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1 Giornata di Studio dell’Associazione Italiana di Psicologia (AIP) Sezione di Psicologia Sociale “Spazi interculturali: trame, percorsi, incontri” Roma, 18-19 Settembre, 2008 LA COSTRUZIONE SOCIALE DEI PROCESSI DI ACCULTURAZIONE IN UNA PICCOLA COMUNITÀ LOCALE 1 . Tiziana Mancini Dipartimento di Psicologia, Università di Parma 1. Introduzione Gli studi sui processi di acculturazione costituiscono uno dei principali orientamenti che la psicologia ha fornito al tema dei rapporti tra gruppi etnici diversi all’interno dei contesti multiculturali (Berry, 2001). Tale orientamento, derivante dagli studi antropologici, trova una consolidata tradizione soprattutto nel contesto nord-americano dove è stato ampiamente elaborato all’interno della prospettiva della psicologia interculturale. Più recente risulta invece l’interesse che alcuni paesi dell’Europa occidentale, tra i quali anche l’Italia, hanno dedicato a questo ambito di ricerca (cfr. Piontkowski, Florack, Hoelker, Obdrzálek, 2000; Navas, García, Sánchez, Rojas, Pumares, Fernàndez, 2005 tra gli altri). Rifacendosi alla definizione classica del concetto di acculturazione (Redfield, Linton, Herskovitz, 1936) 2 e allo schema bidimensionale elaborato da Berry (1989), i più recenti modelli hanno in particolare cercato di integrare la natura bidirezionale e le implicazioni al tempo stesso individuali e collettive dei processi di acculturazione (Berry, Sam, 1997). Un esempio in questa direzione è fornito dal Modello Interattivo dell’Acculturazione (Interactive Acculturation Model, IAC) di Bourhis e collaboratori (1997), in cui gli esiti del contatto intergruppi vengono analizzati all’interno di un framework che prende in considerazione diverse prospettive (il punto di vista degli immigrati, della comunità etnica presente nel contesto ospitante e del contesto ospitante) e diversi possibili livelli di analisi (nazionali, istituzionali ed individuali). Come hanno sostenuto gli stessi autori, lo IAC 1 Per la realizzazione della ricerca si ringrazia la dott.ssa Paola Dadà che ne ha curato la raccolta e parte dell’elaborazione dei dati. 2 L’acculturazione è quel fenomeno che accade quanto due gruppi con culture diverse entrano in contatto tra loro: tale contatto determina numerosi cambiamenti culturali in entrambi i gruppi, cambiamenti che investono da un lato gli stessi gruppi, dall’altro i singoli individui che ne sono parte

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Giornata di Studio dell’Associazione Italiana di Psicologia (AIP) Sezione di Psicologia Sociale

“Spazi interculturali: trame, percorsi, incontri” Roma, 18-19 Settembre, 2008

LA COSTRUZIONE SOCIALE DEI PROCESSI DI ACCULTURAZIONE IN UNA PICCOLA COMUNITÀ LOCALE1.

Tiziana Mancini

Dipartimento di Psicologia, Università di Parma

1. Introduzione

Gli studi sui processi di acculturazione costituiscono uno dei principali orientamenti che la

psicologia ha fornito al tema dei rapporti tra gruppi etnici diversi all’interno dei contesti

multiculturali (Berry, 2001). Tale orientamento, derivante dagli studi antropologici, trova una

consolidata tradizione soprattutto nel contesto nord-americano dove è stato ampiamente

elaborato all’interno della prospettiva della psicologia interculturale. Più recente risulta invece

l’interesse che alcuni paesi dell’Europa occidentale, tra i quali anche l’Italia, hanno dedicato a

questo ambito di ricerca (cfr. Piontkowski, Florack, Hoelker, Obdrzálek, 2000; Navas, García,

Sánchez, Rojas, Pumares, Fernàndez, 2005 tra gli altri).

Rifacendosi alla definizione classica del concetto di acculturazione (Redfield, Linton, Herskovitz,

1936)2 e allo schema bidimensionale elaborato da Berry (1989), i più recenti modelli hanno in

particolare cercato di integrare la natura bidirezionale e le implicazioni al tempo stesso individuali

e collettive dei processi di acculturazione (Berry, Sam, 1997). Un esempio in questa direzione è

fornito dal Modello Interattivo dell’Acculturazione (Interactive Acculturation Model, IAC) di Bourhis

e collaboratori (1997), in cui gli esiti del contatto intergruppi vengono analizzati all’interno di un

framework che prende in considerazione diverse prospettive (il punto di vista degli immigrati,

della comunità etnica presente nel contesto ospitante e del contesto ospitante) e diversi possibili

livelli di analisi (nazionali, istituzionali ed individuali). Come hanno sostenuto gli stessi autori, lo IAC

1 Per la realizzazione della ricerca si ringrazia la dott.ssa Paola Dadà che ne ha curato la raccolta e parte

dell’elaborazione dei dati. 2 L’acculturazione è quel fenomeno che accade quanto due gruppi con culture diverse entrano in contatto tra loro:

tale contatto determina numerosi cambiamenti culturali in entrambi i gruppi, cambiamenti che investono da un lato gli stessi gruppi, dall’altro i singoli individui che ne sono parte

2

cerca, infatti, di integrare in un unico schema di riferimento sia l’orientamento di acculturazione

adottato dai membri delle minoranze immigrate e dalla stessa comunità di immigrati presenti sul

territorio ospitante, sia le aspettative che gli ospitanti hanno rispetto alle modalità con cui gli

immigrati dovrebbero integrarsi nel nuovo contesto, queste ultime connesse a loro volta con le

politiche immigratorie e di integrazione adottate dagli stati ospitanti. La combinazione tra questi

due orientamenti (quello delle minoranze immigrate e degli autoctoni) conduce a tre diversi esiti

sul versante delle relazioni interculturali: consensuale, problematico e conflittuale. Le relazioni di

tipo consensuale sono caratterizzate da comunicazioni positive tra gli appartenenti alle diverse

culture, da atteggiamenti e stereotipi positivi, da una bassa tensione intergruppi e da scarsi segnali

di disagio legato allo stress da acculturazione. Secondo gli autori, questo tipo di relazioni tende a

prevalere quando sia la società ospitante, sia le minoranze immigrate, condividono entrambe lo

stesso orientamento verso l’acculturazione e quando l’orientamento condiviso è caratterizzato

dall’integrazione, dall’assimilazione o dall’individualismo. E’ invece la non congruenza tra

l’orientamento della società ospitante e quello delle minoranze immigrate a generare relazioni di

tipo problematico o conflittuale destinate non raramente a sfociare in forme anche violente di

discriminazione sociale.

L’idea che immigrati ed autoctoni possano avere un diverso livello di controllo sul processo di

acculturazione che nel IAC viene implicitamente ricondotta all’influenza in tal senso esercitata

dalle ideologie derivanti dalle politiche di integrazione adottate dagli stati ospitanti (livello

istituzionale), è stata più ampiamente sviluppata da Piontkwoski, Rohmann e Florack (2002) nel

Modello di acculturazione basato sulla Concordanza (CMA) in cui si parla più direttamente di

gruppo dominante e di gruppi dominati. Secondo questo modello sono gli autoctoni a controllare i

processi di acculturazione e a decidere quindi, in ultima istanza, se gli immigrati (i gruppi dominati)

possono o meno mantenere la propria cultura e se possono o meno avere relazioni con la cultura

dominante. Una decisione che, secondo le ricerche condotte in alcuni paesi europei (Piontkowski,

Florack, Hoelker, Obdrzalek, 2000), tende a declinarsi in funzione di alcune variabili chiaramente

riconducibili ai presupposti della SIT (Tajfel, 1981), quali il bias a favore del proprio gruppo di

appartenenza, la percezione della somiglianza ingroup-outgroup, il grado di contatto intergruppi e

la percezione della rigidità/permeabilità dei confini tra i gruppi, nonchè in relazione al gruppo

culturale considerato. Come Bourhis et al. (1997), anche anche Piontkwoski e collaboratori (2000,

2002) hanno individuato tre diversi tipi di relazione interetnica, derivanti dalla

concordanza/discordanza degli orientamenti di acculturazione espressi dagli ospitanti e dagli

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ospitati: consensuale, conflittuale e problematica. Rispetto al modello precedente, gli autori

hanno evidenziato tuttavia anche la necessità di distinguere gli esiti che potrebbero derivare da

una discordanza sul possibile mantenimento della cultura di origine degli immigrati da quelli,

invece, legati alla questione del contatto e della partecipazione alla cultura ospitante.

Vari studi condotti in diversi paesi europei (Jasinkaja-Lahti, Liebkind, Horenszyk, Schnitz, 2003;

Zick, Wagner, Van Dick e Petzel, 2001; Kosic, Manetti e Sam, 2005; tra gli altri) hanno confermato

la validità predittiva di entrambi i modelli, pur riconoscendone al tempo stesso alcuni limiti. Come

hanno recentemente evidenziato un gruppo di ricercatori spagnoli (Navas et al., 2005), uno di

questi limiti riguarda la necessità di prendere in considerazione vari aspetti o domini della realtà

socio-culturale con i quali sia la maggioranza autoctona, sia le minoranze immigrate devono

confrontarsi al fine di strutturare specifici atteggiamenti e/o specifiche pratiche di acculturazione;

l’altro limite concerne la distinzione tra diversi piani di realtà e più in particolare tra le strategie di

acculturazione preferite (situazione ideale) e quelle realmente adottate (situazione reale) da

entrambi i gruppi. Introducendo entrambi gli aspetti, Navas e collaboratori hanno messo punto e

verificato su due gruppi di immigrati (nord-africani e sud-sahariani) in Almería il Modello Esteso

dell’Acculturazione Relativa (Relative Acculturation Extended Model, RAEM). Il RAEM prevede

indubbiamente un maggior grado di complessità considerando in particolare 1) la possibilità che

più orientamenti (situazione ideale) e più strategie di acculturazione (situazione reale) possano

essere preferiti/adottati sia dal gruppo dei “nativi”, sia dagli immigrati, e che 2) che le persone

possano preferire o utilizzare strategie diverse in funzione di contesti o in situazioni diverse.

Prendendo a riferimento il sistema di classificazione proposto da Leunda (1996), Navas e

collaboratori (2005) distinguono lo spazio socio-culturale all’interno del quale i contatti tra gruppi

diversi possono realizzarsi, in sei diversi domini o aree collocati lungo un ipotetico continuum che

li organizza a seconda della loro posizione centrale o periferica nella cultura di appartenenza (dal

sistema politico, al dominio del lavoro, all’area economica; alle relazioni familiari, a quelle sociali

prevalentemente amicali, fino all’area delle rappresentazioni della realtà che prendono forma

attraverso l’ideologia, la filosofia e la religione). La distinzione tra ambiti centrali e periferici dello

spazio di incontro tra autoctoni ed immigrati, permette agli autori di ipotizzare diverse soluzioni

dell’incontro interculturale. In linea con il modello elaborato da Piontkwoski e collaboratori

(2002), Navas e colleghi (2005) ipotizzano un più facile processo di adattamento reciproco negli

ambiti legati alle scelte lavorative ed economiche dove le strategie di integrazione e di

assimilazione tenderebbero ad essere privilegiate sia dai nativi che dagli immigrati, una maggiore

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resistenza al cambiamento nelle aree intermedie e relazioni potenzialmente più conflittuali negli

altri ambiti di contatto inter-culturale dove gli immigrati tenderebbero a preferire soluzioni di

separazione dalla cultura ospitante, mentre i nativi tenderebbero a propendere per l’assimilazione

o l’integrazione nella cultura ospitante.

Rispetto ai modelli precedenti, al lavoro di Navas e collaboratori va sicuramente riconosciuto il

merito di avere sottolineato l’importanza sia degli aspetti qualitativi (i domini dello spazio socio-

culturale), sia degli aspetti rappresentazionali (le aspettative sui processi di integrazione) implicati

nei processi di acculturazione. Nel privilegiare il metodo comparativo della psicologia

interculturale, anche questo modello, come gli altri descritti, finisce tuttavia per trascurare l’analisi

del contesto e dei significati all’interno dei quali gli esiti del contatto intergruppi tendono a

strutturarsi. L’interesse per il confronto – prevalentemente quantitativo e statistico – tra gli

atteggiamenti di acculturazione attesi dagli ospitanti e le strategie di acculturazione

preferite/adottate dai diversi gruppi di immigrati rimane in tutti questi modelli l’unico reale focus

dell’analisi empirica. In questo modo la dimensione contestuale, anche quando ipotizzata a livello

teorico, come ad esempio accade nell’IAC di Bourhis e collaboratori (1997), viene utilizzata

soltanto come schema interpretativo generale applicato post-hoc ai risultati ottenuti. Una

dimensione contestuale che, coerentemente con l’approccio adottato, tende a privilegiare il livello

istituzionale e nazionale, trascurando invece di considerare le caratteristiche dei contesti locali in

cui gli esiti dei processi di acculturazione tendono più concretamente a realizzarsi. Ed è proprio a

tali caratteristiche che alcuni autori (Phinney, Horenczyk, Liebkind, Vedder, 2001) imputano il

legame non particolarmente stretto e congruente tra le politiche immigratorie adottate dagli stati

ospitanti e i processi di integrazione delle minoranze immigrate riscontrato nelle ricerche trans-

nazionali (cfr. ad esempio i risultati del progetto ICSEY; Berry, Phinney, Sam, Vedder, 2006).

Tra le caratteristiche dei contesti locali che possono incidere sui processi di integrazione delle

minoranze etniche nei contesti ospitanti, alcuni autori hanno messo in evidenza l’importanza della

dispersione o della concentrazione di particolari gruppi di immigrati in specifiche zone geografiche

(Umana-Taylor, Diversi, Fine, 2002), della rete di relazioni amicali e familiari in cui sono essi inseriti

(Kosic, Kruglansky, Pierro, Manetti, 2004), degli atteggiamenti e delle attività promosse dalle

associazioni e dalle istituzioni locali ed in particolare dalla scuola (Keaton, 1999) e più in generale

di variabili di natura sociologica. Scarsa attenzione è stata invece dedicata ai processi di

costruzione e di negoziazione dei significati che strutturano lo spazio all’interno del quale le

relazioni tra autoctoni ed immigrati si realizzano.

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Partendo dalla prospettiva della psicologia culturale (Cole, 2004; Mantovani, 2004; Mazzara, 2007)

l’obiettivo di questo lavoro è stato proprio quello di descrivere i processi di costruzione sociale

delle modalità di integrazione tra autoctoni e immigrati di religione musulmana in una piccola

comunità locale. Adottando un approccio emico e privilegiando il metodo ideografico, l’obiettivo

di questo studio è stato quello di cogliere l’unicità e l’esclusività delle espressioni culturali del

contesto analizzato e di ricostruire, attraverso i significati attribuiti ad alcuni eventi che l’hanno

attraversato, lo spazio simbolico all’interno del quale le relazioni tra abitanti locali e comunità

immigrata tendono a strutturarsi. Il contesto scelto come oggetto della ricerca è un piccolo paese

caratterizzato da una ampia comunità di immigrati musulmani e segnato negli ultimi anni da due

eventi particolari, ovvero l’apertura di una moschea (1999) e l’individuazione di una possibile

cellula terroristica islamica nel paese (2003). I contesti di significato all’interno dei quali si sono

strutturati i rapporti tra appartenenti alla comunità locale autoctona e appartenenti alla comunità

musulmana sono stati ricostruiti utilizzando diversi punti di vista e diversi strumenti di rilevazione.

2. Metodologia

2.1 Il contesto

Lo studio è stato condotto in un piccolo paese della Lunigiana, una regione situata tra la Toscana e

la Liguria, racchiusa tra l'Appennino, le Alpi Apuane e il Mar Ligure ed oggi identificata con la

vallata del Magra e quella dei suoi affluenti. Il paese contava alla fine del 2006 – anno nel quale la

ricerca è stata condotta - 2100 abitanti locali e 86 immigrati di cui 46 provenienti dal Marocco.

La storia dei rapporti tra autoctoni ed immigrati all’interno di questa piccola comunità è segnata

da due particolari eventi. Il primo evento risale al 1999, quando un immigrato musulmano abitante

nel paese, avanza ed ottiene, dopo i dovuti controlli di agibilità, l’autorizzazione del sindaco ad

adibire un locale a Moschea. Il secondo evento accade nel dicembre 2003, quando a seguito di

intercettazioni effettuate dalla Digos, si diffonde la notizia della scoperta una presunta cellula

terroristica islamica nel paese.

A circa tre anni da tale notizia, lo studio presentato ha cercato di ricostruire ex-post i significati

attribuiti a tali eventi sia dagli abitanti locali, sia dagli immigrati musulmani per cogliere

indirettamente l’impatto che la ricostruzione simbolica di tali eventi ha avuto sulle relazioni inter-

culturali nel paese.

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2.2 Disegno della ricerca, procedure e materiali utilizzati

La ricerca è stata condotta attraverso tre studi e si è avvalsa di strumenti sia qualitativi che

quantitativi.

Il primo studio è stato realizzato attraverso tre interviste a testimoni significativi; esse sono state

condotte rispettivamente con il Sindaco, il Parroco e l’Imam della Moschea. Le interviste,

realizzate nei primi mesi del 2006, avevano come obiettivo specifico quello di ottenere una prima

ricostruzione dei rapporti tra comunità locale e comunità mussulmana visti alla luce degli eventi

che hanno caratterizzato la storia del paese. Per questo motivo è stata utilizzata una griglia

strutturata attorno ad alcuni degli avvenimenti più salienti (l’apertura della moschea; l’undici

settembre 2001; la scoperta di una presunta cellula terroristica) utilizzati come stimolo per

approfondire la ricostruzione che tali testimoni significativi hanno fatto del tipo di rapporto che si

è venuto a strutturare tra la comunità musulmana e gli abitanti autoctoni e le aspettative nei

confronti del futuro.

Il secondo studio è stato condotto attraverso la raccolta e l’analisi del contenuto di 42 articoli di

stampa tutti relativi alla scoperta di una presunta cellula terroristica e seguito di alcune

intercettazioni effettuate dalla Digos. L’obiettivo era quello di analizzare, attraverso gli articoli

scritti a seguito di questo evento, le immagini veicolate dalla stampa in merito agli immigrati

musulmani e alle modalità/possibilità di relazioni tra questi ultimi e la comunità autoctona locale.

Tutti gli articoli sottoposti ad analisi del contenuto, tranne due, risalgono alla prima decade del

dicembre 2003. Dei 42 articoli considerati 30 sono stati pubblicati in delle testate cartacee più

diffuse in questa area, cioè “Il Secolo XIX” (13 articoli) e “La Nazione” (18) e 12 derivano da

diverse testate on-line tra le quali solo Spezia.com è rappresentata da più di 1 contributo (4

articoli). Tutti e 42 gli articoli sono stati classificati come articoli di “cronaca”; 24 articoli sono

corredati da almeno 1 immagine.

I testi e, se disponibili, le immagini degli articoli sono state sottoposte ad un’analisi del contenuto

tematico per la quale ci si è avvalsi di una griglia finalizzata a rilevare: a) gli aspetti

tecnici/strutturali dell’articolo (es. testata, data, numero della pagina e localizzazione all’interno di

essa, ecc.); b) gli aspetti grafici (es. contenuto, coerenza/incoerenza con il titolo dell’articolo,

rispetto o meno della legge sulla privacy, ecc.); c) l’analisi del testo vero e proprio in riferimento a

sia a se e come viene descritta l’appartenenza culturale dei soggetti implicati nella descrizione

dell’evento, sia a se e come viene descritta la relazione immigrati/autoctoni.

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Il terzo studio è stato realizzato attraverso un questionario semi-strutturato declinato in due

versioni e somministrato rispettivamente a 105 adulti autoctoni e a 19 adulti immigrati dal Nord-

Africa.

Duplice era l’obiettivo di questo ultimo studio: da un lato quello di ricostruire attraverso la “voce”

degli abitanti locali (autoctoni ed immigrati) i significati attribuiti ai due eventi selezionati

(costruzione della Moschea e presunta cellula terroristica); dall’altro quello descrivere, seguendo

alcuni dei più recenti modelli sull’acculturazione (cfr. Introduzione), le relazioni tra autoctoni ed

immigrati di religione musulmana mettendo a confronto le strategie di acculturazione e gli esiti dei

processi di identificazione culturale che gli autoctoni pensano gli immigrati mettano in atto con

quelle effettivamente dichiarate dagli immigrati stessi.

Al fine di rilevare le strategie di acculturazione la prima del questionario misurava le pratiche

culturali adottate dagli immigrati/le pratiche culturali che gli autoctoni presumevano che gli

immigrati adottassero, in 6 differenti ambiti: uso orale e scritto della lingua italiana/della lingua

d’origine (8 item); utilizzo di tradizioni culturali legate al mangiare, cucinare, seguire le festività,

ascoltare la musica e vestire gli abiti arabi/italiani (10 item); modalità di rapportarsi

all’informazione, attualità, politica e cultura attraverso giornali, telegiornali (8 item); preferenze

per amicizie arabe/italiane e per attività ricreative/associative frequentate prevalentemente da

arabi/italiani (14 item); fruizione dei servizi socio-sanitari e utilizzo di medici arabi/italiani (6 Item);

tipo di religione praticata (mussulmana/cattolica; 2 item).

Gli esiti dei processi di identificazione culturale sono stati misurati, nella seconda parte del

questionario, attraverso tre scale che misuravano le tre dimensioni dell’identità sociale seconda la

definizione data da Tajfel (1981): l’autocategorizzazione, misurata attraverso l’Overlap of Self,

Ingroup and Outgroup elaborato da Schubert and Otten (2002) e attraverso un ulteriore reattivo

grafico in cui si chiedeva ai soggetti di indicare la loro posizione tra due cerchi intersecati che

rappresentavano rispettivamente gli abitanti locali e le persone provenienti dai paesi arabi che nel

paese; il legame emotivo con il proprio gruppo di origine (e con quello ospitante) misurato

attraverso 4 item della Ethnocultural Attachment Scale di Brown et al. (1986); la stima di sè

(personale e collettiva) misurata attraverso 6 items tratti dalla Collective Self Esteem scale di

Luhtanen e Crocker (1992).

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Per ogni item i soggetti dovevano rispondere su una scala a 4 punti dove 1 = per niente vero, 2 =

poco vero, 3 = abbastanza vero, 4 = molto vero.

Per ricostruire i significati attribuiti alla costruzione e alla presenza della Moschea nel paese, la

terza parte del questionario comprendeva domande finalizzate a rilevare la conoscenza e l’utilizzo

della moschea, le immagini personali ad essa associate (rilevate attraverso la tecnica delle libere

associazioni) e gli atteggiamenti – misurati su una scala di accordo/disaccordo a 4 punti - del

proprio gruppo di appartenenza nei confronti di alcune opinioni positive e negative raccolte nel

paese (es. gli abitanti di …/I membri della comunità musulmana di … considerano la Moschea un

luogo da tenere sotto controllo, … una risorsa per il paese, …).

Sull’episodio relativo alle intercettazioni relative alla presenza di una presunta cellula terroristica,

dopo aver richiamato alla memoria l’evento attraverso lo stralcio di un articolo di giornale, i

soggetti sono stati inviatati a dichiarare se ricordavano o meno l’evento e solo in caso di risposta

affermativa a dichiarare il loro grado di accordo/disaccordo con alcune affermazioni relative alle

possibili conseguenze sui rapporti inter-culturali imputabili a tale evento (es. A seguito delle notizie

apparse sui giornali in merito alle intercettazioni di una cellula terroristica ad … si sono modificati i

rapporti tra membri della comunità musulmana e la popolazione del paese, ho avvertito

personalmente cambiamenti nei miei rapporti con la popolazione locale di …).

L’ultima parte del questionario comprendeva una scheda socio-anagrafica.

Tutti partecipanti a questo studio sono stati reclutati nel paese o in aree limitrofe attraverso un

campionamento di comodo. La tabella 1 riporta le caratteristiche dei 105 partecipanti autoctoni e

dei 19 partecipanti immigrati dal Nord-Africa.

Tabella 1 – Caratteristiche dei partecipanti al terzo studio

Autoctoni Immigrati

Sesso Maschi 43 16 Femmine 62 2

Età Media 44.03 27.42

Range 18-77 18-39

Provenienza Italia 18 Marocco 1 Tunisia

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2.3 Analisi dei dati

Per motivi di spazio verranno qui sintetizzati solo alcuni dei principali risultati emersi dai tre studi.

La prima parte dell’analisi in particolare sarà dedicata e ricostruire i significati attribuiti ai due

eventi e alle loro possibili ricadute che essi possono avere avuto sui rapporti tra comunità

autoctona e comunità musulmana. A tal fine verranno utilizzati i risultati di tutti e tre gli studi.

Nella seconda parte, utilizzando i risultati del terzo studio, verranno invece ricostruite e messe a

confronto le strategie di acculturazione e gli esiti dei processi di identificazione culturale che gli

autoctoni pensano gli immigrati mettano in atto con quelle effettivamente dichiarate dagli

immigrati stessi. Sui dati raccolti attraverso il questionario sono state applicati il test non

parametrico di Mann-Whitney e il test non parametrico di Wilcoxon.

3. Risultati

3.1 La ricostruzione dello spazio simbolico dei rapporti inter-culturali nella comunità locale

Considerando i principali risultati emersi dall’analisi del contenuto delle interviste condotte

con i testimoni significativi (studio 1), la ricostruzione dei rapporti tra comunità locale e comunità

mussulmana a seguito degli eventi che hanno caratterizzato la storia del paese fa emergere una

spiccata contrapposizione tra le opinioni del sindaco e dell’imam che si collocano su una posizione

similare e quelle diametralmente opposte del parroco. A fronte degli eventi che hanno riguardato

l’apertura della Moschea, sono in particolare i racconti del parroco a lasciare trasparire contenuti

di disapprovazione e sentimenti di esclusione dalla vicenda, come emerge chiaramente dal

seguente brano

“Io ero in Italia al momento dell’istituzione della moschea ma non sono stato contattato da nessuno in merito a questa

vicenda. Sono stato completamente ignorato, forse pensavano che avrei esposto il problema che nella zona questa era

l’unica moschea presente e che quindi si sarebbero potuti verificare disagi dovuti all’elevata affluenza di praticanti

musulmani (derivanti dall’alta Toscana e dalla Liguria di levante)...come poi è stato!”.

Più esterna risulta invece la posizione del sindaco che sembra piuttosto riportare tale richiesta ad

una situazione di normalità e di diritto:

“Non sono sorti alcuni dibattiti poiché il rappresentante musulmano della comunità di …,era semplicemente venuto a

fare una comunicazione per ottenere il nullaosta da parte del comune per poter adibire il locale a moschea. L’Italia si

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presenta come stato laico e in quanto tale consente a chiunque di poter professare la propria religione: proprio per

questo non ci sono voluti permessi particolari se non quelli relativi all’agibilità del locale”.

Il riconoscimento del diritto di ciascuno a professare la propria religione è anche il tema

prevalente nelle parole dell’imam della Moschea.

“Fin dall’inizio ho ritenuto che potesse essere una cosa positiva per chi, come me, sente il bisogno di riunirsi in

preghiera”.

In riferimento a questo evento, sia il sindaco che l’imam della Moschea riferiscono una situazione

di accettazione da parte degli abitanti locali:

“Non ho percepito alcuna reazione anche perché questa comunità di musulmani era già presente da anni a … ed erano

ben integrati” (Sindaco), “Io personalmente non ho percepito alcuna reazione particolare qui a … mi sono sempre

sentito ben accetto sia prima che dopo l’apertura della moschea” (Imam).

Non dello stesso parere il parroco che nell’esprimere le sue preoccupazioni personali per il

disturbo che l’affluenza alla Moschea avrebbe comportato per la popolazione locale, riferisce al

contrario di alcune azioni intraprese dagli abitanti locali e non riconosce a tale evento alcuna

potenzialità positiva rispetto alle relazioni inter-culturali:

“Un gruppo di uomini del paese hanno scritto una lettera all’affittuario (che ho consegnato io stesso) insospettiti di un

piazzamento strategico,fatto in sordina per ottenere un vantaggio economico! (…) non c’è un vero contatto con questa

comunità ... i rapporti non sono aumentati neppure nell’amicizia”.

Più comuni sono invece le posizioni che i tre intervistati hanno assunto sia nei confronti dell’11

settembre, sia a seguito delle intercettazioni della Digos. In entrambi i casi, tutti e tre negano che

tali eventi possano in qualche modo avere modificato i rapporti interetnici, come emerge dai brani

qui sotto riportati e riferiti agli eventi del dicembre 2003:

“Non ci sono stati cambiamenti, almeno da parte nostra non è cambiato niente e non abbiamo percepito

atteggiamenti diversi dai giorni precedenti da parte della popolazione locale” (imam). “Come me,anche gli Abitanti di

…, passato lo stupore iniziale, hanno intuito che potesse essere un evento isolato e probabilmente infondato: a seguito

di ciò non ci sono state reazioni da parte della popolazione, di nessun tipo … La popolazione autoctona è rimasta

incredula alla notizia, la maggior parte degli abitanti del paese non ci ha creduto e il tempo ha dato ragione a queste

persone, infatti non ci sono stati sviluppi in questa vicenda … alcuni di loro sono venuti a rassicurarmi sulla vicenda

dicendomi che non c’era bisogno di allarmarsi perché all’interno della moschea veniva solo predicata la pace e non la

guerra” (sindaco). “In generale l’attenzione si è concentrata relativamente sulla nostra realtà...non ci sono stati gesti

che hanno suscitato sospetti. Cambiamenti io non ne ho rilevati,né in positivo,né in negativo …” (parroco).

Ciononostante sembra che entrambi gli eventi non abbiano lasciato del tutto indifferente la

comunità considerata. A conferma di ciò non mancano sia nei discorsi del parroco riferimenti

all’esistenza di prove volte ad attestare gli avvenuti festeggiamenti in occasione dei noti fatti

dell’11 Settembre; riferimenti che giustificano, d’altro canto, le posizioni di smentita della

comunità mussulmana riferite dall’imam:

11

“La comunità musulmana ha minimizzato in merito ai probabili festeggiamenti dell’11 settembre. Ci tenevano molto a

sottolineare che lì a .. l’imam non era presente, che loro erano solo dei suoi rappresentanti e che il vero imam si trova

nei gradi centri urbani” (parroco). “La gente del paese ci conosce, sa che ci riuniamo solo per pregare,pregare il

bene, la pace e la salute e non il male e la morte. Posso tranquillamente affermare che non ci sono stati

festeggiamenti di nessun genere anche perché il Corano vieta l’alcool e le droghe” (imam).

Le opinioni dei testimoni intervistati circa gli attuali rapporti tra popolazione locale e comunità

musulmana confermano le due contrapposizioni sopra sottolineate. Infatti, la visione del sindaco e

dell’imam concordano nel ribadire che la comunità musulmana si è ben integrata nel paese, il

parroco invece sottolinea il fatto che non si può parlare di integrazione imputandone la

responsabilità unicamente agli immigrati:

“Mentre da parte “nostra” c’è stata, e continua ad esserci, apertura verso l’integrazione, da parte” loro” no, c’è una

totale chiusura e tendenza a rimanere in disparte”

Lo stesso parroco augurandosi che “in futuro si possa parlare di “integrazione”nel vero significato

del termine” richiama all’auspicio di

“una maggiore apertura da parte della comunità musulmana. Auspico una maturazione da parte della comunità

musulmana che faccia emergere la propria cultura per arrivare ad una conoscenza, reciproca, migliore”.

Sempre rispetto al futuro, anche la posizione del sindaco lascia intravedere qualche perplessità

come emerge chiaramente dal brano sotto riportato:

“Sicuramente questi immigrati via non ci tornano perché, come si suol dire <qui hanno trovato l’America!> e quindi

sono costretti ad integrarsi nella nostra società. Forse tra due o tre generazioni, quando tutti crederanno che questi

immigrati si siano ormai completamente integrati nel nuovo paese, ci sarà qualche frustrato, fanatico che si ribellerà

facendo qualche attentato anche qui da noi, proprio come è successo tempo fa in Inghilterra”.

A fronte di tale necessità, vista tuttavia anche come una potenziamento economico e culturale per

entrambe le comunità, è curioso riscontrare come il sindaco riconosca proprio alla Chiesa e alle

associazioni del paese un ruolo rilevante nel favorire tale processo di integrazione.

Dall’analisi delle interviste non ci sembra quindi di poter rintracciare un sistema condiviso di

significati rispetto al modo di vedere le relazioni tra autoctoni e immigrati. Emergono piuttosto

due posizioni contrapposte che lasciano presupporre la mancanza di un relazioni significative tra i

due mondi che di fatto nelle rappresentazioni dei rispettivi rappresentanti presentano aspetti di

relativa incomunicabilità.

Negativa ed allarmistica è anche l’immagine dei rapporti tra immigrati musulmani e

popolazione autoctona locale che sembra risultare dai 42 articoli di giornale considerati nel

secondo studio. In essi l’attenzione del lettore sull’accaduto (intercettazioni effettuate dalla Digos

circa la possibile presenza di una cellula terroristica ad Albiano Magra) viene stimolata utilizzando

12

diverse strategie, ad esempio ricorrendo a titoli allarmistici, riservando ampio spazio all’articolo o

corredandolo da immagini particolarmente accattivanti.

Dall’analisi degli aspetti grafici emerge infatti che sono più della metà (24) gli articoli che

contengono immagini; di queste fotografie, 14 sono a colori e 10 in bianco e nero. Se, come è

noto, la presenza di immagini, soprattutto a colori, stimola l’attenzione del lettore, occorre

ricordare come l’introduzione di un’immagine possa anche influenzare l’approccio con cui esso si

avvicina al contenuto dell’articolo. A tal proposito non è irrilevante constatare la frequente

discordanza riscontrata sia tra le immagini presentate ed il titolo dell’articolo (17 volte su 24), sia

tra le immagini ed il contenuto del testo (9 volte su 24).

Delle 24 foto solo in tre non vengono rappresentate immagini di persone: in 17 foto le persone

sono rappresentate in secondo piano, in 6 in primo piano e solo in 1 caso sullo sfondo

dell’immagine. E’ interessante constatare che complessivamente le immagini che contengono

rappresentazioni di individui ricorrono all’oscuramento del viso, in rispetto della legge sulla

privacy, soltanto in tre casi su 21. Un dato, quest’ultimo, che richiama ulteriormente l’attenzione

che la stampa ha voluto dare ai protagonisti della vicenda. Le immagini presentate contengono,

infatti, per lo più (nel 75% dei casi, pari a 18 casi su 24) foto di persone (da sole o in gruppo) i cui

connotati richiamano indubbiamente alla loro appartenenza culturale e al loro status di immigrati,

mentre solo in 1 foto su 3 circa (8 su 24) vengono rappresentate solo o anche persone autoctone.

Sono infine 9 le immagini che, oltre alle persone, riprendono internamente (5) o esternamente la

Moschea, 3 immagini rappresentano cartine e 2 grafici esemplificativi: nello specifico sono

rappresentati i legami della cellula terroristica scoperta dalla digos tramite intercettazioni

telefoniche.

Il ricorrente riferimento alle caratteristiche legate all’etnicità delle persone collegate all’evento e

alla loro religione, richiama indubbiamente ad un tentativo di stigmatizzazione dei membri della

comunità musulmana presente nel paese. Questo risulta evidente non solo dalle immagini poste a

corredo dell’articolo (si vedano le immagini selezionate nella fig. 1), ma anche dai titoli e dai

contenuti degli articoli considerati.

L’analisi lessicale condotta attraverso il software t-lab sulle parole contenute nei titoli dei 42

articoli conferma il tono “allarmistico” e “stigmatizzante” spesso riscontrato nelle immagini. Come

si può vedere dall’analisi delle 176 parole chiave selezionate dal programma (grafico 1), i termini

13

che ricorrono più frequentemente richiamano alle indagini effettuate dalla polizia (Indagare,

indagine, blitz, scoperta), alle accuse di terrorismo rivolte agli islamici (cellula, terrorismo, Qaeda,

rete, strage) rimarcando la loro condizione di clandestinità (clandestino, ombra) e attribuendo più

o meno direttamente la “colpa” dell’evento alla presenza della moschea nel paese e più in

generale alla religione islamica (islamico, imam, islam, Jihad, pregare).

Figura 1. Alcune immagini corredate ai 42 articoli considerati.

14

Grafico 1. Parole chiave con frequenza < 2 contenute nei titoli dei 42 articoli selezionati.

I toni spesso allarmistici dei titoli degli articoli sono chiaramente rintracciabili nei titoli sotto

riportati:

“Cellula … nella rete delle stragi”, “L’ordine dell’imam: stare nell’ombra”, “La predicazione della violenza”, “Terrorismo,

ombre su cellula islamica”, “Se uccidete per Allah andrete in paradiso”, “Dovete morire combattendo”.

Una testimonianza dei toni accusatori è invece riportate nei seguenti articoli in cui si riconosce

tuttavia anche la connivenza di alcuni personaggi autoctoni locali:

“La centrale degli immigrati clandestini” e nel sottotitolo “De documenti falsi a 1600 euro e ‘premi’ ad un imprenditore

…”, ed ancora “Dai cantieri ai visti per clandestini ecco l’imprenditore in affari con l’imam”; “Le carte false per i

clandestini”.

Al di là delle accuse rivolte a persone autoctone del luogo, alcuni titoli riportano reazioni di

solidarietà degli autoctoni verso i membri della comunità musulmana:

“Il paese è solidale: ‘gente come noi’”; “Non sono terroristi ma brave persone e padri di famiglia”

Non mancano infine titoli ed articoli in cui lo stesso imam o alcune persone a lui vicine

smentiscono e cercano di difendersi dalle accuse loro rivolte:

La moglie DELL’ “IMAM”: “Hanno portato via computer e video ma non abbiamo nulla da nascondere”; “ma il capo

indagato non si indigna ‘L’Islam insegna a non uccidere’”; il fratello DELL’ ‘IMAM’: “Non c’entriamo con la jihad

lavoriamo e rispettiamo la legge”.

98

75

3

2

5145

40

28

17

11

islamico

imam

cellula

indagare

Provincia X

terrorismo

paese X

clandestino

paese

Qaeda

blitz

imprenditore

indagine

islam

jihad

marocchino

moschea

ombra

persone

pregare

rete

Scoperta

strage

Peso su 1000 lemmi Freq. del lemma

15

Andando ad esaminare il contenuto degli articoli selezionati ben 32 di essi (su 42, pari al 76% degli

articoli) trattano di argomenti legati al terrorismo e 16 della criminalità. La vita religiosa praticata

dalla comunità musulmana del paese è rappresentata in 30 (pari al 71%) dei 42 articoli, mentre

soltanto in 7 articoli (16,7%) si fa riferimento ad avvenimenti di vita quotidiana che coinvolgono le

persone musulmane. Questo dato trova conferma nella tipologia degli eventi che vengono

descritti e che fanno riferimento, come è possibile notare dal grafico 2, in larga misura alle

operazioni esplicate in relazione all’evento (inchieste, perquisizioni, indagini, perquisizioni,

sequestro, arresti), alle accuse e più in generale a quelle di terrorismo. Più raramente vengono

descritte le reazioni di smentita delle persone coinvolte (12 articoli) e quelle di solidarietà da parte

degli abitanti autoctoni (6); 4 articoli riportano infine alcuni atteggiamenti di fanatismo dei membri

della comunità musulmana e 1 articolo le statistiche relative agli immigrati irregolari.

Grafico 2. Tipologia degli eventi descritti nei 42 articoli selezionali (valori percentuali)

Un quadro quindi, che tende a confermare l’ipotesi secondo la quale a seguito dell’evento i media

abbiano cercato di creare una situazione generale di allarmismo accompagnata da chiari tentativi

di stigmatizzazione dei membri della comunità musulmana. Ad ulteriore conferma di tale ipotesi si

può evidenziare il fatto che siano state in larga misura le testate orientate più a destra del

continuum politico a parlare dell’evento (in larga misura Il secolo XIX e La nazione), ma soprattutto

le modalità con le quali la questione è stata affrontata. Basta fare a questo proposito riferimento

alla frequenza con cui negli articoli i giornalisti richiamano a caratteristiche legate all’etnicità:

infatti, i riferimenti alla comunità musulmana di … si ritrovano nel 69% (29) degli articoli raccolti,

contro l’11,9% (5) degli articoli in cui si fa riferimento agli abitanti autoctoni di …, con un evidente

81

73,8

73,8

61,9

47,6

45,2

31

31

28,6

14,3

11,9

11,9

9,5

4,8

2,4

Inchieste

Terrorismo

Indagini

Accuse

Perquisizioni

Intercettazioni

Violazioni di norme

Sequestri

Smentite dei fatti rilevati

Solidarietà da parte delle persone …

Reazioni delle persone coinvolte

Attentati

Festeggiamenti

Arresti

Dati statistici relativi agli immigrati …

16

sbilanciamento del focus di attenzione sugli immigrati di religione musulmana. Tale

sbilanciamento si rinviene anche negli articoli che fanno riferimento a singoli soggetti coinvolti

nella vicenda (in questo casi si contano 23 articoli, pari al 54,8% che fanno riferimento anche a

singoli individui musulmana e 13 articoli, pari al 31% che fanno riferimento a singole persone

autoctone) che si ritrovano nel 31% dei casi. Ma il dato più interessante riguarda come le due

comunità e le persone che vi appartengono vengono descritti: infatti, mentre gli autoctoni

vengono descritti quasi sempre attraverso le loro caratteristiche personali e molto più raramente

in relazione alla loro provenienza geografica (11 volte) e alla loro religione (2 volte), al contrario gli

immigrati musulmani sono rappresentati attraverso chiari riferimenti alla loro appartenenza

religiosa, alla loro provenienza geografica, ma anche alla loro condizione di non appartenenza al

contesto italiano e di illegalità. Le qualifiche utilizzate per fare riferimento agli italiani richiamano

così più spesso il loro ruolo all’interno della società (es. imprenditore, sindaco); mentre per i

membri della comunità musulmana si fa più frequentemente riferimento alla loro appartenenza

categoriale (es. musulmani, marocchini, clandestini, stranieri; tabella 2). Contribuisce

ulteriormente alla stigmatizzazione degli immigrati musulmani il giudizio su di loro espresso dagli

autori degli articoli: se in circa il 50% degli articoli il giudizio dei giornalisti tende rimanere

neutrale, si evidenzia comunque in ben 10 casi la tendenza ad esprimere un giudizio negativo (11

casi per quello positivo) a fronte di solo 2 giudizi negativi espressi su persone autoctone.

Tabella 2. Caratteristiche utilizzate nei 42 articoli selezionati per descrivere le due comunità (valori

assoluti e percentuali).

Musulmani Autoctoni

Provenienza geografica 24 57,14 11 42,31

Lingua 4 9,52

Aspetti legati alla cultura 2 4,76

Religione 35 83,33 2 7,69

Clandestinità 7 16,67

Illegalità 8 19,05

Car. Personali 6 14,29 22 84,62

Totale 42 100,00 26 100,00

L’analisi del contenuto degli articoli di giornale, ha cercato anche di analizzare le rappresentazioni

della stampa in merito alle relazioni tra autoctoni ed immigrati all’interno del paese. Dall’analisi di

questo aspetto, certamente non centrale tra gli articoli selezionati (solo 22 articoli su 44), si

evincono posizioni diverse che possono essere articolate lungo tre dimensioni. La prima è quella

17

orientata a sottolineare i rapporti di complicità che la maggioranza autoctona e la minoranza

intrattengono sul territorio per portare avanti attività illegali, quali ad esempio quelle di aiuto agli

extracomunitari di origine araba nell’ottenere permessi di soggiorno e documenti falsi; la seconda

evidenzia invece la diffidenza da parte degli autoctoni verso gli immigrati musulmani, e in alcuni

casi, i fenomeni di discriminazione nei loro confronti; la terza mette in luce l’atteggiamento e le

azioni di solidarietà e di tolleranza messe in atto dagli abitanti autoctoni del luogo (Tabella 3).

Tabella 3. Rappresentazione delle relazioni tra autoctoni ed immigrati musulmani nei 42 articoli

selezionati (valori assoluti e percentuali).

N. %

Relazioni caratterizzate da Complicità 9 40,9

Solidarietà 7 31,8

Discriminazione 2 9,1

Tolleranza 1 4,5

Diffidenza 4 18,2

Di natura lavorativa 1 4,5

Separazione, distanza 1 4,5

Totale 22 100,0

Sul versante degli strategie di integrazione messe in atto rispettivamente dalla comunità

autoctona e da quella musulmana, i pochi articoli che hanno affrontato tale questione confermano

quanto già in parte rilevato attraverso l’intervista con il parroco del paese. Osservando la tabella 4

si può infatti notare come alla maggioranza autoctona vengano soprattutto imputata la volontà di

per favorire l’integrazione della minoranza musulmana presente in paese: a tale volontà non

sempre tuttavia corrispondono le intenzioni degli appartenenti alla comunità musulmana, spesso

più orientata a mantenersi separati dalla cultura ospitante.

Tabella 4. Strategie di acculturazione imputate ai due gruppi nei 42 articoli selezionati (valori

assoluti)

Strategie di acculturazione

Maggioranza Autoctona Minoranza Immigrata

Multiculturalismo 9 Integrazione 8 Assimilazione 1 Assimilazione Separazione 1 Separazione 7 Marginalità Marginalità

Articoli che trattano di acculturazione 9 Articoli che trattano di acculturazione 14

In conclusione, dal secondo studio emerge che i media locali contribuiscono alla costruzione di un

sistema di significati teso a creare preoccupazione allarmistica e a svalorizzare e stigmatizzare agli

18

occhi della comunità locale gli immigrati musulmani. A conferma di quanto emerso dal primo

studio, anche l’analisi del contenuto degli articoli lascia presupporre una certa separazione tra le

due culture i cui unici possibili punti di contatto sembrano ancora una volta attribuiti unicamente

alla buona volontà di alcuni abitanti locali.

Passando ad analizzare i significati attribuiti ai due eventi dagli abitanti locali, i risultati del

terzo studio suggeriscono un parziale ridimensionamento dell’importanza che la Moschea ha

nell’immaginario collettivo sia degli abitanti autoctoni, sia degli immigrati musulmani. Chiedendo

ai 105 partecipanti autoctoni se conoscevano la moschea di … è infatti emerso che solo il 16% la

conosce, il 59% ne ha sentito parlare e il 25% non ne è a conoscenza. Tra i 19 partecipanti di

origine nord-africana 2 hanno dichiarato di non frequentare la Moschea, 3 di frequentarla solo

raramente, 5 qualche volta e 9 spesso. Tra coloro che frequentano la Moschea 7 hanno un ruolo

attivo nell’organizzazione delle attività.

Ambivalenti sono le immagini personali che gli autoctoni hanno associato alla Moschea attraverso

la tecnica delle libere associazioni (Che cosa rappresenta per lei la Moschea di …?): al di là del

numero non irrilevante di partecipanti che ha preferito non rispondere (pari al 19%), molteplici e

contrastanti sono le opinioni emerse. Se quasi più di tre quarti dei soggetti riconoscono la

Moschea nelle sue funzioni di luogo di ritrovo e di preghiera, non mancano le preoccupazioni per

questo luogo considerato come pericoloso e quindi da tenere sotto controllo da quasi 4 soggetti su

10 che hanno risposto, o anche un luogo da chiudere in quanto ritenuto inutile ed inconcepibile da

quasi un soggetto su 3, così come non mancano le inferenze riguardo alle possibili attività

alternative in essa svolte (13%), i giudizi negativi sull’impatto fisico-ambientale della struttura

(11%) e quelli associati a sentimenti invasione, intrusione e paura (tabella 5).

Sul versante degli atteggiamenti, gli immigrati nord-africani sembrano avere consapevolezza delle

preoccupazioni espresse dalla popolazione autoctona. Come si può vedere dal grafico 3 essi

ritengono abbastanza vero che gli abitanti locali considerano la Moschea non semplicemente

come un luogo di ritrovo e di preghiera per immigrati musulmani, ma anche come un luogo da

tenere sotto controllo e di richiamo per altri musulmani della zona, di ritrovo per clandestini,

nonché un problema in più per il paese. Non sono invece convinti che gli abitanti locali possano

considerare la Moschea anche promotrice di attività culturali che possano essere di interesse

anche per la popolazione locale.

19

Tabella 5. Immagini associate alla Moschea del paese dagli abitanti autoctoni (valori assoluti e percentuali)

N. % Luogo di ritrovo, di aggregazione e di incontro 64 76,2

Luogo giusto, utile e necessario 12 14,3

Indifferenza, disinteresse, non so 11 13,1

Luogo culto preghiera 69 82,1

Luogo da chiudere, inutile e inconcepibile 24 28,6

Luogo pericolo da tenere sotto controllo 37 44,0

Aspetti fisici, territoriali ed architettonici (brutta) 9 10,7

Attività diverse da quelle religiose (politiche) 11 13,1

Invasione, intrusione, paura 11 13,1

Un luogo segreto 3 3,6

Altro 8 9,5

Qualcosa di esterno alla nostra cultura 10 11,9

Totale

84 100,0

Grafico 3. Atteggiamenti della popolazione locale nei confronti della Moschea secondo il punto di

vista degli immigrati nord-africani (valori medi; range 1 = per niente vero, 4 = molto vero)

Pochi sono infine i soggetti autoctoni che dichiarano di non ricordare l’evento relativo alle

intercettazioni di una presunta cellula terroristica nel paese (10,6%) anche se solo il 36,5% dichiara

di ricordarlo bene, il 47,1% di ricordarlo anche se non nei dettagli e il 5,8% di non ricordarlo perché

all’epoca dei fatti non abitava ancora nel paese. Dei membri della comunità musulmana nessun

soggetto ha dichiarato di ricordare bene l’evento, 9 di ricordarlo anche se non nei dettagli e 8 di

2,44

3,39

2,89

1,78

2,56 2,672,83

2,5 2,612,78

1

1,5

2

2,5

3

3,5

4

7.1

Un

a risorsa p

er il paese

7.2

Un

luo

go d

i ritrovo

per i

mu

sulm

ani d

ella zon

a

7.3

Un

luo

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trollo

7.4

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luo

go ch

e pro

mu

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attività cultu

rali di p

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itanti n

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i …

7.5

Un

luo

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l'illegalità (cland

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enti falsi)

7.6

Un

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aese

7.7

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migrati m

usu

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i …

7.8

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7.9

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7.1

0 U

n lu

ogo

di p

reghiera

per i m

usu

lman

i

20

non lo ricorda affatto. Solo 1 partecipante all’epoca non abitava ancora nel paese all’epoca del

fatto.

Come si può notare nel grafico 4, a fronte di tale evento sono i partecipanti immigrati a ritenere

significativamente di più degli autoctoni che gli abitanti del paese si siano in quell’occasione sentiti

solidali con la comunità musulmana (Z = -2,17, p = .032)3, che abbiano anche cercato di ribadire

l’estraneità dei membri di tale comunità rispetto ai fatti denunciati (Z = -2,41, p = .015) e che a

seguito dell’evento si siano modificati i rapporti tra popolazione autoctona ed immigrata (Z = -

2.25, p = .025). Sono sempre gli immigrati a dichiarare significativamente di più di quanto non

abbiano dichiarato gli autoctoni di essersi sentiti più coinvolti nelle attività del paese (Z = -2,23, p =

.029). A fronte di tale atteggiamento di fiducia espresso dai partecipanti immigrati, gli abitanti

locali autoctoni hanno al contrario evidenziato significativamente di più dei primi come a seguito

dell’evento le loro famiglie si siano sentite più minacciate (Z = -2,55, p = .009).

Grafico 4. Opinioni sulle conseguenze dell’evento accaduto nel dicembre 2003 (confronto

autoctoni immigrati, ranghi medi)

In conclusione anche le opinioni direttamente espresse dalla popolazione locale lasciano emergere

un certo grado di discordanza in merito al significato attribuito alla notizia circa l’esistenza di una

possibile cellula terroristica nel paese. Tale discrepanza tende a confermare le posizioni assunte

dai rappresentanti delle due comunità (iman e parroco), e con esse anche una certa resistenza da

3 Test di U-Mann Whitney con significatività esatta a due code

1

11

21

31

41

51

61

71

Gli ab

itanti d

i ... son

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solid

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un

ità m

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un

ità m

usu

lman

a e la po

po

lazion

e del

paese **

Autoctoni

Immigrati

21

parte degli abitanti autoctoni all’integrazione degli immigrati nord-africani, resistenza ancorata

soprattutto ad un sentimento di minaccia all’incolumità degli abitanti del paese. La consapevolezza

che gli immigrati hanno mostrato riguardo alle opinioni e agli atteggiamenti della popolazione

locale nei loro confronti, potrebbe d’altro canto essere una delle possibili conseguenze generate

dai toni allarmistici e stigmatizzanti riscontrati nella stampa locale.

3.2 Le strategie di acculturazione e i processi di identificazione culturale degli immigrati nord-

africani: punti di vista confronto

Per confrontare le strategie di acculturazione e gli esiti dei processi di identificazione

culturale che gli autoctoni pensano gli immigrati mettano in atto con quelle effettivamente

dichiarate dagli immigrati stessi, sulla base delle risposte fornite da entrambi i sottocampioni alle

diverse scale del questionario sono stati costruiti alcuni indicatori di sintesi che vengono presentati

nei grafici 5, 6, 74.

Per quanto riguarda le pratiche di acculturazione legate agli aspetti più prettamente culturali

(grafico 5), i confronti statistici non parametrici effettuati attraverso il test di U-Mann Whitney,

hanno messo in evidenza l’esistenza di differenze significative tra le pratiche che gli immigrati

nord-africani dichiarano di adottare nella loro vita di tutti i giorni e quelle che invece i partecipanti

autoctoni pensano che gli immigrati di origine araba stiano adottando nel paese che li ospita. In

particolare, come si può notare dal grafico, i partecipanti autoctoni presumono che gli immigrati di

origine araba facciano uso pubblico e privato, scritto e orale, della loro lingua di origine (Z = -5,22,

p = .000); seguano le loro tradizioni (nel il modo di vestirsi, di nutrirsi, nello loro preferenze

musicali) e festività (Z = -3,93, p = .000) ; partecipino alle funzioni della religione musulmana (Z = -

7,26, p = .000) e ricerchino attivamente notizie su ciò che accade nel loro paese di origine (Z = -

2,83, p = .004), significativamente più spesso di quanto gli stessi immigrati arabi dichiarino di fare.

I partecipanti immigrati, invece, dichiarano al contrario di seguire le tradizioni culturali italiane

significativamente più spesso di quanto i “nativi” pensano (Z = -2,83, p = .004) e più in generale di

essere più vicini alla cultura italiana di quanto gli italiani riferiscono.

4 Gli indicatori rappresentano la media ponderata delle risposte fornite agli item che compongono ciascuna scala.

22

Grafico 5. Frequenza delle pratiche linguistiche, religiose e culturali: confronto autoctoni –

immigrati (ranghi medi)

Grafico 6. Frequenza delle pratiche relazionali: confronto autoctoni – immigrati (ranghi medi)

Lo stesso andamento si riscontra rispetto alle pratiche relazionali. I dati (grafico 6) hanno

mostrato, infatti, che gli autoctoni pensano che gli immigrati di origine araba frequentino amici e

conoscenti della loro stessa nazionalità (Z = -4,49, p = .000), partecipino ad attività sociali

organizzate dai membri della comunità musulmana (Z = -4,16, p = .000) e tendano ad utilizzare

servizi e medici della loro stessa nazionalità (Z = -1,82, p = .07), significativamente più spesso di

quanto gli immigrati hanno dichiarato di fare. Al contrario gli immigrati hanno affermato di avere

1

11

21

31

41

51

61

71

81

Lingu

a: italiano

Lingu

a: arabo

***

Tradizio

ni

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rali, usi:

italiani **

Tradizio

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rali, usi:

arabi ***

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cattolica

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Info

rmazio

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italiana

Info

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attualità: arab

a **

Autoctoni

Immigrati

1

11

21

31

41

51

61

71

81

Amicizie e conoscenze

italiane

Amicizie e conoscenze arabe ***

Partecipazione ad attività ed associazioni

italiane

Partecipazione ad attività ed associazioni arabe ***

Utilizzo di servivi e medici

italiani

Utilizzo di servizi e medici

arabi

Autoctoni

Immigrati

molti più contatti e relazioni con le persone italiane di quant

le differenze non risultano in questo caso statisticamente significative.

Le analisi effettuate sugli esiti dei

andamento diverso (figura 7). Rispetto alla vicinanza/distanza culturale percepita, utilizzata come

indicatore dell’autocategorizzazione e misurata attraverso la percezione della

distanza/sovrapposizione tra le due comunità (quella autoctona e quella musulmana), sono gli

autoctoni significativamente di più degli immigrati a percepire una maggiore vicinanza tra le due

culture (Z = -2,78, p = .005). Chiedendo ai partecipanti di collocarsi tra

persone provenienti dai paesi arabi che

(figura 2) come nessuno dei partecipanti immigrati abbia collocato se stesso/a tra gli abitanti

autoctoni del paese, mentre solo l’1% dei partecipanti italiani abbia piazzato se stesso/a tra gli

immigrati che vivono nel paese.

immigrati (15%) a collocarsi nel mezzo, cioè nell’area di intersezione tra le due comunità.

Figura 2. Autocollocazione dei soggetti rispetto alle due com

Tornando ad analizzare le dimensioni dei processi di identificazione (grafico 7), i dati hanno

evidenziato come i partecipanti immigrati tendano a sentirsi significativamente meno orgogliosi

delle loro origini culturali (Z = 3,90, p = .000

= .000) rispetto a quanto non si sentano gli abitanti autoctoni

appartenenza (italiani). E’ importante evidenziare comunque che per 13

19, il legame emotivo con il proprio gruppo di origine culturale

emotivo con gli italiani (Wilcoxon, Z = 3,21, p = .000)

23

molti più contatti e relazioni con le persone italiane di quanto gli autoctoni immaginano, anche se

le differenze non risultano in questo caso statisticamente significative.

sugli esiti dei processi di identificazione hanno tuttavia evidenziato un

(figura 7). Rispetto alla vicinanza/distanza culturale percepita, utilizzata come

indicatore dell’autocategorizzazione e misurata attraverso la percezione della

distanza/sovrapposizione tra le due comunità (quella autoctona e quella musulmana), sono gli

toctoni significativamente di più degli immigrati a percepire una maggiore vicinanza tra le due

2,78, p = .005). Chiedendo ai partecipanti di collocarsi tra gli abitanti locali e

persone provenienti dai paesi arabi che vivono nel paese (secondo reattivo grafico), si può notare

(figura 2) come nessuno dei partecipanti immigrati abbia collocato se stesso/a tra gli abitanti

mentre solo l’1% dei partecipanti italiani abbia piazzato se stesso/a tra gli

nel paese. E’ interessante notare che sono più gli autoctoni (28%) che gli

immigrati (15%) a collocarsi nel mezzo, cioè nell’area di intersezione tra le due comunità.

Figura 2. Autocollocazione dei soggetti rispetto alle due comunità (valori percentuali

Tornando ad analizzare le dimensioni dei processi di identificazione (grafico 7), i dati hanno

evidenziato come i partecipanti immigrati tendano a sentirsi significativamente meno orgogliosi

3,90, p = .000) e meno legati al proprio gruppo culturale (Z =

rispetto a quanto non si sentano gli abitanti autoctoni in riferimento al loro gruppo di

E’ importante evidenziare comunque che per 13 partecipanti immigrati

l proprio gruppo di origine culturale è risultato

Wilcoxon, Z = 3,21, p = .000).

o gli autoctoni immaginano, anche se

hanno tuttavia evidenziato un

(figura 7). Rispetto alla vicinanza/distanza culturale percepita, utilizzata come

indicatore dell’autocategorizzazione e misurata attraverso la percezione della

distanza/sovrapposizione tra le due comunità (quella autoctona e quella musulmana), sono gli

toctoni significativamente di più degli immigrati a percepire una maggiore vicinanza tra le due

gli abitanti locali e/o le

secondo reattivo grafico), si può notare

(figura 2) come nessuno dei partecipanti immigrati abbia collocato se stesso/a tra gli abitanti

mentre solo l’1% dei partecipanti italiani abbia piazzato se stesso/a tra gli

E’ interessante notare che sono più gli autoctoni (28%) che gli

immigrati (15%) a collocarsi nel mezzo, cioè nell’area di intersezione tra le due comunità.

nità (valori percentuali)

Tornando ad analizzare le dimensioni dei processi di identificazione (grafico 7), i dati hanno

evidenziato come i partecipanti immigrati tendano a sentirsi significativamente meno orgogliosi

) e meno legati al proprio gruppo culturale (Z = -4,46, p

in riferimento al loro gruppo di

partecipanti immigrati su

risultato maggiore del legame

24

Grafico 7. Dimensioni del processo di identificazione con il proprio gruppo di origine: confronto

autoctoni/immigrati (media dei ranghi)

Questi risultati sembrano quindi confermare l’esistenza di un elevato grado di discrepanza tra ciò

che gli abitanti autoctoni si aspettano dagli immigrati e ciò che, invece, gli stessi immigrati nord-

africani dichiarano di fare. Tale discrepanza riguarda sia le pratiche culturali e relazionali messe in

atto dagli immigrati nel contesto ospitante che risultano molto più orientate all’integrazione d

quanto gli autoctoni suppongono, sia i modi attraverso i quali gli uni e gli altri si rappresentano la

vicinanza/distanza tra i due diversi “mondi” culturali e rappresentano se stessi all’interno del

contesto multiculturale in cui vivono che risultano invece molto più vicine alla separazione che

all’integrazione. I processi di identificazione mettono anche in evidenza come a fronte di un forte

attaccamento emotivo con il proprio gruppo di appartenenza, gli immigrati più degli italiani

facciano tuttavia fatica a ricavare da tale appartenenza un senso positivo di sé.

4. Discussione

L’obiettivo di questo studio era quello di rileggere alcuni dei più recenti modelli sui processi di

acculturazione nell’ottica della psicologia culturale. A tale scopo l’attenzione è stata focalizzata

sulla ricostruzione dei significati attribuiti a due eventi che hanno attraversato una piccola

comunità locale con l’obiettivo di vedere se e come la ricostruzione simbolica di questi eventi

possa avere contribuito a strutturare le relazioni tra autoctoni ed immigrati musulmani.

I risultati ottenuti dai tre diversi studi sembrano sostanzialmente concordare nel descrivere una

situazione in cui i rapporti tra autoctoni ed immigrati – in questo caso di origine araba –

evidenziano segnali di problematicità. Un primo segnale di tale problematicità è stato riscontrato

1

21

41

61

81

Autocategorizzazione ** Legame emotivo *** Autostima (personale e collettiva) ***

Autoctoni

Immigrati

25

nelle posizioni con cui i rappresentanti della comunità locale hanno affrontato le questioni loro

poste. Dal primo studio è infatti emerso come l’apertura della moschea e i fatti che sono seguiti,

da un lato abbiano suscitato nuove preoccupazioni per la popolazione locale, dall’altro abbiano

portato gli immigrati ad assumere posizioni di difesa nei confronti della comunità locale. E’

presumibile ipotizzare che tali posizioni difensive possano avere contribuito a strutturare quella

rappresentazione poco positiva dei rapporti tra autoctoni ed immigrati riportata in particolare dal

parroco dal paese. Pur non riconducendoli come direttamente collegati ai fatti accaduti, i rapporti

tra autoctoni ed immigrati vengono infatti dai lui descritti come difficili ed ostacolati soprattutto

dall’atteggiamento di chiusura e di separazione mantenuto dagli immigrati anche a fronte

dell’apertura invece mostrata da alcuni abitanti locali. Questo tipo di interpretazione sembra

d’altro canto trovare alcune conferme nelle risposte fornite dagli abitanti locali. I risultati ottenuti

dai due reattivi grafici hanno infatti chiaramente dimostrato l’esistenza di due posizioni

contrapposte: più orientata a percepire il proprio gruppo e se stessi come separati dal contesto

ospitante quella degli immigrati di origini nord-africane e, invece, più propensa ad immaginare

confini più sfumati e a collocare se stessi “tra” le due culture quella dei partecipanti italiani.

Ma è forse la notizia della scoperta di una presunta cellula terroristica nel paese l’evento che ha

contribuito a modificare maggiormente i rapporti tra immigrati e popolazione autoctona. Pur

riconoscendo l’atteggiamento di solidarietà e di vicinanza mostrato dagli abitanti del paese in

quell’occasione, emerge da parte degli immigrati contattati una chiara consapevolezza del senso di

minaccia che questo evento ha generato nelle famiglie italiane e a cui, presumibilmente, i media

locali hanno in buona parte contribuito. Tutti i dati a questo proposito raccolti attraverso il

secondo studio sembrano descrivere, infatti, una situazione in cui buona parte contenuti degli

articoli sono orientati a creare allarmismo tra gli abitanti autoctoni e a stigmatizzare i membri della

comunità musulmana presente nel paese. Tra gli altri indicatori, il ricorrente riferimento degli

articoli alle dimensioni culturali, religiose o legate alla non cittadinanza dei presunti terroristi o

comunque degli immigrati musulmani, costituisce un chiaro segnale di un processo di reificazione

culturale destinato a consolidare nella popolazione locale immagini stereotipate e atteggiamenti

pregiudizievoli.

In sintesi i dati raccolti ci descrivono quindi una situazione locale in cui alla preoccupazione

allarmistica veicolata dai media e ai tentativi di stigmatizzazione dei membri della comunità

musulmana, si associano sentimenti di discriminazione da parte dei musulmani consapevoli di

generare negli autoctoni paure e un senso di minaccia. Questo tende a portare gli stessi immigrati

26

ad una chiusura nei confronti della comunità locale, chiusura che se da un lato può in parte

spiegare la scarsa conoscenza che gli autoctoni hanno dimostrato di avere dei modi di vivere della

comunità musulmana ritenendoli molto più orientati alla messa in atto delle proprie “pratiche”

culturali (separati) di quanto in realtà gli stessi non abbiano dichiarato di fare, dall’altro è in

contrasto con quelle aspettative di integrazione che gli autoctoni hanno espresso nei loro

confronti. Come suggeriscono alcuni modelli sui processi di acculturazione di Bourhis et al., 1997;

Piontkowski et al., 2000; Navas et al., 2005), la non congruenza tra l’orientamento della società

ospitante e quello delle minoranze immigrate tende a generare relazioni interetniche

problematiche o conflittuali. Considerando i risultati ottenuti dal terzo studio è possibile ipotizzare

che le relazioni tra comunità immigrata ed autoctoni nel contesto considerato siano caratterizzate

da un certo grado di problematicità. Questa ipotesi ha trovato alcune conferme nei risultati emersi

anche dagli altri due studi effettuati i quali hanno descritto una situazione che lascia intravedere

una sorta di chiusura e di sostanziale incomunicabilità tra le due culture. Nel confermare quindi le

previsioni dei più recenti modelli sui processi di acculturazione, i risultati di questa ricerca mettono

tuttavia anche in evidenza come un approccio più orientato ai presupposti della psicologia

culturale sia in grado di cogliere maggiormente gli aspetti dinamici del processo di costruzione e

negoziazione delle relazioni tra autoctoni ed immigrati all’interno di specifiche realtà contestuali.

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