nuovo la speculazione diGiordano Bruno – con le sue considerazioni circa l’anima, l’intelletto e,soprattutto, la materia – allo scontro ulteriore sia con gli ambienti accade-mici inglesi, sia con gli ambienti politici più conservatori e reazionari. Ilsuperamento della scissione fra filosofia e teologia doveva insieme provo-care reazioni accese sia da parte degli studiosi grammaticali oxoniensi,intrisi dello spirito logico-linguistico di derivazione aristotelica, sia di quel-l’ambiente politico-teologico che faceva valere l’interpretazione letteraledei testi sacri come strumento di conservazione e salvaguardia della sepa-razione di matrice platonico-cristiana. Feroce difensore dell’ordine ideolo-gico e civile tradizionale, il contesto intellettuale e politico egemone ingle-se opporrà una barriera invalicabile alla penetrazione ed alla diffusionedelle dottrine bruniane, costringendo il filosofo di Nola a dirigere inizial-mente la propria azione pedagogica, didattica e civile, verso quegli ambien-ti londinesi più vicini a quello spirito anglicano-borghese e nazionale cheinnervava e motivava la vita dei circoli reali. Attento all’ideale ed alla pras-si della potenza, che questi circoli esprimevano, il filosofo di Nola cercò dipersuaderne ed ammaestrarne lo spirito, con effetti e risultati che forse nonfurono completamente quelli auspicati e desiderati. Altri, altri ambienti edaltre istanze politiche, avrebbero fatto propria nel secolo successivo quellaspinta al cambiamento ed alla trasformazione che traspariva con veemenzadai testi e dalle opere bruniane.

Questa spinta al cambiamento ed alla trasformazione era pienamentesupportata dalla rivoluzionaria concezione bruniana della materia, naturalee razionale insieme. La sua rappresentazione quale alta possibilità d’esseredoveva sconvolgere le finalità ed i progetti ideologici e civili delle classidominanti inglesi, imponendo una ideazione teologico-politica rivoluziona-ria, proposta per prima attraverso la confutazione totale dell’impostazionenaturale aristotelica. Il testo del De l’Infinito, Universo e mondi costituisceinfatti il primo passo, certo ed articolatamente determinato, fatale, verso ilsuperamento della concezione civile tradizionale: superamento che troverà

93

Page 94: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

94

le proprie argomentazioni esplicite nei testi che costituiscono la silloge deic.d. Dialoghi Morali. Lo Spaccio de la Bestia trionfante, la Cabala delCavallo pegaseo, gli Eroici furori.

Qui intanto – nel testo del De l’Infinito, Universo e mondi – GiordanoBruno prepara e svolge il piano della propria battaglia razionale contro laconcezione naturale di Aristotele, tematizzando perché ed in quale modoquella possibilità d’essere, che era stata la scoperta più sconvolgente deltesto precedente (il De la Causa, Principio e Uno), possa costituirsi in unnuovo plesso rappresentativo, sempre naturale e razionale insieme.Vedremo quindi come la riflessione e l’argomentazione bruniana costruiràprogressivamente l’edificio di quell’unico soggetto con il quale aveva con-cluso il De la Causa, con una decisa polemica antiaristotelica: quell’unicosoggetto ora infatti diventerà il motore dell’affermazione di un principiocreativo e nel contempo doppiamente dialettico. Interno, in quanto capacedi disporre triangolarmente dall’alto l’equilibrio e la mutua conservazionedegli effetti d’azione degli astri solari e di quelli terrestri; esterno, per quan-to questo movimento non può non ricondurre ad un movimento più profon-do, più alto ed ampio. Un movimento che, per l’appunto, aprirà verso unarivoluzione del concetto politico-teologico, attraverso l’affermazione di unadialettica creativa inesausta fra le figure trinitarie del Padre e del Figlio,nella visione e prassi che lo Spirito ce ne offre.

Il “divino oggetto” che Bruno sta contemplando restituisce allora il sensoed il significato originario al cristianesimo, rirovesciando quel suo rove-sciamento che gli era stato apportato proprio dall’applicazione della tradi-zione speculativa neoplatonico-aristotelica, con la sua concezione chiusa eristretta, gerarchica e discriminante, di un Uno necessario e d’ordine, asso-lutamente univoco nella determinazione. Abbattendo in questo modo l’ido-lo fondamentale d’Occidente, Bruno viene dichiarato eretico, sovvertitore eperverso. La sua speculazione non potrà allora non chiedere, per salvarsi,altro che l’aiuto dello Spirito, così come poi farà di fronte ai suoi inquisito-ri, durante le fasi finali del processo romano.1 Con le parole del filosofo:

Cossí, Signor, gli santi numi disperdano da me que’ tutti che ingiustamen-te m’odiano, cossí mi sia propicio sempre il mio Dio, cossí favorevoli mi sienotutti governatori del nostro mondo, cossí gli astri mi faccian tale il seme alcampo ed il campo al seme ch’appaia al mondo utile e glorioso frutto del miolavoro con risvegliar il spirto ed aprir il sentimento a quei che son privi di

1 L. FIRPO. Il processo di Giordano Bruno. Salerno Editrice, Roma 1993. Pag. 93. «se laSede Apostolica et la Santità di Nostro Signore havevano dette otto propositioni comedeffinitivamente eretiche, o che Sua Santità le conoscesse per tali, o per il Spirito Santole diffinisca per tali» era «disposto a revocarle».

Page 95: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

95

lume: come io certissimamente non fingo e, se erro, non credo veramente erra-re e, parlando e scrivendo, non disputo per amor de la vittoria per se stessa(perché ogni riputazione e vittoria stimo nemica a Dio, vilissima e senza puntodi onore, dove non è la verità), ma per amor della vera sapienza e studio dellavera contemplazione m’affatico, mi crucio, mi tormento.

Sarà l’aperta visione della molteplicità ideale, nella sua funzione di rap-presentazione sensibile e razionale dell’orizzonte infinito dell’Uno, a costi-tuire quell’ambito di comprensione progressivamente riscoperto dal proces-so dell’argomentazione bruniana.

Questo processo incomincia – Giordano Bruno lo indica all’iniziodell’Argomento del primo dialogo – con l’osservazione relativa alla contin-genza della variabilità offerta dall’apertura sensibile: l’insieme degli appor-ti dovuti alla sensazione – ai diversi organi di senso – non trova una neces-saria coerenza unitaria, capace di convogliare la forma di un eventuale sensocomune ad un contenuto certo e determinato. Questo indirizzo, infatti, nonfa altro che eliminare in maniera preventiva qualsiasi ‘divergenza’ sensibile,che non si accosti necessariamente e preventivamente al primato di unavisione finita, in sé conclusa, limitata e limitante.2 Al contrario, l’infinitobruniano riesce ad affermarsi nel momento in cui una nuova ragione sensi-bile si faccia principio dell’osservazione stessa, offrendo rappresentazionedell’apertura intellettuale stessa e così ricapovolgendo l’inversione effettua-ta dal maestro stagirita.3 Tanto quanto infatti Aristotele predisponeva, secon-do la corretta opinione bruniana, un principio di autoconclusione,4 altrettan-to ed all’opposto la filosofia bruniana vuole dimostrare l’esistenza reale diun impulso, di un impeto, una intenzione razionale, un progetto di autosupe-ramento. Come nel De la Causa era infatti riuscito ad affermare l’unicità diun soggetto interno (creativo e dialettico, nella relazione da esso disposta),così ora egli riesce ad offrire, in relazione a questo stesso soggetto (Giove),una apparente rotazione esterna, essa stessa profondamente ed altamentedialettica, capace di porre insieme il modo della libertà (Padre) e quello del-

2 Sarà facile vedere come a questo principio epistemologico di tradizione aristotelicacorrisponda, poi, l’affermazione ontologica equivalente del mondo unico, chiuso elimitato dalla sfera circolante delle stelle fisse.

3 G. BRUNO. De l’Infinito, Universo e mondi. Sansoni, Firenze 19583 (rist. 1985). Pag.370. «Filoteo. Ne l’oggetto sensibile come in un specchio, nella raggione per modo diargumentazione e discorso, nell’intelletto per modo di principio o di conclusione, nellamente in propria e viva forma.» Qui l’immagine sensibile muove la ragione a ritrova-re nella disposizione intellettuale l’apertura verso quella molteplicità ideale che stabil-mente occupa l’orizzonte illimitato della mente divina.

4 Ibidem. «Filoteo. Cossí farò. Se il mondo è finito ed estra il mondo è nulla, vi diman-do: ove è il mondo? ove è l’universo? Risponde Aristotele: è in se stesso.»

Page 96: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

96

l’eguaglianza (Figlio). Nel modo, dunque, dell’amore Giordano Bruno potràfar emergere ed ergere la propria concezione dello Spirito, nell’immaginesensibile e viva, ma pure razionale e viva, di un desiderio infinito, capace dielevare ed ampliare insieme il campo della ragione intellettuale.

Rammentata la necessità dell’apertura superiore dell’Uno infinito,Giordano Bruno può sottolineare le successive e conseguenti irrazionalitàdella speculazione aristotelica. Se dunque Aristotele sminuisce la stessapotenza divina, collocandola a pura e semplice funzione di completamentodel mondo,5 Giordano Bruno non può non rilevare ulteriormente quellacontraddizione intrinseca per la quale ad essere infinito corrisponda entefinito. Numerose sono, infatti, le necessarie false implicazioni portate daquesta contraddizione: primo, che la necessaria annichilazione del corpo (osostanza) primo continente posto fuori dal mondo si riverberi sulla succes-siva e progressiva annichilazione ed annientamento della totalità del mondocontenuto, stante che il luogo è disposizione.6 All’opposto, allora, l’esserebruniano sarà infinito (come il termine necessariamente interminato lucre-ziano, indicato dalla breve composizione poetica scelta).7 Secondo, che lospazio annientato oltre il mondo non possa contenere altro e diverso mondo,oltre a poter annientare il mondo stesso contenuto. Infatti sembra doverscomparire la possibilità dell’essere diverso, oltre alla possibilità stessad’essere. All’opposto, la possibilità d’essere bruniana è l’infinita possibili-tà d’essere diversamente. Cosmologicamente essa vale, per ora, come mol-tiplicazione di mondi innumerabili: variazione, essa è possibilità d’essereretta, sorretta, dall’infinito. Mentre dunque Aristotele, sulla traccia del pro-prio maestro Platone, intendeva il non-essere di questo mondo come sostan-za incorporea che bloccasse la sua variazione, Giordano Bruno ritrasformain senso creativo l’intenzione platonica, riassegnandole un’eguale virtùdispositiva. Essa pone in essere i mondi come possibilità attuate, come pos-sibilità in atto, rendendo in tal modo concreta e reale la visione di un impul-so materiale non disgiunto e separato dalla propria forma: la “attitudine”.Con le parole del filosofo nolano:

Settimo, da che, sicome questo spacio nel quale è questo mondo, se questomondo non vi si trovasse, se intenderebbe vacuo; cossì dove non è questomondo, se v’intende vacuo. Citra il mondo, dunque, è indifferente questo spacioda quello: dunque, l’attitudine ch’ha questo, ha quello; dunque, ha l’atto, perchénessuna attitudine è eterna senz’atto; e però eviternamente ha l’atto gionto; anziessalei è atto, perché nell’eterno non è differente l’essere e posser essere.

5 Ivi, pag. 371. 6 Ivi, pagg. 372-373. 7 LUCREZIO. De rerum natura. I, 968-973; 977-979.

Page 97: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

97

L’Infinito innalzato dalla forma, l’infinito razionale, è pure infinito sensi-bile: l’orizzonte innalzato dall’Uno infinito, infatti, costituisce il fondamen-to per la comprensione di un movimento continuo. Un movimento che costi-tuisce esso stesso la relazione, in fine coincidente, fra l’infinito in atto e l’in-finito in potenza. Questa rotazione-rivoluzione, che si compie attorno alperno dell’infinito, pare scambiare di posto questi due elementi, assegnandoalla potenza un atto – o, un’attuosità – che farà gioco notevole indicare comevolontà intelligente divina. Volontà – ecco i punti decimo ed undecimo – chepone in atto necessariamente innumerabili mondi, ciascuno egualmentedistinto nella sua possibilità di essere (libertà conveniente).8 È, allora, pro-prio perché ciascun mondo sta nella propria libertà conveniente, che non èpossibile – ecco il punto duodecimo – che la “sostanza incorporea” – la tota-le ed ampia libertà d’essere, “l’infinito buono” – stia quale ostacolo alla rea-lizzazione dell’infinito apparente che la accompagna.9 Anzi, di più: si devesostenere che essa – proprio in quanto libertà d’essere – sia la aperta fontestessa creativa di quello e di tutti i mondi innumerabili che contiene (puntoterzodecimo).10 La necessità di rappresentare l’orizzonte aperto dell’Unoinfinito con una pluralità innumerabile di determinazioni compone poi lasfera globale della illimitata grandezza, all’interno della quale si può risali-re – qui compare la materia del punto quartodecimo – alla coincidenza frapotenza attiva (infinita) e potenza passiva (egualmente infinita). Ma la rela-zione fra potenza attiva infinita e potenza passiva infinita – e questo è ilpunto quintodecimo – non è una relazione che si svolga come fra orizzontecomprendente e contenuto, come invece pare essere nel mondo unico aristo-telico, dove si hanno nature dipendenti, ma al contrario si sviluppa comemovimento interminato, irriducibile: dove “l’efficiente infinito non è stima-to deficiente”, perché la libertà non ha limitazione contraria essendo infini-ta, e dove “l’attitudine non è vana”, perché il movimento che la realizza èsensato e razionale, proprio in quanto ne fa valere l’impredeterminatezza.Ecco, quindi, l’affermazione dell’universo interminato, non perciò nel sensovolgare.11 Allora l’aperta, illimitata potenza che pare sorgere – ed è il punto

8 G. BRUNO. De l’Infinito, Universo e mondi. Cit., pagg. 374-376. 9 Ivi, pagg. 376-377.

10 Ivi, pag. 377.11 Ivi, pagg. 378-380. Elpino, al contrario, volgarizza l’infinito bruniano, attribuendogli

tutte quelle caratteristiche di mondo chiuso e limitato precedentemente asserite per l’u-niverso aristotelico. «Affermo dunque che, se il tutto è un corpo, e corpo sferico, e perconsequenza figurato e terminato, bisogna che sia terminato in spacio infinito; nelquale, se vogliamo dire che sia nulla, è necessario concedere che sia il vero vacuo: …».Con questo volgarizzamento Elpino prima identifica l’infinito con lo spazio, vuoto opieno di mondi, quindi procede ad indicare l’assenza di una finalità precisa per ciascu-no di questi: «… : il quale, se è, non ha minor raggione in tutto che in questa parte che

Page 98: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

98

sestodecimo – ha come corrispondenza un’egualmente aperto infinito atto.La concezione volgare, invece, identifica Dio con la totalità dell’universo,nullificandolo. Poi non può non attribuire – e questo è il punto decimo set-timo – alla pluralità dei mondi una caoticità priva di senso e di ragione.Senso e ragione che vengono invece riaffermati dal modo attraverso il qualequella potenza infinita si riflette in quell’atto infinito. Ma la nullificazione diDio ha la propria contropartita velenosa – ecco l’avvertimento brunianoesposto nel punto decimo ottavo – nella inertizzazione dell’universo stesso,che viene decapitato del suo universale, del suo movimento, della comparsadella sua genesi continua per effetto e virtù dell’apertura d’orizzontedell’Uno infinito (punto decimo nono e ventesimo).12

Convenienza di libertà è l’immagine e la figura di Dio, in noi e per noi,per il senso della nostra ragione ed intelletto: questa unità, che si rovesciain differenza, riapre, riorienta, ridirige verticalmente l’eguaglianza solo for-male, orizzontale, all’eguaglianza sostanziale, all’eguaglianza partecipata,commista ed impastata di libertà. Così eguaglianza e libertà diventano lapotenza e l’atto inscindibili di ciò che l’infinito è per noi ed in noi (essen-do noi in esso): desiderio ed amore universale, anesclusivo. È questa rela-zione fra eguaglianza e libertà a costituire il tema di discussione ed argo-mentazione della seconda parte del primo dialogo del De l’Infinito,Universo e mondi: così – ed è la prima e seconda ragione – l’infinito che è(nella libertà) è l’infinito che ha (nella amorosa eguaglianza). Senza questaapertura superiore, infatti, così come dice lo stesso Bruno, “si toglie la rag-gione della bontade e grandezza divina”. La concezione aristotelica e la ver-sione volgare dell’universo bruniano tolgono invece bontà e grandezza aciò che Dio è per noi ed in noi, annullando l’immagine universale della

qua veggiamo capace di questo mondo; se non è, deve essere il pieno, e consequente-mente l’universo infinito. E non meno insipidamente siegue il mondo essere alicubi,avendo detto che estra quello è nulla, e che vi è nelle sue parti, che se uno dicesseElpino essere alicubi, perché la sua mano è nel suo braccio, l’occhio nel suo volto, ilpiè nella gamba, il capo nel suo busto.» La conclusione stessa alla quale perviene nondistoglie l’intelletto dall’eguaglianza formale dei mondi, non volendo ancora risalireal concetto creativo e dialettico dell’infinito, invece caro a Bruno-Filoteo. «Ma, pervenire alla conclusione e per non portarmi da sofista fissando il piè su l’apparente dif-ficoltadi, e spendere il tempo in ciancie, affermo quel che non posso negare: cioè, chenel spacio infinito o potrebono essere infiniti mondi simili a questo, o che questo uni-verso stendesse la sua capacità e comprensione di molti corpi, come son questi, noma-ti astri; ed ancora che (o simili o dissimili che sieno questi mondi) non con minor rag-gione sarebe bene a l’uno l’essere che a l’altro; perché l’essere de l’altro non ha minorraggione che l’essere de l’uno, e l’essere di molti non minor che de l’uno e l’altro, el’essere de infiniti che di molti. Là onde, come sarebe male la abolizione ed il non esse-re di questo mondo, cossí non sarebe buono il non essere de innumerabili altri.»

12 Ivi, pag. 380.

Page 99: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

99

libertà e presentando dell’eguaglianza la sua versione inerte e capovolta,senza movimento: quella dipendenza della determinazione univoca chefatalmente non può non terminare in un mondo unico, in un’unica singola-rità, negatrice della stessa essenza e potenza divina (il suo essere infinito).Infinito (Padre) del suo infinito (Figlio) – “termino interminato di cosainterminata”13 – Dio rispecchia la propria immagine in un’apertura illimita-ta, che ne offre l’apparenza esteriore (questa, la terza ragione). Così la com-plicatio innalza, fonda ed apre la explicatio: non, invece, come sosterrebbela lettura necessitarista della riflessione bruniana, dispone ed orienta lamedesima, secondo una monolicità tutta materiale. Che questa resterebbe,invero, all’interno di un orizzonte gnoseologico ed ontologico tutto aristo-telico. Orizzonte che impedisce – ecco la quarta ragione – di assegnarevolontà e potenza identiche a Dio stesso, preferendo distaccare un infinitoastratto in relazione ad un mondo concreto unico. Un infinito astratto chesepara la volontà dalla potenza, subordinandola e così diminuendola. Unadiminuzione fatale per la stessa considerazione di Dio, che viene trascinatoin basso ad una volontà d’adeguazione correlativa (quinta ragione).

I mondi così restano alti nella explicatio divina, come determinazioni dilibertà (contractio). Dio è dunque necessità per l’universo ed i mondi (infi-nito, non totalmente), ma come determinazione indeterminata di libertà(infinito, totalmente). Per questo Giordano Bruno asserisce l’identità, lanecessaria inscindibilità fra necessità e libertà, rimarcando comunque ilfatto di ragione – per lui stesso valido (vedi la sesta ragione) – che porta adaffermare la distinzione fra il Deus in omnibus – il Dio creativo che pareprorompere dal centro della sfera infinita, dal centro dell’apertura illimita-ta – ed il Deus supra omnia – il Dio che, come Uno ed Infinito, compren-de dall’alto ogni movimento.14

13 Ivi, pagg. 381-382. «Come vuoi tu che Dio, e quanto alla potenza e quanto a l’opera-zione e quanto a l’effetto (che in lui son medesima cosa), sia determinato, e come ter-mino della convessitudine di una sfera, più tosto che, come dir si può, termino inter-minato di cosa interminata? Termino, dico, senza termine, per esser differente la infi-nità dell’uno da l’infinità dell’altro: perché lui è tutto l’infinito complicatamente etotalmente, ma l’universo è tutto in tutto (se pur in modo alcuno si può dir totalità,dove non è parte né fine) explicatamente, e non totalmente; per il che l’uno ha raggiondi termine, l’altro ha raggion di terminato, non per differenza di finito ed infinito, maperché l’uno è infinito e l’altro è finiente secondo la raggione del totale e totalmenteessere in tutto quello che, benché sia tutto infinito, non è però totalmente infinito; per-ché questo ripugna alla infinità dimensionale.»

14 Ivi, pag. 382. «Filoteo. Io dico l’universo tutto infinito, perché non ha margine, termi-no, né superficie; dico l’universo non essere totalmente infinito, perché ciascuna parteche di quello possiamo prendere, è finita, e de mondi innumerabili che contiene, cia-scuno è finito. Io dico Dio tutto infinito, perché da sé esclude ogni termine ed ogni suoattributo è uno ed infinito; e dico Dio totalmente infinito, perché tutto lui è in tutto il

Page 100: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

100

La necessità è, dunque, necessità dell’atto e della potenza della creazione:la necessità a che il movimento apparente e continuo della medesima siricongiunga all’Uno infinito, mostrando come attraverso l’amore la vera edautentica libertà ricostituisca in sé l’eguaglianza, necessariamente. Quivolontà, potenza ed intelligenza non possono, allora, non coincidere, nonrendere stabile una medesima sostanza: la sostanza dell’Universo e deimondi in Dio e per Dio.15 Pertanto la relazione fra Dio e l’Universo stessosarà strettissima, come di infinita potenza attiva ad infinita potenza passiva:sarà, poi, all’interno di questa stessa relazione che i mondi rappresenterannola pura e semplice determinazione di libertà. Finalità individuatrice, questatende a rimanere – a buon diritto, secondo Bruno – nelle mani della consi-derazione e determinazione dottrinale, per evitare che l’assenza di una visio-ne precipiti i soggetti ad una consuetudine oscura e cattiva, perché comple-tamente orientata ad una soddisfazione operosa immediatamente materiale.

La distinzione protestante fra grazia ed opere ha, dunque, comportatonecessariamente per Bruno la caduta e l’imbestialimento dei costumi, sepa-rando la cognizione della libertà divina dalla c.d. necessità umana. In questomodo necessitaristi ed aristotelici possono reciprocamente confortarsi esostenersi; ricordiamoci, infatti, che la speculazione bruniana concentra adOxford l’attenzione negativa di due feroci nemici, che fecero fronte comunecontro le sue argomentazioni: i protestanti che interpretavano letteralmente itesti sacri e gli aristotelici che volevano rimanere avvinti alla concezione delmondo unico e gerarchicamente determinato. In un altro testo bruniano suc-cessivo – la Cabala del Cavallo pegaseo – Giordano Bruno avrà modo diporre alla berlina, con il suo strepitoso ed esorbitante intelligente sarcasmo,due esponenti di quella ripresa neopitagorica in ambiente inglese, che inten-deva ripresentare in versione aggiornata la tradizione neoplatonico-aristote-lica. Ciò nonostante il miglior Platone ed il miglior Aristotele non avrebbe-ro certamente giustificato – secondo l’opinione di Bruno stesso – queste par-ticolari perversioni dell’intelletto e, soprattutto, della morale, sempre aven-do atteso al giusto valore ed alla corretta relazione con la sostanza incorpo-rea.16 Come la migliore e più alta filosofia platonica ed aristotelica, anchequella bruniana rammenta l’identità fra necessità e libertà, elevando lo scoposingolare ad una ragione che ampiamente ne dispone la relazione creativaassieme a quella universalmente dialettica. Mostrando in tal modo “la poten-za infinita intensiva- ed estensivamente più altamente che la comunità di teo-

mondo, ed in ciascuna sua parte infinitamente e totalmente: al contrario dell’infinitàde l’universo, la quale è totalmente in tutto, e non in queste parti (se pur, referendosiall’infinito, possono esser chiamate parti) che noi possiamo comprendere in quello.»

15 Ivi, pagg. 383-384. 16 Ivi, pagg. 385-387.

Page 101: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

101

logi abbia giamai fatto”, Giordano Bruno può demolire l’obiezione aristote-lica circa il centro del movimento universale. Non sussiste, infatti, per Brunoalcuna virtù distaccata, rispetto alla quale assumere la totalità e la generalitàdel movimento, come invece affermava Aristotele attraverso il rapporto fraDio ed il primo mobile. Né può sussistere una versione ampliata del sistemaaristotelico – una versione ridotta e volgare di quello bruniano – dove il crea-tivo ed il dialettico scompaiono, per lasciare posto all’immobilità di unagenerazione spontanea che realizza Dio nella sola materia e natura (senzauna volontà o bontà che non restino misteriose).17 Giordano Bruno contesta– attraverso l’ottava ragione – questa negazione e riammette il creativo e dia-lettico dell’Universo e dei mondi, con queste parole:

Filoteo. Per la risoluzion di quel che cercate, dovete avertire prima che,essendo l’universo infinito ed immobile, non bisogna cercare il motor di quel-lo. Secondo che, essendo infiniti gli mondi contenuti in quello, quali sono leterre, li fuochi ed altre specie di corpi chiamati astri, tutti se muoveno dal prin-cipio interno, che è la propria anima, come in altro loco abbiamo provato; eperò è vano andar investigando il lor motore estrinseco. Terzo che questi corpimondani si muoveno nella eterea regione non affissi o inchiodati in corpo alcu-no più che questa terra, che è un di quelli, è affissa; la qual però proviamo chedall’interno animale instinto circuisce il proprio centro, in più maniere, e ilsole. Preposti cotali avertimenti secondo gli nostri principii, non siamo forzatia dimostrar moto attivo né passivo di vertù infinita intensivamente; perché ilmobile ed il motore è infinito, e l’anima movente ed il corpo moto concorrenoin un finito soggetto; in ciascuno, dico, di detti mondani astri. Tanto, che ilprimo principio non è quello che muove; ma, quieto ed immobile, dà il possermuoversi a infiniti ed innumerabili mondi, grandi e piccoli animali posti nel-l’amplissima reggione de l’universo, de quali ciascuno, secondo la condizionedella propria virtù, ha la raggione di mobilità, motività ed altri accidenti.18

Rifiutandosi di puntualizzare l’origine del movimento, per non offrirneuna rappresentazione oggettiva che renda concreto l’astratto, la speculazio-ne bruniana non dimentica però l’esistenza di un motore infinito, cosa cheinvece accadrebbe nel momento in cui la sua concezione si limitasse adaffermare la pluralità e l’eterogeneità degli impulsi interni ai diversi corpicelesti. Invece, la presenza universale dell’infinito mobile consente che cia-scuna delle determinazioni di libertà – i corpi celesti (soli o terre) – accol-ga in se stessa il movimento creativo, “il moto infinito intensivamente”. Edè proprio il rapporto intimo, costitutivo, fra il creativo ed il dialettico chedimostrerà apparenza di se stesso attraverso il movimento di determinazio-

17 Ivi, pagg. 387-389.18 Ivi, pagg. 389-390.

Page 102: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

102

19 Ivi, pagg. 391-392. 20 Ivi, pagg. 394-395. Giordano Bruno afferma con decisione l’incompatibilità della pro-

pria concezione dell’infinito con quella aristotelica. Come si vedrà meglio in seguito, lascelta si biforca fra l’infinito attuale bruniano e quello potenziale aristotelico. Mentre ilprimo non allontana mai, grazie alla presenza interna ai corpi di un desiderio intellettua-le, Dio dal mondo, il secondo lo costituisce semplicemente come giustificazione del pro-gresso della medesima distinzione. Infinito astratto dell’ordine d’uno, esso chiude pre-ventivamente lo spazio di coscienza interno al quale l’ente compare. Almeno Platone,sostiene Bruno, attribuiva allo spazio dell’infinito astratto la potenza della materia, inner-vandola successivamente di un interno desiderio intellettuale. Gli aristotelici, invece, sidibattono all’interno di una contraddizione insanabile: negare l’infinito attraverso l’affer-mazione del mondo unico, per poi invece affermare l’infinito potenziale quale giustifi-cazione del divenire (essere altro, in altro tempo, nel mondo sublunare). L’essere diver-so in altro è l’escamotage bruniano per superare la chiusura del mondo unico aristoteli-co e per procedere in tal modo prima verso la riaffermazione della moltiplicazione atti-va della materia/potenza, quindi della sua stessa attualità. Ivi, pagg. 395-397.

ne (“virtù infinita”) e di rotazione-rivoluzione (“virtù intrinseca”) degliastri,19 come l’autore nolano descriverà più dettagliatamente attraverso leargomentazioni successive.

Le due dimensioni del creativo e del dialettico, proprie dell’infinito brunia-no entrano subito in campo quale tema di discussione dominantenell’Argomento del secondo dialogo, che in tal modo indica subito il proprionecessario contenuto e forma teologica. Per questo Bruno, prima di tutto,ricolloca all’interno del processo delle proprie argomentazioni l’architraveprincipale – la statuizione offerta dalla necessità dell’Uno infinito – con ilcorollario dell’affermazione della necessaria eguaglianza del ventaglio offer-to da tutte le sue determinazioni (prima ragione). Fissato in tal modo il prin-cipio irresistibile del creativo divino, Bruno si preoccupa di estendere illimi-tatamente la portata della sua apertura dialettica (seconda ragione), facendoin tal modo coincidere il ventaglio aperto stabilito dagli atti di determinazio-ne con la volontà/potenza divina (terza ragione). Se, dunque, per la volontà epotenza divina si dà atto all’essenza come divenire finito della libertà, ogniente creato, posto in relazione con ogni altro, rispecchierà egualmente l’aper-tura amorosa nella quale è collocato, offrendo di essa un’immagine propor-zionalmente più elevata (quarta ragione).20 Lo spazio aperto fra finito ed infi-nito, fra ente ed orizzonte, non è uno spazio inerte: anzi, al contrario, Brunosostiene che questo spazio è il tempo eterno di movimento dell’intero univer-so, il tempo all’interno del quale viene generato quel desiderio che è princi-pio d’animazione intellettuale della materia. Mentre, dunque, Aristotele face-va coincidere la dimensione intensiva con quella estensiva, con il riferimen-to stabilito dal movimento eterno del cielo, per assegnare successivamente laloro distinzione a due dimensioni divaricate (l’intensivo all’Uno necessario e

Page 103: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

103

d’ordine, l’estensivo alla disposizione subordinata della generazione e corru-zione terrestre), la speculazione di Giordano Bruno conserva la distinzionefra queste, come motore indistaccato dell’intero Universo (secondo punto,l’attualità della potenza/materia). Si può, conseguentemente, affermare chemotore dell’Universo è divenuto il desiderio intrinseco ai corpi, il desideriointellettuale, animante (terzo punto).21

Mentre, dunque, Aristotele si attarda alla confutazione iperbolica del luogodel non-essere,22 Giordano Bruno ribadisce la presenza attiva e passiva dellospazio infinito, rammentando continuamente l’inserzione in esso di una poten-za/volontà distintamente creativa e dialettica. Così le argomentazioni brunia-ne, nello sviluppo del testo, seguiranno per illuminazione e luce opposta leargomentazioni aristoteliche, quasi vendicando con il medesimo stile l’ingiu-stificato affossamento delle dottrine dei fisici presocratici, compiuto daAristotele nei testi esaminati dall’analisi bruniana (De caelo, Fisica).

Così il quarto punto dell’esame bruniano inizia con l’esposizione di seiargomenti aristotelici, ai quali il filosofo di Nola controporrà altrettanti pro-pri argomenti. La disputa fra la concezione aristotelica e quella brunianaimporrà, dunque, la scelta fra due opposti presupposti interpretativi: quelloche vuole un Uno d’ordine e necessario, che fondi l’annichilazione possibi-le del mondo e della materia in esso contenuta; e quello che, al contrario,lascia essere l’ampia ed assoluta libertà dell’Uno infinito, quale garanzia diuna creazione continua, capace nel contempo di contemperarsi con un’e-guale e provvidenziale dialettica di libertà.

Il primo degli argomenti aristotelici, portato quale confutazione dellapossibile esistenza di un corpo infinito, è quello per il quale un corpo siffat-to – sia semplice, che composto – non potrebbe alla fine muoversi, se è veroche: il corpo che si muove di moto circolare ha moto finito, tutti i corpisemplici che si muovono in modo rettilineo hanno pure moto finito. Il motocircolare infatti, per realizzarsi, deve dare impressione di variare: se fosseinfinito, non darebbe questa impressione.23 All’argomento aristotelicoBruno oppone l’immobilità dell’infinito: l’attitudine bruniana, infatti, nonsi tramuta e trasforma in altro, come se fosse potenza di un atto distinto,separato e predeterminato. Non è, infatti, equivalente all’infinito in poten-za aristotelico.24

21 Ivi, pagg. 397-398. «In questo modo diciamo esser un infinito, cioè una eterea regio-ne inmensa, nella quale sono innumerabili ed infiniti corpi, come la terra, la luna ed ilsole; li quali da noi son chiamati mondi composti di pieno e vacuo: perché questo spi-rito, questo aria, questo etere non solamente è circa questi corpi, ma ancora penetradentro tutti, e viene insito in ogni cosa.»

22 Ivi, pagg. 398-399. 23 Ivi, pagg. 401-402. 24 Ivi, pagg. 402-403.

Page 104: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

104

Il secondo degli argomenti aristotelici – come pure la serie che dal terzova al sesto argomento – guarda, appunto, ai diversi tipi di movimento retti-lineo: sia il moto verso l’alto che il moto verso il basso devono, infatti, esse-re considerati dei moti complementari, dei moti contrari che suppongononecessariamente una reciproca limitazione. Equivalentemente i corpi, aquesti moti associati, non possono non essere se non finiti, limitati.25

Giordano Bruno risponde ad Aristotele che l’infinito non ha mezzo, nonavendo estremo: perciò egualmente non potrà avere una doppia limitazioneche si incontri nel mezzo stesso. Sparirà quindi il senso razionale e natura-le dei c.d. opposti e contrari, nel loro significato aristotelico: terre e soliruotano e rivoluzionano le une attorno agl’altri senza badare affatto a que-sta distinzione astratta. Tale distinzione astratta può, infatti, essere indiffe-rentemente replicata ed applicata su qualsiasi dei corpi celesti che vaganonell’etere infinito, e può, dunque, a buon valore e con il medesimo – e rela-tivo – senso affermare di essere il mezzo di riferimento essenziale per colo-ro che vi sono congiunti ed uniti. Essa costituirà ciò che successivamenteverrà definito come sistema o termine di riferimento del movimento e ditutte le sue differenze: sarà quindi in relazione a questo termine che il movi-mento verso l’alto o il movimento verso il basso potrà essere definito edeterminato, senza necessità di alcuna distinta e separata proprietà o quali-tà essenziale dei corpi. Quindi “de l’indeterminato ed infinito non è finitoné infinito moto, e non è differenza di loco né di tempo.”26 Inoltre né l’in-finito, né i corpi possono essere definiti gravi o lievi: la gravità o la legge-rezza sono, infatti, le caratteristiche attribuite al movimento naturale delleparti del corpo celeste verso il proprio centro, o lontano da esso, per cui tuttii corpi celesti possono essere considerati gravi alle proprie parti.27

La distinzione astratta imposta da Aristotele come unica ed assoluta è, inrealtà e profondamente, fondata sulla separazione fra la concezione ontolo-gica del mondo unico, chiuso e finito, limitato e determinato e la concezio-ne dell’infinito potenziale, facilmente inseribile all’interno del mondo sub-lunare come sua forma e contenuto (secondo il fine e lo scopo di un conti-nuo ed inesausto processo di corruzione e generazione). In questo modo

25 Ivi, pagg. 403-405. 26 Ivi, pag. 407. 27 Ivi, pagg. 408-409. «Potremo però dire che, come sono le parti della terra che ritorna-

no alla terra per la loro gravità, – ché cossí vogliamo dire l’appulso de le parti al tutto,e del peregrino al proprio loco, – cossí sono le parti de li altri corpi, come possonoesser infinite altre terre o di simile condizione, infiniti altri soli o fuochi o di similenatura. Tutti si moveno dalli luoghi circonferenziali al proprio continente, come almezzo: onde seguitarebe che sieno infiniti corpi gravi secondo il numero. Non peròverrà ad essere gravità infinita, come in un soggetto ed intensivamente, ma come ininnumerabili soggetti ed estensivamente.»

Page 105: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

105

l’atto d’essere determinato trova corrispondenza nella potenza di una suc-cessione naturale, dove gli opposti e contrari aristotelici continuano adintessere le fila di una quadratura logico-naturale attraverso la quale tutti gliesseri del mondo sublunare trovano esistenza, movimento e giustificazione.L’infinito bruniano toglie, insieme all’assolutezza di quella distinzione,questa separazione: la coincidenza fra potenza ed atto nell’orizzontedell’Uno infinito la scioglie, la fluidifica e la innalza, a costituirsi qualeprincipio di un movimento universale, creativo e dialettico: di nascita e dideterminazione – nella reciproca ed eguale libertà – dei primi corpi celesti,gli astri (solari o terrestri). Di fronte a questa possibilità reale, la specula-zione aristotelica, per confutare la presenza dell’infinito, riduce l’attenzio-ne naturale alla considerazione elementare ed analitica dei corpi, preassu-mendo in tal modo una visione conclusa all’interno della quale necessaria-mente non troverà appoggio alcuno all’affermazione dell’infinito. Così ladeterminatezza delle specie (etere, fuoco, aria, acqua, terra) riduce l’esten-sione dei mondi al mondo unico, perché la loro correlazione lo rende finitoe limitato. Mondo compreso ed unico, nella coincidenza fra forma finale eproduttiva (intelletto astratto come materia intellegibile), esso rende la pro-pria immagine e figura inferiore sviata, nello svolgimento concesso dall’in-finito potenziale (mondo sublunare della generazione e corruzione). Qui lapotenza attuosa deve richiamarsi costantemente ad un atto superiore e sepa-rato, distinto.28 La specie bruniane, invece, sono specie d’infinito: determi-nazioni di libertà all’interno della libertà infinita stessa, che ne offrono sial’aspetto creativo che la dimensione dialettica. Parti d’infinito – perché maiscisse da esso – esse valgono come entità autonome in reciproca relazione(terre-soli). La moltiplicazione d’infinito giunge quindi dall’atto stessod’infinito, che predispone a che ciò che è reciprocamente creativo nei solie nelle terre, orienti a quel movimento reciprocamente dialettico che è capa-ce di rinforzare, mantenere e conservare la loro relazione (e, quindi, la lorostessa inscindibile esistenza).29 Stabilita questa corrispondenza – soli-terre– tutti i movimenti apparenti saranno finiti e terminati, da un astro versol’altro, o dalla periferia di ognuno verso il proprio centro.30 La moltiplica-zione d’infinito si riverbera poi, ulteriormente, nella composizione e scom-

28 Ivi, pagg. 409-411. 29 Ivi, pag. 411. «Filoteo. … e diciamo che son terre infinite, son soli infiniti, è etere infi-

nito; o secondo il dir di Democrito ed Epicuro, è pieno e vacuo infinito; l’uno insitone l’altro. E son diverse specie finite, le une comprese da le altre, e le une ordinate ale altre. Le quali specie diverse tutte se hanno come concorrenti a fare un intiero uni-verso infinito, e come ancora infinite parti de l’infinito, in quanto che da infinite terresimili a questa proviene in atto terra infinita, non come un solo continuo, ma come uncompreso dalla innumerabile moltitudine di quelle.»

30 Ivi, pagg. 411-412.

Page 106: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

106

posizione degli elementi minimi (atomi), dove ciascun corpo celeste diven-ta soggetto di trasformazione completa e continua.31 Per questo nella con-cezione bruniana dell’universo infinito la determinazione iniziale si ricon-giunge con quella finale, creando quella circolarità per la quale l’infinitouniverso bruniano non ha alcun bisogno, né possibilità, di alienazione e per-dita. Alienazione e perdita che, invece, definiscono la nota caratteristicafondamentale del mondo della genesi e della corruzione aristotelici. Qui,infatti, il concetto dell’infinito potenziale disgiunge il fine (terreno) dall’at-to (divino), aprendo contemporaneamente la dimensione della morte (dive-nire dell’altro) ed, all’opposto, quella dell’eterno (essere dell’immutabile).Il “soggetto prossimo e formato” bruniano, invece, accoglie sempre dentrodi sé la determinazione divina, perché il “soggetto primo e formabile” necostituisce il luogo d’esistenza ed operazione indifferibile ed inalienabile.32

Questa specie di desiderio intrinseco, onnidirezionato ed onniverso, costi-tuisce il sole nascosto, latente, della speculazione bruniana: un sole che puòrespingere l’ulteriore obiezione aristotelica, fondata sulla presenza totale edassoluta, senza resistenze, dell’effetto luminoso complessivo eventualmentegenerato nell’Universo da un numero infinito di soli.33 Il sole latente brunia-

31 Ivi, pag. 412. «Tutta volta, essendo l’universo infinito e gli corpi suoi tutti trasmutabi-li, tutti per conseguenza diffondeno sempre da sé e sempre in sé accoglieno, mandanodel proprio fuora e accogliono dentro del peregrino. Non stimo che sia cosa assorda edinconveniente, anzi convenientissima e naturale, che sieno transmutazion finite possi-bili ad accadere ad un soggetto; e però de particole de la terra vagar l’eterea regione eoccorrere per l’inmenso spacio ora ad un corpo ora ad un altro, non meno che veggia-mo le medesime particole cangiarsi di luogo, di disposizione e di forma, essendonoancora appresso di noi. Onde questa terra, se è eterna ed è perpetua, non è tale per laconsistenza di sue medesime parti e di medesimi suoi individui, ma per la vicissitudi-ne de altri che diffonde, ed altri che gli succedeno in luogo di quelli; in modo che, dimedesima anima ed intelligenza, il corpo sempre si va a parte a parte cangiando e rino-vando.» Pag. 413. «Per venir, dunque, al punto, dico che per cotal vicissitudine non èinconveniente, ma raggionevolissimo dire, che le parti ed atomi abbiano corso e motoinfinito per le infinite vicissitudini e transmutazioni tanto di forme quanto di luoghi.»

32 Ivi, pagg. 413-414. «Inconveniente sarebbe se, come a prosimo termine prescritto ditransmutazion locale, over di alterazione, si trovasse cosa che tendesse in infinito. Ilche non può essere, atteso che, non sì tosto una cosa è mossa da uno che si trove in unaltro luogo, è spogliata di una che non sia investita di un’altra disposizione, e lasciatouno che non abbia preso un altro essere; il quale necessariamente séguita dalla altera-zione; la quale necessariamente séguita dalla mutazion locale. Tanto che il soggettoprossimo e formato non può muoversi se non finitamente, perché facilmente accoglieun’altra forma se muta loco. Il soggetto primo e formabile se muove infinitamente, esecondo il spacio e secondo il numero delle figurazioni; mentre le parti della materias’intrudeno ed extrudeno da questo in quello e in quell’altro loco, parte e tutto.»

33 Ivi, pag. 414. «Elpino. Io intendo molto bene. Soggionge per terza raggione, che, “sesi dicesse l’infinito discreto e disgionto, onde debbano essere individui e particolari

Page 107: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

107

no, infatti, non trasmette una potenza infinita continua, bensì consente a cheuna opportuna e conveniente dialettica fra gli astri celesti mostri di sé, qualeeffetto, una successione di manifestazioni discrete.34

Questo tratto di molteplicità elevata, esposto all’interno di un orizzonteunitario, scioglie la possibilità che quel sole interno possa, o debba, essereconsiderato in maniera totalitaria, quale determinazione univoca che toglieogni variazione e diversità. Così, sciolta la quarta obiezione aristotelica,35

Giordano Bruno può ribadire e confermare che l’orizzonte tracciato dallaconsiderazione dell’Uno infinito consente la presenza di una molteplicitàlibera,36 non condizionata dal presupposto di un’unica e necessaria manife-stazione naturale. Questo presupposto, infatti, oltre a fondare una visionenecessitarista per l’insieme delle manifestazioni naturali, tenderebbe adistinguere da questo insieme un opposto ambito razionale astratto, con lainsuperabile aporia di dover poi ricomporre l’incomponibile: la libertà oppo-sta alla necessità inferiore, o la necessità superiore opposta a quella natura-le, inferiore.37 Giordano Bruno riesce, pertanto, con queste ultime argomen-tazioni, a confutare la riduzione materiale e corpuscolare del proprioUniverso, che lo vuole “uno continuo immobile”, semplicemente e pura-mente spazio naturale illimitato, all’interno del quale debba vigere un’asso-luta corrispondenza fra ragione o principio razionale (legge) e manifestazio-ne, prodotto od effetto naturale. È, come si può facilmente osservare, lanegazione, la confutazione anticipata degli sviluppi successivi aperti dallaconcezione scientifica moderna, dalla scienza egemone nel XVII secolo.Non sarà, quindi un caso, od una pura e semplice coincidenza, che accantoa questa impostazione naturale si affermino, dal punto di vista politico, con-cezioni assolutiste. Né sarà ancora un caso, od una semplice e pura coinci-

fuochi infiniti, e ciascun di quelli poi essere finito, nientemanco accaderà, che quelfuoco, che resulta da tutti gl’individui, debba essere infinito”.»

34 Ivi, pagg. 414-415. 35 Ivi, pag. 415. «Elpino. Con questo ed altro dire mille volte avete risoluto lo che pone

per quarta ragione; la qual dice che, “se s’intende corpo infinito, è necessario che siainteso infinito secondo tutte le dimensioni; onde da nessuna parte può essere qualchecosa extra di quello: dunque non è possibile che in corpo infinito sieno più dissimili,de quali ciascuno sia infinito”.»

36 Ibidem. «Filoteo. Tutto questo è vero e non contradice a noi, che abbiamo tante volte dettoche sono più dissimili finiti in uno infinito, ed abbiamo considerato come questo sia.»

37 Ivi, pagg. 415-416. Che «gli contrarii e gli diversi mobili concorreno nella constituzio-ne di uno continuo immobile, nel quale gli contrarii concorreno alla constituziond’uno, ed appartengono ad uno ordine, e finalmente sono uno» è « inconveniente certoed impossibile», perché «sarrebe ponere dui infiniti distinti l’uno da l’altro; atteso nonsarebe modo de imaginare come, dove finisce l’uno, cominci l’altro, onde ambi doivenessero ad aver termine l’uno per l’altro. Ed è oltre difficilissimo trovar dui corpifiniti in uno estremo, ed infiniti ne l’altro»

Page 108: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

denza, che il presupposto teologico, politico e naturale bruniano rigetti lon-tano da sé, come gli inizi di una modernità siffatta, così pure tutte le sue lon-tane ed attuali derivazioni (necessitarismo fisico, totalitarismo politico).38

Il principio dell’unità degli opposti nella conservazione di una aperta evariabile molteplicità dei soggetti naturali e razionali, conduce la specula-zione bruniana verso la confutazione delle successive obiezioni aristoteli-che. Così, mentre Aristotele obietta che un infinito di “simili parte” nonpotrebbe muoversi secondo le distinzioni di luogo e di movimento aristote-liche, Giordano Bruno rammenta la diversa proprietà delle autoassegnazio-ni astrali, all’interno non già di un corpo estesissimo, ma di uno spazio cheha insieme infinita potenza ed infinito atto nell’inalienabilità della propriaautodeterminazione.39 Per questo motivo, deve essere sottolineata la diffe-renza e l’opposizione fra la concezione aristotelica, che distingue fra atto epotenza, per subordinare la seconda al primo,40 e la concezione brunianache le distingue unicamente per poi farle coincidere nella apparente mobi-lità universale, nella sua creazione e dialettica continua.

L’affermazione dell’Uno, necessario e d’ordine, è del resto un’implica-zione fondamentale della distinzione aristotelica fra atto e potenza e del loroordinamento al governo delle lineare tendenza del mondo sublunare. Comeprecedentemente si osservava, l’essere immutabile ed eterno aristotelicodoveva raccogliere in se stesso ogni determinazione alla quale dovesse esse-re soggetto il mondo del divenire, per poter esprimere una potenza di con-trollo e di dominio – una reale e naturale finalizzazione – di ogni formamateriale terrestre. Opposizione ed adeguazione costituiscono in tal modo idue divergenti ambiti politico-naturali del cosmo aristotelico: violenza e

108

38 A. GARE, Mathematics, Explanation and Reductionism: exposing the Roots of theEgyptianism of european Civilization. In: «Cosmos and History: The Journal ofNatural and Social Philosophy», vol. 1, n. 1, 2005, p. 54-89. «Modern science develo-ped in reaction to and in opposition to Renaissance culture, both the civic humanismthat had developed in the Renaissance and the more radical ideas of the ‘nature enthu-siasts’ who had celebrated nature as divine. It was the civic humanists who revived anddeveloped history as a discipline. The synthesis of the ideas of the civic humanists andthe ‘nature enthusiasts’ made up what Margaret Jacob called the ‘radical enlighten-ment’ committed to democratic republicanism. The ‘moderate enlightenment’ associa-ted with Cartesian, Newtonian and Leibnizian science, while also opposed to thepower structures inherited from feudalism, was developed in part to neutralize theinfluence of the radical enlightenment with its commitment to democracy. The hiddenproject of this moderate enlightenment was to develop a form of knowledge that wouldnot only facilitate control over nature, but also facilitate control over people; that is, toproduce a social order in which people would be organized efficiently.» Pag. 57.

39 G. BRUNO, De l’Infinito, Universo e mondi, cit. , pag. 417. 40 ARISTOTELE. Metafisica, IX, 1049b 4 – 1051a 3. Rusconi, Milano 1993 (1998). Pagg.

416-425. S. ULLIANA. Una modernità mancata, cit. Pagg. 16-60.

Page 109: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

109

naturalità vengono pertanto attribuite pure, quali caratteristiche necessarie dimovimento, allo stesso infinito bruniano.41 La risposta bruniana non può,allora, non far valere quell’orizzonte dell’Uno infinito come apertura edordine di libertà: apertura ed ordine che, come scioglie quella distinzione edordinamento fra atto e potenza, fonte del moderno necessitarismo fisico edassolutismo politico, così ne ricostituisce l’universale ed illimitata relazionedi creativa e dialettica eguaglianza. Alla fine del secondo dialogo del Del’Infinito, Universo e mondi la battaglia che si combatte fra Aristotele eGiordano Bruno è, dunque, quella che si appalesa tra una concezione forma-le e necessitarista dell’eguaglianza ed una, invece, per l’appunto creativa edialettica, sostanziale e concreta, non astratta. L’obiezione che Aristotelerivolge all’infinito bruniano fa in modo, infatti, di inquadrarlo preventiva-mente entro la cornice di una potenza superiore indipendente, che non puòaddivenire ad alcun tipo di relazione – né attiva, né passiva – con il finito.Prima, perché il riflesso d’azione finito non può toccare ed influenzare quel-la potenza, che resta così scissa ed ininfluente, perdendo in tal modo quellasua caratteristica fondamentale per la quale viene definita come infinita (ilcontrollo ed il dominio, la reale finalizzazione, l’esser causa finale); secon-do, perché – in modo corrispondente e proporzionale – il suo stesso essercausa produttiva, attiva, non può orientare infinitamente il finito, facendogliin tal modo perdere la determinazione, lo scopo.42 Disgiunte, nell’infinito, lacausa finale e la causa efficiente, Aristotele ha buon gioco nell’affermare chenon vi può essere contatto alcuno – “proporzione” – fra infinito e finito.L’infinito resta fuori presa del finito, l’infinito resta senza azione; il finitoresta senza conclusione, senza determinazione.43 A maggior ragione potràconseguentemente affermare che non sussiste relazione alcuna fra infinito edinfinito: se, infatti, l’agente egemone resta indeterminato, così pure resterà ilpaziente soggetto, il mondo stesso del divenire. La reciproca sproporzionefra infiniti farà precipitare il primo nella inattività, nell’inutilità, il secondonella mancanza di forma e di fine, nella caoticità.44

La risposta complessiva di Giordano Bruno alla serie delle obiezioni ari-stoteliche farà semplicemente osservare come l’applicazione delle confuta-zioni realizzate non possa esercitarsi su di uno spazio ed una ragione che nonsono quelle preorientate e predeterminate dal filosofo di Stagira. Spazio eragione bruniana sono infatti tendenzialmente opposti e divaricantisi rispet-to a quelli aristotelici: tanto quelli aristotelici fanno leva su un concettonecessario ed ordinato d’eguaglianza, altrettanto ed all’opposto quelli bru-

41 G. BRUNO. De l’Infinito, Universo e mondi. Cit., pag. 417. 42 Ivi, pagg. 417-419. 43 Ivi, pagg. 419-421. 44 Ivi, pagg. 421-422.

Page 110: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

110

niani ne ricostituiscono lo spirito e l’anelito di libera apertura. Perciò, men-tre l’immagine e la figura del cosmo aristotelico resta imprigionata entro lemuraglie di una forma e di una materia gerarchizzate,45 l’Universo brunianosubito balza nello spazio razionale e naturale di quel desiderio ed amore,infinito ed universale, che non può non rappresentare degnissimamente l’im-magine e la figura del divino per noi ed in noi: il movimento liberamenteeguale dei soggetti.46 Dove per movimento dei soggetti si intende tutto: lapropria nota creativa e la propria caratteristica di relazione dialettica.47

L’Universo bruniano è, dunque, uno ed infinito, ma non continuo: non èinfatti infinita tendenza. Se così fosse, avrebbero valore contro di esso leobiezioni aristoteliche, circa l’inattività dell’origine dell’azione e l’indeter-minatezza del suo fine e scopo. L’Universo bruniano è, pertanto, infinitodiscreto, dove le sue parti entrano in relazione reciproca per conservarsi enon per dissolversi reciprocamente, come avverrebbe se fossero tutte predadi una potenza e volontà superiore (“azione intensivamente infinita”).48

Così Giordano Bruno può superare agevolmente le obiezioni aristoteli-che, riaprendo uno spazio razionale ed una dimensione nuova (anticamente

45 Ivi, pag. 423. Le parti d’infinito aristoteliche, attraverso le quali l’infinito stessodovrebbe entrare in ipotetica relazione, sono figure d’immaginazione dovute proprioalla subordinazione, diagonale ed astratta, fra forma e materia. Le parti d’infinito bru-niane sono i soggetti naturali finiti che abitano lo spazio razionale dell’Universo, aper-tamente uno ed infinito.

46 Ivi, pagg. 424-425. La durazione e la mole bruniane, facendo riferimento all’orizzontedell’Uno infinito, sono l’atto dell’eguale e libero movimento dei soggetti naturali. Nonpure la potenza di una progressione immaginativa che, dalla necessità naturale volessequasi rovesciarsi in una libertà morale, religiosa e politica, difficilmente componibile conil primato della determinazione teologica tradizionale (neoplatonico-aristotelica).

47 Ivi, pag. 425: «nell’infinito parte finite innumerabili hanno azione e passione.»L’opposizione aristotelica rischia, infatti, di rendere astratte e separate le due parti del-l’infinito bruniano: natura e ragione. «Concedesi dunque, non che l’infinito sia mobi-le ed alterabile, ma che in esso sieno infiniti mobili ed alterabili; non che il finito pati-sca da infinito, secondo fisica e naturale infinità, ma secondo quella che procede di unalogica e razionale aggregazione che tutti gravi computa in un grave, benché tutti gravinon sieno un grave. Stante dunque l’infinito e tutto inmobile, inalterabile, incorrottibi-le, in quello possono essere, e vi son moti ed alterazioni innumerabili e infiniti, perfet-ti e compiti.» Pagg. 425-426.

48 Ivi, pag. 426. «Onde aviene che in nessuna parte l’infinito opra secondo tutta la suavirtù, ma estensivamente secondo parte e parte, discreta– e separatamente.» Pag. 427.L’azione dialettica che coinvolge astri solari e pianeti terrestri dispone una serie direlazioni non totalmente immediate e coordinabili. Non sussiste alcuna potenza ocausa esteriore che le muova ed organizzi. Se così fosse, infatti, non vi sarebbe spazio(naturale e morale) per autonome creatività. Questo infinito finirebbe per assorbire ilfinito, ciascun finito: finirebbe, per l’appunto, con l’annichilirlo. L’infinito bruniano,al contrario, vale quale presenza, conservazione ed aumento del finito: vale, come sisosteneva in precedenza, quale sua possibilità d’essere. Pagg. 427-428.

Page 111: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

111

nuova): quella di una Natura tutta abbarbicata attorno alla propria possibi-lità d’essere, che la ingrandisce illimitatamente e la fa innalzare vorticosa-mente secondo un’apertura o Ragione che la rende egualmente libera. Inquesta apertura di ragione e movimento di natura gli enti (gli astri) sidispongono per esprimere sia la propria virtù creativa, che insieme quellanota caratteristica e relazione reciprocamente dialettica che ne consente ilmantenimento creativo. Nell’Argomento del terzo dialogo si osserverà, conmaggiore precisione e più articolata argomentazione, come questo momen-to creativo e quello dialettico siano reciprocamente intrecciati,49 attraversouna complessa descrizione delle funzioni e delle attività applicabili ad ele-menti (etere, fuoco, aria, acqua, terra) e principi (caldo e secco, freddo eumido) cosmologici presenti nella tradizione aristotelica, ma rivoluzionatidal nuovo contesto d’infinito preparato dalla speculazione bruniana.Comparirà, con maggiore profondità, la funzione originale svolta da unasorta di fenomenologia dello Spirito naturale bruniano, attraverso le figuredell’etere, dell’aria e dell’anima intellettuale interna agli astri medesimi.

Rovesciato il capovolgimento aristotelico dal punto di vista di una nuova(antica) logica e razionalità, Giordano Bruno può – all’inizio dell’Argomentodel terzo dialogo – precisare ed articolare i tratti e le membra del proprio ani-male universale, orientando l’attenzione del lettore verso la prima fondamen-tale conseguenza derivata dall’affermazione del proprio presupposto teologico,politico e naturale: caduto il presupposto del mondo unico, viene innalzatoquello dell’aperto Uno infinito; disciolta la serie delle sfere celesti (con i pro-pri deferenti, epicicli ed astratte intelligenze motrici), viene affermata la pre-senza di un cielo infinito ed in esso quella libera determinazione degli astri cheli può rendere innumerabili mondi a sé stanti.50 Non più la Terra viene postaimmobile al centro dell’Universo, ma mobile attorno al proprio centro ed attor-no al Sole, giustifica con il proprio movimento quella apparenza di movimen-to circolare dei corpi posti nel vasto campo etereo. Ne giustifica soprattuttol’allargamento, l’ampliamento e l’approfondimento, secondo che la ragionemossa dal concetto dell’infinito modifica relazioni di apparente prossimità fragli astri in relazioni di enorme reciproca distanza e di movimento impercettibi-le (Cena de le Ceneri). Dello stesso movimento della Terra godono pure le altreterre che rivoluzionano attorno al Sole: la Luna ed i pianeti tradizionali delcosmo aristotelico (Mercurio, Venere, Marte, Giove, Saturno).51

49 Ivi, pag. 431. «Volete per consequenza, che l’aria e le parti che si prendeno nell’eterearegione, non hanno moto se non di restrizione ed amplificazione, il quale bisogna chesia per il progresso di questi solidi corpi per quello; mentre gli uni s’aggirano circa glialtri, e mentre fa di mestiero che questo spiritual corpo empia il tutto.»

50 Ivi, pagg. 433-434.51 Ivi, pag. 436. «Elpino. Sono dunque soli innumerabili, sono terre infinite, che simil-

Page 112: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

112

Gli astri in generale devono, poi, essere distinti in soli e pianeti terrestri:i primi producono luce e calore da se stessi, i secondi nel loro movimentodi rotazione-rivoluzione lo accolgono, recepiscono e riflettono all’esterno,essendo dotati della prevalenza dell’elemento acqueo. Rapidi nella rotazio-ne, più lenti nella rivoluzione, tutti i pianeti terrestri possono ricevere levirtù vitali effetto dei soli e partecipare con la loro propria vita alla vita diquelli. In questo, il rapporto fra soli e terre esprime un senso ed un valoredialettico, una relazione di reciproco sostentamento e conservazione. Perquesto, ancora, innumerabili soli devono accompagnare quelle innumerabi-li terre che, sensibili o meno alla nostra vista, vagano in questo infinito uni-verso. Immobili, dunque, e produttori di calore e di luce sono i soli, mentremobili e riflettenti appaiono le terre. Vive e vitali le seconde, anche i primidimostreranno capacità vitale: entrambi però organizzeranno la loro capa-cità e virtù vitale secondo il prevalere di un particolare principio sull’insie-me degli elementi rimanenti. Se dunque gli elementi costituenti gli astrisono i medesimi, diversa ne sarà l’organizzazione e la struttura derivante.Così mentre i soli hanno prevalente il principio del fuoco, che emette calo-re e luce alle terre, le terre hanno prevalente il principio dell’acqua, che raf-fredda e tempera quel calore vitale e ne riflette la luce. Ma, sia i soli che leterre possiedono anche i rimanenti elementi: la terra e l’aria, che anche sesimilmente collocati, sono diversamente strutturati.

Assegnata ad ogni corpo celeste – proprio in virtù della coincidenza dipotenza ed atto nell’infinito e per tutto l’infinito – la propria natura, la spe-culazione naturale di Giordano Bruno può perfezionare l’opinione espressadallo stesso Cusano – ecco il punto quinto, nella serie delle argomentazio-ni dell’Argomento del terzo dialogo – rovesciando finalmente la sua distin-zione e separazione fra infinito in potenza ed infinito in atto. Questa distin-zione e separazione, frutto della dottrina aristotelica, gli impediva, infatti,di osservare come nella composizione dei corpi contrari ed opposti – soli eterre – vigesse la stessa logica e la stessa razionalità: “esser necessario chesia cossí un principio materiale, solido e consistente del caldo come delfreddo corpo; e che l’eterea regione non può esser di fuoco né fuoco, mainfocata ed accesa dal vicino solido e spesso corpo, quale è il sole.”52

mente circuiscono quei soli; come veggiamo questi sette circuire questo sole a noi vici-no. Filoteo. Cossí è.»

52 Ivi, pag. 442. «Tanto che, dove naturalmente possiamo parlare, non è mestiero di farricorso alle matematiche fantasie. Veggiamo la terra aver le parti tutte, le quali da persé non sono lucide; veggiamo che alcune possono lucere per altro, come la sua acqua,il suo aria vaporoso, che accoglieno il calore e lume del sole e possono trasfonderel’uno e l’altro alle circostante regioni.»

Page 113: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

113

La logica e la razionalità di composizione dei corpi celesti vede, dunque,un elemento più profondo – “un primo corpo” – capace della potenza diconcentrare e dell’atto di esprimere – “qualitade attiva” – per i soli, una spe-cie di fuoco metallico, per le terre, l’acqua. All’opposto, ogni polo cosmo-logico, vedrà accompagnato questo elemento centrale con un elementoperiferico, tale da garantire un effetto dialettico e vitale all’interno dell’o-rizzonte mondiale del polo cosmologico stesso: nei soli l’acqua, nelle terreil fuoco. Così la speculazione naturale di Giordano Bruno può affermarel’estensione generalizzata del fenomeno vitale (panvitalismo):

come in questo corpo freddissimo, e primo freddo ed opaco, sono animaliche vivono per il caldo e lume del sole, cossí in quello caldissimo e lucenteson quei che vegetano per la refrigirazione di circostanti freddi: e sicome que-sto corpo è per certa participazione caldo nelle sue parti dissimilari, talmentequello è secondo certa participazione freddo nelle sue.53

Come nella composizione dei corpi celesti, così pure nella manifestazio-ne dell’effetto luminoso la posizione dialettica bruniana risolve la possibilecontraddizione fra una luce incorporea e quella corporea54 – nata dalla mede-sima distinzione e separazione fra infinito in atto ed infinito in potenza – escioglie l’errore di una potenza della luce ristretta al proprio orizzonte mon-diale. Ogni luce procede dall’interno dei soli e si riverbera sulle superficiliquide dei pianeti terrestri: così ciascun eventuale abitante dei corpi celestinon vede la propria luce riflessa, ma quella proveniente dall’astro ad essoopposto. La demolizione della separazione gerarchica di matrice platonicaporta Giordano Bruno a sciogliere la superiore distinzione di “certe quinteessenze, certe divine corporee sustanze di natura al contrario di queste chesono appresso di noi, ed appresso le quali noi siamo”.55 Nel settimo puntodell’Argomento del terzo dialogo la speculazione bruniana riesce, pertanto, a

53 Ivi, pagg. 443-444.54 Ne farà fede la futura polemica nel De Immenso con Marcello Palingenio Stellato. M.

CILIBERTO. Giordano Bruno. Laterza, Roma-Bari 1990. Pagg. 237-240. La distinzionee separazione fra infinito in atto ed infinito in potenza conserva la necessaria vertica-lità di un essere immobile, immodificabile e predeterminante: un essere univoco cheraccolga a sé e predisponga ogni progressione nel movimento della forma alla materiae della materia alla forma. In questa logica del divenire di una riforma continua – doveciò che coincide nell’indifferente è solamente la materia, la necessità e l’unità – ciò cheviene a mancare è proprio il superamento rivoluzionario attestato dalla coincidenzabruniana fra infinito in atto ed infinito in potenza. Con impliciti, ma evidenti, effettisul piano razionale (morale, politico e religioso) della questione. Qui nascono e sicomprendono, allora, le contrapposizioni subite da Giordano Bruno in terra germani-ca (Marburgo, Helmstedt, Francoforte).

55 G. BRUNO. De l’Infinito, Universo e mondi, cit., pag. 445.

Page 114: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

dimostrare come “quel bell’ordine e scala di natura è un gentil sogno ed unabaia da vecchie ribambite.” Con l’aiuto dei propri personaggi in commedia,Burchio e Fracastorio, Giordano Bruno riesce infatti a delineare il panoramacompleto delle descrizioni e definizioni cosmografiche più opportune, pertutti i corpi celesti. Prima, opponendo alla distinzione fra corpi celesti divinie volgari e moti circolari e rettilinei la propria concezione eguale dei corpi edei movimenti; poi considerando la trasformabilità interna dei corpi stessi(terre e soli), ciascuno secondo la propria struttura ed organizzazione ele-mentare; infine, ricordando la necessità di rovesciare il movimento nello spa-zio dei corpi celesti tutti (Terra compresa).56 Così è questa necessità a scon-volgere l’ordine e la gerarchia degli elementi, stabilite dalla tradizione aristo-telica: ogni elemento ha, infatti, per Bruno – ecco l’ottavo punto – egualepartecipazione nella composizione dell’intero organico animato. Acqua,terra, aria e fuoco costituiscono gli elementi di tutti, indifferentemente, icorpi celesti.57 Solo l’opposizione creativa e dialettica che li sostiene fa sì chesoli e terre abbiano strutture d’azione contrapposte: mentre i soli hanno pre-dominante una struttura che ha quale elemento egemone il fuoco (ed elemen-to di contrappeso l’acqua), le terre hanno come elemento predominante l’ac-qua, che dal centro del pianeta riesce poi a rielevarsi verso l’esterno (avendocome elemento opposto il fuoco).58 In particolar modo nel pianeta terrestrel’elemento terra si congiunge con l’elemento acqua, il quale, dotato dellavirtù di concentrazione dovuta al principio refrigerante, riesce ad ottenere persé e per la terra alla quale è commista una speciale virtù penetrativa, in piùmobilitata ulteriormente dall’intervento delle particelle d’aria, che spirandoin ogni luogo ed innalzate dalla virtù opposta del fuoco rivolgono la mole delpianeta verso la superficie ed oltre, sino alle vette più elevate. In questa cir-colazione animale degli elementi terrestri il culmine del pianeta riattingeallora gli elementi più sottili, quali appunto l’aria ed il fuoco, mantenendol’acqua così al suo interno. Le capacità tensive e sintetiche dell’acqua, unitealla virtù spirante dell’aria, offrono pertanto il momento di svolta e di rivol-gimento di quella deposizione finale che viene invece ed all’opposto compiu-ta per il tramite della composizione ed ispessimento della materia arida (l’e-lemento terra, nella sua naturale dispersione, galleggia e si perde nell’aria).

114

56 Ivi, pagg. 446-450. 57 Ivi, pag. 451. «Perché dico uno essere il continente e comprensor di tutti corpi e machi-

ne grandi che veggiamo come disseminate e sparse in questo amplissimo campo: oveciascuno di cotai corpi, astri, mondi, eterni lumi è composto di ciò che si chiama terra,acqua, aria, fuoco.»

58 Ibidem. «Ed in essi, se ne la sustanza della composizione predomina il fuoco, viendenominato il corpo che si chiama sole e lucido per sé; se vi predomina l’acqua, viendenominato il corpo che si chiama tellure, luna, o di simil condizione, che risplendeper altro, come è stato detto.»

Page 115: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

L’aria, congiunta all’acqua, riscaldata dal fuoco, innalza e tende a disperde-re le particelle, gli atomi dell’elemento arido (la terra). Negli astri solari,invece, la densità del fuoco viene dispersa dall’elemento acqua, con vaporiluminosi ed un corpo centrale più aggregato.59

L’affermazione dell’Uno infinito e dei mondi innumerabili60 consente aBruno di sviluppare, quindi, una particolare e speciale dialettica, per laquale l’inscindibilità fra atto e potenza nell’infinito e per l’infinito trasfor-ma gli astri celesti stessi, come determinazioni di eguale (provvidenziale)libertà, in termini – di nuovo intellettuali – di tutte le vite in essi contenutee da essi prodotte. Compare in questo modo l’orizzonte mondiale dellapotenza e dell’atto, che sostituisce quella cuspide dell’atto universalmentepredeterminato – Uno necessario e d’ordine – la cui tradizione da Platoneed Aristotele, attraverso Plotino e Tommaso d’Aquino, era giunta sino aCusano, Copernico e Palingenio Stellato. Superata la distinzione e separa-zione fra infinito in atto ed infinito in potenza, la speculazione brunianariesce a fare emergere – ora in ambito naturale – una pluralità determinan-te, quale apparenza (volto) dell’Uno infinito. Questa apparenza vale, quin-di, quale luogo razionale dell’infinito stesso, sua immagine dotata di ric-chezza ineguagliabile ed inesauribile.61

115

59 Ivi, pagg. 451-462. 60 Ivi, pagg. 462-463. «Resta, dunque, da sapere ch’è un infinito campo e spacio continen-

te, il qual comprende e penetra il tutto. In quello sono infiniti corpi simili a questo, dequali l’uno non è più in mezzo de l’universo che l’altro, perché questo è infinito, e peròsenza centro e senza margine; benché queste cose convegnano a ciascuno di questimondi, che sono in esso con quel modo ch’altre volte ho detto, e particolarmente quan-do abbiamo dimostrato essere certi, determinati e definiti mezzi, quai sono i soli, i fuo-chi, circa gli quali discorreno tutti gli pianeti, le terre, le acqui, qualmente veggiamo circaquesto a noi vicino marciar questi sette erranti; e come quando abbiamo parimente dimo-strato che ciascuno di questi astri o questi mondi, voltandosi circa il proprio centro, cag-giona apparenza di un solido e continuo mondo che rapisce tanti quanti si veggono edessere possono astri, e verse circa lui, come centro dell’universo. Di maniera che non èun sol mondo, una sola terra, un solo sole; ma tanti son mondi, quante veggiamo circa dinoi lampade luminose, le quali non sono piú né meno in un cielo ed un loco ed un com-prendente, che questo mondo, in cui siamo noi, è in un comprendente, luogo e cielo.»

61 Ivi, pagg. 463-464. «Sì che il cielo, l’aria infinito, immenso, benché sia parte de l’uni-verso infinito, non è però mondo, né parte di mondi; ma seno, ricetto e campo in cuiquelli sono, si muoveno, viveno, vegetano e poneno in effetto gli atti de le loro vicis-situdini, producono, pascono, ripascono e mantieneno gli loro abitatori ed animali, econ certe disposizioni ed ordini amministrano alla natura superiore, cangiando il voltodi uno ente in innumerabili suggetti. Sì che ciascuno di questi mondi è un mezzo, versoil quale ciascuna de le sue parti concorre e ove si puosa ogni cosa congenea; come leparti di questo astro, da certa distanza e da ogni lato e circonstante regione, si rappor-tano al suo continente. Onde, non avendo parte, che talmente effluisca dal gran corpoche non refluisca di nuovo in quello, aviene che sia eterno, benché sia dissolubile:

Page 116: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

Messo dunque “sotto sopra il mondo rinversato” della tradizione neoplato-nico-aristotelica, Giordano Bruno può cominciare a tracciare delle linee didemarcazione fra le conseguenze desumibili dall’insieme organico costituitodalla propria speculazione e le necessità ancora affermate e difese da quellamedesima tradizione. Sarà questo il campo di battaglia riassuntodall’Argumento del quarto dialogo, dove la serie delle argomentazioni brunia-ne mostrerà la contrapposizione esistente fra la posizione neoplatonico-aristo-telica, tesa a separare il principio creativo e a neutralizzare quello dialettico(immagine razionale astratta), e quella appunto bruniana, al contrario inveceprotesa a far valere l’immanenza e l’inscindibilità del principio creativo e dia-lettico (immagine razionale concreta). Qui il filosofo di Nola, per primo, ram-menterà la sussistenza di questo principio, contro l’eventuale trasposizione delprincipio della riflessione ad una versione illimitata del vecchio mondo unicoaristotelico, con ciò affermando conseguentemente la presenza senza opposi-zione e resistenza del medesimo, all’interno degli stessi orizzonti mondiali.62

L’orizzonte universale della libertà si traduce quindi immediatamente nell’au-tonomia di movimento estrinseco e relativo degli astri celesti63 e nell’immagi-ne necessaria ed intrinseca della loro mutua e reciproca conservazione.64

La presenza di una fonte interna creativa e della sua apparente disposizionedialettica costituisce, poi, il secondo punto dell’argomentazione bruniana. Invirtù di questa affermazione dell’ente nell’infinito e per l’infinito GiordanoBruno scioglierà, via via, la serie delle obiezioni portate dalla dottrina aristo-telica. Così, contro Aristotele, tutti i moti sono naturali e razionali: tutti i movi-

116

quantunque la necessità di tale eternità certo sia dall’estrinseco mantenitore e provi-dente, non da l’intrinseca e propria sufficienza, se non m’inganno.»

62 Ivi, pag. 471. «Filoteo. Non son dunque infiniti gli mondi di sorte con cui è imaginato ilcomposto di questa terra circondato da tante sfere, de quali altre contegnano un astro, altreastri innumerabili: atteso che il spacio è tale per quale possano discorrere tanti astri; cia-scuno di questi è tale, che può da per se stesso e da principio intrinseco muoversi allacomunicazion di cose convenienti; ognuno di essi è tanto ch’è sufficiente, capace e degnod’esser stimato un mondo; non è di loro chi non abbia efficace principio e modo di con-tinuar e serbar la perpetua generazione e vita d’innumerabili ed eccellenti individui.»

63 Ibidem. «Conosciuto che sarà che l’apparenza del moto mondano è caggionata dalvero moto diurno della terra (il quale similmente si trova in astri simili) non sarà rag-gione che ne costringa a stimar l’equidistanza de le stelle, che il volgo intende in unaottava sfera come inchiodate e fisse; e non sarà persuasione che ne impedisca dimaniera, che non conosciamo che de la distanza di quelle innumerabili sieno differen-ze innumerabili di lunghezza di semidiametro.»

64 Ivi, pagg. 471-472. «Comprenderemo, che non son disposti gli orbi e sfere nell’univer-so, come vegnano a comprendersi l’un l’altro, sempre oltre ed oltre essendo contenu-to il minore dal maggiore, per esempio, gli squogli in ciascuna cipolla; ma che per l’e-tereo campo il caldo ed il freddo, diffuso da’ corpi principalmente tali, vegnano tal-mente a contemperarsi secondo diversi gradi insieme, che si fanno prossimo principiodi tante forme e specie di ente.»

Page 117: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

menti sono infatti finalizzati alla mutua e reciproca conservazione degli astricelesti e delle relative parti inserite nei rispettivi orizzonti mondiali; nessunodi essi è mosso da un principio di prevaricazione o di dominanza esclusiva eseparata, in quanto ciascuno di essi, al contrario, per intervento della divinaProvvidenza, procede alla conservazione dialettica del centro mondiale alquale appartiene e del quale modifica continuamente l’aspetto e la configura-zione.65 Ogni parte del mondo considerato, pertanto, tende – secondo una fina-lità dialettica che si ripresenta rovesciata nel mondo ‘contrario’ – a conservareil mondo stesso, mostrandone l’interna coesione, coerenza e congruenza, oltregli scambi atomici attualmente presenti, tesi a dare realtà profonda al movi-mento dialettico universale. Così è lo stesso spazio razionale e naturale richie-sto dall’applicazione di quella finalità dialettica ad allontanare in modo oppor-tuno e conveniente i mondi, i ‘contrari’ astri solari e pianeti terrestri.66

Estremo e mezzo non devono, pertanto, essere concepiti secondo l’im-postazione neoplatonico-aristotelica, che li vuole limiti assoluti (superioreed inferiore) dell’ente e del movimento universale. Estremo e mezzo nellaconcezione bruniana, infatti, si infinitizzano: il primo nello spazio, ilsecondo come principio inamovibile d’azione, natura più profonda di ognisua manifestazione. È in ragione di questa indifferenza o eguaglianza chetutti i soggetti naturali bruniani conservano la propria distinta individua-zione, senza alcun bisogno di graduazioni di diversità gerarchicamenteimposte. La diversità dei corpi celesti bruniani non ha dunque bisogno dialcun ordine estrinseco di necessità: è, infatti, una relazione dialettica pari-taria quella che, intrinsecamente, connette e congiunge le necessarie mani-festazioni di un corpo celeste a quelle, apparentemente contrapposte, del-l’altro. Nello stesso tempo la congiunzione fra gli estremi cosmologici èvincolata al mezzo spaziale degli stessi, mentre nessuna relazione cosmo-logica egualmente necessaria lega fra loro corpi celesti della medesimanatura (siano essi soli o terre).

Il medium spaziale fra gli estremi cosmologici – soli e terre – consentedunque il mantenimento reciproco e la reciproca trasformazione dei corpicelesti. Questo medium è rappresentato nella speculazione naturale brunianadallo spirito che è capace di animare, conservare e muovere i corpi, in sensosia quantitativo che qualitativo: il desiderio. È dunque una sorta di desideriumsui quello che consente il mantenimento e la continuazione all’esistenza deicorpi celesti, composti, all’interno dell’orizzonte universale stabilito attraver-

117

65 Ivi, pagg. 473-477. 66 Ivi, pag. 480. «Elpino. Di questo il contrario ha disposto la provida natura, perché, se

ciò fusse, un corpo contrario destruggerebe l’altro; il freddo e umido s’ucciderebonocol caldo e secco: de quali, però a certa e conveniente distanza disposti, l’uno vive evegeta per l’altro.»

Page 118: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

so l’unità-distinzione fra spirito e materia.67 Se, dunque, il movimento intrin-seco sembra godere di un’indivisibilità reputata in qualche modo necessaria– al suo mantenimento sovviene l’intervento della divina Provvidenza – ilmovimento estrinseco, il movimento relativo di ogni corpo celeste solare nonha alcuna direzione esclusiva o privilegiata. Solamente le parti dei corpi cele-sti hanno, infatti, una direzione esclusiva e privilegiata: quella che consenteloro, appunto, di conservarsi e mantenersi, all’interno del proprio orizzontemondiale. Questa tendenzialità si traduce, pertanto, con l’immediatezza di unmovimento rettilineo, orientato e centrato al termine costituito dal centrodella massa solare o planetaria. Così gli stessi corpi cometarii dimostrano conla propria autonomia e persistenza di movimento di possedere quella stessaterrestrità, che è propria di tutti i pianeti non solari.68

L’oscillazione dialettica degli elementi aristotelici viene, dunque, molti-plicata innumerevoli volte negli innumerabili mondi dell’universo brunia-no, sciogliendo però nel contempo la rigidità e l’univocità della determina-zione offerta dalla speculazione naturale aristotelica. La speculazione diGiordano Bruno, infatti, apre il concetto del numero prima al rapporto oriz-zontale fra causa e fine, quindi a quello verticale fra orizzonte e singola ereciproca individuazione formo-materiale (corpo celeste come orizzontemondiale).69 Così alla molteplicità delle distinzioni astrali potrà corrispon-dere una molteplicità di unità di composizione.70 Così mentre la tradizioneneoplatonico-aristotelica rinchiudeva sul postulato di un Uno necessario ed’ordine l’avocazione della serie ordinata dei numeri-corpi, la speculazionebruniana apre subito al concetto della diversità, negando che l’Universopossa avere un termine mediante – un mezzo – che convogli a sé in manie-ra oscura tutta la pluralità di quelle determinazioni che non possono nonessere allora considerate che come proprie.71 L’Uno bruniano, al contrario,è aperto: solamente in questo modo può fungere da orizzonte universale perla costituzione di tutti i suoi soggetti e di tutte le sue parti.72

Contro la copula mundi di ficiniana memoria – richiamata dall’afferma-zione “è uno mezzo ed uno orizzonte”73 – la bruniana distinzione-unità fra

118

67 Ivi, pag. 484. 68 Ivi, pagg. 485-487. 69 S. ULLIANA. Il De umbris idearum di Giordano Bruno. Commento integrale. Cit., pag. 43. 70 G. BRUNO. De l’Infinito, Universo e mondi. Cit., pag. 488. 71 Ivi, pag. 489. «Elpino. Considerate che lui si può intendere, che non voglie dir sempli-

cemente, perché ciascuna parte abbia il mezzo; ma che abbia il mezzo a cui si muova.»72 Ivi, pagg. 489-490. «Ecco, dunque, come non solamente non è inconveniente, ma natu-

ralissimo, e che sieno molti mezzi secondo la raggione di molte parti e particole de leparti, se gli piace; perché di questi l’uno è constituito, sussistente e consistente per laconsistenza, sussistenza e constituzione de l’altri.»

73 Ivi, pag. 490.

Page 119: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

infinito potenziale ed infinito in atto dispone una relazione che non crea efa convergere il mondo secondo lo stato di una necessaria ed ordinata uni-vocità, capace di far produrre la globalità delle finalità proprie, quanto –all’opposto e contrario – moltiplica i mondi nella loro libertà di movimen-to. Così il termine e l’arresto di movimento stabilito dalle finalità proprie(c.d. naturali) viene riorientato, ridisciolto ed aperto tramite l’infinito deldesiderio. La disposizione assoluta – perché senza opposizione e resistenza– dell’unico cielo si capovolge nell’aperta libertà creativa, che fa essere imondi nella propria autonomia e nella reciproca relazione dialettica.74

È, dunque, l’infinito del desiderio a costituire il principio intrinseco dellostabile movimento universale, dello stabilissimo moto metafisico bruniano. Èl’infinito del desiderio a diramarsi quale rete nervosa degli scambi atomiciuniversali,75 a costituirsi quale mente dispersa nell’universo stesso. Così l’in-finito regge il finito, unico ‘luogo’ nel quale vale il principio aristotelico delmovimento da ‘contrari’. Unico luogo per il quale si può parlare di gravità oleggerezza relativa e di movimenti in circolarità dialettica. Se, pertanto, imovimenti delle parti omogenee restano sempre interni ai propri orizzontimondiali, non vi potrà essere alcuno sconvolgimento dell’ordine apparentedell’universo stesso, oltre il moto sotterraneo dovuto agli scambi atomici.76

Toccata, attraverso il principio latente, la più alta cima delle riflessioninaturali bruniane, l’Argomento del quinto dialogo si preoccupa di risvolge-re in maniera ordinata tutta la rete dei concetti e delle opposte impostazio-ni speculative, quella neoplatonico-aristotelica e quella bruniana. Per svol-gere questo compito unificatore, distintivo e riassuntivo Giordano Bruno

119

74 Ivi, pagg. 490-492. «Tuttavia, quantunque sia vero che ogni cosa si muove per gli suoimezzi, da’ suoi ed a’ suoi termini, ed ogni moto, o circulare o retto, è determinato daopposito in opposito; da questo non séguita che l’universo sia finito di grandezza, néche il mondo sia uno; e non si distrugge che sia infinito il moto semplicemente di qual-sivoglia atto particolare, per cui quel spirto, come vogliam dire, che fa ed incorre aquesta composizione, unione e vivificazione, può essere e sarà sempre in altre ed altreinfinite. Può dunque stare, che ogni moto sia finito (parlando del moto presente, nonabsoluta– e semplicemente di ciascun particulare, ed in tutto) e che infiniti mondisieno: atteso che, come ciascuno de gl’infiniti mondi è finito ed ha regione finita, cossía ciascuno di quei convegnono prescritti termini del moto suo e de sue parti.»

75 Ivi, pag. 492. «Fracastorio. Sí. Ma questo mi par il gioco de le bagattelle; perché, segli atomi hanno moto infinito per la succession locale che a tempi a tempi fanno, oravendo efflusso da questo, or influsso in quello, or giungendosi a questa, or a quellacomposizione, or concorrendo in questa, or in quella figurazione per il spacio inmen-so dell’universo; verranno per certo ad avere infinito moto locale, discorrere per infi-nito spacio e concorrere ad infinite alternazioni. Per questo non séguita ch’abbianoinfinita gravità, levità o velocità.»

76 Ivi, pagg. 492-495.

Page 120: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

introduce, come contraltare di Filoteo, una nuova figura, un nuovo perso-naggio: Albertino. Sarà dunque Albertino a risvolgere in modo ordinato edapprofondito77 le obiezioni – “dodici argumenti” – avanzate dalla “commu-ne filosofia” alla proposta rivoluzionaria squadernata dal gigante di Nola.

La prima obiezione avanzata da Albertino è quella per la quale l’atto difinitezza aristotelico si riverbera necessariamente nella potenza di unmondo chiuso e limitato, determinato, all’interno del quale possono e deb-bono svolgersi tutti i movimenti e le trasformazioni garantiti e legittimati,regolati dalle rispettive intelligenze motrici. Negata l’apertura dell’infinitoe la connessa moltiplicazione dei mondi, il limite stesso del mondo mantie-ne la propria invisibilità formale e la propria immobile inamovibilità,restando l’essere che non ha opposizione o resistenza alcuna. Stabile termi-ne di riferimento, esso in tal modo costituisce l’affermazione della propriainsuperabilità. Così luogo e tempo stanno alle sue dipendenze, come spaziodell’essere e del divenire ordinato delle forme nella materia.78

La seconda obiezione portata da Albertino è legata alla prima: se la formaracchiude la materia nel modo precedentemente delineato, allora la generalitàdel movimento apparente non può non avere un unico termine, che rende lemodificazioni formali contingenti egualmente (univocamente) necessitate.79

Disposti strettamente motore, movimento e mobile la terza obiezione diAlbertino si concentra sulla necessaria precisazione ordinata e scansione dei

120

77 Albertino è rappresentante intelligente e colto della tradizione aristotelica, alieno da quel-la fede cieca nei commentatori di Aristotele che ne impedisce la comprensione alta e pro-blematica. Oltre l’appartenenza di scuola è così capace di aprire il proprio intelletto allaverità, superando consuetudini e modi di credere tradizionalmente consolidati. Elpino loconsidera, soprattutto, capace alla fine di cogliere la differenza fondamentale fra l’impo-stazione aristotelica e quella bruniana, indicando in questo modo la motivazione dellascelta radicale fra una filosofia del finito e determinato ed una dell’infinito e libero.Ancora inizialmente vicino alla fede completa ed intonsa per il proprio nume tutelareAristotele e per il contenuto necessario ed inconfutabile della sua dottrina, egli pare esse-re ancora averroista, contro il disprezzo patente del giudizio bruniano. Non un AlbertoMagno, ma un Albertino, egli potrebbe non cogliere ancora la grandezza e la diversità diconcezione verso la quale può spingere l’affermazione della molteplicità delle sostanze.Seppellito sotto l’affermazione contraria dell’univocità dell’essere, la voce bruniana delladottrina aristotelica cerca di far valere la credibilità e la legittimità offerte da quelle mol-titudini erudite alle quali semplicemente manca il ben dell’intelletto, possedendo in suoluogo la cieca, dispersa e frammentata fede nel particolare isolato e privo di vita. Ancoratoall’unità necessaria fra essere determinato ed apparire ad esso adeguato, la controparte diFiloteo disprezza e valuta come nulla, inizialmente, la profferta di una nuova visione e diuna nuova libertà, preferendo per difesa rimanere avvinto alla propria confusione fra fedeed intelletto. Nel mondo unico dove religione e potere sono lo stesso, Albertino cercheràla confutazione delle controargomentazioni bruniane, senza successo. Ivi, pagg. 496-505.

78 Ivi, pagg. 506-508. 79 Ivi, pag. 508.

Page 121: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

movimenti e dei corpi attualmente presenti all’interno del mondo unico: ilmovimento circolare uniforme dell’etere celeste, il movimento verso l’altodegli elementi del fuoco e dell’aria, il movimento verso il basso degli ele-menti dell’acqua e della terra.80

Supposta la molteplicità consimile dei mondi – questa è la quarta obie-zione di Albertino – maggiore sarebbe la differenza fra gli stessi che all’in-terno degli stessi, per effetto della disposizione degli elementi ‘contrari’.Questo però cozza contro la possibilità e la necessità di coordinare la serieaperta di questi mondi.81

Inoltre la serie aperta dei mondi molteplici e contigui – ecco la quintaobiezione di Albertino – dovrebbe comportare lo scambio dall’unico mondodelle proprie parti interne verso quelle predominanti e d’orizzonte di quelliestrinseci, con la conseguente autodistruzione a catena, a partire dal centro,dell’intero universo.82

La sesta obiezione di Albertino – immediatamente conseguente alla pre-cedente – vedrebbe gli interstizi fra i mondi essere dotati di virtù propria,creativa di altri mondi oppure annichilitrice degli stessi.83

La settima obiezione di Albertino chiama, invece, in campo la numero-sità dei mondi. Infiniti mondi affermano l’infinito in atto; mondi finitiimplicano la domanda e la richiesta di una giustificazione, che sia capace dilegittimare il superamento e la distruzione dell’unità per l’affermazionedella diversità e moltitudine indeterminata.84 La convenienza dell’unità èpoi la sua più stretta necessità e possibilità: nella ripresa e sviluppo dellasettima obiezione Albertino infatti sottolinea – in versione aristotelica – lanecessità che la potenza divina esprima tutto ciò che può in un unicomondo, senza distinzione fra potentia absoluta e potentia ordinata.85

Questa distinzione viene però subito dopo riaffermata, quando Albertino– nell’ottava obiezione – fa valere una sorta di riserva: che accanto e sopra

121

80 Ivi, pagg. 508-509. 81 Ivi, pag. 509. 82 Ivi, pagg. 509-510. 83 Ivi, pag. 510. 84 Ivi, pag. 511. 85 Ibidem. Nel merito di questa singola obiezione non diventa quindi risolutivo l’argo-

mento interpretativo portato da Miguel Angel Granada, che indica quale segno della‘diversità’ bruniana, la negazione della distinzione fra absoluta divina potentia e la suapotentia ordinata. M. A. GRANADA. Il rifiuto della distinzione fra potentia absoluta epotentia ordinata di Dio e l’affermazione dell’universo infinito. In: «Rivista di storiadella filosofia», XLIX (1994). Pagg. 519-524. G. BRUNO. Œuvres Complètes: IV, DeL’Infini, de l’Univers et des mondes. Texte établi par Giovanni Aquilecchia, notes deJean Seidengart, introduction de Miguel Angel Granada, traduction de Jean-PierreCavaillé. Paris, Les Belles Lettres, 1995.

Page 122: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

la potentia ordinata di Dio vi sia la sua absoluta potentia, infinita. Purpotendosi creare innumerevoli mondi, ne viene in realtà creato uno solo, pernecessaria adeguazione dell’infinito al finito attuale.86

La pluralità dei mondi, con la sua apertura, impedirebbe poi – questa lanona obiezione di Albertino – la convenienza e la convergenza dei sogget-ti razionali, danneggiandone in tal modo la necessità e la possibilità etica.87

Ma non è la sola necessità e possibilità etica dei soggetti razionali a veni-re danneggiata, con la pluralità dei mondi: anche quella religiosa, infatti,verrebbe incrinata – secondo la decima obiezione di Albertino – dalla man-cata comune subordinazione all’azione divina superiore, all’azione coordi-nata delle intelligenze celesti.88

La moltiplicazione divisionale della materia resta, poi, compresa entro illimite necessario costituito dall’atto formale: uno in se stesso, questo, ed inse-parato, esso costringerà all’unità anche la materia soggetta, che viene in talmodo governata nella generazione. L’affermazione della pluralità dei mondi,invece, non sottomette – secondo l’undicesima obiezione di Albertino – ad unamedesima generazione e ad un medesimo governo, quindi ad una medesimapotenza, tutti gli atti d’esistenza e di morte presenti nei mondi.89

L’ultima obiezione di Albertino – la dodicesima – non può, alla fine, cherilevare la perfezione dell’ordinamento chiuso e limitato imposto da quel-l’atto e da quella potenza: nella costruzione progressiva pitagorico-platoni-ca – che dal punto procede alla linea e da questa alla superficie, per termi-nare infine al corpo volumetrico – tutti i corpi si limitano reciprocamente,essendo a loro volta limitati nella loro totalità dall’apparenza subordinantee subordinata del cosmo.90

Come e che cosa risponderà Giordano Bruno alle obiezioni sollevate daAlbertino, aristotelico averroista, con un impianto centrale cosmo-ontologi-co e razionale di natura pitagorico-platonica? Naturalmente mettendo indubbio e rivoluzionando apertamente il presupposto fatto valere dal picco-lo seguace della tradizione aristotelica: il concetto – con la relativa prassi –dell’Uno necessario e d’ordine, con la sua manifestazione sensibile egual-mente subordinata e necessitata.91

122

86 G. BRUNO. De l’Infinito, Universo e mondi. Cit., pag. 512. 87 Ibidem. 88 Ibidem. 89 Ivi, pag. 513. 90 Ibidem. 91 Ivi, pag. 514. «Le raggioni che voi apportate (se pur son raggioni), sono assai commu-

ni e repetite più volte da molti. Alle quali tutte sarà efficacissimamente risposto, solocon aver considerato il fondamento di quelle da un canto, e dall’altro il modo dellanostra asserzione.»

Page 123: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

Così la prima risposta di Filoteo-Bruno fa valere proprio ciò che distrug-ge quella relazione d’ordine e di subordinazione: l’apertura d’infinito dellospazio, all’interno della quale il principio creativo e conservativo – lo Spiritoed il desiderium sui – dispone liberamente gli astri celesti (soli e terre), neiloro reciproci movimenti quantitativi e qualitativi (rotazione-rivoluzione evicissitudine dialettica delle parti). Defalcato il limite subordinante, ognicorpo celeste ottiene un’eguaglianza di condizione naturale e razionale, ununico piano per il quale nessuna dominanza e nessun governo astratto e limi-tato ne possano inibire i movimenti, liberi e nello stesso tempo necessitatidalla propria autoconservazione. La Terra stessa può quindi sradicarsi dal-l’infima condizione di estremo opposto e contrario al cielo e liberamente enecessariamente ruotare, rivoluzionare e agire tutti quei movimenti qualita-tivi (vicissitudine complementare delle parti) che ne conservino l’esistenza,insieme al polo cosmologico opposto (l’astro solare).

Tolta, dunque, la cappa del cielo stellato nella sua funzione di limite sub-ordinante, ogni corpo celeste riacquista la propria libertà di movimento e ditrasformazione, aprendo a dismisura l’orizzonte razionale. In questa spropor-zione la moltiplicazione dei centri e dei mezzi planetari consente il supera-mento della visione e della prassi d’univocità e convergenza: nell’universobruniano scompare la necessità di costruire ed elevare una potenza astrattache stia obbligatoriamente in corrispondenza puntuale e continua con un attoed una forma separati, depositari di scopi antropologicamente necessari.

Prima conseguenza di questa negazione è proprio la ricomparsa dell’a-pertura creativa: se, dunque, questa si riafferma, necessariamente divieneimpossibile cercare la separazione di uno spazio e tempo ulteriore.92 Comenatura razionale, essa quindi comprende l’intero essere: potenza ed atto dinuovo coincidono, ma nell’infinito e per l’infinito.93 L’infinito come oriz-zonte di ragione è infatti il motore primo di tutti i movimenti comparenti:questi, a loro volta, creano e conservano i mondi, nella loro singolarità e

123

92 Ivi, pag. 518. «Filoteo. Non bisogna dunque cercare, se estra il cielo sia loco, vacuo otempo; perché uno è il loco generale, uno il spacio inmenso che chiamar possiamoliberamente vacuo; in cui sono innumerabili ed infiniti globi, come vi è questo in cuivivemo e vegetamo noi. Cotal spacio lo diciamo infinito, perché non è raggione, con-venienza, possibilità, senso o natura che debba finirlo: in esso sono infiniti mondi simi-li a questo, e non differenti in geno da questo; perché non è raggione né difetto di facul-tà naturale, dico tanto potenza passiva quanto attiva, per la quale, come in questo spa-cio circa noi ne sono, medesimamente non ne sieno in tutto l’altro spacio che di natu-ra non è differente ed altro da questo.»

93 Ibidem. «Filoteo. Estra, dunque, l’imaginata circonferenza e convesso del mondo ètempo, perché vi è la misura e raggione di moto, perché vi sono de simili corpi mobi-li. E questo sia parte supposto, parte proposto circa quello ch’avete detto come perprima raggione dell’unità del mondo.»

Page 124: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

nelle relazioni dialettiche che questi aprono attraverso la polarità cosmolo-gica (il rapporto complementare soli-terre). L’orizzonte unitario ed infinitodella ragione comporta, dunque, l’inscindibilità del principio, che deve per-tanto tenere insieme l’eguaglianza naturale e la libertà razionale: solo ilprincipio dell’amore, universale ed infinito, consente e permette, allora,tutto ciò. Solo il principio dell’amore, universale ed infinito, potrà consiste-re quale principio e motore, restando gli altri motori (le polarità cosmologi-che rappresentate dalle relazioni soli-terre) immagini vive di questo.94

Il motore ed il principio dell’amore, universale ed infinito, stabilisce cosìun’estesissima, profondissima ed altissima unità degli opposti, che però nonsono contrari, se attraverso la contrarietà si assiste alla separazione e subor-dinazione di un divenire astratto ad un essere egualmente e parimenti iper-astratto. Non sussiste alcuna ragione che predisponga ed imponga una fina-lità universale, alla quale debbano correre e concorrere tutti insieme gli enticreati: questi, nelle reciproche relazioni cosmologiche o all’interno dei pro-pri orizzonti mondiali, saranno liberi di perseguire la propria salvezza econservazione. Allora vi saranno moti e movimenti che non avranno alcu-na necessità di essere globalmente coordinati, perché esprimono la finitudi-ne di rapporti limitati, necessari solamente dal momento in cui si sonoinstaurati. Allora la dialettica, che si istituisce fra soli e terre, si mostrerà

124

94 Ivi, pagg. 518-520. «Quanto a quello che secondariamente dicevate, vi dico che vera-mente è un primo e prencipe motore, ma non talmente primo e prencipe che, per certascala, per il secondo, terzo ed altri da quello si possa discendere, numerando, al mezza-no ed ultimo: atteso che tali motori non sono, né possono essere; perché dove è nume-ro infinito, ivi non è grado né ordine numerale, benché sia in grado ed ordine secondola raggione e dignità o de diverse specie e geni, o de diverse gradi in medesimo geno emedesima specie. Sono dunque, infiniti motori, cossí come sono anime infinite di que-ste infinite sfere, le quali, perché sono forme ed atti intrinseci, in rispetto de quali tuttiè un prencipe da cui tutti dipendono, è un primo il quale dona la virtù della motività agli spirti, anime, dei, numi, motori, e dona la mobilità alla materia, al corpo, all’anima-to, alla natura inferiore, al mobile. Son, dunque, infiniti mobili e motori, li quali tutti seriducono a un principio passivo ed un principio attivo, come ogni numero se reduceall’unità; e l’infinito numero e l’unità coincideno, ed il summo agente e potente fare iltutto con il possibile esser fatto il tutto coincideno in uno, come è mostrato nel fine dellibro Della causa, principio ed uno. In numero dunque e moltitudine è infinito mobileed infinito movente; ma nell’unità e singularità è infinito immobile motore, infinitoimmobile universo; e questo infinito numero e magnitudine e quella infinita unità esemplicità coincideno in uno semplicissimo ed individuo principio, vero, ente. Cossínon è un primo mobile, al quale con certo ordine succeda il secondo, in sino l’ultimo,o pur in infinito; ma tutti gli mobili sono equalmente prossimi e lontani al primo e dalprimo ed universal motore. Come, logicamente parlando, tutte le specie hanno equalraggione al medesimo geno, tutti gli individui alla medesima specie; cossí da un moto-re universale infinito, in un spacio infinito, è un moto universale infinito da cui depen-dono infiniti mobili e infiniti motori, de quali ciascuno è finito di mole ed efficacia.»

Page 125: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

pure nella vicissitudine, nella circolarità delle parti interne ad ogni orizzon-te mondiale. Così il moto atomico resterà sullo sfondo, al centro, quale giu-stificazione materiale di tutti questi moti e movimenti.95

La speculazione naturale di Giordano Bruno è dunque attentissima atogliere qualsiasi giustificazione alla separazione astratta fra natura e sopra-natura: l’eguaglianza naturale così tocca non solo le parti che concorrono aformare e conservare un medesimo orizzonte mondiale, ma bensì pure tuttociò che innerva con reciprocità le relazioni dinamiche e trasformative sus-sistenti fra i poli cosmologici, i soli e le terre.96 Tutti gli elementi non sono,allora, disposti secondo un ordine gerarchico, ma in modo tale da consenti-re lo sviluppo reciproco di quella dialettica. In caso contrario, infatti, quel-la separazione si riverbererebbe in ogni distinzione d’elemento, non per-mettendo e mettendo a rischio ogni composizione. L’unità degli oppostibruniana, invece, consente la reciproca complementarità e la reciprocainserzione delle azioni e passioni portate dagli elementi (acqua, terra, aria,fuoco) nell’uno e nell’altro polo cosmologico (soli e terre).97

125

95 Ivi, pagg. 520-521. «Quanto al terzo argumento, dico che nell’etereo campo non èqualche determinato punto, a cui, come al mezzo, si muovano le cose gravi, e da cui,come verso la circonferenza, se discostano le cose lievi; perché nell’universo non èmezzo né circonferenza, ma, se vuoi, in tutto è mezzo ed in ogni punto si può prende-re parte di qualche circonferenza a rispetto di qualche altro mezzo o centro. Or quan-to a noi, respettivamente si dice grave quello che dalla circonferenza di questo globosi muove verso il mezzo; lieve quello che secondo il contrario modo verso il contrariosito; e vedremo che niente è grave, che medesimo non sia lieve; perché tutte le partide la terra successivamente si cangiano di sito, luogo e temperamento, mentre perlongo corso di secoli non è parte centrale che non si faccia circonferenziale, né partecirconferenziale che non si faccia del centro o verso quello. Vedremo che gravità elevità non è altro che appulso de le parti de corpi al proprio continente e conservante,ovunque il sia; però non sono differenze situali che tirano a sé tali parti, né che le man-dano da sé, ma è il desio di conservarsi, il quale spenge ogni cosa come principiointrinseco, e, se non gli obsta impedimento alcuno, la perduce ove meglio fugga il con-trario e s’aggionga al conveniente.»

96 Ivi, pagg. 523-524. «Quanto a quello che apportate per inconveniente, cioè che ilmezzo che conviene in specie con l’altro mezzo, verrà ad essere più distante da quel-lo che il mezzo e la circonferenza, che sono contrarii naturalmente, e però sono edenno essere massime discosti; vi rispondo, prima, che li contrarii non denno esseremassime discosti, ma tanto che l’uno possa aver azione nell’altro e possa esser pazien-te dall’altro: come veggiamo esser disposto il sole a noi prossimo in rispetto de le sueterre che son circa quello; atteso che l’ordine della natura apporta questo, che l’unocontrario sussista, viva e si nutrisca per l’altro, mentre l’uno viene affetto, alterato,vinto e si converte nell’altro.»

97 Ivi, pagg. 524-526. «Filoteo. Vedete ancora, che non è contra raggione la nostra filo-sofia, che reduce ad un principio e referisce ad un fine e fa concidere insieme gli con-trarii, di sorte che è un soggetto primo dell’uno e l’altro; dalla qual coincidenza stimia-mo ch’al fine è divinamente detto e considerato che li contrarii son ne gli contrarii,

Page 126: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

L’eguaglianza naturale bruniana è, pertanto, un’eguaglianza aperta: l’oriz-zonte di ragione dell’Uno infinito capovolge e dissolve ogni assoggettamen-to necessario ad un’eguaglianza formale imposta dalla coincidenza assolutadelle finalità potenziali naturali, che imporrebbe alla fine la confusione delleparti. Nello spazio infinito i mondi bruniani sono liberi di perseguire la logi-ca reciprocamente amorosa del proprio ed altrui mantenimento e conserva-zione.98 Questa logica reale segna, quindi, il migliore e più alto raggiungi-mento e scoperta della speculazione naturale bruniana, con importanti e suc-cessive implicazioni nell’ambito razionale (etico, politico e religioso).

Queste implicazioni cominciano a notarsi del resto nello stesso ambitonaturale della speculazione bruniana, nel momento in cui il filosofo di Nolaidentifica, analizza e spiega la natura e la funzione del soggetto portatore diquesta logica nell’elemento spirituale dell’etere. Questo è infatti il tutto capa-ce di contenere, muovere e vivificare i mondi: è spazio immenso ed infinito,ragione e principio come amore divino del movimento di creazione, deside-rio interno e spirito della materia di ciascun corpo celeste. Essere triplice, essocosì mantiene delle caratteristiche proteiformi: prima unità di luogo, poidistinzione razionale, infine individuazione concreta.99 Il passaggio attraver-so queste tre fasi consente quindi a Filoteo-Bruno di affermare la creatività e

126

onde non sia difficile di pervenire a tanto che si sappia come ogni cosa è di ogni cosa:quel che non poté capire Aristotele ed altri sofisti.»

98 Ivi, pag. 528. «Ecco, dunque, quali son gli mondi, e quale è il cielo. Il cielo è quale lo veg-giamo circa questo globo, il quale non meno che gli altri è astro luminoso ed eccellente.Gli mondi son quali con lucida e risplendente faccia ne si mostrano distinti, ed a certiintervalli seposti gli uni da gli altri; dove in nessuna parte l’uno è più vicino a l’altro cheesser possa la luna a questa terra, queste terre a questo sole: a fin che l’un contrario nondestrugga ma alimente l’altro, ed un simile non impedisca ma doni spacio a l’altro.»

99 Ivi, pagg. 528-529. «Oltre gli quai quattro elementi che vegnono in composizion di que-sti, è una eterea regione, come abbiam detto, immensa, nella qual si muove, vive e vege-ta il tutto. Questo è l’etere che contiene e penetra ogni cosa; il quale, in quanto che si trovadentro la composizione (in quanto, dico, si fa parte del composto), è comunmente noma-to aria, quale è questo vaporoso circa l’acqui ed entro il terrestre continente, rinchiuso tragli altissimi monti, capace di spesse nubi e tempestosi Austri ed Aquiloni. In quanto poiche è puro, e non si fa parte di composto, ma luogo e continente per cui quello si muovee discorre, si noma propriamente etere, che dal corso prende denominazione. Questo ben-ché in sustanza sia medesimo con quello che viene essagitato entro le viscere de la terra,porta nulla di meno altra appellazione; come oltre, si chiama aria quello circostante a noi;ma, come in certo modo fia parte di noi o pur concorrente nella nostra composizione, ritro-vato nel pulmone, nelle arterie ed altre cavitadi e pori, si chiama spirto. Il medesimo circail freddo corpo si fa concreto in vapore, e circa il caldissimo astro viene attenuato, comein fiamma; la qual non è sensibile, se non gionta a corpo spesso, che vegna acceso dall’ar-dor intenso di quella. Di sorte che l’etere, quanto a sé e propria natura, non conosce deter-minata qualità, ma tutte porgiute da vicini corpi riceve, e le medesime col suo moto allalunghezza dell’orizonte dell’efficacia di tai principii attivi transporta.»

Page 127: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

la vitalità di ciò che comunemente viene indicato con il termine di spazio:luogo e soggetto vivo ed animante, onniformante. Dunque inalienabile.100

La critica alla separatezza astratta della tradizione neoplatonico-aristotelicagiunge quindi all’affermazione dell’inalienabilità dell’Essere (creativo e dia-lettico). Per questo Giordano Bruno può legittimamente autoconsiderarsicome il filosofo mercuriale inviato dalla Provvidenza a ristabilire e ricompor-re una sapienza antica, costituita dalle scoperte migliori del parmenidismo,dell’eraclitismo e dell’atomismo naturale e razionale. Nella risposta alla setti-ma obiezione precedentemente avanzata da Albertino Filoteo-Bruno ricordainfatti le radici profonde ed alte di quella tradizione, successivamente oscura-ta e sconvolta dal feticcio umano del potere: l’Uno necessario e d’ordine.

Se, infatti, l’Uno necessario e d’ordine della tradizione neoplatonico-ari-stotelica impone la verticalità univoca di un atto prioritario – finito od infi-nito che sia – sulla potenza del divenire, l’Uno infinitamente aperto dellaspeculazione bruniana afferma, già nel campo naturale, la libertà e l’auto-determinazione reciproca dei soggetti. Questa è la potenza e l’atto infinitodell’universo bruniano.101 In questa libertà ed autodeterminazione recipro-ca dei soggetti non può, allora, non rilucere quell’immagine di amorosaeguaglianza che fa liberi ed eguali i soggetti del cosmo bruniano, senzaordine gerarchico, né caoticità imprevidente.102 Al contrario: è proprio que-sta disposizione discreta d’infinito a concretizzare l’intervento della virtùprovvidenziale, che, lungi dall’avere impedimento da quest’apertura, vienebloccata ed annichilita proprio dalla sua reclusione entro le spire della rela-zione necessaria e d’ordine. La disposizione discreta d’infinito consenteinfatti la libera azione e reazione dei contrapposti poli cosmologici (soli eterre).103 Allo stesso tempo la disposizione discreta d’infinito consente chela generazione degli esseri dai mondi e nei mondi – sempre dunque in rela-zione a ciascuno degli orizzonti mondiali – non sia necessitata se non dal-l’obbedienza alla propria virtù intrinseca, dalla comune partecipazione allaragione naturale.104 Contro la disposizione continua d’infinito – o di finito,

127

100 Ivi, pagg. 530-531. Qui la risposta di Giordano Bruno alla sesta obiezione di Albertino.101 Ivi, pagg. 531-532. Qui, invece, la risposta di Giordano Bruno alla settima ed ottava

obiezione di Albertino. 102 Ivi, pagg. 532-533. Qui la risposta di Giordano Bruno alla nona obiezione di Albertino. 103 Ivi, pag. 533. Qui Giordano Bruno risponde alla decima obiezione di Albertino.104 Ivi, pag. 534. «All’undecimo, che vuole la natura moltiplicata per decisione e division

della materia non ponersi in tale atto se non per via di generazione, mentre l’uno indi-viduo come parente produce l’altro come figlio; diciamo che questo non è universal-mente vero, perché da una massa per opra del sole efficiente si producono molti e diver-si vasi di varie forme e figure innumerabili. Lascio che, se fia l’interito e rinovazion diqualche mondo, la produzione de gli animali, tanto perfetti quanto imperfetti, senza attodi generazione nel principio viene effettuata dalla forza e virtù della natura.»

Page 128: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

nel caso di Aristotele – la disposizione discreta d’infinito non accetta la suadisposizione e relazione ordinante: questa infatti ne dissolve e capovolge lapretesa, tutta trasvaloratamente umana, di un dominio e controllo totale sul-l’universale generarsi, vivere e morire; ne distrugge quindi il principio bio-politico negativo.105 Aperta alla vita della libera ragione universale, la spe-culazione naturale bruniana tocca quindi infine – e non poteva non toccare– la ragione che anima la vita collettiva dei soggetti razionali naturali edumani: la loro libertà, la loro dialettica e civile conversazione.

È per questo motivo che la proemiale epistola del De l’Infinito, Universoe mondi si conclude con una non breve ed eccelsa argomentazione, relativaall’apertura razionale riscoperta e riconsentita dalla speculazione nolana.Per essa ed in essa l’universale espressione naturale e razionale trova com-piutezza a perfezione tale da lasciare ogni movimento creativo sotto l’inse-gna di un’amorosa ed infinita eguaglianza, capace di instaurare la più per-fetta delle dialettiche. Una dialettica orizzontale e verticale: una dialetticadei corpi e delle anime, un movimento della sensibilità, dell’immaginazio-ne e del desiderio.

Dalla qual contemplazione, se vi sarremo attenti, avverrà che nullo stranoaccidente ne dismetta per doglia o timore, e nessuna fortuna per piacere o spe-ranza ne estoglia: onde aremo la via vera alla vera moralità, saremo magnani-mi, spreggiatori di quel che fanciulleschi pensieri stimano; e verremo certa-mente più grandi che que’ dei che il cieco volgo adora, perché dovenerremoveri contemplatori dell’istoria de la natura, la quale è scritta in noi medesimi,e regolati executori delle divine leggi, che nel centro del nostro core soninscolpite.

Senza alcuna fede, vana e falsa, ad un principio estrinseco, la sensibilitàaperta dell’immagine di desiderio bruniana procura ogni sentimento edintelletto, ogni grazia operosa, di autentica salvezza: rivela una Repubblicadi Dio che è presso di noi stessi, più vicina ed intima di quanto noi stessipossiamo essere alle nostre vite.

Eccone, dunque, fuor d’invidia; eccone liberi da vana ansia e stolta cura dibramar lontano quel tanto bene che possedemo vicino e gionto.

128

105 Ibidem. «Al duodecimo ed ultimo, che da quel, che questo o un altro mondo è perfet-to, vuol che non si richiedano altri mondi, dico che certo non si richiedeno per la per-fezione e sussistenza di quel mondo; ma per la propria sussistenza e perfezion dell’u-niverso è necessario che sieno infiniti. Dalla perfezion dunque di questo o quelli nonséguita, che quelli o questo sieno manco perfetti: perché cossì questo come quelli, equelli come questo, constano de le sue parti, e sono, per gli suoi membri, intieri.»

Page 129: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

Questa è quella filosofia che apre gli sensi, contenta il spirto, magnifical’intelletto e riduce l’uomo alla vera beatitudine che può aver come uomo, econsistente in questa e tale composizione; …

Inalienabili, i soggetti restano così sempre interni alla circolarità appa-rente dell’Essere.

E perché tutti soggiacemo ad ottimo efficiente, non doviamo credere, sti-mare e sperare altro, eccetto che come tutto è da buono; cossì tutto è buono,per buono ed a buono; da bene, per bene, a bene.

L’apparenza dell’essere divenuto non deve, dunque, far valere l’immagi-ne della morte e della scomparsa, perché

Non sono fini, termini, margini, muraglia che ne defrodino e suttragano la infi-nita copia de le cose. Indi feconda è la terra ed il suo mare; indi perpetuo è ilvampo del sole, sumministrandosi eternamente esca a gli voraci fuochi ed umoria gli attenuati mari; perché dall’infinito sempre nova copia di materia sottonasce.

Ecco dunque il principio creativo bruniano: per esso nessun simulacro efeticcio del potere umano, nessuna disposizione magico-astrologica o fisi-co-politica potrà sostituire il

grandissimo ritratto, mirabile imagine, figura eccelsa, vestigio altissimo,infinito ripresentante di ripresentato infinito, e spettacolo conveniente all’ec-cellenza ed eminenza di chi non può esser capito, compreso, appreso.

Uno, infinito e universale l’essere-pensiero bruniano libera lo spirito: neesalta la grandezza, ne muove la profondità e l’altezza, sempre rammentandocome unisca in se stesso minimi e massimi, visibilità, principi e cause. Comecompone negli ultimi sonetti della proemiale epistola, esso riesce ad usciredalla cattività di un pensiero-essere fantasticamente ipostatizzato, da un sog-getto innalzato e trasvalutato ad oggetto pieno e completo, perfetto. Per entra-re in quell’apertura radiosa, che è cuore intellettuale della grazia operosa: perentrare e diventare uno con lo stesso amore infinito ed universale.

Viene aperta dunque in questo modo la strada per i successivi DialoghiMorali.

129

Page 130: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo
Page 131: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

131

IVEPISTOLA INTRODUTTIVA

SPACCIO DE LA BESTIA TRIONFANTE

EPISTOLA ESPLICATORIASCRITTA

AL MOLTO ILLUSTRE ED ECCELLENTE CAVALLIEROSIGNOR FILIPPO SIDNEO DAL NOLANO.

Cieco chi non vede il sole, stolto chi nol conosce, ingrato chi nolringrazia; se tanto è il lume, tanto il bene, tanto il beneficio; per cuirisplende, per cui eccelle, per cui giova; maestro de sensi, padre disustanze, autor di vita. Or non so qual mi sarei, eccellente Signore,se io non stimasse il vostro ingegno, non onorasse gli vostri costu-mi, non celebrasse gli vostri meriti; con gli quali vi siete scuopertoa me nel primo principio ch’io giunsi a l’isola Britannica, per quan-to v’ha conceduto il tempo; vi manifestate a molti, per quanto l’oc-casione vi presenta; e remirate a tutti, per quanto vi mostra la vostranatural inclinazione veramente eroica. Lasciando, dunque, il pen-sier dei tutti ai tutti, ed il dover de’ molti a’ molti, non permetta ilfato, che io, per quel tanto che spetta al mio particolare, come talvolta mi son mostrato sensitivo verso le moleste ed importunediscortesie d’alcuni; cossí avanti gli occhi de l’eternità vegna alasciar nota d’ingratitudine, voltando le spalli a la vostra bella, for-tunata e cortesissima patria, prima ch’al meno con segno di ricono-scenza non vi salutasse, gionto al generosissimo e gentilissimo spi-rito del signor Folco Grivello. Il quale, come con lacci di stretta elunga amicizia, con cui siete allevati, nodriti e cresciuti insieme, vista congionto: cossí nelle molte e degne, esterne ed interne perfe-zioni v’assomiglia; ed al mio riguardo fu egli quel secondo, che,appresso gli vostri primi, gli secondi offici mi propose ed offerse:quali io arrei accettati, e lui certo arrebe effettuati, se tra noi nonavesse sparso il suo arsenito de vili, maligni ed ignobili interessatil’invidiosa Erinni.

Sí che, serbando a lui qualch’altra materia, ecco a voi presentoquesto numero de dialogi, li quali certamente saranno cossí buoni o

Page 132: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

132

tristi, preggiati o indegni, eccellenti o vili, dotti o ignoranti, alti obassi, profittevoli o disutili, fertili o sterili, gravi o dissoluti, religio-si o profani, come di quei, nelle mani de quali potran venire, altrison de l’una, altri de l’altra contraria maniera. E perché il numerode stolti e perversi è incomparabilmente piú grande che de sapientie giusti, aviene che, se voglio remirare alla gloria o altri frutti cheparturisce la moltitudine de voci, tanto manca ch’io debba sperarlieto successo del mio studio e lavoro, che piú tosto ho da aspettarmateria de discontentezza, e da stimar molto meglior il silenzioch’il parlare. Ma, se fo conto de l’occhio de l’eterna veritade, a cuile cose son tanto piú preciose ed illustri, quanto talvolta non soloson da piú pochi conosciute, cercate e possedute, ma, ed oltre, tenu-te a vile, biasimate, perseguitate; accade ch’io tanto piú mi forze afendere il corso de l’impetuoso torrente, quanto gli veggio maggiorvigore aggionto dal turbido, profondo e clivoso varco.

Cossí dunque lasciaremo la moltitudine ridersi, scherzare, burla-re e vagheggiarsi su la superficie de mimici, comici ed istrioniciSileni, sotto gli quali sta ricoperto, ascoso e sicuro il tesoro dellabontade e veritade, come, per il contrario, si trovano piú che molti,che sotto il severo ciglio, volto sommesso, prolissa barba e togamaestrale e grave, studiosamente a danno universale conchiudenol’ignoranza non men vile che boriosa, e non manco perniciosa checelebrata ribaldaria.

Qua molti, che per sua bontà e dottrina non possono vendersi perdotti e buoni, facilmente potranno farse innanzi, mostrando quantonoi siamo ignoranti e viziosi. Ma sa Dio, conosce la verità infallibi-le che, come tal sorte d’uomini son stolti, perversi e scelerati, cossíio in miei pensieri, paroli e gesti non so, non ho, non pretendo altro,che sincerità, simplicità, verità. Talmente sarà giudicato dove l’opreed effetti eroici non saran creduti frutti de nessun valore e vani;dove non è giudicata somma sapienza il credere senza discrezione;dove si distingueno le imposture de gli uomini da gli consegli divi-ni; dove non è giudicato atto di religione e pietà sopraumana il per-vertere la legge naturale; dove la studiosa contemplazione non èpazzia; dove ne l’avara possessione non consiste l’onore, in atti digola la splendidezza, nella moltitudine de servi, qualunque sieno, lariputazione, nel meglio vestire la dignità, nel più avere la grandez-za, nelle maraviglie la verità, nella malizia la prudenza, nel tradi-mento l’accortezza, ne la decepzione la prudenza, nel fengere il

Page 133: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

133

saper vivere, nel furore la fortezza, ne la forza la legge, ne la tiran-nia la giustizia, ne la violenza il giudicio; e cossí si va discorrendoper tutto. Qua Giordano parla per volgare, nomina liberamente,dona il proprio nome a chi la natura dona il proprio essere; non dicevergognoso quel che fa degno la natura; non cuopre quel ch’ellamostra aperto; chiama il pane, pane; il vino, vino; il capo, capo; ilpiede, piede; ed altre parti, di proprio nome; dice il mangiare, man-giare; il dormire, dormire; il bere, bere; e cossí gli altri atti naturalisignifica con proprio titolo. Ha gli miracoli per miracoli, le prodez-ze e maraviglie per prodezze e maraviglie, la verità per verità, ladottrina per dottrina, la bontà e virtú per bontà e virtú, le impostureper imposture, gl’inganni per inganni, il coltello e fuoco per coltel-lo e fuoco, le paroli e sogni per paroli e sogni, la pace per pace, l’a-more per amore. Stima gli filosofi per filosofi, gli pedanti perpedanti, gli monachi per monachi, li ministri per ministri, li predi-canti per predicanti, le sanguisughe per sanguisughe, gli disutili,montainbanco, ciarlatani, bagattellieri, barattoni, istrioni, papagalliper quel che si dicono, mostrano e sono; ha gli operarii, benefici,sapienti ed eroi per questo medesimo. Orsú, orsú! questo, come cit-tadino e domestico del mondo, figlio del padre Sole e de la Terramadre, perché ama troppo il mondo, veggiamo come debba essereodiato, biasimato, perseguitato e spinto da quello. Ma in questomentre non stia ocioso, né mal occupato su l’aspettar de la suamorte, della sua transmigrazione, del suo cangiamento.

Oggi presente al Sidneo gli numerati ed ordinati semi della suamoral filosofia, non perché come cosa nuova le mire, le conosca, leintenda; ma perché le essamine, considere e giudichi; accettandotutto quel che si deve accettare, iscusando tutto quel che si deveiscusare, e defendendo tutto quel che si deve defendere contra lerughe e supercilio d’ipocriti, il dente e naso de scíoli, la lima e sibi-lo de pedanti; avertendo gli primi, che lo stimino certo di quellareligione la quale comincia, cresce e si mantiene con suscitar morti,sanar infermi e donar del suo; e non può essere affetto, dove si rapi-sce quel d’altro, si stroppiano i sani ed uccidono gli vivi; conse-gliando a gli secondi, che si convertano a l’intelletto agente e soleintellettuale, pregandolo che porga lume a chi non n’ha; facendointendere a gli terzi, che a noi non conviene l’essere, quali essisono, schiavi de certe e determinate voci e paroli; ma, per grazia dedei, ne è lecito, e siamo in libertà di far quelle servire a noi, pren-

Page 134: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

134

dendole ed accomodandole a nostro commodo e piacere. Cossí nonne siano molesti gli primi con la perversa conscienza, gli secondicon il cieco vedere, gli terzi con la mal impiegata sollecitudine, senon vogliono esser arguiti gli primi de stoltizia, invidia e maligni-tade; ripresi gli secondi d’ignoranza, presunzione e temeritade;notati gli terzi de viltà, leggerezza e vanitade: per non esserse gliprimi astenuti dalla rigida censura de nostri giudicii, gli secondi daproterva calunnia de nostri sentimenti, gli terzi dal sciocco crivellarde nostre paroli.

Or, per venire a far intendere, a chiunque vuole e puote, la miaintenzione ne gli presenti discorsi, io protesto e certifico che, perquanto appartiene a me, approvo quello che comunmente da tuttisavii e buoni è stimato degno di essere approvato, e riprovo con glimedesimi il contrario. E però priego e scongiuro tutti, che non siaqualcuno di animo tanto enorme e spirito tanto maligno, che vogliadefinire, donando ad intendere a sé e ad altri, che ciò che sta scrit-to in questo volume, sia detto da me come assertivamente; né creda(se vuol credere il vero) che io, o per sé o per accidente, voglia inpunto alcuno prender mira contra la verità, e balestrar contra l’one-sto, utile e naturale, e, per conseguenza, divino; ma tegna per fermoche con tutto il mio sforzo attendo al contrario; e se tal volta avie-ne ch’egli non possa esser capace di questo, non si determine; mareste in dubio sin tanto che non vegna risoluto dopo penetrato entrola midolla del senso. Considere appresso che questi son dialogi,dove sono interlocutori gli quali fanno la lor voce e da quali sonraportati gli discorsi de molti e molti altri, che parimente abondanonel proprio senso, raggionando con quel fervore e zelo che massi-me può essere ed è appropriato a essi. Per tanto non sia chi pensealtrimente, eccetto che questi tre dialogi son stati messi e distesi solper materia e suggetto d’un artificio futuro; perché, essendo io inintenzione di trattar la moral filosofia secondo il lume interno chein me ave irradiato ed irradia il divino sole intellettuale, mi parespediente prima di preponere certi preludii a similitudine de musi-ci; imbozzar certi occolti e confusi delineamenti ed ombre, come glipittori; ordire e distendere certa fila, come le tessetrici; e gittar certibassi, profondi e ciechi fondamenti, come gli grandi edificatori: ilche non mi parea più convenientemente poter effettuarsi, se non conponere in numero e certo ordine tutte le prime forme de la morali-tà, che sono le virtudi e vizii capitali, nel modo che vedrete al pre-

Page 135: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

135

sente introdutto un repentito Giove, ch’avea colmo di tante bestie,come di tanti vizii, il cielo, secondo la forma di quarant’otto famo-se imagini; ed ora consultar di bandir quelli dal cielo, da la gloria eluogo d’esaltazione, destinandogli per il più certe regioni in terra,ed in quelle medesime stanze facendo succedere le già tanto tempobandite e tanto indegnamente disperse virtudi. Or, mentre ciò simette in esecuzione, se vedete vituperar cose che vi paiono indegnedi vitupèro, spreggiate cose degne di stima, inalzate cose meritevo-li di biasimo; e per il contrario; abbiate tutto per detto (anco da queiche possono nel suo grado dirlo) indefinitamente, come messo indifficultade, posto in campo, cacciato in teatro, che aspetta di esse-re essaminato, discusso e messo al paragone, quando si consertaràla musica, si figurarà la imagine, s’intesserà la tela, s’inalzarà iltetto. In questo mentre Sofia presenta Sofia, Saulino fa il Saulino,Giove il Giove; Momo, Giunone, Venere ed altri Greci o Egizii, dis-soluti o gravi, quel che essi e qual essi sono, e puote appropriarsialla condizion e natura che possono presentare. Se vedete seriosi egiocosi propositi, pensate che tutti sono equalmente degni d’esserecon non ordinarii occhiali remirati. In conclusione, non abbiatealtro per definito che l’ordine ed il numero de soggetti della consi-derazion morale, insieme con gli fondamenti di tal filosofia, la qualtutta intieramente vedrete figurata in essi. Del resto, in questomezzo ognuno prenda gli frutti che può, secondo la capacità delproprio vase; perché non è cosa sí ria che non si converta in profit-to ed utile de buoni; e non è cosa tanto buona e degna che non possaesser caggione e materia di scandalo a’ ribaldi. Qua, dunque, aven-do tutto l’altro (onde non si può raccôrre degno frutto di dottrina)per cosa dubia, suspetta ed impendente, prendasi per final nostrointento l’ordine, l’intavolatura, la disposizione, l’indice del metodo,l’arbore, il teatro e campo de le virtudi e vizii; dove appresso s’hada discorrere, inquirere, informarsi, addirizzarsi, distendersi, rime-narsi ed accamparsi con altre considerazioni; quando, determinan-do del tutto secondo il nostro lume e propria intenzione, ne esplica-remo in altri ed altri particulari dialogi, ne li quali l’universal archi-tettura di cotal filosofia verrà pienamente compita, e dove raggio-naremo più per modo definitivo.

Abbiamo, dunque, qua un Giove, non preso per troppo leggitimoe buon vicario o luogotenente del primo principio e causa universa-le; ma ben tolto qual cosa variabile, suggetta al fato della mutazio-

Page 136: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

136

ne. Però, conoscendo egli che in tutto uno infinito ente e sustanzasono le nature particolari infinite ed innumerabili (de quali egli è unindividuo), che, come in sustanza, essenza e natura sono uno, cossíper raggion del numero che subintrano, incorreno innumerabilivicissitudini e specie di moto e mutazione; ciascuna, dunque, diesse, e particularmente Giove, si trova esser tale individuo, sotto talcomposizione, con tali accidenti e circonstanze, posto in numero perdifferenze che nascono da le contrarietadi, le quali tutte si riduconoad una originale e prima, che è primo principio de tutte l’altre, chesono efficienti prossimi d’ogni cangiamento e vicissitudine: per cui,come da quel che prima non era Giove, appresso fu fatto Giove,cossí, da quel ch’al presente è Giove, al fine sarà altro che Giove.Conosce che dell’eterna sustanza corporea (la quale non è denichi-labile né adnichilabile, ma rarefabile, inspessabile, formabile, ordi-nabile, figurabile) la composizione si dissolve, si cangia la comples-sione, si muta la figura, si altera l’essere, si varia la fortuna; rima-nendo sempre quel che sono in sustanza gli elementi; e quell’istes-so, che fu sempre, perseverando l’uno principio materiale, che èvera sustanza de le cose, eterna, ingenerabile, incorrottibile.Conosce bene, che dell’eterna sustanza incorporea niente si cangia,si forma o si difforma; ma sempre rimane pur quella che non puòessere suggetto de dissoluzione, come non è possibil che sia sugget-to di composizione; e però né per sé né per accidente alcuno puòesser detta morire; perché morte non è altro che divorzio de particongionte nel composto; dove, rimanendo tutto l’essere sustanziale(il quale non può perdersi) di ciascuna, cessa quell’accidente d’ami-cizia, d’accordo, di complessione, unione ed ordine. Sa che lasustanza spirituale, bench’abbia familiarità con gli corpi, non sideve stimar che propriamente vegna in composizione o mistionecon quelli: perché questo conviene a corpo con corpo, a parte dimateria complessionata d’un modo con parte di materia complessio-nata d’un’altra maniera; ma è una cosa, un principio efficiente edinformativo da dentro, dal quale, per il quale e circa il quale si fa lacomposizione; ed è a punto come il nocchiero a la nave, il padre difameglia in casa ed uno artefice non esterno, ma che da entro fabri-ca, contempra e conserva l’edificio; ed in esso è l’efficacia di teneruniti gli contrarii elementi, contemperar insieme, come in certaarmonia, le discordante qualitadi, a far e mantenir la composizioned’uno animale. Esso intorce il subbio, ordisce la tela, intesse le fila,

Page 137: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

137

modera le tempre, pone gli ordini, digerisce e distribuisce gli spiri-ti, infibra le carni, stende le cartilagini, salda l’ossa, ramifica glinervi, incava le arterie, infeconda le vene, fomenta il core, inspiragli polmoni, soccorre a tutto, di dentro, con il vital calore ed umidoradicale, onde tale ipostasi consista, e tal volto, figura e facciaappaia di fuori. Cossí si forma la stanza in tutte le cose dette anima-te, dal centro del core, o cosa proporzionale a quello, esplicando efigurando le membra, e quelle esplicate e figurate conservando.Cossí, necessitato dal principio della dissoluzione, abandonando lasua architettura, caggiona la ruina de l’edificio, dissolvendo li con-trarii elementi, rompendo la lega, togliendo la ipostatica composi-zione, per non posser eternamente con medesimi temperamenti, per-petuando medesime fila, e conservando quegli ordini istessi, anni-darsi in uno medesimo composto: però da le parti esterne e membrafacendo la ritretta al core, e quasi riaccogliendo gl’insensibili stor-menti ed ordegni, mostra apertamente, che per la medesima portaesce, per cui gli convenne una volta entrare. Sa Giove che non èverisimile né possibile che, se la materia corporale, la quale è com-ponibile, divisibile, maneggiabile, contrattabile, formabile, mobile econsistente sotto il domíno, imperio e virtú de l’anima, non è adni-chilabile, non è in punto o atomo adnullabile, per il contrario, lanatura più eccellente, che impera, governa, presiede, muove, vivifi-ca, invegeta, insensua, mantiene e contiene, sia di condizion peggio-re: sia, dico (come vogliono certi stolti sotto nome de filosofi) unatto, che resulta da l’armonia, simmetria, complessione, ed in fineun accidente che per la dissoluzione del composto vada in nullainsieme con la composizione; piú tosto che principio e causa intrin-seca di armonia, complessione e simmetria che da esso deriva; ilquale non meno può sussistere senza il corpo che il corpo – che è dalui mosso, governato, e per sua presenza unito, e per sua absenzadisperso – può essere senza lui. Questo principio, dunque, stimaGiove esser quella sustanza che è veramente l’uomo, e non acciden-te che deriva dalla composizione. Questo è il nume, l’eroe, il demo-nio, il dio particolare, l’intelligenza; in cui, da cui e per cui, comevegnon formate e si formano diverse complessioni e corpi, cossíviene a subintrare diverso essere in specie, diversi nomi, diverseforme. Questo, per esser quello che, quanto a gli atti razionali edappetiti, secondo la raggione muove e governa il corpo, è superiorea quello, e non può essere da lui necessitato e constretto; aviene per

Page 138: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

l’alta giustizia che soprasiede alle cose tutte, che per gli disordinatiaffetti vegna nel medesimo o in altro corpo tormentato ed ignobili-to, e non debba aspettar il governo ed administrazione di megliorstanza, quando si sarà mal guidato nel regimento d’un’altra. Peraver, dunque, ivi menata vita, per essempio, cavallina o porcina,verrà (come molti filosofi piú eccellenti hanno inteso; ed io stimo,che se non è da esser creduto, è molto da esser considerato) dispo-sto dalla fatal giustizia, che gli sia intessuto in circa un carcere con-veniente a tal delitto o crime, organi ed instrumenti convenevoli atale operario o artefice. E cossí, oltre ed oltre sempre discorrendoper il fato della mutazione, eterno verrà incorrendo altre ed altrepeggiori e megliori specie di vita e di fortuna, secondo che s’èmaneggiato megliore– o peggiormente nella prossima precedentecondizione e sorte. Come veggiamo che l’uomo, mutando ingegnoe cangiando affetto, da buono dovien rio, da temprato stemprato; eper il contrario, da quel che sembrava una bestia, viene a sembrareun’altra peggiore o megliore, in virtù de certi delineamenti e figura-zioni, che, derivando da l’interno spirito, appaiono nel corpo; disorte che non fallaran mai un prudente fisionomista. Però, come nel-l’umana specie veggiamo de molti in viso, volto, voci, gesti, affettied inclinazioni, altri cavallini, altri porcini, asinini, aquilini, buovi-ni; cossí è da credere che in essi sia un principio vitale, per cui, inpotenza di prossima passata o di prossima futura mutazion di corpo,sono stati o sono per esser porci, cavalli, asini, aquile, o altro chemostrano; se per abito di continenza, de studii, di contemplazione edaltre virtudi o vizii non si cangiano e non si disponeno altrimente.Da questa sentenza (da noi, piú che par comporte la raggion del pre-sente loco, non senza gran causa distesa) pende l’atto de la peniten-za di Giove, il qual s’introduce come volgarmente è descritto: un dioche ebbe de le virtudi e gentilezze, ed ebbe de le dissoluzioni, leg-gerezze e fragilitadi umane, e talvolta brutali e bestiali; come è figu-rato, quando è fama, che si cangiasse in que’ varii suggetti o forme,per significar la mutazion de gli affetti suoi diversi che incorre ilGiove, l’anima, l’uomo, trovandosi in questa fluttuante materia.Quel medesimo è messo governatore e motor del cielo, per donar adintendere, come in ogni uomo, in ciascuno individuo si contemplaun mondo, un universo; dove per Giove governatore è significato illume intellettuale che dispensa e governa in esso, e distribuisce inquel mirabile architetto gli ordini e sedie de virtudi e vizii.

138

Page 139: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

139

Questo mondo, tolto secondo l’imaginazion de stolti matematici,ed accettato da non più saggi fisici, tra quali gli Peripatetici son piùvani, non senza frutto presente: prima diviso come in tante sfere, epoi distinto in circa quarant’otto imagini (nelle quali intendeno pri-mamente partito un cielo ottavo, stellifero, detto da’ volgari firma-mento), viene ad essere principio e suggetto del nostro lavoro.Perché qua Giove (che rapresenta ciascun di noi), come da concepu-to nacque, da fanciullo dovenne giovane e robusto, e da tale è dove-nuto e dovien sempre piú e piú vecchio ed infermo: cossí da inno-cente ed inabile si fa nocivo ed abile, dovien tristo, e talor si fabuono; da ignorante savio, da crapulone sobrio, da incontinentecasto, da dissoluto grave, da iniquo giusto; al che tal volta vien inchi-nato da la forza che gli vien meno, e spinto e spronato dal timor dellagiustizia fatale, superiore a’ dei, che ne minaccia. Nel giorno dun-que, che nel cielo si celebra la festa de la Gigantoteomachia (segnode la guerra continua e senza triegua alcuna, che fa l’anima contragli vizii e disordinati affetti), vuole effettuar e definir questo padrequello che per qualche spacio di tempo avanti avea proposto e deter-minato; come un uomo, per mutar proposito di vita e costumi, primavien invitato da certo lume che siede nella specola, gaggia o poppade la nostra anima, che da alcuni è detto sinderesi e qua forse è signi-ficato quasi sempre per Momo. Propone, dunque, a gli dei, cioèessercita l’atto del raziocinio de l’interno conseglio, e si mette inconsultazion circa quel ch’è da fare; e qua convoca i voti, arma lepotenze, adatta gl’intenti; non dopo cena, e ne la notte de l’inconsi-derazione, e senza sole d’intelligenza e lume di raggione; non a dig-giuno stomaco, la mattina, cioè senza fervor di spirito, ed esser beneiscaldato dal superno ardore; ma dopo pranso, cioè dopo aver gusta-to ambrosia di virtuoso zelo ed esser imbibito del nettare del divinoamore; circa il mezogiorno, o nel punto di quello, cioè, quando menone oltraggia nemico errore, e piú ne favorisce l’amica veritade, intermine di piú lucido intervallo. Allora si dà spaccio a la bestia trion-fante, cioè a gli vizii che predominano e sogliono conculcar la partedivina; si ripurga l’animo da errori, e viene a farsi ornato de virtudi;e per amor della bellezza che si vede nella bontà e giustizia natura-le, e per desio de la voluttà consequente da frutti di quella, e per odioe tema de la contraria difformitade e dispiacere.

Questo s’intende accettato ed accordato da tutti e in tutti gli dei,quando le virtudi e potenze de l’anima concorreranno a faurir l’o-

Page 140: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

140

pra ed atto di quel tanto che per giusto, buono e vero definisce quel-lo efficiente lume; ch’addirizza il senso, l’intelletto, il discorso, lamemoria, l’amore, la concupiscibile, l’irascibile, la sinderesi, l’ele-zione: facultadi significate per Mercurio, Pallade, Diana, Cupido,Venere, Marte, Momo, Giove ed altri numi.

Dove dunque era l’Orsa, per raggion del luogo, per esser partepiù eminente del cielo, si prepone la Verità; la quale è più alta edegna de tutte cose, anzi la prima, ultima e mezza; perché ellaempie il campo de l’Entità, Necessità, Bontà, Principio, Mezzo,Fine, Perfezione: si concepe ne gli campi contemplativi metafisico,fisico, morale, logicale. E con l’Orsa descendeno la Difformità,Falsità, Difetto, Impossibilità, Contingenzia, Ipocrisia, Impostura,Fellonia. – La stanza de l’Orsa maggiore, per causa da non dirla inquesto luogo, rimane vacante. – Dove s’obliqua ed incurva ilDrago, per esser vicina alla Verità, si loca la Prudenza con le suedamigelle, Dialettica e Metafisica, che ha circonstanti da la destrala Callidità, Versuzia, Malizia, da la sinistra la Stupidità, l’Inerzia,l’Imprudenzia. Versa nel campo della Consultazione. Da quel luogocasca la Casualità, l’Improvisione, la Sorte, la Stracuragine, con lesinistre e destre circonstanti. Da là, dove solo scrimisce Cefeo, cadeil Sofisma, l’Ignoranza di prava disposizione, la Stolta Fede con leserve, ministre e circonstanti; e la Sofia, per esser compagna de laPrudenza, vi si presenta, e si vedrà versar negli campi divino, natu-rale, morale, razionale. – Là dove Artofilace osserva il carro, montala Legge, per farsi vicina alla madre Sofia; e quella vedrassi versa-re ne li campi divino, naturale, gentile, civile, politico, economicoed etico particolare, per gli quali s’ascende a cose superiori, sidescende a cose inferiori, si distende ed allarga a cose uguali e siversa in se stesso. Da là cade la Prevaricazione, Delitto, Eccesso,Exorbitanza con li loro figli, ministri e compagni. Ove luce laCorona boreale, accompagnandola la Spada, s’intende il Giudizio,come prossimo effetto de la legge ed atto di giustizia. Questo saràveduto versare in cinque campi di Apprensione, Discussione,Determinazione, Imposizione, Execuzione; ed indi, per conseguen-za, cade l’Iniquitade con tutta la sua fameglia. Per la corona, chetiene la quieta sinistra, si figura il Premio e Mercede; per la spada,che vibra la negociosa destra, è figurato il Castigo e Vendetta. –Dove con la sua mazza par che si faccia spacio Alcide, dopo ildibatto de la Ricchezza, Povertade, Avarizia e Fortuna, con le lor

Page 141: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

141

presentate corti, va a far la sua residenza la Fortezza, la qual vedre-te versar negli campi de l’Impugnazione, Ripugnanza,Espugnazione, Mantenimento, Offensione, Defensione; dalla cuidestra cascano la Ferinità, la Furia, la Fierezza; e dalla sinistra laFiacchezza, Debilità, Pusillanimità; e circa la quale si veggono laTemeritade, Audacia, Presunzione, Insolenza, Confidenza, ed a l’in-contro la Viltà, Trepidazione, Dubio, Desperazione con le compa-gne e serve. Versa quasi per tutti gli campi. – Dove si vede la Liradi nove corde, monta la madre Musa con le nove figlie, Aritmetrica,Geometria, Musica, Logica, Poesia, Astrologia, Fisica, Metafisica,Etica; onde, per conseguenza, casca l’Ignoranza, Inerzia eBestialitade. Le madri han l’universo per campo, e ciascuna de lefiglie ha il proprio suggetto. – Dove distende l’ali il Cigno, ascendela Penitenza, Ripurgazione, Palinodia, Riformazione, Lavamento;ed indi, per conseguenza, cade la Filautia, Immondizia, Sordidezza,Impudenzia, Protervia con le loro intiere fameglie. Versano circa eper il campo de l’Errore e Fallo. – Onde è dismessa l’incatedrataCassiopea con la Boriosità, Alterezza, Arroganza, Iattanza ed altrecompagne che si vedeno nel campo de l’Ambizione e Falsitade;monta la regolata Maestà, Gloria, Decoro, Dignità, Onore ed altricompagni con la lor corte, che per ordinario versano ne li campidella Simplicità, Verità ed altri simili per principale elezione; e tal-volta per forza di Necessitade in quello de la Dissimulazione ed altrisimili, che per accidente possono esser ricetto de virtudi. – Ove ilferoce Perseo mostra il gorgonio trofeo, monta la Fatica,Sollecitudine, Studio, Fervore, Vigilanza, Negocio, Essercizio,Occupazione, con gli sproni del zelo e del timore. Ha Perseo glitalari de l’util Pensiero e Dispreggio del ben popolare, con gli mini-stri Perseveranza, Ingegno, Industria, Arte, Inquisizione eDiligenza; e per figli conosce l’Invenzione ed Acquisizione, dequali ciascuno ha tre vasi pieni di Bene di fortuna, di Ben di corpo,di Bene d’animo. Discorre ne gli campi di Robustezza, Forza,Incolumità; gli fuggono d’avanti il Torpore, l’Accidia, l’Ocio,l’Inerzia, la Desidia, la Poltronaria, con tutte le lor fameglie da uncanto; e da l’altro l’Inquietitudine, Occupazion stolta, Vacantaria,Ardelia, Curiositade, Travaglio, Perturbazione, che esceno dalcampo de l’Irritamento, Instigazione, Constrettura, Provocazioneed altri ministri che edificano il palaggio del Pentimento. – A lastanza de Triptolemo monta la umanità con la sua fameglia:

Page 142: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

142

Conseglio, Aggiuto, Clemenzia, Favore, Suffragio, Soccorso,Scampo, Refrigerio, con altri compagni e fratelli di costoro e suoiministri e figli, che versano nel campo de la Filantropia proprio, acui non s’accosta la Misantropia, con la sua corte: Invidia,Malignità, Disdegno, Disfavore ed altri fratelli di questi, che discor-reno per il campo de la Discortesia, ed altri viziosi. – A la casa del’Ofiulco sale la Sagacità, Accortezza, Sottilezza ed altre simili vir-tudi abitanti nel campo de la Consultazione e Prudenza; onde fuggela Goffaria, Stupidezza, Sciocchezza con le lor turbe, che tuttecespitano nel campo de l’Imprudenza ed Inconsultazione. – In locode la Saetta si vede la giudiciosa Elezione, Osservanza ed Intento,che si essercitano nel campo de l’ordinato Studio, Attenzione edAspirazione; e da là si parteno la Calunnia, la Detrazione, ilRepicco ed altri figli d’Odio ed Invidia che si compiaceno ne gli ortide l’Insidia, Ispionia e simili ignobili e vilissimi coltori. – Al spa-cio, in cui s’inarca il Delfino, si vede la Dilezione, Affabilità,Officio, che insieme con la lor compagnia si trovano nel campo dela Filantropia, Domestichezza; onde fugge la nemica ed oltraggiosaturba, ch’a gli campi della Contenzione, Duello e Vendetta si ritira.– Là d’onde l’Aquila si parte con l’Ambizione, Presunzione,Temeritade, Tirannia, Oppressione ed altre compagne negociose nelcampo de l’Usurpazione e Violenza, va ad soggiornare laMagnanimità, Magnificenza, Generosità, Imperio, che versano ne licampi della Dignitade, Potestade, Autoritade. – Dove era il Pegaseocavallo, ecco il Furor divino, Entusiasmo, Rapto, Vaticinio eContrazione, che versano nel campo de l’Inspirazione; onde fuggelontano il Furor ferino, la Mania, l’Impeto irrazionale, laDissoluzione di spirito, la Dispersion del senso interiore, che si tro-vano nel campo de la stemprata Melancolia, che si fa antro al Genioperverso. – Ove cede Andromeda con l’Ostinazione, Perversitade estolta Persuasione, che si apprendeno nel campo de la doppiaIgnoranza, succede la Facilità, la Speranza, l’Aspettazione, che simostraranno al campo della buona Disciplina. – Onde si spicca ilTriangolo, ivi si fa consistente la Fede, altrimente detta Fideltade,che s’attende nel campo de la Constanza, Amore, Sincerità,Simplicità, Verità ed altri, da quali son molto discosti gli campi dela Frode, Inganno, Instabilità. – A la già regia del Montone eccomesso il Vescovato, Ducato, Exemplarità, Demonstranza,Conseglio, Indicazione, che son felici nel campo de l’Ossequio,

Page 143: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

143

Obedienza, Consentimento, virtuosa Emulazione, Imitazione; e dalà si parte il mal Essempio, Scandalo, Alienamento, che son crucia-ti nel campo de la Dispersione, Smarrimento, Apostasia, Scisma,Eresia. – Il Tauro mostra esser stato figura de la Pazienza,Toleranza, Longanimitade, Ira regolata e giusta, che si maneggianonel campo del Governo, Ministerio, Servitude, Fatica, Lavoro,Ossequio ed altri. Seco si parte l’Ira disordinata, la Stizza, ilDispetto, il Sdegno, Ritrosia, Impazienza, Lamento, Querela,Còlera, che si trovano quasi per gli medesimi campi. – Dove abita-vano le Pleiadi, monta la Unione, Civilità, Congregazione, Popolo,Republica, Chiesa, che consisteno nel campo del Convitto,Concordia, Communione; dove presiede il regolato Amore; e conquelle è trabalsato dal cielo il Monopolio, la Turba, la Setta, ilTriumvirato, la Fazione, la Partita, l’Addizione, che periclitano ne’campi de disordinata Affezione, iniquo Dissegno, Sedizione,Congiura, dove presiede il Perverso Conseglio con tutta la suafameglia. – Onde parteno li Gemegli, sale il figurato Amore,Amicizia, Pace, che si compiaceno ne’ proprii campi; e quelli ban-diti menan seco la Parzialitade indegna, che ostinata affigge il piedenel campo de l’iniquo e perverso Desio. – Il Granchio mena seco lamala Repressione, l’indegno Regresso, il vil Difetto, il non lodabi-le Refrenamento, la Dismession de le braccia, la Ritrazion de’ piedidal ben pensare e fare, il Ritessimento di Penelope ed altri similiconsorti e compagni che si rimetteno e serbano nel campo del’Inconstanza, Pusillanimità, Povertà de spirto, Ignoranza ed altrimolti; ed alle stelle ascende la Conversion retta, Ripression dalmale, Ritrazion dal falso ed iniquo con gli lor ministri, che si rego-lano nel campo del Timore onesto, Amor ordinato, retta Intenzione,lodevol Penitenza ed altri sozii contrarii al mal Progresso, al rioAvanzamento, Pertinacia profittevole. – Mena seco il Leone il tiran-nico Terrore, Spavento e Formidabilità, la perigliosa ed odibileAutoritade e Gloria della presunzione e Piacere di esser temuto piùtosto che amato. Versano nel campo del Rigore, Crudeltà, Violenza,Suppressione, che ivi son tormentate da le ombre del Timore eSuspizione; ed al celeste spacio ascende la Magnanimità,Generosità, Splendore, Nobiltà, Prestanza, che administrano nelcampo della Giustizia, Misericordia, giusta Debellazione, degnaCondonazione, che pretendeno sul studio d’esser più tosto amateche temute; ed ivi si consolano con la Sicurtà, Tranquillitade di spi-

Page 144: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

144

rito e lor fameglia. – Va a giongersi con la Vergine la Continenza,Pudicizia, Castità, Modestia, Verecundia, Onestade, che trionfanonel campo della Puritade ed Onore, spreggiato da l’Impudenza,Incontinenza ed altre madri de nemiche fameglie. – Le Bilancie sonstate tipo de la aspettata Equità, Giustizia, Grazia, Gratitudine,Rispetto ed altri compagni, administratori e seguaci, che versanonel trino campo della Distribuzione, Commutazione e Retribuzione,dove non mette piè l’Ingiustizia, Disgrazia, Ingratitudine,Arroganza ed altre lor compagne, figlie ed amministratrici.

Dove incurvava l’adunca coda e stendeva le sue branche loScorpione, non appare oltre la Frode, l’iniquo Applauso, il fintoAmore, l’Inganno, il Tradimento, ma le contrarie virtudi, figliedella Simplicità, Sincerità, Veritade, e che versano ne gli campi dele madri. – Veggiamo ch’il Sagittario era segno dellaContemplazione, Studio e buono Appulso con gli lor seguaci e ser-vitori, che hanno per oggetto e suggetto il campo del Vero e delBuono, per formar l’Intelletto e Voluntade, onde è molto absentatal’affettata Ignoranza e Spenseramento vile. – Là dove ancora risie-de il Capricorno, vedi l’Eremo, la Solitudine, la Contrazione edaltre madri, compagne ed ancelle, che si ritirano nel campo del’Absoluzione e Libertà, nel quale non sta sicura la Conversazione,il Contratto, Curia, Convivio ed altri appartinenti a questi figli,compagni ed amministratori. – Nel luogo de l’umido e stempratoAquario vedi la Temperanza, madre de molte ed innumerabili virtu-di, che particolarmente ivi si mostra con le figlie Civilità edUrbanitade, dalli cui campi fugge l’Intemperanza d’affetti con laSilvestria, Asprezza, Barbaria. – Onde con l’indegno Silenzio,Invidia di sapienza e Defraudazion di dottrina, che versano nelcampo de la Misantropia e Viltà d’ingegno, son tolti gli Pesci, vivien messo il degno Silenzio e Taciturnitade che versano nel campode la Prudenza, Continenza, Pazienza, Moderanza ed altri, da qualifuggono a’ contrarii ricetti la Loquacità, Moltiloquio, Garrulità,Scurrilità, Boffonaria, Istrionia, Levità di propositi, Vaniloquio,Susurro, Querela, Mormorazione. – Ove era il Ceto in secco, sitrova la Tranquillità de l’animo, che sta sicuro nel campo de la Pacee Quiete; onde viene esclusa la Tempesta, Turbulenza, Travaglio,Inquietitudine ed altri socii e frategli. – Da là dove spanta gli numiil divo e miracoloso Orione con l’Impostura, Destrezza, Gentilezzadisutile, vano Prodigio, Prestigio, Bagattella e Mariolia, che qual

Page 145: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

145

guide, condottieri e portinaii administrano alla Iattanzia,Vanagloria, Usurpazione, Rapina, Falsitade ed altri molti vizii, ne’campi de quali conversano, ivi viene esaltata la Milizia studiosacontra le inique, visibili ed invisibili potestadi; e che s’affatica nelcampo della Magnanimità, Fortezza, Amor publico, Verità ed altrevirtudi innumerabili. – Dove ancor rimane la fantasia del fiumeEridano, s’ha da trovar qualche cosa nobile, di cui altre volte parla-remo, perché il suo venerando proposito non cape tra questi altri. –D’onde è tolta la fugace Lepre col vano Timore, Codardiggia,Tremore, Diffidenza, Desperazione, Suspizion falsa ed altri figli efiglie del padre Dappocagine ed Ignoranza madre, si contemple ilTimor, figlio della Prudenza e Considerazione, ministro de la Gloriae vero Onore, che riuscir possono da tutti gli virtuosi campi. – Dovein atto di correre appresso la lepre, avea il dorso disteso il Can mag-giore, monta la Vigilanza, la Custodia, l’Amor de la republica, laGuardia di cose domestiche, il Tirannicidio, il Zelo, la Predicazionsalutifera, che si trovano nel campo de la Prudenza e Giustizia natu-rale; e con quello viene a basso la Venazione ed altre virtù ferine ebestiali, le quali vuol Giove che siano stimate eroiche, benché ver-seno nel campo de la Manigoldaria, Bestialità e Beccaria. – Menaseco a basso la Cagnuola, l’Assentazione, Adulazione e vileOssequio con le lor compagnie; ed ivi in alto monta la Placabilità,Domestichezza, Comità, Amorevolezza, che versano nel campo dela Gratitudine e Fideltade. – Onde la Nave ritorna al mare insiemecon la vile Avarizia, buggiarda Mercatura, sordido Guadagno, flut-tuante Piratismo ed altri compagni infami, e per il più de le voltevituperosi, va a far residenza la Liberalità, Comunicazione officio-sa, Provision tempestiva, utile Contratto, degno Peregrinaggio,munifico Transporto con gli lor fratelli, comiti, temonieri, remiga-tori, soldati, sentinieri ed altri ministri, che versano nel campo de laFortuna. – Dove s’allungava e stendeva le spire il Serpe australe,detto l’Idra, si fa veder la provida Cautela, giudiciosa Sagacità,revirescente Virilità; onde cade il senil Torpore, la stupidaRifanciullanza con l’Insidia, Invidia, Discordia, Maldicenza edaltre commensali. – Onde è tolto con il suo atro Nigrore, crocitanteLoquacità, turpe e zinganesca Impostura, con l’odiosoAffrontamento, cieco Dispreggio, negligente Servitude, tardoOfficio e Gola impaziente, il Corvo, succedeno la Magia divina cole sue figlie, la Mantia con gli suoi ministri e fameglia, tra gli quali

Page 146: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

146

l’Augurio è principale e capo, che sogliono per buon fine esercitar-si nel campo de l’Arte militare, Legge, Religione e Sacerdozio. –D’onde con la Gola ed Ebrietade è presentata la Tazza con quellamoltitudine de ministri, compagni e circonstanti, là si vedel’Abstinenza, ivi è la Sobrietade e Temperanza circa il vitto, con glilor ordini e condizioni. – Dove persevera ed è confirmato nella suasacristia il semideo Centauro, si ordina insieme la divina Parabola,il Misterio sacro, Favola morale, il divino e santo Sacerdocio congli suoi institutori, conservatori e ministri; da là cade ed è banditala Favola anile e bestiale con la sua stolta Metafora, vana Analogia,caduca Anagogia, sciocca Tropologia e cieca Figuratura, con le lorfalse corti, conventi porcini, sediciose sette, confusi gradi, ordinidisordinati, difformi riforme, immonde puritadi, sporche purifica-zioni e perniciosissime forfantarie che versano nel campo del’Avarizia, Arroganza ed Ambizione; ne li quali presiede la torvaMalizia, e si maneggia la cieca e crassa Ignoranza.

Con l’Altare è la Religione, Pietade e Fede: e dal suo angoloorientale cade la Credulità con tante pazzie e la Superstizione contante cose, coselle e coselline; e dal canto occidentale l’iniquaImpietade ed insano Ateismo vanno in precipizio. – Dove aspetta laCorona australe, ivi è il Premio, l’Onore e Gloria, che son gli fruttide le virtudi faticose e virtuosi studi, che pendeno dal favore de ledette celesti impressioni. – Onde si prende il Pesce meridionale, là èil Gusto de gli già detti onorati e gloriosi frutti; ivi il Gaudio, il fiumede le Delicie, torrente de la Voluptade, ivi la Cena, ivi l’anima

Pasce la mente de sì nobil cibo,Ch’ambrosia e nettar non invidia a Giove.

Là è il Termine de gli tempestosi travagli, ivi il Letto, ivi il tran-quillo Riposo, ivi la sicura Quiete.

Vale.

Page 147: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

147

SPACCIO DE LA BESTIA TRIONFANTE (LONDRA, 1584)Note ed osservazioni in forma di commento

Il cielo della ragione amorosa bruniana rivoluziona – ribalta, rovescia edissolve – la chiusura e la limitazione precostituita imposta dall’Uno ridut-tivo, necessario e d’ordine, della tradizione neoplatonico-aristotelica: sosti-tuisce l’extra-temporalità dell’eternità astratta con l’intra-temporalità offer-ta dal fattore apertamente e molteplicemente creativo, facendo in modo chemateria e natura stabiliscano l’alto principio di una ragione universale chesi esprime attraverso l’inesauribile ed incoercibile diversificazione vitale.L’atto continuamente discreto dell’infinito bruniano rimodula in continua-zione la possibilità dell’essere attraverso una tensione sempiterna al supe-ramento, con la conseguente dimostrazione della necessità di una trasfor-mazione dialettica.1

Per tanto non sia chi pense altrimente, eccetto che questi tre dialogi sonstati messi e distesi sol per materia e suggetto d’un artificio futuro; perché,essendo io in intenzione di trattar la moral filosofia secondo il lume internoche in me ave irradiato ed irradia il divino sole intellettuale, mi par espedien-te prima di preponere certi preludii a similitudine de musici; imbozzar certioccolti e confusi delineamenti ed ombre, come gli pittori; ordire e distenderecerta fila, come le tessetrici; e gittar certi bassi, profondi e ciechi fondamenti,come gli grandi edificatori: il che non mi parea più convenientemente potereffettuarsi, se non con ponere in numero e certo ordine tutte le prime forme dela moralità, che sono le virtudi e vizii capitali, nel modo che vedrete al presen-te introdutto un repentito Giove, ch’avea colmo di tante bestie, come di tantivizii, il cielo, secondo la forma di quarant’otto famose imagini; ed ora consul-tar di bandir quelli dal cielo, da la gloria e luogo d’esaltazione, destinandogliper il più certe regioni in terra, ed in quelle medesime stanze facendo succe-dere le già tanto tempo bandite e tanto indegnamente disperse virtudi.

1 G. BRUNO. Spaccio de la Bestia trionfante. Sansoni, Firenze 19583 (rist. 1985). Il c.d.stabilissimo moto metafisico bruniano – direttamente tematizzato nei De gli Eroici furo-ri – specifica l’unità degli opposti bruniana, mostrandone un’interna struttura teologica(lo Spirito del Figlio nella sua unità – ideale e reale – con il Padre). «Sofia. Quello che

Page 148: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

148

È dunque questa rivoluzione2 a costituire la riforma bruniana del cielo:solo la riapertura del movimento universale può, infatti, sia ricostituire ilvero, positivo e necessario3 valore dell’atto creativo, sia dare apparenzacompleta della propria interna autodeterminazione.4 Può dare apparenzacompleta del principio che rende inscindibili libertà ed eguaglianza: l’amo-re infinito ed universale. Perciò lo stesso principio scoperto e portato argo-mentativamente alla luce nel De l’Infinito, Universo e mondi – nell’ambitofisico-teologico – viene ribadito sotto le sembianze dell’assunto fondamen-tale imposto alla prassi umana: il monito e l’esaltazione di una ragione nonchiusa, ma aperta. E così interiormente propulsiva e molteplice, ricca inmodo esuberante e nello stesso tempo tollerante: anima tesa dall’interno afar valere la molteplicità dei costumi come deposizione creativa di scopi,essa vale quale diversità di finalità e di forme, capaci di rendere semprefeconda quella mutua relazione – l’amore dal divino e per il divino5 – chefonda e rende stabile il convitto umano.

Così contro quella fatale necessità che pare immobilizzare progressiva-mente il movimento ed il progresso liberatorio dell’essere, il ripristino del-l’apertura superiore dell’amore eguale e libero pare al contrario ridonareall’essere, nel suo complesso ed interezza, il senso della propria pienezzauniversale ed infinita fecondità. Allora il carattere creativo – sciolto e svi-luppato nell’autodeterminazione – innalzerà ed estenderà ogni scopo e fina-lità, razionale e naturale insieme. La grandezza e la civiltà del costume –fondata sul principio dell’amore infinito ed universale – libererà e renderàpari il desiderio, la potenza e la volontà dei soggetti, annichilendo quella

da ciò voglio inferire, è che il principio, il mezzo ed il fine, il nascimento, l’aumento ela perfezione di quanto veggiamo, è da contrarii, per contrarii, ne’ contrarii, a contrarii:e dove è la contrarietà, è la azione e reazione, è il moto, è la diversità, è la moltitudine,è l’ordine, son gli gradi, è la successione, è la vicissitudine.» Pag. 573.

2 Ivi, pagg. 577-578. «Sofia. Pensa al suo giorno del giudizio, perché il termine de gli o piùo meno o a punto trentasei mila anni, come è publicato, è prossimo; dove la revoluzion del’anno del mondo minaccia, ch’un altro Celio vegna a repigliar il domíno e per la virtú delcangiamento ch’apporta il moto de la trepidazione, e per la varia, e non piú vista, né uditarelazione ed abitudine di pianeti. Teme che il fato disponga, che l’ereditaria successionenon sia come quella della precedente grande mondana revoluzione, ma molto varia ediversa, cracchieno quantosivoglia gli pronosticanti astrologi ed altri divinatori.»

3 Ivi, pagg. 579-581. 4 Ivi, pag. 583. 5 Ivi, pag. 586. «La bella madre del gemino amore, / La diva potestà d’uomini e dei, /

Quella per cui ogni animante al mondo / Vien conceputo, e nato vede il sole, / Per cuifuggono i venti e le tempeste, / Quando spunta dal lucid’oriente, / Gli arride il martranquillo, e di bel manto / La terra si rinveste, e gli presenta / Per belle man di Naiadegentili / Di copia di fronde, fiori e frutti / Colmo il smaltato corno d’Acheloo.»

Page 149: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

149

negazione totale che nasce nella costituzione della necessità riduttiva edillibertaria, non creativa ed a-dialettica (l’Unità d’ordine).6

Il creativo e dialettico allora costituisce nello Spaccio de la Bestia trion-fante bruniano lo spazio ed il tempo dell’apparire del vero, del buono e delgiusto: apre e sollecita la molteplicità – nella moltiplicazione continua pro-pria della vitalità naturale e razionale – per ravvisarne e ricordarne l’unita-rio movimento interno, il vincolo che la fa sorgere e conservare nell’alta ebenefica Provvidenza. Il vincolo che rimette in circolo nuovamente neces-sità e libertà, attraverso la comune ed amorosa eguaglianza (“nettare deldivino amore”).7 Allora la parte pratica dell’intelligenza – l’ingegno, l’ope-rosità e la prudenza dettate dalla “bontà e giustizia naturale” – garantirannol’aperta unità dei soggetti, con quel lume di ragione che ne rischiara gliideali e gli obiettivi, muovendo conoscenza ed azione, piacere e desiderio,verso una comune scelta di libertà.

Questo principio, dunque, stima Giove esser quella sustanza che è vera-mente l’uomo, e non accidente che deriva dalla composizione. Questo è ilnume, l’eroe, il demonio, il dio particolare, l’intelligenza; in cui, da cui e percui, come vegnon formate e si formano diverse complessioni e corpi, cossìviene a subintrare diverso essere in specie, diversi nomi, diverse forme.

Il progetto rivoluzionario bruniano – così capace di riforma, ovvero diricostituzione di un corretto rapporto fra libertà e necessità – coinvolge per-tanto l’orizzonte – il cielo – della ragione creativa ed immaginativa (l’inte-ro sviluppo delle 48 immagini celesti bruniane), coinvolgendo insieme lepotenze del pensare, del sentire e del fare.

Questo mondo, tolto secondo l’imaginazion de stolti matematici, ed accet-tato da non più saggi fisici, tra quali gli Peripatetici son più vani, non senzafrutto presente: prima diviso come in tante sfere, e poi distinto in circa quaran-

6 La trasformazione temuta da Giove e che Giove stesso necessariamente subisce –insieme alla corte degli dei – per la rivoluzione dell’anno del mondo, pare proprio rida-re alla luce – prima dell’apertura creativa ed universale, nel suo atto di rideterminazio-ne e sviluppo – una forma deteriore di libertà, legata alla fortuna ed al caso. Questaforma deteriore e negativa di libertà sembra essere quella propugnata dai più volgaricortigiani e pedanti, attenti al fragile riconoscimento dei principi, più che ai cardinirappresentati dalla verità e dalla virtù. Verità e virtù che saranno ripristinate, per egua-le ed amorosa necessità, dalla filosofia bruniana.

7 Allegoricamente Bruno mostra il ricircolo della necessità e della libertà attraverso ilpassaggio dall’invito che Venere offre al ballo in memoria della battaglia contro igiganti a quello che Giove realizza tramite il consiglio di tutti gli dei. Qui la funzionemaggiore viene esplicata dal desiderio religiosamente operante. Ivi, pag. 593.

Page 150: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

150

t’otto imagini (nelle quali intendeno primamente partito un cielo ottavo, stel-lifero, detto da’ volgari firmamento), viene ad essere principio e suggetto delnostro lavoro.

È all’interno di quella aperta triangolazione che la stessa antica figura-zione del divino diviene negativa, ovvero immediatamente criticabile esuperabile tramite la rivoluzione bruniana (ecco la funzione allegorica dellafigura di Momo): l’antica apparenza celeste degli dei sembra ottenere,infatti, dal comune riconoscimento il senso ed il significato di una attestataimmoralità, di una costante e tenace battaglia contro la verità e la bontà, peril desiderio di un’appropriazione esclusiva, di un dominio e di una potenzatanto radicati profondamente quanto profondamente ingiustificati. L’anticodesiderio di possesso, con la violenza e la guerra che se ne fanno connatu-rate accompagnatrici, vengono sottoposte al vaglio della critica bruniana –Giove che chiede penitenza agli dei, prima di rivolgere il medesimo moni-to verso se stesso – che, dunque, prepara con la sua riforma del cielo unanuova morale ed una diversa giustificazione. L’ignorante violenza accom-pagna, infatti, nella visione bruniana il tradimento della vera ed autenticafede: quasi a liberare la terra dalla vera religione, ne dipinge in cielo l’im-magine contraffatta, in tal modo affondandone le reali vestigia (“sommersanave de la religion”). Così la violenza di una potenza irrazionale ed ingiu-stificata può regnare senza contraddizione, senza opposizione e senzamovimento, trasformazione o rivoluzione alcuna: qui, allora, il disegno bru-niano dello spirito del tempo tardorinascimentale pare riconoscere quantola tradizionale trasmissione del potere si avvalga della neoformazione ideo-logica elaborata dalla fusione fra lo spasmodico bisogno di una quasi neces-saria salvezza e il segno apparentemente richiesto di una ricchezza sovrab-bondante e quasi creativa. Nello spirito assolutistico e borghese del tempoGiordano Bruno ritrova, infatti, i germi della dissoluzione definitiva dellaciviltà e del consesso umano, ne scruta le radici negative e ne profetizza lefuture apocalissi. Radici e dannazioni che paiono quasi fatali, nella loroapparente inamovibilità e necessità.

Così, secondo la considerazione critica bruniana, la stessa esaltazionerinascimentale e tardorinascimentale dell’astrologia e della magia erudita8

raccoglie un medesimo intento ideologico, di abbellimento e di glorifica-zione di un potere gerarchico appena trasformato e rimodellato, secondo laprevalenza e l’egemonia imposte dalla nuova figura temporale del Principeterreno, attraverso l’esibizione della sua bestiale potenza ed astuzia. Ora laviolenza aperta del passato si abbellisce e si adorna, si nasconde, utilizzan-

8 Ivi, pag. 605.

Page 151: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

151

do gli artifici retorici ed umanistici della prevalenza quasi naturale degliatteggiamenti e comportamenti classici della tradizione politica occidenta-le: lo spirito di dominio e di superiorità, la violenza della fede e del potere,l’annichilazione di ogni opposizione ed alternativa.

L’immagine contraffatta della religione – la fusione della fede e dell’in-telletto nella necessità univoca stabilita dal concetto e dalla prassi dell’Unonecessario e d’ordine, il loro distacco e la loro separazione attraverso l’alie-nazione di una potenza astratta – non può, allora, secondo la valutazionecritica bruniana, non trovare immediata e totale condanna, proprio nell’ele-mento che pare costituirne l’essenziale fondamento e principio: il desideriodi possesso.9 Il desiderio di possesso, infatti, costituisce il principio essen-ziale e fondamentale dell’elaborazione, costruzione, edificazione ed esalta-zione di quel concetto e della sua relativa prassi: non v’è, infatti, concetto eprassi dell’Uno necessario e d’ordine senza l’immagine stabile ed egual-mente necessaria, inamovibile, di un piacere e di un possesso totale, senzaresidui e senza opposizione; allo stesso modo non si può esercitare il movi-mento desiderato di una passione di conquista completa ed esauriente senzal’appello e la presupposizione, la vera e propria assoluta richiesta, di unSignore del dominio e del completo controllo. Il Dio certo dell’umana cer-tezza pretende, pertanto, di svuotare il senso della più vera ed autentica reli-giosità, ottenendo però – per effetto della vera ed autentica divina giustizia– di vedere svuotato se stesso dalla sensibile possibilità di visione e diorientamento: la vera ed autentica religiosità, l’apertura creativa dellaragione (la “Verità”), annulla il rapporto necessario con la potenza astratta(“l’Orsa”) e ripristina la relazione con la propria, intrinseca, potenza con-creta (“la prima, ultima e mezza”). Allora il creativo ed il dialettico muovo-no il pensiero al riconoscimento dell’ampio orizzonte dell’Uno infinito,individuando in esso quello stabile movimento che realizza l’esistente nelrapporto reciproco, con una medesima materia ed una pluralità infinita difini e di scopi, naturali e razionali. Qui allora riprende valore l’unica possi-bilità d’essere, senza divisione e separazione (alienazione).10

Allora si dà spaccio a la bestia trionfante, cioè a gli vizii che predominanoe sogliono conculcar la parte divina; si ripurga l’animo da errori, e viene afarsi ornato de virtudi; e per amor della bellezza che si vede nella bontà e giu-stizia naturale, e per desio de la voluttà consequente da frutti di quella, e perodio e tema de la contraria difformitade e dispiacere.

Questo s’intende accettato ed accordato da tutti e in tutti gli dei, quando levirtudi e potenze de l’anima concorreranno a faurir l’opra ed atto di quel tanto

9 Ivi, pagg. 605-610. 10 Ivi, pagg. 617-619.

Page 152: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

152

che per giusto, buono e vero definisce quello efficiente lume; ch’addirizza ilsenso, l’intelletto, il discorso, la memoria, l’amore, la concupiscibile, l’irasci-bile, la sinderesi, l’elezione: facultadi significate per Mercurio, Pallade,Diana, Cupido, Venere, Marte, Momo, Giove ed altri numi.

Il movimento dialettico e creativo – “Dialettica e Metafisica” – trasforma,quindi, l’antica brama e desiderio di possesso in amore infinito ed universa-le – la “Prudenza” – dimostrando nel contempo la rivoluzione del cielo inter-no e di quello esterno, la trasformazione della chiusa ed autonoma intelligen-za sensibile in ragione aperta ed immaginazione creativa, dove l’appelloall’Uno si capovolge nella relazione ai molti (“Consultazione”). Il nuovoordine rivoluzionario bruniano come, dunque, dissolve qualsiasi concezionedi chiusa ed autoreferente necessità, così supera all’opposto pure qualsiasipresupposto d’irresponsabilità: la causa, il fine e lo scopo stabiliti dal prin-cipio di una eguale e reciproca libertà muovono e realizzano i nuovi sogget-ti morali, superando e facendo decadere qualunque disordinata casualitànelle sorti e nelle fortune, in tal modo sostituendo al criterio di un’attribuzio-ne estrinseca il valore inalienabile di una scelta libera e ponderata.11

La libera apertura razionale e naturale (la “Sofia”) impedirà, poi, l’affer-marsi di quel luogo oscuro all’interno del quale tutto – natura e ragione –viene come digerito e dissolto, trasformato e soprattutto neutralizzato edirreggimentato, dominato e controllato: la superstizione del potere (la“Stolta Fede”).12 Contro la superstizione del potere Bruno – il lucrezianoBruno – allora rammenta quella coincidenza di potenza e volontà che costi-tuisce il fondamento stabile ed eterno della buona costumazione: solo l’os-servanza dell’amore infinito ed universale (la “Legge”) permette, infatti, ilcostituirsi, lo svilupparsi ed il libero conservarsi dei consessi umani. Senzaquesto riconoscimento prevale quella discriminazione fondata sulla violen-za sacralizzata – ed è lo stesso racconto mitologico della violenza perpetra-ta da Giove su Callisto, o la “necessaria” passione in croce del Cristo – laquale non potrà non avere fatalmente fine, se non con la scomparsa di quel-la stessa collettività che a questa violenza rituale si era volontariamenteunita, soggiogandosi.13 Contro il criterio di merito stabilito e fissato da que-sta subordinazione – la stessa fede cieca ed asinina tanto vituperata daBruno ha questa origine – che pare essere principio della forma d’inciviltàe della crisi d’Occidente al tempo della nascita della cosiddetta modernità,la rivoluzionaria riacquisizione e ripartizione dei beni e delle ricchezze(naturali e razionali) bruniana manterrà il merito di una giusta eguaglianza

11 Ivi, pagg. 619-620. 12 Ivi, pagg. 620-621. 13 Ivi, pagg. 621-622.

Page 153: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

(l’alta corona, infinitamente comunicabile, del “Giudizio”), in un perfettoequilibrio fra ciò che viene ottenuto per sé e ciò che viene riconosciuto aglialtri soggetti (naturali e razionali). Qui si radica l’anatema lanciato daBruno nei confronti delle sette riformate, apparentemente dedite al perse-guimento di un possesso spirituale e materiale esclusivo e quindi, reattiva-mente, discriminante e violento.14

Nel bene superiore di una giusta eguaglianza – atto finale e risultante dimolteplice determinazione – Giordano Bruno può, quindi, definire l’acco-stamento e la reciproca compenetrazione fra la potenza e l’atto d’infinito:qui l’unità trova ed offre sostanza, sostentamento e forza (“Ercole” e la“Fortezza”) alla pluralità dei soggetti naturali e razionali, disponendoli allalotta ed alla difesa della libertà civica comune.15 La provvidenzialità di que-sto rapporto (“Mercurio”) forgia la Sapienza (“Sofia”), creando e distri-buendo tutti quegli strumenti che sono necessari alla conservazione di quel-la libertà civile: tutte le invenzioni dello spirito di giustizia umano trovanoallora campo di esistenza all’interno di un orizzonte razionale infinito, dovel’innumerabilità delle determinazioni realizza la necessità di un soggetto edi una potenza universale, che ordini l’innumerabile entro una relazione checonservi la diversità e la molteplicità degli scopi ed effetti naturali. È dun-que l’unità tendenziale dell’orizzonte razionale a costituire quella fonte diimmaginazione all’interno della quale trovano poi collocazione le vestigiae le tracce sensibili dell’affetto intellettuale, del desiderio che si fa materia.Ma materia nuova, rivoluzionata: come più esplicitamente ed apertamentetematizzerà ed argomenterà nella Cabala del Cavallo pegaseo, qui la spe-culazione bruniana comincia a compiere una torsione del concetto e dellarelativa prassi assegnati alla materia, accompagnandola a quella rivoluzio-ne che aveva completamente trasformato nei dialoghi precedenti il concet-to e la prassi assegnati alla forma (l’un-infinito).

L’intelletto sensibile bruniano – la ragione universale – attraverso l’au-todeterminazione celeste e terrena – la creazione degli astri celesti e la con-tinuazione e sviluppo dei mondi e della vita nei mondi – procede dunque adare completa rappresentazione dell’universale movenza della vita genera-le, assegnandole quale criterio la giustizia della necessità, resa e trasforma-ta in comune e reciproca libertà. Contro le vicendevoli tirannie delle settereligiose e dei poteri terreni – che affliggono la Sofia terrena – la necessa-ria riapertura dell’orizzonte infinito di libertà e la saggezza civile del suocomune rispetto ingenerano nel consesso umano un nuovo ordine: l’ordinedella comune ed eguale giustizia.16

153

14 Ivi, pagg. 622-627. 15 Ivi, pagg. 627-630.16 Ivi, pagg. 630-645.

Page 154: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

L’orizzonte aperto dell’Uno infinito giustifica, pertanto, l’eminenza e lapriorità della potenza razionale, l’atto della sua autodeterminazione, insiemeal rigetto, alla negazione ed al dissolvimento del presupposto che imponganecessariamente una determinazione estrinseca, da dominante a dominato: ilcampo stesso di questa potenza è, infatti, illimitato, avendo come scopo mul-tiforme lo sviluppo di relazioni necessarie, secondo effetti dialettici provvi-denzialmente sostenuti (per analogia si immaginino le relazioni cosmologi-che che sostengono astri solari e pianeti terrestri). Non può, dunque, sussi-stere alcuno spazio inferiore e distaccato, luogo di una dipendenza materia-le inerte ed inattiva: pertanto la natura non ha in sé l’immagine della sotto-missione a finalità estrinseche, possedendo al contrario intimamente laragione completa della propria determinazione. Quest’idea logica e sensibi-le apre, conseguentemente, il panorama e l’orizzonte di ciò che, essendovisibile nello spazio immaginativo, risulta pure sensibile al tempo del dive-nire: l’Universo sensibile dei mondi, delle loro reciproche relazioni e dellerelazioni che si instaurano all’interno di ciascuno degli orizzonti mondiali.17

L’azione e gli atti, le finalità e gli scopi, che emergono e si fanno valereall’interno di quell’orizzonte non possono dunque non rispettare il principioe la regola della sapiente codeterminazione dialettica, allontanando da sé peril tramite della riflessione le limitazioni estrinseche costituite, da un lato, daldesiderio del male e, dall’altro, dalla potenza inintelligente, incapace di fina-lità reali.18 Se, dunque, sapienza è finalità reale, l’azione creativa ne saràl’immagine viva: piena e completa, senza resistenze ed opposizioni; tuttadeterminazione autonoma, quindi capace di riflessione autocritica, di argo-mentazione dialettica, di ordine e sviluppo ininterrotto.19

Posta la relazione di apertura superiore, la tensione verticale che siinstaura e che lega insieme sapienza e legge vincola l’affetto e la passioneintellettuale, ingenerando la medesima comprensione naturale. Questa, asua volta, dispone la rete delle relazioni esistenziali, orizzontali, fra i duelimiti dell’invisibile e del visibile, delle idee e degli oggetti sensibili.L’immaginazione interna procede, quindi, ad una continua opera di distin-zione e di ricucitura, tutta protesa alla salvaguardia del principio del buongoverno, affinché il potere non si consideri assoluto e separato, ma temacontinuamente la propria fine fatale. È, dunque, nella libera e reciprocacompossibilità che quella codeterminazione dialettica trova la propria rea-lizzazione: dissolta l’univocità separata del potere assoluto e l’ordine dinecessità che impone, la Repubblica bruniana della buona ed eguale giusti-

154

17 Ivi, pagg. 646-648. 18 Ivi, pagg. 648-649. 19 Ivi, pagg. 649-652.

Page 155: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

155

zia consente la “civile conversazione”, lo scambio e la mutua e reciproca,paritaria, influenza e contemperanza dei costumi e dei comportamenti.20

In questo modo, come il criterio della doppia e reciproca compossibilitàdissolve la fondazione di un potere assoluto e separato – riflesso praticodella separazione e distinzione astratta fra infinito in atto ed infinito poten-ziale – così l’affermazione dello scopo ultimo della generale e comune uti-lità e felicità disintegra il legalismo necessario imposto dalla tradizione giu-ridica occidentale, rivoluzionando il pensiero e la prassi tese a regolare lerelazioni interindividuali. Solo l’orizzonte di una comune utilità e felicitàgiustificherà nella speculazione bruniana l’affermazione di una legge capa-ce di sostenere ed elevare un ideale di società nella quale dignità e giustiziastiano fra loro come le membra ben disposte di un corpo bello, sano e per-fetto. Solamente quando l’atto della giustizia sarà, senza residui, la potenzae la possibilità di un comune ventaglio di dignità, allora la codeterminazio-ne dialettica dei soggetti repubblicani bruniani troverà la regola e la nuovastella polare stabiliti dal cielo riformato, riscoprendo quell’ideale regolati-vo della intera vita civile che ora ne può ricostituire l’alto fondamentorazionale e l’ampio diritto naturale. Il merito dell’azione collettivamentebuona non può dunque non combattere quella separazione voluta dalla dot-trina protestante, che rende l’azione stessa quasi ininfluente e subordinataad una religiosità astratta, alienata.21 La ragione ed il diritto naturale brunia-no vincolano invece insieme la vera legge e l’autentica religiosità, offrendoil libero ma necessario campo della determinazione collettiva, del giudiziocomune. Qui la sfera della vita civile riesce a definire la propria virtù nobi-le e creativa, allontanando da sé l’opposta immagine della tirannica repres-sione ed al contrario indicando al proprio interno la coesione stabilita dallaalta circolarità della decisione. Questa allora costruisce e fortifica il mutuorispetto, rendendo più forte lo Stato nel mantenere sempre interna a se stes-so la propria virtù vivificatrice ed edificatrice. Opposto è invece il discorsointrattenuto da chi separa la virtù dello Stato dallo Stato stesso, assegnan-

20 Ivi, pag. 653: «a fine che gli potenti sieno sustenuti da gl’impotenti, gli deboli nonsieno oppressi da gli piú forti, sieno deposti gli tiranni, ordinati e confirmati gli giustigovernatori e regi, sieno faurite le republiche, la violenza non inculche la raggione, l’i-gnoranza non dispreggie la dottrina, li poveri sieno agiutati da’ ricchi, le virtudi e stu-dii utili e necessarii al commune sieno promossi, avanzati e mantenuti; sieno esaltati eremunerati coloro che profittaranno in quelli; e gli desidiosi, avari e proprietarii sienospreggiati e tenuti a vile. Si mantegna il timore e culto verso le potestadi invisibili;onore, riverenza e timore verso gli prossimi viventi governatori; nessuno sia prepostoin potestà, che medesimo non sia superiore de meriti, per virtude ed ingegno in cui pre-vaglia, o per sé solo, il che è raro e quasi impossibile, o con comunicazione e conse-glio d’altri ancora, il che è debito, ordinario e necessario.»

21 Ivi, pagg. 654-655.

Page 156: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

156

dola allo spazio e tempo (astratto ed alienato) di un soggetto assoluto, nega-tivo e repressivo della comune movenza civile, propositivo di una decisio-ne solitaria ed indiscutibile, di una dottrina e di un codice interpretativorivolti piuttosto all’annullamento dei processi di trasformazione che allaloro vivificazione e mantenimento. Qui la grammatica, la sintassi e lasemantica di un mondo unico ed esclusivo fa convergere lo studio pedante-sco filosofico con quello religioso e politico, contribuendo a mostrare inpiena evidenza ai nostri occhi moderni e contemporanei quella cattiva mol-tiplicazione di sette e mondi riformati che, per l’egemonia e la collocazio-ne entro la giusta forma di un unico contenuto, rirovesciano e sconvolgonol’ordine razionale e naturale dell’Essere, ingenerando in tutta Europa unaguerra ed una violenza infinita, reciproca e totalitaria.22

L’ordine razionale e naturale dell’Essere, così come viene riruotato eriorientato dalla speculazione bruniana, prevede invece la conservazionealta e necessaria dell’apertura di libertà, all’interno della quale la pluralitàdella determinazione sia il segno concreto e tangibile della ricchezza civi-le, generata grazie all’impulso ed alla spontaneità creativa mosse dal desi-derio di trasformare il bisogno e la povertà in liberazione. L’ordine irrazio-nale ed innaturale dell’essere tradizionale, invece, cattura la ricchezza civi-le, procurandone lo sviamento e la corruzione, demolendo il diritto, annul-lando la legge, negando la libertà ed il suo eguale movimento e riconosci-mento. Fonte di cattivazione e di imprigionamento dello spirito civile, l’a-lienazione ingenerata dalla separazione dell’Uno necessario e d’ordine edi-fica e costruisce lo spazio ed il tempo del dominio assoluto della pazzia(come normalità) e della violenta e scellerata abiezione (come giustizia).23

Qui sta, allora, la critica bruniana all’alienazione compiuta dal denaro:forma di concentrazione e negazione dell’aperta vita della libertà eguale efraterna, feticcio ed idolo del potere assoluto e suo strumento essenziale.Qui sta, ancora, la critica bruniana alla fusione fra questo spirito di assolu-tismo e la propria realizzazione potente, grazie ai buoni uffici della nascen-te classe borghese. Uno necessario e d’ordine e capitalità del profitto attra-verso lo scambio (“Fortuna”) si fondono infatti all’inizio della modernità,per assicurare lo sviluppo coerente ed incontrastato della concezione tradi-zionale dell’essere: all’opposto l’apertura dell’Uno infinito bruniano conte-sta ab origine questa trasmissione, rinnovando, come nel pensiero, cosìpure nella prassi, la concezione della vita proposta anteriormente alla nasci-ta della civiltà classica, platonico-aristotelica: la concezione della vita offer-ta dai presocratici. Come la tradizione platonico-aristotelica classica,

22 Ivi, pagg. 660-665.23 Ivi, pagg. 666-667.

Page 157: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

157

medievale e rinascimentale proponeva – secondo Giordano Bruno – nien-t’altro che la fissazione della miseria (“Povertà”) per la conservazione el’accumulazione separata e distinta della ricchezza (patrimonio),24 cosìall’opposto la restaurazione di quella civiltà – che precede il momento ori-ginario della crisi e del capovolgimento del mondo occidentale – dovevaripristinare quello spazio di comune utilità, che avrebbe defeticizzato tuttigli strumenti approntati dalla creatività e dall’ingegno umano per la soddi-sfazione dei bisogni collettivi. Senza il trasferimento ad un capo tirannico enegativo, o ad un organo decisionale uniforme, le buone opere, le azioni egli strumenti realizzativi mantengono quella positività dell’effetto che, dia-letticamente, riescono a realizzare e a farsi riconoscere. Così il merito deimedesimi non aggiunge nulla in proprio, che sia determinato estrinseca-mente ed univocamente: al contrario l’intrinsecità del valore delle opererisiede nell’affermazione dialettica dei soggetti. Qui emerge nella specula-zione bruniana il criterio guida della sua concezione etico-politica e religio-sa: quella libertà eguale che doveva diventare principio di una forma radi-cale di rivoluzione civile, germe fecondo di tutte quelle spinte alla trasfor-mazione culturale che agiteranno la scena filosofica e politica della moder-nità (dai Livellers e dai Diggers della prima rivoluzione inglese a Spinoza,da Toland ed il deismo inglese alle forme più radicali dell’illuminismo fran-cese, pre- e post-rivoluzionario). Senza dire della ripresa e della tradizionedi questo stesso criterio nella nostra contemporaneità (l’egualitarismo ed ilsocialismo libertario, l’ecologismo radicale).

Al contrario, nella divaricazione fra libertà e fortuna, sul lato e ramodella fortuna, la dialettica fra povertà e ricchezza, lungi dal rappresentare unprocesso di liberazione comune, rimane a codificare in perpetuo la differen-za sociale.25 Diversamente, il processo di liberazione comune – nella rifor-ma appena iniziata del cielo divino bruniano – innalza una comune libertà,sradicandosi dalla dipendenza assoluta, dalla obbedienza dovuta al signoreche è padrone ed allo scambio diseguale da lui impostato ed imposto.Nell’eguale autodeterminazione, allora, rifulgerà il principio di un’autono-mia intrinseca, avendo come nemico fatale tutto ciò che è invece portatodalla determinazione estrinseca, luogo nel quale i molti si devono separare

24 Ivi, pagg. 670-675. 25 Ivi, pag. 676. «Sofia. Oltre vuole, che la Povertà massimamente séguite la Ricchezza,

e sia fuggita da quella quando si versa nelli palaggi terreni, ed in quelle stanze nellequali ha il suo imperio la Fortuna; ma allor che ella s’appiglia a cose alte e rimossedalla rabbia del tempo e di quell’altra cieca, non voglio che abbi tanto ardire o forzad’assalir per farla fuggire e tôrgli il loco. Perché non voglio che facilmente si parta dalà dove con tanta difficultade e dignitade bisogna pervenire; e cossí, per a l’incontro,abbi tu quella fermezza nelle cose inferiori che lei può avere nelle superiori.»

Page 158: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

all’interno dell’orizzonte dell’Uno, restando occulti e latenti. Contro il pos-sesso diretto dell’Altro risplenderà, allora, la libertà del proprio desiderionaturale e razionale, la composizione fraterna ed amorosa delle finalità edegli scopi.26

Qui ricompare, con tratti decisi e determinati, definiti, la critica brunianaalla nascente società della ricchezza, alla sua impostazione, al criterio solidoed immodificabile della fortuna opposto a quello veloce e rivoluzionario delmerito.27 Se nella nascente società della ricchezza la dialettica ed il movi-mento sociale non intaccano le gerarchie tradizionali – fondate sull’applica-zione pratica della distinzione ed ordinamento teoretico, aristotelico e tomi-stico, della priorità disposizionale dell’atto sulla potenza – nella società bru-niana delle libertà la dialettica sociale impone immediatamente il rigetto diqualsiasi separazione astratta e di qualunque alienazione. L’infinito dell’attoe della potenza bruniano stabilisce, infatti, subito una direzione rivoluziona-ria al rapporto fra bisogno e desiderio. Se nella società della ricchezza il rap-porto fra bisogno e desiderio è invertito – tanto più forte è il bisogno, tantomeno il suo desiderio verrà soddisfatto (“Avarizia”)28 – nella società dellelibertà il bisogno subito si fa desiderio e ragione, aprendo il nuovo ordinedella soddisfazione solidale. Al contrario, invece, nella società della ricchez-za la soddisfazione solidale viene frantumata e sostituita dalla plurivocitàbelluina e bestiale – “il pantamorfo de gli animali bruti” – della soddisfazio-ne contra omnes degli istinti di possesso e di dominio.29

Così alla guerra di tutti contro tutti – l’hobbesiano homo homini lupus –la sapienza civile e religiosa bruniana risponde con la libertà e la necessa-ria giustizia offerta dalla comune eguaglianza (naturale e razionale). Se,infatti, il fondamento della civiltà classica è costituito dalla ragione e pas-sione del potere e per il potere – l’infinito astratto e separato della potenza,che piega e rovescia l’aperta libertà nella necessità univoca dell’imperio,dilatando il profitto oligarchico e la difesa tenace dei relativi privilegi eco-nomici, sociali e politici30 – l’aperta aspirazione del nuovo (antico) ordinebruniano discioglie le richieste violente ed imperiose della fortuna in unavisione di società senza ordini e senza classi, senza ordinamento gerarchi-co e senza violenza, sopraffazione, sfruttamento, alienazione e negazione.

Per questa ragione la difesa finale31 che la Fortuna stessa sferra contro ladecisione di Giove di espellerla dal cielo riformato, se da un lato pare sfrut-

158

26 Ivi, pagg. 676-678. 27 Ivi, pagg. 678-679. 28 Ivi, pag. 680. 29 Ivi, pagg. 681-683. 30 Ivi, pagg. 682-683. 31 Ivi, pag. 683 e segg.

Page 159: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

tare le versioni ridotte, mistificate e capovolte dei concetti bruniani auten-tici – principio, causa, unicità – dall’altro non può non ricevere una sconfit-ta definitiva proprio dalle loro controparti vive ed autentiche: l’aperta liber-tà, la natura e la ragione infinita. Così la battaglia finale si combatte proprioattorno al fortilizio del Fato,32 che viene espugnato non appena Giove stes-so decide di dissolverne l’anima e lo spirito interno: l’immodificabilità delmovimento, dunque la sua negazione. Qui l’arte ed il creativo brunianorisorgono, a qualificare il nuovo (antico) spirito ed anima, non appena sirisolvano a dissolvere quella doppia ed ordinata negazione che si disponefra i termini del potere separato e dell’escluso da questo. È la retorica, dun-que, della doppia contrapposizione, della contraddizione insuperabile, quel-la che il pensiero e la prassi bruniana cancella una volta per tutte: nonostan-te l’estrema finzione rappresentata dall’orizzonte di comprensione.33 Comeil cielo naturale aristotelico, così quest’orizzonte viene dissolto nella pro-pria limitazione eteronoma dal concetto e dalla prassi dell’infinito brunia-no: l’infinito della libertà nell’amore d’eguaglianza fra natura e ragione.Vale a poco, quindi, l’estrema reazione della Fortuna: far valere l’oscuranecessità assoluta (tramite l’Uno).34 Perché – come si vedrà benissimo negliEroici furori – Giordano Bruno amplierà talmente la necessità da farla coin-cidere con l’aperta e chiara, solare, libertà, in tal modo capovolgendone ilsenso e la direzione (grazie all’Uno aperto ed infinito).

Qui la critica bruniana alla Fortuna-Fato-necessità assoluta si dirama esviluppa nella inevitabile contestazione della tradizione neoplatonico-ari-stotelica:35 come questa pare far assurgere a suprema ragione il non-razio-nale, dipingendo e fantasticando un intelletto separato e delle intelligenzead esso soggette, motrici e giustificatrici dell’intero universo, così la partepratica della filosofia bruniana – dopo quella teoretica dei Dialoghi metafi-sico-cosmologici – giudica inalienabile proprio ciò che quella tradizioneconsiderava fonte di spossessamento: l’aperta visione. Come sarà per il“disquarto” dell’eroico furore, così ora la prassi bruniana dell’aperta visio-ne vuole ed intende rendere sommamente razionale la necessità della mol-tiplicazione divina, l’atto della sua creazione (sia naturale, nei mondi, cheetico-politica, nella diversità delle repubbliche e dei costumi). Così la stes-sa neutrale imparzialità della Fortuna viene inchiodata alla sua astrattacapacità di non distinguere se non per determinazioni estrinseche al sogget-to, che si sia volontariamente sottomesso al suo giudizio. Qui, allora, la cri-tica alla fantasiosità della rappresentazione intellettuale tradizionale si

159

32 Ivi, pag. 686 e segg.33 Ivi, pagg. 686-687. 34 Ivi, pagg. 687-688. 35 Ivi, pag. 688 e segg.

Page 160: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

accompagna alla delegittimazione della sua parte pratica, direttamente edimmediatamente coinvolta nelle sue principali applicazioni politiche.

Contro l’applicazione falsamente diretta ed immediata di una democra-zia formale, di una legge in realtà assoggettata alla divisione, separazione econtrapposizione degli interessi della classe prevalente,36 l’eguaglianzasostanziale bruniana fa risorgere dai tempi antichi una democrazia non for-male e non assoggettata. Contro l’astratto ed ipotecato valore della legalità,che si distribuisce indifferentemente ai soggetti,37 senza considerarne lareale ed autentica esistenza, lo scopo ed il fine razionale bruniano non vienedistaccato e mummificato, non risulta separato, né tanto meno viene divi-nizzato e reso immodificabile ed intoccabile. Se, quindi, la determinazioneindifferente della Fortuna pare comunque procedere ad una distinzione sub-ordinata che immobilizza i soggetti, la diversità bruniana si inserisce imme-diatamente nello spazio aperto dalla libertà eguale, non confutandolo, quan-to piuttosto confortandolo e giustificandolo, in quell’aperta razionalità chenulla presuppone di predeterminato ed oggettivo. Al punto numerale dellaFortuna, che separa ragione da natura, e così procede all’individuazione,38

controbatte allora la discrezione dialettica bruniana, che senza separareragione e natura innalza la relazione di codeterminazione, quale valore diuna reciproca accettazione, dissolvendo in tal modo ogni finto e separatocriterio che possa o voglia essere fonte di invidia sociale. Così all’egua-glianza solo apparente della Fortuna il Giove bruniano può replicare conl’eguaglianza profonda ed alta, aperta, della reciproca libertà dei soggettimorali. Qui sta l’apparente concessione finale di Giove, che apparentemen-te donando ragione alla Fortuna, profondamente ne capovolge e rivoluzio-na la natura e la ragione, distribuendola in infinito.39

Divenuta eguaglianza infinita nella libertà, la Fortuna si trasforma nelmotore di movimento e rivoluzione permanente, nell’amore infinito ed uni-versale. Qui la speculazione bruniana introduce la conservazione di un oriz-zonte alto di aperta molteplicità, dove la determinazione possa mantenerel’aspetto fondamentale della libertà: l’impredecisione.40 Stabilendo un

160

36 Ivi, pag. 690.37 Ivi, pag. 691. 38 Ivi, pag. 693. 39 Ivi, pagg. 695-696. 40 Ibidem: «Talmente, dunque, Giove negò la sedia d’Ercole a la Fortuna, che a suo arbi-

trio lasciò e quella ed altre tutte che sono ne l’universo. Dalla qual sentenza, comun-que se sia, non dissentirno gli dei tutti; e la orba dea, vedendo la determinazion fattacitra ogni sua ingiuria, si licenziò dal Senato dicendo: – Io, dunque, me ne vo apertaaperta ed occolta occolta a tutto l’universo; discorro gli alti e bassi palaggi, e non menoche la morte so inalzar le cose infime e deprimere le supreme; ed al fine, per forza divicissitudine, vegno a far tutto uguale, e con incerta successione e raggion irrazionale,

Page 161: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

parallelo stringente con la sua parte metafisico-cosmologica – l’orizzonteaperto della pluralità mondiale, governata dal principio della codetermina-zione – la parte religiosa ed etico-politica della riflessione bruniana garan-tisce che la valenza pratica della codeterminazione stabilisca un termine –ideale e nello stesso tempo reale: “la Fortezza” – del movimento generaledell’immaginazione desiderante. Immagine infinita del desiderio infinito, lanatura razionale della speculazione bruniana rende stabile il movimento diaperta riflessione, garantendo al proprio interno il sorgere e generarsi ditutte le determinazioni speculative. Esse dunque vivono contro la separatez-za della negazione – “il male”41 – e contro la dissoluzione reciproca di ciòche fonda e rende stabile il codeterminativo – “la morte”.42 Tanto l’univo-cità necessaria dell’Uno necessario e d’ordine stabilisce per opposizionealla separatezza della negazione la positività assoluta dell’indifferenza dellapotenza – la matta, irrazionale, bestialità del potere – quanto l’aperta ragio-ne ed il lume dell’un-infinito bruniano ricordano l’incantamento ed il mira-colo effettivo e reale della realtà naturale e razionale, del suo movimentodesiderativo ed immaginativo. Tanto, dunque, l’immagine che accompagnail potere – “la Lira” – ne indica la stabile ed univoca necessità collettiva,quanto all’opposto l’immagine in aperto infinito bruniana – “la gran madreMnemosine”43 – non può non ricordare la necessità della libera variabilitàinfinita.

Dove si vede la Lira di nove corde, monta la madre Musa con le nove figlie,Aritmetrica, Geometria, Musica, Logica, Poesia, Astrologia, Fisica, Metafisica,Etica; onde, per conseguenza, casca l’Ignoranza, Inerzia e Bestialitade. Le madrihan l’universo per campo, e ciascuna de le figlie ha il proprio suggetto.

161

che mi trovo (cioè sopra ed estra le raggioni particolari), e con indeterminata misuravolto la ruota, scuoto l’urna, a fine che la mia intenzione non vegna incusata da indi-viduo alcuno.» E poi, ivi, pag. 697-698: «Tu, Occasione, camina avanti, precedi glimiei passi, aprime mille e mille strade, va incerta, incognita, occolta, percioché nonvoglio che il mio advenimento sia troppo antiveduto. Dona de sghiaffi a tutti vati, pro-feti, divini, mantici e prognosticatori. A tutti quei che si attraversano per impedirne ilcorso nostro, donagli su le coste. Togli via davanti gli miei piedi ogni possibile intop-po. Ispiana e spianta ogni altro cespuglio de dissegni che ad un cieco nume possa essermolesto, onde comodamente per te, mia guida, mi fia definito il montare o il poggia-re, il divertir a destra o a sinistra, il movere, il fermare, il menar ed il ritener de passi.Io in un momento ed insieme insieme vo e vegno, stabilisco e muovo, assorgo e siedo,mentre a diverse ed infinite cose con diversi mezzi de l’occasione stendo le mani.Discorremo dunque da tutto, per tutto, in tutto, a tutto: quivi con dei, ivi con gli eroi;qua con uomini, là con bestie. –»

41 Ivi, pag. 698. 42 Ibidem. 43 Ivi, pag. 701.

Page 162: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

Ferma restando l’immagine aperta dell’infinito, la speculazione brunia-na non può allora non conservare il concetto e la prassi di una libera varia-bilità infinita, capace di costituire il nucleo motore della rivoluzione disci-plinare bruniana: aritmetica, geometria, musica, logica, poesia, astrologia,fisica, metafisica ed etica paiono essere come disquartate dall’interno erivoluzionate dalla presenza, atto e movimento dell’infinito. Così la “poten-za sensitiva” che serve all’aritmetica, alla geometria ed alla musica vieneliberata nella fantasia dei numeri e degli elementi, mentre “la facoltà inven-tiva e giudicativa” della logica viene sopraelevata dal concetto e dalla pras-si dell’infinito dialettico; la poesia viene quindi nobilitata e mobilitata dallapotenza creativa, mentre l’astrologia ne raccoglie i doni profetici; la fisicaviene rivoluzionata nel movimento razionale, mentre la metafisica si apre aiprincipi di quella; l’etica, infine, coglie ed applica i risultati rivoluzionati ditutte le discipline precedenti, portando in pieno aperto ed evidente il plessodell’infinito creativo e dialettico: quell’amore infinito ed universale checongiunge inscindibilmente eguaglianza e libertà.44

Per questo graduazione, grado e gerarchia (il tempo dell’ordine attuale)non possono non essere fatti scomparire dal nuovo e rivoluzionario presup-posto (naturale, etico e politico) bruniano. La ragione rivoluzionata, attivaed operosa perché creativa e dialettica, si muove e si specifica nelle forme– le discipline conoscitive – che meglio garantiscono movimento e sensibi-lità, discrezione e distinzione nell’apertura d’infinito, ma sempre con ilnecessario monito del ricordo della loro pluralità creativa comune, dellaloro inscindibile ed insopprimibile apertura dialettica (immagine dell’infi-nito). Questa evoluzione dello spirito umano, questo vero e proprio salto diciviltà, allora identifica e riconosce l’errore e la colpa – che di errore e colpasi tratta, nei confronti dell’Essere – costruiti ed edificati per il tramite di unadoppia ed opposta separazione: verso il basso la negazione dell’inferiore,verso l’alto l’assoluta positività del superiore. In mezzo un medio che con-serva l’intangibilità estrinseca del secondo – l’Altro – sulle spoglie e lerovine del primo – l’escluso – forgiando in tal modo la propria univoca enecessaria fondamentalità.

Dove distende l’ali il Cigno, ascende la Penitenza, Ripurgazione, Palinodia,Riformazione, Lavamento; ed indi, per conseguenza, cade la Filautia,Immondizia, Sordidezza, Impudenzia, Protervia con le loro intiere fameglie.Versano circa e per il campo de l’Errore e Fallo. – Onde è dismessa l’incatedra-ta Cassiopea con la Boriosità, Alterezza, Arroganza, Iattanza ed altre compagneche si vedeno nel campo de l’Ambizione e Falsitade; monta la regolata Maestà,

162

44 Ivi, pagg. 701-703.

Page 163: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

Gloria, Decoro, Dignità, Onore ed altri compagni con la lor corte, che per ordi-nario versano ne li campi della Simplicità, Verità ed altri simili per principaleelezione; e talvolta per forza di Necessitade in quello de la Dissimulazione edaltri simili, che per accidente possono esser ricetto de virtudi.

La relazione di estraneità-esclusione è conseguenza etica dell’assuntoantropologico aristotelico, fondato sulla postulazione – non solo logica, maanche ontologica e politica – del principio d’identità, non-contraddizione edel terzo escluso. Qui luogo, immagine, contenuto e forma (corpo materia-le mondiale), tempo sono sovraordinati alla necessità della chiusura e dellalimitazione, sono subordinati alla necessità imposta dal grado e dalla gerar-chia, quale fattore qualitativo di discriminazione e redistribuzione. Toltainfatti ogni autonomia al soggetto medio materiale, nella speculazione ari-stotelica esso tende obiettivamente a scomparire ed alienarsi nello spazioastratto della forma finale. Lo stesso epigono di quest’impostazione specu-lativa – G. W. F. Hegel – fa fuoriuscire la natura stessa come momentaneoescluso dello spirito, per poter continuare ad affermare – in linea con la tra-dizione neoplatonico-aristotelica – l’inerzialità della materia, la sua previaneutralizzazione attraverso la negazione della priorità dell’essere-diverso.

Di converso ed all’opposto rispetto a quest’impostazione speculativa larivoluzione culturale bruniana impone una riconversione religiosa,45 capa-ce di annullare e rovesciare quella negazione che si costruisce ed elevaattraverso la separazione dell’astratto: qui lo spirito bruniano riprende lapropria giusta elezione e posizione, ammonendo circa l’ineliminabile spon-taneità interiore dei soggetti. Questa è la forza incedibile, inalienabile, lavera e propria fede intellettuale che dismette la paura, il senso della sogge-zione e l’orrore della stessa perdizione. Lo stesso concetto ed immagine tra-dizionale della salvezza – la coscienza che si oppone alla falsa e decettivaopposizione, tesa alla diversione dal fine e dallo scopo di una ragione uni-taria e naturale, attraverso il richiamo reazionario e selettivo della necessi-tazione elettiva – viene debilitato ed indebolito dalle argomentazioni bru-niane, sino alla propria autonoma scomparsa,46 allorché l’eguaglianza uni-versale bruniana (la “Semplicità”), invece, espande liberamente il propriocuore intellettuale, senza escludere e dividere, separare ed annichilire, oneutralizzare. La ricchezza inesausta di questa unitaria fonte creativa, allo-ra, scioglie e dissolve la sua immagine contraffatta (riflessa) – l’arricchi-mento selettivo e la violenza del potere, necessaria perché necessitata (il“Perseo” tradizionale) – per ripristinare la sua immagine viva e reale: quel-

163

45 Ivi, pag. 705. 46 Ivi, pag. 706.

Page 164: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

l’esaltazione divina – il “Pegaseo cavallo”, che nasce dalla testa recisa dellaMedusa – che innalza e riapre la virtù creativa, attraverso la dialettica (ver-ticale ed orizzontale) dell’infinito.

Contro la divisione e la dispersione del Bene comune, operato dalla mol-tiplicazione delle sette religiose e contro la sottrazione dei tesori collettivi,frutto ed opera delle repubbliche e dei popoli, da parte dei poteri pubbliciriformati, l’invettiva bruniana richiede una nuova autodissoluzione, conquella stessa violenza da loro stessi escogitata ed agita.47 L’immobilità del-l’astratto allora si ribalta e rovescia nell’aperto movimento dell’opera crea-tiva concreta, che deve tenere in conto sia la presenza di una relazione oriz-zontale di coesistenza, sia la vigenza di un ordine, di una tendenza latente(“l’impeto divino”), che sia capace di unirsi all’insieme delle determinazio-ni universali. Allora una riflessione aperta – “scudo risplendente dal suo fer-vore” – che apra l’orizzonte all’interno del quale la molteplicità emotiva –“la serpentina chioma di perniciosi pensieri” – potrà rivivere ed essere con-trollata (senza essere negata), costituirà l’ambito costante di riferimento –“aligero cavallo della studiosa perseveranza” – dell’intelletto che eterna-mente si profonda e si apre a farsi ragione infinita (“fatica intollerabile”).48

La salvezza universale diviene così lo scopo ed il risultato di questa tra-sformazione, che nella sua necessità ruota e capovolge il senso e significatodella salvezza proclamata dalle sette dei Riformati: secondo l’interpretazionebruniana, infatti, tanto questa si chiude in una elezione divina (con l’asseritoprimato della grazia), quanto quella proposta dalla speculazione del filosofodi Nola si apre alla libertà che non si separa e si astrae, restando opera d’a-zione collettiva e comune, autonoma ed inalienabile, capace di coinvolgerenon solo l’umano, ma l’intero mondo creato.49 Per questo l’apertura moltipli-cativa – “Industria” – ridà vita a quello spazio e tempo creativo – “Speranza”– che l’azione selettiva dei Riformati – “Ocio” – pare chiudere, neutralizzare

164

47 Ivi, pagg. 709-711. 48 Ivi, pagg. 712-713. Vedi: «Se vuoi esser là dove il polo sublime della Verità ti vegna ver-

ticale, passa questo Apennino, monta queste Alpi, varca questo scoglioso Oceano, supe-ra questi rigorosi Rifei, trapassa questo sterile e gelato Caucaso, penetra le inaccessibilierture, e subintra quel felice circolo, dove il lume è continuo e non si veggon mai tene-bre né freddo, ma è perpetua temperie di caldo e dove eterna ti fia l’aurora o giorno.»

49 Ivi, pag. 714. Vedi: «Sieguati l’Acquisizione con le munizioni sue, che son Bene delcorpo, Bene de l’animo, e, se vuoi, Bene de la fortuna; e di questi voglio che più sienoamati da te quei che tu medesima hai acquistati, che altri che ricevi d’altrui: non altri-mente che una madre ama più li figli, come colei che più le conosce per suoi. Nonvoglio che possi dividerti; perché, se ti smembrarai, parte occupandoti a l’opre de lamente e parte a l’oprazioni del corpo, verrai ad esser defettuosa a l’una e l’altra parte;e se più ti addonarai a l’uno, meno prevalerai ne l’altro verso: se tutta inclinarai a cosemateriali, nulla vegni ad essere in cose intellettuali, e per l’incontro.»

Page 165: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

e rendere inerte, come morto. Senza l’incremento di una potenza eteronoma– il profitto capitale che si muove ed agita nelle nazioni riformate – la poten-za autonoma bruniana non separa, aliena e capovolge se stessa in un mondoseparato, che sia fonte di incerta fortuna e che sia preso in prestito per fon-darne all’opposto la necessità e la certezza: contro la prova richiesta dellagrazia calvinista la partecipazione provvidenziale bruniana – la “vita beata”– demolisce lo Stato separato ed astratto della modernità, lasciando al sogget-to l’autonomia dell’intelletto e della volontà, dunque della potenza.50

Il potere astraente del nascente profitto capitale si salda, infatti, con latradizionale concezione neoplatonico-aristotelica, facendo in modo che lapotenza in ascesa della classe borghese si fonda con l’impianto astratto eseparato dello Stato assoluto. L’innalzamento di una potenza illimitataaccompagna, allora, l’esito finale di una determinazione essa stessa assolu-ta, personale e regia. Il nuovo sovrano assoluto si fregerà della potenzaassoluta dello Stato, accampando come diritto e dovere dello stesso lo svi-luppo strumentale di quelle forze economiche che fanno leva sul pensierocalcolante e sul giudizio quantitativo. Qui la macchina accumulatrice delcapitale si combina, allora, con lo strumento della forza e della violenza sta-tuale: la guerra. La guerra – interna (contro i nemici di religione) ed ester-na (contro le nazioni che sottraggono la possibilità di aumento della poten-za stessa dello Stato) – diviene il motore di sussistenza dello Stato stesso.51

Contro questa fusione fra guerra e capitale, innestata sul precedente tron-co elevato dalla tradizione ideologica occidentale, la speculazione brunianasollecita – all’inizio del Dialogo terzo dello Spaccio de la Bestia trionfan-te – il ricordo dell’antico favore e felicità tributati ai Misteri Eleusini(Demetra e Persefone), forzando il passaggio e l’ulteriore trasformazionedella Sofia verso una concezione ed una prassi in nuce libertaria, egualita-ria e pacifista. Che cosa, infatti, sottolinea Giordano Bruno con il suorichiamo ne “la stanza de Triptolemo” della “umanità con la sua fameglia”,per una nuova “Filantropia”, se non il concetto e la prassi di una fraternitàumana e naturale, capace di rinnovare i fasti di quella religione che tieneinsieme, inscindibilmente, libertà ed eguaglianza? Il suo discorso silenicosull’Ozio ed il Sogno – “compagni Ocio e Sogno” – e l’età dell’Oro vale,infatti, questa affermazione.

L’esaltazione comunitaria e nazionalistica rompe infatti l’unità dei popo-li, creando all’interno della vita civile di ciascun paese l’aumento dei reci-proci soprusi, attraverso quel potenziamento della generale competizioneche, lungi dall’innalzare la potenza dello Stato, ne disintegra la socialità

165

50 Ivi, pagg. 715-718. 51 Ivi, pag. 724. Vedi: «la mia nemica guerra», dice Sofia.

Page 166: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

felice e collettiva, innalzando la ferocia e demolendo quella reciproca fidu-cia, che è il vero buon fondamento della vita politica.52 Nello stesso tempola fantasia di un passato mondo naturale, sano e robusto, povero e necessa-rio nei beni e nei godimenti, rivela al contrario il suo alto fondamento idea-le nella comunanza dei beni e delle gioie collettive stesse. È invece l’appro-priazione distinta e potenzialmente illimitata, a graduare il potere all’inter-no e ad escluderlo all’esterno, colonizzandone lo spazio ed il tempo, impo-nendone una civiltà dalle determinazioni proprie (per di più false, malignee perverse). È il mondo nuovo del capitale assoluto a violentare giustizia edignità universali, sottraendo e negando la fruibilità libera ed eguale deibeni ed annichilendo la possibilità di una gioia collettiva.53 La logica del-l’appropriazione esclusiva e selettiva, la perversione che pretende di rende-re stabile l’inversione e il rovesciamento, che fa di una serie di ordini o diuna classe l’essenza necessariamente dominante, sono fattori ideali, reali emateriali, che determinano la crisi esiziale della civiltà occidentale, nel suosviluppo finale e conclusivo.54 Qui sta, allora, la risposta di Giove al lamen-to dell’Ozio bruniano: la forma negativa dell’iper-attivismo neocapitalisti-co – così bene sperimentato del resto da Giordano Bruno in terra inglese –trova – è vero – il suo corrispettivo nel sogno tradizionale di una ragioneseparata, edificatrice di un mondo “altro” perfetto, ma la diversione deldesiderio umano e la sua castrazione55 – iniziate con la tradizione cattolica

166

52 Ivi, pagg. 726-727.53 Ivi, pag. 728. Vedi:«Tutti magnificano l’età de l’oro, e poi stimano e predicano per virtù

quella manigolda che la estinse, quella ch’ha trovato il mio ed il tuo: quella ch’ha divi-sa e fatta propria a costui e colui non solo la terra (la quale è data a tutti gli animantisuoi), ma, ed oltre, il mare, e forse l’aria ancora. Quella, ch’ha messa la legge a gli altruidiletti, ed ha fatto che quel tanto che era bastante a tutti, vegna ad essere soverchio a que-sti e meno a quell’altri; onde questi, a suo mal grado, crapulano, quelli altri si muoionodi fame. Quella ch’ha varcati gli mari, per violare quelle leggi della natura, confonden-do que’ popoli che la benigna madre distinse, e per propagare i vizii d’una generazionein un’altra; perché non son cossì propagabili le virtudi, eccetto se vogliamo chiamar vir-tudi e bontadi quelle che per certo inganno e consuetudine son cossì nomate e credute,benché gli effetti e frutti sieno condannati da ogni senso e ogni natural raggione. Quaisono le aperte ribaldarie e stoltizie e malignitadi di leggi usurpative e proprietarie delmio e tuo; e del più giusto, che fu più forte possessore; e di quel più degno, che è statopiù sollecito e più industrioso e primiero occupatore di que’ doni e membri de la terra,che la natura e, per conseguenza, Dio indifferentemente donano a tutti.»

54 Ivi, pag. 729. 55 Ivi, pag. 730. Vedi: «Questa, invidiosa alla quiete e beatitudine, o pur ombra di piace-

re che in questo nostro essere possiamo prenderci, avendo posta legge al coito, al cibo,al dormire, onde non solamente meno delettar ne possiamo, ma per il più sovente dole-re e tormentarci; fa che sia furto quel che è dono di natura, e vuol che si spregge ilbello, il dolce, il buono; e del male amaro e rio facciamo stima. Questa seduce ilmondo a lasciar il certo e presente bene che quello tiene, ed occuparsi e mettersi inogni strazio per l’ombra di futura gloria.»

Page 167: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

e proseguite da quella protestante – possono essere annullate solo se laforma naturale e la forma razionale troveranno ricomposizione nel sognoreale di una creatività che le accomuna, dove la determinazione originariadella prima ritrovi in sé i semi della pluralità della seconda, facendo sì chel’apparente necessità della prima si rifletta e si apra nella reale libertà dellaseconda. Questa è la rivoluzione bruniana – lo stabilissimo moto metafisi-co, analizzato ne De gli Eroici furori – che fa risorgere l’azione razionalesulla mera (chiusa) necessità naturale, combinando la potenza della primacon la materia della seconda. Solamente in questo modo l’idea della libertàpotrà farsi prassi generale, procedimento di realizzazione attraverso l’arte,che trasforma la povertà del bisogno in atto strumentale di soddisfazione.Se l’atto concreto e naturale compiuto dallo strumento non entra nella valu-tazione della virtù, solo la sua elevazione – sembra dire il Giove bruniano– a potenza d’uso (con senso, finalità e scopo, significato) e soddisfacimen-to generale (utilità comune) potrà reinvertire e superare quella decezioneastratta dello strumento, che pare dominare il passaggio alla modernità,quando soprattutto nei paesi riformati la precedente tradizionale separazio-ne cattolica viene trasformata nella idolatrizzazione di ciò che consentel’accumulazione del capitale (il profittevole strumento).56 Così il supera-mento e la diversione dalla sacralizzazione di una potenza in se stessa illi-mitata si accompagnano a quelli apparentemente compiuti nei confrontidella naturalità, quando il senso razionale di una libera possibilità fa riemer-gere il desiderio naturale, ricongiungendolo con l’immaginazione razionalestessa. Qui ricompare il movimento dialettico presente nel creativo:57 nellaescogitazione della natura come strumento, ma apertamente e profonda-mente razionale, per la moltiplicazione e l’arricchimento degli scopi, la spe-culazione bruniana riscopre l’umanamente creativo.

Ecco, allora, la trasformazione della necessità in nuova possibilità realee rivoluzionaria: la chiusura teorica e pratica sul concetto dell’Uno neces-sario e d’ordine, che dispone in modo assoluto la gerarchia dei soggettiagenti, viene aperta, dissolta e capovolta nell’eguale e libero amore deldivino – ecco “l’auriga”58 – che alberga nel cuore intellettuale e razionaledegli uomini, lo sostiene e lo eleva (“Filantropia”). Riaperta la vita dellaragione, si riapre conseguentemente la vita della natura: la chiusura, la fine

167

56 Ivi, pagg. 734-735. 57 Ivi, pag. 745. Vedi: «Ma, per venire alla tua ispedicione, Ocio, ti dico, che quello che

è lodevole e studioso Ocio, deve sedere e siede nella medesima cattedra con laSollecitudine, per ciò che la fatica deve maneggiarsi per l’ocio, e l’ocio deve contem-perarsi per la fatica.»

58 La costellazione dell’Auriga, con Capella, segna l’avvento dell’estate (solstizio d’e-state).

Page 168: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

e la morte della sua creatività imposta nella concezione neoplatonico-aristo-telica dalla eguale circolarità del tutto (il “serpente” incantato dal“Serpentauro”),59 viene rivoluzionata dalla concezione bruniana del doppioinfinito, naturale e razionale. Come la necessità dell’immagine razionale siadegua infatti all’infinito, così l’attività nella natura viene valorizzata,quando il giudizio si costituisce quale potenza autonoma, attenta alla dop-pia relazione (verticale ed orizzontale).60

La resurrezione a nuova vita di ragione e natura viene, pertanto, consen-tita dal riconoscimento dell’atto e potenza della molteplicità creativa: lafine e la morte per disposizione assoluta – l’essere per altro e di altro, per iltramite dello strumento astratto (la “Saetta”) – viene annullata e dissolta,quando rispunti alla visione dell’intelletto e della sensibilità, dunque dellapassione e della volontà, l’infinita apertura della ragione e della natura.

In loco de la Saetta si vede la giudiciosa Elezione, Osservanza ed Intento,che si essercitano nel campo de l’ordinato Studio, Attenzione ed Aspirazione;e da là si parteno la Calunnia, la Detrazione, il Repicco ed altri figli d’Odio edInvidia che si compiaceno ne gli orti de l’Insidia, Ispionia e simili ignobili evilissimi coltori.

L’invidia e l’odio del divino – l’Altro che è padrone della nostra vita – siriflette nell’immagine subordinata ed obbediente che l’accompagna e loprolunga (“l’Aquila” che accompagna Zeus), dandone conseguenza: quinasce antropologicamente la violenza dell’oppressione, della repressione edella negazione, da parte di un potere divinamente giustificato, che si sca-glia contro chi – l’altro da noi, sottomessi ed obbedienti – non sembraosservare la stessa obbedienza e sottomissione e per questo viene conside-rato ribelle, all’autorità divina ed umana (sua rappresentante). Solo la gran-dezza dello Spirito e dell’Anima bruniana, potrà allora ripristinare la veraed autentica autorità e dignità della necessità universale, rifondando unapotenza comune aperta: libera, eguale e fraterna.61

Là d’onde l’Aquila si parte con l’Ambizione, Presunzione, Temeritade,Tirannia, Oppressione ed altre compagne negociose nel campo de l’Usurpazionee Violenza, va ad soggiornare la Magnanimità, Magnificenza, Generosità,Imperio, che versano ne li campi della Dignitade, Potestade, Autoritade.

168

59 La costellazione dell’Ofiuco (Serpentario/Esculapio/Asclepio), con Rasalhague, segnal’avvento dell’inverno (solstizio d’inverno).

60 Ivi, pag. 750. 61 Ivi, pagg. 751-753.

Page 169: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

169

Quanto, allora, una concezione ed una pratica ristretta ed astratta dellamolteplicità (la “turba”) – una concezione si potrebbe dire onto-politica(che onto-politica è la concezione neoplatonico-aristotelica) – prevede chequesta si acconci a decidere in modo selettivo e discriminante, negativo(dove “s’inarca il Delfino”), per costringere l’azione e dare ad essa la pati-na della necessità attraverso l’imposizione della legge, ingenerando in talmodo l’opposizione altrettanto violenta di chi viene posto al di fuori di essa,altrettanto ed all’opposto l’inalienabilità, l’incedibilità di quella comune edaperta potenza determina, senza eccedenza ed opposizione, l’autonomo ecomune, eguale e fraterno, amore per il lavoro, come desiderata attuazionedella propria autorealizzazione ed autosvolgimento.62

Lo Spirito che si svolge, l’Anima realizzando, è la rinnovata visione del-l’apertura creativa, dell’orizzonte della sua necessità e della sua reale pos-sibilità. Per questo motivo il “pegaseo Cavallo” bruniano lascia il postoall’atto ed alla potenza dell’infinito, schiodando lo Spirito e l’Anima stessadalla sua ordinata e necessaria subordinazione e determinazione fatale (lo“scoglio dell’Ostinazione”, “ceto della perdizione e final ruina”). Cosìrisorgerà la vera ed autentica creatività (“fonte caballino”), disponendo unordine non alienato (“buona Disciplina”), capace di dissolvere il doppio ter-mine astratto e negativo del divino e del materiale (“doppia Ignoranza”),ridonando vita e concretezza alla materia, nel suo movimento spontaneo,ideale ed aperto (“Speranza”, “Veritade”).63

La visione di questa materia è ragione: alta, profonda e stabilmente fon-data (“Fede”, “Fideltate”). È movimento amoroso, capace di intrecciare insé sia l’aspetto della relazione coestensiva, sia l’impulso produttivo che nedispone gli elementi. Come nella correlazione cosmologica fra Soli e Terre,così nella correlazione fra soggetti razionali ed agenti nella comunitàumana la complicatio spirituale equivale all’explicatio materiale: così alposto della relazione triangolare chiusa (∧), simbolo della relazione immo-bile e sacralizzata amico-nemico, Giordano Bruno dispone quella opposta,aperta (∨), simbolo della relazione mobile, reciprocamente produttiva (libe-ra ed amorosamente eguale).64

62 Ivi, pagg. 753-754. 63 Ivi, pagg. 754-755. Vedi: «Là, rispose il padre de gli dei, voglio che succeda la

Speranza, quella che, co’ l’aspettar frutto degno delle sue opre e fatiche, non è cosatanto ardua e difficile a cui non accenda gli animi tutti, i quali aver possono senso diqualche fine. – Succeda, rispose Pallade, quel santissimo scudo del petto umano, queldivino fundamento de tutti gli edificii di bontade, quel sicurissimo riparo dellaVeritade; quella che per strano accidente qualsivoglia mai si diffida, perché sente in séstessa gli semi della propria sufficienza, li quali da quantunque violento polso non glipossono essere defraudati; …»

64 Ivi, pag. 760.

Page 170: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

Dopo avere esaurito l’espedizione delle costellazioni del cielo boreale,lo Zeus bruniano (insieme alla sua Sofia), procede alla trasformazionerivoluzionaria del senso e significato delle dodici costellazioni che costi-tuiscono lo Zodiaco, irrobustendo e ramificando lo sviluppo della suariforma celeste.

Per salvaguardare la Repubblica celeste dei soggetti naturali e razionaliZeus non può non ricordare, dunque, la necessità di mantenere e far valerel’universalità del desiderio, la sua infinita diffusione e distribuibilità.Precipitata nel cuore pulsante di ciò che in precedenza era occupato dallaFortuna, la speculazione bruniana indica sotterraneamente come sia il desi-derio a costituire il termine autonomo (ideale e reale: “Exemplarità”) diogni determinazione. Così al posto del “Montone”, “protoparente de liagnelli”, significante la necessaria doppia negazione, che si instaura tral’Altro superiore e l’altro inferiore, il Giove bruniano pone nel suo essere enel suo movimento la possibile doppia affermazione, appunto insieme dellanatura e della ragione. La volontà necessaria – “stolta Credulitate” – vieneallora capovolta dalla necessaria libertà, da quell’orizzonte di consapevo-lezza che mantiene il ricordo dell’infinito per il tramite dell’immagine dellamolteplicità.65

L’immagine aperta della molteplicità è allora ciò che sostituisce l’imma-gine chiusa, soggetta e subordinata, passiva ed inerte, dell’unione necessa-ria, sia nella forma dell’univocità, che in quella della proporzione analogi-ca. È l’unione, l’unità, aperta ed infinita a costituire, allora, il nuovo oriz-zonte della civiltà umana, del suo vivere, operare e pensare. Per questo lasostanza del potere – il senso ed il significato del “Tauro” – viene sostitui-ta dall’immagine aperta e rigorosa della molteplice possibilità, mentre lasua versione ridotta ed opposta – “le Pleiadi”, “le sette figlie d’Atlante” –viene lasciata cadere a terra, a disintegrarsi, per essere sostituita dal “rego-lato Amore”, dall’inscindibilità di libertà ed eguaglianza, dalla sua benefi-ca ed infinita diffusione e distribuibilità.66

Ritorna qui, allora, il senso ed il significato per il quale l’immagine deldesiderio va e procede all’infinito: senza scomodare l’infinito potenziale ditradizione aristotelica – che questo è piuttosto termine di conclusione (“ini-quo e perverso Desio”) – l’infinito bruniano di atto e potenza sostituisce –come si è già visto nell’analisi e commento al De l’Infinito, Universo emondi – sia il primato tradizionale dell’atto sulla potenza (“li Gemegli”,“doi giovanetti”), sia l’inversione di questa su quello (i precedenti, in predadi Saturno): come “gemino Cupido”, doppio Amore, esso si installa alla

170

65 Ivi, pagg. 761-763. 66 Ivi, pagg. 763-766.

Page 171: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

fonte della distinzione apparente fra natura e ragione, fra l’infinito dell’unae l’infinito dell’altra.67

Questo cuore nascosto della speculazione bruniana riesce, allora, a farprorompere da se stesso la rivoluzione che scuote e travolge, disintegra edannulla, la concezione dell’Uno necessario e d’ordine, la concezionedell’Uno chiuso e ridotto, dell’Uno fondamento del potere (separato ed asso-luto) che retroagisce continuamente – “il Granchio” – per integrare a sé tuttele manifestazioni, del pensiero, della vita e dell’opera umana. Per integrarlecon il favore della partecipazione agli effetti benefici del potere stesso, o conil terrore della sua violenta e fatale repressione. Scintilla estetica di quietabellezza, o brillanza di guerresca violenza, l’Uno ridotto a punto assoluto divisione e d’azione viene espunto dal cielo riformato bruniano, quando la suaimmagine negativa implode su stessa, per effetto della contraddizione – que-sta sì fatale – fra l’infinito di una potenza che si divarica e l’infinito di un attoche si concentra. È, allora, attraverso l’auto-dissoluzione del punto d’Uno ela riapertura della potenza che l’esito definitivo della civiltà occidentale – lafusione e la reciproca compenetrazione fra la concezione tradizionale delloStato separato ed assoluto e l’emergere e la tendenza illimitata della classeborghese in ascesa – trova la propria soluzione nell’opposta riapertura di unalibera potenza, che ha in se stessa lo Spirito, l’Anima e la Natura di un’amo-rosa ed infinita eguaglianza. Riprendendo e rivoluzionando il senso dell’im-postazione plotiniana, la speculazione bruniana riattinge, allora, i propri ver-tici – e le proprie finalità – teologico-politiche, riportando la figura del Figlio– attraverso l’immagine viva e mobile dell’Amore – alla libera ed apertasostanza del Padre. Per questo la relazione di potere fra il “Granchio” ed il“Leone” – l’illimitata potenza del profitto capitale, congiunta con l’assolutaviolenza dello Stato – viene sostituita dalla amorosa relazione fra libertà edeguaglianza, dove l’una riprende, rinforza e rinvigorisce l’altra.68

Come nel paragone cosmologico fra Soli e Terre, così ora nella mentepura (“Puritade ed Onore”), la relazione riscoperta fra libertà ed eguaglian-za fa vivere un termine dell’altro, reciprocamente e rispettivamente,nascondendo, elevando e determinando il medio dell’amorosa e divina“Grazia”. Per questo “Vergine” e “Bilancie” perdono il senso ed il signifi-cato della neutralizzazione soggettiva, materiale e naturale, quando un’e-guaglianza formale identifica la relazione di determinazione, per far riac-quisire invece a ciascun soggetto la propria libera potenza ed il proprio giu-sto merito, senza la violenza di un potere che si impone, né la contrapposi-zione di un desiderio reso perverso, perché trasformato e capovolto in uno

171

67 Ivi, pag. 767. 68 Ivi, pagg. 768-769.

Page 172: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

strumento d’offesa. Se, infatti, l’identità di determinazione coinvolge ecostringe la potenza ad un atto prioritario, separato, nascosto ed inquestio-nabile, la differenza bruniana di determinazione dissolve subito l’irraziona-le negazione del desiderio – la sua libertà, che è “legge di natura” – ricor-dandone invece all’opposto la sua eguale reciprocità. È questo “il momen-to del contrapeso” bruniano, che mantiene l’asse – “l’ordine” della libertàeguale – che fa coincidere grazia e giusto merito.69

Senza questo asse verticale non può non prevalere la declinata ed irrazio-nale negazione del desiderio che, neutralizzando l’intrinseca e vitale poten-za della materia, ne trasferisce la capacità soggettiva in capo ad un intellet-to generale e ad una razionalità astratta. È, allora, proprio la fusione fraprincipio e causa nell’unità di una determinazione realistica e totalitaria adessere demolita e rivoluzionata dall’impostazione bruniana, che al contra-rio apre quella relazione che non fa coincidere puntualmente principio ecausa, diffondendone all’opposto la determinazione secondo quell’orizzon-te di libertà destinato a rimanere termine necessario del movimento eguali-tario e diversificante dei soggetti attivi, naturali e pensanti. Quest’atto dirivoluzione – corrispettivo del resto in ambito teologico-politico all’attoonto-cosmologico di rotazione-rivoluzione terrestre – fornisce nel senso enella direzione dell’immaginazione proprio quell’ordine di movimento delcielo e del mondo che viene destinato dalla speculazione bruniana a sosti-tuire la minaccia della punta mortale dello Scorpione (“verme infernale”),tesa a dimostrare la perdizione fatale di un apparente uscire fuori di sé,quale è appunto quello della rivoluzione bruniana.70 Questo movimento inrealtà è un ritornare dentro di sé, un riappropriarsi di quell’alta virtù dellamateria – materia celeste e razionale o di “cose superiori” (come cita lostesso Giordano Bruno nel De la Causa, Principio e Uno) – che edifica edinnalza lo spazio ed il tempo delle nostre più profonde aspirazioni e sogni.È questo spazio e tempo a costituire il rinnovamento bruniano dell’intellet-to e della volontà – “Intelletto” e “Voluntade” – facendo sì che l’aspettocreativo dello Spirito e dell’Anima possa di nuovo prorompere, a mostraredel primo la tendenza e della seconda l’attiva costanza. Viene così supera-ta la decezione costituita dalla subordinazione intellettuale della volontà (il“Sagittario”), che capovolge entrambi: l’intelletto in subordinazione, lavolontà in tentato assalto.71

Qui la speculazione bruniana apre una differenza importantissima, essen-ziale. Nella momentanea lotta fra l’impostazione tradizionale – che vuole il

172

69 Ivi, pagg. 769-773.70 Ivi, pagg. 773-774. 71 Ivi, pagg. 774-775.

Page 173: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

primato dell’atto sulla potenza – e la rottura capitalistica dell’ordine aristo-telico attuale (i Giganti combattuti dal “Capricorno”) – che pretende unrovesciamento della potenza sull’atto – con la costituzione dello Stato asso-luto si assiste ad una rapida riconversione della seconda nella prima: lapotenza, irrobustita dalla materia del profitto capitale, sottomette la propriaillimitatezza alla tradizionale separatezza di un atto di potere assoluto (epersonale), che ne costringe e subordina l’intelletto e la volontà.L’aspirazione rivoluzionaria della borghesia si perde subito nelle prebendee nei privilegi monopolistici della nuova nobilitazione. La speculazionebruniana, invece, rigetta e combatte entrambe le soluzioni qui indicate, perruotare ed aprire uno spazio superiore, realmente ed effettivamente rivolu-zionario. Allora l’intelletto da subordinazione – essere-da-altro – ridiviene(altamente e profondamente) libertà – essere-da-sé – mentre la volontà siritrasforma (altamente e idealmente) da passione razionale – essere-per-altro – in azione – essere-per-sé ed in-sé. Solo così l’atto della volontà vedràcongiunto in sé il fine e la realtà dello scopo, l’eguaglianza piena e sostan-ziale, avendo come proprio fondamento profondo la prorompente libertà.Di questa alta relazione tratta l’apparente digressione bruniana sulla religio-ne degli Egizi, sull’insegnamento misterioso di Ermete Trismegisto adAsclepio e sull’eterogenesi dei fini che pare animare la soluzione offertadalla figura allegorica del Capricorno stesso.72 Alla sapienza della Sofia tra-dizionale – la Sofia che fa procedere innanzi l’impostazione cara alCapricorno, con la relazione fra assoluto e comunicato – risponde il fattoche l’astratto di questa relazione viene rovesciato dal concreto della vivifi-cazione d’immagine cara alla religione degli Egizi (come ammette Momoall’inizio del discorso). Se, dunque, la storia delle religioni proposta innan-zi dalla Sofia tradizionale vede trasferirsi in modo apparentemente immodi-ficabile il richiamo ad una strutturazione gerarchica, dove il moltepliceresta astratto dalle sue diverse concretizzazioni fenomeniche, il rovescia-mento operato dalla vivificazione d’immagine cara alla religione degliEgizi disbriga e discioglie subito la tendenza dello Spirito e la costanza atti-va dell’Anima dalla potenza ingombrante di un Medio che tenta di farsiidolo assoluto di sé per il relativo. Allo stesso modo la struttura cosmologi-ca tradizionale, incentrata sulla polarità verticale fra Sole e Luna e sullamediazione ordinata costruita dalla serie tolemaica dei pianeti viene disciol-ta e rivoluzionata – come si è già visto nei testi metafisico-cosmologici –dalla pluralità infinita e concreta (a-gerarchica) dei Soli e delle Terre.

La “Magia” superstiziosa così adombrata, seguendo la via tradizionaledel sapere e del potere, viva per l’oscillazione delle coscienze su di sé e

173

72 Ivi, pagg. 775-797.

Page 174: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

sulla propria forma figurata (“divina”, “matematica” e “naturale”), vienepertanto spezzata dal sotterraneo vero intento e discorso bruniano, chericompone ragione ed azione ad una ben diversa pluralità. Qui si attua loscontro finale e definitivo fra necessità e libertà – tema ed argomento pro-blematico, del resto, dell’ultimo dei Dialoghi Italiani, De gli Eroici furori,dove il genio bruniano scava sotto l’apparenza del testo una soluzione rivo-luzionaria, penetrabile solo in virtù di una dialetticità che traluce continua-mente attraverso spie luminose nascoste – quando la speculazione brunianadeve fare i conti con il modo attraverso il quale “tutti si referivano ad unnume de’ numi e fonte de le idee sopra la natura” o “al fine si trova che tuttala deità si riduce ad un fonte, come tutta la luce al primo e per sé lucido, ele imagini che sono in diversi e numerosi specchi, come in tanti suggettiparticulari, ad un principio formale ed ideale, fonte di quelle.”73 Così ilfamoso lamento di Ermete Trismegisto ad Asclepio, riportato dalla Sofiatradizionale,74 sulla scomparsa delle “statue animate”, principi direttividelle benedizioni o maledizioni celesti, e sulla scomparsa stessa della “reli-gione della mente”, a causa della “vecchiaia ed il disordine e la irreligionedel mondo”, non incontra uno spirito bruniano reazionario, ché al contrarione accende la progressiva (anche se non immediata) presa di distanza.Questo allontanamento dello spirito bruniano, del resto, seguirà successiva-mente le tracce della negazione, del superamento e della rivoluzione del-l’ordine attuale dell’Essere, caro alla tradizione neoplatonico-aristotelica –e, qui, alla Sofia tradizionale (degli Egizi, dei Greci e degli Ebrei) – nonappena qui si scorga il viraggio, prima ironico, e poi sempre più sarcasticoche accompagna la descrizione, la definizione e la determinazione appostadalla nascosta e sotterranea argomentazione bruniana allo sviluppo dellatradizione giudaico-cristiana (sino alla considerazione satirica della tradi-zione nobiliare e gentilizia). Come quelle, così questa, presentano, infatti,un’animalità addomesticata, controllata ed esaltata dal nume divino,costretta in una potenza non autonoma, ma eteroregolata. Così irreggimen-tato ed imbrigliato, il riflesso della determinazione divina non può nonlasciare di sé un’ombra ed orizzonte di necessaria univocità, oltre l’appa-renza inferiore di una molteplicità diversamente agita e vissuta (ritualmen-te strumentalizzata). L’auspicio nascosto che Iside formula per ilCapricorno – il ritorno all’antica grandezza della vera ed autentica religio-ne, quella degli Egizi, dopo la caduta rappresentata dai Greci e dalla tradi-zione giudaico-cristiana – costituisce quindi l’ultimo appello per la sua con-servazione. Una conservazione alla quale il Giove bruniano per il momen-

174

73 Ivi, pagg. 782-783. 74 Ivi, pagg. 784-786.

Page 175: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

to acconsente, travestendola però con la qualificazione della “Libertà di spi-rito”, in attesa di poter superare questo mancato oltrepassamento, quandocon la Cabala del Cavallo pegaseo e, soprattutto, con i dialoghi De gliEroici furori, la speculazione del filosofo nolano riporterà a problema iltema della materia celeste e del rapporto fra necessità e libertà.

Per ora il Giove bruniano accoglie l’accorato appello di Iside, per proce-dere poi molto rapidamente alla conclusione della sua trasformazione delloZodiaco. Così, dopo essersi accorto che il rapporto con la necessità rimaneoscuro,75 Giordano Bruno richiede che la figura successiva – “l’umido estemprato Acquario” – ricopra con la sua forza – “Temperanza” – l’incer-tezza precedente. Questa comunque ricade nel campo della molteplicitàdella generazione, e quindi nella molteplicità dei mondi presenti nelmondo: cosa escogiterà, allora, l’ingegno di Giove, per conservare un’uni-tà globale apparente? Esso farà in modo che si crei l’immagine e la “cre-denza” di un universalismo privo di differenze, con una comune origine,capace di falsare ogni effettiva discrepanza e di richiamare all’ordine divi-no ed all’obbedienza tutte quelle popolazioni che volessero continuare a farvalere le identificate ed accertate differenze. Quando non di rigettare quel-le più ribelli e riottose nel non-umano affatto … Il sarcasmo bruniano,espresso per bocca di Mercurio e proseguito con l’astuzia truffaldina diGiove, rivela, allora, la struttura e la genealogia – soprattutto le irresolubi-li contrapposizioni – del mito dell’origine della civiltà occidentale, sia neltentativo di allegorizzare in astratto le sue palesi favole, sia nelle ideosin-crasie che animano le nazioni che pretendono del suo sorgere l’esclusiva, ola precedenza (prima i Greci, e poi gli Egizi sugli Ebrei e non viceversa,impone il Giove bruniano, distaccando questi ultimi a non essere nemmenoparte alcuna nel mondo).76

Questo falso, perché finto, universalismo è quindi destinato a moltiplica-re le occasioni e le condizioni per l’irradicarsi, lo svilupparsi ed il giustifi-carsi della reciproca violenza, necessitando – quale prioritaria affermazio-ne di se stesso – della negazione della libertà di movimento e d’azione delpensiero: la necessitata conseguenza della conservazione del Capricorno èquindi l’eliminazione preventiva dell’opposizione, per il tramite di una con-formazione generalizzata, che valga e funga come moderazione e limitazio-ne comune accettata. Il segno ed il simbolo della liberazione – i “Pesci” –deve pertanto essere allontanato e denegato, nella sua potenzialità rigenera-trice e nella sua reale idealità (“metafora di nuova misericordia”). Così l’a-

175

75 Ivi, pag. 567. Vedi: «nel quale non sta sicura la Conversazione, il Contratto, Curia,Convivio ed altri appartinenti a questi figli, compagni ed amministratori.»

76 Ivi, pag. 800.

Page 176: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

more aperto viene sostituito dall’amore chiuso, cieco. Ben altra ed oppostasoluzione troverà lo stesso Giordano Bruno, quale soluzione finale del pro-blema della relazione fra necessità e libertà, alla fine dei dialoghi De gliEroici furori, quando risorgerà dalle ceneri – come l’araba Fenice – di que-sta cieca eguaglianza, grazie alla “materia enciclopedica” della Cabala delCavallo pegaseo. Per ora l’assestamento instabile ed incerto bruniano sicolloca all’altezza della necessaria eliminazione del dono gratuito dell’a-more stesso: l’ideale dell’ampia ed aperta libertà (“quella chioma detta gliCrini di Berenice”).77

Così all’inizio della Terza parte del terzo dialogo dello Spaccio de laBestia trionfante l’arresto momentaneo della speculazione bruniana produ-ce la mancata razionalizzazione di quelle tensioni emotive critiche, chepure erano comparse attraverso le pagine del suo testo, lasciando intravede-re se non altro la possibilità di una soluzione ben diversa rispetto a quellaper il momento approntata. Qui la riflessione bruniana, invece, procedelinearmente nella serie delle implicazioni dovute alla momentanea sceltadel punto di vista e presupposto adottati. Così, prima, il pensiero brunianosceglie una linea media (il “Ceto”), di indifferenza non-inattiva (“tranquil-lità del spirito”, “de l’animo”), tramite la quale gli sia poi consentito mani-festare una costanza d’orizzonte di tipo aristotelico (il cielo, come possibi-lità, che non ha opposizione e che ruota eternamente nel proprio luogo),all’interno della quale poter irradiare tutti gli atteggiamenti consoni all’u-manità. Per questo, alla figura di “Orione” – che rappresenta la falsa poten-za ordinatrice della religione cristiana, che nel miracolo inverte e rovescial’affermazione di natura e di ragione, togliendo la relazione unitaria con ladivinità e contrapponendo il regno della grazia a quello terreno – il Momobruniano sostituisce ciò che da solo può ripristinare l’impulso positivo,togliendo la falsa idolatria nel Cristo, accresciuta dalla continua ripresa emoltiplicazione delle favole e dei riti (miti) religiosi, che la accompagna-no e ritengono di giustificare: il semplice intento della Verità, la bontà con-naturata con esso. Questo intento e questa bontà, infatti, invertono la prete-sa giustificazione a posteriori, che abita nel costume religioso ed ecclesia-tico cristiano e che offre sostanza di sé con la moltiplicazione fantastica efantasiosa delle favole e delle leggende religiose. Rivolgono di nuovo l’a-nimo e lo spirito umano verso l’orizzonte della necessità, distogliendolo daquello della falsa fantasia ed immaginazione. Così travolgendo la pazziacollettiva scatenata dalla mediazione ecclesiastica, un potere collettivo cheelimini tutte le forme di negazione – della pace e della giustizia – potrà rico-

176

77 Ivi, pag. 802.

Page 177: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

stituire l’ambito pieno e fecondo di una repubblica celeste, stabilmente assi-sa sul trono che accomuna determinazione naturale e razionale.78

Procedendo nella riforma del cielo australe, meridionale, il pensiero bru-niano incontra la figura del “fiume Eridano”. Rappresentante della bifoca-lità naturale e razionale, della presenza e partecipazione del tutto alle sueparti, esso viene separato come astratto (immagine) che è a fondamento diogni individuazione – nella Cabala del Cavallo pegaseo Bruno tratterà dinuovo della materia – in tal modo costituendo l’orizzonte materiale delmondo etico bruniano.79 L’oltrepassamento e la trasformazione propriedella tendenza materiale – il divenire aristotelico – viene dunque calibratodalla riflessione bruniana come atto del raggiungimento felice dell’orizzon-te – “conformità della natura superiore” – che soprassiede al limite ed al suosuperamento e attraversamento. Questo raggiungimento vale dunque comel’opposto positivo aristotelico alla povertà, inerzia ed inferiorità materialedei corpi singoli, come il termine di ogni loro virtù e potenza reali. Questoraggiungimento vale quindi come medio rivoluzionario, quale fede vera edautentica, destinata a sostituire la somma pressoché infinita delle credulitàcristiane, con l’eternità del rovesciamento della materia in infinita ed invi-sibile, sempre creativa, forma celeste.80

Trasformata in questo modo la “Lepre” negativa in “Lepre” positiva, laspeculazione bruniana procede proprio a rendere più chiaro ed evidentequesto rovesciamento al termine ideale e reale della natura tutta, ponendoattenzione al problema della separazione della fonte creativa stessa. Se,infatti, la fonte creativa viene innalzata al cielo e qui viene separata, a risen-tirne inevitabilmente sarà la creatività presente nella natura attuale, terre-stre: “la tebana volpe” viene infatti “trasmutata in sasso”, immobilizzata.81

Allora Momo suggerisce al Giove bruniano di dividere e distinguere fral’atto creativo superiore e l’azione che inferiormente lo prende a modello,cercando di raggiungerlo e riattuarlo. Questa “Venazione” sarà, allora, lasoluzione al problema precedentemente prospettato. Il Giove bruniano siriconosce in questa riattuazione – Giove “retrogrado” – come nella mimesidrammatica ed allegorica operata da Momo nei confronti dell’ordine delleoperazioni che seguono alla cattura della preda selvatica (prima la separa-zione della testa, poi l’escissione del cuore ed, infine, lo smembramentodelle parti corporee).82 Nello stesso tempo riconosce la necessità del moni-to avanzato da Momo stesso nei riguardi dei cacciatori della sapienza – gli

177

78 Ivi, pagg. 802-807. 79 Ivi, pagg. 808-809. 80 Ivi, pagg. 809-810. 81 Ivi, pag. 810. 82 Ivi, pag. 812.

Page 178: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

“Atteoni” – a che essi non cadano nel miraggio rappresentato dalla realiz-zazione della propria immaginazione. Così infatti essi trasformano ciò checercano in se stessi e se stessi in ciò che ricercano. Per evitare questa trap-pola e pericolo il Giove bruniano propone che il mezzo con il quale si per-viene alla meta sia sempre negativo della negazione rappresentata dalla tra-sformazione in realtà dell’immaginazione. Questo medio, perciò, consenti-rà di conservare quel realismo, che impedisce la trasfigurazione connatura-ta ad ogni tirannide ed il contrapposto mantenimento della virtù collettiva epopolare (“republica”).83

Contro la seduzione dell’obbedienza e della subordinazione – è il signifi-cato allegorico della “Cagnolina”, della costellazione del Cane Minore – laspeculazione bruniana ritrova allora l’asse ed il fondamento della virtù col-lettiva e popolare della Repubblica nella reciproca libertà.84 Cardine e stru-mento essenziale dell’obbedienza e della subordinazione è però il desideriodi guadagno, di possesso e di conquista: per questa ragione, insieme alla“Cagnuola”, il Giove bruniano espedirà pure la “Nave”, simbolo e coacervodi tutti i vizi della nascente economia e società borghese.85 Al posto dellacapitalità del profitto e del suo imperio tirannico la riflessione bruniana –ancora, per il momento, all’interno dell’orizzonte etico del mondo unico ari-stotelico – propone l’apertura di uno spazio e tempo del lavoro, che conser-vi, stimoli ed accentui sempre più la precedentemente indicata reciprocalibertà dei soggetti umani. L’uno per l’altro utili e provvidenti, i cittadini delmondo bruniani instaurano relazioni non già sottrattive e di conquista, quan-to al contrario positive e creatrici di mutua ricchezza.

Onde la Nave ritorna al mare insieme con la vile Avarizia, buggiardaMercatura, sordido Guadagno, fluttuante Piratismo ed altri compagni infami, eper il più de le volte vituperosi, va a far residenza la Liberalità, Comunicazioneofficiosa, Provision tempestiva, utile Contratto, degno Peregrinaggio, munificoTransporto con gli lor fratelli, comiti, temonieri, remigatori, soldati, sentinieried altri ministri, che versano nel campo de la Fortuna.

Conservando, invece, la separazione che il concetto astratto e negativodell’eternità consente, mantiene e giustifica – “il Serpente australe, detto

178

83 Ivi, pag. 814. Vedi: «Ed in suo luogo succeda la Predicazione della verità, ilTirannicidio, il Zelo de la patria e di cose domestiche, la Vigilanza, la Custodia e Curadella republica.»

84 Ibidem. Vedi: «Bene, disse Giove; ma vedi, figlia, che voglio che seco si partal’Assentazione, l’Adulazione tanto amate, quanto perpetuamente odiati Zelo eDispreggio; perché in quel loco voglio che sia la Domestichezza, Comità, Placabilità,Gratitudine, semplice Ossequio ed amorevole Servitude.»

85 Ivi, pag. 815.

Page 179: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

l’Idra” – la riflessione bruniana non demolisce ed inverte il senso ed ilsignificato della determinazione, che sempre deve rimanere celeste e proce-dere superiormente. Così è un concetto punitivo di Dio86 quello che – inquesta fase del pensiero bruniano – consente la regolazione temibile dell’u-mano consesso, ordinando e organizzando la trama delle reciproche relazio-ni, sezionando via gli eccessi negativi opposti dell’impotenza e del deliriodi onnipotenza.

Dove s’allungava e stendeva le spire il Serpe australe, detto l’Idra, si faveder la provida Cautela, giudiciosa Sagacità, revirescente Virilità; onde cadeil senil Torpore, la stupida Rifanciullanza con l’Insidia, Invidia, Discordia,Maldicenza ed altre commensali.

Ciò che viene, invece, allontanato da questo campo della civile conver-sazione è il “Corvo”: l’unione dei due precedenti eccessi, la costituzione diuna negatività assoluta, che prolunghi l’esperienza di sopraffazione propriadell’antica astuzia di possesso con la giovanile baldanza e sregolatezzadella classe borghese in ascesa. L’opera provvidenziale di quella determina-zione – “Magia divina” – aprirà, invece, un orizzonte di positività, grazieall’insieme regolato dei doveri collettivi, posti a difesa dell’unità naturale erazionale, dal tradimento edificato dal comune vizio: la voluttà di possessoe di potere. Solo in questo modo l’umanità potrà risorgere ad un comuneatto creativo, non invece reciprocamente distruttivo.87 Solo allora l’umanoconsorzio si ricongiungerà con un’unità alta ed ideale, capace di negare laviziosa ebrietà – la “Tazza”88 – causata dal desiderio di possesso, per aprir-si invece ad un orizzonte di reciproca legittimazione, che precluda sia glieccessi della potenza, che la sua definizione astratta.

La speculazione bruniana, infatti, incontra ora il suo ostacolo più perico-loso e temibile: il “Centauro”, “Chirone”.89 Questa figura allegorica prendea modello l’unione delle due nature – divina ed umana – nel Cristo, percostruire – secondo Momo – una rappresentazione ribassata della potenza.Ma il Giove bruniano controbatte a questa osservazione critica, indicandoall’opposto come l’illimitato della potenza si serva proprio della credenzain questa composizione. L’unità dell’intelletto e l’infinito della volontàaprono, infatti, il campo creativo della natura razionale: sotto il cielo eticol’impulso, l’organizzazione e l’armonia della collettività umana trova la suasalvezza ed il suo futuro, conservando l’apertura del felice sacrificio di se

179

86 Ivi, pagg. 816-817. 87 Ivi, pagg. 817-821. 88 Ivi, pagg. 821-823. 89 Ivi, pagg. 823-825.

Page 180: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

stessa. Sacrificio che procede continuamente, senza diminuzioni o distac-chi. Cade così

ed è bandita la Favola anile e bestiale con la sua stolta Metafora, vanaAnalogia, caduca Anagogia, sciocca Tropologia e cieca Figuratura, con le lorfalse corti, conventi porcini, sediciose sette, confusi gradi, ordini disordinati,difformi riforme, immonde puritadi, sporche purificazioni e perniciosissimeforfantarie che versano nel campo de l’Avarizia, Arroganza ed Ambizione; neli quali presiede la torva Malizia, e si maneggia la cieca e crassa Ignoranza.

Cade quel concetto e quella prassi per i quali l’umiltà, la povertà e ladeprivazione sottomessa ed ignorante del popolo della Chiesa favorisce lapotenza tutta terrena di quest’ultima, pervertita dalla volontà di potere e per-ciò in continuo combattimento all’interno di se stessa. Non è difficile vede-re, qui, la critica che Giordano Bruno avanza verso la tendenza agostiniano-riformata, che unisce la tradizione antica della Chiesa cattolica alle nuovesette protestanti. Sarà, allora, proprio attraverso la riconsiderazione del con-cetto di materia, che il filosofo nolano potrà – nel testo successivo dellaCabala del Cavallo pegaseo (con l’aggiunta dell’Asino cillenico) – toccareuna riformulazione del concetto di “asinità”. Per ora egli si limita ad indica-re un luogo alto e medio – “l’Altare”90 – dove l’apertura amorosa della fedepuò, da un lato superare la negazione preventiva dell’ateismo, presentesoprattutto nei paesi dell’Europa occidentale, dall’altro combattere e distrug-gere le favole superstiziose dei riti e miti cristiani orientaleggianti.

Tutto il processo della riforma bruniana del cielo etico e religioso arrivadunque alla sua fine e scopo, quando ritrova sopra quel luogo il premio dellavirtù operosa: la “Corona australe”.91 Qui sta la vera Potenza – con un’allu-sione al re francese, Enrico III, che non ha secondo il giudizio dell’autorenolano assolutamente mania alcuna di esportare il proprio dominio in terrastraniera, in particolare in quella portoghese e belga (ma, sotto traccia, inquella inglese) – indicata dal versetto di Matteo (V, 5-8): «Beati li pacifici,beati li quieti, beati li mondi di cuore, perché de loro è il regno de’ cieli.»92

Se, quindi, la Potenza risiede nella pace e nella giustizia che promanadalla divina determinazione superiore, che nega la brama individuale dipossesso e di conquista, l’Atto di questa potenza non può non costituirsicome il sigillo finale dell’ascesa intellettuale e razionale bruniana: così ilGiove bruniano pone alla conclusione ed attuazione definitiva della riforma

180

90 Ivi, pagg. 825-826. 91 Ivi, pagg. 826-827. 92 Ibidem.

Page 181: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

del cielo, la distribuzione infinita e senza esclusioni del simbolo di quellaPotenza, il “Pesce australe”.93

181

93 Ivi, pagg. 828-829.

Page 182: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo
Page 183: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

VEPISTOLA INTRODUTTIVA

CABALA DEL CAVALLO PEGASEO

EPISTOLA DEDICATORIASOPRA LA SEGUENTE CABALAAL REVERENDISSIMO SIGNOR

DON SAPATINO,abbate successor di San Quintino e vescovo di Casamarciano.

Reverendissime in Christo Pater,Non altrimente che accader suole a un figolo, il qual gionto al ter-

mine del suo lavoro (che non tanto per trasmigrazion de la luce,quanto per difetto e mancamento della materia spacciata è gionto alfine) e tenendo in mano un poco di vetro, o di legno, o di cera, oaltro che non è sufficiente per farne un vase, rimane un pezzo senzasapersi né potersi risolvere, pensoso di quel che n’abbia fare, nonavendolo a gittar via disutilmente, e volendo al dispetto del mondoche serva a qualche cosa; ecco che a l’ultimo il mostra predestina-to ad essere una terza manica, un orlo, un coperchio di fiasco, unaforzaglia, un empiastro, o una intacconata, che risalde, empia oricuopra qualche fessura pertuggio o crepatura; è avvenuto a me,dopo aver dato spaccio non a tutti miei pensieri, ma a un certofascio de scritture solamente, che al fine, non avendo altro da ispe-dire, più per caso che per consiglio, ho volti gli occhi ad un cartac-cio che avevo altre volte spreggiato e messo per copertura di que’scritti: trovai che conteneva in parte quel tanto che vi vederete pre-sentato.

Questo prima pensai di donarlo a un cavalliero; il quale avendo-vi aperti gli occhi, disse che non avea tanto studiato che potesseintendere gli misterii, e per tanto non gli possea piacere. L’offersiappresso ad un di questi ministri verbi Dei; e disse che era amicodella lettera, e che non si delettava de simili esposizioni proprie aOrigene, accettate da scolastici ed altri nemici della lor professione.Il misi avanti ad una dama; e disse che non gli aggradava per nonesser tanto grande quanto conviene al suggetto d’un cavallo ed un

183

Page 184: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

asino. Il presentai ad un’altra; la quale, quantunque gustandolo glipiacesse, avendolo gustato, disse che ci volea pensar su per qualchegiorno. Viddi se vi potesse accoraggiar una pizocchera; e la medisse: Non lo accetto, se parla d’altro che di rosario, della vertù degranelli benedetti e de l’agnusdei.

Accostailo al naso d’un pedante, il qual, avendo torciuto il visoin altra parte, mi disse che aboliva ogni altro studio e materia eccet-to che qualche annotazione, scolia ed interpretazione sopra Vergilio,Terenzio e Marco Tullio. Udivi da un versificante che non lo volea,se non era qualche copia d’ottave rime o de sonetti. Altri dicevanoche gli meglior trattati erano stati dedicati a persone che non eranomegliori che essi loro. Altri co’ l’altre raggioni mi parevan dispostia dovermene ringraziar o poco o niente, se io gli l’avesse dedicato;e questo non senza caggione, perché, a dir il vero, ogni trattato econsiderazione deve essere speso, dispensato e messo avanti a queltale che è de la suggetta professione o grado.

Stando dunque io con gli occhi affissi su la raggion della materiaenciclopedica, mi ricordai dell’enciclopedico vostro ingegno, ilqual non tanto per fecondità e ricchezza par che abbraccie il tutto,quanto per certa pelegrina eccellenza par ch’abbia il tutto e meglioch’il tutto. Certo nessun potrà più espressamente che voi compren-dere il tutto, perché siete fuor del tutto; possete entrar per tutto, per-ché non è cosa che vi tegna rinchiuso; possete aver il tutto, perchénon è cosa che abbiate. (Non so se mi dechiararò meglio co’ descri-vere il vostro ineffabile intelletto). Io non so se siete teologo, o filo-sofo, o cabalista; ma so ben che siete tutti, se non per essenza, perpartecipazione; se non in atto, in potenza; se non d’appresso, da lon-tano. In ogni modo credo che siate cossì sufficiente nell’uno comenell’altro. E però eccovi cabala, teologia e filosofia: dico una caba-la di teologica filosofia, una filosofia di teologia cabalistica, unateologia di cabala filosofica, di sorte ancora che non so se queste trecose avete o come tutto, o come parte, o come niente; ma questo soben certo che avete tutto del niente in parte, parte del tutto nel nien-te, niente de la parte in tutto.

Or per venire a noi, mi dimandarete: che cosa è questa che m’in-viate? quale è il suggetto di questo libro? di che presente m’avetefatto degno? Ed io vi rispondo, che vi porgo il dono d’un Asino, visi presenta l’Asino il quale vi farà onore, vi aumentarà dignità, vimetterà nel libro de l’eternità. Non vi costa niente per ottenerlo da

184

Page 185: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

me ed averlo per vostro; non vi costarà altro per mantenerlo, perchénon mangia, non beve, non imbratta la casa; e sarà eternamentevostro, e duraràvi più che la vostra mitra, croccia, piovale, mula evita; come, senza molto discorrere, possete voi medesimo ed altricomprendere. Qua non dubito, reverendissimo monsignor mio, cheil dono de l’asino non sarà ingrato alla vostra prudenza e pietà: equesto non dico per caggione che deriva dalla consuetudine di pre-sentar a gran maestri non solamente una gemma, un diamante, unrubino, una perla, un cavallo perfetto, un vase eccellente; ma anco-ra una scimia, un papagallo, un gattomammone, un asino; e questo,allora che è necessario, è raro, è dottrinale; e non è de gli ordinarii.L’asino indico è precioso e duono papale in Roma; l’asinod’Otranto è duono imperiale in Costantinopoli; l’asino di Sardegnaè duono regale in Napoli; e l’asino cabalistico, il qual è ideale e perconsequenza celeste, volete voi che debba esser men caro in qualsi-voglia parte de la terra a qualsivoglia principal personaggio che percerta benigna ed alta repromissione sappiamo che si trova in cieloil terrestre? Son certo dunque che verrà accettato da voi con quel-l’animo, con quale da me vi vien donato.

Prendetelo, o padre, se vi piace, per ucello, perché è alato ed ilpiù gentil e gaio che si possa tener in gabbia. Prendetelo, se ‘l vole-te, per fiera, perché è unico, raro e pelegrino da un canto, e non ècosa più brava che possiate tener ferma in un antro o caverna.Trattatelo, se vi piace, come domestico; perché è ossequioso, comi-te e servile, ed è il meglior compagno che possiate aver in casa.Vedete che non vi scampe di mano; perché è il meglior destriero chepossiate pascere, o, per dir meglio, vi possa pascere in stalla;meglior familiare che vi possa esser contubernale e trattenimento incamera. Maneggiatelo come una gioia e cosa preciosa; perché nonpossete aver tesoro più eccellente nel vostro ripostiglio. Toccatelocome cosa sacra, e miratelo come cosa da gran considerazione; per-ché non possete aver meglior libro, meglior imagine e meglior spec-chio nel vostro cabinetto. Tandem, se per tutte queste raggioni nonfa per il vostro stomaco, lo potrete donar ad alcun altro che non vene debba essere ingrato. Se l’avete per cosa ludicra, donatelo adqualche buon cavalliero, perché lo metta in mano de suoi paggi, pertenerlo caro tra le scimie e cercopitechi. Se lo passate per cosaarmentale, ad un contadino che li done ricetto tra il suo cavallo ebue. Se ‘l stimate cosa ferina, concedetelo a qualche Atteone che lo

185

Page 186: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

faccia vagar con gli capri e gli cervi. Se vi par ch’abbia del migno-ne, fatene copia a qualche damigella che lo tegna in luogo di mar-tora e cagnuola. Se finalmente vi par ch’abbia del matematico, fate-ne grazia ad un cosmografo, perché gli vada rependo e salticchian-do tra il polo artico ed antartico de una di queste sfere armillari, allequali non men comodamente potrà dar il moto continuo, ch’abbiapossuto donar l’infuso mercurio a quella d’Archimede, ad esser piùefficacemente tipo del megacosmo, in cui da l’anima intrinsecapende la concordanza ed armonia del moto retto e circolare.

Ma se siete, come vi stimo, sapiente, e con maturo giudicio con-siderate, lo terrete per voi, non stimando a voi presentata da me cosamen degna, che abbia possuto presentar a papa Pio quinto, a cuiconsecrai l’Arca di Noè; al re Errico terzo di Francia, il qualeimmortaleggio con l’Ombre de le Idee; al suo legato in Inghilterra,a cui ho conceduti Trenta sigilli; al cavallier Sidneo, al quale hodedicata la Bestia trionfante. Perché qua avete non solamente labestia trionfante viva; ma, ed oltre, gli trenta sigilli aperti, la beati-tudine perfetta, le ombre chiarite e l’arca governata; dove l’asino(che non invidia alla vita delle ruote del tempo, all’ampiezza de l’u-niverso, alla felicità de l’intelligenze, alla luce del sole, al baldachi-no di Giove) è moderatore, dechiaratore, consolatore, aperitore epresidente. Non è, non è asino da stalla o da armento, ma di que’che possono comparir per tutto, andar per tutto, entrar per tutto,seder per tutto, comunicar, capir, consegliar, definir e far tutto.Atteso che se lo veggio zappar, inaffiar ed inacquare, perché nonvolete ch’il dica ortolano? S’ei solca, pianta e semina, perché nonsarà agricoltore? Per qual caggione non sarà fabro, s’ei è manipolo,mastro ed architettore? Chi m’impedisce che non lo dica artista, seè tanto inventivo, attivo e reparativo? Se è tanto esquisito argumen-tore, dissertore ed apologetico, perché non vi piacerà che lo dicascolastico? Essendo tanto eccellente formator di costumi, institutordi dottrine e riformator de religioni, chi si farà scrupolo de dirloacademico, e stimarlo archimandrita di qualche archididascalia?Perché non sarà monastico, stante ch’egli sia corale, capitolare edormitoriale? S’egli è per voto povero, casto ed ubediente, mi bia-simarete se lo dirò conventuale? Mi impedirete voi che non possachiamarlo conclavistico, stante ch’egli sia per voce attiva e passivagraduabile, eligibile, prelatibile? Se è dottor sottile, irrefragabile edilluminato, con qual conscienza non vorrete che lo stime e tegna per

186

Page 187: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

degno consegliero? Mi terrete voi la lingua, perché non possa ban-dirlo per domestico, essendo che in quel capo sia piantata tutta lamoralità politica ed economica? Potrà far la potenza de canonicaautoritade ch’io non lo tegna ecclesiastica colonna, se mi si mostradi tal maniera pio, devoto e continente? Se lo veggo tanto alto,beato e trionfante, potrà far il cielo e mondo tutto che non lo nomi-ne divino, olimpico, celeste? In conclusione (per non più rompere ilcapo a me ed a voi) mi par che sia l’istessa anima del mondo, tuttoin tutto, e tutto in qualsivoglia parte. Or vedete, dunque, quale equanta sia la importanza di questo venerabile suggetto, circa ilquale noi facciamo il presente discorso e dialogi: nelli quali se vipar vedere un gran capo o senza busto o con una picciola coda, nonvi sgomentate, non vi sdegnate, non vi maravigliate; perché si tro-vano nella natura molte specie d’animali che non hanno altri mem-bri che testa, o par che siano tutto testa, avendo questa cossì grandee l’altre parti come insensibili; e per ciò non manca che siano per-fettissime nel suo geno. E se questa raggione non vi sodisfa, dove-te considerar oltre, che questa operetta contiene una descrizione,una pittura; e che ne gli ritratti suol bastar il più de le volte d’averripresentata la testa sola senza il resto. Lascio che tal volta si mostraeccellente artificio in far una sola mano, un piede, una gamba, unocchio, una svelta orecchia, un mezo volto che si spicca da dietroun arbore, o dal cantoncello d’una fenestra, o sta come sculpito alventre d’una tazza, la qual abbia per base un piè d’oca, o d’aquila,o di qualch’altro animale; non però si danna, né però si spreggia, mapiù viene accettata ed approvata la manifattura. Cossì mi persuado,anzi son certo, che voi accettarete questo dono come cosa cossì per-fetta, come con perfettissimo cuore vi vien offerta. Vale.

187

Page 188: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

SONETTOIN LODE DE L’ASINO.

O sant’asinità, sant’ignoranza,Santa stolticia e pia divozione,

Qual sola puoi far l’anime sì buone,Ch’uman ingegno e studio non l’avanza;

Non gionge faticosa vigilanzaD’arte qualunque sia, o ‘nvenzione,

Né de sofossi contemplazioneAl ciel dove t’edifichi la stanza.Che vi val, curiosi, il studiare,

Voler saper quel che fa la natura,Se gli astri son pur terra, fuoco e mare?

La santa asinità di ciò non cura;Ma con man gionte e ‘n ginocchion vuol stare,

Aspettando da Dio la sua ventura.Nessuna cosa dura,

Eccetto il frutto de l’eterna requie,La qual ne done Dio dopo l’essequie.

188

Page 189: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

DECLAMAZIONEAL STUDIOSO, DEVOTO E PIO LETTORE.

Oimè, auditor mio, che senza focoso suspiro, lubrico pianto e tra-gica querela, con l’affetto, con gli occhi e le raggioni non può ram-mentar il mio ingegno, intonar la voce e dechiarar gli argumenti,quanto sia fallace il senso, turbido il pensiero ed imperito il giudi-cio, che con atto di perversa, iniqua e pregiudiciosa sentenza nonvede, non considera, non definisce secondo il debito di natura, veri-tà di raggione e diritto di giustizia circa la pura bontade, regia sin-ceritade e magnifica maestade della santa ignoranza, dotta pecora-gine e divina asinitade! Lasso! a quanto gran torto da alcuni è sí fie-ramente essagitata quest’eccellenza celeste tra gli uomini viventi,contra la quale altri con larghe narici si fan censori, altri con apertesanne si fan mordaci, altri con comici cachini si rendono beffeggia-tori. Mentre ovunque spreggiano, burlano e vilipendeno qualchecosa, non gli odi dir altro che: Costui è un asino, quest’azione è asi-nesca, questa è una asinitade; – stante che ciò absolutamente con-vegna dire dove son piú maturi discorsi, piú saldi proponimenti epiù trutinate sentenze. Lasso! perché con ramarico del mio core,cordoglio del spirito ed aggravio de l’alma mi si presenta a gli occhiquesta imperita, stolta e profana moltitudine che sí falsamentepensa, sì mordacemente parla, sí temerariamente scrive per parturirque’ scelerati discorsi de tanti monumenti che vanno per le stampe,per le librarie, per tutto, oltre gli espressi ludibrii, dispreggi e biasi-mi: l’asino d’oro, le lodi de l’asino, l’encomio de l’asino; dove nonsi pensa altro che con ironiche sentenze prendere la gloriosa asini-tade in gioco, spasso e scherno? Or chi terrà il mondo che non pensich’io faccia il simile? Chi potrà donar freno alle lingue che non mimettano nel medesimo predicamento, come colui che corre appo glivestigii de gli altri che circa cotal suggetto democriteggiano? Chipotrà contenerli che non credano, affermino e confermino che ionon intendo vera e seriosamente lodar l’asino ed asinitade, ma piútosto procuro di aggionger oglio a quella lucerna la quale è stata dagli altri accesa? Ma, o miei protervi e temerarii giodici, o neghitto-si e ribaldi calunniatori, o foschi ed appassionati detrattori, fermateil passo, voltate gli occhi, prendete la mira; vedete, penetrate, con-siderate se gli concetti semplici, le sentenze enunciative e glidiscorsi sillogistici ch’apporto in favor di questo sacro, impolluto e

189

Page 190: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

santo animale, son puri, veri e demostrativi, o pur son finti, impos-sibili ed apparenti. Se le vedrete in effetto fondati su le basi de fon-damenti fortissimi, se son belli, se son buoni, non le schivate, nonle fuggite, non le rigettate; ma accettatele, seguitele, abbracciatele,e non siate oltre legati dalla consuetudine del credere, vinti dallasufficienza del pensare e guidati dalla vanità del dire, se altro vimostra la luce de l’intelletto, altro la voce della dottrina intona edaltro l’atto de l’esperienza conferma.

L’asino ideale e cabalistico, che ne vien proposto nel corpo de lesacre lettere, che credete voi che sia? Che pensate voi essere ilcavallo pegaseo che vien trattato in figura de gli poetici figmenti?De l’asino cillenico degno d’esser messo in croceis nelle più onora-te academie che v’imaginate? Or lasciando il pensier del secondo eterzo da canto, e dando sul campo del primo, platonico parimente eteologale, voglio che conosciate che non manca testimonio dalledivine ed umane lettere, dettate da sacri e profani dottori, che par-lano con l’ombra de scienze e lume della fede. Saprà, dico, ch’ionon mentisco colui ch’è anco mediocremente perito in queste dot-trine, quando avien ch’io dica l’asino ideale esser principio prodot-tivo, formativo e perfettivo sopranaturalmente della specie asinina;la quale quantunque nel capacissimo seno della natura si vede ed èdall’altre specie distinta, e nelle menti seconde è messa in numero,e con diverso concetto appresa, e non quel medesimo con cui l’al-tre forme s’apprendeno; nulla di meno (quel ch’importa tutto) nellaprima mente è medesima che la idea de la specie umana, medesimache la specie de la terra, della luna, del sole, medesima che la spe-cie dell’intelligenze, de gli demoni, de gli dei, de gli mondi, de l’u-niverso; anzi è quella specie da cui non solamente gli asini, ma e gliuomini e le stelle e gli mondi e gli mondani animali tutti han depen-denza: quella dico, nella quale non è differenza di forma e sugget-to, di cosa e cosa; ma è semplicissima ed una. Vedete, vedete dun-que, d’onde derive la caggione che senza biasimo alcuno il santo desanti or è nominato non solamente leone, monocorno, rinoceronte,vento, tempesta, aquila, pellicano, ma e non uomo, opprobrio de gliuomini, abiezion di plebe, pecora, agnello, verme, similitudine dicolpa, sin ad esser detto peccato e peggio. Considerate il principiodella causa, per cui gli cristiani e giudei non s’adirano, ma più tostocon glorioso trionfo si congratulano insieme, quando con le meta-foriche allusioni della santa scrittura son figurati per titoli e defini-

190

Page 191: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

zioni asini, son appellati asini, son definiti per asini: di sorte che,dovunque si tratta di quel benedetto animale, per moralità di lette-ra, allegoria di senso ed anagogia di proposito s’intende l’uomo giu-sto, l’uomo santo, l’uomo de Dio.

Però, quando ne l’Exodo si fa menzione della redenzione e muta-zion dell’uomo, in compagnia di quello vien fatta la menzion de l’a-sino. Il primogenito dell’asino dice, cangiarai con la pecora; il pri-mogenito dell’uomo redimerai col prezzo. Quando nel medesimolibro è donata legge al desiderio dell’uomo che non si stenda allamoglie, alla servente, vedi nel medesimo numero messo il bue e l’a-sino: come che non meno importe proporsi materia di peccato l’unoche l’altro appetibile. Però quando nel libro de Giudici cantò Deborae Barac, figlio d’Abinoen, dicendo: Udite, o regi, porgete l’orecchie,o principi, li quali montate su gli asini nitenti e sedete in giudicio,interpretano gli santi rabini: O governatori de la terra, li quali sietesuperiori a gli generosi popoli, e con la sacra sferza le governate,castigando gli rei, premiando gli buoni e dispensando giustamente lecose. – Quando ordina il Pentateuco che devi ridur ed addirizzar alsuo camino l’asino e bue errante del prossimo tuo, intendeno moral-mente gli dottori, che l’uomo del nostro prossimo Idio, il quale èdentro di noi ed in noi, s’aviene che prevariche dalla via della giu-stizia, debba essere da noi corretto ed avertito. Quando l’archisina-gogo riprese il Signor che curava nel sabbato, ed egli rispose che nonè uomo da bene che in qualunque giorno non vegna a cavar l’asinoo bue dal pozzo dove è cascato; intendeno gli divini scrittori che l’a-sino è l’uomo semplice, il bue è l’uomo che sta sul naturale, il pozzoè il peccato mortale, quel che cava l’asino dal pozzo è la divina gra-zia e ministero che redime gli suoi diletti da quell’abisso. Ecco, dun-que, qualmente il popolo redemuto, preggiato, bramato, governato,addirizzato, avertito, corretto, liberato e finalmente predestinato, èsignificato per l’asino, è nominato asino. E che gli asini son quelliper gli quali la divina benedizione e grazia piove sopra gli uomini,di maniera che guai a color che vegnon privi del suo asino, certa-mente molto ben si può veder nell’importanza di quella maledizioneche impiomba nel Deuteronomio, quando minacciò Dio dicendo:L’asino tuo ti sia tolto d’avanti, e non ti sia reso!

Maladetto il regno, sfortunata la republica, desolata la cità, deso-lata la casa, onde è bandito, distolto ed allontanato l’asino! Guai alsenso, conscienza ed anima dove non è participazion d’asinità! Ed

191

Page 192: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

è pur trito adagio: ab asino excidere, per significar l’esser destrut-to, sfatto, spacciato. Origene Adamanzio, accettato tra gli ortodoxie sacri dottori, vuole che il frutto de la predicazione de’ settanta doidiscepoli è significato per li settanta doi milia asini che il popoloisraleita guadagnò contra gli Moabiti: atteso che de quei settanta doiciascuno guadagnò mille, cioè un numero perfetto, d’anime prede-stinate, traendole da le mani de Moab, cioè liberandole dalla tiran-nia de Satan. Giongasi a questo che gli uomini più divoti e santi,amatori ed exequitori dell’antiqua e nova legge, absolutamente eper particolar privilegio son stati chiamati asini. E se non me ‘l cre-dete, andate a studiar quel ch’è scritto sopra quell’Evangelico:L’asina ed il pulledro sciogliete, e menateli a me. Andate a contem-plar su gli discorsi che fanno gli teologi ebrei, greci e latini sopraquel passo che è scritto nel libro de Numeri: Aperuit Dominus osasinae, et locuta est. E vedete come concordano tanti altri luoghidelle sacrate lettere, dove sovente è introdotto il providente Dioaprir la bocca de diversi divini e profetici suggetti, come di quel chedisse: Oh oh oh, Signor, ch’io non so dire. E là dove dice: Aperse ilSignor la sua bocca. Oltre tante volte ch’è detto: Ego ero in ore tuo;tante volte che gli è priegato: Signor, apri le mie labra, e la miabocca ti lo darà. Oltre nel testamento novo: Li muti parlano, li pove-ri evangelizano.

Tutto è figurato per quello che il Signor aperse la bocca de l’asi-na, ed ella parlò. Per l’autorità di questa, per la bocca, voce e paro-li di questa è domata, vinta e calpestrata la gonfia, superba e teme-raria scienza secolare; ed è ispianata al basso ogni altezza che ardi-sce di levar il capo verso il cielo: perché Dio av’elette le cose infer-me per confondere le forze del mondo; le cose stolte ave messe inriputazione; atteso che quello, che per la sapienza non posseva esse-re restituito, per la santa stoltizia ed ignoranza è stato riparato: peròè riprovata la sapienza de sapienti e la prudenza de prudenti è riget-tata. Stolti del mondo son stati quelli ch’han formata la religione,gli ceremoni, la legge, la fede, la regola di vita; gli maggiori asinidel mondo (che son quei che, privi d’ogni altro senso e dottrina, evoti d’ogni vita e costume civile, marciti sono nella perpetua pedan-teria) son quelli che per grazia del cielo riformano la temerata e cor-rotta fede, medicano le ferite de l’impiagata religione, e togliendogli abusi de le superstizioni, risaldano le scissure della sua veste;non son quelli che con empia curiosità vanno, o pur mai andâro per-

192

Page 193: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

seguitando gli arcani della natura, computaro le vicissitudini de lestelle. Vedete se sono o furon giamai solleciti circa le cause secretede le cose; se perdonano a dissipazion qualunque de regni, disper-sion de popoli, incendii, sangui, ruine ed esterminii; se curano cheperisca il mondo tutto per essi loro: purché la povera anima siasalva, purché si faccia l’edificio in cielo, purché si ripona il tesoroin quella beata patria, niente curando della fama e comodità e glo-ria di questa frale ed incerta vita, per quell’altra certissima ed eter-na. Questi son stati significati per l’allegoria de gli antiqui sapienti(alli quali non ha voluto mancar il divino spirito di revelar qualchecosa, almeno per farli inescusabili) in quello sentenzioso apologode gli dei che combattirono contra gli rubelli giganti, figli de la terraed arditi predatori del cielo; che con la voce de gli asini confusero,atterrirono, spaventâro, vinsero e domorno. Il medesimo è suffi-cientemente espresso dove, alzando il velo de la sacrata figura, s’af-figono gli occhi all’anagogico senso di quel divin Sansone, che conl’asinina mascella tolse la vita a mille Filistei; perché dicono glisanti interpreti, che nella mascella de l’asina, cioè de gli predicato-ri de la legge e ministri della sinagoga, e nella mascella del pulle-dro de gli asini, cioè de’ predicatori della nova legge e ministri del’ecclesia militante, delevit eos, cioè scancellò, spinse que’ mille,quel numero compito, que’ tutti, secondo che è scritto: Cascaronodal tuo lato mille, e dalla tu a destra diece milia; ed è chiamato illuogo Ramath-lechi, cioè exaltazion de la mascella. Dalla quale perfrutto di predicazione non solo è seguita la ruina delle avversarie edodiose potestadi, ma anco la salute de regenerati: perché dallamedesima mascella, cioè per virtù di medesima predicazione, sonuscite e comparse quelle acqui, che promulgando la divina sapien-za, diffondeno la grazia celeste e fanno gli suoi abbeverati capaci devita eterna.

O dunque forte, vittoriosa e trionfatrice mascella d’un asinomorto, o diva, graziosa e santa mascella d’un polledro defunto, orche deve essere della santità, grazia e divinità, fortezza, vittoria etrionfo dell’asino tutto, intiero e vivente, – asino, pullo e madre, –se di quest’osso e sacrosanta reliquia la gloria ed exaltazion è tanta?E mi volto a voi, o dilettissimi ascoltatori; a voi, a voi mi rivolto, oamici lettori de mia scrittura ed ascoltatori de mia voce; e vi dico, evi avertisco, e vi esorto, e vi scongiuro, che ritorniate a voi medesi-mi. Datemi scampo dal vostro male, prendete partito del vostro

193

Page 194: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

bene, banditevi dalla mortal magnificenza del core, ritiratevi allapovertà del spirito, siate umili di mente, abrenunziate alla raggione,estinguete quella focosa luce de l’intelletto che vi accende, vi brug-gia e vi consuma; fuggite que’ gradi de scienza che per certoaggrandiscono i vostri dolori; abnegate ogni senso, fatevi cattivialla santa fede, siate quella benedetta asina, riducetevi a quel glo-rioso pulledro, per li quali soli il redentor del mondo disse a gliministri suoi: Andate al castello ch’avete a l’incontro; cioè andateper l’universo mondo sensibile e corporeo il quale come simulacroè opposto e supposto al mondo intelligibile ed incorporeo.Trovarete l’asina ed il pulledro legati: v’occorrerà il popolo ebreo egentile, sottomesso e tiranneggiato dalla captività di Belial.

Dice ancora: Scioglietele: levateli de la cattività, per la predica-zion dell’Evangelio ed effusion de l’acqua battismale; e menatele ame, perché mi servano, perché siano miei: perché portando il pesodel mio corpo, cioè della mia santa instituzione e legge sopra lespalli, ed essendo guidati dal freno delli miei divini consegli, sianfatti degni e capabili d’entrar meco nella trionfante Ierusalem, nellacittà celeste. Qua vedete chi son li redemuti, chi son gli chiamati,chi son gli predestinati, chi son gli salvi: l’asina, l’asinello, gli sem-plici, gli poveri d’argumento, gli pargoletti, quelli ch’han discorsode fanciulli; quelli, quelli entrano nel regno de’ cieli; quelli, perdispreggio del mondo e de le sue pompe, calpestrano gli vestimen-ti, hanno bandita da sé ogni cura del corpo, de la carne che sta avol-ta circa quest’anima, se l’han messa sotto gli piedi, l’hanno gittatavia a terra, per far più gloriosa- e trionfalmente passar l’asina ed ilsuo caro asinello.

Pregate, pregate Dio, o carissimi, se non siete ancora asini, che vifaccia dovenir asini. Vogliate solamente; perché certo certo, facilis-simamente vi sarà conceduta la grazia: perché, benché naturalmen-te siate asini, e la disciplina commune non sia altro che una asinita-de, dovete avertire e considerar molto bene se siate asini secondoDio; dico, se siate quei sfortunati che rimagnono legati avanti laporta, o pur quegli altri felici li quali entran dentro. Ricordatevi, ofideli, che gli nostri primi parenti a quel tempo piacquero a Dio, ederano in sua grazia, in sua salvaguardia, contenti nel terrestre para-diso, nel quale erano asini, cioè semplici ed ignoranti del bene emale; quando [non] posseano esser titillati dal desiderio di saperebene e male, e per consequenza non ne posseano aver notizia alcu-

194

Page 195: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

na; quando possean credere una buggia che gli venesse detta dalserpente; quando se gli possea donar ad intendere sin a questo: che,benché Dio avesse detto che morrebono, ne potesse essere il contra-rio: in cotal disposizione erano grati, erano accetti, fuor d’ognidolor, cura e molestia. Sovvegnavi ancora ch’amò Dio il popoloebreo, quando era afflitto, servo, vile, oppresso, ignorante, onerario,portator de còfini, somarro, che non gli possea mancar altro che lacoda ad esser asino naturale sotto il domìno de l’Egitto: allora fudetto da Dio suo popolo, sua gente, sua scelta generazione.Perverso, scelerato, reprobo, adultero fu detto quando fu sotto lediscipline, le dignitadi, le grandezze e similitudine de gli altri popo-li e regni onorati secondo il mondo. Non è chi non loda l’età del’oro, quando gli uomini erano asini, non sapean lavorar la terra,non sapean l’un dominar a l’altro, intender più de l’altro, avean pertetto gli antri e le caverne, si donavano a dosso come fan le bestie,non eran tante coperte e gelosie e condimenti de libidine e gola;ogni cosa era commune, il pasto eran le poma, le castagne, le ghian-de in quella forma che son prodotte dalla madre natura. Non è chinon sappia qualmente non solamente nella specie umana, ma ed intutti gli geni d’animali la madre ama più, accarezza più, mantiencontento più ed ocioso, senza sollecitudine e fatica, abbraccia,bacia, stringe, custodisce il figlio minore, come quello che non samale e bene, ha dell’agnello, ha de la bestia, è un asino, non sa cossíparlare, non può tanto discorrere; e come gli va crescendo il sennoe la prudenza, sempre a mano a mano se gli va scemando l’amore,la cura, la pia affezione che gli vien portata da gli suoi parenti. Nonè nemico che non compatisca, abblandisca, favorisca a quella età, aquella persona che non ha del virile, non ha del demonio, non ha del’uomo, non ha del maschio, non ha de l’accorto, non ha del barbu-to, non ha del sodo, non ha del maturo. Però quando si vuol moverDio a pietà e comiserazione il suo Signore, disse quel profeta: Ahah ah, Domine, quia nescio loqui; dove, col ragghiare e sentenza,mostra esser asino. Ed in un altro luogo dice: Quia puer sum. Peròquando si brama la remission della colpa, molte volte si presenta lacausa nelli divini libri, con dire: Quia stulte egimus, stulte egerunt,quia nesciunt quid faciant, ignoramus, non intellexerunt. Quando sivuol impetrar da lui maggior favore ed acquistar tra gli uomini mag-gior fede, grazia ed autorità, si dice in un loco, che li apostoli eranstimati imbreachi; in un altro loco, che non sapean quel che diceva-

195

Page 196: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

no, perché non erano essi che parlavano: ed un de piú eccellenti, permostrar quanto avesse del semplice, disse che era stato rapito alterzo cielo, uditi arcani ineffabili, e che non sapea s’era morto ovivo, se era in corpo o fuor di quello. Un altro disse che vedeva glicieli aperti, e tanti e tanti altri propositi che tegnono gli diletti deDio, alli quali è revelato quello che è occolto a la sapienza umana,ed è asinità esquisita a gli occhi del discorso razionale: perché que-ste pazzie, asinitadi e bestialitadi son sapienze, atti eroici ed intelli-genze appresso il nostro Dio; il qual chiama li suoi pulcini, il suogrege, le sue pecore, li suoi parvuli, li suoi stolti, il suo pulledro, lasua asina que’ tali che li credeno, l’amano, il siegueno. Non è, nonè, dico, meglior specchio messo avanti gli occhi umani che l’asini-tade ed asino, il qual piú esplicatamente secondo tutti gli numeridimostre qual esser debba colui, che faticandosi nella vigna delSignore deve aspettar la retribuzion del danaio diurno, il gusto dellabeatifica cena, il riposo che segue il corso di questa transitoria vita.Non è conformità megliore o simile che ne amene, guide e condu-ca alla salute eterna più attamente che far possa questa vera sapien-za approvata dalla divina voce: come, per il contrario, non è cosache ne faccia piú efficacemente impiombar al centro ed al baratrotartareo, che le filosofiche e razionali contemplazioni, quali nasco-no da gli sensi, crescono nella facultà discorsiva e si maturano nel-l’intelletto umano. Forzatevi, forzatevi dunque ad esser asini, o voi,che siete uomini. E voi, che siete già asini, studiate, procurate, adat-tatevi a proceder sempre da bene in meglio, a fin che perveniate aquel termine, a quella dignità, la quale, non per scienze ed opre,quantunque grandi, ma per fede s’acquista; non per ignoranza emisfatti, quantunque enormi, ma per la incredulità (come dicono,secondo l’Apostolo) si perde. Se cossí vi disporrete, se tali sarete etalmente vi governarete, vi trovarete scritti nel libro de la vita,impetrarete la grazia in questa militante, ed otterrete la gloria inquella trionfante ecclesia, nella quale vive e regna Dio per tuttisecoli de secoli. Cossí sia!

196

Page 197: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

UN MOLTO PIO SONETTOCIRCA LA SIGNIFICAZIONE DE L’ASINA E PULLEDRO.

Ite al castello ch’avete d’avanti,E trovarete l’asina col figlio:

Quelli sciogliete, e dandogli de piglio,L’amenarete a me, servi miei santi.S’alcun, per impedir misterii tanti,

Contra di voi farà qualche bisbiglio,Risponderete lui con alto ciglio,

Ch’il gran Signor le vuol far trionfanti. –Dice cossí la divina scrittura,

Per notar la salute de’ credentiAl redentor dell’umana natura.Gli fideli di Giuda e de le genti

Con vita parimente sempia e puraPotran montar a que’ scanni eminenti.

Divoti e pazientiVegnon a fars’il pullo con la madreContubernali a l’angeliche squadre.

197

Page 198: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo
Page 199: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

CABALA DEL CAVALLO PEGASEO (LONDRA, 1585)Note ed osservazioni in forma di commento

La “raggion de la materia enciclopedica”, che è tema ed argomento delDialogo, pare proprio definire e determinare la nuova concezione della mate-ria bruniana: se la materia della tradizione neoplatonico-aristotelica non pote-va schiodarsi dalla propria funzione di soggetto inerte e neutralizzato, annichi-lito nella propria potenza – senza intelletto e volontà – la nuova (antica) mate-ria bruniana risorge, risale e si reinnalza, rovesciandosi in aperta e molteplicecreatività, tenuta insieme dalla ragione visibile ed invisibile di un amore egua-le, che riunifica libertà ed eguaglianza. In questo modo Bruno – anticipando leargomentazioni successivamente presenti nella Lampas triginta statuarum(Wittenberg, 1587) attraverso i concetti di Chaos, Orco e Notte – riesce atogliere quell’annichilimento, ridonando e riscoprendo per la materia e nellamateria quelle funzioni teologiche che la tradizione attribuiva al Padre (laPotenza), allo Spirito (la Volontà) ed al Figlio (l’Intelletto).

La materia bruniana, infatti, si rimobilizza: ruota e rivoluziona – ed èquesto il suo essere enciclopedico – attraverso un perno centrale (contrazio-ne), poi aprendosi e mostrando di sé, al proprio interno – ormai riorientatoverso il superiore orizzonte dell’Uno infinito e quasi proiettandolo – unfascio molteplice di determinazioni (espressioni). Con questa rotazione erivoluzione la speculazione bruniana riesce, allora, a superare la riduzionemondiale all’interno della quale era rimasta chiusa nell’opera precedente –lo Spaccio de la Bestia trionfante – realizzando quell’oltrepassamento, chemeglio ricongiunge la parte morale della sua riflessione con gli esiti rivolu-zionari della sua impostazione metafisico-cosmologica.

Così l’universalità della materia nella propria intensione ed estensione crea-tiva e razionale – nella propria dialetticità – non può non unire l’apparentepeso – l’Asino cillenico (mercuriale) – della propria unità naturale con l’oppo-sto slancio ingenerato dal desiderio che anima l’amore eguale (il Cavallo pega-seo) e che unisce libertà (la figura teologica del Padre) ed eguaglianza (la figu-ra teologica del Figlio). Allora l’umiltà dello Spirito – il desiderio naturalestesso – trabalzerà nella sua universalità, apparentemente opposta alla prima:quella immaginata dalla ragione. Così queste due universalità non sono scisse,né scindibili: l’una, infatti, conduce all’altra (come nella figura – concreta od

199

Page 200: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

allegorica che sia – dell’abate Don Sapatino, destinatario dell’opera filosofica,teologica e cabalistica bruniana). L’umiltà dello Spirito – “possete aver il tutto,perché non è cosa che abbiate” – è infatti in origine l’apertura della libertà –nella Lampas triginta statuarum questa funzione verrà individuata attraversola figura teologica del Chaos – è la sua forza infinita. Il suo riconoscimento emerito – il suo intelletto e la sua volontà – realizzano ciò che pare comeinghiottire tutto, per elevarlo e riportarlo però a se stesso, in un’opposizionesolo apparente (sempre nella Lampas, questa funzione si concretizza nellafigura dell’Orco): ecco, allora, l’unità infinita dello Spirito nel Figlio. Ma ilvero e buono riconoscimento – il merito effettivo ed operante della volontàumana – deve saper mantenere l’apertura infinita della Verità nella sua unità:qui la molteplicità – ecco, nella Lampas, la figura teologica della Notte – dellalibertà iniziale si ritrova nella molteplicità delle determinazioni razionali, cheriuniscono il Padre al Figlio. Solo in questo processo lo Spirito del Figlio sarà,di nuovo, Padre, mentre il Padre stesso sarà Figlio. Solo allora l’Asino cille-nico – “l’asino cabalistico, il qual è ideale e per consequenza celeste” – si saràtrasformato in Cavallo pegaseo. Solo allora la materia si sarà liberata: nella suapotenza, volontà ed intelletto.1

Allora la materia bruniana parla – o sembra parlare – proprio di noi, dellanostra Umanità. Essa viene perduta sempre, nel momento in cui si fa vale-re un medio che tende a separarsi ed a farsi astrattamente assoluto: sia nellaconcezione tradizionale, dove il medio assoluto celeste pare restringere elimitare originariamente la libertà nella disposizione (nella disposizionesuperiore del potere), sia nella nuova concezione moderna, attinta dopoBruno, quando l’unità materiale pare ridefinirsi attorno al primato dell’en-te produttivo e non riesce mai – per il fato della necessità, che assume qualeproprio principio – a liberarsi. Perciò obiettivo polemico di Bruno sarà pro-prio il concetto e l’uso del medio assoluto, nella sua versione tradizionaleed in quella sua nuova formazione, tanto cara ai cenacoli neopitagorico-ari-stotelici dell’Inghilterra elisabettiana, capace di fondere la tradizionale gra-duazione sociale e politica con il nuovo spirito borghese e capitalistico.

Il medio assoluto, astratto o materiale, si fonda infatti sempre sulla con-cezione ed il presupposto di un Uno, necessario e d’ordine, con funzionid’alienazione e negazione: ma nel distacco del principio e nella sua asseri-ta ed indiscutibile positività, l’accumulo superiore delle totali negativitàlascia sempre più l’esistente in balia di un’eterna insoddisfazione, di uneterno irrisolvimento ed irrealizzazione. Di qui la necessità di un diverso

200

1 L’opera bruniana seguente, De gli Eroici furori, analizzerà il modo attraverso il qualeil Padre diviene il Figlio ed il Figlio realizza il Padre, attraverso il gioco dialettico diintelletto e volontà.

Page 201: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

concetto dell’Uno, che solo attraverso la determinazione dell’infinitoriuscirà a ridonare quello spazio della libertà – unito al tempo dell’amoreeguale – capace di riportare a salvezza l’intero infinito Universo (non più ilsolo e chiuso mondo etico dello Spaccio).

Questa trasformazione – quella che rende l’Asino cillenico un Cavallopegaseo – allora si qualificherà per la gentile e felice elevazione (“ucello”),capace di rendere di sé l’immagine viva e reale dell’Anima migliore e per-fetta (“fiera”), ingenerata e mossa dall’Intelletto che non si separa (“dome-stico”) e che dunque illumina, tocca e riempie della propria volontà(“destriero”, “familiare”) ogni cosa. Non imitazione e riflesso da nulla(“cosa ludrica”), né strumentale pacificazione (“cosa armentale”), né perl’opposto spirito guerresco fine a se stesso (“cosa ferina”) o spirito religio-so dimezzato ed edulcorato (“mignone”), esso non vale nemmeno solamen-te quale astratta unità degli opposti di pura tradizione aristotelica (“matema-tico” e “cosmografo”): infatti esso può solo sembrare animato da quell’in-terno movimento che ricorda il riempimento interno di vita del mondo nellasua interezza, nella combinazione centrale dei movimenti particolari (“tipodel megacosmo” e “anima intrinseca”). Esso è piuttosto Spirito creativo edialettico, insieme: materia come spirito (desiderio naturale) e spirito comemateria (immagine razionale, in duplice verso e senso). Solo in questomodo, infatti, sarà immagine viva e non morta, dunque opera reale ed esi-stente. Prezioso essere animato, capace di tenere insieme Marte e Venere (lavera unità degli opposti), in una religione ed in una scienza che rammenta-no e riscoprono, in tutta la loro evidenza, la molteplicità ideale di potenzenon separate, che riuniscono alla bellezza e bontà universali, per il tramitedella libertà eterna dell’amore eguale.

Perché qua avete non solamente la bestia trionfante viva; ma, ed oltre, glitrenta sigilli aperti, la beatitudine perfetta, le ombre chiarite e l’arca governa-ta; dove l’asino (che non invidia alla vita delle ruote del tempo, all’ampiezzade l’universo, alla felicità de l’intelligenze, alla luce del sole, al baldachino diGiove) è moderatore, dechiaratore, consolatore, aperitore e presidente.

In questo modo la speculazione bruniana supera la chiusura all’internodella quale era rimasta intrappolata nella terza e conclusiva parte delloSpaccio de la Bestia trionfante, riaprendo e ridilatando all’infinito le ridu-zioni di definizione e determinazione che avevano operato nel testo brunia-no, con la scelta e la confermazione del contenuto portato dall’immaginezodiacale del Capricorno (la magia degli antichi Egizi). Qui il pensiero bru-niano accoglie la possibilità di farsi “riformator de religioni”, proprio quan-do riscopre l’atto della rivoluzione “politica ed economica” nell’unità fralibertà ed eguaglianza.

201

Page 202: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

Mi terrete voi la lingua, perché non possa bandirlo per domestico, essendoche in quel capo sia piantata tutta la moralità politica ed economica? Potrà farla potenza de canonica autoritade ch’io non lo tegna ecclesiastica colonna, semi si mostra di tal maniera pio, devoto e continente? Se lo veggo tanto alto,beato e trionfante, potrà far il cielo e mondo tutto che non lo nomine divino,olimpico, celeste?

È la riscoperta bruniana della mente ideale e reale – “un gran capo osenza busto o con una picciola coda” – che consente questa rivoluzione.Allora l’Asino bruniano – poi dirà “platonico parimente e teologale” – nelledivine potenze ideali non separate (le “ruote del tempo”), collocate all’in-terno dell’apertura universale (“ampiezza de l’universo”), farà risorgere –come Cavallo pegaseo – le determinazioni (“intelligenze”) nella loro per-fetta beatitudine, ruotando la materia nella luce di una nuova quadratura dicause: eguaglianza, unità, infinito e libertà. Queste cause, fra di loro pro-gressivamente congiunte ed attinte (“ecclesiastica colonna”), esprimerannovia via il concetto della vita, dell’amore e della ragione salvifica.

La catena argomentativa e dimostrativa bruniana, appoggiata dal sensoprofondo delle scritture sacre e profane, si sviluppa seguendo un ordine benpreciso. Prima viene ciò che sta e che si apre superiormente a tutto: il con-cetto bruniano della libertà, l’immagine viva e reale dell’Uno nell’Essere(“prodottivo, formativo e perfettivo”). Essa diviene la molteplicità e diver-sità delle determinazioni (“menti seconde” e “numero”). Ma la prima ècomunque retrospettivamente ciò che permette tutte queste determinazioni:l’unità aperta dell’amore eguale, la “prima mente”, “semplicissima ed una”,inscindibile. Essa si espande in tutta la Natura razionale, nulla escludendonella sua volontà: per questo essa vale come regolazione indubitabile esenso interno a ciascuno degli esseri animati. Che possono essere animatiproprio dalla luce e dal riflesso di questo intendimento: questo intendimen-to e riflesso li rende, infatti, partecipi della creatività universale (vita), cosìcome li rende, soprattutto, coesi nel reciproco rispetto e codeterminazione.Come se fossero tutti popolo di Dio.

Questo intendimento e questo riflesso è, così, la vera guida (predestina-zione, benedizione e grazia divine). Senza di esso non vi può essere eleva-zione al cielo e rigetto di una scienza tutta presa dalle brame del potere(“scienza secolare”), contraria alla vera e buona sapienza. Esso garantisceogni essere e determinazione, per la sua eguaglianza. Dono della fedecomune, esso riempie ciò che invece viene negato dalla sapienza classica etradizionale della differenza (“sapienza de sapienti e la prudenza de pruden-ti”): riempie l’animo del senso della giustizia, con ciò che viene giudicatocome pazzia (“stolti del mondo”) dallo spirito del mondo (“le forze delmondo”). Così mentre maghi ed astrologi si sono tradizionalmente dedica-

202

Page 203: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

ti ai segreti della natura, solamente coloro i quali si autodefiniscono – mise-ramente – come i più perfetti fra coloro che credono – coloro che, nellanuova religione riformata, attestano il significato univoco e letterale delleespressioni scritturali (in particolar modo Bruno ha qui, quale obiettivopolemico, i calvinisti di impostazione aristotelizzante) – hanno creduto didover salvaguardare la purezza della vera fede, senza avere senso e coscien-za della vita e della sua ampia ed infinita apertura e diversità. Come puresenza avere senso e coscienza della sua interna ed autonoma – ma necessa-ria, per gli uomini – capacità di autoregolazione.

In tal modo, gradualmente, Bruno passa dal registro serio a quello ironi-co e sarcastico, sottolineando come il concetto, prima positivo, dell’Asinosi sia tramutato ora – proprio nell’ambiente culturale inglese – in un’imma-gine negativa e deformata: l’immagine del falso sapiente, incapace ed inos-servante del monito socratico, e perciò tutto orientato a far valere quelleconoscenze di tipo linguistico e retorico (“marciti sono nella perpetuapedanteria”), che gli assicurano prestigio sociale e relativa benemerenzapresso il potere politico. Intellettuali e uomini di cultura, essi non interven-gono nel governo del mondo, incuranti delle sofferenze lì presenti e solle-citi unicamente del proprio passaggio a miglior vita. Giganti portatori diuna concezione ristretta e greve dell’asinità, tutta dottrinaria ed astratta, essivengono superati e sconfitti solamente dal concetto e dalla prassi dell’infi-nito aperto, creativo e dialettico: solo questo infatti – “l’asinina mascella” ela “mascella del pulledro degli asini”, per la considerazione bruniana dellacontinuità profonda ed alta della migliore tradizione giudaico-cristiana –può costituire la base naturale e razionale di quelle determinazioni –“acqui” – che sono capaci di rigenerare e ridonare salvezza, nel proprioslancio e nella propria proiezione elettiva. Per questo il duplice richiamobruniano ad Erasmo – prima alla pazzia e poi alla libertà dell’arbitrioumano – intendono (sin dalla Declamazione al studioso, divoto e pio letto-re) ricostituire e ricostruire lo spazio per un intervento critico e mordace neiconfronti dell’assunto principale, forse, della religione riformata: il pensie-ro e la prassi connessa della necessità, futuro obiettivo polemico degli stes-si Eroici furori, se ben si intende il passaggio, così nascosto e sotterraneo,ma ben in anticipo preparato, al loro ultimo Dialogo.

Così Bruno provoca nella lettura allegorica delle Scritture la reazione dichi – il retore calvinista – procede ad una loro interpretazione il più possi-bile letterale ed univoca, ricordando ed ammonendo soprattutto circa ilvalore fondante della libertà e della spontanea ed innocente legge dell’amo-re eguale. Ravvisando però anche l’estremo di una negazione astratta, chesembra permanere nella tradizione cristiana, nel distacco dal mondo e nellasoppressione del desiderio. È quest’ultimo un rabbuffo bruniano al costumenarcisista del retore inglese medio? Od una spinta ulteriore al suo senso di

203

Page 204: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

colpa e dunque un’accentuazione voluta al suo spirito di autoannichilimen-to? Bruno pare proprio, ad un certo punto, desiderare la conclusione fataledella logica riformata!

Se la grazia protestante – nella caricatura che Bruno sembra fare – si rea-lizza nel semplice ma fortissimo desiderio di impotenza, essa però non assi-cura veramente circa la reale salvezza, perché la comune soggezione nel-l’ecclesia non vale che nel mondo: ma fuori del mondo, presso Dio?Diviene allora necessario – sempre secondo la deformazione satirica bru-niana – congiungere un intelletto adeguato alla volontà: così se la volontàdeve rimanere inerte al richiamo del senso e delle passioni, l’intelletto deverestare puro ed intonso, completamente abraso da ogni conoscenza. Tantopiù dalla conoscenza del bene e del male, principio e fondamento di qua-lunque attività razionale (“gli nostri primi parenti … semplici ed ignorantidel bene e male”). Solamente un soggetto inerte avrà allora adito – secon-do l’ammiccante argomentazione bruniana – al regno dei cieli, risuturandoil peccato originale d’Adamo. Salvato in questo modo, l’eletto protestantepotrà rigodere di una speciale età dell’oro, di una piena e spontanea natura-lità, priva di attività e ragione, di divisione, contrapposizione e violenza.Allo stesso modo lo stesso eletto cristiano delle origini potrebbe gloriarsi diuna particolare forma di asinità: quella dei misteri divini trasmessi alla cre-denza ed amore dei seguaci di Cristo, senza intendimento.

Ora Bruno cercherà invece proprio di far valere questo intendimento, que-sto movimento della ragione: anche rendendo giustificazione razionalemigliore e più profonda a ciò che sin qui è stato sarcasticamente definito comeperfezione della fede (l’asinità irrazionale, la credulità). Per fare questo peròdovrà procedere ad una torsione e dilatazione rivoluzionaria delle selezioni,riduzioni e negazioni che costituiscono l’essenza della versione riformatadella fede cristiana, procedendo alla scoperta e rivalutazione dell’infinito crea-tivo e dialettico. Lo stesso premio divino per il merito umanamente acquisitoassume allora, nella sotterranea argomentazione bruniana, una tonalità ed unacaratterizzazione ben diversa: non più la gioia del ritrovarsi in un mondo ultra-terreno separato, distaccato dalle ansie e preoccupazioni della vita del corpomortale, in una comunità egualmente trionfante (l’aristotelico mondo etereo,dell’inalterabile ed ordinato), quanto piuttosto esso verrà dimostrandosi edidentificandosi senza residui con la coscienza beata della presenza interiore aldivino stesso, senza distacco e senza abbandono ed annichilazione del mondo,con la consapevolezza della possibilità di partecipazione al suo stesso Spirito,nella libertà creativa e dialettica proposta dall’amore eguale. Mentre la primagarantisce unicamente il potere di negarsi, nel positivo assoluto di un astrattoapparentemente separato, la seconda all’opposto lascia campo libero all’affer-mazione di se stessi, modulando il desiderio naturale secondo l’immaginerazionale da esso suscitata e da questa aperta ed innalzata.

204

Page 205: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

Questa modulazione e questa elevazione ed apertura costituiscono, infat-ti, il tema e l’argomento del Dialogo Primo della Cabala del Cavallo pega-seo, dove nel loro scambio dialettico Sebasto e Saulino trattano del proble-ma di come la materia del tutto (Eridano) debba essere fatta coincidere conl’orizzonte infinito dell’Uno bruniano (l’apertura che sostituisce l’Orsa),così superando la chiusura nel mondo etico aristotelico, agita nello Spacciode la Bestia trionfante. Impredeterminato della libertà (“Asinità in abstrat-to”) ed eguaglianza della materia (“Asinità in concreto”) ritagliano alloranel cielo rivoluzionato dell’etica bruniana una duplice apertura, nel mezzocongiunta (X).2 Questa figura ed immagine, carissima e notissima alla tra-dizione ermetica ed alchemica successiva a Bruno sino al ‘700 inoltrato,diviene il termine di riferimento della nuova argomentazione bruniana, lospazio ed il tempo della sua nuova possibilità. Criticata dal pedanteCoribante – che così assume qui, nella sua figura di mago negativo, la fun-zione di rappresentante della palinodia bruniana – questa nuova figura edimmagine delinea, definisce e determina il nuovo e rivoluzionario rapportoche deve, d’ora in poi, legare natura e razionalità.

Così la prima affermazione bruniana è quella della infinita aperturadell’Universo.3 È all’interno di questa che la materia ha una sapienza aper-ta, mirabile ed infinita (“il cielo stellato”).4 Questa asinità superiore, simbo-lo della sapienza divina, è allora costituita dal valore attribuito all’imprede-terminato della libertà, non certo al vincolo della sottomissione minacciosa(l’essere saturnino e lunare della religione ebraica, secondo la critica appor-tata da Sebasto).5 Giordano Bruno lo sottolinea, replicando per bocca diSaulino: «Io dico divina inspirazione, natural bontade ed umana intelligen-za.»6 Appunto mettendo in risalto il movimento dello Spirito, che unisce ildesiderio alla ragione, elevandolo, ampliandolo e determinandolo.

Qui, allora, ricompare una figura ed immagine simbolica cara alla specu-lazione bruniana sin dai suoi inizi (De umbris idearum): la figura ed immagi-ne simbolica della Y (la Y della tradizione pitagorica). Questa figura edimmagine simbolica rappresenta ora il modo attraverso il quale l’atto e lapotenza della Ragione si riflettono nell’immagine unitaria dell’intelletto edella volontà. Così ciò che si fa e si produce per ed in questa immagine – larealtà – riflette come molteplicità di determinazioni la molteplicità superiore

205

2 G. BRUNO. Cabala del Cavallo pegaseo (con l’Aggiunta dell’Asino cillenico). Sansoni,Firenze 19583 (rist. 1985). Pag. 863.

3 Ivi, pag. 865. 4 Ivi, pag. 866. 5 Ivi, pagg. 867-869. 6 Ivi, pag. 869.

Page 206: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

ed apparente delle potenze ideali.7 Questo vuol dire – come sottolinea Saulinoin risposta alla tradizionale separazione ed opposizione proposta da Sebasto– che l’unitarietà di natura e ragione non può in alcun modo essere scissa,separata e dilatata come fra termini contrapposti, perché in questo caso siavrebbe una verità che non tocca e coinvolge il mondo (così annullando lafede), mentre il mondo stesso resterebbe deprivato di qualsiasi luce di veritàe bontà, rimanendo senza alcuna guida di giustizia (ovvero di ragione).8

L’apertura razionale è dunque ciò che guida il desiderio naturale a farsiintelletto e volontà: prima deve così riconoscere l’infinito dell’aperturastessa (prima specie d’ignoranza), poi non può non riconoscere la presenzadi un’apparenza distinta (seconda specie d’ignoranza), infine deve mante-nere come identica la radice celeste (terza specie d’ignoranza, che coincidecon la sapienza stessa).9 Chi non riconosce, poi, la presenza attiva dell’in-telletto e della volontà, ma sente e si appende ad una potenza illimitata privadi ragione, rischia di far decadere la propria fede dal divino all’immaginedel necessario potere umano, mentre solo l’idea e la realtà della possibilitàsi apre e si congiunge con l’infinito orizzonte divino, così come sostienealla fine del primo dialogo il personaggio di Saulino.10 Resta, ancora, dacalibrare bene e senza oscillazioni, la seconda specie d’ignoranza: quell’ap-parenza distinta, che il pensiero del filosofo di Nola non tarderà a colloca-re accanto al ricordo della Diade infinita di platonica memoria.

Così dopo aver apparentemente dileggiato, all’inizio del DialogoSecondo, attraverso la figura ed il personaggio di Onorio, le caratteristichepiù ridicole, false e pretestuose, della ripresa in ambiente inglese della tra-dizione pitagorizzante, dovute alla credenza nella metempsicosi, GiordanoBruno usa i contenuti espressi dall’asino pitagorico inglese (l’unicità delloSpirito e della Materia) ed il fato della sua mutazione (la permanenza dellamemoria), per affrontare il problema della trasformazione rivoluzionaria(l’asino Onorio diventa Cavallo pegaseo).11 Secondo l’opinione ed il giudi-zio dogmatico di Onorio l’unicità dello Spirito si riveste della diversa ediversamente organizzata molteplicità dei corpi, per dimostrarsi apparente-

206

7 Ivi, pagg. 872-873.8 Ivi, pagg. 873-875.9 Ivi, pagg. 875-877. Vedi: «Saulino. Presto verrò al proposito della vostra dimanda; ma

voglio che prima notiate il primo e terzo modo di stoltizia ed asinitade concorrere incerta maniera in uno; e però medesimamente pendeno da principio incomprensibile edineffabile, a constituir quella cognizione, ch’è disciplina delle discipline, dottrina delledottrine ed arte de le arti.»

10 Ivi, pagg. 877-881. 11 Ivi, pag. 884.

Page 207: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

mente diversa e diversamente orientata e finalizzata. La Materia rimanedunque principio classico di individuazione, nell’organizzazione provvi-denziale dei suoi scopi e finalità. Questi vengono perseguiti e realizzatiattraverso le più diverse funzioni strumentali, parti e creazioni della fanta-smagorica fantasia ed immaginazione naturale. Intelletto e volontà – uni-versali nell’orizzonte infinito della ragione – possono in tal modo esprime-re potenza ed atto in una variabilissima composizione e combinazione dielementi, secondo i più diversi disegni e finalità.12 Così la speculazione bru-niana riesce ad attingere il concetto di una variabilità infinita e creativa,naturale e nello stesso tempo razionale, capace di aprire una nuova dimen-sione dell’Essere, in tal modo ampliando e dilatando i limiti e confini del-l’unico mondo aristotelico, precedentemente fatto valere quale insuperabi-le contesto etico dell’argomentazione filosofica. Ancora e di nuovo la spe-culazione bruniana aggiunge un nuovo elemento teoretico alla sua progres-siva trasformazione, riallineandosi alle acquisizioni raggiunte in virtù delleriflessioni già presenti nei Dialoghi metafisico-cosmologici.

La consapevolezza di questa variabilità insieme alla disposizione operati-va ad un fine costituisce, pertanto, quella salda relazione superiore che con-sente alla speculazione del gigante di Nola di aprire il primo termine dellaapparenza di distinzione, ammettendo in modo più profondo e giustificandocome possibile la stessa dottrina pitagorica della metempsicosi.13 Il primotermine della apparenza di distinzione si materializza come orizzonte dellamolteplicità di determinazione: Onorio lo qualifica come fondamento di unaprogressiva storia dello sviluppo del pensiero, terminante nella figura e nel-l’impostazione cara ad Aristotele. Dopo l’acutezza e la precisione dei filoso-fi presocratici, la sicurezza speculativa di Socrate e la grandezza di Platone,è proprio lo squilibrio umanistico e pedante di Aristotele ad oscurare l’am-piezza e la profondità del vero cielo filosofico: lo Stagirita, infatti, procede– secondo il giudizio storiografico bruniano – ad una totale perversione della

207

12 Ivi, pag. 889. Vedi:«Onorio. Dico che la intelligenza efficiente universale è una detutti; e quella muove e fa intendere; ma, oltre, in tutti è l’intelligenza particulare, in cuison mossi, illuminati ed intendono; e questa è moltiplicata secondo il numero de gliindividui. Come la potenza visiva è moltiplicata secondo il numero de gli occhi, mossaed illuminata generalmente da un fuoco, da un lume, da un sole: cossì la potenza intel-lettiva è moltiplicata secondo il numero de suggetti partecipi d’anima, alli quali tuttisopra splende un sole intellettuale. Cossì dunque sopra tutti gli animali è un sensoagente, cioè quello che fa sentir tutti, e per cui tutti son sensitivi in atto; ed uno intel-letto agente, cioè quello che fa intender tutti, e per cui tutti sono intellettivi in atto; edappresso son tanti sensi e tanti particolari intelletti passivi o possibili, quanti son sug-getti: e sono secondo tanti specifici e numerali gradi di complessioni, quante sono lespecifice e numerali figure e complessioni di corpo.»

13 Ivi, pag. 891. Vedi: «In cotal modo di resuscitazione alcuni si prometteno l’execuzionedella giustizia divina secondo gli affetti ed atti ch’hanno exercitati in un altro corpo.»

Page 208: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

filosofia naturale e razionale, capovolgendo la concezione metafisica, ridu-cendo quella psicologica ed annullando quella fisica.14

È dunque l’orizzonte della molteplicità di determinazione, caro alla tra-dizione platonica, a costituire il fondamento elevato e profondo dello stabi-le movimento animato – qui l’eterogenea confusione del De Anima aristo-telico trova la sua più sarcastica confutazione – rinverdendo quell’aperturametafisica, che la tradizione aristotelica successiva aveva invece provvedu-to ad oscurare, con il finto gioco dialettico fra dottrine essoteriche ed eso-teriche. Questa distinzione infatti non vale ad altro che a nascondere, attra-verso i più strani misteri e le più perverse magie, la propria ignoranza edincomprensione.15 Cosicché la stessa dottrina pitagorica della metempsico-si rischia di trovare il suo peggiore travisamento e mistificazione, nel cor-redo di strani riti religiosi e magici.

L’Anima, dunque, viene riscoperta e rimobilizzata quando l’asinoOnorio riesce a mantenere vivo il ricordo necessario di quell’orizzonteaperto: allora l’intenzione che regge il giudizio può fissarsi ed irradicarsi inuna potenza celeste, badando sempre bene a mantenere in quell’aperturastessa una pluralità di determinazioni (“il giudicio superiore”),16 che valgaa dare senso e significato razionale alla necessità della ricerca e della sco-perta. È dunque questa necessità a costituire l’ideale regolativo della cono-scenza umana ed il termine della stessa umana civiltà. Questo ideale e que-sto termine costituiscono un medio che non si separa ed isola, ma al contra-rio si rivolge ed apre alla totale comprensione, edificando in tal modo lacongiunzione dell’intelletto razionale. Così l’apertura infinita dell’Uno sal-vaguarda l’infinito del movimento, non certo la sua negazione positiva(scetticismo), che al contrario disintegra quella nell’infinito moltepliceastratto inferiore (è questa la sua immagine irrazionale). Componendorazionale ed irrazionale lo scetticismo perviene pertanto alla fratturadell’Essere, all’impossibilità di una contrapposizione che non ha via d’usci-ta (completamente e totalmente aporetica). In questa frattura si inserisce ladilatazione infinita fra termine od estremo inferiore (negativo) e termine oestremo superiore (positivo): immagine e realtà allora costituiscono il cir-colo infinito della produttività illimitata, tesa ad allontanare i due capi uni-tari della precedente apparenza di distinzione, per installare una forma alie-nata interiore tanto completamente immanente, quanto fuori presa e fuoricontrollo. Sgombrato il cielo della e dalla ragione, la materia bruta diun’immediata soggezione fideistica costituisce, allora, il sostrato dal qualefar emergere tutte le forme estenuate di idealità e d’azione, riducendo

208

14 Ivi, pagg. 893-894. 15 Ivi, pagg. 896-897.

Page 209: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

appunto e subordinando lo spazio dell’Anima a quello della decisione del-l’assoluto positivo, al Dio padrone della vita e della morte.

Tutte queste argomentazioni stanno sotto traccia allo sviluppo delleriflessioni critiche sullo scetticismo operato da Saulino: non appena l’ato-mismo delle immagini sostituisca l’identificazione (“efettici”), oppurequando la stessa stabilità dell’immagine non venga revocata in dubbio perla più completa e totale afasia (“pirroni”). In questa cupidità di dissolvimen-to la stessa evoluzione speculativa della scuola accademica conduce fatal-mente alla chiusura di ogni senso ed intelletto naturale: per rigettare lonta-no anche ogni residuo di positivo dogmatismo, essa infatti finisce per spe-gnere la stessa capacità espressiva umana ed il suo giudizio (“apprensio-ne”).17 Dissolta nella mera opinione, la mente umana allora certamente sifrantuma nelle sue parti ipotetico-deduttive, con la negazione della relazio-ne fra termine e giudizio. Il termine, infatti, resta qui sempre fuori presa,potendo vivere di vita propria e facendo decadere il giudizio a sensazionevariabile, multicondizionata. Allora la possibilità stessa della tradizioneconoscitiva (“dottrina”) viene a decadere, mancando la necessità di stabili-re una relazione univoca (sostituita dalla moltiplicazione continua dellarelazione in se stessa, sia sul versante dell’oggetto, che su quello del sog-getto). Diviso in questo modo il senso – illimitatamente componibile ericomponibile – dall’intelletto – moltiplicabile solo sotto l’orizzonte unita-rio della materia immaginativa – la capacità conoscitiva dell’uomo finisceper risultare totalmente individuale ed incerta, aperta e sospesa da una rela-zione che o non riesce a trasmettere, o non è necessario che trasmettanulla.18 Non è, alla fine, chi non veda che questa forma della relazione è l’e-satta controfigura della relazione bruniana: qui, infatti, o la verità resta persempre occulta ad ogni umano intento, o essa vale semplicemente un’evi-denza prima ed immediata, priva però di determinazione. La relazione bru-niana, invece, accosta alla determinazione il riflesso e l’immagine di unapossibilità reale, che toglie qualsiasi frattura dell’Essere, innalzandone losforzo generativo. Per questo l’asinità, pur restando animale ideale, sogget-to all’orizzonte infinito dell’Uno, non rimane indeterminazione inerte eseparata,19 ma al contrario suscita il movimento desiderativo naturale.

È questa suscitazione – oltre il taglio necessario della parte inferiore delCavallo pegaseo (mutuato filosoficamente dalla situazione descrittiva

209

16 Ivi, pag. 901. 17 Ivi, pag. 906. 18 Ivi, pagg. 908-909. 19 Ivi, pagg. 909-910.

Page 210: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

astronomica, per la quale non si possono reperire stelle a determinare lo svi-luppo del suo tronco, della sua parte inferiore), tema del brevissimoDialogo Terzo – a diventare argomento della dunque egualmente necessa-ria Aggiunta de l’Asino cillenico. Contro la chiusura di una doppia negazio-ne, rivolta agli estremi, quell’apparenza positiva di distinzione mette insie-me profonda intelligenza ed alta manifestazione, nella congiunzione rap-presentata dalla ragione del desiderio naturale. Questa congiunzione riesceinfatti ad aprirsi a ventaglio, soddisfacendo l’intero aperto universo.20

Come l’orizzonte razionale contiene tutte le determinazioni, così il suoriflesso e la sua immagine, viva e reale, conserva un giudizio d’idealità cheunifica la molteplicità espressiva del desiderio naturale, la pluralità dellesue forme, in un’apertura di sufficienza, di causalità per sé. Quest’aperturacostituisce lo sviluppo possibile di tutte le forze naturali (prima condizio-ne).21 Dunque lo spazio ed il tempo della durata e delle reciproche relazio-ni di interscambio e di mutua azione e reazione (seconda, terza e quartacondizione).22 Parafrasate così allegoricamente le fasi dell’accettazioneall’interno di un’accademia pitagorica (acustici, matematici, fisici), la spe-culazione bruniana si permette di qualificare e quantificare in modo nasco-sto ed ermetico l’ambito e lo sviluppo di una nuova fisica, di una nuovaconoscenza naturale (del resto già esposta, nei suoi tratti fondamentali enelle sue strutture, nei Dialoghi metafisico-cosmologici). Questa ripresaperò serve a Giordano Bruno, per porre mano ad una ricerca più particola-re, ristretta all’interno dell’immanenza, delle relative e reciproche forze deldesiderio naturale.23 Per fare questo l’autore nolano deve per primo consi-derare la presenza alta ed ideale di un principio sintetico, capace con la suaforza di irrorare beneficamente l’esistenza di tutti gli esseri viventi, senzaesclusione alcuna: il filosofo di Nola identificherà questo principio con laforza nobile ed universale dello Spirito.24 Per questa ragione l’Asino bru-niano potrà superare il giudizio superficiale e ristretto d’apparenza, perriaprire al contrario l’orizzonte anesclusivo d’eguaglianza. Questo orizzon-te, anziché costituire una forma di riduzione delle differenze, vale come

210

20 Ivi, pag. 913. Il sonetto A l’Asino cillenico. 21 Ivi, pag. 916. 22 Ivi, pag. 917. 23 Ibidem. 24 Ivi, pag. 918. Vedi: «Asino. Non esser cossì fiero, o Micco, e ricordati ch’il tuo

Pitagora insegna di non spreggiar cosa che si trove nel seno della natura. Benché iosono in forma d’asino al presente, posso esser stato e posso esser appresso in forma digrand’uomo; e benché tu sia un uomo, puoi esser stato e potrai esser appresso un gran-d’asino, secondo che parrà ispediente al dispensator de gli abiti e luoghi e disponitorde l’anime transmigranti.»

Page 211: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

ambito di giustificazione delle creative e reciproche diversità: qui i sogget-ti ritrovano la propria eguale libertà espressiva (naturale e, in immagine,razionale).25 Così è facile sia riscontrare l’opposizione che fa scontrare l’a-depto asinino alla sapienza mercuriale contro il principe della tradizionalescuola pitagorica (Micco pitagorico), sia osservare come e quanto il movi-mento aperto del primo superi la chiusura rastremata del secondo. Il capo-volgimento del primo è infatti il capovolgimento del capovolgimento delsecondo: come Micco pitagorico, infatti, chiude il pensiero e l’azione alconcetto ed alla prassi relativa di un Uno necessario e d’ordine, che fondil’appartenenza attraverso una modulazione e mediazione eteronoma, cosìl’Uno infinito ed aperto dell’Asino bruniano – vero ed autentico Cavallopegaseo – rimuove quella chiusura – privazione e negazione di libertà –ampliando a dismisura il concetto e la relativa prassi dell’eguaglianza,come fattore intrinseco di relativo e reciproco rispetto delle diversità.

Non è così difficile vedere, attraverso lo specchio dell’opposizione fero-ce (ed a minaccia di morte) che Micco pitagorico interpone al movimentodell’Asino bruniano,26 la lotta sociale e civile fra un potere che si ricostitui-sce nella propria ordinata e gerarchica autorità, fondendo il principio e l’at-to di una decisione eteronoma con la potenza in ascesa del capitale, ed unapotenza aperta e molteplice, fautrice di una democrazia radicale e diretta.Tutta la storia successiva della modernità vedrà lo sviluppo di questa lotta,sin ai giorni nostri, quando la modernità stessa pare ritornare ai propri inizi,da un lato violenti ed autoritari, dall’altro pacifici e democratici.

Negazione positiva della negazione assoluta di Micco pitagorico – che que-sta si ribalta e rovescia in quella – la sapienza dell’Asino bruniano non può,allora, non essere riconosciuta e valorizzata da Mercurio, proprio con la sotto-lineatura finale dell’eguaglianza estrema, della via dextera Pythagorea.27

Mercurio. Perché, Asino, fai conto di chiamarti ed essere academico, io,come quel che t’ho donati altri doni e grazie, al presente ancora con plenariaautorità ti ordino, constituisco e confermo academico e dogmatico generale,acciò che possi entrar ed abitar per tutto, senza ch’alcuno ti possa tener portao dar qualsivoglia sorte d’oltraggio o impedimento, quibuscumque in opposi-tum non obstantibus. Entra, dunque, dove ti pare e piace. Né vogliamo che siiubligato per il capitolo del silenzio biennale che si trova nell’ordine pitagori-co, e qualsivogli’ leggi ordinarie: perché, novis intervenientibus causis, novaecondendae sunt leges, proque ipsis condita non intelliguntur iura: interimquead optimi iudicium iudicis referenda est sententia, cuius intersit iuxta neces-

211

25 Ivi, pagg. 918-920. 26 Ivi, pagg. 921-922. 27 Ivi, pag. 923.

Page 212: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

212

sarium atque commodum providere. Parla dunque tra gli acustici; considera econtempla tra’ matematici; discuti, dimanda, insegna, dechiara e determinatra’ fisici; trovati con tutti, discorri con tutti, affratellati, unisciti, identificaticon tutti, domina a tutti, sii tutto.

Page 213: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

VIEPISTOLA INTRODUTTIVA

DE GLI EROICI FURORI

ARGOMENTO DEL NOLANOSOPRA

GLI EROICI FURORI:SCRITTO AL MOLTO ILLUSTRE

SIGNOR FILIPPO SIDNEO.

E` cosa veramente, o generosissimo Cavalliero, da basso, bruto esporco ingegno d’essersi fatto constantemente studioso, ed averaffisso un curioso pensiero circa o sopra la bellezza d’un corpofemenile. Che spettacolo, o Dio buono!, più vile ed ignobile puòpresentarsi ad un occhio di terso sentimento, che un uomo cogita-bundo, afflitto, tormentato, triste, maninconioso, per dovenir orfreddo, or caldo, or fervente, or tremante, or pallido, or rosso, or inmina di perplesso, or in atto di risoluto; un che spende il megliorintervallo di tempo e gli più scelti frutti di sua vita corrente, destil-lando l’elixir del cervello con mettere in concetto, scritto e sigillarin publichi monumenti quelle continue torture, que’ gravi tormenti,que’ razionali discorsi, que’ faticosi pensieri e quelli amarissimistudi destinati sotto la tirannide d’una indegna, imbecille, stolta esozza sporcaria?

Che tragicomedia? che atto, dico, degno più di compassione eriso può esserne ripresentato in questo teatro del mondo, in questascena delle nostre conscienze, che di tali e tanto numerosi supposi-ti fatti penserosi, contemplativi, constanti, fermi, fideli, amanti, col-tori, adoratori e servi di cosa senza fede, priva d’ogni costanza,destituta d’ogni ingegno, vacua d’ogni merito, senza riconoscenzae gratitudine alcuna, dove non può capir più senso, intelletto e bon-tade, che trovarsi possa in una statua o imagine depinta al muro? edove è più superbia, arroganza, protervia, orgoglio, ira, sdegno, fal-sitade, libidine, avarizia, ingratitudine ed altri crimi exiziali, cheavessero possuto uscir veneni ed instrumenti di morte dal vascellodi Pandora, per aver pur troppo largo ricetto dentro il cervello di

213

Page 214: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

mostro tale? Ecco vergato in carte, rinchiuso in libri, messo avantigli occhi ed intonato a gli orecchi un rumore, un strepito, un fracas-so d’insegne, d’imprese, de motti, d’epistole, de sonetti, d’epigram-mi, de libri, de prolissi scartafazzi, de sudori estremi, de vite consu-mate, con strida ch’assordiscon gli astri, lamenti che fanno ribom-bar gli antri infernali, doglie che fanno stupefar l’anime viventi,suspiri da far exinanire e compatir gli dei, per quegli occhi, perquelle guance, per quel busto, per quel bianco, per quel vermiglio,per quella lingua, per quel dente, per quel labro, quel crine, quellaveste, quel manto, quel guanto, quella scarpetta, quella pianella,quella parsimonia, quel risetto, quel sdegnosetto, quella vedovafenestra, quell’eclissato sole, quel martello, quel schifo, quel puzzo,quel sepolcro, quel cesso, quel mestruo, quella carogna, quellafebre quartana, quella estrema ingiuria e torto di natura, che con unasuperficie, un’ombra, un fantasma, un sogno, un Circeo incantesi-mo ordinato al serviggio della generazione, ne inganna in specie dibellezza. La quale insieme insieme viene e passa, nasce e muore,fiorisce e marcisce; ed è bella cossì un pochettino a l’esterno, chenel suo intrinseco vera- e stabilmente è contenuto un navilio, unabottega, una dogana, un mercato de quante sporcarie, tossichi eveneni abbia possuti produrre la nostra madrigna natura: la qualedopo aver riscosso quel seme di cui la si serva, ne viene sovente apagar d’un lezzo, d’un pentimento, d’una tristizia, d’una fiacchez-za, d’un dolor di capo, d’una lassitudine, d’altri ed altri malanni cheson manifesti a tutto il mondo, a fin che amaramente dolga, dovesuavemente proriva.

Ma che fo io? che penso? Son forse nemico della generazione?Ho forse in odio il sole? Rincrescemi forse il mio ed altrui esseremesso al mondo? Voglio forse ridur gli uomini a non raccôrre quelpiù dolce pomo che può produr l’orto del nostro terrestre paradiso?Son forse io per impedir l’instituto santo della natura? Debbo tenta-re di suttrarmi io o altro dal dolce amato giogo che n’ha messo alcollo la divina providenza? Ho forse da persuader a me e ad altri,che gli nostri predecessori sieno nati per noi, e noi non siamo natiper gli nostri successori? Non voglia, non voglia Dio che questogiamai abbia possuto cadermi nel pensiero! Anzi aggiongo che perquanti regni e beatitudini mi s’abbiano possuti proporre e nomina-re, mai fui tanto savio o buono che mi potesse venir voglia decastrarmi o dovenir eunuco. Anzi mi vergognarei, se cossí come mi

214

Page 215: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

trovo in apparenza, volesse cedere pur un pelo a qualsivoglia chemangia degnamente il pane per servire alla natura e Dio benedetto.E se alla buona volontà soccorrer possano o soccorrano gl’instru-menti e gli lavori, lo lascio considerar solo a chi ne può far giudicioe donar sentenza. Io non credo d’esser legato; perché son certo chenon bastarebbono tutte le stringhe e tutti gli lacci che abbian sapu-to e sappian mai intessere ed annodare quanti fûro e sono stringarie lacciaiuoli, (non so se posso dir) se fusse con essi la morte istes-sa, che volessero maleficiarmi. Né credo d’esser freddo, se a refri-gerar il mio caldo non penso che bastarebbono le nevi del monteCaucaso o Rifeo. Or vedete dunque se è la raggione o qualche difet-to che mi fa parlare.

Che dunque voglio dire? che voglio conchiudere? che vogliodeterminare? Quel che voglio conchiudere e dire, o Cavalliero illu-stre, è che quel ch’è di Cesare, sia donato a Cesare, e quel ch’è deDio, sia renduto a Dio. Voglio dire che a le donne, benché talvoltanon bastino gli onori ed ossequi divini, non perciò se gli dennoonori ed ossequii divini. Voglio che le donne siano cossí onorate edamate, come denno essere amate ed onorate le donne: per tal causadico, e per tanto, per quanto si deve a quel poco, a quel tempo equella occasione, se non hanno altra virtú che naturale, cioè di quel-la bellezza, di quel splendore, di quel serviggio, senza il qualedenno esser stimate più vanamente nate al mondo che un morbosofungo, qual con pregiudicio de meglior piante occupa la terra; e piúnoiosamente che qualsivoglia napello o vipera che caccia il capofuor di quella. Voglio dire che tutte le cose de l’universo, perchépossano aver fermezza e consistenza, hanno gli suoi pondi, numeri,ordini e misure, a fin che siano dispensate e governate con ogni giu-stizia e raggione. Là onde Sileno, Bacco, Pomona, Vertunno, il diodi Lampsaco ed altri simili che son dei da tinello, da cervosa fortee vino rinversato, come non siedeno in cielo a bever nettare e gustarambrosia nella mensa di Giove, Saturno, Pallade, Febo ed altri simi-li; cossí gli lor fani, tempii, sacrificii e culti denno essere differentida quelli de costoro.

Voglio finalmente dire, che questi Furori eroici ottegnono sugget-to ed oggetto eroico, e però non ponno più cadere in stima d’amorivolgari e naturaleschi, che veder si possano delfini su gli alberi dele selve, e porci cinghiali sotto gli marini scogli. Però per liberaretutti da tal suspizione, avevo pensato prima di donar a questo libro

215

Page 216: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

un titolo simile a quello di Salomone, il quale sotto la scorza d’a-mori ed affetti ordinarii contiene similmente divini ed eroici furori,come interpretano gli mistici e cabalisti dottori; volevo, per dirla,chiamarlo Cantica. Ma per piú caggioni mi sono astenuto al fine: dele quali ne voglio referir due sole. L’una per il timor ch’ho conce-puto dal rigoroso supercilio de certi farisei, che cossì mi stimarebo-no profano per usurpar in mio naturale e fisico discorso titoli sacrie sopranaturali, come essi, sceleratissimi e ministri d’ogni ribalda-ria, si usurpano più altamente, che dir si possa, gli titoli de sacri, desanti, de divini oratori, de figli de Dio, de sacerdoti, de regi; stanteche stiamo aspettando quel giudicio divino che farà manifesta la lormaligna ignoranza ed altrui dottrina, la nostra simplice libertà e l’al-trui maliciose regole, censure ed instituzioni. L’altra per la grandedissimilitudine che si vede fra il volto di questa opra e quella, quan-tunque medesimo misterio e sustanza d’anima sia compreso sottol’ombra dell’una e l’altra: stante che là nessuno dubita che il primoinstituto del sapiente fusse piú tosto di figurar cose divine che dipresentar altro: perché ivi le figure sono aperta- e manifestamentefigure, ed il senso metaforico è conosciuto di sorte che non puòesser negato per metaforico: dove odi quelli occhi di colombe, quelcollo di torre, quella lingua di latte, quella fragranzia d’incenso,que’ denti che paiono greggi de pecore che descendono dal lavatoio,que’ capelli che sembrano le capre che vegnono giú da la montagnadi Galaad; ma in questo poema non si scorge volto, che cossí al vivoti spinga a cercar latente ed occolto sentimento; atteso che per l’or-dinario modo di parlare e de similitudini piú accomodate a gli sensicommuni, che ordinariamente fanno gli accorti amanti, e soglionmettere in versi e rime gli usati poeti, son simili ai sentimenti decoloro che parlarono a Citereida, o Licori, a Dori, a Cintia, a Lesbia,a Corinna, a Laura ed altre simili. Onde facilmente ognuno potreb-be esser persuaso che la fondamentale e prima intenzion mia siastata addirizzata da ordinario amore, che m’abbia dettati concettitali; il quale appresso, per forza de sdegno, s’abbia improntate l’alie dovenuto eroico; come è possibile di convertir qualsivoglia fola,romanzo, sogno e profetico enigma, e transferirle, in virtù di meta-fora e pretesto d’allegoria, a significar tutto quello che piace a chipiú comodamente è atto a stiracchiar gli sentimenti, e far cossí tuttodi tutto, come tutto essere in tutto disse il profondo Anaxagora. Mapensi chi vuol quel che gli pare e piace, ch’alfine, o voglia o non,

216

Page 217: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

per giustizia la deve ognuno intendere e definire come l’intendo edefinisco io, non io come l’intende e definisce lui: perché come glifurori di quel sapiente Ebreo hanno gli proprii modi, ordini e titoloche nessuno ha possuto intendere e potrebbe meglio dechiarar chelui, se fusse presente; cossí questi Cantici hanno il proprio titolo,ordine e modo che nessun può meglio dechiarar ed intendere che iomedesimo, quando non sono absente.

D’una cosa voglio che sia certo il mondo: che quello, per il che iomi essagito in questo proemiale argomento, dove singularmenteparlo a voi, eccellente Signore, e ne gli Dialogi formati sopra gliseguenti articoli, sonetti e stanze, è ch’io voglio ch’ognun sappia,ch’io mi stimarei molto vituperoso e bestialaccio, se con molto pen-siero, studio e fatica mi fusse mai delettato o delettasse de imitar,come dicono, un Orfeo circa il culto d’una donna in vita, e dopomorte, se possibil fia, ricovrarla da l’inferno: se a pena la stimareidegna, senza arrossir il volto, d’amarla sul naturale di quell’istantedel fiore della sua beltade e facultà di far figlioli alla natura e Dio.Tanto manca, che vorrei parer simile a certi poeti e versificanti in fartrionfo d’una perpetua perseveranza di tale amore, come d’una cossípertinace pazzia, la qual sicuramente può competere con tutte l’altrespecie che possano far residenza in un cervello umano: tanto, dico,son lontano da quella vanissima, vilissima e vituperosissima gloria,che non posso credere ch’un uomo, che si trova un granello di sensoe spirito, possa spendere più amore in cosa simile che io abbia spesoal passato e possa spendere al presente. E per mia fede, se io voglioadattarmi a defendere per nobile l’ingegno di quel tosco poeta, chesi mostrò tanto spasimare alle rive di Sorga per una di Valclusa, enon voglio dire che sia stato un pazzo da catene, donarommi a cre-dere, e forzarommi di persuader ad altri, che lui per non aver inge-gno atto a cose megliori, volse studiosamente nodrir quella melan-colia, per celebrar non meno il proprio ingegno su quella matassa,con esplicar gli affetti d’un ostinato amor volgare, animale e bestia-le, ch’abbiano fatto gli altri ch’han parlato delle lodi della mosca, delscarafone, de l’asino, de Sileno, de Priapo, scimie de quali son colo-ro ch’han poetato a’ nostri tempi delle lodi de gli orinali, de la piva,della fava, del letto, delle bugie, del disonore, del forno, del martel-lo, della caristia, de la peste; le quali non meno forse sen denno giraltere e superbe per la celebre bocca de canzonieri suoi, che debba-no e possano le prefate ed altre dame per gli suoi.

217

Page 218: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

Or (perché non si faccia errore) qua non voglio che sia tassata ladignità di quelle che son state e sono degnamente lodate e lodabili:non quelle che possono essere e sono particolarmente in questopaese Britannico, a cui doviamo la fideltà ed amore ospitale: perchédove si biasimasse tutto l’orbe, non si biasima questo, che in tal pro-posito non è orbe, né parte d’orbe, ma diviso da quello in tutto,come sapete: dove si raggionasse de tutto il sesso femenile, non sideve né può intendere de alcune vostre, che non denno esser stima-te parte di quel sesso; perché non son femine, non son donne, ma,in similitudine di quelle, son nimfe, son dive, son di sustanza cele-ste, tra le quali è lecito di contemplar quell’unica Diana, che in que-sto numero e proposito non voglio nominare. Comprendasi, dun-que, il geno ordinario. E di quello ancora indegna- ed ingiustamen-te perseguitarei le persone: perciò che a nessuna particulare deveessere improperato l’imbecillità e condizion del sesso, come né ildifetto e vizio di complessione; atteso che, se in ciò è fallo ed erro-re, deve essere attribuito per la specie alla natura, e non per partico-lare a gl’individui. Certamente quello che circa tai supposti abomi-no, è quel studioso e disordinato amor venereo che sogliono alcunispendervi de maniera che se gli fanno servi con l’ingegno, e vivegnono a cattivar le potenze ed atti piú nobili de l’anima intellet-tiva. Il qual intento essendo considerato, non sarà donna casta edonesta che voglia per nostro naturale e veridico discorso contristar-si e farmisi più tosto irata, che sottoscrivendomi amarmi di vantag-gio, vituperando passivamente quell’amor nelle donne verso gliuomini, che io attivamente riprovo ne gli uomini verso le donne. Taldunque essendo il mio animo, ingegno, parere e determinazione, miprotesto che il mio primo e principale, mezzano ed accessorio, ulti-mo e finale intento in questa tessitura fu ed è d’apportare contem-plazion divina, e metter avanti a gli occhi ed orecchie altrui furorinon de volgari, ma eroici amori, ispiegati in due parti; de le qualiciascuna è divisa in cinque dialogi.

Argomento de’ cinque dialogi de la prima parte.

Nel Primo dialogo della prima parte son cinque articoli, dove perordine: nel primo si mostrano le cause e principii motivi intrinsecisotto nome e figura del monte e del fiume e de muse, che si dechia-

218

Page 219: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

rano presenti, non perché chiamate, invocate e cercate, ma piú tostocome quelle che piú volte importunamente si sono offerte: ondevegna significato che la divina luce è sempre presente; s’offre sem-pre, sempre chiama e batte a le porte de nostri sensi ed altre poten-ze cognoscitive ed apprensive: come pure è significato nellaCantica di Salomone dove si dice: En ipse stat post parietemnostrum, respiciens per cancellos, et prospiciens per fenestras. Laqual spesso per varie occasioni ed impedimenti avvien che riman-gna esclusa fuori e trattenuta. Nel secondo articolo si mostra qualisieno que’ suggetti, oggetti, affetti, instrumenti ed effetti per li qualis’introduce, si mostra e prende il possesso nell’anima questa divinaluce, perché la inalze e la converta in Dio. Nel terzo il proponimen-to, definizione e determinazione che fa l’anima ben informata circal’uno, perfetto ed ultimo fine. Nel quarto la guerra civile che ségui-ta e si discuopre contra il spirito dopo tal proponimento; onde dissela Cantica: Noli mirari, quia nigra sum: decoloravit enim me sol,quia fratres mei pugnaverunt contra me, quam posuerunt custodemin vineis. Là sono esplicati solamente come quattro antesignanil’Affetto, l’Appulso fatale, la Specie del bene ed il Rimorso, cheson seguitati da tante coorte militari de tante, contrarie, varie ediverse potenze con gli lor ministri, mezzi ed organi che sono inquesto composto. Nel quinto s’ispiega una naturale contemplazionein cui si mostra che ogni contrarietà si riduce a l’amicizia o per vit-toria de l’uno de’ contrarii o per armonia e contemperamento o perqualch’altra raggione di vicissitudine, ogni lite alla concordia, ognidiversità a l’unità: la qual dottrina è stata da noi distesa ne glidiscorsi d’altri dialogi.

Nel Secondo dialogo viene più esplicatamente descritto l’ordineed atto della milizia che si ritrova nella sustanza di questa compo-sizione del furioso; ed ivi: nel primo articolo si mostrano tre sortedi contrarietà: la prima d’un affetto ed atto contra l’altro, comedove son le speranze fredde e gli desiderii caldi; la seconda demedesimi affetti ed atti in se stessi, non solo in diversi, ma ed inmedesimi tempi; come quando ciascuno non si contenta di sé, maattende ad altro, ed insieme insieme ama ed odia; la terza tra lapotenza che séguita ed aspira, e l’oggetto che fugge e si suttrae.Nel secondo articolo si manifesta la contrarietà ch’è come di doicontrarii appulsi in generale; alli quali si rapportano tutte le parti-colari e subalternate contrarietadi, mentre come a doi luoghi e

219

Page 220: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

sedie contrarie si monta o scende: anzi il composto tutto per ladiversità de le inclinazioni che son nelle diverse parti, e varietà dedisposizioni che accade nelle medesime, viene insieme insieme asalire ed abbassare, a farsi avanti ed adietro, ad allontanarsi da sée tenersi ristretto in sé. Nel terzo articolo si discorre circa la con-seguenza da tal contrarietade.

Nel Terzo dialogo si fa aperto quanta forza abbia la volontade inquesta milizia, come quella a cui sola appartiene ordinare, comin-ciare, exeguire e compire; cui vien intonato nella Cantica: Surge,propera, columba mea, et veni: iam enim hiems transiit, imberabiit, flores apparuerunt in terra nostra; tempus putationis advenit.Questa sumministra forza ad altri in molte maniere, ed a se medesi-ma specialmente, quando si reflette in se stessa e si radoppia; allorche vuol volere, e gli piace che voglia quel che vuole; o si ritratta,allor che non vuol quel che vuole, e gli dispiace che voglia quel chevuole: cossí in tutto e per tutto approva quel ch’è bene e quel tantoche la natural legge e giustizia gli definisce: e mai affatto approvaquel che è altrimente. E questo è quanto si esplica nel primo esecondo articolo. Nel terzo si vede il gemino frutto di tal efficacia,secondo che (per consequenza de l’affetto che le attira e rapisce) lecose alte si fanno basse, e le basse dovegnono alte; come per forzade vertiginoso appulso e vicissitudini successo dicono che la fiam-ma s’inspessa in aere, vapore ed acqua, e l’acqua s’assottiglia invapore, aere e fiamma.

In sette articoli del Quarto dialogo si contempla l’impeto e vigorde l’intelletto, che rapisce l’affetto seco, ed il progresso de pensieridel furioso composto, e delle passioni de l’anima che si trova algoverno di questa republica cossì turbulenta. Là non è oscuro chisia il cacciatore, l’ucellatore, la fiera, gli cagnuoli, gli pulcini, latana, il nido, la rocca, la preda, il compimento de tante fatiche, lapace, riposo e bramato fine de sì travaglioso conflitto.

Nel Quinto dialogo si descrive il stato del furioso in questo men-tre, ed è mostro l’ordine, raggione e condizion de studii e fortune.Nel primo articolo per quanto appartiene a perseguitar l’oggetto chesi fa scarso di sé; nel secondo quanto al continuo e non remittenteconcorso de gli affetti; nel terzo quanto a gli alti e caldi, benché vaniproponimenti; nel quarto quanto al volontario volere; nel quintoquanto a gli pronti e forti ripari e soccorsi. Ne gli seguenti si mostravariamente la condizion di sua fortuna, studio e stato, con la raggio-

220

Page 221: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

ne e convenienza di quelli, per le antitesi, similitudini e compara-zioni espresse in ciascuno di essi articoli.

Argomento de’ cinque dialogi della seconda parte.

Nel Primo dialogo della seconda parte s’adduce un seminariodelle maniere e raggioni del stato dell’eroico furioso. Ove nel primosonetto vien descritto il stato di quello sotto la ruota del tempo; nelsecondo viene ad iscusarsi dalla stima d’ignobile occupazione edindegna iattura della angustia e brevità del tempo; nel terzo accusal’impotenza de suoi studi, gli quali, quantunque all’interno sienoillustrati dall’eccellenza de l’oggetto, questo per l’incontro viene adessere offoscato ed annuvolato da quelli; nel quarto è il compiantodel sforzo senza profitto delle facultadi de l’anima, mentre cercarisorgere con l’imparità de le potenze a quel stato che pretende emira; nel quinto vien rammentata la contrarietà e domestico conflit-to che si trova in un suggetto, onde non possa intieramente appi-gliarsi ad un termine o fine; nel sesto vien espresso l’affetto aspi-rante; nel settimo vien messa in considerazione la mala corrispon-denza che si trova tra colui ch’aspira, e quello a cui s’aspira; nel-l’ottavo è messa avanti gli occhi la distrazion dell’anima, conse-guente della contrarietà de cose esterne ed interne tra loro, e de lecose interne in se stesse, e de le cose esterne in se medesime; nelnono è ispiegata l’etate ed il tempo del corso de la vita ordinariiall’atto de l’alta e profonda contemplazione: per quel che non viconturba il flusso o reflusso della complessione vegetante, ma l’a-nima si trova in condizione stazionaria e come quieta; nel decimol’ordine e maniera in cui l’eroico amore talor ne assale, fere e sve-glia; nell’undecimo la moltitudine delle specie ed idee particolariche mostrano l’eccellenza della marca dell’unico fonte di quelle,mediante le quali vien incitato l’affetto verso alto; nel duodecimos’esprime la condizion del studio umano verso le divine imprese,perché molto si presume prima che vi s’entri, e nell’entrare istesso:ma quando poi s’ingolfa e vassi più verso il profondo, viene adessere smorzato il fervido spirito di presunzione, vegnono relassatii nervi, dismessi gli ordegni, inviliti gli pensieri, svaniti tutti disse-gni, e riman l’animo confuso, vinto ed exinanito. Al qual propositofu detto dal sapiente: qui scrutator est maiestatis, opprimetur a glo-

221

Page 222: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

ria. Nell’ultimo è più manifestamente espresso quello che nel duo-decimo è mostrato in similitudine e figura.

Nel Secondo dialogo è in un sonetto ed un discorso dialogalesopra di quello specificato il primo motivo che domò il forte, ramol-lò il duro ed il rese sotto l’amoroso imperio di Cupidine superiore,con celebrar tal vigilanza, studio, elezione e scopo.

Nel Terzo dialogo in quattro proposte e quattro risposte del corea gli occhi, e de gli occhi al core, è dechiarato l’essere e modo dellepotenze cognoscitive ed appetitive. Là si manifesta qualmente lavolontà è risvegliata, addirizzata, mossa e condotta dalla cognizio-ne; e reciprocamente la cognizione è suscitata, formata e ravviva-ta dalla volontade, procedendo or l’una da l’altra, or l’altra dal’una. Là si fa dubio, se l’intelletto o generalmente la potenzaconoscitiva, o pur l’atto della cognizione sia maggior de la volon-tà o generalmente della potenza appetitiva, o pur de l’affetto: senon si può amare piú che intendere, e tutto quello ch’in certo modosi desidera, in certo modo ancora si conosce, e per il roverso; ondeè consueto di chiamar l’appetito cognizione, perché veggiamo chegli peripatetici, nella dottrina de quali siamo allievati e nodriti ingioventù, sin a l’appetito in potenza ed atto naturale chiamanocognizione; onde tutti effetti, fini e mezzi, principii, cause ed ele-menti distingueno in prima-, media- ed ultimamente noti secondola natura, nella quale fanno in conclusione concorrere l’appetito ela cognizione. Là si propone infinita la potenza della materia ed ilsoccorso dell’atto che non fa essere la potenza vana. Laonde cossínon è terminato l’atto della volontà circa il bene, come è infinitoed interminabile l’atto della cognizione circa il vero: onde ente,vero e buono son presi per medesimo significante circa medesimacosa significata.

Nel Quarto dialogo son figurate ed alcunamente ispiegate le noveraggioni della inabilità, improporzionalità e difetto dell’umanosguardo e potenza apprensiva de cose divine. Dove nel primo cieco,che è da natività, è notata la raggione ch’è per la natura che ne umi-lia ed abbassa. Nel secondo, cieco per il tossico della gelosia, ènotata quella ch’è per l’irascibile e concupiscibile che ne diverte edesvia. Nel terzo, cieco per repentino apparimento d’intensa luce, simostra quella che procede dalla chiarezza de l’oggetto che ne abba-glia. Nel quarto, allievato e nodrito a lungo a l’aspetto del sole,quella che da troppo alta contemplazione de l’unità che ne fura alla

222

Page 223: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

moltitudine. Nel quinto, che sempre mai ha gli occhi colmi de spes-se lacrime, è designata l’improporzionalità de mezzi tra la potenzaed oggetto che ne impedisce. Nel sesto, che per molto lacrimar avesvanito l’umor organico visivo, è figurato il mancamento de la verapastura intellettuale che ne indebolisce. Nel settimo, cui gli occhisono inceneriti da l’ardor del core, è notato l’ardente affetto chedisperge, attenua e divora tal volta la potenza discretiva.Nell’ottavo, orbo per la ferita d’una punta di strale, quello che pro-viene dall’istesso atto dell’unione della specie de l’oggetto; la qualvince, altera e corrompe la potenza apprensiva, che è suppressa dalpeso e cade sotto l’impeto de la presenza di quello; onde non senzaraggion talvolta la sua vista è figurata per l’aspetto di folgore pene-trativo. Nel nono, che per esser mutolo non può ispiegar la causadella sua cecitade, vien significata la raggion de le raggioni, la qualeè l’occolto giudicio divino che a gli uomini ha donato questo studioe pensiero d’investigare, de sorte che non possa mai gionger piúalto che alla cognizione della sua cecità ed ignoranza, e stimar piúdegno il silenzio ch’il parlare. Dal che non vien iscusata né favori-ta l’ordinaria ignoranza; perché è doppiamente cieco chi non vedela sua cecità: e questa è la differenza tra gli profettivamente studio-si e gli ociosi insipienti: che questi son sepolti nel letargo della pri-vazion del giudicio di suo non vedere, e quelli sono accorti, sveglia-ti e prudenti giudici della sua cecità, e però son nell’inquisizione enelle porte de l’acquisizione della luce, delle quali son lungamentebanditi gli altri.

Argomento ed allegoria del quinto dialogo.

Nel Quinto dialogo, perché vi sono introdotte due donne, allequali (secondo la consuetudine del mio paese) non sta bene di com-mentare, argumentare, desciferare, saper molto ed esser dottoresse,per usurparsi ufficio d’insegnare e donar instituzione, regola e dot-trina a gli uomini, ma ben de divinar e profetar qualche volta che sitrovano il spirito in corpo; però gli ha bastato de farsi solamenterecitatrici della figura, lasciando a qualche maschio ingegno il pen-siero e negocio di chiarir la cosa significata. Al quale (per alleviaroveramente tôrgli la fatica) fo intendere, qualmente questi nove cie-chi, come in forma d’ufficio e cause esterne, cossí con molte altre

223

Page 224: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

differenze suggettive correno con altra significazione, che gli novedel dialogo precedente; atteso che, secondo la volgare imaginazio-ne delle nove sfere, mostrano il numero, ordine e diversità de tuttele cose che sono subsistenti infra unità absoluta, nelle quali e soprale quali tutte sono ordinate le proprie intelligenze che, secondo certasimilitudine analogale, dependono dalla prima ed unica. Queste dacabalisti, da caldei, da maghi, da platonici e da cristiani teologi sondistinte in nove ordini per la perfezione del numero che domina nel-l’università de le cose ed in certa maniera formaliza il tutto; e peròcon semplice raggione fanno che si significhe la divinità, e secondola reflessione e quadratura in se stesso, il numero e la sustanza detutte le cose dependenti. Tutti gli contemplatori più illustri, o sienofilosofi, o siano teologi, o parlino per raggione e proprio lume, oparlino per fede e lume superiore, intendeno in queste intelligenzeil circolo di ascenso e descenso. Quindi dicono gli platonici, che percerta conversione accade che quelle, che son sopra il fato, si faccia-no sotto il fato del tempo e mutazione, e da qua montano altre alluogo di quelle. Medesima conversione è significata dal pitagoricopoeta, dove dice:

Has omnes, ubi mille rotam volvere per annosLethaeum ad fluvium deus evocat agmine magno,

Rursus ut incipiant in corpora velle reverti.

Questo, dicono alcuni, è significato dove è detto in revelazioneche il drago starà avvinto nelle catene per mille anni, e passati quel-li, sarà disciolto. A cotal significazione voglion che mirino moltialtri luoghi, dove il millenario ora è espresso, ora è significato peruno anno, ora per una etade, ora per un cubito, ora per una ed un’al-tra maniera. Oltre che certo il millenario istesso non si prendesecondo le revoluzioni definite da gli anni del sole, ma secondo lediverse raggioni delle diverse misure ed ordini con li quali sondispensate diverse cose: perché cossí son differenti gli anni de gliastri, come le specie de particolari non son medesime. Or quanto alfatto della revoluzione, è divolgato appresso gli cristiani teologi,che da ciascuno de’ nove ordini de spiriti sieno trabalzate le molti-tudini de legioni a queste basse ed oscure regioni; e che per nonesser quelle sedie vacanti, vuole la divina providenza che di questeanime, che vivono in corpi umani, siano assumpte a quella eminen-

224

Page 225: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

za. Ma tra’ filosofi Plotino solo ho visto dire espressamente, cometutti teologi grandi, che cotal revoluzione non è de tutti, né sempre,ma una volta. E tra teologi Origene solamente, come tutti filosofigrandi, dopo gli Saduchini ed altri molti riprovati, ave ardito de direche la revoluzione è vicissitudinale e sempiterna; e che tutto quelmedesimo che ascende, ha da ricalar a basso; come si vede in tuttigli elementi e cose che sono nella superficie, grembo e ventre de lanatura. Ed io per mia fede dico e confermo per convenientissimo,con gli teologi e color che versano su le leggi ed instituzioni depopoli, quel senso loro: come non manco d’affirmare ed accettarquesto senso di quei che parlano secondo la raggion naturale tra’pochi, buoni e sapienti. L’opinion de’ quali degnamente è statariprovata, per esser divolgata a gli occhi della moltitudine; la qualese a gran pena può essere refrenata da vizii e spronata ad atti virtuo-si per la fede de pene sempiterne, che sarrebe se la si persuadessequalche più leggiera condizione in premiar gli eroici ed umani gesti,e castigare gli delitti e sceleragini? Ma per venire alla conclusionedi questo mio progresso, dico che da qua si prende la raggione ediscorso della cecità e luce di questi nove, or vedenti, or ciechi, orilluminati; quali son rivali ora nell’ombre e vestigii della divina bel-tade, or sono al tutto orbi, ora nella più aperta luce pacificamente sigodeno. Allor che sono nella prima condizione, son ridutti alla stan-za di Circe, la qual significa la omniparente materia. Ed è dettafiglia del sole, perché da quel padre de le forme ha l’eredità e pos-sesso di tutte quelle le quali, con l’aspersion de le acqui, cioè conl’atto della generazione, per forza d’incanto, cioè d’occolta armoni-ca raggione, cangia il tutto, facendo dovenir ciechi quelli che vede-no. Perché la generazione e corrozione è causa d’oblio e cecità,come esplicano gli antichi con la figura de le anime che si bagnanoed inebriano di Lete.

Quindi dove gli ciechi si lamentano, dicendo: Figlia e madre ditenebre ed orrore, è significata la conturbazion e contristazion del’anima che ha perse l’ali, la quale se gli mitiga allor che è messa insperanza di ricovrarle. Dove Circe dice: Prendete un altro mio vasefatale, è significato che seco portano il decreto e destino del suocangiamento; il qual però è detto essergli porgiuto dalla medesimaCirce; perché un contrario è originalmente nell’altro, quantunquenon vi sia effettualmente: onde disse lei, che sua medesima manonon vale aprirlo, ma commetterlo. Significa ancora che son due

225

Page 226: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

sorte d’acqui: inferiori, sotto il firmamento che acciecano; e supe-riori, sopra il firmamento che illuminano: quelle che sono significa-te da pitagorici e platonici nel descenso da un tropico ed ascenso daun altro. Là dove dice: Per largo e per profondo peregrinate ilmondo, cercate tutti gli numerosi regni, significa che non è progres-so immediato da una forma contraria a l’altra, né regresso immedia-to da una forma a la medesima; però bisogna trascorrere, se nontutte le forme che sono nella ruota delle specie naturali, certamentemolte e molte di quelle. Là s’intendeno illuminati da la vista del’oggetto, in cui concorre il ternario delle perfezioni, che sono beltà,sapienza e verità, per l’aspersion de l’acqui, che negli sacri libri sondette acqui di sapienza, fiumi d’acqua di vita eterna. Queste non sitrovano nel continente del mondo, ma penitus toto divisim ab orbe,nel seno dell’Oceano, dell’Anfitrite, della divinità, dove è quelfiume che apparve revelato procedente dalla sedia divina, che avealtro flusso che ordinario naturale. Ivi son le Ninfe, cioè le beate edivine intelligenze che assisteno ed amministrano alla prima intel-ligenza, la quale è come la Diana tra le nimfe de gli deserti. Quellasola tra tutte l’altre è per la triplicata virtude potente ad aprir ognisigillo, a sciorre ogni nodo, a discuoprir ogni secreto, e disserrarqualsivoglia cosa rinchiusa. Quella con la sua sola presenza e gemi-no splendore del bene e vero, di bontà e bellezza appaga le volon-tadi e gl’intelletti tutti, aspergendoli con l’acqui salutifere di ripur-gazione. Qua è conseguente il canto e suono, dove son nove intelli-genze, nove muse, secondo l’ordine de nove sfere; dove prima sicontempla l’armonia di ciascuna, che è continuata con l’armonia del’altra; perché il fine ed ultimo della superiore è principio e capodell’inferiore, perché non sia mezzo e vacuo tra l’una ed altra: el’ultimo de l’ultima, per via de circolazione, concorre con il princi-pio della prima. Perché medesimo è più chiaro e più occolto, prin-cipio e fine, altissima luce e profondissimo abisso, infinita potenzaed infinito atto, secondo le raggioni e modi esplicati da noi in altriluoghi. Appresso si contempla l’armonia e consonanza de tutte lesfere, intelligenze, muse ed instrumenti insieme; dove il cielo, ilmoto de’ mondi, l’opre della natura, il discorso de gl’intelletti, lacontemplazion della mente, il decreto della divina providenza, tuttid’accordo celebrano l’alta e magnifica vicissitudine che agguaglial’acqui inferiori alle superiori, cangia la notte col giorno, ed il gior-no con la notte, a fin che la divinità sia in tutto, nel modo con cui

226

Page 227: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

tutto è capace di tutto, e l’infinita bontà infinitamente si communi-che secondo tutta la capacità de le cose.

Questi son que’ discorsi, gli quali a nessuno son parsi piú conve-nevoli ad essere addirizzati e raccomandati, che a voi, Signor eccel-lente, a fin ch’io non vegna a fare, come penso aver fatto alcunavolta per poca advertenza, e molti altri fanno quasi per ordinario,come colui che presenta la lira ad un sordo ed il specchio ad uncieco. A voi dunque si presentano, perché l’Italiano raggioni con chil’intende; gli versi sien sotto la censura e protezion d’un poeta; lafilosofia si mostre ignuda ad un sí terso ingegno come il vostro; lecose eroiche siano addirizzate ad un eroico e generoso animo, diqual vi mostrate dotato; gli officii s’offrano ad un suggetto sí grato,e gli ossequi ad un signor talmente degno, qualmente vi siete mani-festato per sempre. E nel mio particolare vi scorgo quello che conmaggior magnanimità m’avete prevenuto ne gli officii, che alcunialtri con riconoscenza m’abbiano seguitato. Vale.

AVERTIMENTO A’ LETTORI.

Amico lettore, m’occorre al fine da obviare al rigore d’alcuno acui piacesse che tre de’ sonetti, che si trovano nel primo dialogodella seconda parte de’ Furori eroici, siano in forma simili a gli altri,che sono nel medesimo dialogo; voglio che vi piaccia d’aggionge-re a tutti tre gli suoi tornelli. A quello che comincia: Quel ch’il miocor, giongete in fine:

Onde di me si diche:Costui or ch’av’affissi gli occhi al sole,

Che fu rival d’Endimion, si duole.

A quello che comincia: Se dagli eroi, giongete in fine:

Ciel, terra, orco s’opponi;S’ella mi splend’e accende ed èmmi a lato,

Farammi illustre, potente e beato.

A quello che comincia: Avida di trovar, giongete al fine:

227

Page 228: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

Lasso, que’ giorni lietiTroncommi l’efficacia d’un instante,

Che fêmmi a lungo infortunato amante.

ALCUNI ERRORI DI STAMPA PIÙ URGENTI.

Piacciavi, benigno lettore, prima che leggere, di corregere. Da Ainsino a Q significano gli quinterni. Il numero seguente quella let-tera, significa la carta. F significa la faccia prima o seconda. L signi-fica la linea.

A 1, f 2, l. 2 correte a’ miei dolori. A 2, f 1, li 12, ritenendoloda cose. F 2, li 30, Homerica poesia. A 4, f 1, li [1]5, illustre men-tre canto di morte cipressi et inferni. A 7, f 1, li 4, la gelosia scon-sola. li 11, di regione. B 1, f 2 , li 7, Potran ben soli con sua divacorte. C 2, f 2, li 2, sappia certo che se quei. lin 4, seguite che par-lino. lin 23, son divini. C 7, f 2, l 15, suspicientes in. D 8, f 1, Alti,profondi. F 2, l 10, compagni del mio core. E 6, f 1, l 21, intrattie-ne in quel essere. F 1, f 1, li 16, dice quell’altezza. G 8, f 1, l 2, chefa volgar. I 2, f 1, li 17, Per quanto mi si diè. K 5, f 2, li 19, Del gra-tioso sguardo apri le porte. L 6, f 2, li 21, XII, Cesa. L 7, f 1, l. 10,da cure moleste. M 4, f 1, li 15, ergo. Cor. N 5, f. 1, lin penultimaDeucalion. O 3, f 1, li 14, Hammi si crudament’ il spirto infetto. O4, f 2, li 10, Il Nil d’ogn’altro suon. O 5, f 2, li 13, intromettea laluce. O 7, f 1, li 6. Aspra ferit’ empio ardor, li 13, appresso Dite, f2, li ultima, in quello aspira per certo più. O 8, f 2, li ultima, alliquali si mostra, non proviene con misura di moto et tempo, comeaccade nelle. P 6, f 1, li antepenultima, quale chiumque ave inge-gno. P. 7, f 1, li 12, Siam nove spirti che molt’anni. Q 1, f 1, li 10,Ch’io possa esprimere. Q 4, f 1, l 22, De le dimore alterne.

228

Page 229: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

ISCUSAZION DEL NOLANOALLE PIÙ VIRTUOSE E LEGGIADRE DAME.

De l’Inghilterra o vaghe Ninfe e belle,Non voi ha nostro spirto in schifo, e sdegna,

Né per mettervi giú suo stil s’ingegna,Se non convien che femine v’appelle.

Né computar, né eccettuar da quelleSon certo che voi dive mi convegna,

Se l’influsso commun in voi non regna,E siete in terra quel ch’in ciel le stelle.

De voi, o Dame, la beltà sovranaNostro rigor né morder può, né vuole,Che non fa mira a specie soprumana.

Lungi arsenico tal quindi s’invole,Dove si scorge l’unica Diana,

Qual’è tra voi quel che tra gli astri il sole.

L’ingegno, le paroleE ‘l mio (qualunque sia) vergar di carte

Faranvi ossequios’il studio e l’arte.

229

Page 230: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo
Page 231: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

DE GLI EROICI FURORI (LONDRA, 1585)Note ed osservazioni in forma di commento

L’Argomento del Nolano sopra gli Eroici furori inizia l’esposizione sin-tetica del contenuto dell’opera richiamando in modo parodistico e con un’i-ronia che quasi si capovolge su se stessa – mostrando il positivo oltre ilnegativo – la moda inglese del tempo: il desiderio di celebrare la bellezza el’amor cortese nei confronti del nobile gentil sesso, con tutte le sue ansie etrepidazioni, struggimenti e sublimazioni poetiche. Soprattutto quandoall’occhio ironico, se non proprio sarcastico, bruniano l’oggetto del deside-rio amoroso pare effettivamente e costantemente dimostrarsi totalmentealieno da qualsiasi realtà e verità di bontà ed autentica, profonda ed eleva-ta bellezza. La drammatica confutazione portata all’amante dalla realtà del-l’oggetto amato viene però vieppiù ribadita dall’amante stesso, attraverso lapropria inconsapevolezza di fronte ad un desiderio che pare proprio total-mente eteronomo e travestito, privo com’è di razionalità evidente ed uni-versalmente accettata. Lo scarto bruniano proposto allora quale soluzionealla falsa alternativa, costituita dalla scelta fra l’adorazione imbecille edimbelle di un falso desiderio e l’arida negazione dello stesso, riporta lacomune riflessione dei lettori più attenti verso una scappatoia alla quale, chiè avvezzo alle strutture ed alle modalità già delineate del ribaltamento erovesciamento bruniani, non può non tendere e propendere con profondo evitale piacere intellettuale e morale. Anche in questo caso il superamentodella linearità determinativa e della logica binaria aristotelica avviene – conuna grazia razionale che avvincerebbe certamente i contemporanei cultoridella paraconsistenza – per il tramite del passaggio ad un altro presupposto,capace di annullare il precedente, mettendone in mora tutte le condizionicomunemente accettate. Il terzo – escluso ed espulso dalla logica aristoteli-ca – ora irrompe a costituire la possibilità di un universo d’orizzonte nuovo,di una pluralità innumerabile di mondi nuovissimi, nello Spirito creativo edialettico bruniano.

Contro l’immagine – cara nella storiografia almeno a partire da Gentile– di un Bruno quasi ferocemente attaccato alla stabilità dell’essere tradizio-nale – quindi di natura prettamente platonico-aristotelica – e decisamente

231

Page 232: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

232

avverso, se non nauseato, dal concetto di un divenire autonomo, il Brunovero ed autentico, correttamente conseguente nelle proprie argomentazioni(del resto già iniziate nelle opere precedenti), non può far altro che propor-re un salto, una fuoriuscita, un oltrepassamento in un mondo, in un’impo-stazione di civiltà, completamente nuovi e rivoluzionari. Il modo e lo stru-mento adatti ed adeguati per farlo saranno allora costituiti dall’invenzionedi una nuova logica. Una logica che rivoluzioni i significati di termini quali:sensibilità, sentimento, immaginazione, desiderio, ragione; possibilità enecessità. Un logica che sostituisca l’aspetto tradizionale di quell’eternopresente che si fa passato causale immodificabile con un non-luogo, un’a-pertura d’immagine capace di fondare nell’alto dei propri cieli razionali edemotivi la giustificazione per ogni determinazione creativa e per ogni rela-zione dialettica, irradicando così la nostra volontà ed il nostro intelletto inun comune ed infinito scopo d’eguaglianza, d’amore e di libertà. Una logi-ca dunque del futuro, per quanto il futuro sempre ci si imponga. Ma perquesta logica Bruno ha bisogno di spiritualizzare il desiderio, non certo dinegarlo: “mai fui tanto savio o buono che mi potesse venir voglia decastrarmi o dovenir eunuco.”1 Ha così bisogno di definire meglio ciò che hagià cominciato a determinare nelle opere precedenti (Spaccio de la Bestiatrionfante; Cabala del Cavallo pegaseo): le conseguenze o, meglio, leimplicazioni dovute al riorientamento e rivoluzione del concetto e dellaprassi della materia come potenza ed atto infinito, della materia dunquecome Spirito.

Queste implicazioni allora non possono non riguardare i significati pro-fondi ed unitari di termini quali sensibilità, intelletto ed anima. E la nuovasensibilità, così come il nuovo intelletto e la nuova anima bruniani, nonavranno certamente il valore del vincolo e della chiusura, quanto all’oppo-sto il senso del movimento di apertura, la creatività di immagine e di deside-rio e la determinazione dialettica infinita. La speculazione bruniana non è,infatti, né “legata”, né tanto meno “fredda”.2 Essa al contrario – così comesi sosteneva nell’analisi e nello sviluppo argomentativo e di commento alleEpistole introduttive delle opere precedenti – si muove nella libertà e nelcalore di quel cuore intellettuale determinato proprio dall’amore eguale.

Ma l’amore eguale è sia visibile, che invisibile: o l’infinito dell’opposi-zione nell’infinito dell’unità non potrebbe nemmeno installarsi nel centrodel nuovo essere bruniano. Così limitato ed illimitato irrompono nella scenafilosofica della rappresentazione bruniana, senza però opporsi ed escluder-si a vicenda (come vorrebbe invece la logica tradizionale). Invece amore

1 G. BRUNO. De gli Eroici furori. Sansoni, Firenze 19583 (rist. 1985). Pag. 930.2 Ivi, pag. 931.

Page 233: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

233

naturale ed amore divino stanno insieme come primo e secondo grado del-l’essere stesso.

Il discorso franco e diretto di quest’opera bruniana attiene infatti subito eprincipalmente all’indicazione di una necessità diversa da quella tradiziona-le: tanto quanto la necessità tradizionale sembrava accogliere in sé il concet-to e la prassi dell’unità senza residui e differenze, che non fossero quellidevoluti allo spazio e all’extra-tempo astratto del divino, la bruniana neces-sità si qualifica subito come necessità duale: necessità che si sdoppia nelgrado supremo dell’impredeterminato (“misterio”) ed in quello inferiore daquesto raccolto, elevato e spinto, attraverso la propria immagine di deside-rio (“anima”).3 Allora, tanto l’anima e l’intelletto tradizionali chiudevanol’accesso alla sensibilità, facendone circuitare il movimento in uno spaziopredeterminato, quanto quelli bruniani ne fanno oppostamente risorgere lavirtù creativa: appunto tendendone lo spirito verso la diversificazione everso l’apertura (ecco, di nuovo, la figura e l’immagine della Y pitagorica).

Tramite questo accoglimento, elevazione e spinta finalizzatrice la sensibi-lità bruniana, ruotando apparentemente su se stessa, elevandosi si apre a giu-sta misura (nel rapporto fra libertà ed eguaglianza), generando lo spazio perun’immagine in movimento, che ha come proprie forze componenti l’oriz-zontalità e la verticalità, l’eguaglianza dell’amore nella comprensione natu-rale e nella libertà razionale. È in quest’Immagine che Madre Natura si rista-glia come perfetta in se stessa: Ragione che non manca di nulla e che nullafa mancare. Ed è, così, quest’Immagine a costituire il tema e l’argomentod’indagine e di spiegazione dell’opera bruniana nella sua interezza, chedisdegna di essere accostata ad un qualsiasi componimento poetico utileall’esaltazione di un amore volgare (“studioso e disordinato amor venereo”).4

Il componimento bruniano, misto di prosa e di poesia, è invece tale, da poterpermettere all’autore nolano di sostenere l’alto ed elevato suo contenuto:

mi protesto che il mio primo e principale, mezzano ed accessorio, ultimo efinale intento in questa tessitura fu ed è d’apportare contemplazion divina, emetter avanti a gli occhi ed orecchie altrui furori non de volgari, ma eroiciamori, ispiegati in due parti; de le quali ciascuna è divisa in cinque dialogi.

In tal modo Giordano Bruno può procedere, in maniera molto rapida esuccinta, all’elencazione degli argomenti contenuti delle due parti nellequali è suddivisa l’intera opera ed ai suoi dieci dialoghi complessivi.

3 Ivi, pag. 933. 4 Ivi, pag. 936.

Page 234: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

234

Nel primo dialogo della prima parte viene subito presentata un’immaginedi per se stessa in movimento: l’immagine della natura razionale, viva per-ché creativa e dialettica (“le cause e principii motivi intrinseci”). E, semprepresente: come duplice necessità – ombra della libertà e dell’amore eguale(“monte”, “fiume”) – e come rapporto in elevazione ed apertura con unamolteplicità di potenze (“muse”).5 Questo necessario e duplice ricordo èallora memoria dialettica dell’arte:6 monito ed osservazione circa l’intogli-bilità e l’ineliminabilità dell’atto dialettico congiunto con la potenza creati-va, sia naturale che razionale (di fine e di scopo). Per questa alta ed orizzon-tale ragione la determinazione si fa, nello stesso tempo, interna ed esterna,creatrice con la volontà e produttrice con l’intelletto: essa infatti si fa inter-na per il tramite di quel desiderio che si traspone come immagine, ma imma-gine dotata di senso, di scopo, dunque con un fine esterno (“suggetti, ogget-ti, affetti, instrumenti ed effetti”). E, facendosi immagine piena e perfetta(“proponimento, definizione e determinazione”), risale alla consapevolezzadi sé, come causa e come fine, come necessità dell’inalienabile, estremaeguaglianza (“l’uno, perfetto ed ultimo fine”). Ma l’inalienabile, estremaeguaglianza è orizzonte d’infinito, dunque apertura d’infiniti:7 essa non puònon trattenere dentro di sé un’eguaglianza che si mischia (ecco il “compo-sto”) alla libertà. Questo ulteriore movimento – “profonda magia è saper traril contrario dopo aver trovato il punto de l’unione” (De la Causa, Principioe Uno) – allora scuote e rivoluziona dalle fondamenta l’edificio dell’egua-glianza semplicemente e puramente formale. Se l’eguaglianza formale puòpresumere di congiungere a sé – da un lato e dall’altro – pensiero e propriaestensione, costituendosi così in principio per uno Stato etico utilizzabileindifferentemente da una concezione politica socializzante o corporativa – aseconda che si preferisca, rispettivamente, un concetto astratto di eguaglian-za od uno che renda egemone una primitiva libertà – la fusione bruniana,nell’infinito, dell’eguaglianza con la libertà disintegra – rivelandone la fun-zione di copertura, di separazione e di eteronomia – il centro astratto dellaverità e della bontà (“custodem in vineis”).8 Ecco dunque spuntare nella spe-culazione bruniana ciò che verrà successivamente definito con il termine diNotte, nella Lampas triginta statuarum (Wittenberg, 1587): ossia il monitoche l’infinito sia infinitamente mantenuto, con il ricordo ultimo della con-

5 Ivi, pagg. 961-962. 6 Ivi, pag. 962. Vedi: «Tansillo. Perché cossì il cuor umano ha doi capi, che vanno a ter-

minarsi a una radice, e spiritualmente da uno affetto del core procede l’odio ed amoredi doi contrarii, come ave sotto due teste una base il monte Parnaso.»

7 Ivi, pagg. 963-964. 8 Ivi, pag. 971.

Page 235: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

235

giunzione invisibile – e perciò fortissima ed invincibile – dell’eguaglianzaalla libertà (secondo “una naturale contemplazione”):

Quattro principii ed estremi de due contrarietadi vuol ridurre a doi princi-pii ed una contrarietade. Dice dunque: Premi, oimè, gli altri; cioè basti a te, omia sorte, d’avermi sin a tanto oppresso, e (perché non puoi essere senza il tuoessercizio) volta altrove il tuo sdegno. E vatten via fuori del mondo, tu,Gelosia; perché uno di que’ doi altri che rimagnono, potrà supplire alle vostrevicende ed offici: se pur tu, mia sorte, non sei altro ch’il mio Amore, e tu,Gelosia, non sei estranea dalla sustanza del medesimo. Reste dunque lui perprivarmi de vita, per bruggiarmi, per donarmi la morte, e per salma de le mieossa: con questo che lei mi tolga di morte, mi impenne, mi avvive e mi susten-te. Appresso, doi principii ed una contrarietade riduce ad un principio ed unaefficacia, dicendo: ma che dich’io d’Amore? Se questa faccia, questo oggettoè l’imperio suo, e non par altro che l’imperio de l’amore; la norma de l’amo-re è la sua medesima norma; l’impression d’amore ch’appare nella sustanzadel cor mio, non è certo altra impression che la sua: perché dunque dopo averdetto nobil faccia, replico dicendo vago amore?9

È tramite questa ricongiunzione – del “vago amore” alla “nobil faccia” –che allora ricompare nel secondo dialogo l’orizzonte aperto ed infinitodell’Uno bruniano. Qui, al suo interno, prende consistenza l’amore checaratterizza il furioso (“questa composizione del furioso”): l’amore apparen-temente soprannaturale, l’amore eguale che si riunifica alla libertà. Essosembra dover fare i conti con una processualità a triplice fase, nel modo diintendere il rapporto fra libertà ed eguaglianza: la prima, che le contrappo-ne, separa e distingue, mantenendo l’eguaglianza nel suo movimento propo-sitivo e la libertà nell’atto negativo; la seconda, che le congiunge quali ter-mini reciprocamente opposti; la terza, che innalza il medio sino a che essonon scompare come tale, essendo oramai tutto il soggetto l’oggetto stesso,aperto ed infinito, potenza innumerabile (“primo articolo”). In tal modo,seguendo l’ultimo di questi effetti, il movimento stesso non scinde mai gliestremi, così realizzando se stesso. Toccando e realizzando entrambi, attuaattraverso di sé tutta la graduazione possibile: dal nulla di sé inferiore alpieno di sé superiore (“secondo articolo”). In tal modo libertà ed eguaglian-za – come la materia celeste trattata nella Cabala del Cavallo pegaseo e quicome i due occhi che sono le porte del cielo e dell’inferno – accorrono infi-ne ad impersonare i futuri concetti di Minimo e di Massimo, con tutto il lororapporto di chiusura ed opposta apertura (“terzo articolo”).10

9 Ivi, pagg. 971-972. 10 Ivi, pagg. 973-985.

Page 236: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

236

La piegatura – il “disquarto e distrazione” del furioso (l’amore eguale) –che così compare all’interno della fase superiore dell’argomentazionerazionale bruniana stabilisce, nel terzo dialogo della prima parte, la spezza-ta che organizza lo spazio reale d’attività della volontà: come desiderionaturale (“ombra”), essa porta a compimento l’innata propria creatività efecondità (“flores”, “tempus putationis”). Come volontà razionale (“spec-chio”), al pari, inturgida le libertà comuni, salendo in una posizione supe-riore, che le consente la scelta, la definizione ed il compimento di ciò che èportato necessariamente e possibilmente dalla natura e dalla ragione(“primo e secondo articolo”).11 In questo modo – il modo della possibilenecessità12 – la libertà diventa eguale – “le cose alte si fanno basse” – men-tre l’eguaglianza si fa libera – “le basse dovegnono alte” (“terzo articolo”).Così nel rapporto fra gli estremi, libertà ed eguaglianza si compenetrano,costituendo la composizione di ciò che può e deve valere come apertamen-te universale, essendo l’Uno infinito (“per quanto s’estende l’orizonte dellavista sua”), trasformatore e rivoluzionario.13

Allora si forma una duplice e riflessa apertura, inferiore e superiore (anco-ra la figura ed immagine razionale della X), il cui stato viene descritto daGiordano Bruno nel quarto (“sette articoli”) e nel quinto (“l’ordine, raggio-ne e condizion de studii e fortune”) dialogo, considerando e svolgendo prima

11 Ivi, pagg. 986-991. 12 Ivi, pag. 996. Vedi:«Nel qual stato ritrovandosi, viene a perder l’amore ed affezion d’o-

gni altra cosa tanto sensibile quanto intelligibile; perché questa congionta a quel lumedovien lume essa ancora, e per consequenza si fa un Dio: perché contrae la divinità insé, essendo ella in Dio per la intenzione con cui penetra nella divinità (per quanto sipuò), ed essendo Dio in ella, per quanto dopo aver penetrato viene a conciperla e (perquanto si può) a ricettarla e comprenderla nel suo concetto.»

13 Ivi, pagg. 996-1004. Vedi: «Nella natura è una revoluzione ed un circolo per cui, perl’altrui perfezione e soccorso, le cose superiori s’inchinano all’inferiori, e per propriaeccellenza e felicitade le cose inferiori s’inalzano alle superiori. Però vogliono i pita-gorici e platonici esser donato a l’anima, ch’a certi tempi non solo per spontaneavoluntà, la qual le rivolta alla comprension de le nature; ma ed anco della necessitàd’una legge interna scritta e registrata dal decreto fatale vanno a trovar la propria sortegiustamente determinata. E dicono che l’anime non tanto per certa determinazione eproprio volere, come ribelle, declinano dalla divinità, quanto per certo ordine per cuivegnono affette verso la materia: onde, non come per libera intenzione, ma come percerta occolta conseguenza vegnono a cadere. E questa è l’inclinazion ch’hanno allagenerazione, come a certo minor bene. (Minor bene dico, per quanto appartiene a quel-la natura particolare; non già per quanto appartiene alla natura universale, dove nien-te accade senza ottimo fine che dispone il tutto secondo la giustizia). Nella qual gene-razione ritrovandosi (per la conversione che vicissitudinalmente succede) de nuovoritornano a gli abiti superiori.» Pag. 1002.

Page 237: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

237

l’unità creativa razionale e poi la diversità naturale. L’impossibilità di sepa-rarle costituisce, infatti, quel valore e quella dignità insieme morale ed intel-lettuale che accosta, congiungendole, pace e giustizia. Ecco, allora, che laspeculazione bruniana per primo tratta lo svolgimento dell’intelletto nellavolontà, la sua trasformazione ed il suo capovolgimento dall’essere causaleall’essere finale (mito ed allegoria di Atteone). Qui il nodo od il vincoloall’orizzonte dell’Uno infinito, che consente il passaggio dall’uno all’altrocapo ed estremo, è rappresentato dall’immagine desiderata e desiderantedelle idee, che convogliano e spingono lo spirito pratico dell’uomo alloscopo della propria vita ed esistenza. Qui la potenza che sorge dalla natura el’atto razionale dispongono la creatività per dare svolgimento alla vita –“l’ostro della divina vigorosa potenza, l’oro della divina sapienza, l’alaba-stro della beltade divina”14 – elevando l’intelletto e la volontà umani. Così lavolontà intellettuale si trasforma e capovolge in intelletto di volontà, toccan-do infine l’orizzonte dell’Uno infinito, prima di dare opera alle propriecomuni capacità. Queste non possono, allora, non vedere come esterno loscopo della propria attività, che però resta sempre e comunque interno adesse, nell’amore (per l’estrema eguaglianza) che le attrae.15

L’amore per l’estrema eguaglianza, allora, attira e fa vivere divinamenteAtteone, perché il suo riformato intelletto e volontà vede ed apprende ciòche al di sotto del limite del senso non può né essere visto, né tanto menoappreso. Identico al Dio nell’amore per l’estrema eguaglianza (secondoarticolo: “E non tornar a me se non sei mio”),16 finalmente fa coinciderepotenza ed atto, nell’aperto d’infinito (terzo articolo: “la morte de l’ani-ma”). Qui lo scioglimento e l’apparente scomparsa dell’anima vale la sem-plicità della presenza dell’ideale – così reale – dell’estrema eguaglianza(“quello che contiene in sé ogni geno de intelligibile ed appetibile”, “l’emi-nenza del fonte de l’idee, oceano d’ogni verità e bontade”). Essa è l’identi-tà di atto e potenza dell’infinito e l’apparente scomparsa di ogni discrimi-

14 Ivi, pag. 1007. 15 Ivi, pag. 1008. Vedi:«Tansillo. Sai bene che l’intelletto apprende le cose intelligibil-

mente, idest secondo il suo modo; e la voluntà perseguita le cose naturalmente, cioèsecondo la raggione con la quale sono in sé. Cossì Atteone con que’ pensieri, quei caniche cercavano estra di sé il bene, la sapienza, la beltade, la fiera boscareccia, ed in quelmodo che giunse alla presenza di quella, rapito fuor di sé da tanta bellezza, dovennepreda, veddesi convertito in quel che cercava; e s’accorse che de gli suoi cani, de glisuoi pensieri egli medesimo venea ad essere la bramata preda, perché già avendolacontratta in sé, non era necessario di cercare fuor di sé la divinità. Cicada. Però ben sidice il regno de Dio esser in noi, e la divinitade abitar in noi per forza del riformatointelletto e voluntade.»

16 Ivi, pagg. 1009-1010.

Page 238: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

238

nazione. Ma proprio così essa vale come Anima universale (anima amante:“morta in sé, e viva ne l’oggetto”). Anima che trae a sé e muove, continua-mente (“sempre ritrovandosi in discorso e moto in certa maniera”).17

Qui l’infinito bruniano diventa, allora, stabile ed irremovibile centro dimovimento – “che l’infinito, per essere infinito, sia infinitamente persegui-tato” – con il ché il mezzo stesso e/o lo strumento con il quale questo per-seguimento deve essere attuato non può essere di natura diversa e distacca-ta dal fine e dallo scopo che intende attuare e realizzare. Così il “moto meta-fisico” bruniano non può non essere egualmente libero come il suo oggetto(identità di libertà ed eguaglianza). Solo così questo moto “non è da imper-fetto al perfetto, ma va circuendo per gli gradi della perfezione, per gionge-re a quel centro infinito, il quale non è formato né forma.”18 Qui l’apertaluce è oscurità di determinazione – “non posso saperlo” – dunque eternodesiderio d’apparente annullamento in essa (“brama, si spasma e muore”).Solo la luce riflessa alla conservazione della libertà individuale può, allora,limitare questo annullamento, facendo retrocedere il soggetto al principiodella potenza creativa, alla propria necessità. Il capovolgimento del furio-so, pertanto, costituirà la trasformazione di questa necessità in libertà uni-versale, non appena il fine inteso ed amato si amplii all’infinito e l’infinitostesso si presenti e si esprima attraverso se stesso (il modo, lo sguardo, el’accento del desiderio intimo dell’eguale libertà).19

Il desiderio intimo dell’eguale libertà congiunge, allora, la profonditàdell’essere creativo con l’elevatezza ed ampiezza dell’essere dialettico, nonappena questo tragga dal primo la determinazione razionale che le è conna-turata, superando l’ostacolo e l’opposizione suscitata da una riflessione edimmaginazione senz’amore. Solo una riflessione ed immaginazione(“madre” e “padre”) amorosa permette, infatti, di congiungere infinito(della ricerca) ad infinito (reale), mostrando l’impredeterminato della liber-tà attraverso la determinazione aperta dell’eguaglianza (adequatio mentisinfinitae rei infinitae). Così quel desiderio deve nascere dalla stessa estre-ma eguaglianza, per ritornare ed approfondirsi nella natura stessa della pro-pria tensione ed intenzione. Per questa ragione il desiderio bruniano nonpuò non avere alta ed universale sensibilità, composta con universale intel-ligenza. Per questa ragione, ancora, l’esterno (l’oggetto) è figura ed imma-gine dell’infinito (“principio de l’essere”, “principio del conservare”).20

17 Ivi, pagg. 1010-1012. 18 Ivi, pag. 1012. 19 Ivi, pag. 1014. 20 Ivi, pagg. 1016-1018. Vedi: «Tansillo. Rispondo che nel senso e l’intelletto è un appeti-

to ed appulso al sensibile in generale; perché l’intelletto vuol intender tutto il vero, per-ché s’apprenda poi tutto quello che è bello o buono intelligibile: la potenza sensitiva vuol

Page 239: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

239

Conservare l’infinito è, dunque, mossa principe della speculazione bru-niana. Ma quale infinito conserva la speculazione bruniana? L’infinito con-servato dalla speculazione bruniana deve far sì che il “moto metafisico” nonsi esaurisca e si annulli: quindi esso deve essere dentro l’oggetto, tramitel’amore, ma – come vuole la riflessione (“la madre”) – esso deve pure esse-re fuori, in posizione dialettica. Alla realizzazione di tale posizione dialetti-ca si acconcia l’immaginazione razionale, che conserva il senso del movi-mento di ribaltamento – la già vista “conversione” del furioso21 – trasferen-do però la realtà dell’ideale dall’estrema eguaglianza all’orizzonte apertodella libertà, alla molteplicità che esso induce nella natura. Senza l’imma-ginazione ed il suo desiderio motore – “il padre”, il “fuoco alato in preda”,lo “spirito” – le potenze ideali resterebbero, infatti, “tronche e guaste”:22 lanatura verrebbe decapitata della sua ragione.

Così la speculazione bruniana, grazie alla composizione fra riflessioneed immaginazione, risveglia la necessità della composizione fra eguaglian-

informarsi de tutto il sensibile, perché s’apprenda poi quanto è buono o bello sensibile.Indi aviene che non meno desideramo vedere le cose ignote e mai viste, che le cose cono-sciute e viste. E da questo non séguita ch’il desiderio non proceda da la cognizione, e chequalche cosa desideriamo che non è conosciuta; ma dico che sta pur rato e fermo che nondesideriamo cose incognite. Perché se sono occolte quanto all’esser particulare, non sonooccolte quanto a l’esser generale; come in tutta la potenza visiva si trova tutto il visibilein attitudine, nella intellettiva tutto l’intelligibile. Però come ne l’attitudine è l’inclina-zione a l’atto, aviene che l’una e l’altra potenza è inchinata a l’atto in universale, comea cosa naturalmente appresa per buona. Non parlava dunque a sordi o ciechi l’anima,quando consultava con suoi pensieri de reprimere il vedere, il quale quantunque non siacausa prossima del volere è però causa prima e principale.» Pag. 1017.

21 Ivi, pagg. 1003-1004. Vedi: «Tansillo. Necessità, fato, natura, consiglio, voluntà nelle cosegiustamente e senza errore ordinate, tutti concorreno in uno. Oltre che, come riferiscePlotino, vogliono alcuni che certe anime possono fuggir quel proprio male, le quali primache se gli confirme l’abito corporale, conoscendo il periglio, rifuggono alla mente. Perchéla mente l’inalza alle cose sublimi, come l’imaginazion l’abbassa alle cose inferiori; lamente le mantiene nel stato ed identità come l’imaginazione nel moto e diversità; la mentesempre intende uno, come l’imaginazione sempre vassi fingendo varie imagini. In mezzoè la facultà razionale la quale è composta de tutto, come quella in cui concorre l’uno conla moltitudine, il medesimo col diverso, il moto col stato, l’inferiore col superiore.Or questa conversione e vicissitudine è figurata nella ruota delle metamorfosi, dove siedel’uomo nella parte eminente, giace una bestia al fondo, un mezzo uomo e mezzo bestiadescende dalla sinistra, ed un mezzo bestia e mezzo uomo ascende de la destra. Questaconversione si mostra dove Giove, secondo la diversità de affetti e maniere di quelliverso le cose inferiori, s’investisce de diverse figure, dovenendo in forma de bestie; ecossì gli altri dei transmigrano in forme basse ed aliene. E per il contrario, per sentimen-to della propria nobiltà, ripigliano la propria e divina forma: come il furioso eroico, inal-zandosi per la conceputa specie della divina beltà e bontade, con l’ali de l’intelletto evoluntade intellettiva s’inalza alla divinitade, lasciando la forma de suggetto più basso.E però disse: Da suggetto più vil dovegno un Dio, Mi cangio in Dio da cosa inferiore.»

22 Ivi, pag. 1019.

Page 240: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

240

za e libertà, nella natura razionale. Allora tramite il desiderio intrinseco almovimento generativo naturale ogni causa razionale potrà trovare feliceappagamento e godimento di sé: questa è la legge dell’analogia bruniana.Tramite quest’analogia il Deus sive Natura bruniano può esplicitare la pro-pria legge, insieme creativa e dialettica: “È legge del fato e della natura cheogni cosa s’adopre secondo la condizion de l’esser suo.”23

A questo punto, però, sorge un impedimento apparentemente insuperabi-le: può lo spirito cadere e realizzarsi nel suo movimento, se resta comunqueastratto e separato? Esso deve apparentemente ribellarsi: comporre libertàed eguaglianza, secondo l’orizzonte unitario dell’infinito, per sciogliersi emobilitarsi secondo un’infinita gamma di differenze, non riconducibili eriducibili ad alcuna unità visibile. Ciò costituisce per lo spirito bruniano l’o-rizzonte apparentemente oscuro della propria ragione e del proprio movi-mento, la parte immediatamente subceleste, saturnina, dell’intelligenza.Come Saturno, infatti, divorava i propri figli, così lo spirito bruniano lasciaper il momento nell’oscurità il principio creativo naturale, la sua unità, perabbracciare l’intero orizzonte delle specie create. È all’interno di questoorizzonte che può allora comparire l’oltrepassamento razionale della natu-ra stessa, l’immagine stessa del desiderio divino (“il core”).24 Conseguenzaulteriore di questa acquisizione è il fatto che ragione e natura restano vin-colate, nella loro ampiezza e potenza, dalla figura intellettuale che l’imma-gine del desiderio divino riesce ad aprire e nello stesso tempo a determina-re: “l’anima fa gli doi progressi d’ascenso e descenso per la cura ch’ha disé e de la materia; per quel ch’è mossa dal proprio appetito del bene, e perquel ch’è spinta da la providenza del fato.”25 Lo spirito bruniano, allora,vieppiù si identifica con ciò che dal centro – è la famosa “anima delmondo”, intesa “secondo la significazione che tiene appresso gli veri filo-sofi” – unisce movimento all’eguaglianza e libertà, restando stabile ampiez-za dell’una e dell’altra, mutua relazione di codeterminazione dell’una nel-l’altra (con il riflesso in immagine razionale del desiderio). Intesa, infatti,“secondo la volgar significazione”, essa non può che scomparire comemovimento e come natura razionale, lasciando l’universo stesso come iner-te e morto simulacro e feticcio corporeo di se stessa.26 Nel momento in cui,invece, l’Uno infinito dimostri se stesso – “l’atto della divina providenza”– con l’immagine di un desiderio infinito, corpi, nature, desideri e passionirazionali rimarrebbero stabili diversificazioni, movimenti e determinazioni,

23 Ivi, pag. 1021. 24 Ivi, pag. 1025. 25 Ibidem. 26 Ivi, pag. 1026.

Page 241: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

241

sia nell’ambito naturale (“scala de la natura”), che in quello dominato dalsentimento razionale (“scala de gli affetti umani”).27

Cicada. Però da le affezioni si possono conoscer gli animi, se vanno alto obasso, o se vegnono da alto o da basso, se procedeno ad esser bestie o pur adessere divini, secondo lo essere specifico, come intesero gli pitagorici; osecondo la similitudine de gli affetti solamente, come comunmente si crede:non dovendo la anima umana posser essere anima di bruto, come ben dissePlotino, ed altri platonici secondo la sentenza del suo principe.28

Quando perciò sensibilità interiore ed intelligenza si ricompongono29 – esi ricompongono solamente allora che la libertà tocca l’eguaglianza e ne èda essa reinvestita – l’immagine sensibile e razionale del desiderio intellet-tuale riaccosta la madre/riflessione al padre/immaginazione, portando acompimento quell’incrocio magico e miracoloso (+), che – rendendo ilFiglio nel Padre per lo Spirito – segna la ricerca teologica e religiosa bru-niana con il simbolo infinito di quella Trinità rivoluzionaria, che si manife-sta attraverso l’inscindibile movimento salvifico dell’amore infinito ed uni-versale, fra i termini della libertà infinita e della infinita eguaglianza.30 Ilfuturo del mondo nuovo bruniano è tutto qui: esso può essere momentanea-mente impedito, solo qualora libertà ed eguaglianza siano ricomprese edisolate come termini opposti e separati, in lotta reciproca e mortale. Ma ilsoffio eterno dello Spirito bruniano riapre costantemente la medesima que-stione: come si può separare libertà ed eguaglianza, se la loro stessa sepa-razione sembra fare il gioco della loro ricomposizione futura? Se la nega-zione degli opposti – che sta nella loro contrapposizione infinita – inveceche risaltare come affermazione di un’unità assoluta – il monolite dell’Unonecessario e d’ordine, sensibile (celebrativo e produttivo) od astratto (socia-le, in senso lato e generale) – produce sempre e costantemente il richiamoinarrestabile della fusione rivoluzionaria fra libertà ed eguaglianza?L’attualità del pensiero bruniano ribatte alle porte della nostra modernità,vanificandone definitivamente l’illusione post-moderna, rappresentata daquell’unità assoluta.

Così, se l’infinito viene, nel “primo articolo” del quinto dialogo dellaprima parte, ricordato nel suo segno e nella sua valenza dialettica, resa sta-bile dall’orizzonte dell’Uno infinito, nel “secondo articolo” esso viene ripor-

27 Ivi, pagg. 1026-1027. 28 Ivi, pag. 1027. 29 Ivi, pagg. 1027-1029. 30 Ivi, pagg. 1030-1032. I. At regna senserunt tria.

Page 242: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

242

tato alla sua fonte creativa, dalla quale esso stesso può rimanere e prorom-pere sempre identico, qualunque determinazione accolga, superiormente odinferiormente.31 Ritrovata l’amorosa fonte creativa, a mezzo dei terminiapparentemente opposti della libertà e dell’eguaglianza, “l’articolo terzo”rammenta quanto quella debba essere da queste costantemente rinvigorita,per il tramite del loro reciproco sostentamento. La fantasia e l’immaginazio-ne creativa che, allora, mantiene il movimento dell’eguaglianza alla libertàe della libertà all’eguaglianza sostiene e solleva l’immagine ed il desiderio,ruotandoli verso l’apertura della prima e la determinazione della seconda.32

Così l’infinito dell’estrema eguaglianza viene di nuovo riattinto, come siafferma nel “quarto articolo”, nelle sue due componenti (verticale ed oriz-zontale).33 L’opposto che non ha opposto, perche realizza l’ideale, offre allo-ra il pensiero e l’azione della sostanza (il “sole” della “luce intelligenziale”),che sempre risorge apparentemente dal nulla ed è tutto, tutto portando comesalute e salvezza (la “luna” del “splendor diffuso”), infinita ed universale(“quinto articolo”).34 Qui, allora, ripiglia fiato e vigore quella riflessione chedà luogo alla conversione del furioso: l’immagine del desiderio divino si fa,infatti, apertura d’infinito, che a sua volta si tramuta in determinazione d’e-guaglianza.35 Questa e solo questa vale come giusta pace, capace di scioglie-re ogni violenza, ogni determinazione inferiore che pretenda l’assoluto dellaforza, mancandogli l’immagine ed il desiderio dell’aperto infinito.

Il desiderio e l’immagine dell’aperto infinito sono infatti la determina-zione fondamentale ed essenziale dello spirito umano, ne costituiscono lasua stessa necessità positiva. Senza di questa esso, infatti, rischia di venirespezzato ed appiattito in una parte oscura – il pensiero, nella sua riduzioneimmaginifica – e in una parte chiara – l’azione, nella sua esaltazione pro-meteica. Come l’intelletto viene però ridotto nella sua versione astratta edistaccata, così lo stesso affetto subisce la neutralizzazione del proprio attorivoluzionario, per effetto della chiusura nello spazio ristretto del sentimen-

31 Ivi, pagg. 1032-1034. II. Idem semper ubique totum. 32 Ivi, pagg. 1034-1036. III. Mutuo fulcimur. 33 Ivi, pagg. 1036-1038. IV. Hostis non hostis.34 Ivi, pagg. 1038-1041. V. Caesar adest.35 Ivi, pag. 1040. Vedi: «Cicada. In che maniera intendete che si faccia cotal conversio-

ne? Tansillo. Con tre preparazioni che nota il contemplativo Plotino nel libro Della bel-lezza intelligibile; de le quali la prima è proporsi de conformarsi d’una similitudinedivina, divertendo la vista da cose che sono infra la propria perfezione, e commune allespecie uguali ed inferiori; secondo è l’applicarsi con tutta l’intenzione ed attenzionealle specie superiori; terzo il cattivar tutta la voluntade ed affetto a Dio. Perché da quaavverrà che senza dubio gl’influisca la divinità la qual da per tutto è presente e prontaad ingerirsi a chi se gli volta con l’atto de l’intelletto, ed aperto se gli espone con l’af-fetto de la voluntade.»

Page 243: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

243

to e della passione vuota ed inutile. La ricongiunzione di ciò che viene sepa-rato, senza essere opposto, viene infine compiuta necessariamente dallalimitazione formale realizzata da una potenza assoluta estrinseca, che impo-ne dall’alto e gerarchicamente una necessità assolutamente negativa, persi-no sacralizzata per il tramite di quella figura religiosa, che si istituisce ecostituisce come la tradizione e la trasmissione dei miti e riti del potere (ilclero legato al dio maschile della potenza, spinta sino alla crudeltà).

Pertanto la speculazione bruniana non può non sottolineare la relazioneverticale che lega la determinazione fondamentale all’essenza, rilevando lospazio di questo apparente distacco in quella, sopra indicata, necessità posi-tiva (“intelletto agente ed attuante”). È questa necessità positiva che, poi,come fa apparentemente finire le diverse forme naturali, così ne risveglia inprofondità ed in realtà le ragioni principiali, riportandole tutte ad una ragio-ne comune (“la luna”), immagine della ragione universale (il “sole”, “laprima ed universale intelligenza”). Così mentre la determinazione umana siqualifica per il movimento eterno di intelletto e volontà, la determinazionedivina si erge nella stabilità infinita costituita dall’identità di intelletto evolontà. È la visione di questa identità a costituire l’orizzonte del furioso ela sua intenzione (“l’amor intellettivo”).36

Conseguenza di questa duplice ma connessa situazione e stato è l’affer-mazione di una relazione di attività e passività, che si riprendono e capovol-gono: prima l’atto di libertà genera amorosamente la potenza dell’egua-glianza, poi la creatività amorosa di questa riprende, riattinge e riattiva real-mente ciò che in precedenza aveva valutato come suo amoroso ideale,esprimendo in tal modo amorosamente la libertà stessa. Lo spazio internodi questa Trinità filosofica – come l’anima per il corpo – muove così in cir-colo lo spirito dell’uomo, consentendogli di stabilire diversi gradi di cono-scenza e di affetto: prima l’immagine della Sapienza, poi la figura delloSpirito, infine la rappresentazione di Dio.37

La rappresentazione di Dio chiude, pertanto, il circolo bruniano dellospirito umano, mostrando il risultato di un riflesso determinativo, che valequale potenza amorosa e creativa d’eguaglianza. Questo riflesso determina-tivo – unendo il sole intelligenziale alla luna riflettente – prolunga l’ombraverticale della sensibilità intellettuale – l’intelletto passibile della tradizio-ne averroista – ingenerando lo spazio ed il tempo propri della specie umana.Realtà ed ideale compaiono, allora, a dimostrare la natura della rivoluzionerazionale, l’onda ciclica del progresso e della variazione rispetto alla stabi-lità superiore della potenza intellettuale. Nulla, positiva e negativa, la fase

36 Ivi, pagg. 1042-1044. VI. Fata obstant.37 Ivi, pagg. 1044-1047. VII. Circuit.

Page 244: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

244

dell’affermazione razionale trascorre così tutti i gradi dell’opposizione,mostrando la natura apparentemente inerte, la vita e il progressivo venirmeno nella morte. È questa opposizione, allora, ad aprire la lacerazione frala potenza superiore e le potenze inferiori, a generarne la nascosta presen-za. È questa stessa opposizione, infine, a ricordare l’intima unità d’imma-gine e desiderio – “pensiero” ed “affetto” – di queste a quella. L’amore perl’aperto infinito ricompare, dunque, quale valore razionale per lo spiritoumano, quale sua natura più alta e profonda.38

Cicada. Tutte dunque le cose che hanno dependenza e che non sono ilprimo atto e causa, sono composte come di luce e tenebra, come di materia eforma, di potenza ed atto?

Tansillo. Cossì è. Oltre, l’anima nostra, secondo tutta la sustanza, è signifi-cata per la luna la quale splende per l’emispero delle potenze superiori, ondeè volta alla luce del mondo intelligibile; ed è oscura per le potenze inferiori,onde è occupata al governo della materia.

Quel riflesso determinativo costituisce, allora, la forza intima ed esternadello spirito, la sua fede razionale (“affetto” ed “intenzione”). Essa ha unriflesso ampio nell’insieme delle determinazioni, che paiono da quella pro-fluire e svilupparsi,39 non appena la natura della ragione rimuova se stessa– “Qua più superbo gigante si smuove” – secondo l’orizzonte della neces-sità e della libertà, della materia e dell’atto. La speculazione di GiordanoBruno giunge qui, infatti, attraverso la distinzione fra materia ed atto, allavirtù rivoluzionaria della natura che si fa ragione, non appena questa si fac-cia quella. In immagine e somiglianza della precedente trasformazione tri-nitaria, qui la libera natura razionale si deposita come necessità superiore,per convogliare la comune materia ad innalzarsi – “Che contra il ciel s’in-fiamm’e stizza in vano” – e realizzare le intenzioni, apparentemente astrat-te, delle potenze superiori – “Tentando nuovi studii e varie prove” per effet-to “de gli atti dell’intellettive potenze”. Viene così facilmente inteso ilsignificato allegorico della figura di Vulcano, utilizzata dal pensatore nola-no per rappresentare e dare concretezza a quella virtù rivoluzionaria.40

Giordano Bruno scopre, pertanto, l’anima della materia nella coscienzacollettiva, nell’amore che lega le libere eguaglianze e le dispone al lorolibero gioco dialettico. Così, dopo il cielo teologico, l’autore nolano rischia-ra e riscopre il cielo politico, aprendo un sentiero speculativo che sarà pre-sto ritrovato e coltivato dal pensatore Baruch Spinoza. Qui, nel testo bru-

38 Ivi, pagg. 1047-1051. VIII. Talis mihi semper et astro.39 Ivi, pagg. 1051-1054. IX. Ut robori robur. 40 Ivi, pagg. 1054-1057. X. Ab Aetna.

Page 245: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

245

niano, l’opposizione delle passioni e dell’immaginazione – il reciproconegativo – trova del resto la sua prima trattazione ed evidenza.41 Il recipro-co positivo, allora, si staglia come guida dell’azione contemplativa e mora-le, quando l’amore per la reciproca e libera eguaglianza spinge, sostiene esalva i soggetti nella loro umanità, come l’etere celeste vivificava a soste-neva gli astri terrestri e solari nel loro necessario e reciproco rincorrersi edilluminarsi o rinfrescarsi.

È, di nuovo, quest’apertura superiore – permessa dal reciprocamentepositivo – ed in immagine e somiglianza della precedente apertura d’infini-to a costituire il premio di quella virtù rivoluzionaria, l’amore che conservala bellezza (“Venere”), la bontà (“Giunone”) e l’intelligenza (“Pallade”)della collettività umana, consentendole la più ricca, creativa e produttivadelle società. La Sapienza, Potenza e Bontà della “semplicità della divinaessenza” trova, allora, un’immagine – “la specie intelligibile della divinaessenza”, che è “chi è tutto in tutto” – nel desiderio rivoluzionario del furio-so, tramite il quale egli “potrà intender tutto e far tutto”.42

Intelletto, natura e ragione sono, dunque, i termini all’interno dei quali lavita del furioso può dimostrare il proprio movimento creativo e dialettico:quando il desiderio si trasforma in ragione, l’immagine stessa della materiasi anima ed apparentemente si rovescia, per dare luogo ad uno speciale qua-drato logico superiore, dove la causa ed il principio trovano nell’infinitodell’Uno quella ricomposizione di libertà ed eguaglianza che offre sia svi-luppo ed espressione, che spiegazione e direzione di scopo. Al contrario, lanegazione che coinvolge le “due stelle” bruniane – la libertà e l’eguaglian-za (“divina bellezza e bontade”) – mantiene il furioso entro una materiadisanimata, dove il senso sconvolge l’orizzonte insuperabile della necessi-tà, applicando solamente il reciprocamente negativo e così portando odio eviolenza, in esponenziale – ferina e crudele – moltiplicazione. Solo l’oltre-passamento e rovesciamento della necessità in libertà renderà, infatti, ladeterminazione d’eguaglianza presenza infinita dell’infinito stesso.43

41 Ivi, pag. 1056. Vedi: «In tutti è Dio certissimamente; ma qual dio sia in ciascuno, nonsi sa cossì facilmente; e se pur si può examinare e distinguere, altro non potrei crede-re che possa chiarirlo che l’amore; come quello che spinge gli remi, gonfia la vela emodera questo composto, onde vegna bene o malamente affetto.Dico bene o malamente affetto quanto a quel che mette in execuzione per l’azioni mora-li e contemplazione; perché del resto tutti gli amanti comunmente senteno qualch’inco-modo: essendoché come le cose son miste, non essendo bene alcuno sotto concetto edaffetto a cui non sia gionto o opposto il male, come né alcun vero a cui non sia appostoe gionto il falso; cossì non è amore senza timore, zelo, gelosia, rancore ed altre passio-ni che procedeno dal contrario che ne perturba, se l’altro contrario ne appaga.»

42 Ivi, pagg. 1058-1060. XI. Pulchriori detur.43 Ivi, pagg. 1060-1063. XII. Novae ortae Aeoliae.

Page 246: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

246

È, allora, l’ampio cardine del “sommo bene”, l’aperto orizzonte ancoradell’Uno infinito, a ripetere la precedente riflessione determinativa, questavolta però legando a sé l’intero movimento della materia, che in tal mododiviene razionale. Immagine e desiderio, in questo modo, vengono cometrasvalutati e quasi capovolti, trasportati come sono nello spazio superioreed apparentemente astratto del mondo intelligibile: la necessità amorosa diDio, infatti, come pone l’immagine di se stessa, così le accosta l’apparenteesteriorità naturale. Così la permanenza del senso del movimento non può,allora, non mantenere l’Uno infinito stesso apparentemente appena oltre ilsuo orizzonte stesso, facendolo svanire alla nostra comprensione, al nostrointelletto (ma non alla nostra mobile volontà).44

Ancora dunque e definitivamente l’infinito dell’Uno stabilisce attraver-so la sua necessità quel “moto metafisico” che da un lato depone l’Esserementre dall’altro risale a se stesso attraverso il suo Apparire, l’amorosavolontà, che sta dentro – “instans” – di Lui. Come si è visto sin dall’inizioè l’Amore a stabilire rotta, direzione ed ordine di questo movimento,45

mostrando nella sua adeguata quadrangolazione i parametri ed i criteri logi-co-reali della natura divina, della sua eguaglianza ed estrema differenza.Così l’immagine del desiderio non sembra possedere (comprendere intellet-tualmente) l’Uno infinito, che resta estrema differenza, nel mentre che peròquesta si fa necessità d’ordine.46 Sarà il circolo infinito che si instaura franecessità d’ordine ed apertura infinita a costituire il tema e l’argomentodella seconda parte del testo bruniano De gli Eroici furori.

La quadrangolazione stabilita attraverso i termini dell’idem, itidem, nonidem (◊) consente allora che, libertà ed eguaglianza, riprese e ritematizzatenella seconda parte dei dialoghi De gli Eroici furori non possano essereconsiderate quali criteri capaci di approvare alcuna reciproca e/o estrinsecaseparazione. L’astratto non fa e non ha presa, infatti, nella speculazione diGiordano Bruno, né quando dovesse rendere egemone il primato trasversa-le della libertà, né qualora intendesse precostituire un termine assoluto confinalità immanente. Nella riflessione sviluppata dal filosofo di Nola infattilo sdoppiamento dei termini e la loro apparente e reciproca “distrazione” èunicamente funzionale alla conservazione ed al mantenimento, quale poten-za attiva, dell’universale superiore (l’estrema differenza o non idem) che licongiunge e nello stesso tempo li realizza, attuandone il movimento di reci-proca compenetrazione. Questo movimento di reciproca compenetrazione è

44 Ivi, pagg. 1063-1066. XIII. Ad vitam, non ad horam.45 Ivi, pagg. 1066-1069. XIV. Amor instat ut instans.46 Ivi, pagg. 1069-1070. XV. Idem, itidem, non idem.

Page 247: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

247

stato del resto osservato nei dialoghi metafisico-cosmologici, a propositodel rapporto di reciproca sussistenza fra astri solari e pianeti terrestri (per iltramite dell’articolazione attribuita all’etere), così esso non può non veniredi nuovo ribadito ed arricchito nei dialoghi morali a proposito del rapportofra libertà ed eguaglianza.

In particolar modo, nel primo dialogo della seconda parte del testo De gliEroici furori l’attenzione bruniana si concentra inizialmente proprio su ciòche congiunge apparentemente dall’alto gli opposti termini, trattenendoli insé e fra loro. È l’apparente distinzione fra il richiamo portato dalla necessi-tà d’ordine e l’apertura infinita dell’Uno, infatti, a costituire quell’infinitomovimento – la “ruota del tempo”, “la revoluzion ed anno grande delmondo”47 – di accostamento e di dilatazione, che paiono fondare il respirodel pensiero e dell’azione del furioso. Questo, infatti, per quanto avvintoalla potenza ed atto dell’Uno infinito, non ha altra immagine in sé di quel-lo diversa da una potenza ed atto ridotti (“angustia e brevità del tempo”),comunque però capaci di rovesciare il desiderio di libertà in potenza ed attonecessario d’infinita eguaglianza, allorché l’amore per questo termine rivi-vifichi l’espressione e la determinazione della prima (l’immagine buonadella divina bellezza, l’infinito che penetra in ogni fine naturale). La gran-dezza del fine, allora, resta quale infinita responsabilità, infinito desiderioed infinito piacere. Senza, invece, il mantenimento del termine d’eguaglian-za, sottratta la possibilità in atto del piacere, viene a decadere lo stessomovimento piacevole del desiderio, che si capovolge in reattiva ed immo-bilizzante negazione.48

Che, poi, questa negazione occupi la totalità dello spazio mondiale, facen-do ruotare un’assenza di tempo (fine della storia) attorno al vertice astratto diun’unità necessaria ed ordinante, questa è solo la conseguenza delle assunzio-ni fatte proprie dall’interpretazione reazionaria della speculazione bruniana.La vera ed autentica argomentazione bruniana non edifica feticci dell’umanodesiderio di onnipotenza: al contrario, essa dissolve la loro contraffazione,proprio grazie all’umbratilità infinita del desiderio che si fa amore (“legitimoe degno sacerdote”). Così “l’impotenza” del furioso è la consapevolezza del-l’illimitatezza dell’infinito, la necessità amorosa e desiderabile della sua con-tinua riapertura e finalizzazione. È questa necessità, allora, a rifrangere conl’apparenza della moltiplicazione l’immagine buona della divina bellezzanelle specie ideali (“messi a le stelle e deificati”), che paiono ragioni oscurerispetto alla chiara e razionale determinazione d’infinito. Esse, allora, costi-tuiscono l’apertura di un cielo, nel quale la sostanza stessa del furioso non si

47 Ivi, pagg. 1071-1075. I. 48 Ivi, pagg. 1075-1080. II.

Page 248: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

248

concentra, ma al contrario pare dissolversi, aprendosi all’infinito stesso, allasua immagine desiderabile. Giordano Bruno finisce, pertanto, con l’afferma-re che il fuoco del furioso lo tramuta in aperta moltiplicazione, che oscura l’o-rizzonte aperto dell’infinito stesso, mostrando di questo la sua determinazio-ne.49 La molteplicità delle determinazioni diviene, quindi, quella costellazio-ne di potenze ideali che, sorreggendo il cielo, ne sono in realtà investite e sor-rette dal suo potere infinito. Questo, come Dio che “è vicino, con sé e dentrodi sé”, tenendo insieme libertà ed eguaglianza infinite, muove continuamen-te e senza interruzione alcuna l’universo, tra il pensiero della bellezza e l’a-zione della bontà, al rovesciamento del mondo capovolto costituito dalla ridu-zione astratta dell’Uno a principio necessario d’ordine comune, a causa asso-luta, negativa e globale. Così lo “sforzo senza profitto” del furioso non è altroche la dimostrazione e la prova della permanenza e dell’attività rivoluziona-ria promossa ed indotta da quell’orizzonte, apparentemente oscuro, dellepotenze ideali, con la sua intelligenza.50

L’atto verticale e la potenza che riesce ad attuare quell’orizzonte fa sì chelibertà ed eguaglianza si amino e compenetrino reciprocamente, stabilendoquella dialettica del reciprocamente positivo che eleva, sottrae, capovolge edannichila l’inferiore potenza del reciprocamente negativo, che non riesce adistituire se non una falsa parvenza di dialettica, rovesciando la libertà in neces-sità e l’eguaglianza in conformità. Come sul piano metafisico-cosmologicofra astri solari e pianeti terrestri, così su quello teologico-politico fra libertà edeguaglianza, lo spirito creativo e dialettico, che anima la mente ed il cuoredella speculazione bruniana, fissa il ricordo indelebile del Dio che compie edattua la rivoluzione, oltrepassando il piano naturale e così negando la negazio-ne tentata dalla sua assolutizzazione. È l’assolutizzazione del naturale, infatti,a pesare senza fine, con una sofferenza ineliminabile, sul senso e sulla ragio-ne positiva e dogmatica, che in versione ridotta la modernità successiva squa-dernerà agli occhi ed alla considerazione della cultura e civiltà occidentali,ritenendo di poter e dover separare riflessione teologico-politica ed argomen-tazione naturale (certamente così faranno Galilei e Cartesio, ma non Newtone Leibniz, a parte il caso veramente speciale ed eccezionale di Spinoza). Laspeculazione di Giordano Bruno resta, invece, sempre attenta a non separareil primo aspetto dal secondo, proprio per poter mantenere in movimento attra-verso l’atto e la potenza dialettiche, la potenza e l’atto creativo. Senza “con-trarietà e domestico conflitto”, infatti, non riuscirebbe a permanere alcun“continuo moto”, né alcun “fato de la generazione”.51

49 Ivi, pagg. 1080-1085. III. 50 Ivi, pagg. 1085-1089. IV. 51 Ivi, pagg. 1089-1090. V.

Page 249: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

249

È, dunque, l’alta ed estrema differenza – il non idem – a far scaturire quelmovimento che, dal basso più profondo, attinge le altezze più elevate, in talmodo procurando il grado progressivo che – attraverso il medio della con-giunzione degli opposti, la speranza (Y) – giunge alla realizzazione gioiosadel piacere, alla beatitudine più completa, alla via via migliore intensitàdella eroica “contrazione”, ovverosia alla minore distanza dall’orizzontedell’Uno infinito. Al contrario la puntualizzazione centrale della determina-zione – la contrazione “vituperosa” – non può che comportare, insiemeall’annullamento della speranza, la certezza di un dolore che è distacco enegazione del piacere: annichilimento contemporaneo del sentimento por-tato dalla libertà e della passione offerta dall’eguaglianza. In mezzo a que-sta doppia negazione ecco, allora, sorgere quella concezione dello Statoassoluto, che diventerà il Moloch distruttore, il Leviatano, della civiltà edella cultura moderna: il nihilismo. Al contrario, la doppia affermazionebruniana della natura e della ragione svelle subito e totalmente questa radi-ce maligna del pensiero e dell’azione moderni, riaprendo il corso e lo svi-luppo del divino nella natura stessa, della “divina potenza che è tutta intutto”, della libertà nell’eguaglianza più piena e completa.52

La violenza espressa dalla pazzia individuale e dalla guerra (pazzia col-lettiva) nasce, infatti, dalla reazione estrema alla compressione generata daquella doppia negazione: togliere attraverso la puntualizzazione della deter-minazione l’orizzonte di possibilità del pensiero e dell’azione significa,invero, coartarli dentro una nuclearità oscura – pervertendone l’apertura inchiusura – e facendo di questa un principio sospeso sopra una dialetticanegativa, che sottrae reciprocamente spazio ai soggetti, prima nella relazio-ne esterna, poi in quella interna (nella relazione con se stessi). Insieme allospazio viene, poi, annullato il tempo, poiché vi è subito il riferimento imme-diato a ciò che giustifica la presenza della sofferenza nella mancata realiz-zazione di se stessi: la conservazione di un potere tradizionalmente forma-to e neutrale, indifferente al sentimento (della libertà) ed alla passione (perl’eguaglianza). Sentimento e passione che restano però nella loro razionali-tà naturale vivi e vitali, attivi e coinvolgenti, e che quindi determinano lanecessità di una difesa sociale, di una eliminazione preventiva del motoreche li innerva dal profondo, congiungendoli in alto: la spontaneità del desi-derio naturale ed intellettuale.

Ed è allora proprio la spontaneità del desiderio naturale ed intellettuale,nella sua relazione infinita con l’infinito, a costituire il tema e l’argomentodel “settimo sonetto” bruniano, dove l’anima è vista prima nella sua parteintellettuale, poi negli effetti divini naturali, infine nel movimento di ricon-

52 Ivi, pagg. 1090-1092. VI.

Page 250: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

250

giunzione ed apertura che è portato dall’immagine razionale dello splendo-re della grazia amorosa, che invera ed attua la potenza del desiderio.53

L’asse verticale di potenza ed atto, di nuovo riscoperto, porta poi lariflessione bruniana alla ridefinizione ed alla rimappatura, nell’ottavosonetto, della doppia molteplicità – intellettuale e naturale – dell’animarazionale. Qui la speculazione nolana è ben attenta a significare la determi-nazione morale dell’apertura d’infinito (“giustizia”), proprio attraverso ilsuperamento e la negazione dell’immobilità statuita dalla precedente pun-tualizzazione della determinazione, come pure a mantenere lo spazio ed iltempo dell’immagine, per conservare il respiro e l’aspirazione del deside-rio, quando ricorda la necessità naturale e la pluralità delle sue forme. Lanecessità naturale è infatti invocata per giustificare la paura della perditadella propria forma ed individualità, di fronte all’infinito dell’universalestesso. Se, infatti, l’universale è creativo – come è creativo – allora non puònon consentire, anzi necessitare, la formazione di una varietà infinita diforme naturali, fra le quali stanno gli astri ed il mondo terrestre (e nelmondo terrestre, tutto ciò che in esso vive). Se, infine, all’opposto potenzaed atto devono coincidere nell’infinito, anche la relazione di movimentotenderà a farsi sempre più piccola, più contratta, ed il movimento stessodiventerà sempre più rapido e facile.54 Non è chi non veda, allora, le conse-guenze fisico-matematiche di questa impostazione, successivamente edeffettivamente riprese e sviluppate da Newton e Leibniz (calcolo infinitesi-male, inerzia, energia).55

Attraverso l’immagine il movimento del desiderio si capovolge, dunque,nella relazione originaria, che come molteplice individualità si situa all’in-terno dell’orizzonte dell’Uno infinito. Qui essa – ciascuna di esse – nonperde la relazione dialettica, che accosta le nature secondo un principio dicomplementarità buono ed efficace, come già si è visto nelle conclusionidel De l’Infinito, Universo e mondi. Qui, nella parte teologico-politica dellaspeculazione bruniana, l’autore nolano vuole però sottolineare e magnifica-re il valore propedeutico della sua nuova e rivoluzionaria concezione dellaragione: la prima necessità ingenerata (il Figlio) si eguaglia al Padre (laLibertà), quando e se la seconda necessità generante – lo Spirito – riesce ad

53 Ivi, pagg. 1092-1094. VII. 54 Ivi, pagg. 1094-1098. VIII. 55 Ivi, pag. 1098. Affine alle argomentazioni presentate nel De l’Infinito, Universo e

mondi, qui si può notare il seguente passo: «Come ogni parte de corpi e detti elemen-ti quanto più s’avvicina al suo luogo naturale, tanto con maggior impeto e forza va, sintanto che al fine (o voglia o non) bisogna che vi pervegna. Qualmente dunque veggia-mo nelle parti de corpi a gli proprii corpi, cossì doviamo giudicare de le cose intellet-tive verso gli proprii oggetti, come proprii luoghi, patrie e fini.»

Page 251: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

251

attuarsi come potenza che intende e vuole, dunque realizza, la più piena ecompleta Eguaglianza nella libertà originaria (non idem). Solo in questomodo il desiderio apparente ritorna e si ricongiunge con l’amore divino el’amore per Dio si fa Amore di Dio (Spinoza). Nel “nono sonetto” del dia-logo primo della seconda parte De gli Eroici furori Giordano Bruno stabi-lisce, così, la vittoria sulla “distrazion de l’anima” dell’identità fra l’amorper Dio e l’Amor di Dio. Solo la visione intellettuale e razionale di questaidentità potrà infatti sconfiggere e debellare definitivamente quella suaforma negativa ed opposta (inferna-le), che pare fondarsi su una doppianecessità: la necessità della repressione interna e la necessità dell’aggres-sione esterna (guerra). Tanto la prima procede per abreazione all’elimina-zione preventiva della libertà di movimento del desiderio al piacere maschi-le, costituendo una comunità sociale ordinata ed in pace, senza illecitimescolamenti, quanto la seconda procede per escissione egualmente all’e-liminazione della libertà di movimento al piacere femminile, istituendo unprogetto di comunità in guerra continua e costante. Possono infatti esserelette in questo modo psico-politico, le affermazioni bruniane attente all’e-saltazione e della libertà del desiderio e dell’eguaglianza e libertà del pia-cere: l’ontologia bruniana ha qui, infatti, a che fare con l’anima e con le suepotenze superiori od inferiori (giustificate e coerenti, ovvero irrazionali).Così l’orizzonte di possibilità del pensiero e dell’azione bruniano trova lapropria veritiera e buona attuazione, quando la potenza del desiderio si faatto di piacere, nella coincidenza fra infinito e innumerabilità delle determi-nazioni (“piaghe de vita eterna”). È, di nuovo, l’identità fra l’amore razio-nale e l’intelligenza (“freccie di Diana o di Febo”) a istituire, innalzare ecostituire l’immagine perfetta di Dio come Amore infinito ed universale. È,poi, l’immagine ulteriormente riflessa di quest’immagine – attraverso lanecessaria inscindibilità di libertà ed eguaglianza (“luci sante”, rese presen-ti da “l’intelletto agente illuminatore e sole d’intelligenza”) – a prolungareinferiormente la vita (vegetativa, sensitiva, razionale) ad una e di una mate-ria (“sustanza del generale affetto”), non più organizzata secondo quellacieca e feroce doppia necessità:56

percioché è impossibile che uno possa voltarsi ad amar altra cosa, quando unavolta ha compreso nel concetto la bellezza divina; ed è impossibile che possa fardi non amarla, come è impossibile che nell’appetito cada altro che bene o speciedi bene. E però massimamente deve convenire l’appetenzia del sommo bene.57

56 Ivi, pagg. 1098-1102. IX. 57 Ivi, pag. 1102.

Page 252: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

252

L’affetto intelligente che ruota la natura alla ragione rende, così, questae quella non più “esclusa”, “straniera” e “peregrina”, ma presente, domesti-ca e vicina: così, conservando l’oscurità (incomprensibilità) dell’orizzontedell’Uno infinito, insieme alla innumerabilità delle sue determinazioni, la“faretra ed arco d’amore” bruniani realizzano immediatamente la conver-sione delle potenze naturali, capovolgendone la versione irrazionale (quel-la doppia e negativa necessità). Una doppia e positiva necessità è infattiquella, che lega e conserva legate libertà ed eguaglianza, aumentando l’unacon l’altra. È, poi, l’unità inscindibile di libertà ed eguaglianza a costituirela necessità stessa della materia, che – secondo la concezione bruniana – perquesta doppia ragione rimane viva, attiva e determinata (sensibile, motiva-ta ed intelligente). È, dunque, l’Amore reso interno alla materia a suscitar-ne il motore razionale, per dipingere in cielo l’immagine di un Dio, che nonpuò, poi, non avere riflesso nel soggetto autore della pittura stessa, cheimmagina e disegna ulteriori potenze superiori, così congiungendosi – econfermando – all’apertura prodotta dall’affetto intellettuale.58

“L’undecimo sonetto” è così deputato a mostrare come l’unità creativanaturale e razionale produca la trasformazione del movimento dell’affettointellettuale nella stabilità dell’anima e della mente razionale, attraverso lacausale principialità dell’atto d’infinito e della potenza dell’unità. Ma, perla coincidenza di atto e potenza nell’infinito, quest’unità viene allargata,ampliata e divaricata a dismisura, per rammentare che il richiamo necessa-rio d’ordine dell’Uno infinito non va confuso con l’Uno infinito stesso(“l’ottima unità”).59 Forse qui Giordano Bruno comincia a costruire quellateorizzazione del Minimo e del Massimo, che farà la fortuna delle argomen-tazioni esplicitate e sviluppate in testi successivi, i cosiddetti “Poemi fran-cofortesi”: De triplici minimo et mensura; De monade, numero et figura;De innumerabilibus, immenso et infigurabili (1590).

Qui, allora – e siamo nel “duodecimo sonetto” – si realizza conclusiva-mente l’unità degli opposti: togliendo via l’opposizione che fornisce la giu-stificazione del movimento, l’intelletto razionale – “un fanciullo dentro unbattello” – fa comparire la quadratura e la triangolazione finale fra Dio e lasua penetrazione come Libertà nella sua più piena e completa Eguaglianza.Si realizza e si attua così la determinazione finale d’eguaglianza (“Sento ilrigor del più gran traditore”).60 Qui, apparentemente, il pensiero si trasfor-ma tutto in azione.

58 Ivi, pagg. 1102-1106. X. 59 Ivi, pagg. 1106-1108. XI. 60 Ivi, pagg. 1108-1109. XII.

Page 253: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

253

Nell’ultimo sonetto, infatti, l’argomentare bruniano rammenta come lanecessità di tenere aperte le due luci di libertà ed eguaglianza si sia risoltaalla fine con la più piena e completa determinazione d’amore: qui l’infini-to e l’unità vengono alla fine a coincidere, facendo così finalmente coinci-dere potenza ed atto (speranza, gioia e piacere dell’anima). La restrizionedell’infinito all’unità necessaria e d’ordine determina, al contrario, l’affos-samento di quella finalità, che viene capovolta nella distruzione causatadalla “fortuna”, che offre, distribuisce e toglie i propri doni, secondo il cri-terio di una proprietà comunque alienabile, perché eterodiretta. Così men-tre la prima impostazione trasforma ed invera la sensibilità e l’immagina-zione in quella determinazione amorosa d’eguaglianza, la seconda imposta-zione conserva sensibilità ed immaginazione in una versione completamen-te e totalmente negative, dove la sofferenza presente è causa e principionecessario della sofferenza futura. Il problema della scelta fra queste dueopposte considerazioni – l’una liberatrice, l’altra schiavizzante – sarà temadello sviluppo ulteriore del questionamento filosofico e delle argomentazio-ni bruniane, che prenderanno vita e movimento razionale nei dialoghiimmediatamente successivi.61

All’inizio del dialogo secondo della seconda parte De gli Eroici furori laspeculazione bruniana indica effettivamente la completa ed opposta diver-sità di quelle due impostazioni, quando comincia a tematizzare il modoattraverso il quale il pensiero della libertà si trasformi nell’azione d’egua-glianza: allora lo stesso testo bruniano accoglie sotto la versione femmini-le di Mariconda – dopo il Maricondo del dialogo precedente – la parte“femminile” delle sue argomentazioni, dopo la parte “maschile” diCesarino, che mantiene anche in questo dialogo il senso iniziale del movi-mento desiderante ed immaginativo. Ora Mariconda è deputata a chiuderequel movimento, sulla e lungo la determinazione amorosa d’eguaglianza,dando così conclusione al processo del furioso, passato attraverso i gradidella “vigilanza, studio, elezione e scopo” (libertà, desiderio, orizzonte infi-nito dell’Uno ed eguaglianza finale). Così se Mariconda si presta ad esserepersonaggio in commedia della filosofica trattazione bruniana, Diana –“splendor di specie intelligibili”, “giogo fiammeggiante ed avolto da lacci”– diventa subito l’anima drammatica della sua esposizione, la più degna edunica rappresentante della amorosa determinazione d’eguaglianza. È soloall’interno del suo orizzonte, infatti, come sinora si è argomentato, che tuttele innumerabili determinazioni prendono e mantengono vita, intelligenza e

61 Ivi, pagg. 1109-1111. Ultimo sonetto.

Page 254: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

254

ragione; al contrario l’impostazione opposta a questa, appena ridelineata,vuole la morte dell’esistente nella determinazione assoluta, che unisce lacondizione presente all’intenzione futura, con il trapasso della tradizionaleforma illiberale e violenta, orientata al subitaneo profitto e guadagno.62 Laversione reazionaria di Cesarino – il pensiero nella sua astrattezza – alloraribatte che è meglio nascondere i risultati della filosofia nolana, cercare dinon rivoluzionare l’ordine gerarchico e necessario della natura, pena losconvolgimento degli stessi risultati pratici dell’organizzazione sociale epolitica; mentre la versione silenica dello stesso personaggio ammicca aquesti stessi risultati, valutandoli nella loro povertà ed assoluta inutilità.63

Così la stessa Mariconda può continuare il gioco sarcastico iniziato dallasua controparte maschile, continuando però a tenere comunque fermo l’a-spetto per il quale l’intelletto razionale è universale e muove necessaria-mente il desiderio e l’immaginazione al suo alto scopo e fine: nei tempi dicrisi, intellettuale e morale, la rivoluzione bruniana è ancora tanto più – nonmeno – necessaria:

Veggiamo bene che mai la pedantaria è stata più in exaltazione per governa-re il mondo, che a’ tempi nostri; la quale fa tanti camini de vere specie intelligi-bili ed oggetti de l’unica veritade infallibile, quanti possano essere individuipedanti. Però a questo tempo massime denno esser isvegliati gli ben nati spiriti,armati dalla verità ed illustrati dalla divina intelligenza, di prender l’armi contrala fosca ignoranza, montando su l’alta rocca ed eminente torre della contempla-zione. A costoro conviene d’aver ogni altra impresa per vile e vana.64

In tal modo il dialogo stesso può tramutarsi in una breve digressione, cheha come obiettivo polemico la necessità di attuare la rivoluzione bruniana,proprio per il progresso dell’umana civiltà e cultura.65 Così l’amorosa deter-minazione d’eguaglianza diviene il fattore trainante, lo scopo ed il fine ulti-mo, capace di trasformare la necessità stessa espressa dall’amore divino,nell’inveramento e realizzazione della sua libertà, nella comune ed univer-sale eguaglianza:

Conviene, dunque, che l’anima umana abbia il lume, l’ingegno e gl’instru-menti atti alla sua caccia. Qua soccorre la contemplazione, qua viene in uso lalogica, attissimo organo alla venazione della verità, per distinguere, trovare egiudicare. Quindi si va lustrando la selva de le cose naturali, dove son tanti

62 Ivi, pag. 1113. 63 Ivi, pagg. 1113-1116. 64 Ivi, pag. 1116. 65 Ivi, pagg. 1117-1119.

Page 255: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

255

oggetti sotto l’ombra e manto; e come in spessa, densa e deserta solitudine laverità suol aver gli antri e cavernosi ricetti, fatti intessuti de spine, conchiuside boscose, ruvide e frondose piante, dove con le raggioni più degne ed eccel-lenti maggiormente s’asconde, s’avvela e si profonda con diligenza maggiore;come noi sogliamo gli tesori più grandi celare con maggior diligenza e cura,accioché dalla moltitudine e varietà de cacciatori (de quali altri son più exqui-siti ed exercitati, altri meno) non vegna senza gran fatica discuoperta.66

Del resto l’interpretazione bruniana trova tracce di questa cognizione nellastessa storia della filosofia, prima nell’ordine determinativo naturale e nume-rico pitagorico, poi nell’intelletto creativo e dialettico di Anassagora edEmpedocle, quindi nelle argomentazioni negative dei Caldei, in quelle dialet-tiche e positive di Platone (sia naturali che razionali), in quelle di Aristoteleche vanno seppur incertamente alla ricerca delle cause prime, infine in quel-le di “alcuni teologi” riformati che connettono all’universale ogni forma spe-cifica attraverso i gradi delle intelligenze. Ma tutti questi restano come attac-cati al riflesso determinativo della verità, impedendosi di vedere la sua aper-tura, dunque lo stesso orizzonte infinito dell’Uno (“fonte de Diana”).Perdendo questo, perdono conseguentemente il capovolgimento e ribalta-mento bruniano della libertà in eguaglianza (la sua immagine nella “Diana”):

Questa verità è cercata come cosa inaccessibile, come oggetto inobiettabi-le, non sol che incomprensibile. Però a nessun pare possibile de vedere il sole,l’universale Apolline e luce absoluta per specie suprema ed eccellentissima;ma sì bene la sua ombra, la sua Diana, il mondo, l’universo, la natura che ènelle cose, la luce che è nell’opacità della materia, cioè quella in quanto splen-de nelle tenebre. De molti dunque, che per dette vie ed altre assai discorrenoin questa deserta selva, pochissimi son quelli che s’abbattono al fonte deDiana. Molti rimagnono contenti de caccia de fiere salvatiche e meno illustri,e la massima parte non trova da comprendere avendo tese le reti al vento, etrovandosi le mani piene di mosche. Rarissimi, dico, son gli Atteoni alli qualisia dato dal destino di posser contemplar la Diana ignuda, e dovenir a tale chedalla bella disposizione del corpo della natura invaghiti in tanto, e scorti daque’ doi lumi del gemino splendor de divina bontà e bellezza, vegnano trasfor-mati in cervio, per quanto non siano più cacciatori ma caccia. Perché il fineultimo e finale di questa venazione è de venire allo acquisto di quella fugacee selvaggia preda, per cui il predator dovegna preda, il cacciator doventi cac-cia; perché in tutte le altre specie di venaggione che si fa de cose particolari,il cacciatore viene a cattivare a sé l’altre cose, assorbendo quelle con la boccade l’intelligenza propria; ma in quella divina ed universale viene talmente adapprendere che resta necessariamente ancora compreso, assorbito, unito. Onde

66 Ivi, pagg. 1121-1122.

Page 256: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

256

da volgare, ordinario, civile e populare doviene salvatico come cervio ed inco-la del deserto; vive divamente sotto quella procerità di selva, vive nelle stan-ze non artificiose di cavernosi monti, dove admira gli capi de gli gran fiumi,dove vegeta intatto e puro da ordinarie cupiditadi, dove più liberamente con-versa la divinità, alla quale aspirando tanti uomini che in terra hanno volsutogustar vita celeste, dissero con una voce: Ecce elongavi fugiens, et mansi insolitudine. Cossì gli cani, pensieri de cose divine, vòrano questo Atteone,facendolo morto al volgo, alla moltitudine, sciolto dalli nodi de perturbatisensi, libero dal carnal carcere della materia; onde non più vegga come perforami e per fenestre la sua Diana, ma avendo gittate le muraglie a terra, è tuttoocchio a l’aspetto de tutto l’orizonte. Di sorte che tutto guarda come uno, nonvede più per distinzioni e numeri, che secondo la diversità de sensi, come dediverse rime fanno veder ed apprendere in confusione. Vede l’Anfitrite, ilfonte de tutti numeri, de tutte specie, de tutte raggioni, che è la monade, veraessenza de l’essere de tutti; e se non la vede in sua essenza, in absoluta luce,la vede nella sua genitura che gli è simile, che è la sua imagine: perché dallamonade che è la divinitade, procede questa monade che è la natura, l’univer-so, il mondo; dove si contempla e specchia, come il sole nella luna, mediantela quale ne illumina trovandosi egli nell’emisfero delle sustanze intellettuali.Questa è la Diana, quello uno che è l’istesso ente, quello ente che è l’istessovero, quello vero che è la natura comprensibile, in cui influisce il sole ed ilsplendor della natura superiore, secondo che la unità è destinta nella generatae generante, o producente e prodotta. Cossì da voi medesimo potrete conchiu-dere il modo, la dignità ed il successo più degno del cacciatore e de la caccia.Onde il furioso si vanta d’esser preda della Diana, a cui si rese, per cui si stimagradito consorte, e più felice cattivo e suggiogato, che invidiar possa ad altrouomo che non ne può aver ch’altre tanto, o ad altro divo che ne ave in tal spe-cie quale è impossibile d’essere ottenuta da natura inferiore, e per consequen-za non è conveniente d’essere desiata, né meno può cadere in appetito.67

Il risultato e l’effetto conclusivo della composizione e combinazione del-l’orizzonte infinito dell’Uno e della relazione reciproca fra libertà ed egua-glianza viene dimostrato dalla speculazione bruniana nella teorica dell’ap-petito e della cognizione, abilmente e meravigliosamente sviluppata nelterzo dialogo della seconda parte De gli Eroici furori. Questa riesce così adare senso, significato e realtà allo stabile movimento dialettico e creativodello spirito contemplativo ed agente bruniano. La quadratura ontologicabruniana riesce ora a dar conto della distinzione e del rincorrersi reciprocodi volontà ed intelletto, dimostrando una volta di più quale necessità abiti ilrovesciamento e ribaltamento (rivoluzione) del senso immaginativo dellaspeculazione bruniana. Se, a partire dal primo criterio della libertà per fini-

67 Ivi, pagg. 1123-1126.

Page 257: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

257

re al secondo criterio dell’eguaglianza, l’intelletto pare procedere ad essereprogressivamente causa, determinazione ed infine scopo della volontà – laquale così diviene successivamente “affetto”, “potenza appetitiva” e“volontà” effettiva e reale – la volontà pare a sua volta spingere l’intellettostesso a trasformarsi progressivamente in fattore generativo, ancora deter-minazione ed infine in vita anch’essa effettiva e reale – ovvero, rispettiva-mente, “intelletto”, “potenza cognitiva”, “atto della cognizione”. Le dueproposte e risposte del “core agli occhi” e “de gli occhi al core” non fannoaltro, allora, che concretizzare – dall’alto verso il basso e dal basso versol’alto68 – lo spazio e tempo di movimento di queste reciproche chiamate etrasformazioni. Risultato finale, conclusivo e definitivo è, ancora una volta,la realizzazione della coincidenza fra “la infinita potenza della materia” e“il soccorso dell’atto [infinito] che non fa essere la potenza vana”.

Laonde cossí non è terminato l’atto della volontà circa il bene, come è infi-nito ed interminabile l’atto della cognizione circa il vero: onde ente, vero ebuono son presi per medesimo significante circa medesima cosa significata.

Così appetito e cognizione, amare ed intendere, rendono la reciprocacompresenza del bene e del vero, dando termine rivoluzionario all’Essere.

Effetto attualissimo della trama di queste argomentazioni è la soluzionedello scontro fra democrazia borghese e democrazia comunista. La secondasta infatti alla prima, quanto uno sguardo aperto (con due occhi o luci) staad una visione monoculare, o ad uno sguardo dimezzato, perché bloccatonel suo movimento sulla verticale emessa da una necessità riduttiva e d’or-dine. Anche se la democrazia borghese offre, infatti, attraverso il pluriparti-tismo legalizzato l’apparenza di una pluralità di opinioni e giudizi, attornoall’unico cardine rappresentato dalla libertà, la prosecuzione naturale delmovimento di liberazione borghese si ferma ed immobilizza lungo la verti-cale delineata dal criterio della massimizzazione dei profitti del capitale. Inquesto breve tragitto lo Stato borghese non riesce, allora, ad allontanarsieffettivamente e realmente dallo Stato assoluto, che aveva visto all’iniziodella modernità – e quindi ai tempi dello stesso Giordano Bruno – propriola fusione e la compenetrazione dell’istanza d’organizzazione assolutisticae di quella neoborghese. Anzi, la stessa necessità che blocca il movimento,stabilisce anche il riassorbimento di quell’iniziale movimento di liberazio-ne in opposizione al procedere del movimento stesso, finalizzato ad unadefinitiva e compiuta liberazione. Ora la libertà si trasforma di nuovo innecessità d’ordine e di assoluta soggezione, mentre un atto ed una potenza

68 Ivi, pagg. 1127-1135.

Page 258: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

258

capitali dispongono senza scarto alcuno la negazione preventiva dellavolontà di vita della rivoluzione. La comunità universale si riduce a mondounico, la materia del cui senso ed immaginazione si puntualizza attraversoil controllo assoluto dei mezzi di informazione, produzione (riproduzione) econsenso razionale: nasce la forma contemporanea della dittatura teologico-politica, tendenzialmente nazifascista, del Capitale, dove gli spiriti nazional-popolari comunitari si giocano nella concorrenza e competizione mondiale(globalizzazione economica), attraverso la permanenza di criteri selettivi egerarchici, la propria sopravvivenza e continuazione.

Ben altra cosa è la democrazia comunista: essa, infatti, rimette in questio-ne l’orizzonte del modo, delle finalità o degli scopi e degli strumenti sia del-l’informazione, della produzione (riproduzione), che dell’aperta unità razio-nale dei soggetti. Conservando il senso di quell’orizzonte infinito, abolisce lanecessità dell’organizzazione costrittiva statuale, riscoprendo il significato edil valore della comunità creativa e dialettica, che non abbisogna di alcunadelega ed alienazione della potenza o dell’atto, conservando insieme (frater-namente) libertà ed eguaglianza. Portando a compimento quel movimento dirotazione che trasforma la libertà in eguaglianza piena e completa, sblocca lacristallizzazione del senso e dell’immaginazione dalla separazione astratta delpotere artificiale (sulla vita e sulla morte), ridonando spazio e tempo allavolontà di vita universale ed infinita, alla sua speranza, alla sua gioia ed al suopiacere. Nell’esaltazione di questa prospettiva, certamente immaginata dalfurioso Giordano Bruno – comunista di Dio (come del resto ben prima di luierano stati comunisti di Dio gli anabattisti tedeschi) – la speculazione con-temporanea ritrova spazio, tempo, ragione ed energie, per la rivoluzione civi-le e culturale dei popoli del mondo, riattingendo quello Spirito, che solo ècapace di riunificare l’infinito della Natura e l’infinito della Ragione nell’in-finito amoroso della libertà che si fa eguaglianza.

Il senso del desiderio e la sua immagine infinita muovono, allora, ildiscorso filosofico bruniano verso “le nove raggioni della inabilità, impro-porzionalità e difetto dell’umano sguardo e potenza apprensiva de cosedivine.” Dopo avere trattato, alla fine del dialogo terzo, della differenza frainfinito privativo (dialettico) ed infinito perfettivo (finale e conclusivo),Giordano Bruno li accosta e ricompone, per ritrovare sotto altre vesti lastruttura speculativa – la quadrangolazione – precedentemente portata allaluce, argomentata, sviluppata e delineata.

Qui però l’autore nolano argomenta, sviluppa e delinea la parte oscura69

di quella processualità creativa e dialettica, raccogliendo ed organizzando

69 Nella successiva Lampas triginta statuarum (Wittenberg, 1587) Giordano Bruno ripro-

Page 259: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

259

logicamente tutto ciò che accompagna – come ombra, desiderio ed imma-gine – quello sviluppo della determinazione (prima libertà, poi apparenza diDio, infine eguaglianza). Per fare questo egli, perciò, dispone a cuneo (>)tre gruppi di tre ciechi ciascuno, trattando successivamente dell’indetermi-nato naturale, di quello intellettuale ed, infine, di quello razionale.

Nel settore dedicato all’indeterminato naturale il “primo cieco” rappre-senta l’apparente chiusura della determinazione naturale, all’interno dellaquale però sta il motore desiderativo.70 Questo apre e capovolge – ecco dinuovo il comparire della figura logica pitagorica (la Y) – quella apparentechiusura in una immagine, che deve essere acquisita e conquistata. Cosìcompare la figura del “secondo cieco”, che attraverso il voglioso possessodella causa della determinazione, per virtù di quella, afferma se stesso nel-l’oggetto ricercato, dunque si nega (si nasconde a se stesso).71 Ma l’ogget-to ricercato compare all’intelligenza del cuore così com’è: infinito. Il “terzocieco” può solamente attraverso la morte della propria impotenza risalirealla vita della potenza cercata e bramata.72

Eccoci allora trabalzati alla potenza celeste della ragione ed ai suoi giridi indeterminatezza (ancora la Y pitagorica qui funge da criterio di movi-mento e di localizzazione). Per primo compare il “quarto cieco”, che comeil primo della serie – quello naturale – pare essere avviluppato nella propriadeterminazione intellettuale: esso non sa distinguere nell’infinito e cosìresta apparentemente indeterminato.73 Ma la potenza che cerca e che bramaè viva ed in atto, non è irrazionale ma razionale: perciò richiede che siaaperta la distinzione fra se stessa come potenza e se stessa in quanto atto. Il“quinto cieco” coglie questa immagine superiore, ma non vede in essa alcu-na determinazione (“specie visibili”). Egli può oltrepassare e giungere dallapotenza all’atto, solamente qualora l’infinito al quale è avvinto si tramuti ecapovolga – capovolgendolo – in unità di codeterminazione.74 Il “sestocieco” prenderà, allora, nota della sua doppia cecità (intellettuale e natura-le), consapevole però del fatto di ragione che l’infinito dialettico (privativo)ha come propria fuoriuscita un’unità, che è capace di rendere vera e buonala sua interna ed apparente opposizione: l’unità finale e di scopo dell’infi-nito di Natura e di Ragione (infinito perfettivo).75

porrà a livello teologico l’accostamento della parte oscura (Chaos, Orco e Notte) aquella chiara (Spirito, Padre e Figlio).

70 G. BRUNO. De gli Eroici furori. Sansoni, Firenze 19583 (rist. 1985). Pagg. 1140-1143. 71 Ivi, pagg. 1143-1144. 72 Ivi, pagg. 1145-1146. 73 Ivi, pagg. 1146-1148. 74 Ivi, pagg. 1148-1149. 75 Ivi, pagg.1150-1151.

Page 260: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

260

Quest’ultimo infinito – come trasversale “profondo oblio” – costituiscelo spazio ed il tempo della edificazione e costruzione della relazione fravolontà e vita, lungo la direttrice stabilita dall’amorosa determinazione d’e-guaglianza, che accosta e compenetra reciprocamente l’infinito naturale equello razionale. Così il “settimo cieco” bruniano identifica per primo l’in-finito naturale, nella sua aperta tensione superiore,76 mentre “l’ottavocieco”, a sua volta, porta la propria natura ad immedesimarsi con l’infinitorazionale, tutto proteso a dare linea e sviluppo alla volontà di vita.77 Perinverare e realizzare tutto questo ecco, allora, intervenire “la guida del nonocieco”: appunto l’amorosa determinazione d’eguaglianza, che conclude eperfeziona finalmente l’intero corso processuale del furioso bruniano, por-tando a coincidenza Natura e Ragione.78

Dopo, quindi, avere ripetuto e svelato le ragioni occulte delle allegoried’immagine presentate attraverso le figure dei nove ciechi,79 la speculazio-ne bruniana può finalmente concedersi il lusso della rappresentazione con-clusiva e sintetica del proprio pensiero e della propria volontà d’azione.

Nella determinazione, argomentazione e definizione conclusiva dell’im-magine e figura allegorica che chiude il testo De gli Eroici furori GiordanoBruno ha così la possibilità di dispiegare in forma di sogno la visione estruttura iniziale – il monte, il fiume e le muse – in un certo senso ripren-dendone e ripetendone la necessità sotto la forma di una nuova e reale pos-sibilità, creativa e dialettica. Nella sintesi del quinto dialogo della secondaparte del testo De gli Eroici furori – dialogo finale dell’opera medesima80 –l’autore nolano ricorda, allora, l’equiparabilità e la possibile sovrapposizio-ne delle strutture e delle articolazioni argomentative presentate nei dialoghiprecedenti alla tradizione speculativa platonica, che nell’orizzonte dell’Unoinfinito racchiudeva in alto la molteplicità delle potenze ideali, assegnandoad esse quella capacità creativa e determinativa, che muove a sé tutto ciòche è posto in modo apparentemente subordinato, ma che non ne è né scis-so, né tanto meno separato. È in questo modo, allora, che il concetto tradi-zionale della potenza si erge e si trasforma – riflettendosi e poi riorientan-dosi – in quello di una possibilità reale, creativa e dialettica (“il circolo diascenso e descenso”). Una possibilità che, pertanto, offre subito ed imme-diatamente la propria necessaria inclusione nell’orizzonte dell’opposizione,come pure in quello della finale disposizione di scopo: dell’opposizione

76 Ivi, pagg. 1151-1152. 77 Ivi, pag. 1152. 78 Ivi, pagg. 1152-1153. 79 Ivi, pagg. 1153-1164. 80 Ivi, pagg. 1165-1178.

Page 261: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

infinita e dell’unità infinita. È questa opposizione infinita che racchiudedentro se stessa il movimento eterno, la roteazione (“conversione”, “revo-luzione”) che innalza ed apre, a ricordare la diversificazione alla quale sisottopone apparentemente la fonte originaria.

Non progressivo, né necessariamente accomunante (“cotal revoluzionenon è de tutti, né sempre, ma una volta”), il movimento metafisico – o teo-logico – bruniano non fa altro, allora, che attestare il principio dell’inaliena-bilità del divino: che è presso di noi, e non altrove, né tanto meno indifferen-te. Ricalibrata la presenza di una Provvidenza tutta immanente, la riflessio-ne bruniana può in tal modo congiungere natura e ragione in un movimentoinsieme di determinazione ed elevazione, per finire in una nuova espressio-ne finale della prima. Questo movimento viene da Bruno chiamato “vicissi-tudine”. L’amore eguale si diffonde quale potenza determinativa (“stanza diCirce”, “l’aspersion de l’acqui”), mai scordando e mai scindendosi dall’a-pertura richiesta dalla volontà razionale, da quella creatività interna che,sempre internamente (le nuove ali portate da un altro “vaso fatale”), muoveall’identificazione dell’eguaglianza con la libertà e di questa finalmente conla prima (“il decreto e destino del mangiamento” di Circe stessa). È questospazio e tempo interno – lo spazio-tempo della coscienza universale – acostituire quella che Bruno chiama “origine”: il luogo di sogno nel qualel’immaginazione desiderante è motrice attraverso il desiderio d’immagineaperto all’infinito. Con le parole stesse del filosofo nolano:

Quindi dove gli ciechi si lamentano, dicendo: Figlia e madre di tenebre edorrore, è significata la conturbazion e contristazion de l’anima che ha persel’ali, la quale se gli mitiga allor che è messa in speranza di ricovrarle. DoveCirce dice: Prendete un altro mio vase fatale, è significato che seco portano ildecreto e destino del suo cangiamento; il qual però è detto essergli porgiutodalla medesima Circe; perché un contrario è originalmente nell’altro, quantun-que non vi sia effettualmente: onde disse lei, che sua medesima mano non valeaprirlo, ma commetterlo. Significa ancora che son due sorte d’acqui: inferio-ri, sotto il firmamento che acciecano; e superiori, sopra il firmamento che illu-minano: quelle che sono significate da pitagorici e platonici nel descenso daun tropico ed ascenso da un altro.

Il desiderio d’immagine aperto all’infinito, dall’infinito stesso richiuso sudi una forma universale ed infinita dove l’amore eguale si manifesti, rappre-senta perciò nell’itinerario speculativo dell’argomentazione bruniana lachiave risolutiva di quella forma di chiusura che il concetto tradizionale dinecessità destina a rimanere sigillato in una morte eterna. Una nuova, diret-ta ed ascendente, necessità nasce e compare nel pensiero e nella prassi bru-niana: essa sarà successivamente riaffermata in un testo posteriore del filo-sofo nolano – la Lampas triginta statuarum (Wittenberg, 1587) – dove la

261

Page 262: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

tracciatura in ascesa di tale necessità verrà scandita attraverso le tre figureteologiche del Chaos, dell’Orco e della Notte. Queste figure sono accostate– in quest’ultima opera – alle classiche immagini teologiche del Padre, delFiglio e dello Spirito, così determinando – per la collocazione e la motiva-zione di queste ultime – una divaricazione, un rovesciamento ed un capovol-gimento del senso e significato razionale tradizionalmente esibito dalla cor-rente teologica egemone, neoplatonico-aristotelica. Non solo negli Eroicifurori, né solamente nella Lampas triginta statuarum, ma nell’intera specu-lazione bruniana si assiste, infatti, al rivoluzionamento dell’impostazioneteologica tradizionale, con un conseguente ed immediato riflesso sulle con-siderazioni di ordine naturale ed etico-politico. Il rivoluzionamento ed il pas-saggio – un vero e proprio salto di civiltà – dalla concezione dell’Uno neces-sario e d’ordine alla concezione di un Uno aperto e, così, doppiamente riccodi una molteplicità razionale e naturale, impone alla stessa ricerca storiogra-fica bruniana di interrogare diversamente i rapporti storici intrattenuti dalfilosofo nolano con i propri corrispondenti, con i destinatari delle proprieopere e con i suoi stessi avversari, in quanto le motivazioni delle somiglian-ze o delle differenze soggettive devono essere ritraguardate e ricalibratesecondo quella somiglianza e differenza oggettiva, che traspare dall’analisioggettiva delle argomentazioni presenti nei suoi testi.

In tal modo il nuovo presupposto teologico, naturale ed etico-politicobruniano non include in se stesso né l’immediato della tradizionale creazio-ne, né tanto meno l’immediato della tradizionale salvezza: l’identità checosì si riformerebbe, infatti, non farebbe altro che trasformare l’antico con-cetto dell’infinito in una forma moderna astratta, dove pensiero ed estensio-ne costituiscono i due ambiti – l’uno superiore e l’altro inferiore – dellacostituzione di uno Stato etico immodificabile nella propria assoluta volon-tà di dominio e controllo, sia esso indirizzante secondo un concetto limitan-te di eguaglianza oppure di libertà. Contro quindi la fusione fra evento edisposizione, che non farebbe altro che ricreare le condizioni di un mondoancora unico e chiuso – e, di più, esplosivo per la massa tendenzialmenteinfinita di contraddizioni che sarebbe costretto ad assumere – il presuppo-sto bruniano accoglie proprio ciò che la logica determinativa e binaria dellatradizione occidentale esclude ed espelle, ovvero rigetta nella propria auto-nomia: il terzo della materia e della potenza, trasformato e rivoluzionato inpossibilità reale ed aperta (attuata finalmente). Perciò questa possibilitàvale come relazione: relazione insieme verticale ed orizzontale.

Là s’intendeno illuminati da la vista de l’oggetto, in cui concorre il ternariodelle perfezioni, che sono beltà, sapienza e verità, per l’aspersion de l’acqui, chenegli sacri libri son dette acqui di sapienza, fiumi d’acqua di vita eterna.

262

Page 263: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

Allora natura, opposizione e unità resteranno nella concezione brunianasempre abitati dall’infinito creativo e dialettico. Da un infinito che, contro lanecessità della morte insuperabile tradizionale, farà invece risorgere la neces-sità della vita eterna: nello sforzo tutto umano dell’identificazione fra egua-glianza e libertà e fra libertà ed eguaglianza. E nel ricordo del movimento uni-versale, all’interno del quale questo sforzo è inserito ed attraverso il quale sidispiega quale azione (volontà di vita). Qui allora solo l’amore per la libertà– l’amore eguale nella sua apertura (le sue nuove ali di Cavallo pegaseo) –potrà costituire il principio di ogni conoscenza e di ogni azione.

Queste non si trovano nel continente del mondo, ma penitus toto divisim aborbe, nel seno dell’Oceano, dell’Anfitrite, della divinità, dove è quel fiumeche apparve revelato procedente dalla sedia divina, che ave altro flusso cheordinario naturale.

La considerazione dell’amore eguale nella sua apertura, allora, radiche-rà nei cieli il nuovo principio civile bruniano: esso ricorderà in eterno lapresenza di una molteplicità virtuosa, quale figura ed immagine – vera ereale, buona – della necessaria disintegrazione della necessità tutta umanae ferina del possesso. La doppia negazione bruniana che infatti attacca edissolve i due separati termini del pensiero astratto e del potere reale tradi-zionale è permessa attraverso quella positiva “revoluzione” che accosta l’u-mano al razionalmente naturale, il desiderio conservativo del primo a quel-lo di salvezza rappresentato dal secondo.

Ivi son le Ninfe, cioè le beate e divine intelligenze che assisteno ed ammi-nistrano alla prima intelligenza, la quale è come la Diana tra le nimfe de glideserti. Quella sola tra tutte l’altre è per la triplicata virtude potente ad aprirogni sigillo, a sciorre ogni nodo, a discuoprir ogni secreto, e disserrar qualsi-voglia cosa rinchiusa. Quella con la sua sola presenza e gemino splendore delbene e vero, di bontà e bellezza appaga le volontadi e gl’intelletti tutti, asper-gendoli con l’acqui salutifere di ripurgazione.

Allora questo amore eguale, proprio nella sua apertura, stabilirà la “con-versione”: trasformerà e capovolgerà l’ordine e la necessità in apertura libe-ra ed eguale (Chaos), la subordinazione e l’autorità in libera ed eguale pos-sibilità (Orco), determinazione che nella propria autonoma circolarità(autodeterminazione), prolunga il senso dell’immagine del desiderio nelladivina ed amorosa determinazione d’eguaglianza. Inalienabilità del divinostesso, che così può apparire come alto mistero e profondo motore di libe-razione, amore ed eguaglianza, essa finalmente vale come Notte, che acco-sta al Padre, il Figlio e lo Spirito.

263

Page 264: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

264

Qua è conseguente il canto e suono, dove son nove intelligenze, nove muse,secondo l’ordine de nove sfere; dove prima si contempla l’armonia di ciascu-na, che è continuata con l’armonia de l’altra; perché il fine ed ultimo dellasuperiore è principio e capo dell’inferiore, perché non sia mezzo e vacuo tral’una ed altra: e l’ultimo de l’ultima, per via de circolazione, concorre con ilprincipio della prima. Perché medesimo è più chiaro e più occolto, principio efine, altissima luce e profondissimo abisso, infinita potenza ed infinito atto,secondo le raggioni e modi esplicati da noi in altri luoghi. Appresso si contem-pla l’armonia e consonanza de tutte le sfere, intelligenze, muse ed instrumen-ti insieme; dove il cielo, il moto de’ mondi, l’opre della natura, il discorso degl’intelletti, la contemplazion della mente, il decreto della divina providenza,tutti d’accordo celebrano l’alta e magnifica vicissitudine che agguaglia l’acquiinferiori alle superiori, cangia la notte col giorno, ed il giorno con la notte, afin che la divinità sia in tutto, nel modo con cui tutto è capace di tutto, e l’in-finita bontà infinitamente si communiche secondo tutta la capacità de le cose.

Con questa citazione diretta del testo bruniano il discorso e l’argomenta-zione circa il nuovo e rivoluzionario presupposto bruniano – teologico,naturale ed etico-politico – non può che finalmente concludersi.

Page 265: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

CONCLUSIONI PRATICHE DELLA SPECULAZIONE BRUNIANA

La rivoluzione culturale e di civiltà indicata all’inizio della modernità dalnuovo – antico, antichissimo – presupposto teologico, naturale e politicobruniano si rivolge soprattutto al necessario e possibile dissolvimento del-l’omologo presupposto tradizionale, di stirpe neoplatonico-aristotelica.Quanto questo assunto infatti – attraverso la coazione a ripetere costituitadal principio logico, ontologico e politico dell’identità, della non-contrad-dizione e del terzo escluso – impartiva l’inevitabilità della dottrina delmondo unico, chiuso e limitato, ordinato gerarchicamente ed immutabil-mente nelle proprie finalità naturali e razionali, altrettanto ed all’oppostol’innovazione bruniana faceva riscaturire dalle profondità della storia – delpensiero e delle civiltà – il concetto e la prassi dell’infinito creativo e dia-lettico. Allora la chiusura aristotelica viene subito controbattuta dall’aper-tura fontale bruniana, la diagonalità tradizionale annullata ed annichilitadall’ascensionalità permessa da un nuovo concetto e da una nuova prassidello Spirito-Materia. La virtù creativa e dialettica interna alla materia stes-sa – il desiderio e l’immaginazione identificati con lo Spirito, per il loroessere natura e ragione – riespone all’infinito il movimento, per il quale l’e-guaglianza rincorre la libertà, come il cacciatore la sua Diana, e questa rea-lizzando quella trasforma questo in caccia (fine infinito d’amorosa egua-glianza). Qui il pensiero naturale bruniano – esposto nella lunga e tortuosaserie dei Dialoghi Metafisico-cosmologici – lascia allora il posto al pensie-ro teologico-politico, anticipando alcune disposizioni essenziali e fonda-mentali successivamente avanzate dalla speculazione di Baruch Spinoza(democrazia radicale).

Se la sacralità della violenza, nella forma della necessità necessitata,impone una materialità del corpo sociale coesa ed organica, la riscoperta ela rivitalizzazione della virtù creativa e dialettica della potenza – la tradu-zione pratica della teoretica possibilità – subito risveglia il pensiero e laprassi capaci di ricongiungere reciprocamente libertà ed eguaglianza nelprocesso dell’autodeterminazione, naturale e razionale. Come religionecivile, questo processo non consente né esclusioni né, tanto meno, impos-sessamenti privilegiati: amore nell’immagine del desiderio, esso nel furio-

265

Page 266: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

so si fa desiderio d’amore realizzato. Proiezione di un’apertura e di unluogo da sogno, dove l’operosità collettiva inibisca qualsiasi frattura ediscriminazione sociale od istituzionale.

Critica dell’astrattezza dell’intelletto e della prassi tradizionali, la specu-lazione teologico-politica bruniana ne coglie il risorgere e trasformarsi nellenuove forme di alleanza fra potere assoluto ed economia proto-borghese.Qui paternalismo, autoritarismo e capitalità del profitto danno luogo, imma-gine e concretezza all’inferno della subordinazione totale, dell’annichili-mento delle volontà e della ristratificazione sociale. Liberi ed eguali, i sog-getti bruniani rivoluzionano – dopo la visione naturale – anche quella poli-tica: scoperchiano e rivelano l’astrattezza, rovesciandola nell’opposto del-l’unica ed infinita realtà concreta. Riscoprono in tal modo lo scopo, la fina-lità che offre coscienza e nella libera ed amorosa eguaglianza consegna loscettro della salvezza eterna. Della redenzione ineliminabile, inintaccabileda qualsiasi peccato. In questo modo la potenza giustificativa bruniana èl’esatto speculare della valorizzazione realistica tradizionale: come possibi-lità e liberazione, essa dissolve la servitù della necessità, distruggendo ilfondamento del suo principale strumento. La disposizione riconosciutaall’alienazione. Con l’unità reale ed infinita fra libertà ed eguaglianza laspeculazione bruniana riesce infatti a rivoluzionare – una volta e per sem-pre – il concetto e la prassi dello Spirito-Materia. Spirito nella Materia(come desiderio), esso diviene Materia quale Spirito (immaginazione razio-nale). E ragione che si apre ad includere ogni rapporto, orizzontale e verti-cale (come infinito explicato ed infinito interiore, complicato).

È tramite questa verticalità che risorge quella propulsività che è caroattribuire alla volontà speculativa del filosofo nolano. Le potenze idealiinseparate – rappresentate: nelle opere che ricercano le determinazioni fisi-che, secondo la figura allegorica degli atomi; nelle opere che invece inda-gano le motivazioni pratiche, dal significato delle nuove costellazioni –allora faranno risorgere pure il vero spirito della religione cristiana, tratte-nuto e mortificato – ma non annichilito, solo addormentato – dalle trasfigu-razioni a motivazione antropocentrica e geocentrica (imperiali). Esse per-metteranno così alla religione cristiana autentica di potersi allineare secon-do quella trasmissione di religiosità che non è mai venuta meno – e maiverrà meno – nella storia della civiltà umana più profonda. L’antica (anti-chissima) e la nuova (nuovissima) divinità scioglierà allora nel proprioabbraccio ogni forma di divaricazione ideologica, sia essa stata determina-ta dall’arcaico privilegio del possesso, oppure rinasca attraverso la recentemercantilizzazione neo-separativa dell’essere.

Una nuova logica si affaccia, dunque, all’orizzonte della pensabilità epraticabilità, con la speculazione bruniana: dalle prime opere di arte dellamemoria (De umbris idearum, Cantus Circaeus) alle ultime, ancora di arte

266

Page 267: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

della memoria e di magia (De vinculis in genere), attraverso la centralitàdelle opere in volgare (Dialoghi Italiani), la ragione speculativa brunianacerca di autorappresentare i propri movimenti e le proprie apparenti fasisecondo un tragitto e delle tracce assolutamente rivoluzionarie. Tali ancoraoggi, per gli epigoni fragili e disperati di questa modernità. L’apertura chelega inscindibilmente insieme infatti libertà ed eguaglianza è capace diaccogliere dentro di sé la molteplicità delle determinazioni – mondi, atomio costellazioni che siano – offrendo un panorama ed uno sfondo all’internodel quale natura e movimento razionale possono accompagnare il nostroragionamento attorno all’unità ed all’opposta distinzione. Così attraverso leteorizzazioni di Matte Blanco (l’inconscio come insiemi infiniti), sino allediverse modalizzazioni della cosiddetta filosofia e logica della paraconsi-stenza, oppure sino alle parallele e fantasmagoriche costruzioni teorichedella moderna teoria fisica delle stringhe (supersimmetria), tutto l’apportonuovo e recente della civiltà teoretica e pratica occidentale – anche le ela-borazioni politiche del cosiddetto “movimento dei movimenti” (altermon-dialisti), le richieste di una nuova matematica della complessità, o le argo-mentazioni religiose della teologia della liberazione e della partecipazione– possono ritrovare nel presupposto bruniano utile fondamento e fecondoradicamento. Proprio per il salto di civiltà che l’Occidente pare destinato acompiere, pena la sua definitiva scomparsa, per il mezzo delle contraddizio-ni sempre più stringenti e per le separazioni ed alienazioni sempre più vio-lente che è costretto a perseguire, restando all’interno del presupposto tra-dizionale od assumendone una sua deriva moderna.

Ritornando a Bruno quindi – ed in particolare allo Spaccio de la Bestiatrionfante – la bruniana sintesi d’apertura pare voler subito sottolineare pro-prio la possibilità di equiparare il gioco dialettico e creativo, al quale sog-giacciono i rivoluzionati concetti di spirito e materia, all’analogo movimen-to di avanzamento e sopravanzamento dell’intelletto e della volontà brunia-ne. Ricadendo momentaneamente entro la vecchia concezione del mondoetico (chiuso) aristotelico, Giordano Bruno saprà però predisporre nellostesso testo immediatamente successivo – la Cabala del Cavallo pegaseo –le condizioni del suo definivo superamento ed oltrepassamento, con il pienoe completo inveramento della sua posizione rivoluzionaria. Non anticipan-do ciò che sarà tema di discussione ed argomentazione nell’opera successi-va – De gli Eroici furori – Giordano Bruno ci tiene però ad evidenziare loscambio di ruoli sussistente fra intelletto e volontà: prima apparentementecontenuto nell’ambito della volontà, l’intelletto fuoriesce per apprenderel’universale nella sua apertura; in questo modo riesce ad elevare la volontàstessa e a dirigerla verso il proprio scopo e compimento. È in questomomento, insieme teoretico e pratico, che il concetto dell’infinito in atto fala sua ricomparsa, resuscitando prima il concetto della diversificazione

267

Page 268: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

determinativa, poi quello dell’unità dialettica (infinito privativo) e finale(infinito perfettivo).

Così è il concetto dell’infinito in atto a fondare il diritto comune e la giusti-zia naturale, indirizzando in tal modo la speculazione bruniana verso la fonda-zione dei concetti–cardine del futuro giusnaturalismo europeo (AlbericoGentile, Giovanni Althusius, Ugo Grozio). La relazione d’infinito bruniana èinfatti sia il fondamento per la riscoperta e la rivalutazione dell’apertura razio-nale, sia il monito profondo circa la sua comune inalienabilità. L’alienazioneimposta invece dalla concezione tradizionale dello Stato si fonda, all’opposto,su un concetto di chiusura razionale, sulla trasformazione del concetto stessodi ragione in quello di intelletto separato, sulla riduzione della volontà adastratto artificiale. In questo modo si giunge al caposaldo della costruzioneculturale occidentale, al principio che è risultato egemone nella storiadell’Umanità sino al sorgere della nostra contemporaneità (ed oltre): al concet-to dell’Uno necessario e d’ordine, che include necessariamente il numero deisoggetti naturali e razionali in un plesso ordinato e gerarchico, a salvaguardiadel potere di conservazione (di quell’intelletto e di quella volontà). Nel conte-sto linearmente determinativo così costituito gli ordini feudali si trasformanostoricamente e fatalmente nelle classi, secondo un piano di separatezza forma-le, che pretende la sistematicità e la completezza. È allora contro questo ricor-rente archetipo e Bestia trionfante imperiale che la riflessione rivoluzionariabruniana si appunta, utilizzando quale strumento per il suo spaccio il valoredella diversità razionale, congiunto con quello – alto e profondo – della memo-ria sempiterna di un comune ed originario luogo genetico. Così la speculazio-ne di Giordano Bruno può rivitalizzare l’immagine reale dell’antica e buonadivinità ebraico-cristiana (il Padre come fuori-di-sé), per distogliere da essaciò che, essendole stato sovrapposto, ne ha coartato e capovolto le finalità e gliscopi. L’ideologismo occidentale. E distoglierlo, attraverso il ristabilimentodella vera e reale filiazione (il Figlio come dentro-di-sé), resa di nuovo possi-bile dal concetto dell’infinito creativo e dialettico, dall’immagine viva e reale,in eterno movimento, dello Spirito (ai nostri occhi, l’Amore di Dio e per Dio,che termina nel concetto e nella prassi dell’amorosa eguaglianza).

L’intenso progetto liberatore del pensiero teologico-politico brunianonon può allora non avvalersi del fondamentale e radicale intento amorosa-mente egualitario: il rapporto fra la diversificazione determinativa e l’unitàdialettica alta e profonda costituisce una polarità nuova, sempre in movi-mento, che – mentre si realizza in ambito fisico-cosmologico attraverso larelazione creativa e dialettica sussistente fra astri solari e pianeti terrestri –in ambito etico, religioso e politico ravviva il necessario accostamento e lanecessaria compenetrazione reciproca fra il concetto della libertà e quellodell’eguaglianza. Contro il prospetto separato ed astratto tradizionale, cheseleziona per forza esclusiva una forma di mediazione assoluta che tende a

268

Page 269: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

far valere la necessità di una ricomposizione organica delle apparenzedeterminative, la potenza inseparata bruniana offre la via ed il passaggio perquell’amore inalienabile ed eterno – l’amore della e per l’eguaglianza – chevale quale costituzione dell’innumerabilità dei soggetti, naturali e raziona-li. L’unità plurale di stampo aristotelico – la vita nel suo concetto separatoed astratto – cede il posto alla pluralità, internamente unitaria, dello slanciocreativo e dialettico dello Spirito e Materia bruniani. Mondo unico ed oppo-sto mondo-altro cadono pertanto insieme, venendo sostituiti dall’immagineaperta dei mondi bruniani, sia naturali che di costume e civiltà.

Sentimento interno e coscienza moderna non dimezzata, l’etica specula-tiva bruniana offre allora lo spazio superiore e l’allargamento infinito d’o-rizzonte all’interno del quale viene tolta la contraddizione fondamentaledella civiltà tradizionale occidentale, il principio dal quale tutte le altre dis-somiglianze vengono derivate ed organizzate (integrate): la contraddizionefra principio positivo ed effetto negativo. Questa contraddizione – veramen-te e realmente capitale nel pensiero e nella prassi egemoni nella cultura eciviltà occidentali – dà luogo al concetto contraddittorio del tempo comedivenire ed eterno ritorno ed alla separazione dello spazio come luogo del-l’identità determinante. Allora lo spazio-tempo bruniano toglie invece subi-to quella frattura e quella separazione, proprio ridonando spazio ad unapotenza, che ha al proprio interno un tempo capace di mantenere insieme ledue dimensioni dell’orizzontalità e della verticalità. Un nuovo cielo ed unanuova terra allora compaiono nell’orizzonte del pensiero bruniano, a rige-nerare di nuovo la figura e l’immagine reale dell’autentica divinità.

Questa figura e questa immagine sono, del resto, il tema e l’argomento –veramente problematico – annunciato sin dalla lettera di apertura dellaCabala del Cavallo pegaseo, dove la nuova (antica) proposta filosofica bru-niana dimostra la propria capacità di tenere insieme tradizioni apparente-mente diverse, se non contrastanti. Qui infatti teologia, filosofia e cabalanon tanto vengono coordinate come se fossero il Posse, l’Esse ed il Velle ditradizionale memoria, quanto piuttosto sono fatte coerire proprio qualerivoluzionario combinato-disposto dello Spirito-Materia bruniano.

Come si è già sopra notato il concetto e la prassi dell’amore eguale per-mettono sia l’apertura invisibile ed infinita della libertà riconquistata, chel’elevazione in immagine e figura dell’intero Universo bruniano, ponendoinsieme desiderio e ragione. Allora potenza, volontà ed intelletto verrannoriassegnati alla materia della nostra Umanità, squartando e dissolvendo quelmistero primitivo, che sempre si impone attraverso la forma finale dellamediazione assoluta.

Se la speculazione di Giordano Bruno non fa altro che riaprire l’orizzon-te infinito della razionalità, la sua intenzione originaria non deve essereconfusa con una forma di materialismo immediato, a pena della sua caduta

269

Page 270: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

ed irregimentazione in un principio astratto di eguaglianza puramente for-male. Superando invece la tentazione dell’assoluto della produzione – prin-cipio caro nella tradizione occidentale da Tommaso d’Aquino sino a KarlMarx – lo spirito trasformato in materia di Giordano Bruno conserva per sestesso la capacità e la virtù creativa, allocando in se stesso un movimentodialettico eterno ed insopprimibile. Un principio interno, valido come sen-timento e capace di esprimere lo spazio ed il tempo della coscienza, attra-verso una nuova quadratura di cause: libertà, infinito, unità ed eguaglianza.Per costruire e costituire finalità e scopi quali quelli portati dalla vita, del-l’amore e della ragione salvifica.

In questo progetto e teologia della liberazione e della partecipazione laspeculazione bruniana discioglie la frattura fondamentale dell’essere occi-dentale: il pensiero e la prassi – la sapienza – della differenza. Che l’esseresia opposto, necessariamente e separatamente, al non-essere. Così mentre latradizione di questa sapienza sembra passare, dalla mano cattolica a quellaprotestante e calvinista, quasi in un nuovo progetto di egemonia, l’intelligen-za bruniana è capace di utilizzare gli stessi strumenti simbolici di questa tra-dizione, però facendone virare il senso ed il significato in modo rivoluziona-rio, con una torsione che ne ravviva la ragione antica, intramontabile. Controla pulsione di morte che pare catturare ed imprigionare lo spirito, quando persapienza viene intesa la negazione – astratta – del mondo e la soppressionenecessaria del desiderio, la vita infinita del desiderio bruniano – la ragionedello spirito, che regge la volontà di vita, che sta all’interno della determina-zione amorosa d’eguaglianza – comincia ad indirizzare la speculazione delfilosofo di Nola verso temi, problemi ed argomentazioni, che sono il conte-nuto della sua ultima opera in italiano: De gli Eroici furori.

Superando allora la deformazione dell’intento bruniano, storiografica-mente nata con l’affermarsi dell’ideologia italiana del fascismo ed ora dinuovo di moda, causata dall’illusione ottica del rovesciamento della critica-ta volontà d’impotenza protestante e calvinista nell’affermazione di unapresunta volontà bruniana di potenza militare e guerresca, la nuova (antica)sapienza che la speculazione di Giordano Bruno intende far rinascere èquella per la quale il concetto della potenza viene riorientato e rivoluziona-to: proprio attraverso la rivitalizzazione della considerazione attuale edeterna del desiderio, quale forza immane ed insopprimibile insita nellamateria. Forza che non ha bisogno, né tanto meno necessità, di una regola-zione o limitazione (sino alla soppressione) esterna, avendo proprio dentrodi sé quale capo razionale il principio di quell’amore eguale, che è capacedi ricongiungerlo alla grazia teologica fondamentale della libertà universa-le. Questa è finalmente la rottura con qualsiasi travisamento su base istin-tuale della filosofia bruniana, come lo stesso filosofo nolano del restoammonisce e chiede di fare nel testo del De la Causa, Principio e Uno.

270

Page 271: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

Così, finalmente, dopo aver coinvolto la riflessione verso la possibilità diuna rivoluzione nel presupposto teologico, naturale e politico ed averedimostrato la possibilità di un riorientamento dei concetti di materia e dipotenza, ora l’eccelso ed ineguagliato filosofo di Nola sospingerà – propriocon il De gli Eroici furori – l’attenzione del suo lettore verso la necessità diquesto cambiamento, mostrando tutte le contraddizioni e le violenze chealtrimenti nascono, o vengono trasmesse e conservate, con il tradizionalepensiero (e prassi) della differenza e della necessità.

Il discorso franco e diretto dell’opera bruniana che va sotto il titolo Degli Eroici furori attiene infatti subito e principalmente all’indicazione di unanecessità diversa da quella tradizionale: tanto quanto la necessità tradizio-nale sembrava accogliere in sé il concetto e la prassi dell’unità senza resi-dui e differenze, che non fossero quelli devoluti allo spazio e all’extra-tempo astratto del divino, la bruniana necessità si qualifica subito comenecessità duale (se non triplice): necessità che prima si sdoppia nel gradosupremo dell’orizzonte dell’impredeterminato (nella Lampas triginta sta-tuarum ciò viene individuato per il tramite della figura della Notte) ed inquello inferiore da questo raccolto ed elevato attraverso la propria immagi-ne di desiderio (sempre nella Lampas, l’Orco), poi aggiunge in questo rap-porto l’apertura, all’interno della quale far vigere la raccolta dei soggettiliberi ed eguali (il Chaos della Lampas).

Tramite questo accoglimento ed elevazione la sensibilità bruniana si aprea dismisura, consentendo il trascinamento al proprio interno di un’immagi-ne di per se stessa in movimento: l’immagine della natura razionale. Viva,perché creativa e dialettica. E sempre presente: come atto dialettico con-giunto a potenza apertamente e dialetticamente creativa (dispositrice). Cosìnel rapporto fra gli estremi, libertà ed eguaglianza si compenetrano, costi-tuendo la composizione di ciò che può valere come universale. Allora siforma una duplice apertura, superiore ed inferiore: prima la diversità razio-nale e poi l’unità creativa naturale. L’impossibilità di separarle costituisce,infatti, quel valore e quella dignità insieme morale ed intellettuale che acco-sta, congiungendole, pace e giustizia.

Allora libertà ed eguaglianza non potranno consentire alcuna reciprocae/o estrinseca separazione. Il separato ed astratto non fa e non ha presa,infatti, nella speculazione di Giordano Bruno, né quando dovesse rendereegemone il primato della libertà, né qualora intendesse precostituire unmedio assoluto con finalità immanente. Nella riflessione sviluppata dal filo-sofo nolano infatti lo sdoppiamento dei termini è solamente apparente efunzionale alla conservazione e mantenimento, quale potenza attiva, dell’u-niversale che li congiunge e realizza (concretizza). Questo è stato osserva-to nei dialoghi metafisico-cosmologici a proposito del rapporto fra astrisolari e pianeti terrestri (per il tramite dell’articolazione attribuita all’etere),

271

Page 272: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

questo viene di nuovo ribadito nei dialoghi morali a proposito del rapportofra libertà ed eguaglianza.

Il rapporto inscindibile sussistente nella speculazione bruniana fra libertàed eguaglianza consente allora al filosofo di Nola di dare l’avvio ad una spe-cialissima procedura dialettica, mediante la quale ciò che tradizionalmenteappariva quale subordinato e limitato, chiuso e mortale si rovescia in liberoed illimitato, aperto ed immortale. Qui il passaggio fondamentale – un vero eproprio cambio epocale – viene offerto dall’inizio di un’apertura, che vieneportato per il tramite del concetto principale dell’opposizione infinita.Perfezionatore delle argomentazioni cusaniane, Giordano Bruno rovescia lachiusura della forma finale aristotelica nell’apertura verso l’alto, che ha comepropria fonte centrale l’oscura creatività naturale: il cespite dei soggetti, libe-ri ed eguali. È in questo modo che la natura razionale bruniana entra nelladivinità e si fa divinità, portando il soggetto in alto. Così la molteplicità natu-rale si trasforma, elevandosi, in molteplicità razionale – gli atomi cambiando-si in potenze ideali – rimanendo compresa entro un’unità aperta, infinita, cheha come cuore intellettuale una propulsione desiderativa capace nel contem-po di espandersi ed allargarsi a dismisura ed innalzarsi in profondità. Ma ilpassaggio avviene attraverso una rivoluzione, un vero e proprio capovolgi-mento: l’atto riflessivo – già presente sin dalla prima opera bruniana, il Deumbris idearum, ed ora ripetuto dalla disposizione che trasforma la libertà ineguaglianza – consente infatti la genesi di una specularità, di una opposizio-ne trasformativi, che modifica e proprio capovolge tutte le note e le caratteri-stiche della materia e della potenza tradizionali.

Mentre allora la potenza e la materia neoplatonico-aristotelica resta iner-temente e neutralmente dipendente ed ordinata, la materia e la potenza bru-niana si rovescia in vita diversificante, autonoma ed autodeterminantesi.Così mentre la figura e l’immagine consentite dalla prima costituiscono illuogo della sostanza e del mondo unico, la figura e l’immagine della secon-da ingenerano di nuovo e fanno risorgere il creativo e dialettico dell’amoreinfinito ed universale. È allora attraverso questo medio teologico che quelpassaggio, quella trasformazione e capovolgimento, quella rivoluzione siattuano, portando come risultato finale la congiunzione interna (intima) diinfinito in atto ed infinito in potenza. È in questo modo, ancora, che la pas-sione dell’amore eguale può aprirsi all’azione dell’amore eguale, alla suaapertura impregiudicata e impredeterminata – teologicamente libera e mise-ricordiosa – rendendosi attraverso lo scopo dell’amorosa eguaglianza.

Il principio etico dell’amore infinito ed universale riesce allora a compie-re, a portare a termine l’identificazione della libertà con l’eguaglianza, apren-do in tal modo inferiormente il movimento dell’intelligente volontà, cheanima poi l’operazione universale: come anima, essa si apre a comprendereogni determinazione, ingenerando la consapevolezza come relazione, libera

272

Page 273: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

273

amorosa ed eguale. Se la libertà e l’amore muovono ed originano ogni deter-minazione come determinazione dialettica e creativa finalizzata all’egua-glianza, allora ogni concetto e prassi che immobilizzi la relazione stessa inuna triangolazione separata ed astratta non può non essere intesa se non comeuna sua contraffazione e perversione, del pensiero e dell’azione. La dualitàdeve pertanto restare caratteristica imprescrittibile dell’orizzonte dell’azionebruniana: essa, infatti, vale come crisi e rottura della concezione cosale edoggettiva, positivistica (della realtà e del soggetto). La conseguente caduta diogni criterio d’indifferenza getta, pertanto, nel catino delle misinterpretazio-ni quelle definizioni della riflessione bruniana, che hanno preteso per essa lasubordinazione e l’accettazione piena e completa delle condizioni della scien-tificità moderna, quali per esempio la ripetibilità e la conferma (o consenso)strumentale (sia esso oggettivo o soggettivo). La relazione bruniana bruciaogni possibilità di significazione univoca, in quanto l’unità e l’Uno brunianorestano sempre all’orizzonte, quale apertura impredeterminata ed impredeter-minabile. Questa libertà non vale però come distacco ed alienazione insupe-rabile, perché al contrario essa vale internamente allo spazio ed al tempo daessa stessa suscitati come motore amorosamente ragguagliante.

Non si può non vedere in queste conclusioni, allora, una rivoluzione edun passaggio dalla concezione tradizionale – linearmente deterministica eonto-logicamente binaria (a terzo escluso) – dell’Uno necessario e d’ordinee della materia-potenza subordinata e limitata ad una concezione che avreb-be causato ed ingenerato una modernità completamente diversa da quellache allora, proprio ai tempi di Giordano Bruno, effettivamente si è iniziatoa costruire ed edificare. La storia, infatti, delle metafisiche oggettive o sog-gettive non ha risparmiato di radere al suolo qualsiasi possibilità di ripresadella impostazione bruniana, sino ai giorni nostri. Ora, forse per la primavolta nella storia dell’umanità, questa possibilità va riemergendo e ridefi-nendosi, indicata da un convenire di teorizzazioni – teorie delle stringhe(supersimmetria), teorie dell’inconscio come insiemi infiniti, filosofie elogiche della paraconsistenza, matematiche della complessità, teologiedella liberazione e della partecipazione, movimenti “altermondialisti” – chepotrebbe sembrare strano, od addirittura fatale, se non dimostrasse invecela somiglianza de’ segni de’ tempi, fra questi nostri e quelli bruniani. E nonimponesse, conseguentemente, la necessità di una scelta eguale, se nonaddirittura rafforzata: la scelta fra il presupposto tradizionale e quello offer-to dal messaggero degli dei ed inviato dalla Provvidenza. La scelta fra ilfato della morte perenne ed il mantenimento della vita su questo pianeta.

Page 274: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo
Page 275: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

PICCOLA BIBLIOGRAFIA BRUNIANA

Testi di riferimento.

BRUNO, Giordano. De umbris idearum. A cura di Rita Sturlese. Premessa diEugenio Garin. Firenze, Leo S.Olschki Editore, 1991.

BRUNO, Giordano. Dialoghi Italiani. I. Dialoghi Metafisici. II. Dialoghi Morali.«Classici della filosofia» Firenze, Sansoni, 1958.

BRUNO, Giordano. Dialoghi filosofici italiani. A cura e con un saggio introdut-tivo di Michele Ciliberto. Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 2000.

BRUNO, Giordano. Opere italiane. Testi critici di Giovanni Aquilecchia. A curadi Nuccio Ordine. Torino, U.T.E.T., 2003.

BRUNO, Giordano. Le ombre delle idee. «Come pensare, 9» A cura di AntonioCaiazza. Presentazione di Carlo Sini. Milano, Spirali Edizioni, 1988.

BRUNO, Giordano. Le ombre delle idee. Il Canto di Circe. Il sigillo dei sigilli.Introduzione di Michele Ciliberto, traduzione e note di NicolettaTirinnanzi. Milano, Rizzoli, 1997.

BRUNO, Giordano. Œuvres Complètes. Paris, Les Belles Lettres, 1993.

BRUNO, Giordano. Jordani Bruni Nolani Opera latine conscripta. RecensebatF.Fiorentino. Deinde recensebant V.Imbriani et C.Tallarico. Tom.I, Vol. I, Pars 1^ : 1. Oratio valedictoria. 2. Oratio consolatoria. 3.Acrotismus Camoeracensis. 4. De Immenso et innumerabilibus (lib. 1,2,3). Tom. I, Vol. II, Pars 2^: 1. De Immenso et innumerabilibus (lib. 4, 5, 6, 7,8). Tom. I, Vol. III, Pars 3^: 1. Articuli centum et sexaginta adversus huiustempestatis mathematicos atque philosophos. 2. De triplici minimo et men-sura. Curantibus F.Tocco et H.Vitelli. Tom. I, Vol. IV, Pars 4^: 1. Summa terminorum metaphysicorum. 2.Figuratio Aristotelici Physici auditus. 3. Mordentius et de Mordentii circi-no. Curantibus F.Tocco et H.Vitelli.

275

Page 276: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

Tom. II, Vol. V, Pars 1^: 1. De umbris idearum. 2. Ars memoriae. 3. CantusCircaeus.Tom. II, Vol. VI, Pars 2^: 1. De compendiosa architectura et complemen-to artis Lullii. 2. Ars reminescendi. Explicatio triginta sigillorum. Sigillussigillorum. 3. Centum et viginti articuli de natura et mundo adversus peri-pateticos. Curantibus F.Tocco et H.Vitelli. Tom. II, Vol. VII, Pars 3^: 1. De progressu et lampade venatoria logico-rum. 2. De imaginum, signorum et idearum compositione. 3. Artificiumperorandi. Curantibus F.Tocco et H.Vitelli.Tom. III, Vol. VIII: 1. Lampas triginta statuarum. 2. Libri physicorumAristotelis explanati. 3. De magia. Theses de magia. 4. De magia mathe-matica. 5. De rerum principiis et elementis et causis. 6. Medicina lulliana.7. De vinculis in genere. Curantibus F.Tocco et H.Vitelli.Neapoli deinde Florentiae, apud Domenico Morano deinde TypisSuccessorum Le Monnier, 1879-1891. Voll. I-VIII.

BRUNO, Giordano. Opere latine di Giordano Bruno. I. Il triplice minimo e lamisura. II. La monade, il numero e la figura. III. L’immenso e gli innume-revoli. «Classici della filosofia, 23». A cura di Carlo Monti. Torino,Unione Tipografico-Editrice Torinese, 1980.

BRUNO, Giordano. Opere Magiche. Sotto la direzione di Michele Ciliberto. Acura di Simonetta Bassi, Elisabetta Scaparrone, Nicoletta Tirinnanzi.Milano, Adelphi, 2000.

CILIBERTO, Michele. Lessico di Giordano Bruno. «Lessico IntellettualeEuropeo, XVI, XVII». Roma, Edizioni dell’Ateneo & Bizzarri, 1979.

SALVESTRINI, Virgilio.Bibliografia di Giordano Bruno (1582-1950). Secondaedizione postuma a cura di Luigi Firpo. Firenze, Sansoni Antiquariato,1958.

SPAMPANATO, Vincenzo. Documenti della vita di Giordano Bruno. Firenze,Leo S.Olschki, 1933.

SPAMPANATO, Vincenzo. Vita di Giordano Bruno. Con documenti editi ed ine-diti. Messina, Casa editrice Giuseppe Principato, 1921. Ristampa anastati-ca con Postfazione di Nuccio Ordine. Roma, Gela Reprint, 1988.

Corpus degli scritti bruniani in formato elettronico.

BOMBACIGNO, Roberto – MANCINI, Sandro. Opera Omnia. Documenti bio-grafici e del processo. Studi di Felice Tocco sul pensiero bruniano. Vita diGiordano Bruno, di Vincenzo Spampanato. Milano, Biblia, 1999.

276

Page 277: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

ORDINE, Nuccio. Opere complete. Biografia. Documenti. Bibliografia (1800-1998). «Classici del pensiero europeo». Roma, Nino Aragno Editore, 1999.

Alcune opere singole, volumi, saggi consultabili sull’argomento.

AHLBERG, Alfred. Materieproblemet i platonismen. Platon, Aristoteles,Plotinos, Bruno. Lund, Lindstedt, 1917.

AQUILECCHIA, Giovanni. Le opere italiane di Giordano Bruno. Critica testua-le e oltre. Napoli, Bibliopolis, 1991.

BADALONI, Nicola – BARILLI, Renato – MORETTI, Walter. Cultura e vitacivile tra Riforma e Controriforma. Roma-Bari, Laterza, 1973.

BADALONI, Nicola. Giordano Bruno. Tra cosmologia ed etica. Bari-Roma, DeDonato, 1988.

BÁRBERI SQUAROTTI, Giorgio. Giordano Bruno: l’utopia del cielo liberatodai mostri. In: I mondi impossibili: l’utopia. Torino, Tirrenia Stampatori,1990. Pagg. 139-164.

BEIERWALTES, Werner. Identità e differenza. Introduzione di Adriano Bausola.Traduzione di Salvatore Saini. Milano, Vita e Pensiero, 1989. Titolo del-l’edizione originale: Identität und Differenz. Frankfurt am Main,Klostermann, 1980.

BLOCH, Ernst. Giordano Bruno. In: La filosofia del Rinascimento. Bologna, IlMulino, 1981. Pagg. 39-58.

BLUM, Paul Richard. Aristoteles bei Giordano Bruno. Studien zur philosophi-schen Rezeption. München, Wilhelm Fink Verlag, 1980.

BLUMENBERG, Hans. Il Nolano: il mondo come autoesaurimento di Dio. In: Lalegittimità dell’età moderna. Traduzione italiana di Cesare Marelli.Genova, Marietti, 1992. Pagg. 591-644.

BÖNKER-VALLON, Angelika. Metaphysik und Mathematik bei GiordanoBruno. Berlin, Akademie Verlag, 1995.

BROCKMEIER, Jens. Die Naturtheorie Giordano Brunos.Erkenntnistheoretische und naturphilosophische Voraussetzungen desfrühbürgerlichen Materialismus. Frankfurt-New York, Campus, 1980.

CILIBERTO, Michele. Giordano Bruno. «Collezione storica». Roma-Bari,Laterza, 1990.

277

Page 278: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

DE BERNART, Luciana. Immaginazione e scienza in Giordano Bruno: l’infinitonelle forme dell’esperienza. Pisa, ETS, 1986.

DEREGIBUS, Arturo. Bruno e Spinoza. La realtà dell’infinito e il problema dellasua unità. Torino, Giappichelli Editore, 1981.

EUSTERSCHULTE, Anne. Analogia entis seu mentis: Analogie als erkenntni-stheoretisches Prinzip in der Philosophie Giordano Brunos. Würzburg,Königshausen & Neumann, 1997.

FIRPO, Luigi. Il processo di Giordano Bruno. «Profili, 15» Introduzione di DiegoQuaglioni. Roma, Salerno, 1993 (1948).

GARIN, Eugenio. Bruno. Milano, Compagnia Edizioni Internazionali, 1966.

GATTI, Hilary. Giordano Bruno and Renaissance Science. Ithaca and London,Cornell University Press, 1999.

GENTILE, Giovanni. Giordano Bruno e il pensiero del Rinascimento. Firenze, LeLettere, 1991 (1920).

GRANADA, Miguel Angel. Giordano Bruno e l’interpretazione della tradizionefilosofica: l’aristotelismo e il cristianesimo di fronte all’«antiqua verafilosofia». In: L’interpretazione nei secoli XVI e XVII. Atti del ConvegnoInternazionale di Studi (Milano, 18-20 novembre 1991; Parigi, 6-8 dicem-bre 1991). Milano, FrancoAngeli, 1993. Pagg. 59-82.

GUZZO, Augusto. Giordano Bruno. Torino, Edizioni di «Filosofia», 1960.

HENTSCHEL, Beate. Die Philosophie Giordano Brunos. Chaos oder Kosmos?Eine Untersuchung zur strukturalen Logizität und Systematizität des nola-nischen Werkes. Frankfurt am Main-Bern-New York, Lang, 1988.

HOUSSEAU, Agnes. Unity and the Kabbalistic Hierarchy in Giordano Bruno. In:Jacob’s Ladder and the Tree of Life. New York, Lang, 1987. Pagg. 231-218.

HUBNER, K. Einheit und Vielheit in Denken und Sprache Giordano Brunos.Wintherthur, 1965.

INGEGNO, Alfonso. Cosmologia e filosofia nel pensiero di Giordano Bruno.Firenze, La Nuova Italia, 1978.

INGEGNO, Alfonso. La sommersa nave della religione. Studio sulla polemicaanticristiana del Bruno. Napoli, Bibliopolis, 1985.

278

Page 279: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

KLEIN, Robert. L’immaginazione come veste dell’anima in Marsilio Ficino eGiordano Bruno. In: La forma e l’intelligibile. Scritti sul Rinascimento el’arte moderna. Prefazione di André Chastel, traduzione italiana di RenzoFederici. Torino, Einaudi, 1975. Pagg. 45-74.

KRISTELLER, Paul Oskar. Eight Philosophers of the Italian Renaissance.California, Stanford, 1964.

MICHEL, Paul-Henri. La cosmologie de Giordano Bruno. Paris, Hermann, 1962.

NAMER, Émile. Les aspects de Dieu dans la philosophie de Giordano Bruno.Paris, Félix Alcan, 1926.

NAMER, Émile. Dialectique de l’infini et du fin chez Giordano Bruno. In: LaDialectique. Actes du XIV Congrés des Sociétés de philosophie de languefrançaise. Nice, 1969.

NAMER, Émile. Giordano Bruno. Paris, 1966.

NAMER, Émile. Giordano Bruno, ou l’Univers infini comme fondement de laphilosophie moderne. Paris, 1966.

NEUSER, Wolfgang. A infinitude do mundo. Notas ricerca do livro de GiordanoBruno Sobre o infinita, o universo e os mundos. Porto Alegre, Edipuers,1995.

NOWICKI, Andrzej. La natura nella filosofia di Giordano Bruno. In: «Bollettinodi storia della filosofia» dell’Università degli Studi di Lecce, I, 1973.Pagg. 70-87.

RICCI, Saverio. La fortuna del pensiero di Giordano Bruno. 1600-1750.Prefazione di Eugenio Garin. Firenze, Le Lettere, 1990.

SCHMIDT, Heinz Ulrich. Zum Problem des Heros bei Giordano Bruno. Bonn,1968.

SEIDENGART, Jean. La cosmologie infinitiste de Giordano Bruno. In: Infini desmathématiciens, infini des philosophes. Paris, Belin, 1992. Pagg. 59-82.

SOTO BRUNA, María Jesús. La metafisica del infinito en Giordano Bruno.Pamplona, Publicaciones de la Universidad de Navarra, 1997.

SOTO BRUNA, María Jesús. La relacíon Dios-Mundo en los origines del panteí-smo moderno. Giordano Bruno. In: Cristo y el Dios de los cristianos.Hacia una comprensión actual de la teologia. Pamplona, Publicaciones dela Universidad de Navarra, 1998.

279

Page 280: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

SPRUIT, Leen. Il problema della conoscenza in Giordano Bruno. Napoli,Bibliopolis, 1988.

TOCCO, Felice. Le opere latine di Giordano Bruno esposte e confrontate con leitaliane. Firenze, Le Monnier, 1889.

VÉDRINE, Hélène. La conception de la nature chez Giordano Bruno. Paris,1967.

VERRECCHIA, Anacleto. Giordano Bruno. Nachtfalter des Geistes. Wien,Böhlau, 1999.

YATES, Amelia Frances. Giordano Bruno e la cultura europea del Rinascimento.Introduzione di Eugenio Garin, traduzione italiana di Mariella De MartiniGriffin e Ales Rojec. Roma-Bari, Laterza, 1995 (1988).

YATES, Amelia Frances. Giordano Bruno and the Hermetic Tradition. London,Routledge and Kegan Paul, 1964.Traduzione italiana di Renzo Pecchioli.Roma-Bari, Laterza, 1969.

Atti dai Convegni.

Giordano Bruno. Oltre il mito e le opposte passioni. Atti del Convegno (17-18febbraio 2000). A cura di Pasquale Giustiniani, Carmine Matarazzo,Michele Miele, Domenico Sorrentino. «Biblioteca Teologica Napoletana,23». Napoli, Facoltà Teologica dell’Italia meridionale, 2002.

Articoli tratti da Riviste.

ALBANESE, Luciano. Bruno, Ficino e la Trinità di Zoroastro. In: «Bruniana &Campanelliana», V, 1, 1999. Pagg. 157-164.

ALBANESE, Luciano. Bruno e gli Oracoli dei Caldei. In: «Bruniana &Campanelliana», VI, 2, 2000. Pagg. 539-546.

ALBANESE, Luciano. Bruno, Virgilio e lo Spirito Santo. In: «Bruniana &Campanelliana», VI, 1, 2000. Pagg. 181-188.

AQUILECCHIA, Giovanni. Giordano Bruno in Inghilterra (1583-1585).Documenti e testimonianze. In: «Bruniana & Campanelliana», I, 1/2,1995. Pagg. 21-42.

BADALONI, Nicola. Sulla struttura del tempo in Bruno. In: «Bruniana &Campanelliana», III, 1, 1997. Pagg. 11-45.

280

Page 281: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

BLUM, Paul Richard. Der Heros des Ursprünglichen. Ernesto Grassi überGiordano Bruno. In: «Bruniana & Campanelliana», IV, 1998/1. Pagg. 107-121.

BÖNKER-VALLON, Angelika. L’unità del metodo e lo sviluppo di una nuovafisica. Considerazioni sul significato del De l’Infinito, universo e mondi diGiordano Bruno per la scienza moderna. In: «Bruniana &Campanelliana», VI, 1, 2000. Pagg. 35-56.

CAMPANINI, Massimo. L’infinito e la filosofia naturale di Giordano Bruno. In:«ACME», XXXIII, 3, 1980. Pagg. 339-369.

CASTRO CUADRA, Antonio. Bruno e l’Amor Eroico. In: «La Ragione», n.s.,XIX, 1, 1991. Pagg. 18-21.

CASTRO CUADRA, Antonio. Platone e Giordano Bruno. In: «La Ragione», n.s.,XVIII, 3/4, 1990. Paggg. 16-17.

CILIBERTO, Michele. Fra filosofia e teologia. Bruno e i «Puritani». In: «Rivistadi storia della filosofia», LIII, 1, 1998. Pagg. 5-44.

CILIBERTO, Michele. Giordano Bruno 1582-1583. Da Parigi a Oxford. In:«Studi storici», XXVI, 1, 1985. Pagg. 127-160.

D’ASCIA, Luca. Fra piacevolezza letteraria e riforma religiosa: Erasmo eBruno. In: «Bruniana & Campanelliana», IV, 2, 1998. Pagg. 255-272.

DE GIOVANNI, Biagio. L’infinito di Bruno. In: «Il Centauro», 16, 1986. Pagg. 3-21.

DI IASIO, Biagio. Il rivoluzionario della conoscenza. In: «La Ragione», n.s.,XIX, 2, 1991. Pagg. 14-17.

FELDHAY, Rivka – OPHIR, Adi. Heresy and Hierarchy. The Authorization ofGiordano Bruno. In: «Stanford Humanities Review», I, 1, 1989. Pagg.118-138.

GAROFALO, Lydia. Il problema dell’infinito dal Rinascimento a Kant. In:«Logos», XIV, 1931. Pagg. 1-23 e 93-132.

GATTI, Hilary. L’idea di riforma nei Dialoghi Italiani di Giordano Bruno. In:«Nouvelles de la République des Lettres», 2, 1996. Pagg. 61-81.

GATTI, Hilary. Minimum and Maximum, Finite and Infinite: Bruno and theNorthumberland Circle. In: «Journal of the Warburg and CourtauldInstitutes», XLVIII, 1985. Pagg. 144-163.

281

Page 282: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

GHIO, Michelangelo. Causa emanativa e causa immanente: S. Tommaso eGiordano Bruno. In: «Filosofia», n.s., XXX, 1979 (4). Pagg. 529-554.

GRANADA, Miguel Angel. Bruno, Digges, Palingenio: omogeneità ed eteroge-neità nella concezione dell’Universo infinito. In: «Rivista di storia dellafilosofia», n.s., XLVII, 1, 1992. Pagg. 47-73.

GRANADA, Miguel Angel. L’infinité de l’Univers et la conception du systèmesolaire chez Giordano Bruno. In: «Revue des Sciences Philosophiques etThéologiques», XXXII, 1998. Pagg. 243-275.

GRANADA, Miguel Angel. Maquiavelo y Giordano Bruno: religión civil y críti-ca del Cristianismo. In: «Bruniana & Campanelliana», IV, 2, 1998. Pagg.343-368.

GRANADA, Miguel Angel. Il rifiuto della distinzione fra potentia absoluta epotentia ordinata di Dio e l’affermazione dell’universo infinito. In:«Rivista di storia della filosofia», XLIX, 1994, 3. Pagg. 495-532.

INGEGNO, Alfonso. Il perfetto e il furioso. In: «Il piccolo Hans», XIX-XX, 75-76, 1992-1993. Pagg. 11-32.

LOVEJOY, Arthur Oncken. The Dialectic of Bruno and Spinoza. In:«Philosophy», I, n. 8, 1904. Pagg. 141-174.

MAIORINO, Giancarlo. The Breaking of the Circle: Giordano Bruno and thePoetics of Immeasurable Abundance. In: «Journal of the History of Ideas»,XXXVIII, 2, 1977. Pagg. 317-327.

MICHEL, Paul-Henri. Renaissance Cosmologies. 1. «Natura artifex»: MarsilioFicino and Giordano Bruno. 2. The Reign of Unity: Bruno andCampanella. In: «Diogenes», 18, 1957. Pagg. 93-107.

MIGNINI, Filippo. La dottrina dell’individuo in Cusano e in Bruno. In:«Bruniana & Campanelliana», VI, 2, 2000. Pagg. 325-349.

NOWICKI, Andrzej. Il policentrismo della cosmologia di Giordano Bruno comefondamento della sua filosofia policentrica della cultura. In: «Misure cri-tiche», VI, 1976. Pagg. 57-72.

PAPI, Fulvio. Bruno, o dell’infinita e vana nostalgia. In: «Il piccolo Hans», XIX-XX, 75-76, 1992-1993. Pagg. 86-104.

PAPULI, Giovanni. Qualche osservazione su Giordano Bruno e l’aristotelismo.In: «Quaderno filosofico del Dipartimento di Filosofia dell’Università diLecce», IX, 10-11, 1984. Pagg. 201-228.

282

Page 283: Giordano Bruno - Epistole Italiane - a Cura Di Stefano Ulliana (File Definitivo

POULAIN, Julie Rebecca. Giordano Bruno. Une éthique de l’infini. In:«Bibliothèque d’Humanisme et Renaissance», LIX, 2, 1997. Pagg. 305-320.

RAIMONDI, Fabio. L’immaginazione politica di Giordano Bruno. In: «Filosofiapolitica», XI, 2, 1997. Pagg. 239-259.

RICCI, Saverio. Rivoluzione del cielo fisico, riforma del cielo morale. Scienza evita civile da Giordano Bruno ai Lincei. In: «Studi filosofici», XII-XIII,1989-1990. Pagg. 245-296.

SCARPA, Riccardo. Il pensiero creatore e Bruno. In: «La Ragione», n.s., XIX, 2,1991. Pagg. 18-21.

SINGER, Dorothea Waley. The Cosmology of Giordano Bruno. In: «Isis»,XXXIII, 1941. Pagg. 187-196.

SPAVENTA, Bertrando. L’amore dell’eterno e del divino in Giordano Bruno. In:«Rivista Enciclopedica Italiana», I, 1855. Pagg. 44-58.

SPAVENTA, Bertrando. Il concetto dell’infinità in Bruno. In: «Rendicontidell’Accademia di scienze morali e politiche di Napoli», V, 1866. Pagg.155-164.

SPAVENTA, Bertrando. La dottrina della conoscenza di Giordano Bruno. In:«Atti della Regia Accademia di scienze morali e politiche di Napoli», II(1865). Pagg. 293-348.

SPAVENTA, Bertrando. Principii della filosofia pratica di Giordano Bruno. In:«Saggi di filosofia civile tolti dagli Atti dell’Accademia di filosofia itali-ca», I, 1851. Pagg. 440-470.

SPRUIT, Leen. Motivi peripatetici nella gnoseologia bruniana dei DialoghiItaliani. In: «Verifiche», XVIII, 4, 1989. Pagg. 367-399.

STADLER, Michael. Unendliche Schöpfung als Genesis von Bewusstsein. Über-legungen zur Geistphilosophie Giordano Brunos. In: «PhilosophischesJahrbuch», XCIII, 1, 1986. Pagg. 39-60.

VENTURA, Tommaso. Giordano Bruno, singrafo sommo di un Vangelo natura-le. In: «La Ragione», 37, 3, 1955. Pagg. 2-7.

YATES, Amelia Frances. Giordano Bruno’s Conflict with Oxford. In: «Journal ofthe Warburg and Courtauld Institutes», II, 1938-1939. Pagg. 227-242.

YATES, Amelia Frances. The religious Policy of Giordano Bruno. In: «Journal ofthe Warburg and Courtauld Institutes», III, 1939-1940. Pagg. 181-207.

283