giustiziasportiva · l’arbitrato è un istituto disciplinato dal codice di procedura civile...

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Anno III Pubblicazione numero 2 2007 GiustiziaSportiva.it Rivista Giuridica Direzione e Fondatori Enrico Crocetti Bernardi Antonino de Silvestri Enrico Lubrano Paolo Moro Jacopo Tognon Comitato di Redazione Giuseppe Agostini Alessia Bellomo Marco Mazzucato Emanuele Paolucci Michela Pigato Jacopo Tognon Direttore Responsabile Mario Liccardo _____________________________________________________________ Autorizzazione del Tribunale di Padova in data 1 ottobre 2004 al numero 1902 del Registro Stampa - Periodico quadrimestrale - 1

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Page 1: GiustiziaSportiva · L’arbitrato è un istituto disciplinato dal codice di procedura civile secondo il quale le parti, nell’ambito dei diritti disponibili, hanno la facoltà di

Anno III Pubblicazione numero 2 2007

GiustiziaSportiva.itRivista Giuridica

Direzione e Fondatori

Enrico Crocetti Bernardi Antonino de Silvestri

Enrico LubranoPaolo Moro

Jacopo Tognon

Comitato di Redazione

Giuseppe AgostiniAlessia Bellomo

Marco MazzucatoEmanuele Paolucci

Michela Pigato Jacopo Tognon

Direttore Responsabile

Mario Liccardo

_____________________________________________________________Autorizzazione del Tribunale di Padova in data 1 ottobre 2004

al numero 1902 del Registro Stampa- Periodico quadrimestrale -

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INDICE DEL FASCICOLO 2°

PARTE PRIMA

DOTTRINA

SAMUELE DALLA MORA, L’ arbitrato tra ordinamento sportivo e ordinamento generale, alla luce del vincolo di giustizia e della clausola compromissoria

pag. 4

GIOVANNI OLIVETTI, Il titolo sportivo: natura e tutela pag.18

VALERIO BERNARDI, L’ evoluzione dello status professionale del giocatore di calcio a 5

pag.56

PARTE SECONDA

NOTE A SENTENZA

MATTEO CAMPAGNARO, La responsabilità per le lesioni cagionate durante l'attività sportiva

pag.92

ALESSIO PISCINI, La crisi del calcio tra il terzo "caso Catania" e l'ennesimo rimedio all'Italiana

pag.106

PARTE TERZA

GIURISPRUDENZA

CASO LORBEK: Camera di conciliazione e arbitrato del CONI lodo 11 maggio 2007

pag.151

REGOLAMENTO AGENTI DI CALCIATORI: Tar Lazio, sez. III ter, ordinanza 19 luglio 2007

pag. 166

2

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PARTE PRIMADOTTRINA

SOMMARIO:

SAMUELE DALLA MORA, L’ arbitrato tra ordinamento sportivo e ordinamento generale, alla luce del vincolo di giustizia e della clausola compromissoria

pag. 4

GIOVANNI OLIVETTI, Il titolo sportivo: natura e tutela pag.18

VALERIO BERNARDI, L’ evoluzione dello status professionale del giocatore di calcio a 5

pag.56

3

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L’arbitrato tra ordinamento……

L’ ARBITRATO TRA ORDINAMENTO SPORTIVO E

ORDINAMENTO GENERALE, ALLA LUCE DEL VINCOLO

DI GIUSTIZIA E DELLA CLAUSOLA COMPROMISSORIA

di Samuele Dalla Mora (*)

Il ruolo dell’istituto arbitrale nell’ambito delle relazioni sportive è difficilmente definibile in

termini generali: esso infatti si articola in sotto-settori sovente molto specializzati.

Ecco perché in questa sede risulta fondamentale analizzare l’arbitrato all’interno della

giustizia sportiva partendo da una comparazione con l’omonimo istituto nell’ambito del diritto

processuale civile per poi passare ad un’analisi strutturale, includendo anche la clausola

compromissoria e il c.d. vincolo di giustizia, con un’attenzione peculiare ai problemi di

costituzionalità che sono sorti nei vari momenti.

In Italia infatti il favor arbitrale è attualmente meno vivace rispetto alla realtà comunitaria,

causa i più rigorosi limiti posti all’arbitrabilità. In una delle pronunce più recenti la Suprema Corte

ha ribadito l’essenzialità del requisito della disponibilità dei diritti in contesa, precisando senza

ombra di equivoco che le situazioni aventi ad oggetto interessi legittimi rientrano nell’esclusiva

competenza del Giudice Amministrativo, non potendo queste essere devolute ad un Collegio

Arbitrale.

Ciò nonostante, la vocazione verso la giustizia conciliativa è in costante progresso. Ne è prova

la recente creazione, con requisiti di novità, di un organismo preposto alla risoluzione

extragiudiziale delle vertenze sportive, chiamato ad operare nel rispetto dei principi di terzietà,

autonomia e indipendenza: si tratta della Camera di Conciliazione ed Arbitrato per lo Sport.

Senza volersi addentrare troppo nella tematica inerente alla composizione e alle funzioni

svolte dalla suddetta Camera bisogna innanzitutto inquadrare l’istituto dell’arbitrato

nell’ordinamento generale.

DOTTRINA4

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L’arbitrato tra ordinamento……

L’arbitrato è un istituto disciplinato dal codice di procedura civile secondo il quale le parti,

nell’ambito dei diritti disponibili, hanno la facoltà di attribuire il potere di decidere la loro

controversia a un terzo: questo non è un magistrato dell’ordinamento giudiziario, ma un soggetto

estraneo al quale le parti, per competenza, preparazione e fiducia attribuiscono tale potere.

Esistono due tipi di arbitrato: quello rituale e quello irrituale o libero (anche se c’è chi ritiene

tale distinzione non così netta1).

La differenza sostanziale è data dal fatto che nell’arbitrato rituale l’arbitro risolve la

controversia con un provvedimento che, una volta ricevuto l’exequatur da parte del Giudice

Ordinario2, è paragonabile a una sentenza vera e propria con efficacia esecutiva; nell’arbitrato

irrituale o libero, invece, l’arbitro è considerato un amichevole compositore della controversia che

non pone in essere un atto di natura giurisdizionale, ma di natura negoziale: questi compone la

controversia mediante un negozio giuridico che sia in grado di risolvere la vertenza a vantaggio

dell’una o dell’altra parte.

Pertanto il Giudice Ordinario eventualmente adito è tenuto a rigettare la domanda con

sentenza di rito, rilevata la presenza di una clausola compromissoria che attribuisce il potere di

decidere non a lui ma all’arbitro3.

Prima di passare all’analisi completa dell’istituto dell’arbitrato occorre inevitabilmente

introdurre i concetti di clausola compromissoria e vincolo di giustizia.

In ogni federazione sportiva nazionale è sempre presente una disposizione che, al fine di

salvaguardare l’autonomia dell’ordinamento sportivo da ingerenze esterne, impone ai tesserati, alle

società affiliate e a tutti gli organismi operanti nell’ordinamento sportivo, di osservare le norme

federali e di accettare le decisioni degli organi di giustizia sportiva.

L’ordinamento sportivo non attribuisce ai soggetti un diritto di avvalersi degli organi di

giustizia sportiva, ma un diritto-dovere, nel senso che, in base al principio del diritto di difesa,

chiunque vi abbia interesse potrà chiedere soddisfazione, ma questa istanza dovrà essere

esclusivamente rivolta agli organi di giustizia sportiva.

1 PUNZI C., “Le clausole compromissorie nell’ordinamento sportivo”, cit., pp. 243 ss.2 Per attribuire efficacia al lodo arbitrale, questo deve essere depositato presso il Tribunale e ricevere il c.d. exequatur da parte del Giudice Ordinario: in questo modo il lodo arbitrale acquista la forza di una sentenza vera e propria. L’art. 825 c.p.c. stabilisce che il Tribunale, accertata la regolarità formale del lodo, lo dichiara esecutivo con decreto.3 MANDRIOLI C., Corso di diritto processuale civile (editio minor), II edizione, 3 volumi, Torino, Giappichelli editore, 2002, pp. 295 ss.

DOTTRINA5

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Ai soggetti tenuti all’osservanza delle norme federali si impone quindi di adire il giudice

sportivo per dirimere le controversie sorte nell’ambito dell’ordinamento sportivo, a pena di

espulsione dallo stesso. Questo fenomeno è meglio conosciuto come “vincolo di giustizia”, secondo

il quale chi decide di far parte dell’ordinamento sportivo deve seguirne le regole, accettarne le

decisioni e adire, in caso di controversie, solo ed esclusivamente gli organi di giustizia sportiva4.

L’art. 27 dello Statuto Figc, titolato “Efficacia dei provvedimenti federali” stabilisce che:

“1. I tesserati, le società affiliate e tutti i soggetti, organismi e loro componenti, che svolgono

attività di carattere agonistico, tecnico, organizzativo, decisionale o comunque rilevanti per

l’ordinamento Federale, hanno l’obbligo di osservare il presente Statuto e ogni altra norma federale.

2. I soggetti di cui al comma precedente, in ragione della loro appartenenza all’ordinamento

settoriale sportivo o dei vincoli assunti con la costituzione del rapporto associativo, accettano la

piena e definitiva efficacia di qualsiasi provvedimento adottato dalla F.I.G.C., dai suoi organi o

soggetti delegati, nelle materie comunque riconducibili allo svolgimento dell’attività federale

nonché nelle relative vertenze di carattere tecnico, disciplinare ed economico”5.

La disposizione in esame impone ai soggetti aderenti alla federazione due precisi obblighi.

In primo luogo quello di accettare e rispettare le norme e i provvedimenti federali, a maggior

ragione nel nostro caso ove i soggetti passivi entrano a far parte della federazione volontariamente.

In secondo luogo viene imposto agli affiliati e ai tesserati delle organizzazioni sportive di

adire, per le controversie insorte tra gli stessi, esclusivamente gli organi federali.

Tale obbligo comporta la preclusione per i soggetti di cui sopra di rivolgersi per la risoluzione

delle controversie alle autorità giurisdizionali dello Stato, sanzionando addirittura con l’espulsione

dai quadri organizzativi l’inottemperanza a tale divieto.

Per alcune federazioni , tra le quali la Figc, il vincolo di giustizia è limitato alle controversie

tecniche e disciplinari. Il Consiglio di Stato6 infatti ha stabilito in una sua pronuncia che

“l’ordinamento sportivo nazionale, pur essendo dotato di ampi poteri di autonomia, autarchia e

autodichia, è derivato da quello generale dello Stato, nel senso più rispondente alla necessità di una

legittimazione democratica che ritrae dalla connessione organizzativa con le istituzioni statali, la

propria giuridicità”.

4 QUARANTA A., “Rapporti tra ordinamento sportivo e ordinamento giuridico”, in Riv. di diritto sportivo, 1979, pag. 39.5 BONOMI A., “L’ordinamento sportivo e la Costituzione”, in Quaderni costituzionali, 2005, fasc. 2, pp. 363 ss.6 Sent. Cons. Stato, sez. VI, 16 settembre 1998, n. 1257.

DOTTRINA6

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L’arbitrato tra ordinamento……

In questo senso il vincolo di giustizia può operare o nell’ambito strettamente tecnico sportivo,

come tale irrilevante per l’ordinamento generale, ovvero nell’ambito in cui ciò sia consentito dalla

natura disponibile degli interessi coinvolti. Non può operare invece nell’ambito degli interessi

legittimi, i quali, a causa del loro intrinseco legame con un interesse pubblico e in forza dei principi

sanciti dall’art. 113 Cost., sono insuscettibili di formare oggetto di rinunzia preventiva, generale o

temporalmente illimitata alla tutela giurisdizionale7.

Bisogna quindi richiamare la distinzione tra gli oggetti delle diverse controversie di giustizia

sportiva, cioè tra i vari procedimenti.

Infatti quando si afferma che i tesserati sono vincolati dalla “clausola compromissoria”, è

necessario sottolineare che tale clausola, di regola, appare pertinente alle controversie di ordine

economico che, secondo lo Statuto della Figc, devono essere obbligatoriamente risolte da Collegi

Arbitrali.

Sembra a questo punto fondamentale rettificare l’abitudine evidenziata dalla pratica a

equiparare, e quindi confondere, vincolo di giustizia e clausola compromissoria.

Solitamente infatti i due termini vengono usati in maniera speculare, tanto da individuare con

ciascuno di essi sia la preclusione per il tesserato di rivolgersi al giudice dello Stato, ordinario o

amministrativo, sia l’impegno a sottomettere alle regolamentate procedure arbitrali le liti e i

contrasti intervenuti nell’ambito sportivo con altri associati.

Questa confusione viene evidenziata anche da alcuni comportamenti, come a esempio quello

della Figc di far firmare, all’atto di iscrizione di una società al campionato di appartenenza, al suo

legale rappresentante e ai dirigenti con cariche operanti nell’ambito federale un documento titolato

“Clausola compromissoria”, nel quale è riprodotto il testo statutario relativo all’impegno ad

accettare la piena efficacia delle delibere degli organi federali nelle vertenze di carattere tecnico,

disciplinare ed economico. Tale impegno in realtà si atteggia a vincolo di giustizia e non a clausola

compromissoria.

Precisando dunque suddetta distinzione, il vincolo di giustizia obbliga gli associati a non

devolvere ai giudici dello Stato la cognizione delle controversie originate dall’attività sportiva,

realizzando come conseguente obbligo, detto appunto clausola compromissoria, quello di

sottomettere a Collegi Arbitrali le possibili controversie tra associati originatesi nell’ambito

dell’attività sportiva.

7 LUISO F. P., La giustizia sportiva, cit., pp. 45-46.

DOTTRINA7

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Quindi è facile cogliere che l’ambito soggettivo delle varie clausole compromissorie non è

mai esteso alle federazioni, con la conseguenza che mai vengono devolute alla cognizione di Arbitri

le controversie tra le stesse e i loro affiliati e tesserati, ma solo quelle che insorgono fra questi

ultimi8.

Negli Statuti e nei Regolamenti delle federazioni sportive nazionali è lecito individuare un

generale divieto, vincolo di giustizia, per tesserati e affiliati di far ricorso alla giurisdizione statale,

ed esistono altresì clausole compromissorie che obbligano gli stessi soggetti a rimettere a un

giudizio arbitrale le controversie non devolute agli organi federali. In definitiva non tutte le

controversie genericamente rientranti nelle competenze delle giurisdizioni sportive possono

atteggiarsi, e vanno quindi considerate, arbitrabili, “cioè sottoponibili a cognizione e soluzione

nell’ambito di un procedimento arbitrale”9, pur risultando tutte, almeno nelle intenzioni, sottratte

alla giurisdizione statale.

Dopo aver richiamato che le federazioni nazionali sportive sono ormai considerate, nonché

esplicitamente dichiarate dal D.Lgs. 242/99, come soggetti aventi personalità giuridica di diritto

privato, con alcuni compiti di valenza pubblicistica, si deve capire che ruolo hanno il vincolo di

giustizia e la clausola compromissoria nei vari tipi di giustizia.

Durante l’arco dello scorso cinquantennio la volontà dell’ordinamento sportivo di ridurre al

minimo le intromissioni provenienti dall’esterno non ha avuto una grande affermazione perché la

giustizia ordinaria ha sempre cercato con forza di ingerirsi nel fenomeno sportivo, specialmente con

riguardo alle controversie di ordine disciplinare ed economico. Finalmente le Sezioni Unite della

Corte di Cassazione sono intervenute in proposito10 stabilendo che, per quanto attiene alla giustizia

di tipo tecnico, le decisioni prese dagli organi di giustizia sportiva di una federazione riconosciuta

dal CONI, in sede di verifica della regolarità di una competizione sportiva e in applicazione delle

norme tecniche che determinano il risultato della competizione stessa, non portano ad alcuna

lesione di diritti soggettivi o di interessi legittimi, con la conseguenza che la giurisdizione è sempre

ed esclusivamente dell’ordinamento sportivo e, precisamente, del Giudice Unico Federale.

In questa tipologia di giustizia resta quindi esclusa la possibilità di adire il giudice statale,

con piena operatività del vincolo di giustizia, nonché la possibilità di devolvere ad arbitri eventuali

controversie.

8 PUNZI C., “Le clausole compromissorie nell’ordinamento sportivo”, in Riv. di diritto sportivo, 1987, pag. 239.9 PERSICHELLI C., “Le materie arbitrabili all’interno delle competenze della giurisdizione sportiva”, in Riv. di diritto sportivo, 1996, pag. 707.10 Sent. Cass. SS. UU. 26 ottobre 1989, n. 4399.

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Il discorso per il giudizio disciplinare è un po’ più complesso, perché parte dalla l. 426/42, la

quale definiva le federazioni sportive nazionali come “organi del CONI”, attribuendo loro delle

funzioni di carattere indubbiamente pubblicistico.

Ora questa legge è stata abrogata dal decreto Melandri, che ha attribuito alle federazioni di cui

sopra “natura di associazione con personalità giuridica di diritto privato” (art. 15, comma secondo,

del D.Lgs. 242/99). Ciò non toglie che secondo dottrina e giurisprudenza le federazioni sportive

nazionali siano dotate di una “doppia natura” (sentenza 4399/89 della Corte di Cassazione Sezioni

Unite); la citata sentenza dichiara che “le federazioni sportive, pur avendo natura prevalente di

soggetti privati, partecipano tuttavia della natura pubblica del CONI di cui sono organi nello

svolgimento di certe attività che tendono a un fine coincidente con quello istituzionale del CONI,

mentre tutte le altre attività delle federazioni restano attratte nell’orbita privatistica”.

Proprio in ragione di questa ”pubblicizzazione”, le federazioni sportive nazionali sono state

ritenute dalla giurisprudenza prevalente come organi del CONI e i loro regolamenti considerati

come atti normativi.

In sede operativa ne è conseguita l’equiparazione dei provvedimenti posti in essere da un

organo della federazione ai provvedimenti amministrativi emanati dagli enti pubblici e, come tali,

soggetti all’impugnazione davanti al Giudice Amministrativo statale, ciò a prescindere dal vincolo

di giustizia federale. Sul punto la giurisprudenza ha infatti rilevato che il vincolo di giustizia non

può trovare applicazione per la tutela degli interessi legittimi i quali, in considerazione del loro

legame con il pubblico interesse “sono insuscettibili di formare oggetto di una rinuncia preventiva,

generale e temporalmente illimitata, alla tutela giurisdizionale”11.

I provvedimenti disciplinari si riferiscono a situazioni soggettive protette qualificabili come

interessi legittimi in relazione alle quali la giurisprudenza amministrativa ha introdotto una

distinzione basata sulla diversa efficacia delle sanzioni nei confronti dei soggetti che ne sono

colpiti.

La distinzione tra i due tipi di giustizia esaminati consente di trarre conclusioni di certezza sul

problema dell’arbitrabilità della giustizia disciplinare, escludendo che possa venir devoluta a

Collegi Arbitrali, per il sicuro vincolo di indisponibilità, tutta la materia attratta dalla competenza

del Giudice Amministrativo, lasciando aperto, almeno allo stato delle cose, l’interrogativo

concernente gli altri tipi di provvedimenti.

11 Sent. Cons. Stato, sez. VI, 30 settembre 1995, n. 1050.

DOTTRINA9

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Anche se sembra debba propendersi per una risposta negativa anche in questo secondo caso,

dovendosi escludere che in queste situazioni il vincolo di giustizia possa configurarsi come una

sorta di clausola compromissoria e quindi la decisione dei relativi organi federali come un arbitrato.

Tralasciando qualsiasi approfondimento sul giudizio amministrativo, che non è rilevante per

l’indagine in corso, si prende in esame la giustizia economica. In questo ambito il vincolo di

giustizia si configura come clausola compromissoria e non presenta profili di illiceità riguardando

diritti indisponibili: l’arbitrato con cui vengono decise integra una legittima deroga alla competenza

del Giudice Ordinario. Va precisato che in queste ipotesi il vincolo di giustizia più che operare,

impone e favorisce la clausola compromissoria contenuta nell’atto di associazione che ne integra

estremi e caratteristiche. Con la clausola compromissoria, solitamente sottoscritta all’atto di

tesseramento, le parti si impegnano, in via preventiva, ad affidare ad arbitri le liti che potranno

insorgere tra tesserato e federazione e nascenti dal rapporto stesso.

In conclusione la giustizia tecnica prevede una assoluta e totale operatività del vincolo di

giustizia; nella giustizia disciplinare il vincolo di giustizia opera solo in alcuni casi, meglio

specificati con la l. 280/03 (legge di conversione del D.L. 19 agosto 2003, n. 220) e infine la

giustizia economica fa sì che il vincolo di giustizia permetta alla clausola compromissoria, che

opera “solo per le controversie a contenuto patrimoniale”12,di esplicarsi nella sua piena efficacia.

Nella prassi è quindi accaduto che con il termine “clausola compromissoria” si sia indicata

genericamente la posizione nella quale si trova l’atleta nei confronti della federazione,

ricomprendendo anche la preclusione che allo stesso viene imposta di rivolgersi al giudice statale

per vicende che attengono a questioni di diversa natura rispetto a quella economica.

La clausola compromissoria è senza dubbio dotata del carattere della specialità, in quanto

opera non all’interno dell’ordinamento generale, ma di quello sportivo, che si preoccupa di

assicurare e tutelare il corretto svolgimento delle competizioni sportive e di tutte quelle attività

connesse con l’attività sportiva.

Il vincolo di giustizia costituisce sostanzialmente una vera e propria barriera tra l’ordinamento

sportivo e quello statale, fatta eccezione per alcune categorie di controversie che non possono essere

sottratte alla cognizione dell’autorità giurisdizionale dello Stato. Il riferimento è ovviamente per le

questioni inerenti la tutela di diritti indisponibili e degli interessi legittimi, che non possono

comunque ritenersi sottratti alla cognizione del giudice statale.

12 FIATA E., “Giustizia sportiva e ordinamento statale”, in ADL (Argomenti di Diritto del Lavoro), 2002, fasc. 3, pag.900.

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In definitiva si può affermare che la clausola compromissoria comporta, in linea generale,

l’obbligo per gli affiliati alle organizzazioni sportive, di accettare e rispettare le norme e i

provvedimenti federali, nonché, per le controversie insorte tra di essi, di adire esclusivamente gli

organi della federazione.

Allora quali sono a questo punto i limiti di operatività della clausola compromissoria?

La giurisprudenza ha più volte affermato che il vincolo di giustizia può liberamente operare o

nell’ambito strettamente tecnico-sportivo e, come tale irrilevante per l’ordinamento dello Stato,

ovvero nell’ambito dei diritti disponibili13.

Un diritto si considera indisponibile quando “lo stesso è inalienabile inter vivos, non

trasmissibile mortis causa, irrinunciabile, impignorabile e inusucabile.

Sono considerati disponibili, invece, quei diritti soggettivi sui quali può esercitarsi, senza

limitazione, l’autonomia dei soggetti che ne sono titolari”14. Sono perciò indisponibili, secondo la

dottrina prevalente, perché tesi a soddisfare un interesse che trascende quello del titolare, i

cosiddetti diritti della personalità (diritto al nome, all’onore, all’integrità fisica, alla salute,ecc.),

nonché il diritto al lavoro e alla retribuzione sufficiente, in quanto connessi con la realizzazione del

pieno sviluppo della persona umana15.

In definitiva sembra doversi ritenere che il vincolo di giustizia non comporti alcuna

preclusione, per gli affiliati alle federazioni sportive, di adire il giudice statale ogniqualvolta si

lamenti la lesione di un diritto soggettivo indisponibile ovvero si contesti il non corretto esercizio di

un potere pubblicistico in relazione al quale un soggetto vanta una posizione di interesse legittimo16.

Per ciò che concerne invece l’analisi dell’arbitrato all’interno dell’ordinamento sportivo si

pone l’attenzione sull’ambito soggettivo e oggettivo, nonché sulla sua qualificazione, cioè se sia da

considerare rituale o libero.

L’ambito soggettivo dell’arbitrato, se si analizza il testo delle clausole compromissorie

inserite nei vari Statuti e Regolamenti organici delle singole federazioni, non appare mai esteso alle

federazioni, ma è limitato agli enti e agli altri soggetti federali, cioè società e associazioni affiliate,

nonché ai soggetti che, svolgendo la loro attività nell’organizzazione federale, vengono tesserati.

Per quanto concerne invece l’ambito oggettivo sorge un problema di rapporti tra la competenza dei

Collegi Arbitrali e la competenza degli organi di giustizia sportiva; problema che si risolve con

13 Consiglio di Giustizia Amministrativa Reg. Sicilia, ordinanza 9 ottobre 1993, n. 536.14 SANINO M., Diritto sportivo, cit., pag. 468.15 RUOTOLO M., “Giustizia sportiva e Costituzione”, in Riv. di diritto sportivo, 1998, pp.414 ss.16 Cfr. Cassaz. SS. UU., 29 settembre 1997, n. 597; Cons. Stato, sez. VI, 30 settembre 1995, n.1050; Trib. Catania, 4 agosto 1994 e 27 agosto 1994; TAR Lazio, sez. III, 23 giugno 1994, nn. 1361, 1362, 1363

DOTTRINA11

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L’arbitrato tra ordinamento……

“l’attribuzione agli arbitri delle controversie che non rientrano nella competenza degli organi

previsti dai regolamenti federali”17. Ci si trova di fronte a un evidente caso di competenza residuale.

L’art. 64 del Regolamento organico della Figc impone agli associati e ai tesserati di deferire ai

Collegi Arbitrali “qualsiasi controversia che dovesse tra loro insorgere (…) per qualsiasi fatto o

causa”.

Una questione invece spesso dibattuta è quella relativa alla natura (o meglio qualificazione)

dell’arbitrato nell’ambito dell’ordinamento sportivo, ossia se si tratti di arbitrato rituale ovvero di

arbitrato irrituale.

La dottrina propende per la seconda opzione, in quanto nell’arbitrato rituale il lodo (così viene

chiamato il prodotto dell’arbitrato), ai fini della sua esecutività, deve essere depositato presso il

Tribunale e quindi, in un certo qual modo, uscire dall’ambito dell’ordinamento giuridico sportivo.

Questa eventualità non piace poiché lo scopo dell’ordinamento sportivo è quello di garantire la

propria indipendenza, la quale è posta in pericolo se l’esecutività di un provvedimento richiede

l’intervento del Giudice Ordinario. L’arbitrato irrituale, invece, non esige, per ottenere l’esecutività,

il deposito del lodo, in quanto questo non acquisisce la natura di sentenza e rimane nell’ambito

dell’ordinamento sportivo18.

Nonostante la riforma dell’istituto arbitrale (introdotta con la l. 9 febbraio 1983, n. 28) abbia

notevolmente ridotto la distinzione tra i due tipi di arbitrato, si deve propendere per la natura

irrituale dell’arbitrato sportivo, poiché anche il CONI, nel dettare i principi informatori degli Statuti

federali, si è espresso a favore di tale qualificazione, “in quanto non suscettibile di acquistare

l’efficacia di sentenza e di far esaurire le controversie entro la comunità sportiva”19.

La figura dell’arbitrato ha incontrato anche alcuni problemi: dalla incostituzionalità

dell’istituto, alla vessatorietà della clausola compromissoria.

Nel primo caso la Corte Costituzionale20 ha escluso che l’istituto in esame intacchi il principio

di unicità della giurisdizione e che la funzione arbitrale contraddica alla statualità della

giurisdizione, purchè derivi dalla libera volontà delle parti “litiganti”.

Si può osservare che la clausola compromissoria non costituisce una deroga alla giurisdizione

statale, quanto una forma di giustizia privata in tema di diritti disponibili; giustizia che si realizza

17 PUNZI C., “Le clausole compromissorie nell’ordinamento sportivo”, cit., pag. 239.18 Tale soluzione è stata avallata anche dalla giurisprudenza: sent. Cassaz. Civile, n. 12728/99.19 SANINO M., Diritto sportivo, cit., pag. 476.20 Sent. Corte Cost., 14 luglio 1977, n. 127, che ha enunciato in modo inequivocabile la facoltatività dell’arbitrato.

DOTTRINA12

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L’arbitrato tra ordinamento……

per volontà degli stessi privati che si avvalgono degli strumenti previsti nel nostro ordinamento in

tema di arbitrato.

Il tema della vessatorietà della clausola compromissoria porta a termine l’analisi

sull’arbitrato. L’ordinamento sportivo mira a mantenere al suo interno la risoluzione delle

controversie e per garantire questa forma di autonomia, nell’ambito delle vertenze di natura

economica, utilizza l’istituto della clausola compromissoria.

Questo potrebbe comportare che la decisione di adire la giustizia sportiva sia connaturata al

fatto di aver aderito all’ordinamento sportivo e non nasca da una libera scelta: il soggetto sceglie

liberamente di far parte dell’ordinamento sportivo, il quale sancisce l’osservanza di determinate

regole, tra le quali quella di adire il giudice sportivo per la risoluzione di eventuali controversie di

natura economica.

Ne consegue che l’atto di scelta è a monte, ossia nella volontà di far parte del mondo dello

sport con le sue regole21. Questa precisazione è molto rilevante poiché nel diritto statale la clausola

compromissoria è considerata una clausola vessatoria la cui efficacia viene subordinata alle

condizioni di cui agli artt. 1341 e 1342 del codice civile.

L’art. 1341 c.c. dice che “le condizioni generali di contratto predisposte da uno dei contraenti

sono efficaci nei confronti dell’altro, se al momento della conclusione del contratto questi le ha

conosciute o avrebbe dovuto conoscerle usando l’ordinaria diligenza.

In ogni caso non hanno effetto, se non sono specificamente approvate per iscritto, le

condizioni che stabiliscono, a favore di colui che le ha predisposte, limitazioni di responsabilità,

facoltà di recedere dal contratto o di sospenderne l’esecuzione, ovvero sanciscono a carico dell’altro

contraente decadenze, limitazioni, restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti coi terzi, tacita

proroga o rinnovazione del contratto, clausole compromissorie o deroghe alla competenza

dell’autorità giudiziaria”.

Ciò premesso poiché la clausola compromissoria, che sposta la competenza a giudicare dal

giudice statale all’arbitro, viene menzionata dall’art. 1341, secondo comma, c.c. tra le clausole

vessatorie, ci si chiede se all’atto del tesseramento il soggetto debba o meno accettare il contenuto

di questa clausola e, di conseguenza, sottoscriverla specificamente a pena di inefficacia della stessa.

Potrebbe infatti ipotizzarsi che un soggetto voglia far parte dell’ordinamento sportivo, ma non

voglia attribuire al giudice sportivo la competenza a dirimere un’eventuale controversia insorta con

la federazione.

21 Sent. Cassaz., sez. lavoro, 1 ottobre 2003, n. 11751.

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L’arbitrato tra ordinamento……

Una prima risposta si rifà al concetto stesso di ordinamento in quanto, l’ordinamento sportivo

è a partecipazione volontaria e facoltativa e chi decide di farvi parte deve osservare le norme in esso

presenti e operanti; da considerare che il carattere di vessatorietà della clausola compromissoria si

ricollega alla natura di contratti che contengono condizioni generali predisposte unilateralmente da

una delle parti, laddove, in questo caso si tratta invece di un atto di adesione a un ordinamento

sportivo costituito da norme e da organi predisposti per farle osservare.

Inoltre, essendo l’ordinamento una struttura associativa governata da regole proprie, la

giurisprudenza ha messo in chiara evidenza che l’art. 1341, secondo comma, c.c. non trova

applicazione nei contratti associativi, trovando applicazione solo per quanto attiene ai contratti di

tipo sinallagmatico22.

Ne consegue che non sarà necessaria una doppia sottoscrizione della clausola

compromissoria.

Inoltre la giursiprudenza23 ha ritenuto che nell’art. 1341, secondo comma, c.c. rientri solo

l’ipotesi dell’arbitrato rituale e non anche quella dell’arbitrato irrituale. Precisazione fondamentale,

stante il fatto che nell’ordinamento sportivo trova applicazione solo la seconda tipologia di

arbitrato.

L’art. 1342 invece stabilisce che “Nei contratti conclusi mediante la sottoscrizione di moduli o

formulari, predisposti per disciplinare in maniera uniforme determinati rapporti contrattuali, le

clausole aggiunte al modulo o al formulario prevalgono su quelle del modulo o del formulario

qualora siano incompatibili con esse, anche se queste ultime non sono state cancellate.

Si osserva inoltre la disposizione del secondo comma dell’articolo precedente”.

La giurisprudenza, come osservato prima, ha escluso l’applicabilità degli articoli 1341 e 1342

c.c. all’arbitrato sportivo sulla scorta di un duplice rilievo.

Innanzitutto è stato osservato che, nel caso di Statuti di associazioni di natura sportiva, non si

verte in ipotesi di condizioni generali di contratto predisposte da uno dei contraenti, né di contratti

conclusi mediante moduli o formulari.

Inoltre è stato messo in evidenza che l’art. 1341 c.c. si riferisce solo ai casi in cui è possibile

rilevare una contrapposizione di interessi, ove l’ambito sportivo invece può essere inquadrato nei

contratti di collaborazione24.

22 Sent. Cassaz. Civile, n. 4351/93.23 Sent. Cassaz. Civile, n. 10240/92; Sent. Cassaz. Civile, n. 2315/90.24 SANINO M., Diritto sportivo, cit., pag. 478.

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L’arbitrato tra ordinamento……

In definitiva una procedura di risoluzione di una controversia in materia di sport potrà essere

definita “arbitrato” solo ove siano riunite almeno due condizioni: una legata alle modalità di sua

organizzazione; l’altra collegata alla materia su cui essa interviene.

Definito in precedenza cosa si intende con la parola arbitrato, avvalendoci del diritto

processuale civile, si è notato che le caratteristiche di tale istituto possono essere ricondotte tanto

all’arbitrato rituale che a quello libero. Il secondo poi aggiunge ai caratteri procedimentali del

giudizio quelli sostanziali della transazione e non mira, come invece avviene per l’arbitrato rituale,

alla produzione di un atto giurisdizionale, suscettibile, se corredato dall’exequatur del Tribunale, di

esecuzione forzata.

Sulla base di tali precisazioni si può riassumere gli elementi costitutivi del meccanismo

arbitrale nei seguenti punti: a) carattere negoziale del fondamento del potere di giudizio; b) terzietà

dell’arbitro rispetto alle parti (questo viene considerato l’elemento determinante); c) osservanza di

particolari garanzie procedurali (uguaglianza tra le parti, principio del contraddittorio); d) funzione

sostitutiva della giurisdizione statale.

In presenza delle caratteristiche procedurali menzionate potrà aversi un vero e proprio

arbitrato sportivo.

Inoltre i meccanismi di tipo arbitrale, svolgendo una funzione potenzialmente sostitutiva della

giurisdizione statale, quando intervengono su questioni rilevanti per l’ordinamento generale e

suscettibili di definizione in via arbitrale, sono idonei a produrre risultati passibili di sanzione anche

nell’ordinamento giuridico dello Stato25.

Se l’arbitrato non svolge una funzione anche per l’ordinamento generale, gli effetti da esso

prodotti rimarranno confinati nell’ambito dell’ordinamento sportivo.

In relazione alle considerazioni appena svolte, si potrà parlare di “arbitrato in senso proprio”26

quasi esclusivamente in relazione a controversie economiche, cioè a quelle che mettono in gioco

interessi patrimoniali, quindi diritti disponibili per le parti, legati all’attività sportiva. Di tale

categoria fanno parte non solo le controversie relative al lavoro sportivo, ma anche quelle inerenti

l’esecuzione di un contratto commerciale legato al fenomeno sportivo (a esempio i contratti di

sponsorizzazione, il merchandising, ecc).

25 Cfr. PERSICHELLI C., “Le materie arbitrabili all’interno delle competenze della giurisdizione sportiva”, cit., pag. 702 ss., ove si richiama l’art. 806 c.p.c., in base al quale: “le parti possono far decidere da arbitri le controversie tra di loro insorte, tranne quelle previste negli articoli 429 e 459, quelle che riguardano questioni di stato e di separazione personale tra coniugi e le altre che non possono formare oggetto di transazione”; e l’art. 1966,secondo comma, c.c.: “la transazione è nulla se tali diritti, per loro natura o per espressa disposizione di legge, sono sottratti alla disponibilità delle parti”.26 Espressione usata da COCCIA M., DE SILVESTRI A., FORLENZA O., FUMAGALLI L., MUSUMARRA L., SELLI L., Diritto dello sport, cit., pag.136.

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L’arbitrato tra ordinamento……

E inoltre anche le controversie relative a pretese di risarcimento del danno subito da una

società affiliata avanzata nei confronti della federazione di appartenenza per avere quest’ultima

male applicato i suoi regolamenti (lodo 5 novembre 2002 del Collegio Arbitrale istituito nell’ambito

della Camera di Conciliazione e Arbitrato presso il CONI). Si è invece esclusa l’arbitrabilità, in

relazione all’art. 23 c.c. e all’art. 70 c.p.c., di una controversia avente a oggetto la validità di una

delibera assembleare di una federazione sportiva (lodo 11 luglio 2002).

Infine l’art. 4, quinto comma, della l. 91/81 (recante norme in materia di rapporti tra società e

sportivi professionisti) prevede espressamente che nel contratto di lavoro sportivo possa essere

prevista una clausola compromissoria attraverso la quale le controversie concernenti l’attuazione

del contratto e insorte tra la società e lo sportivo vengano devolute a un Collegio Arbitrale.

La norma prevede altresì che la stessa clausola debba contenere la nomina degli arbitri oppure

stabilirne il numero e il modo di nominarli.

In conclusione è innegabile che con l’istituzione della Camera di Conciliazione ed Arbitrato

per lo Sport si sia fatto un notevole passo avanti: ciò nonostante, anche in rapporto alla

conciliazione, permangono molte restrizioni normative che ne limitano la portata.

Come abbiamo visto inoltre lo stesso aspetto volontaristico dell’istituto arbitrale può essere

messo in discussione nei casi in cui l’atleta sottoscriva “indirettamente” la clausola compromissoria:

quando cioè egli si impegni al momento dell’adesione alla federazione a rispettarne lo Statuto, in

particolare nella parte in cui questo dispone l’arbitrabilità delle controversie future. In quest’ultimo

caso infatti, al di là della vexata quaestio relativa all’ammissibilità e ai limiti della sottoscrizione

per relationem della clausola compromissoria, ciò che rileva maggiormente è l’effettiva sussistenza

del consenso da parte dello sportivo, allorquando l’adesione alla federazione, e di conseguenza

l’accettazione della clausola arbitrale, non costituisca una libera scelta, ma un presupposto

irrinunciabile per l’esercizio dell’attività sportiva.

Senza nulla togliere alla specialità del settore sportivo, in definitiva l’arbitrabilità delle

controversie ad esso attinenti sarà più o meno estesa a seconda del contesto giuridico ove la

procedura arbitrale è radicata: su di essa verrà così a pesare, in un’ottica di sistema, il disarmonico

favore verso la giustizia privata che ancora rallenta lo sviluppo dell’arbitrato su scala mondiale.

Alla luce di quanto sopra argomentato si impone la conclusione che il tema della giustizia

sportiva non può prescindere da una riserva “a monte”, concernente lo status dell’arbitrato, quale

istituto generale, nell’ambito delle diverse giurisdizioni statali.

Tuttavia, come in ogni processo dialettico, esiste un meccanismo di azione-reazione.

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L’arbitrato tra ordinamento……

Ciò significa che, calcando l’acceleratore sull’arbitrato sportivo, fenomeno internazionale per

eccellenza, si verrà a incentivare la diffusione dell’arbitrato tout court anche a livello nazionale,

operando, soprattutto, sulla leva di una estensione dell’arbitrabilità e di un minor rigore nel giudizio

sulla volontarietà della scelta. Solo a certe condizioni, tuttavia, la causa dell’arbitrato potrà essere

degnamente perseguita: dovrà trattarsi di un arbitrato vero, e, cioè, neutrale, imparziale e

indipendente.

Un arbitrato, che sappia saggiamente tracciare una giusta linea di demarcazione tra

l’inderogabilità di certi principi tratti dall’ordinamento statuale e l’autonomia che il mondo sportivo

a buon diritto rivendica. In quest’ottica compete all’arbitrato una importante prospettiva nello

sviluppo dei rapporti tra ordinamenti nazionali e sopranazionali, da un lato, e ordinamento sportivo,

dall’altro.

Si impone, tuttavia, un monito: prudenza e senso della misura saranno sempre indispensabili.

L’arbitrato non potrà mai essere migliore del peggiore dei suoi protagonisti: è auspicabile che

ciò venga ricordato da tutte le parti in contesa.

(*) dottore in Giurisprudenza

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Il titolo sportivo………

IL TITOLO SPORTIVO: NATURA E TUTELA

di Giovanni Olivetti (*)

SOMMARIO:

1. Natura e disciplina del titolo sportivo.

1.1 Analisi comparata all’interno di varie Federazioni sportive italiane.

1.2 Il problema dell’assegnazione del titolo sportivo.

2. La tutela del titolo sportivo.

2.1 In particolare: i casi Cosenza Calcio 1914, S.S.C. Napoli e cenni ad altri casi.

2.1.1 Il caso Cosenza Calcio 1914.

2.1.2 Il caso S.S.C. Napoli.

2.1.3 Cenni ad altri casi.

2.2 Prospettive di riforma.

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Il titolo sportivo………

1. Natura e disciplina del titolo sportivo.

All’interno dell’ordinamento sportivo, un soggetto, che abbia ottenuto l’affiliazione o il

tesseramento ad una Federazione sportiva, può partecipare alle gare ed ai campionati da questa

organizzati nel livello a cui il titolo sportivo gli consente di accedere. In base a ciò è opportuno

riportare la definizione che la F.I.G.C. (e non è l’unica ad aver dato una definizione di titolo

sportivo ma verrà presa come riferimento se non altro per la rilevanza economica degli interessi che

gli associati le muovono attorno), attraverso l’art.52 co.1 delle sue N.O.I.F., dà al titolo sportivo

identificandolo nel “riconoscimento da parte della FIGC delle condizioni tecniche sportive che

consentono, concorrendo gli altri requisiti previsti dalle norme federali, la partecipazione di una

società ad un determinato campionato”.

Tale titolo è rappresentativo del merito sportivo-agonistico acquisito, in questo caso da una

società, e costituisce innanzitutto, ma non solamente, un valore di carattere sportivo. Il suo

riconoscimento è pertanto un bene immateriale e personale appartenente alla società che l’ha

conquistato sul campo. Questo merito sportivo può, tuttavia, per le società professionistiche, che

trovano la loro disciplina di base nella legge n. 91/1981, essere soggetto a dei requisiti che esulano

dai risultati ottenuti sui campi di gara. Questi ulteriori requisiti di cui la normativa federale suddetta

parla consistono, oltre che nell’affiliazione alla Federazione, nel possesso di determinati parametri

finanziari (ex art.12 L.n. 91/1981), organizzativi e strutturali fissati dalle rispettive norme federali a

garanzia del regolare svolgimento delle competizioni.

La mancanza di questi requisiti ulteriori determina la possibilità per la Federazione di

diminuire il valore sin qui descritto del titolo sportivo della società non in regola, consentendole di

partecipare solo a un campionato inferiore, e a volte talmente inferiore da renderlo quasi irrisorio

rispetto alle aspettative che il club aveva maturato “sul campo”. Questa possibilità1, prevista in

particolar modo dai regolamenti federali calcistici, sta alla base della convinzione degli organi

federali (e non solo) che il titolo sportivo non sia un valore “assoluto”, bensì relativo, o meglio si

direbbe “partecipativo”.

1 In questa sede (in particolare quando si affronterà il discorso della tutela del titolo sportivo) verranno prese in considerazione le limitazioni al titolo sportivo attuate dalle Federazioni per lo più attraverso provvedimenti di carattere “amministrativo” e non disciplinare, vale a dire quei provvedimenti che mirano a limitare la partecipazione di un soggetto all’ordinamento sportivo sia in modo parziale (come il diniego di ammissione a un campionato) sia in modo assoluto (come possono essere i provvedimenti di decadenza dall’affiliazione o dal tesseramento).

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Il titolo sportivo………

Tale qualificazione del titolo sportivo, come si noterà non condivisa da altri sotto diversi

profili, fa sì che esso possa essere inquadrato solo in base al rapporto che il soggetto sportivo ha con

la Federazione a cui è affiliato, al di fuori del quale, com’è proprio di tutte le dimensioni relazionali,

il titolo sportivo non può essere riconosciuto ed assumere valore. Pertanto, secondo tale

impostazione2, il titolo sportivo sarebbe solo uno dei profili della “qualità di associato”.

Nella specie delle società professionistiche affiliate alla F.I.G.C., “il titolo sportivo, in altre e

più semplici parole, inerisce al soggetto affiliato in sé, perché non solo ne descrive il merito e le

capacità sportive, ma soprattutto la sua partecipazione all’organizzazione e, quindi, è una delle

qualità del rapporto associativo dell’affiliato con la FIGC, per cui non è scindibile dall’affiliazione

e non ha senso se non nell’appartenenza al sodalizio e secondo le regole, le condizioni, i requisiti

(tecnico-finanziari) previsti dall’ordinamento settoriale”3.

Pertanto è stato riconosciuto, in linea con l’impostazione federale calcistica, che questo bene

immateriale rappresentato dal titolo sportivo trova la sua conformazione nel diritto sportivo, che ben

può atteggiarlo in modo particolare in relazione alle concrete evenienze della vita delle società

sportive, fra cui vi sono anche le insorgenze di crisi economico-finanziarie che precludano

l’ordinaria ammissione al campionato di appartenenza4.

Una volta che la Federazione abbia verificato, in capo alla società affiliata, la sussistenza di

tutti i presupposti per partecipare a un campionato, il relativo diritto a parteciparvi assume il

carattere del diritto potestativo5. Tale diritto potestativo è stato assimilato6 a ciò che si verifica ad

esempio nell’autorizzazione amministrativa all’esercizio farmaceutico, cioè alla titolarità di una

farmacia.

Questo tipo di autorizzazione non ha la natura di una concessione amministrativa ma di una

autorizzazione costitutiva: la Federazione cioè deve limitarsi ad accertare l’esistenza delle

condizioni tecnico-sportive (tra cui anche i rapporti di lavoro con gli atleti, l’adeguatezza

2 Si veda a tal proposito la memoria difensiva depositata al T.A.R. del Lazio dalla F.I.G.C. contro il Fallimento della Società Sportiva Calcio Napoli in data 24 agosto 2004.3 Cfr. T.A.R. Lazio, sent. n. 9668/2004.4 Sul punto si veda, recentemente, Cons. di Stato, sent. n. 527/2006 relativamente a un ricorso in appello proposto dal Cosenza Calcio 1914 in liquidazione.5 Cfr. Trib. di Napoli, sentenza depositata il 2 agosto 2004, con nota di ESPOSITO C., in Riv. fallimentare 2004; secondo quest’ultimo, prima della verifica da parte degli organi federali, tale diritto rappresenta solo “un’aspettativa” in quanto, prima del riconoscimento del titolo sportivo in esito all’analisi dei requisiti previsti, essa si presenta come una posizione di attesa (fondata però sulla conquista sul campo di un determinato risultato sportivo) di un effetto acquisitivo incerto, costituito dal diritto potestativo-titolo sportivo, rispetto al quale costituisce uno stadio anteriore quale posizione meramente strumentale rispetto a una situazione finale incerta.6 FIMMANO’ F., La crisi delle società di calcio e l’azienda sportiva, in Rivista di diritto bancario, maggio 2006, su www.dirittobancario.it, p. 25.

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Il titolo sportivo………

dell’impianto da gara, e tutta l’organizzazione in generale) e patrimoniali-finanziarie, la cui

ricorrenza complessiva genera il diritto alla partecipazione a un determinato campionato7.

Il diritto a partecipare a un determinato campionato, soprattutto all’interno del “sistema

calcio”, ha non soltanto un valore sportivo ma sicuramente anche un valore economico che rileva in

modo oggettivo. Nel settore professionistico, infatti, le società sportive sono società di capitali (di

cui alcune anche quotate in borsa) aventi finalità di lucro e la cui produzione economica dipende

molto dalla valenza del titolo sportivo posseduto da ciascuna.

Tale principio è stato espresso, per la prima volta, dal Tribunale di Napoli (Sez. Settima

Civile) che, con sentenza depositata il 2 agosto 2004 ha sottolineato che “il titolo sportivo

costituisce ormai per una società professionistica, organizzata come società di capitali, se non

l’unico, sicuramente il principale bene patrimoniale, e comunque un elemento imprescindibile

dell’azienda calcistica”.

Il titolo sportivo, quindi, è sì un bene immateriale, ma rientra obiettivamente fra i beni

patrimoniali dell’azienda sportiva di una società professionistica; esso anzi rappresenta non già “un

qualunque bene aziendale, bensì l’avviamento della società sportiva, nel senso che esso esprime e

manifesta la capacità di profitto dell’attività produttiva dell’impresa operante nel settore

professionistico” (Cass., 27 settembre 2000, n.12817)8.

7 Può essere interessante, per un profilo comparatistico, rilevare come in Francia i requisiti di accesso, e non solo, ad un determinato campionato di calcio professionistico siano stabiliti attraverso la cosiddetta “Carta del calcio professionistico”. Quest’ultima rappresenta sul tema una sorta di convenzione tra la Federazione Francese di Calcio, la Lega Nazionale di Calcio e le associazioni interessate. A fronte di questa “Carta” si sono verificati anche dei contenziosi innanzi al giudice amministrativo: è il caso, ad esempio, di due ricorsi proposti al Consiglio di Stato francese nel 1991 da parte delle società Girondins de Bordeaux football club e Chamois Niortais, le quali hanno impugnato innanzi al suddetto Tribunale i provvedimenti, che erano stati presi in applicazione della “Carta”, di attribuzione del titolo sportivo per una categoria inferiore rispetto a quella conquistata “sul campo” a causa del loro stato di insolvenza. Il Conseil d’Etat in questo caso rigettò, con decisione rispettivamente del 10 maggio e del 13 novembre 1991, ambo i ricorsi facendo riferimento, non alla natura della Federazione o della Lega francese, ma agli atti da queste emesse. Ebbene in questo caso i provvedimenti impugnati erano, secondo il giudice, provenienti da una convenzione di diritto privato e quindi da lui non giudicabili. Ad ogni modo lo stesso giudice ha comunque affermato che l’ammissione a partecipare ad un determinato campionato non fosse un elemento del patrimonio della società professionistica; ne conseguirebbe che “la disposizione federale che prevede la retrocessione nella divisione inferiore in caso di stato di insolvenza non contrasta né con la parità di trattamento fra le società aventi il titolo sportivo per lo stesso campionato né con le norme della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo poste a tutela della proprietà privata.” Sulla questione cfr. COCCIA M., Il Consiglio di Stato francese e la retrocessione d’autorità di società calcistiche per motivi di dissesto economico, in Riv. dir. sportivo 1993, p.801-807.

8 Lo stesso principio è stato poi espresso, con maggiore convinzione, anche dal T.A.R. Lazio che nella sent. n. 9668/2004, cit., non si è discostato dal dictum del Tribunale di Napoli, affermando che il titolo sportivo rappresenta “l’attitudine del relativo complesso aziendale di conseguire, fintanto che permane il vincolo d’affiliazione che è la fonte del titolo stesso, successi sportivi e, perciò, risultati economici diversi e maggiori di quelli raggiungibili mercè l’utilizzazione isolata dei singoli cespiti o in un differente contesto di mercato (per esempio un campionato di rango inferiore o dilettantistico); infatti l’avviamento, è il valore di scambio maggiore che acquista il complesso unitario aziendale grazie al rapporto di strumentalità e di complementarietà tra i singoli elementi costitutivi dell’azienda, onde esso ne rappresenta una qualità e ne misura il successo”.

Sul punto si veda anche FIMMANO’ F., La crisi delle società di calcio e l’azienda sportiva, cit., p.25, dove l’autore afferma che se il titolo sportivo è “funzionalmente necessario all’impresa calcistica, il suo valore sarà proporzionalmente decisivo rispetto al valore della restante organizzazione e come tale imprescindibile ed irrinunciabile”.

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Il titolo sportivo………

L’indubbia valenza economica del titolo sportivo trova, tuttavia, una forte limitazione proprio

all’interno dei regolamenti della F.I.G.C., anzitutto laddove l’art.52 delle N.O.I.F. al secondo

comma stabilisce che “in nessun caso il titolo sportivo può essere oggetto di valutazione economica

o di cessione”. Questa disposizione da un lato ribadisce il carattere personalissimo del titolo

sportivo della società cui esso appartiene, dall’altro (nel disporre l’incommerciabilità del titolo

sportivo)9 possiede la sua ratio nella volontà di evitare che esso (stante anche il suo valore morale

per la città e la tifoseria che la società sportiva stessa rappresenta) possa essere liberamente ceduto a

società di un’altra città.

La disposizione in esame, però, solleva qualche dubbio di coerenza quando viene collegata

con altri articoli delle stesse N.O.I.F., le quali, stabilendo delle eccezioni al comma 2 dell’art.52, di

fatto consentono al titolo sportivo di società professionistiche di essere, e in modo rilevante,

oggetto di valutazione economica10.

Le N.O.I.F. della F.I.G.C., infatti, come del resto altri regolamenti di diverse Federazioni,

stabiliscono dei limitati casi in cui il titolo sportivo sia trasmissibile da una società ad un’altra;

questi casi verranno, nelle loro sfaccettature, esaminati più avanti. Per ora rileva il fatto che la

possibilità che il titolo sportivo possa essere trasmesso, da un lato conferma la sua valenza

economica per la società che lo possiede, dall’altro però risulta del tutto singolare che di tale

valenza si possa giovare solo la F.I.G.C. e nei limiti in cui questa dispone.

Su tale questione è intervenuto il Consiglio Federale della F.I.G.C. con il C.U. n.75/A del 12

agosto 2004, il quale ha a proposito precisato che “la valenza del titolo sportivo deve essere

determinata alla stregua delle regole proprie dell’ordinamento sportivo, al rispetto delle quali le

società affiliate sono obbligate oltre che in forza di apposita previsione statutaria, anche in ragione

dei vincoli assunti con la costituzione del rapporto associativo e con la sottoscrizione della

domanda di ammissione al campionato.”

Titolo sportivo che, dunque, da una parte della giurisprudenza è riconosciuto come

avviamento di una società sportiva, mentre in base alla normativa F.I.G.C. è la Federazione l’unica

legittimata a disporne.

9 Per la F.I.G.C. il titolo sportivo rappresenta una res extra commercium.10 Si pensi, ad esempio, al successivo comma 3 dello stesso articolo in tema di fallimento della società sportiva, su cui si tornerà in seguito.

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Il titolo sportivo………

La legittimità, anche con riferimento ai precetti costituzionali, dei limiti imposti dalla

regolamentazione endofederale agli atti di disposizione del titolo sportivo, è stata giustificata in

relazione alla libertà associativa garantita dall’art. 18 Cost., che costituisce il presupposto della

produzione normativa interna, come tale non soggetta ad alcun controllo esterno altrimenti “non si

tratterebbe di libertà assoluta quale invece deve essere ob Constitutionem”11.

In questi termini si sono del resto espressi anche il T.A.R. Lazio12, affermando altresì che il

titolo sportivo esiste solo e nella misura in cui è riconosciuto dalla Federazione sportiva “nel cui

contesto il relativo valore è destinato ad esprimersi”, e il Tribunale di Monza13 riconoscendo che il

titolo sportivo sarebbe stato attribuito dalla F.I.G.C. a seguito dell’impegno, da parte del soggetto

acquirente, a richiedere l’iscrizione al campionato di competenza “alle condizioni tutte che saranno

determinate in via esclusiva dalla Federazione Italiana Giuoco Calcio e dalla Lega

d’appartenenza”.

Da ciò si evince come, nell’ottica federale del calcio professionistico, il titolo sportivo risulti

per quanto possibile sganciato da riferimenti aziendali, rappresentando invece “un momento

specificativo della qualità di associato alla Federazione sportiva, da ritenersi qualificante per il

profilo soggettivo del gruppo sportivo piuttosto che del suo profilo oggettivo-patrimoniale”14.

La valenza del titolo sportivo, sotto tutti i suoi profili, è inoltre evidenziata nello sport

professionistico di alto livello dal particolare collegamento che c’è tra competizioni nazionali ed

internazionali.

11 Così GALLAVOTTI M., Il titolo sportivo delle società di calcio professionistico, in Riv. Analisi giuridica dell’economia, n. 2/2005, p.391.12 TAR Lazio, Sez. III, sent. n.9668/2004, cit.13 Ordinanza di vendita senza incanto del 27 maggio 2004, in Il Fallimento, n.6/2005, p.62 e ss.14 Così CAPRIOLI R., in GIACOMARDO L., Titoli sportivi solo in nome della legge, in Diritto e Giustizia, supplemento al settimanale numero 35 del 2 ottobre 2004, p. 8.

E’ opportuno evidenziare come, per di più, per espressa previsione dell’art.16 delle citate N.O.I.F. della F.I.G.C. sia addirittura disposta l’estrema sanzione della revoca dell’affiliazione, per tutti coloro che pongono in essere “gravi infrazioni all’ordinamento sportivo”, precisando che per l’appunto costituiscono gravi infrazioni “la violazione dei fondamentali principi sportivi, quali la cessione o comunque i comportamenti intesi ad eludere il divieto di cessione del titolo sportivo”. Al di là poi di questa grave sanzione federale è stato osservato, dal Gallavotti, come qualora una norma associativa vieti la commercializzazione o il trasferimento del titolo sportivo al di fuori dei casi tassativamente previsti, l’atto negoziale eventualmente posto in essere tra gli associati contro questo divieto, oltre a non avere rilevanza all’interno dell’associazione (nella specie nell’ordinamento sportivo), non può che essere affetto da nullità anche ai fini civilistici. “Il contratto tipico di compravendita del titolo sportivo da un’associazione calcistica è nullo per impossibilità dell’oggetto, in considerazione della incedibilità del titolo sancita dai regolamenti federali” (Trib. Spoleto, 20 febbraio 1997, in Rass. Giur. Umbra 1997, p.426, con nota di EROLI). Anche la Suprema Corte ha avuto modo di affermare che “l’inosservanza di prescrizioni tassative dettate dai regolamenti federali…comporta l’invalidità dei contratti stipulati in violazione di quella potestà, in quanto sebbene leciti per l’ordinamento statale, sono tuttavia inidonei a realizzare i loro effetti mancando di interesse meritevole di tutela, non potendo essi svolgere alcuna funzione nel campo dell’attività sportiva” (Cass., Sez. Lavoro, sent. n.1855/1999 Pescara Calcio/Molinelli, in Giust. Civ. 1999, I, p.1611, con nota di VIDIRI). Su tali punti cfr. GALLAVOTTI M., Il titolo sportivo delle società di calcio professionistico, cit. p.392.

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Il titolo sportivo………

In Italia, ad esempio, il possesso del titolo sportivo assegnato secondo le regole della F.I.G.C.

è condizione necessaria e prevalente, rispetto a qualsiasi altra, per l’ammissione delle società alle

competizioni organizzate dall’U.E.F.A.15.

1.1 Analisi comparata all’interno di varie Federazioni sportive italiane.

Per una migliore inquadratura del titolo sportivo si tratterà ora delle vicende del titolo sportivo

legate alla sua disciplina da parte anche di altre Federazioni sportive e legate, in particolare, alla sua

trasmissibilità, facendo riferimento al “sistema calcio” solo da ultimo, in quanto di questo ne

verranno approfonditi gli aspetti più nello specifico.

Nei vari regolamenti federali una definizione precisa del titolo sportivo, come vi è nelle

norme della F.I.G.C., si rinviene nell’art.128 del Nuovo Regolamento Organico della Federazione

Italiana Pallacanestro, dove (in modo del tutto simile a quanto già detto) con l’espressione titolo

sportivo si individua anche qui “il riconoscimento da parte della FIP delle condizioni tecniche e

sportive che consentono la partecipazione di una Società ad un determinato campionato”. Ed

infatti, l’art.2 comma.2.1 del Regolamento Esecutivo della Lega indica quale prerequisito per

l’ammissione alla Lega medesima il “possesso del titolo sportivo idoneo a partecipare al

campionato italiano professionistico di pallacanestro di serie A”. La stessa F.I.P. poi si è adeguata

alla disposizione delle N.O.I.F. della F.I.G.C. prevedendo anch’essa che “il titolo sportivo non può

essere in nessun caso oggetto di cessione o valutazione economica”(comma 2 art.128 N.R.O.).

In altre Federazioni sportive è invece raro rinvenire l’accezione di titolo sportivo (c’è ad

esempio nel Reg. Organico della Federazione Italiana Rugby): essa è tuttavia desumibile in alcuni

regolamenti, dove, a proposito della disciplina di vicende societarie come la fusione o la scissione,

viene ricompresa nel termine più generico di “diritto sportivo” (è il caso ad esempio del Reg.

Affiliazione e Tesseramento della F.I.PAV. o del Reg. Organico della F.I.T.).

Ci si rende subito conto infatti, leggendo i regolamenti federali che non siano quelli del

calcio, come la valenza da attribuire al titolo sportivo non sia così importante come lo è in relazione

alle società sportive professionistiche della F.I.G.C.; ciò è in particolar modo evidente negli sport

15 Anche per l’ottenimento della cosiddetta licenza UEFA le società devono dimostrare di possedere diversi requisiti di natura organizzativa ed economica, che comunque in gran parte coincidono con quelli delle Federazioni nazionali. Recita così l’art.52 bis co.1 delle N.O.I.F.: “Con il termine licenza UEFA si intende il titolo rilasciato dalla FIGC che consente alle società che ottengano il prescritto titolo sportivo di partecipare alle competizioni internazionali per squadre di club organizzate dall’UEFA nella stagione sportiva successiva a quella del rilascio”.

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Il titolo sportivo………

individuali come il tennis: in questi casi, il titolo sportivo e il suo accertamento costitutivo, a livello

individuale, se non per alcuni dettagli, non è assolutamente soggetto a quei requisiti di

riconoscimento, visti in precedenza, che consentono l’accesso alla competizione sportiva.

Per cogliere poi le maggiori differenze nella disciplina del titolo sportivo tra le Federazioni è

opportuno trattare della sua trasmissibilità. Innanzitutto occorre sottolineare che non tutte le

Federazioni impongono il divieto di cessione del titolo sportivo16.

Il Regolamento di Affiliazione e Tesseramento della F.I.PAV., negli artt.16 e 17, regola

espressamente le modalità e gli effetti della cessione del titolo sportivo. Recita così l’art.16 co.1:

“Ciascun associato avente diritto a partecipare ad uno dei campionati di serie A, B, C e D, fermo

restando il limite di rappresentanza di una sola squadra per ciascun campionato di serie, può

cedere ad altro associato il proprio diritto a disputare quel campionato”. Questa possibilità

concessa dai regolamenti della F.I.PAV. è significativa soprattutto perché riguarda i campionati

maggior livello17, dove si trovano squadre di grande tradizione, anche se è soggetta ad alcune

limitazioni (come il parere della Lega d’appartenenza e la delibera d’approvazione del Consiglio

Federale)18.

La possibilità di cessione del titolo sportivo è poi prevista, nel Regolamento Organico della

Federazione Italiana Rugby all’art.4, dove l’operazione, consentita solo a titolo gratuito, è

subordinata alcuni articolati adempimenti economici ed amministrativi.

Al di là di isolate ipotesi di cessione, il titolo sportivo può essere trasmesso anche attraverso

altre forme generalmente riconosciute nei regolamenti federali. La principale ipotesi prevista è

quella della fusione societaria. Sebbene secondo la definizione codicistica (art.2051) la fusione

possa avvenire anche mediante costituzione di una nuova società, all’interno delle Federazioni

sportive si verificano per lo più fusioni per incorporazione, nelle quali vi è una società “fondente”,

che prosegue l’attività in un’altra Serie, e una società “fusa”, che di fatto scompare.

16 Divieto di cessione e di valutazione economica che ormai, a seguito della deliberazione del Consiglio Nazionale del C.O.N.I. n. 1344/2006 (recante principi generali in materia di cessione del titolo sportivo negli sport di squadra), dovrebbe essere recepito in tutti i regolamenti federali.17 Poco rileva il fatto che questi non vengano definiti professionistici: la F.I.PAV. infatti, a differenza della F.I.G.C. o della F.I.P., non è riconosciuta dal C.O.N.I. come una Federazione sportiva professionistica ma nei suoi massimi campionati gli interessi economici e il seguito popolare non si discostano molto da quelli della pallacanestro o di altri sport.18 Per quanto riguarda gli effetti della cessione, l’art.17 del predetto Regolamento determina la possibilità per gli atleti vincolati con l’associato cedente ed interessati al campionato ceduto, di richiedere alla Commissione Tesseramento Atleti lo scioglimento coattivo del vincolo.

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Il titolo sportivo………

L’effetto principale della fusione e della incorporazione è quello di riconoscere alla società

così sorta o incorporante il titolo sportivo di rango più elevato fra quelli delle società che hanno

concorso alla fusione (art.135 co.4 Reg. Org. F.I.P.; art.9 co.1 e 6 Reg. Org. F.I.N.; art.15 co.1 lett.b)

Reg. Aff. e Tess. F.I.PAV.; art.63 co.4 e art.64 co.3 Reg. Org. F.I.T.; art.3 lett. e) Reg. Org. F.I.R.)19.

Per ciò che riguarda altre operazioni societarie come la scissione o il trasferimento della sede in

un'altra Regione, c’è da dire che esse risultano raramente contemplate nei regolamenti federali e,

per quanto attiene agli effetti che ci interessano, c’è da presupporre che la destinazione del titolo

sportivo dipenda in questi casi dalla volontà dei rispettivi Consigli Federali nazionali e regionali e

dalla disponibilità delle rispettive Leghe.

Entrando ora, in particolare, nel merito dei regolamenti della F.I.G.C., viene subito in risalto

l’art. 20 delle N.O.I.F., dove vengono autorizzate, sempre previa approvazione del Presidente

federale, le operazioni di fusione tra due o più società, di scissione di una società e di conferimento

in conto capitale dell’azienda sportiva in una società interamente posseduta dalla società conferente.

Nonostante, quindi, il divieto di valutazione economica e di cessione, il titolo sportivo può essere

comunque trasmesso attraverso queste (e solo queste) tre operazioni, le quali esplicano su di esso e

sulle società coinvolte i seguenti rispettivi effetti: “In caso di fusione approvata, rimane affiliata

alla F.I.G.C. la società che sorge dalla fusione e ad essa sono attribuiti il titolo sportivo superiore

tra quelli riconosciuti alle società che hanno dato luogo alla fusione e l’anzianità di affiliazione

della società affiliatasi per prima. In caso di scissione approvata, è affiliata alla F.I.G.C.

unicamente la società cui, in sede di scissione, risulta trasferita l’intera azienda sportiva. A detta

società sono attribuiti il titolo sportivo e l’anzianità di affiliazione della società scissa. In caso di

conferimento approvato in conto capitale dell’azienda sportiva da parte di una società affiliata in

una società dalla stessa interamente posseduta, è affiliata alla F.I.G.C. unicamente la società cui

risulta conferita l’intera azienda sportiva.

A detta società sono attribuiti il titolo sportivo e l’anzianità di affiliazione della società

conferente” (art.20 co.5 N.O.I.F.).

Fra le società professionistiche del calcio non si verificano spesso tali manovre traslative di

compendi aziendali20; secondo gli organi federali la ratio di tali apparenti deroghe all’art.52 co.2

19 Altro effetto generalmente riconosciuto è il passaggio automatico del vincolo degli atleti delle società estinte alla nuova società, salvo una espressa manifestazione di volontà contraria (nei modi previsti dai regolamenti stessi) da parte degli atleti coinvolti nell’operazione.

20 Un conferimento in conto capitale dell’intera azienda sportiva è avvenuto recentemente con il Parma Calcio Spa. E’ invece molto diffusa la prassi della fusione societaria fra i Dilettanti. BALDI U., Stato di fusione; Dilettanti, girandola di acquisti e cessioni di titoli sportivi, in Il Messaggero, 4 luglio 2005.

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Il titolo sportivo………

delle N.O.I.F. risiederebbe nel principio del mantenimento dell’unitarietà dell’intera azienda

sportiva: “quanto alla scissione e alla fusione esse costituiscono nella sostanza mere modificazioni

dell’assetto organizzativo della struttura imprenditoriale dello stesso soggetto titolare del titolo

sportivo; quanto al conferimento in conto capitale dell’intera azienda sportiva in altra società

interamente posseduta (non semplicemente controllata) dalla conferente, trattasi anche in questo

caso di un’operazione societaria straordinaria che configura sostanzialmente una scissione della

stessa attività sportiva con la creazione di una “holding” che assicura, comunque, la unitarietà

dell’azienda”21.

D’altro canto, volendo considerare il titolo sportivo come avviamento dell’impresa avente ad

oggetto un’attività sportiva, e avendo detto che l’avviamento in sostanza rappresenta l’attitudine

dell’impresa stessa a produrre utili, esso non può essere concepito al di fuori dell’intera azienda

sportiva, né può essere considerato o trasferito separatamente da questa, onde la sua eventuale

cessione deve essere necessariamente accompagnata dalla cessione dell’intera azienda sportiva22.

E’ indubbio comunque che, seppure nelle ipotesi ora elencate non si possa parlare di una vera

e propria cessione del titolo sportivo venendo questo assorbito in una alienazione “all inclusive”,

una valutazione economica del titolo sportivo sia in questi casi quantomeno implicita.

La valutazione economica implicita del titolo sportivo all’interno della F.I.G.C., risulta poi più

chiara (come accennato nelle considerazioni iniziali sull’argomento) ove si analizzi l’art.52 co.3

delle N.O.I.F. relativamente al caso di fallimento di una società sportiva.

Tale disposizione prevede, infatti, che - nel caso in cui una società si veda revocare

l’affiliazione a seguito di “dichiarazione e/o accertamento giudiziale dello stato di insolvenza” (ai

sensi dell’art.16 co.6 delle N.O.I.F.)23, intervenuta prima della scadenza del termine per la

presentazione della domanda di partecipazione al campionato successivo - il Presidente Federale

possa attribuire il titolo sportivo della società in stato di insolvenza ad un’altra società della stessa

città che “dimostri di aver acquisito l’intera azienda sportiva della società in stato di insolvenza” e

“di essersi accollata e di aver assolto tutti i debiti sportivi”.

21 Così recita la Memoria difensiva della F.I.G.C., cit., con cui si voleva giustificare la non configurabilità nell’art.20 delle N.O.I.F. dell’operazione di fitto di ramo d’azienda, ritenuta pertanto illegittima.22 In tema di avviamento di società sportive si veda BONAVITACOLA R., Manuale di diritto sportivo, II, ed. Maros, Milano, 1991, p.48/49.23 Il comma 6 dell’art.16 delle NOIF prevede la revoca dell’affiliazione in caso di dichiarazione di fallimento (gli effetti della revoca, nel caso in cui il Tribunale disponga la continuazione temporanea dell’esercizio dell’impresa fallita ex art.90 l. fall., decorrono dal termine della stagione sportiva, o da quella di data anteriore in cui il titolo sportivo viene attribuito ad altra società).

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Il titolo sportivo………

Ora, al di là di altre apparenti incongruenze che questa disposizione presenta rispetto ad altri

punti delle stesse N.O.I.F., di cui si dirà, qui rileva il fatto che, nel caso di fallimento di una società

intervenuto prima dei termini previsti per l’iscrizione al successivo campionato, la curatela

fallimentare possa essa stessa incassare il proventi derivati dalla cessione dell’azienda sportiva, sui

quali gioca un ruolo determinante il titolo sportivo, dato che questo verrebbe acquisito dalla nuova

società allo stesso livello in cui esso si trovava.

E’ evidente come se non fosse prevista questa specifica possibilità, non sarebbero molti gli

imprenditori a farsi avanti per rilevare la società fallita. Va subito detto infatti che, nonostante da più

parti si reputi la non commerciabilità del titolo sportivo24, in sé e per sé considerato, trattandosi di

una sorta di autorizzazione amministrativa, in pratica, la posizione sportiva acquisita dalla società

fallita rappresenta spesso il motivo principale che spinge i gruppi imprenditoriali ad instaurare

trattative con il curatore del fallimento per ottenere la cessione dell’azienda e dei contratti.

Il diritto alla partecipazione a un determinato campionato, a seguito della prevedibile

attribuzione del titolo sportivo alla società subentrante, vale in sede di valutazione economica

spesso molto di più dell’acquisizione dei contratti sportivi o del patrimonio aziendale25.

2.2 Il problema dell’assegnazione del titolo sportivo.

Attraverso l’esame dei regolamenti federali precedentemente considerati si è avuto modo di

capire come, in seguito a determinate vicende societarie, il titolo sportivo trovi quasi

automaticamente (serve sempre una delibera da parte degli organi federali) una collocazione

all’interno della relativa disciplina sportiva.

24 Anche la Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport ha affermato che queste ipotesi in esame rappresentano solo un’eccezione, la quale poi deve rimanere nei limiti previsti dalla normativa federale: “nessun soggetto può rivendicare la libera disponibilità del titolo sportivo alla stregua di un qualsivoglia diritto assoluto, bene della vita o situazione giuridica di vantaggio previsti dall’ordinamento generale” (lodo arbitrale del 16/12/2004 tra Napoli Sportiva Spa e F.I.G.C.). Si veda poi GALLAVOTTI M., Il titolo sportivo delle società di calcio professionistico, cit., p.392, dove l’Autore ritiene che “stante l’insuscettibilità di valutazione economica per effetto della norma contrattuale di cui all'art.52 NOIF…mai il titolo sportivo potrebbe generare affidamento di terzi”.25 Ossia, se il fallimento interviene nel corso del campionato è possibile cedere l’azienda (sia pure subordinatamente alla delibera del presidente F.I.G.C.) arricchita dal titolo sportivo e dai contratti con i tesserati, come avvenuto ad esempio nel caso del Calcio Monza: il Tribunale di Monza con decreto del 17 giugno 2004, ha trasferito a seguito di vendita senza incanto dal fallimento “Calcio Monza spa” all’ “Associazione Calcio Monza Brianza 1912 Spa”, il complesso aziendale della società calcistica, ivi compresi calciatori e diritto all’utilizzo dello stadio. Correlativamente la F.I.G.C. con delibera del 30 giugno 2004 ha affiliato la cessionaria, mantenendo in capo alla stessa i diritti derivanti dall’anzianità di affiliazione della società fallita ed ha autorizzato il trasferimento dell’azienda con particolare riferimento a titolo sportivo e parco tesserati. Cfr. FIMMANO’ F., La crisi delle società di calcio e l’azienda sportiva, cit., p.30.

Su questi temi in generale si veda anche MOSCA A., Problematiche in tema di azienda nel fallimento di società sportive, in Riv. dir. sportivo 1994, da p.23.

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Il titolo sportivo………

Ci sono tuttavia frequenti casi in cui sull’assegnazione del titolo sportivo assume un ruolo

decisivo la scelta degli organi federali.

Ci si riferisce in primis a quei provvedimenti disciplinari dovuti a gravi infrazioni da parte di

un soggetto all’ordinamento sportivo; tali provvedimenti possono determinare la perdita del titolo

sportivo anche di diverse categorie, la cui individuazione è lasciata spesso alla discrezionalità degli

organi giudicanti o allo stesso Consiglio Federale in base alla gravità dell’illecito.

Si prenda, ad esempio, l’art.18 del nuovo Codice di Giustizia Sportiva della F.I.G.C.. In esso

vengono richiamate le possibili sanzioni a carico delle società che abbiano commesso violazioni

alle norme federali: la lettera i) di detto articolo, la cui applicabilità è richiamata, ad esempio,

dall’art. 7 per diversi casi di responsabilità delle società nell’illecito sportivo, dispone in questi casi

“l’esclusione dal campionato di competenza o da qualsiasi altra competizione agonistica

obbligatoria, con assegnazione da parte del Consiglio Federale ad uno dei campionati di categoria

inferiore.” All’assegnazione di un titolo sportivo differente da quello conquistato sul campo gli

organi federali provvedono anche nei casi di provvedimenti disciplinari espulsivi (come la revoca

dell’affiliazione) o di provvedimenti amministrativi (come il diniego di ammissione a un

campionato).

Mentre, in alcune discipline sportive c.d. “minori”, l’assegnazione del titolo sportivo da parte

degli organi federali in seguito a tali provvedimenti è rimessa spesso alla loro discrezionalità, nello

sport del calcio (vista la mole di interessi che ruotano attorno al titolo sportivo) si è invece cercato

di limitare questa discrezionalità attraverso una serie di interventi normativi federali che tuttavia

non sembrano aver definito del tutto la questione26.

26 Il problema dell’assegnazione del titolo sportivo è nato, infatti, proprio in base a talune decisioni del Consiglio Federale o dello stesso presidente della F.I.G.C. che negli anni passati hanno fatto pensare ad alcuni favoritismi verso certe squadre a discapito di altre. Si pensi ad esempio al caso della Fiorentina: tale squadra nel 2002 andò incontro al fallimento e alla nuova società sportiva neocostituita a Firenze il Consiglio Federale decise di assegnarle il titolo sportivo valevole per la serie C2 (nonostante i regolamenti prevedano che ad una società neocostituita venga attribuito il titolo sportivo di base, cioè di III categoria). L’estate successiva, a seguito della vicenda denominata “Catania bis” (che portò all’ampliamento dei numeri delle squadre aventi diritto a partecipare al campionato di serie B), il Consiglio Federale decise di attribuire il titolo sportivo per detta categoria sempre alla Fiorentina, la quale aveva però, nel frattempo, conquistato il titolo sportivo “sul campo” solo per la serie C1. La scelta ovviamente dettata solo dal “nome” della squadra scatenò aspre polemiche soprattutto da parte di quelle società che ritenevano di aver diritto a un rispescaggio (ad es. il Cosenza appena retrocesso in C1 e di cui si dirà, e il Martina Franca proveniente invece dai play-off di serie C1).

Altri casi lampanti in cui si è verificata questa discrezionalità degli organi federali nell’attribuzione del titolo sportivo, si sono avuti con le società neocostituite di Napoli e Ancona nell’estate del 2004, alle quali (non rientrando esse nell’applicazione del “Lodo Petrucci”) è stato attribuito rispettivamente il titolo sportivo di serie C1 e C2.

Andando a ritroso nel tempo, una situazione analoga accadde dopo il fallimento del Palermo Calcio spa, cui venne revocata l’affiliazione il 18 settembre 1986: nella stagione sportiva 1987/1988 alla società neocostituita U.S. Città di Palermo venne concesso il titolo sportivo per partecipare direttamente al campionato di serie C2. Per una lettura sulle vicende legate al Palermo Calcio cfr. CHIAIA NOYA G., Il Palermo Calcio spa, in Riv. dir. sportivo 1987, da p.395.

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Il titolo sportivo………

Per quanto riguarda i provvedimenti disciplinari espulsivi, si è detto di come la revoca

dell’affiliazione intervenga in caso di dichiarazione e/o accertamento giudiziale dello stato di

insolvenza. A differenza però del co. 3 dell’art.52 N.O.I.F., se il fallimento di una società viene

dichiarato successivamente alla scadenza dei termini per la presentazione della domanda di

iscrizione al campionato successivo, non è più possibile procedere alla cessione dell’azienda

sportiva ad altra società (mantenendo il titolo sportivo allo stesso livello) e, pertanto, il co.7 dello

stesso articolo attribuisce espressamente, in questo caso, alla Procedura concorsuale il potere di

individuare un’altra società, avente sede nella città di quella fallita, cui la Federazione potrà

assegnare il titolo sportivo della società fallita anche se diminuito di una categoria27.

Da ciò si evince pure come, da un lato, l’affiliazione esista quale premessa per l’acquisizione

del titolo sportivo, e come dall’altro lato il titolo sportivo possa sopravvivere alla revoca

dell’affiliazione della società che lo ha conquistato sul campo, venendo attribuito a terzi.

Per quel che concerne i provvedimenti amministrativi di diniego di iscrizione al campionato,

il legislatore federale è intervenuto (ancora con un fine di tutela del titolo sportivo, dato che ad una

società non iscritta spetterebbe un titolo sportivo tra i dilettanti ai sensi del comma 6 e del comma 9

dell’art.52 N.O.I.F.) attribuendo però in questo caso il potere di individuazione di una nuova società

(sempre comunque della stessa città) e di assegnazione del titolo sportivo quasi esclusivamente al

Consiglio Federale (o al Presidente su sua delega), nel rispetto di determinati parametri stabiliti

dalla stessa F.I.G.C. (tra cui una procedura d’assegnazione esaminata da una Commissione

nominata dallo stesso Consiglio Federale, procedura che “taglia fuori” le società che non hanno

avuto una presenza continuativa negli ultimi anni nel settore professionistico; si prevede poi il

parere della CO.VI.SOC e del Sindaco della città interessata): tutti passaggi che lasciano intendere

come l’assegnazione del titolo sportivo sia, in questi casi, quasi completamente in mano alla

F.I.G.C. e sottratta alla volontà della società che lo ha conquistato sul campo.

La procedura or ora accennata è contenuta integralmente nel comma 6 dell’art. 52 N.O.I.F.,

rappresentante il “Lodo Petrucci”, uno dei più decisi interventi attuati dal C.O.N.I. e dalla F.I.G.C.

in tema di titolo sportivo.

Tale intervento, approvato nel maggio 2004, trova la sua ratio nella necessità di salvaguardare

in qualche modo il già descritto interesse morale e sportivo del territorio legato al titolo sportivo di

una società.

27 L’assegnazione del titolo sportivo alla società individuata dalla Procedura concorsuale sarà qui subordinata solo ad alcuni adempimenti formali elencati al successivo comma 8.

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Il titolo sportivo………

Fino infatti alla stagione sportiva 2003-2004, a una società non ammessa ad un campionato

professionistico veniva attribuito il titolo sportivo valevole per il campionato dilettantistico di

Eccellenza (sulla base della considerazione che la società non iscritta non disponesse delle risorse

necessarie per partecipare a un campionato professionistico).

Successivamente, a partire dalla stagione sportiva 2004-2005, è stata introdotta la nuova

disciplina, la quale prevede che, in caso di non ammissione ad un campionato di serie A, B o C1 di

una società con una radicata tradizione sportiva (vale a dire con una decina di anni continuativi in

una categoria professionistica oppure un quarto di secolo complessivo), la F.I.G.C. possa

riconoscere ad altra società della stessa città (sentito il Sindaco della stessa e previo versamento di

un contributo straordinario in favore del Fondo di garanzia per calciatori e allenatori di calcio) il

titolo sportivo inferiore di una sola categoria rispetto a quello di cui era titolare la società non

ammessa28. Le società aspiranti al suddetto titolo, entro il termine perentorio di tre giorni dalla

pubblicazione del provvedimento di non ammissione al campionato di serie A, B o C1 della società

esclusa, dovranno manifestare il proprio interesse, presentando alla F.I.G.C. una dichiarazione in tal

senso.

A tal punto, nella fase di assegnazione del titolo sportivo rileva la differente versione del

“Lodo Petrucci” che si è avuta per la stagione sportiva 2004/2005 da quella valevole per le stagioni

sportive 2005/2006 e 2006/2007.

Mentre nella prima versione del 6°comma dell’art.52 N.O.I.F. si prevedeva che il “prezzo” del

titolo sportivo fosse fissato dalla Federazione e che, in caso di pluralità di offerte, il titolo sportivo

sarebbe stato assegnato al “soggetto più meritevole sulla base di una valutazione comparativa che

tenga conto dell’affidabilità della compagine sociale, delle garanzie di continuità aziendale offerte

e della solidità organizzativa e finanziaria”, nella nuova versione invece tale “prezzo” o “tassa”

sono stati giustamente eliminati29.

Ora la norma prevede una vera e propria gara fra gli interessati: il titolo sportivo viene di fatto

messo all’asta dalla F.I.G.C., e le società interessate possono presentare la propria offerta (a seguito

28 Inoltre, per la nuova società costituita vige una clausola limitativa che riguarda le persone: in sostanza della nuova società non potranno far parte persone che abbiano svolto incarichi dirigenziali nel club non ammesso o che abbiano detenuto in questo partecipazioni azionarie superiori al 2 % (in caso contrario la F.I.G.C. rifiuterà l’affiliazione della nuova società).29 Nell’estate 2004 la F.I.G.C., per le società neocostituite che si erano dichiarate interessate all’assegnazione del titolo sportivo della fallita S.S.C.Napoli, aveva fissato fra tasse straordinarie e fidejussioni in oltre sette milioni di euro l’ammontare necessario per essere prese in considerazione ai fini dell’assegnazione. Ciò portò diversi disagi fra le società interessate: una di queste, la Napoli Sport, dovette ritirare quasi subito la propria richiesta. A tale conclusione era giunta anche la neocostituita Anconitana, società che, di fronte a una tassa stabilita in 1,5 milioni euro a cui si dovevano aggiungere 800 euro come fondo di garanzia, ritirò la propria richiesta per l’assegnazione del titolo sportivo della società Ancona appena fallita. Su tali vicende NICITA M., La Napoli Sport si è già arresa e l’Anconitana fa un passo indietro, in Gazzetta dello Sport del 31/07/2004.

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di determinati adempimenti, come la domanda di affiliazione e la presentazione di documenti a

garanzia dell’offerta stessa). Solo “in caso di offerte” di pari importo o qualora la Commissione ad

hoc nominata dal Consiglio Federale “ritenga, a suo insindacabile giudizio, non soddisfacenti gli

importi offerti”, si apre una seconda fase in cui le società interessate sono invitate a presentare

offerte migliorative (così il nuovo 6°comma dell’art.52 N.O.I.F.), cui seguirà (attraverso la

graduatoria stilata dalla Commissione e i pareri favorevoli o meno della CO.VI.SOC)

l’assegnazione del titolo sportivo alla società migliore.

In generale si può dire che il “Lodo Petrucci” ha avuto il pregio di tutelare gli interessi

sportivi, morali e territoriali per il titolo sportivo a prescindere dalle eventuali crisi economiche

delle società che lo possiedono. A tale pregio però si accosta il difetto di non aver contemplato alcun

ristoro economico dalla sua assegnazione per le società non ammesse al campionato.

Se il titolo sportivo rappresenta un bene immateriale, personalissimo e fondamentale come

l’avviamento per una impresa sportiva, si fatica a comprendere come dalla sua “espropriazione” a

favore di una società terza non possa derivarne alcun vantaggio patrimoniale per la società non

ammessa al campionato. Ciò risulta poco coerente non soltanto rispetto all’ipotesi prevista dal

comma 3 dello stesso art.52 N.O.I.F. (dove, come detto, è di fatto consentita una valutazione

economica del titolo sportivo e di cui si giova la curatela fallimentare), ma risulta pregiudizievole

per tutti i creditori della società non ammessa che versa in una situazione, spesso grave, di dissesto

finanziario.

Conseguenza naturale di tale situazione è un enorme vantaggio per le società neocostituite,

che possono vedersi assegnato un titolo sportivo di livello professionistico con un esborso

relativamente contenuto, a svantaggio della società esclusa: autorevole dottrina ha configurato tale

conseguenza nella fattispecie dell’ “arricchimento senza causa” ai sensi dell’art. 2041 co.1 del c.c.30.

Peraltro, lo stesso pregio poc’anzi enunciato non risulta pienamente soddisfacente.

Qualora, infatti, l’assegnazione del titolo sportivo attraverso l’applicazione del “Lodo

Petrucci” andasse a buon fine, ne risulterebbe comunque compromesso, seppur di una sola

categoria, il risultato sportivo ottenuto sul campo a causa di fattori finanziari “esterni” al campo da

gioco31. Se dunque in questo caso si avrebbe una tutela del titolo sportivo solo parziale, ancora

30 LUBRANO E., Ammissione ai campionati e titolo sportivo: un sistema da rivedere?!, in Riv. Analisi Giuridica dell’Economia 2005, fasc.II, p.30. L’art.2041 c.c. (intitolato “azione generale di arricchimento”) dispone al co.1 che “chi, senza giusta causa, si è arricchito a danno di un’altra persona è tenuto, nei limiti dell’arricchimento, a indennizzare quest’ultima della correlativa diminuzione patrimoniale”.

31 Emblematico è il caso del Torino al termine della stagione sportiva 2004/2005: la società piemontese, dopo aver conquistato sul campo il titolo sportivo per la serie A (dopo oltre 40 partite più spareggi) non è stato poi ammesso al relativo

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Il titolo sportivo………

peggiore risulterebbe il caso di una (possibile) mancata applicazione del “Lodo Petrucci” (cosa che

si può verificare, ad esempio, per la mancanza dei requisiti di accesso alla procedura e di

assegnazione del titolo previsti rispettivamente per la società non ammessa e per le nuove società

che abbiano fatto relativa domanda) che determinerebbe una “retrocessione” della società non

ammessa al campionato dilettantistico di III categoria.

Tale ultima circostanza si pone, per di più, in paradossale contrasto con quanto previsto dal 9°

comma dello stesso art.52 N.O.I.F.: qui si dispone che in caso di non ammissione di una società al

campionato di serie C2, questa avrebbe la possibilità di essere iscritta ad un campionato

dilettantistico determinato, in base alle possibilità, dai vari Comitati Regionali (quindi non

necessariamente quello di III categoria). La “minusvalenza” che in questo caso subirebbe il titolo

sportivo della società non ammessa al campionato di serie C2 potrebbe essere paradossalmente

minore di quella in capo alle società non ammesse a campionati professionistici superiori, dove gli

interessi al mantenimento del titolo sportivo crescono in maniera esponenziale.

Queste perplessità relative all’assegnazione del titolo sportivo saranno più avanti oggetto di

prospettive di riforma.

2. La tutela del titolo sportivo.

Alla luce di quanto sin ora detto, verranno approfondite le modalità con cui alcune società

sportive hanno cercato di tutelare il proprio titolo sportivo dagli atti di disposizione su di esso

compiuti dalle Federazioni. Verranno prese in esame, ancora una volta, le vicende sorte all’interno

della F.I.G.C. e derivanti principalmente da provvedimenti federali di diniego di ammissione a un

campionato.

I regolamenti della F.I.G.C., infatti, nel subordinare il riconoscimento delle condizioni

tecniche sportive di una società (che consentono la partecipazione a un determinato campionato) al

possesso dei requisiti visti in precedenza, mirano ad assicurare il regolare svolgimento dei

campionati, attraverso quell’attività di controllo che è stata delegata dallo Stato a tutte le

Federazioni per via dell’art. 12 della legge n. 91/1981; attività che è, per ciò, catalogabile senza

dubbio fra le attività pubblicistiche svolte da una Federazione32.

campionato e di conseguenza, attraverso il “Lodo Petrucci”, alla nuova società è stato assegnato il titolo sportivo per il campionato di Serie B, azzerando di fatto il lavoro sportivo di un anno. La salvaguardia del titolo sportivo sarebbe, in questi casi, ancora più limitata qualora la società non ammessa al campionato avesse conquistato sul campo anche il titolo sportivo per l’accesso alle competizioni U.E.F.A..32 Come individuata anche dall’art. 23 dello Statuto C.O.N.I..

DOTTRINA33

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Il titolo sportivo………

E’ bene osservare come il T.A.R. della Sicilia abbia, già ben prima della legge n. 280/2003,

configurato come pubblicistici gli interessi legati ai provvedimenti federali su affiliazioni e

ammissioni ai campionati, sancendo la tutelabilità di tali interessi in sede di giustizia statale33.

Quanto alla giurisprudenza successiva alla L.n. 280/2003, il Tribunale di Napoli,

nell’ordinanza del 31 agosto 2004, riferendosi a tale legge di conversione, ha stabilito che rientrano

tra gli atti per i quali è stabilita la giurisdizione del giudice amministrativo ex art.3 della L. n.

280/2003 anche i provvedimenti negatori d’ammissione al campionato di una società che abbia

acquisito il godimento del titolo sportivo che dà diritto a parteciparvi, per l’inefficacia

nell’ordinamento sportivo del negozio mediante il quale esso sia stato trasferito (su tale specifica

questione si tornerà più avanti).

Alla luce di quanto osservato sembra ormai chiaro come in tutti i provvedimenti che possono

incidere direttamente o indirettamente, revocando o diminuendo, la posizione giuridica soggettiva

di un soggetto legata al titolo sportivo, la Federazione si comporti come una vera e propria Autorità

amministrativa34.

33 “Ciò per la semplice quanto decisiva ragione che trattasi di provvedimenti sanzionatori che, in quanto privano di gran parte del suo contenuto il rapporto giuridico amministrativo di affiliazione, estinguendo diritti o facoltà ricompresi nella sfera giuridica generale delle società sportive, ed impedendo loro lo svolgimento ed il raggiungimento dell’oggetto sociale fissato nello Statuto, incidono per definizione, e quindi necessariamente ed incontestabilmente, sul piano dell’ordinamento giuridico generale” (T.A.R. Sicilia, Catania, ord. n. 929/1993).

Sempre nell’anno 1993 è stata ribadita la rilevanza esterna di tali provvedimenti anche se provenienti da una organizzazione internazionale non governativa come l’UEFA. Sul punto cfr. Tribunale di Berna, ordinanza presidenziale del 9 settembre 1993, S.A. Olympique Marsiglia c. UEFA, in Riv. dir. sportivo 1994, con nota di CARINGELLA F., p.533-537.

Ancora il Tribunale catanese ha, in seguito, sostenuto specificamente che l’esclusione da un campionato per difetto dei requisiti di partecipazione è qualificabile come un provvedimento sanzionatorio di natura amministrativa, ascrivibile proprio alla posizione di supremazia della Federazione (Cfr. T.A.R. Sicilia, Catania, Sez.III, ord. 7 Ottobre 1999 n.2147, in Foro it., 1999, III, p.582).

Ora, a parte qualche orientamento, la maggior parte della dottrina e della giurisprudenza oggi ritiene che il giudice statale competente in materia sia il giudice amministrativo (Si veda, ad esempio, LUBRANO E., La “sentenza Cecchi Gori, ovvero la definitiva conferma del pacifico assoggettamento dell’attività svolta dalle Federazioni sportive ai principi del diritto amministrativo”, in Giustizia Amministrativa, Rivista di diritto Pubblico, articolo n. 12-2004, su www.giustamm.it). A conferma di questo indirizzo si citi solo la sentenza del T.A.R. Lazio n. 4228/2002 (sul ricorso n.13831/2000 proposto dalla A.C. Cesena Spa contro FIGC/CONI/LNP) con cui, riallacciandosi a precedenti decisioni della Cassazione e del Consiglio di Stato, questo Tribunale Amministrativo ha negato il suo difetto di giurisdizione, sostenendo che “quello che appare risolvente è la considerazione per cui le federazioni sportive, nello stabilire e nel valutare le condizioni ed i requisiti per l'ammissione a competizioni sportive e campionati, esercitano un potere discrezionale. Pertanto la posizione del soggetto che chieda l'ammissione non può che avere natura di interesse legittimo (Cassazione civile Sez. Un., 25 febbraio 2000, n. 46, Consiglio Stato sez. VI, 11 agosto 2000, n. 4475; Consiglio Stato sez. VI, 30 ottobre 2000, n. 5846).”34 Ci sono state, negli ultimi anni, anche società che hanno ritenuto che la legittimazione ad agire contro tali provvedimenti federali non spetti solo alle società a cui questi vengano indirizzati, ma anche alle società (aspiranti a un “ripescaggio” in un campionato) che da tali provvedimenti si reputino danneggiate quando i medesimi ammettano ad un campionato un’altra società che non ne avrebbe il diritto.

Questa supposizione è stata accolta in modo oscillante nella giurisprudenza. In senso positivo si sono pronunciati il T.A.R. Calabria, Sez. Reggio Calabria, accogliendo il ricorso n.1546 del Catania nell’estate del 2003 con Decreto Presidenziale del 14 agosto 2003, e il TAR Lazio, Sez. III, accogliendo i ricorsi della Fidelis Andria e del Palazzolo nell’estate del 2004 con le ordinanze 6 settembre 2004, rispettivamente nn. 4858 e 4859. In senso negativo all’ammissibilità dei ricorsi contro l’ammissione ai campionati di altre società si è invece espresso il T.A.R. Lazio, Sez. III Ter, respingendo ricorsi presentati dalla Napoli Soccer nell’estate 2005, nelle ordinanze 2 agosto 2005 nn. 4533-4537 e definitivamente il Consiglio di Stato, Sez. VI, nelle ordinanze 9 agosto 2005 nn. 3858 e 3859. Sull’argomento cfr. LUBRANO E., Ammissione ai campionati di calcio e titolo sportivo: un sistema da rivedere?!, cit., p.11-14.

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Il titolo sportivo………

Alla tutela del titolo sportivo al di fuori dell’alveo della giustizia sportiva si è giunti, inoltre,

per salvaguardarlo dal punto di vista economico nel caso, soprattutto, di fallimento di una società

sportiva. E’ quanto accaduto nel caso della S.S.C. Napoli: il Tribunale di Napoli, nella già citata

sentenza di fallimento della società in questione (depositata il 2 agosto 2004), non ha mancato di

sostenere che il titolo sportivo, essendo ricompreso nel patrimonio aziendale, non potesse essere

espropriato dalla società fallita azzerandone il valore economico che può essere utile in sede di

curatela, precisando altresì che andava verificata, per la via giudiziaria più idonea, anche cautelare,

la legittimità della norma federale calcistica che ne prevede l’incommerciabilità (art.52.2 NOIF)35.

In sostanza la tutela del titolo sportivo è necessaria per salvaguardare una moltitudine di

interessi, la cui peculiarità poggia sul fatto che essi sorgono all’interno di un ordinamento settoriale

ma che senza dubbio possono avere rilevanza anche in quello generale statale.

2.1 In particolare: il caso Cosenza Calcio 1914, il caso S.S.C. Napoli e cenni ad altri casi.

Verranno esaminate ora, in concreto, le vicende che hanno portato negli ultimi anni alcune

società di calcio professionistiche ad adire la giurisdizione statale per tutelare il proprio titolo

sportivo. Si cercherà di comprendere attraverso quali strumenti sia stata chiesta questa tutela e con

quali risultati.

2.1.1 Il caso Cosenza Calcio 1914.

Il caso che ha coinvolto il titolo sportivo della società Cosenza Calcio 1914 è stato uno dei più

articolati mai conosciuti all’interno di una Federazione sportiva.

Si può cogliere, di conseguenza, come soprattutto nel calcio sia elevato l’interesse pubblico nei confronti dei provvedimenti federali che possano incidere sulla valenza del titolo sportivo e sulla regolarità in generale dei campionati. Tale interesse trova risalto anche in una pronuncia del giudice amministrativo (T.A.R. Lazio, sentenza n. 4228/2002, cit.) dove si esprime il principio della “massima salvaguardia possibile del risultato sportivo così come sancito dai campi di gioco”.35 Da questo punto di vista lo stesso “Lodo-Petrucci” si è infranto su un così netto pregiudizio della Fallimentare. Anche tra i giuristi si è era da tempo diffusa la perplessità sul Lodo, considerato preminente sulle leggi dello Stato e sullo stesso tribunale che deve tutelare innanzitutto gli interessi dei creditori.

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Il titolo sportivo………

Questo caso, infatti, ha avuto come oggetto temporale ben due stagioni sportive, la 2003/2004

e la 2004/2005, in cui si sono succedute tutta una serie di ricorsi avverso sia le decisioni degli

organi federali, sia le decisioni della Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport presso il

CONI, sia quelle dei giudici amministrativi aditi.

Si comincerà pertanto ad esaminare, in estrema sintesi, le vicende relative alla prima stagione

sportiva in questione, per poi passare a quelle, strettamente consequenziali, relative alla stagione

sportiva 2004/2005 cercando di cogliere i significati, che più rilevano in questa sede, delle decisioni

ed i presupposti delle doglianze delle relative parti in causa.

Cominciando ad introdurre i fatti, c’è da premettere che, alla fine del Campionato di calcio di

serie B svoltosi nella stagione sportiva 2002/2003, il Cosenza è stato retrocesso in serie C1 insieme

alle società Calcio Catania Spa, Genoa Cricket & FBC Spa e Salernitana Sport Spa. In seguito ad

avvertiti inadempimenti finanziari, il Consiglio Federale della F.I.G.C. ha disposto con

deliberazione del 31 luglio 2003 la non ammissione del Cosenza al Campionato di serie C1 per la

stagione entrante. In seguito a tale decisione il Cosenza ha presentato, con esiti negativi, dapprima

istanza di conciliazione innanzi alla Camera presso il C.O.N.I. (in data 9 agosto 2003) e poi istanza

di arbitrato presso il medesimo organismo (in data 25 agosto 2003). Essendo state respinte,

attraverso il lodo, tutte le domande formulate dal Cosenza contro la F.I.G.C., la Società ha deciso,

pertanto, di rivolgersi ad T.A.R. del Lazio con il ricorso n. 8712/2003, con cui ha impugnato il

menzionato lodo (il cui dispositivo è stato pubblicato il 27 agosto 2003) ed i presupposti atti della

F.I.G.C. e della Lega di serie C di non ammissione al Campionato di serie C1.

Parallelamente a questa vicenda, si era intanto sviluppato il noto contenzioso relativo ai

risultati del campionato di Serie B promosso dalla società Calcio Catania Spa e da altre società

retrocesse in Serie C1 sempre durante la stagione 2002/2003; contenzioso che ha portato alla fine il

C.O.N.I. ad approvare una delibera straordinaria di ampliamento dell’organico del campionato di

serie B per la stagione seguente e di ammissione a detto campionato delle società Catania, Genoa,

Salernitana e Fiorentina, facendo leva sull’art.3 co.5 del D.L.n. 220/2003.

Anche tali provvedimenti, che prevedevano l’ammissione direttamente al Campionato di serie

B della Fiorentina (che aveva appena vinto il campionato di serie C2) senza coinvolgere il Cosenza

nel “ripescaggio” delle squadre appena retrocesse in Serie C1, sono stati impugnati dal Cosenza

davanti al T.A.R. Lazio con il ricorso n. 8642/2003.

Data questa duplice situazione di mancata ammissione al Campionato di serie C1 e di

mancato “ripescaggio” nella serie cadetta, in seguito ai fatti ora descritti, il Cosenza si è ritrovato

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Il titolo sportivo………

inattivo (nelle more dei contenziosi innanzi al T.A.R., e non avendo accettato intanto la soluzione

proposta dalla F.I.G.C. di partecipare ad un campionato dilettantistico) per la stagione sportiva

2003/2004. Ciò ha portato il Presidente della F.I.G.C. a dichiarare con il C.U. n.96/A del 31 ottobre

2003, la decadenza dell’affiliazione della Società stessa per inattività, a norma dell’art.16 delle

NOIF.

Il TAR Lazio, ha ritenuto opportuno riunire tutti questi ricorsi36, e con la sentenza n.

2987/2004 ha così provveduto:

quanto al ricorso n.13143/2003 (esaminato per primo dal giudice per motivi, a suo dire, di

presupposizione logica) il ricorso è stato ritenuto fondato e parzialmente accolto. Il provvedimento

di decadenza dell’affiliazione, infatti, non era stato preceduto dalle formalità d’avvio del relativo

procedimento, ex art.7 co.1 della L. n. 241/1990, senza che ve ne fosse alcuna ragione. Il giudice

ha, pertanto, ritenuto che tutte le questioni inerenti alla cessazione del rapporto associativo tra una

società e una Federazione riguardino “l’esercizio di potestà non jure privatorum, ma l’esclusivo

interesse pubblico nazionale”, di talchè i relativi atti devono esser preceduti dalle formalità

suindicate “al fine di assicurare trasparenza e partecipazione all’azione amministrativa”37.

Importante, in questa sede, è la considerazione che ha poi fatto il giudice, ovvero che il Cosenza

non era stato neanche espressamente dichiarato decaduto dall’iscrizione al Campionato di serie C2;

“in tal caso - recita la sentenza - la ricorrente è ex se ancora parte della Lega Nazionale

Professionisti di serie C, tant’è che ben potrebbe essere iscritta a detto Campionato, per il quale

possiede perlomeno il titolo sportivo”.

Tale ultima considerazione, ad una prima interpretazione ha fatto, a buona ragione, ritenere al

Cosenza che gli spettasse di diritto il riconoscimento ad un campionato di Serie C, ma in sede

d’appello, si vedrà, il giudice ha smentito tale indirizzo.

Quanto al ricorso n.8712/2003 il giudice si è pronunciato insieme al ricorso n. 8642/2003,

visto il supposto rapporto di consequenzialità tra i due (a discapito invece dell’autonomia invocata

dalla ricorrente). Il primo è stato dichiarato inammissibile sulla base di una considerazione avente

ad oggetto la natura delle decisioni della Camera arbitrale presso il C.O.N.I.: essendosi infatti

36 Il contenzioso articolato dal Cosenza in questi ricorsi aveva, infatti, ad oggetto l’annullamento degli atti inerenti alla mancata ammissione al Campionato di serie C1 (da cui la cooptazione per il Campionato di serie B ai sensi dell’art.3 co.5 del D.L. n.220/2003) e, conseguentemente, la rimozione della decadenza dell’affiliazione alla F.I.G.C..37 Né, soprattutto, la mancanza di tali formalità poteva essere giustificata dal fatto che l’inattività prevista dall’art.16 delle N.O.I.F. fosse un mero fatto giuridico. L’inattività, infatti, nel parere del tribunale, andava accertata, mentre la F.I.G.C., nel ritenere che questa fosse relativa al Cosenza come ormai società facente parte della Lega Nazionale Dilettanti, non ha tenuto conto che la società calabrese non aveva mai prestato acquiescenza alla sua mancata iscrizione al campionato di Serie C1.

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Il titolo sportivo………

quest’ultima pronunciata sugli stessi fatti qui in oggetto (ovvero la mancata ammissione alla serie

C1) attraverso un lodo ritenuto di natura rituale (considerato che esso è stato dalla stessa ricorrente

richiesto e promosso), tale lodo è stato ritenuto sì impugnabile innanzi al T.A.R. ma solo ai sensi

dell’allora vigente art. 827 co.1 c.p.c. nei soli casi di nullità indicati dal successivo art. 82938.

L’inammissibilità del ricorso è pertanto risultata dal fatto che la ricorrente ha impugnato il

dispositivo del lodo innanzi al T.A.R., ma per questioni di merito, non integrando così alcuna delle

fattispecie previste nell’art.829 c.p.c.39.

Dall’inammissibilità di questo ricorso è così derivata anche l’inammissibilità del ricorso n.

8642/2003 ritenuto consequenziale dal giudice adito.

Contro questa sentenza si sono appellati al Consiglio di Stato sia la F.I.G.C. (ricorrendo

contro il parziale accoglimento del T.A.R. Lazio del ricorso n.13143/2003 proposto dal Cosenza

avverso il provvedimento di decadenza dall’affiliazione) sia il Cosenza stesso (che con appello

incidentale improprio ha impugnato la stessa sentenza nella parte in cui ha dichiarato inammissibili

i ricorsi n. 8642/2003 e n. 8712/2003). Su tali ed altri punti il Consiglio di Stato si è pronunciato il 2

luglio 2004 con la decisione n. 5025/2004.

Il Collegio, in questa sede, ha apportato diverse importanti novità rispetto alla sentenza di

primo grado, affrontando, innanzitutto, l’appello incidentale del Cosenza.

Cominciando dalla contestata dichiarazione di inammissibilità del ricorso n. 8712/2003

pronunciata dal T.A.R., il Collegio in appello ha, a differenza del giudice di primo grado, dichiarato

ammissibile tale ricorso, dando una diversa configurazione alla Camera presso il C.O.N.I..

Questa è stata considerata come l’ultimo grado della giustizia sportiva e, di conseguenza, il

ricorso all’arbitrato chiesto dal Cosenza non ha costituito per tale società una facoltà, bensì un

obbligo per completare i rimedi interni offerti dall'ordinamento sportivo prima di poter adire i

giudici statali40. Ciò va evidentemente contro la configurabilità dei lodi pronunciati da tale Camera

come veri e propri lodi arbitrali alternativi alla giurisdizione statale. Secondo il giudice d’appello

quindi la Camera di conciliazione e arbitrato per lo sport (come supremo organo della giustizia

sportiva) emette decisioni che possiedono sì le garanzie tipiche di un giudizio arbitrale, ma che

38 Teorema che verrà poi (come vedremo) smentito dal Consiglio di Stato in sede d’appello.39 Così nella sentenza: “l’impugnazione del lodo per nullità non dà luogo ad un giudizio d’appello che abiliti in ogni caso il Giudice adito a riesaminare nel merito la decisione arbitrale, ma consente esclusivamente il c.d. iudicium rescindens, che serve ad accertare se sussista, o meno, taluna delle nullità previste dalla norma citata come conseguenza di errori in procedendo o in iudicando….Solo dopo che il giudizio rescindente si sia concluso con l’accertamento della nullità del lodo, è possibile, a norma del successivo art.830, il riesame di merito della pronuncia arbitrale.”

40 Su tale natura della Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport si è anche pronunciata la Corte Federale della FIGC nella Comunicazione Ufficiale n.16/cf.

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Il titolo sportivo………

restano soggette agli ordinari strumenti di tutela giurisdizionale per le fattispecie non riservate

all’ordinamento sportivo41.

Una volta ammesso, il ricorso in questione è stato tuttavia respinto nel merito: il Collegio

cioè, con lungo excursus sugli inadempimenti economici del Cosenza, ha ritenuto che fosse

opportuna la sua non ammissione al campionato di Serie C142.

L’infondatezza del ricorso ora esaminato ha portato così alla reiezione anche del ricorso n.

8642/2003 relativo alla mancata ammissione del Cosenza al campionato di Serie B. A parere di

questo tribunale, infatti, una volta ritenuti consequenziali e non autonomi i due ricorsi, la mancata

ammissione al campionato di Serie C1 ha precluso logicamente al Cosenza la possibilità di essere

“ripescata” in Serie B a seguito del provvedimento straordinario adottato dal C.O.N.I. ai sensi

dell’art.3 co. 5 del D.L. n. 220/200343.

Quanto infine all’appello della F.I.G.C. avverso la sentenza di primo grado nella parte in cui

ha accolto il ricorso n. 13143/2003, il Collegio ha di fatto confermato gli elementi che erano stati

considerati in primo grado per ritenere illegittimo il provvedimento di decadenza dall’affiliazione44.

Forte di queste considerazioni del Consiglio di Stato, la F.I.G.C., se da un lato ha dovuto

annullare il provvedimento di revoca dall’affiliazione emesso il 31 ottobre 2003, dall’altro, con il

Comunicato Federale n. 44 del 29 luglio 2004, ha ritenuto di ammettere il Cosenza ai campionati di

calcio per la stagione 2004/2005 ma assegnandole il titolo sportivo per il Campionato Nazionale

Dilettanti.

41 Tali decisioni arbitrali sono, infatti, atte ad incidere su posizioni di interesse legittimo non arbitrabili. Sia la sentenza del T.A.R., sia la decisione del Consiglio di Stato in appello hanno poi contribuito alla definitiva svalutazione del “vincolo di giustizia”; alla luce infatti del concetto della possibile “rilevanza” delle questioni per l’ordinamento statale, sono state rigettate le eccezioni di difetto di giurisdizione formulate dalla F.I.G.C..42 Secondo il Consiglio di Stato la situazione di inadempienza della Società ai requisiti previsti era tale che perdeva di rilievo anche qualunque questione sulla perentorietà dei termini previsti per la regolarizzazione degli adempimenti economici.

Non era di questo avviso invece la difesa della Società, che riteneva che le inadempienze economiche fossero lievi e pertanto la perentorietà del termine per la loro risoluzione andasse interpretata con ragionevolezza.43 Di conseguenza, mancando la regolare iscrizione al campionato di Serie C1 (non potendo l’esistenza di un contenzioso supplire a tale elemento), la F.I.G.C. si è basata, nella decisone su quale società ammettere al campionato di Serie B, sull’altro criterio enunciato sempre nel provvedimento straordinario adottato dal C.O.N.I., ovvero il bacino d’utenza (di qui la scelta discrezionale di attribuire il relativo titolo sportivo alla Fiorentina).44 In questo caso il giudice ha poi, come anticipato, reinterpretato le frasi del giudice di primo grado quando questi ha affermato che il Cosenza faceva ancora parte della Lega Nazionale Professionisti di serie C “tant’è che ben potrebbe essere iscritta a detto Campionato, per il quale possiede perlomeno il titolo sportivo”. Secondo il giudice d’appello tali affermazioni vanno lette nel senso generico che, essendoci in atto un contenzioso ancora non definito, non si poteva capire a che campionato il Cosenza avrebbe dovuto partecipare, così come l’inattività della stessa società non poteva essere riferita ad alcun campionato. “Intese in altro senso le affermazioni non sarebbero corrette, in quanto in sede di esame di un ricorso avverso un provvedimento di decadenza dall’affiliazione al giudice spetta il compito di verificare la legittimità del provvedimento di decadenza, non quello di indicare a quale campionato iscrivere la società, trattandosi di questione estranea rispetto all’oggetto di un giudizio avente ad oggetto appunto la decadenza dall’affiliazione”.

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Il titolo sportivo………

Questo Comunicato Federale (che ha dato il via ad una seconda serie di contenziosi atti a

difendere il titolo sportivo), nell’assegnare al Cosenza il titolo sportivo per la Serie D, ha fatto

riferimento alle disposizioni federali vigenti in caso di società escluse dall’ammissione ai

campionati professionistici: da una parte il C.U. n. 151/A del 28 aprile 2003 (che permetteva alle

società non ammesse di richiedere l’ammissione ad un campionato nell’orbita della Lega Nazionale

Dilettanti), dall’altra, il subentrato, nel frattempo, nuovo comma 6 dell’art. 52 delle NOIF, ancora

più restrittivo sul punto (esso dispone tutt’ora che le società versanti nelle situazioni suddette

possono presentare domanda di iscrizione al Campionato di III Categoria).

Ritenendo quindi la F.I.G.C. di dover rigorosamente disporre del titolo sportivo del Cosenza

in base a tali norme di riferimento, ha applicato, nel prevedere la possibilità per tale società di

iscriversi al massimo livello dilettantistico, il criterio di “maggior favore” rispetto a quanto previsto

dalle norme federali.

La difesa del Cosenza, non accettando tale declassamento del titolo sportivo della società

assistita, ha presentato sia istanze di arbitrato nell’ambito della giustizia sportiva, sia tutta una

nuova serie di ricorsi ai giudici amministrativi. Atteso che le prime si sono risolte in declaratorie di

inammissibilità, è interessante capire qui su quali elementi si è fondata la difesa del Cosenza, in

particolar modo nel ricorso n. 11193/2004 con cui è stato chiesto l’annullamento in sostanza di tutti

i provvedimenti federali, di tutte le decisioni della Camera presso il C.O.N.I. (e di alcune sue regole

di funzionamento) e di tutte le norme federali, con i quali ed in applicazione delle quali, è stato

deciso di attribuire al Cosenza il titolo sportivo solo per il campionato dilettantistico.

Le considerazioni della difesa partono dal fatto che il Cosenza, attraverso il provvedimento

del 31 ottobre di decadenza dall’affiliazione, era stato inciso solo nella sua posizione giuridico-

soggettiva legata appunto all’affiliazione, mentre non erano mai stati emanati provvedimenti atti a

sottrarre alla Società le altre due posizioni giuridico-soggettive di cui era titolare: ovvero la sotto-

affiliazione alla Lega Professionisti di Serie C e il titolo sportivo per presentare domanda al

Campionato di serie C1.

Il diniego di ammissione al Campionato di serie C1, sancito con il provvedimento del 31

luglio 2003, poteva rappresentare al massimo una sanzione da scontare per una stagione sportiva,

non una revoca totale del titolo sportivo. Lo stesso provvedimento conseguente di revoca

dall’affiliazione, essendo stato annullato retroattivamente sia dal T.A.R. sia dal Consiglio di Stato,

non era più idoneo ad incidere su alcuna delle posizioni giuridico - soggettive del Cosenza, dato che

tale società alla data del 9 luglio 2004 (sent. Consiglio di Stato n.5025/2004) aveva recuperato

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Il titolo sportivo………

retroattivamente il proprio titolo all’affiliazione. Alla stessa data, pertanto, secondo la difesa

ricorrente, il Cosenza (avendo scontato il diniego di ammissione alla Serie C1 con una stagione

sportiva di inattività) possedeva il titolo sportivo (previo nuovo accertamento dei requisiti

amministrativo-contabili) per richiedere nuovamente l’ammissione al Campionato di serie C1.

Tale situazione è stata però ignorata dalla F.I.G.C. che anche per la stagione sportiva

2004/2005 ha emanato provvedimenti per l’assegnazione al Cosenza del titolo sportivo per la Serie

D.

La ricorrente ha innanzitutto contestato l’illegittimità di tali provvedimenti nei presupposti:

ovvero la mancata emanazione, in precedenza, di alcun provvedimento con cui fosse stato revocato

alla Società il titolo sportivo per la Serie C1.

Si lamenta infatti che un semplice diniego di ammissione per ragioni amministrativo-contabili

possa avere l’effetto implicito della perdita definitiva del titolo sportivo45. Effetto ancor più grave

nella fattispecie, laddove il Cosenza, con 90 anni di storia, si è visto sottrarre il proprio titolo

sportivo per non aver adempiuto, per un solo anno, a dei requisiti amministrativo-contabili.

Anche qualora si ammettesse che un tale abnorme effetto implicito si possa verificare,

l’effetto stesso nel caso di specie si sarebbe dovuto determinare mediante essere un provvedimento

espresso nei confronti della Società, dato che in questi casi, si è visto, la F.I.G.C. agisce come

autorità amministrativa.

Col buon senso il legislatore federale, nell’emanare quella normativa di cui al C.U.n.151/A,

avrebbe in effetti dovuto limitare i drastici effetti suddetti prevedendo una riduzione della posizione

45 E’ stata, pertanto, contestata la portata precettiva di quel C.U. n.151/A a cui la FIGC ha dichiarato (nel citato Comunicato n.44 del 29 luglio 2004) di aver fatto riferimento nell’assegnare il titolo sportivo per la Serie D al Cosenza. Tale Comunicato Ufficiale è stato interpretato dalla ricorrente come una semplice alternativa che la F.I.G.C. concedeva alle società non ammesse ai campionati rispetto all’inattività (scelta invece dal Cosenza). Tale situazione doveva però avere portata transitoria, relativa cioè solo ad una stagione agonistica, non potendo determinare la perdita definitiva del titolo sportivo di una società professionistica con assegnazione definitiva ad un campionato dilettantistico. Un tale effetto sarebbe infatti di dubbia legittimità costituzionale: si pensi ad esempio al diritto di iniziativa economica dell’impresa-società calcistica ex art.41 Cost., al buon andamento e all’imparzialità dell’Amministrazione ex art. 97 Cost. e così via. La legittimità di tale effetto andrebbe anche contro l’art.12 della L.n. 91/1981, che, nell’attribuire alle Federazioni il controllo sull’equilibrio finanziario delle società sportive “al solo fine di garantire il regolare svolgimento dei campionati”, non postula in alcun modo il potere per le Federazioni di revocare per sempre il titolo sportivo di una società che anche per un solo anno non sia in regola con i parametri previsti. I danni subiti sarebbero poi stati moltiplicati se si pensa che tale disposizione era potenzialmente applicabile anche nei confronti di una società ai vertici del Campionato di Serie A. In base a ciò appare contestabile, e sarà oggetto delle prospettive di riforma, anche l’attuale vigente disposizione prevista nel comma 6 dell’art.52 N.O.I.F. laddove prevede che “Le società non iscritte ai campionati di serie A, B e C1 possono iscriversi al Campionato di III Categoria.”

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giuridico-soggettiva nelle società non ammesse con l’assegnazione ad esse del titolo sportivo di una

categoria sola inferiore rispetto a quella in cui non fossero state ammesse46.

Ma la decisione di assegnare al Cosenza per la stagione 2004/2005 il titolo sportivo per la

Serie D è stata contestata anche nel merito, soprattutto con riferimento alla parzialità con cui tale

decisione è stata emanata. Si è detto infatti come nell’estate 2004, a società neocostituite sia stato

assegnato da subito il titolo sportivo per i campionati professionistici (ad es. Napoli e Foggia per la

Serie C1, Trento, Monza e Ancona per la Serie C2); così come già in precedenza, anche nel caso di

società non neocostituite (ma che possedevano tutt’altro che 90 anni di storia) si è attribuito un

titolo sportivo quasi “regalato” rispetto a ciò che si era conquistato “sul campo” (ed è il caso ad es.

del citato “ripescaggio” della Fiorentina nell’estate 2003 in Serie B).

Ad ogni modo il Cosenza, comunque iscrittosi nell’estate del 2004 al campionato di Serie D

per la stagione sportiva 2004/2005, ha avuto modo di impugnare anche il provvedimento federale

emanato il 12 agosto 2004 che non ha considerato la società ai fini del “ripescaggio” in Serie C2.

Attraverso tale provvedimento, infatti, ben nove società sono state ripescate nella predetta Serie,

non orientandosi però il Consiglio Federale a limitare i danni subiti dal Cosenza al proprio titolo

sportivo, per il solo fatto che questa società non presentava alcuni dei parametri atti al “ripescaggio”

a causa del suo anno di inattività nella stagione 2003/2004.

Una volta così sintetizzati i punti, che qui maggiormente rilevano, su cui il Cosenza ha

incentrato la difesa del proprio titolo sportivo, c’è da rilevare come questi non siano però stati

accolti dal giudice amministrativo.

Il T.A.R. Lazio infatti ha respinto il ricorso n. 11193/2005 con la sentenza n. 2571/2005,

ritenendo che l’impianto argomentativo offerto dal Cosenza non fosse meritevole di positiva

valutazione. Si è affermato che gli atti federali impugnati non si caratterizzassero come una revoca

tacita del titolo sportivo “sia per ragioni formali che per ragioni di ordine sostanziale-

contenutistico.”

46 La fondatezza di tale soluzione prospettata è data dal fatto che lo stesso Presidente Federale, nella definizione del caso su quale titolo sportivo attribuire al Cosenza dopo l’anno di inattività, ha dichiarato di averla presa come criterio (con la sola differenza della riduzione del titolo sportivo di due categorie) per assegnare alla Società il titolo sportivo per la Serie D. Nella Conferenza stampa finale del Consiglio federale del 27 luglio 2004 il Presidente Federale ha così dichiarato in relazione anche alle sentenze dei giudici amministrativi: “Con tutta la simpatia ed il rispetto che Cosenza merita, la sentenza del Consiglio di Stato dà ragione alla Federazione. Ora si tratterà di trovare la giusta collocazione e tenuto conto che tutte le società retrocesse per debiti hanno perso due categorie, il Cosenza al momento della cancellazione era in C1 e quindi dovrà ripartire dalla Serie D”. Il problema è che nel Comunicato Federale del 29 luglio 2004 n. 44 con cui la F.I.G.C. ha come visto autorizzato il Cosenza a presentare domanda di ammissione per il Campionato Nazionale Dilettanti, non vi è traccia di questo criterio, bensì vengono richiamati a fondamento di tale decisone solo il C.U. n.151/A del 28 aprile 2003 e l’art.52 co.6 delle N.O.I.F..

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Il titolo sportivo………

Sotto il primo profilo il T.A.R. Lazio ha sostenuto che la “retrocessione” contestata fosse un

effetto meramente consequenziale al diniego di ammissione al Campionato di serie C1: tale

“retrocessione” cioè si è, nel parere dei giudici, verificata ope legis ed è dunque “estranea ad una

fattispecie provvedimentale che richiederebbe, in quanto tale, anche in forza dell’art.2 della

L.n.241/1990 un provvedimento espresso”.

Quanto al profilo contenutistico, il T.A.R. Lazio non ha accolto il ricorso continuando a

considerare il titolo sportivo solo nella misura in cui esso venga riconosciuto dalla F.I.G.C. e di

conseguenza legittimando ogni norma federale circa la sua destinazione. Alla luce di ciò non

sarebbe neanche contemplabile l’ipotesi di una sospensione (e non di perdita) del titolo sportivo nel

caso della mancata ammissione al campionato di Serie C1. Proprio per il fatto che la F.I.G.C. nel

disporre del titolo sportivo del Cosenza si è attenuta prettamente alle norme federali di riferimento,

il T.A.R. Lazio ha dichiarato non illegittimo anche il mancato “ripescaggio” del Cosenza in Serie

C2, mancando la Società dei requisiti di classifica, richiesti espressamente dai regolamenti, per

essere rimasta inattiva nella stagione 2003/2004.

Le decisioni del T.A.R. Lazio hanno poi trovato piena conferma in appello da parte del

Consiglio di Stato con la decisione n. 527/200647.

2.1.2 Il caso S.S.C. Napoli.

Il caso che si affronterà ora, rappresenta un’altra complessa vicenda giuridica legata al titolo

sportivo, dove la sua tutela, da parte della S.S.C. Napoli in questione, è stata ancorata in particolar

modo alle potenzialità economiche che il titolo sportivo può esprimere.

Tutto è nato quando, il 30 giugno 2004, la S.S.C. Napoli ha cercato di tamponare gli effetti di

una grave crisi finanziaria compromettendo in locazione, attraverso un contratto preliminare, alla

società Napoli Sportiva, l’azienda sportiva comprensiva del titolo sportivo.

47 Entrando più nel merito dell’ipotesi di sospensione e non di perdita del titolo sportivo dopo un anno di inattività dovuto alla mancata ammissione al campionato, essa è stata giudicata inidonea dal Consiglio di Stato, in quanto nella prassi si sarebbe potuta verificare la situazione di un soprannumero illimitato di società aventi diritto alla stessa Serie, venendo così ad essere minato l’ordinato svolgimento dei campionati.

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Non essendo infatti la S.S.C. Napoli in possesso dei requisiti richiesti dal C.U. n. 162/A della

F.I.G.C. per l’ammissione al campionato di Serie B, la stessa società ha chiesto alla Federazione di

consentire, al suo posto, l’iscrizione al campionato di Serie B della società Napoli Sportiva48.

Successivamente la F.I.G.C. ha provveduto a formalizzare l’affiliazione della società Napoli

Sportiva, ma nello stesso giorno il Presidente Federale, in risposta alla richiesta suddetta, ha

comunicato il proprio diniego alla proposta non ritenendo che l’operazione fosse attuabile ai sensi

dell’art. 52 N.O.I.F. che vieta qualunque atto di disposizione del titolo sportivo; né la stessa

operazione è stata ritenuta suscettibile di rientrare nelle deroghe sancite a tale divieto dall’art. 20

N.O.I.F..

Avverso questo provvedimento presidenziale di diniego la S.S.C. Napoli ha proposto

un’autonoma istanza di arbitrato innanzi alla Camera presso il C.O.N.I., che però è stata dichiarata

inammissibile con lodo del 21 luglio 2004.

La società Napoli Sportiva, ritenendo anch’essa fondamentale il mantenimento del titolo

sportivo per la Serie B nella stagione 2004/2005, si è rivolta al T.A.R. Lazio chiedendo la

sospensione del provvedimento presidenziale de qua e la sospensione di tutti gli atti presupposti e

consequenziali, tra cui le stesse norme N.O.I.F., che fossero comunque lesivi degli interessi della

ricorrente. Codesto Tribunale però, con la sentenza n.7550/2004, ha dichiarato inammissibile il

ricorso, in quanto volto ad ottenere una tutela cautelare preventiva, scissa dal giudizio di merito, e

dunque un rimedio non previsto in via generale nell’ordinamento amministrativo49.

Malgrado i provvedimenti federali di diniego e i ricorsi intrapresi, la S.S.C. Napoli e la

società Napoli Sportiva hanno comunque perfezionato il loro contratto di affitto d’azienda con atto

notarile del 13 luglio 2004, in particolare subordinandone l’efficacia al verificarsi della condizione

dell’iscrizione, al campionato di Serie B, della società Napoli Sportiva per stagione sportiva

2004/2005.

La F.I.G.C., da parte sua, con il C.U. n. 21/A del 27 luglio 2004, sentiti i pareri di CO.VI.SOC

e CO.A.VI.SOC, ha definitivamente disposto la non ammissione al campionato di Serie B della

S.S.C. Napoli.

48 Per un excursus minuzioso dei fatti relativi a tale vicenda si veda GIACOMARDO L., Titoli sportivi solo in nome della legge, cit. p. 3 e ss.49 Nella stessa data il T.A.R. Lazio, con la sentenza n. 7551/2004, si è pronunciato sul ricorso n. 7837/2004 (con cui si chiedeva l’annullamento dei provvedimenti suesposti), proposto parallelamente dal Dr. Francesco Serao, azionista della S.S.C.Napoli, dichiarandolo però inammissibile per difetto di legittimazione attiva del ricorrente.

La società Napoli Sportiva, vista la situazione, ha poi anch’essa proposto istanza di arbitrato alla Camera presso C.O.N.I., il cui procedimento si è concluso solo il 16 dicembre 2004 in senso sfavorevole alla società stessa.

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Avverso tale decisione le due società legate da rapporto contrattuale hanno nuovamente, e

questa volta insieme, adito la Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport, ma nelle more di

questo procedimento, data la grave ed irreversibile crisi finanziaria della S.S.C.Napoli, il Tribunale

di Napoli ha dichiarato, con la sentenza n. 356/2004, il fallimento della stessa S.S.C. Napoli.

Tale sentenza, se da un lato ha sancito la “morte sportiva” (con conseguente revoca

dall’affiliazione ex art.16 N.O.I.F.) di una società storica, dall’altro ha lasciato intendere qualche

spiraglio di tutela del titolo sportivo nella nomina di un curatore e affermando che “il titolo sportivo

per una società professionistica costituisce almeno il principale bene patrimoniale.”

Al Giudice Delegato alla procedura fallimentare e al curatore nominati dal Tribunale di

Napoli è stato pertanto affidato il compito di intraprendere qualunque azione, anche cautelare, che

fosse stata per loro idonea a tutelare i creditori, anche attraverso la valutazione e la vendita del titolo

sportivo in disapplicazione delle regole federali50. Tale ultimo aspetto, però, si è complicato con

l’automatica apertura della procedura prevista dal “Lodo Petrucci” da parte della F.I.G.C.51, che

avrebbe consentito l’assegnazione del titolo sportivo della S.S.C. Napoli fallita ad una società

neocostituita per la Serie C1 e a totale danno dei creditori.

Da una parte, quindi, la curatela fallimentare ha reputato indispensabile che fosse riconosciuta

l’idoneità del contratto di fitto di ramo d’azienda e che ci fosse la disapplicazione del “Lodo

Petrucci”, dall’altra la F.I.G.C. ha ritenuto che un eventuale ratifica all’interno dell’ordinamento

federale di un tale accordo avrebbe costituito un pericoloso precedente e una disparità di trattamento

nei confronti di società precedentemente fallite.

La F.I.G.C., pertanto, ha dal canto suo a buon motivo contestato il contratto in questione nei

presupposti e nelle condizioni con cui è stato posto in essere: la S.S.C. Napoli, una volta

consapevole di non poter adempiere ai requisiti richiesti per l’ammissione al campionato, ha

pensato di sostituire a se stessa altro soggetto (affiliato formalmente solo il 7 luglio, e dunque a

termine di presentazione della domanda di iscrizione già scaduto) in forza di un contratto d’affitto

di ramo d’azienda, peraltro condizionato sospensivamente, perfezionato solo il 13 luglio 200452.

50 Compito ancora più importante dopo che la Camera presso il C.O.N.I. precedentemente adita insieme dalle due società contraenti aveva respinto l’istanza, con lodo del 5 agosto 2004.51 Erano infatti scaduti i termini anche per l’applicazione del comma 3 dell’art.52 N.O.I.F..

Le cordate costituitesi, interessate al “Lodo Petrucci”, erano la Napoli F.C., la Azzurra Napoli e la Napoli Sport.

52 Sul punto si veda la Memoria della F.I.G.C. del 24 agosto 2004 contro il Fallimento della S.S.C. Napoli presentata al T.A.R. Lazio. La carenza dei presupposti di validità del contratto è stata osservata anche dal Collegio della Camera di Arbitrato presso il C.O.N.I. nel lodo emesso il 5 agosto 2004.

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Tuttavia il Tribunale di Napoli, sezione feriale, su ricorso proposto dalla curatela fallimentare

ex art.700 c.p.c., ha riconosciuto la legittimità del contratto almeno in relazione alla sua funzione:

vale a dire pagare i creditori e il fisco con i ricavi dell’affitto, “ciò che certamente non si

verificherebbe a seguito della sottrazione del titolo sportivo da parte degli organi federali, che non

consentirebbe attività tale da conseguire consistenti introiti”.

Ciò è stato espresso dal Tribunale di Napoli adito attraverso un decreto inaudita altera parte

in data 10 agosto 2004 con cui ha, di conseguenza, inibito a C.O.N.I. e F.I.G.C. “di disporre del

diritto al riconoscimento delle condizioni tecniche e sportive che consentano, ricorrendo gli altri

requisiti previsti dalle norme federali, la partecipazione al Campionato di Serie B, stagione

2004/2005”, inibendo altresì agli stessi convenuti l’attribuzione del titolo sportivo a soggetti diversi

dalla società fallita.

L’importanza storica di tale pronuncia risiede nella definitiva considerazione, almeno nel

caso di specie, del titolo sportivo come un bene patrimonialmente irrinunciabile per la società

sportiva e per cui un bene insuscettibile di circolare autonomamente dall’azienda sportiva e non

sottraibile alla massa dell’attivo fallimentare a garanzia del ceto creditorio.

Tale pronuncia a tutela del titolo sportivo è stata recepita di seguito dagli organi della

F.I.G.C., i quali, nel prenderne atto, hanno (nel Consiglio Federale del 12 agosto 2004, con il C.U.

n. 66/A), da un lato, sospeso l’applicazione della procedura legata al “Lodo Petrucci”, ma d’altro

lato hanno deliberato la predisposizione dei calendari del campionato di Serie B senza includervi il

Napoli.

A fronte di tale ultima decisione degli organi federali, ritenuta comunque elusiva del divieto

di disporre del titolo sportivo della società fallita, i membri della curatela hanno presentato

immediatamente un secondo ricorso ex art.700 c.p.c. al Tribunale di Napoli.

Quest’ultimo, con altro decreto inaudita altera parte, depositato il 13 agosto 2004, ha in

effetti ritenuto elusiva del precedente dictum del Tribunale di Napoli la decisione del Consiglio

Federale e ha, pertanto, stabilito la sospensione dell’efficacia del calendario di Serie B “fino

all’inserimento nello stesso della S.S.C. Napoli o della avente causa Napoli Sportiva Spa”.

La situazione ha dato vita ad un altro contraddittorio tra le parti, in quanto la F.I.G.C., che ha

visto fortemente minata la sua autonomia regolamentare e la sua relativa efficacia, mirava alla

revoca dei due provvedimenti concessi inaudita altera parte. La F.I.G.C., in particolare, è andata

avanti per la sua strada senza modificare il calendario della Serie B, basandosi su quanto disposto

dall’art.3 della L.n. 280/2003 e quindi sul difetto di giurisdizione del Tribunale adito dalla curatela

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fallimentare. Tale articolo, infatti, individua nel T.A.R. del Lazio la competenza esclusiva sulle

questioni qui insorte anche per ciò che riguarda l’emanazione di misure cautelari53.

Di conseguenza, altro Giudice della sezione feriale del Tribunale di Napoli, con ordinanza del

31 agosto 2004, ha revocato i decreti precedentemente concessi inaudita altera parte dichiarando il

difetto di giurisdizione del giudice ordinario per le questioni insorte.54. Al di là delle questioni di

competenza, la F.I.G.C. ha tentato di far leva sul fatto che i suoi provvedimenti precedenti, relativi

alla non ammissione della società Napoli Sportiva alla Serie B, erano stati giudicati legittimi dal

Collegio Arbitrale della Camera presso il C.O.N.I., nel lodo emesso il 5 agosto, all’esito di un

procedimento in cui si era costituito lo stesso Fallimento della S.S.C. Napoli, e pertanto anche ad

esso opponibile.

La vicenda (nel frattempo instauratasi anche innanzi al T.A.R. del Lazio con il ricorso n.

8651/2004 presentato dalla S.S.C. Napoli contro F.I.G.C. e C.O.N.I.) si è poi conclusa con una

transazione generale. Attraverso questa transazione il titolo sportivo è rimasto nelle mani della

curatela della fallita S.S.C. Napoli, cui la F.I.G.C. ha concesso la facoltà di attribuirlo (di concerto

con il Sindaco della città), a titolo oneroso, ad altra società, dalla curatela stessa individuata, pur

sempre però per il campionato di Serie C1.

La transazione, denominata anche “Lodo Napoli” rimane tutt’oggi singolare: se si è

consentito, in sostanza, di disapplicare le norme federali relative al divieto di valutazione

economica del titolo sportivo (tutelando così i creditori) e relative al “Lodo Petrucci”, ma non si è

autorizzato a mantenere il titolo sportivo sui livelli espressi “sul campo”, determinandone invece la

sua retrocessione in Serie C1 ai fini della transazione. Parallelamente singolare risulta la sentenza

del T.A.R. Lazio n. 9668/2004 con cui il giudice amministrativo, nell’affermare improcedibile il

suddetto ricorso n. 8651 per l’ormai sopravvenuta carenza d’interesse a fronte di questa transazione,

ha inizialmente dichiarato “non irrazionale l’art.52 delle N.O.I.F. nella parte in cui pone il divieto

53 Cosa che ha portato la F.I.G.C. (nella citata Memoria al T.A.R. Lazio del 24 agosto 2004) a definire “abnormi”, “contra legem” e addirittura “giuridicamente inesistenti” i decreti emessi dal Tribunale Civile di Napoli in assenza di potestas iudicandi.54 Sempre il 31 Agosto anche il Tribunale di Brindisi, adito con ricorso ex art.700 c.p.c. dalla curatela fallimentare della società Brindisi Calcio Srl, ha dichiarato, per simile questione, il proprio difetto di giurisdizione, confermato poi anche dall’ordinanza collegiale, depositata il 6 settembre 2004, sul reclamo della stessa curatela del Brindisi Calcio. In modo del tutto analogo si è così pronunciato il Tribunale di L’Aquila con ordinanza del 6 settembre 2004, sul ricorso ex art.700 c.p.c., presentato da L’Aquila Calcio in liquidazione Spa con l’intento di inibire qualunque atto dispositivo del titolo sportivo della fallita Aquila Calcio Spa.

Il tentativo di ricorrere al Tribunale Civile ex art.700 c.p.c. è stato intrapreso, seppur in un diverso ma simile contesto, anche dalla società Genoa Cricket and Football Club nell’estate 2005. Anche in questo caso però, il provvedimento cautelare (in accoglimento del ricorso cautelare d’urgenza promosso dai legali di detta società) emesso dal giudice della IX sezione del Tribunale di Genova in data 9 agosto 2005, non è stato poi convalidato. Su tale vicenda GALDI-GRIMALDI, Il tribunale ordina: “stop ai calendari”, in Gazzetta dello Sport, 10 agosto 2005, p.12.

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assoluto di commercializzazione del titolo sportivo” ma al contempo ha riconosciuto nel titolo

sportivo l’avviamento di una società sportiva che ne esprime la capacità i profitto.

Non si comprende infatti come il titolo sportivo, che ancora una volta è stato riconosciuto da

un giudice statale come un bene economico fondamentale per una società sportiva, non possa da

quest’ultima essere commercializzato ai sensi dell’art.52 N.O.I.F., ritenuto tra l’altro legittimo dallo

stesso tribunale che si era pronunciato per l’improcedibiltà del ricorso n. 8651/2004 a seguito di una

transazione tra S.S.C. Napoli e F.I.G.C. con cui la curatela della società fallita ha ceduto il titolo

sportivo della stessa per oltre 30 milioni di euro ad un'altra società neocostituita55.

2.1.3 Cenni ad altri casi.

Si farà un breve excursus su come alcune società sportive calcistiche abbiano cercato di

tutelare il proprio titolo sportivo, in seguito al fallimento delle stesse società o in seguito a

provvedimenti di non ammissione a un campionato, relativamente alle ultime stagioni sportive.

Sembra opportuno cominciare l’analisi dalla vicenda che ha coinvolto la società A.C. Ancona

Calcio nell’agosto 2004, per le analogie di tempi e di fatti che si riscontrano con il caso della S.S.C.

Napoli. La società marchigiana, retrocessa in Serie B al termine della stagione 2003/2004, è andata

incontro al fallimento decretato il 12 agosto 2004. Da qui una lunga battaglia da parte della curatela

fallimentare per far sì che il titolo sportivo venisse riconosciuto valido per la Serie B e senza poter

essere ceduto a terzi dalla F.I.G.C., tenendo conto proprio della recente giurisprudenza che si stava

formando in materia. E tale è stata anche la posizione del Tribunale di Ancona accogliendo il

ricorso ex art.700 c.p.c. proposto dalla curatela stessa; la differenza, rispetto alla fallita S.S.C.

Napoli è che l’Ancona Calcio non aveva comunque trovato offerte per rilevare l’azienda e il titolo

sportivo (valutato dal curatore fallimentare Umberto Arcangeli in circa sei milioni di euro).

In questa situazione poi anche la procedura applicativa del “Lodo Petrucci” (nel frattempo

attivata dalla F.I.G.C.) non è andata a buon fine in quanto la neocostituita Unione Sportiva

Anconitana non è riuscita a prestare le garanzie economiche per poter ripartire dalla Serie C1. Vista

la situazione critica e dato il costituirsi di un’altra nuova società, la A.C. Ancona Spa, la F.I.G.C.

anziché attribuire a quest’ultima il titolo sportivo per un campionato dilettantistico come da

regolamento, con il C. U. n.126 del 15 settembre 2004 ha consentito, in extremis, a quest’ultima

55 Sul punto, amplius, LUBRANO E., Ammissione ai campionati di calcio e titolo sportivo: un sistema da rivedere?!, cit., p.25.

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società di poter partecipare alla Serie C2 rilevando a titolo oneroso il titolo sportivo dalla società

fallita.

Su tale decisione qui ha, probabilmente, influito anche l’ordinanza depositata l’11 settembre

2004 dal Tribunale di Ancona, che ha confermato i provvedimenti inaudita altera parte emessi in

precedenza dallo stesso tribunale. Infatti il Tribunale di Ancona ha, in questa sede, come del resto

espresso dalla curatela nel ricorso, non tanto insistito sul fatto che all’Ancona andasse riconosciuto

il titolo sportivo per la Serie B, quanto che lo stesso titolo sportivo fosse riconosciuto come di

proprietà della curatela fallimentare, rigettando tra l’altro ogni eccezione di difetto di

giurisdizione56.

Altro caso interessante relativo all’estate 2004 è quello che ha coinvolto la società U.S.

Viterbese Calcio Srl, a cui è stata negata, con provvedimento federale del 27 luglio 2004 n. 29/A

l’iscrizione al campionato di Serie C1. Dopo aver proposto inutilmente, avverso tale

provvedimento, istanza di arbitrato alla Camera presso il C.O.N.I., la Società si è rivolta al T.A.R.

Lazio impugnando non solo il lodo arbitrale che in data 9 agosto 2004 ha dichiarato inammissibili

le sue domande proposte, ma anche il lodo arbitrale della stessa Camera che in data 28 agosto 2004

ha accolto la domanda di iscrizione della nuova società A.S. Viterbo Calcio Srl al campionato di

Serie C2 attraverso il “Lodo Petrucci”.

Il tema principale è stato ancora una volta la c.d. espropriazione del titolo sportivo: nel ricorso

al T.A.R. Lazio n. 9092/2004 la società Viterbese Calcio ha lamentato, fra le altre cose, che

l’ammissione al campionato di Serie C2 della società Viterbo Calcio in forza del “Lodo Petrucci”

rappresentasse un’ablazione del titolo sportivo a danno della ricorrente in palese violazione

dell’art.42 della Costituzione. Il T.A.R. Lazio, comunque, non è entrato proprio nel merito della

56 Ciò è stato possibile, a differenza degli altri Tribunali Civili, ritenendo che le controversie relative al titolo sportivo rientrassero nell’area di competenza esclusa al G.A. in favore del giudice ordinario, competenza che l’art.3 della L.n. 280/2003 sancisce per i “rapporti patrimoniali fra società, associazioni e atleti”; nell’ordinanza il Tribunale ha così statuito che “nella concreta fattispecie…non può obiettivamente negarsi contenuto patrimoniale ai petita di parte ricorrente; l’accertamento dichiarativo che si pretende riguarda la natura patrimoniale dell’avviamento-titolo sportivo e la titolarità a trasferirlo secondo criteri e parametri codicistico-civili nell’ambito del trasferimento del relativo ramo d’azienda; è patrimoniale anche far accertare il diritto (in subordine) all’indennizzo da irrituale tramutamento del titolo sportivo in capo a soggetti terzi;…l’art.51 R.D. n.267/1942 (Legge fallimentare) vieta azioni individuali esecutive sui beni compresi nel fallimento; come non comprendervi anche l’avviamento-titolo sportivo? L’art.52 stessa L.F. sancisce...che nessuna iniziativa individuale creditoria possa sottrarre alcun bene alla massa fallimentare; tutto ciò parla di controversia patrimoniale; altrimenti come definirla?”.

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Il titolo sportivo………

questione in quanto ha dichiarato, con la sentenza n. 10779/2005, in parte inammissibile57 ed in

parte improcedibile58 il ricorso proposto dalla società U.S. Viterbese Calcio.

Società che invece, nonostante dissesti finanziari, sono riuscite a mantenere il titolo sportivo

per la stessa Serie ottenuta “sul campo”, all’inizio della stagione 2004/2005 sono quelle, a cui si è

avuto modo di accennare in precedenza, come il Parma A.C. Spa, il Foggia Calcio Srl, il Calcio

Trento Spa e il Monza Calcio Spa. La prima di queste è riuscita nell’intento di mantenere il titolo

sportivo per l’ammissione alla Serie A attraverso il conferimento d’azienda alla società di nuova

costituzione ed interamente posseduta Parma F.C. Spa.

L’operazione è stata ratificata dalla F.I.G.C. ex art. 20 N.O.I.F., determinando l’importante

effetto di mantenere in capo alla società Parma F.C. non soltanto il titolo sportivo della società

conferente ma anche la sua anzianità d’affiliazione e il suo parco tesserati.

Quanto alle altre società suddette, la F.I.G.C., constatato il loro fallimento, con tre Comunicati

Ufficiali (199/A, 200/A e 201/A) ha consentito che si facesse applicazione dell’art.53 comma 3

delle N.O.I.F. permettendo così il trasferimento (a titolo oneroso) del medesimo titolo sportivo

conquistato “sul campo”, dell’anzianità di affiliazione e del parco tesserati delle società fallite in

capo rispettivamente alle società neocostituite U.S. Foggia Srl, Trentino Calcio 1921 Spa e A.C.

Monza Brianza 1912 Spa.

L’applicazione dell’art.52 comma 3 delle N.O.I.F. non è invece riuscita nel caso del fallimento

della società Calcio Como Spa. Quest’ultima società dopo aver affrontato una crisi che l’ha portata

in quattro anni a retrocedere dal campionato di Serie A al campionato di Serie C2 è stata dichiarata

in stato di insolvenza già nel corso della stagione 2004/2005, con la possibilità però di poter

proseguire l’attività fino al termine della stagione stessa.

Tuttavia alla società neocostituita Calcio Como Srl, che ha tentato di rilevare l’azienda

sportiva della società fallita con trasferimento del relativo titolo sportivo per il campionato di serie

C2 per la stagione 2005/2006, non sono state riconosciute idonee prima dalla F.I.G.C. (C.U. n. 3/A

del 5 luglio 2005) e dalla CO.VI.SOC, in seguito dalla Camera presso il C.O.N.I. (con lodo del 5

agosto 2005) e dal T.A.R. Lazio (con sentenza n.6174/2005) le garanzie offerte per l’operazione.

57 Il Consiglio Federale, infatti, con il C.U. n.77/A del 12 agosto 2004 ha ammesso al campionato di Serie C1 le società A.C. Prato e A.C. Pavia sul presupposto della mancata ammissione della U.S. Viterbese; tuttavia le due società non sono state evocate in giudizio dalla ricorrente determinando l’inammissibilità in parte qua del ricorso. 58 Con riferimento poi all’impugnativa della decisione della Camera arbitrale che ha accolto la domanda di iscrizione alla Serie C2 della Viterbo Calcio Srl, il giudice ha ritenuto improcedibile il ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, visto che l’accertato diniego di ammissione alla Serie C1 della ricorrente poteva comportare per quest’ultima al massimo il riconoscimento del titolo sportivo per la III Categoria.

DOTTRINA50

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Il titolo sportivo………

Alla società comasca è stata comunque attribuita dalla F.I.G.C. la possibilità di partecipare al

massimo campionato dilettantistico nel girone B, attribuendole il relativo titolo sportivo.

Relativamente alla stagione sportiva 2005/2006 è opportuno evidenziare altri due ricorsi al

T.A.R. Lazio presentati dal Fallimento Brindisi Calcio Srl e dalla società Salernitana Sport Spa

(rispettivamente ricorso n. 8943/2004 e n. 8016/2005), con cui sono state impugnate tutte le

disposizioni federali che consentono alla F.I.G.C. di disporre del titolo sportivo di una società non

ammessa ad un campionato assegnandolo a società terze di nuova costituzione e - nel caso del

ricorso del Fallimento Brindisi Calcio - tutte le disposizioni federali che non consentono, di

conseguenza, alle società in stato di insolvenza di poter disporre del titolo sportivo nell’interesse dei

creditori.

Tuttavia anche in questi casi il T.A.R. del Lazio non ha potuto affrontare nel merito le relative

questioni (rispettivamente sentenza n. 4284/2005 e sentenza n. 9968/2005), andando quindi ancora

persa la possibilità di una pronuncia sulla compatibilità dei regolamenti federali in questione

rispetto alle leggi e ai principi statuali59.

Da ultimo un breve cenno riguardante le ultime vicende relative all’estate 2006.

59 A portare innanzi al giudice amministrativo la questione dei gravi effetti negativi derivanti dalla c.d. espropriazione del titolo sportivo da parte della F.I.G.C., in seguito al provvedimento di non ammissione al campionato di Serie C1, ha pensato poi la società S.P.A.L. spa. I fatti, relativi al diniego di ammissione della Società alla Serie C1 per la stagione 2005/2006 a causa di inadempimenti economici (F.I.G.C., C.U. n.21/A del 15 luglio 2005), si sono svolti dapprima innanzi alla Camera arbitrale presso il C.O.N.I. e poi innanzi al T.A.R. Lazio con ricorso n. 7236/2005, ma in entrambi i casi sono state respinte le pretese della società ferrarese (lodo del 25 luglio 2005 e sentenza T.A.R. Lazio n. 6079/2005). La Società si è allora rivolta al Consiglio di Stato con significative richieste aventi ad oggetto (in subordine alla declaratoria di illegittimità del provvedimento federale di non ammissione al campionato) il diritto a vedersi comunque restituito il titolo sportivo per la Serie C1 o, ad ogni modo, il diritto ad ottenere la somma in denaro relativa all’assegnazione, nel frattempo intervenuta, del titolo sportivo stesso alla neocostituita SPAL 1907 in forza del “Lodo Petrucci”.

Purtroppo, anche in quest’occasione non si è arrivati ad un esame nel merito della legittimità o meno dell’art.52 comma 6 delle N.O.I.F.: il Consiglio di Stato, Sezione Sesta, con decisione n. 3559/2006 ha respinto il ricorso confermando solo le inadempienze economiche della Società, ma, per le questioni qui rilevanti, ha accolto un’eccezione di inammissibilità proposta dalla F.I.G.C. per non aver la ricorrente previamente fatto valere il motivo relativo a tale disposizione federale innanzi alla Camera arbitrale del C.O.N.I. (la cui decisione, infatti, ha natura di atto amministrativo).

Le perplessità sulla legittimità del “Lodo Petrucci” sono state in questo caso accentuate dal fatto che alla nuova società SPAL 1907 è stato di fatto consentito di appropriarsi della denominazione sociale della storica società preesistente (peraltro non fallita), appropriazione anche questa avvenuta ad “euro zero”. Sul punto si veda LUBRANO E., Ammissione ai campionati di calcio e titolo sportivo: un sistema da rivedere?!, cit., p.31.

Ultimamente, a proposito, si è avuto anche l’interessante caso del ricorso della società REGAL-Produzioni Cinematografiche e Televisive, titolare nel 2002 della maggioranza azionaria della A.C. Fiorentina Spa Tale società si è rivolta al T.A.R. del Lazio per chiedere il risarcimento del danno, ad opera di F.I.G.C., C.O.N.I. e L.N.P., subito a seguito dell’accertamento dell’illegittimità del provvedimento della F.I.G.C. emesso il 1°agosto 2002, con il quale è stato rigettato il ricorso presentato dall’Amministrazione Giudiziaria della A.C. Fiorentina avverso l’esclusione della stessa dal campionato di Serie B 2003/2004. Da tale provvedimento, infatti, sarebbe scaturito per la ricorrente un notevole danno economico; ad avviso della ricorrente, cioè, la F.I.G.C. avrebbe illegittimamente disconosciuto la possibilità di percorsi di risanamento centrati sulla disponibilità del titolo sportivo, unitamente a quella dell’azienda, anche ai fini della salvaguardia patrimoniale della società nell’interesse dei soci e dei creditori. Di conseguenza sarebbe stato erroneamente consentita la nascita di una nuova società ammettendola, come visto, direttamente ai campionati professionistici. Tuttavia, le posizioni della società REGAL, finanche condivisibili, sono state dichiarate inammissibili dal T.A.R. Lazio nella sentenza n. 2155/2006 per difetto di legittimazione attiva della ricorrente e per la tardiva impugnazione degli atti da cui si faceva discendere il danno risarcibile, tutti relativi al 2002.

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Il titolo sportivo………

Due sono stati i fallimenti “eccellenti”: la società S.S. Sambenedettese Calcio Srl e la società

Savona Calcio Srl. Entrambe sono risultate idonee per avvalersi della vantaggiosa ipotesi prevista

dal comma 3 dell’art.52 N.O.I.F.: il Commissario Straordinario della F.I.G.C., infatti, con due

Comunicati Ufficiali (rispettivamente n. 19 del 27 giugno 2006 e n. 1 del 10 luglio 2006), ha

attribuito alle neocostituite S.S. Sambenedettese Calcio Srl e Savona 1907 FBC il titolo sportivo,

l’anzianità di affiliazione e il parco tesserati delle rispettive società fallite.

Da segnalare, inoltre, nel corso dell’estate 2006, diversi provvedimenti di non ammissione a

un campionato professionistico da parte della F.I.G.C.. Tali ultimi hanno riguardato le società: U.S.

Catanzaro Spa, Gela J.T. Srl, Pol. Sassari Torres Spa, A.S. Acireale Srl, Calcio Chieti Spa, Fermana

Calcio Srl, Fortis Spoleto F.C. Srl, S.S. Gualdo Srl. Solo il titolo sportivo di tre di queste società ha

però potuto essere tutelato attraverso il “Lodo Petrucci”: ciò con la costituzione delle nuove società

F.C. Catanzaro Spa, Sassari Torres 1903 Srl e Gela Calcio Spa, alle quali è stato assegnato il titolo

sportivo, per una categoria inferiore, delle rispettive società non ammesse.

Quanto, infine, alla stagione sportiva 2007/2008 si è ravvisata, nei campionati

professionistici, solo la non ammissione alla Serie C2 della società U.S. Tempio S.r.l., la quale non

ha provveduto a depositare una fidejussione bancaria così come riscontrato dalla CO.VI.SOC

(F.I.G.C. C.U. n. 6/A del 3 maggio 2007). Tale diniego d’ammissione è andato a favore della avente

diritto al “ripescaggio”, ovvero la società U.S.D. Caravaggese Calcio, alla quale è stato attribuito il

titolo sportivo per disputare la Serie C2 (C.U. n. 7/A del 3 agosto 2007). Avverso la decisione di non

ammissione ha inutilmente proposto istanza di arbitrato la società Tempio, istanza respinta nel

merito dal Collegio Arbitrale della Camera presso il C.O.N.I. con lodo del 26 luglio 2007.

2.2 Prospettive di riforma.

Si cercherà ora di rilevare uteriormente quali possono essere gli effetti negativi dell’attuale

disciplina del titolo sportivo e come in qualche modo possono essere attenuati.

Per motivi già esposti si concentrerà l’attenzione sul “sistema calcio”, cercando di cogliere

non tanto gli effetti negativi sul titolo sportivo derivanti da sanzioni disciplinari (che sono,

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Il titolo sportivo………

comunque, per certi versi condivisibili)60, ma gli effetti negativi derivanti da sanzioni

amministrative come la non ammissione ad un determinato campionato.

In primis sarebbe da evitare che si concretizzasse tale fattispecie sanzionatoria quando nella

sostanza gli inadempimenti amministrativo-contabili di una società sportiva non siano così gravi ed

irrisolvibili. Ciò risulta evidente allorchè si considerino le conseguenze possibili di una non

ammissione ad un campionato, che arrivano a configurare l’ipotesi estrema dell’attribuzione per la

società non ammessa (al campionato di Serie A, B o C1) del titolo sportivo di base per la III

Categoria. Sarebbe pertanto necessario evitare tali conseguenze stabilendo, anche annualmente, una

regolamentazione, da parte della Federazione, che consenta di iscrivere ai campionati di

competenza anche le società che presentino un certa soglia di indebitamento o di irregolarità che

non minacci comunque l’ordinato svolgimento dei campionati61 e non rappresenti una disparità di

trattamento nei confronti delle società non in regola.

Al di là dei presupposti di una non ammissione a un campionato, si è già detto di come anche

il giudice amministrativo abbia affermato che un provvedimento di non ammissione non possa

determinare la mera sospensione per la società del titolo sportivo conquistato sul campo in attesa

che quest’ultima risolva i problemi amministrativo-contabili: absurda sunt vivanda. Se ciò può

essere pacifico per motivi logistici di organizzazione dei campionati da parte della Federazione,

rimane difficilmente accettabile il fatto che in conseguenza di tale provvedimento si determini per

una società: la perdita del titolo sportivo per i campionati professionistici, l’eventuale

“espropriazione” del proprio titolo sportivo ai sensi dei commi 6 e 7 dell’art.52 delle N.O.I.F. senza

che alla società “espropriata” entri alcun vantaggio patrimoniale, e per di più, infine, il c.d. svincolo

d’autorità di tutti i tesserati con la società in questione per il fatto che, in seguito alla diniego di

ammissione della loro società, i loro contratti vengono risolti di diritto.

Quanto, in particolare, alla seconda conseguenza, questa è figlia della discutibile concezione,

più volte ribadita dalla F.I.G.C. e dai giudici amministrativi, del titolo sportivo come un bene di cui

la sola Federazione possa disporre. Ciò, dal punto di vista economico si traduce nella impossibilità,

per la società che possiede il titolo, di ottenerne alcun vantaggio patrimoniale nel caso in cui esso

venga trasmesso ad altra società. Se il titolo sportivo rappresenta per l’azienda sportiva

60 In realtà, anche in questo caso, se da un lato è, ad esempio, condivisibile che il titolo sportivo di una società venga declassato in seguito alla commissione di un illecito sportivo, ciò lo risulta meno con riguardo a quella massa di tifosi, a volte milioni, che, come detto, sentono proprio il titolo sportivo e che risulterebbe completamente estranea alla commissione dell’illecito predetto.61A tal fine dovrebbe trovare posto anche una migliore specificazione della “perentorietà” dei termini prevista nei Comunicati Ufficiali annuali per l’adempimento delle condizioni necessarie per le iscrizioni ai campionati.

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l’avviamento, ovvero qualcosa di più della mera sommatoria dei beni e dei rapporti al suo interno,

diviene difficilmente comprensibile come tale valore possa essere di fatto azzerato per effetto della

sua circolazione o possa venire acquisito praticamente a titolo gratuito da terzi con società

neocostituite (seppur in una categoria inferiore) in pregiudizio degli azionisti e dei creditori della

società non ammessa.

Questa sorta di ablazione del titolo sportivo risulta, dal punto di vista economico, grave

soprattutto nel caso delle società andate incontro al fallimento che non siano rientrate nella

fattispecie prevista dal comma 3 dell’art.52 N.O.I.F..

In questo caso, il titolo sportivo viene dichiaratamente escluso dall’attivo fallimentare

essenziale per il Curatore al fine di cercare di soddisfare i creditori della società. Attivo fallimentare

che, comunque, risulta screditato anche qualora la società fallita possa usufruire della predetta

fattispecie: a ben vedere, infatti, l’acquisizione dell’intera azienda sportiva (e del conseguente titolo

sportivo) della società fallita da parte di altra società risulta subordinata all’accollo da parte di

quest’ultima dei soli debiti sportivi della società fallita, a discapito dei creditori non sportivi o

chirografari: creditorum appellatane non hi tantum accipiuntur, qui pecuniam crediderunt, sed

omnes, quibus ex qualibet causa debetur.

Sarebbe altresì opportuno eliminare la possibile disparità di situazioni legate al titolo sportivo

tra società rientranti nella fattispecie dell’art.52 co.3 delle N.O.I.F. da società che non vi rientrino.

Altra riforma dovrà necessariamente eliminare il paradosso previsto dall’art. 52 co.6 e co.9 delle

stesse N.O.I.F., cioè che le società non ammesse al campionato di Serie A, B, e C1 retrocedono in

III Categoria, mentre quelle non ammesse alla Serie C2 retrocedono in un campionato, anche più

elevato, di livello dilettantistico.

Tale situazione si potrebbe evitare applicando il “Lodo Petrucci” anche alle società non

ammesse alla Serie C262. Relativamente al “Lodo Petrucci” necessiterebbe poi di migliori

specificazioni quel requisito, previsto per la sua applicabilità, dell’ “espressione della tradizione

sportiva italiana” della società non ammessa al campionato.

In aggiunta se, da una parte, è assolutamente condivisibile che il titolo sportivo possa

subire modificazioni in peius in seguito a demeriti sportivi e/o a minor meriti comparativi

(retrocessione al termine di un determinato campionato) o in seguito a provvedimenti disciplinari,

62 Situazione, comunque, non facile da gestire in quanto il “Lodo Petrucci” è stato fortemente contestato dai massimi organi della Lega Nazionale Dilettanti: col sistema del “Lodo Petrucci”, infatti, le società fra i dilettanti hanno perso molte possibilità di essere “ripescate” nella serie C2, perdendo così di valore anche i relativi play-off.

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Il titolo sportivo………

dall’altra, in caso di provvedimenti amministrativi di non ammissione di una società ad un

campionato a seguito delle difficoltà economiche della medesima, il valore del titolo sportivo deve

invece poter sopravvivere allo stesso rango; ciò, almeno fin quando i provvedimenti federali in

questione non siano giustificati da vere e proprie ipotesi di c.d. doping amministrativo, ovvero da

una condotta amministrativo-contabile, da parte di una società, finalizzata a mascherare in modo

grave i relativi dissesti economici e ad ottenere così vantaggi indiretti rispetto alle società

concorrenti.

Se è in tal caso giustificabile che si adottino provvedimenti federali atti ad incidere in

negativo sul titolo sportivo di una società, ciò, in base alle considerazioni svolte, non può comunque

arrivare ad azzerare completamente il valore del titolo sportivo stesso, essendo più ragionevole che

questo possa essere declassato comunque al massimo di una sola categoria.

Un intervento decisivo, alla luce di quanto osservato, serve oltretutto per dare la possibilità

alla società non ammessa di poter conteggiare il titolo sportivo nell’attivo patrimoniale.

La possibilità di una sua trasmissibilità a titolo oneroso in caso di non ammissione a un

campionato, anche a prescindere da chi abbia il potere di individuare la società assegnataria del

titolo sportivo, risulterebbe fondamentale per la società in difficoltà economiche e a maggior

ragione per la società in stato di insolvenza dichiarato giudizialmente63.

Nel “sistema calcio”, l’obiettivo di tutelare in tal senso il titolo sportivo potrebbe

essere raggiunto attraverso una revisione generale dei regolamenti federali secondo una più

moderna concezione della natura del titolo sportivo e dalla possibilità della più completa

applicazione possibile degli strumenti offerti dal codice civile e dal diritto fallimentare alle imprese

calcistiche e al loro titolo sportivo (così come affermato anche dai tribunali fallimentari nelle

vicende affrontate).

(*) dottore in Giurisprudenza

63 Su questi punti interessante è la posizione del Lubrano, il quale ha anche formulato una nuova ipotesi, rispetto al “Lodo Petrucci”, di cessione del titolo sportivo nel caso si realizzasse uno dei due presupposti di base del Lodo stesso (non ammissione o stato di insolvenza di una società di calcio). LUBRANO E., Ammissione ai campionati di calcio e titolo sportivo: un sistema da rivedere?!, p.36.

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L’evoluzione dello status professionale………

L’ EVOLUZIONE DELLO STATUS PROFESSIONALEDEL GIOCATORE DI CALCIO A 5

di Valerio Bernardi (*)

SOMMARIO:

1. Premessa

2. La riforma del calcio dilettantistico

3. I giocatori di Calcio a 5

4. Prospettive di riforma

4.1 Il Regolamento FIFA sullo status e i trasferimenti dei calciatori:

- l’Allegato 6 sul “Futsal”

4.2 Le problematiche dello status di dilettante

4.3 Ipotesi di riforma

5. Conclusioni

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L’evoluzione dello status professionale………

1. Premessa.

Lo sviluppo del sistema sportivo italiano, sia in termini di pratica sportiva che di valore

economico, ha portato, negli ultimi anni, il legislatore ordinario ad occuparsi con sempre maggiore

impegno delle problematiche relative ai soggetti dell’ordinamento sportivo.

La figura dell’atleta dilettante, al contrario, è rimasta esclusa dagli interventi legislativi e

rappresenta una delle problematiche maggiori per lo sport italiano. I soggetti sportivi qualificati

quali atleti dilettanti, infatti, rappresentano la grande maggioranza degli sportivi che svolgono

attività ufficiale1, ma non sono ancora stati dotati di una disciplina specifica, relativa alle loro

prestazioni.

All’interno della variegata famiglia degli sport dilettantistici trova posto anche il Calcio a 5,

una disciplina sportiva in continua espansione che ha ormai bisogno di una regolamentazione

appropriata.

Nella figura del giocatore di Calcio a 5, infatti, non solo si riassumono tutte le problematiche

degli sportivi dilettanti, ma a queste si somma la carenza di una normativa specifica anche in ambito

sportivo.

Il Calcio a 5, conosciuto a livello internazionale con il nome di “Futsal”, fa parte, a livello

organizzativo, della struttura della Federazione Italiana Giuoco Calcio (F.I.G.C.), ma è stato inserito

funzionalmente all’interno della Lega Nazionale Dilettanti (L.N.D.). Questa collocazione oggi

risulta penalizzante soprattutto per chi pratica questa disciplina sportiva ad alto livello.

Il giocatore di Calcio a 5, infatti, è per la normativa sportiva nazionale un “non

professionista”. Questa qualificazione preclude al giocatore la possibilità di essere considerato un

lavoratore sportivo e lo esclude, di fatto, dalle tutele predisposte per gli atleti considerati

“professionisti”.

L’evoluzione della figura del calciatore ha dimostrato come l’adeguamento delle normative

alla realtà sportiva che intendono disciplinare sia lento e, in buona parte, correlato ad una intensa

attività giudiziaria.

1 Le Federazioni sportive nazionali che hanno un settore professionistico disciplinato dalla legge n. 91/1981 sono, secondo l’originaria delibera del CONI del 2 maggio 1988, la Federazione Italiana Giuoco Calcio (F.I.G.C.), la Federazione Ciclistica Italiana (F.C.I.), la Federazione Italiana Golf (F.I.G.), la Federazione Motociclistica Italiana (F.M.I.) e la Federazione Pugilistica Italiana (F.P.I.). A queste si è aggiunta, a decorrere dal 30 giugno 1994, la Federazione Italiana Pallacanestro (F.I.P.). Sono solo 6 Federazioni sportive nazionali sulle 43 affiliate al CONI.

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L’evoluzione dello status professionale………

L’inefficienza delle normative sportive e la mancanza di una tutela legislativa rivolta all’atleta

dilettante non fanno altro che incrementare il ricorso, da parte di questa categoria di atleti, alle vie

giudiziarie ordinarie.

L’analisi della situazione del giocatore di Calcio a 5 si inserisce nel più ampio dibattito

riguardo lo status dell’atleta dilettante e le problematiche che interessano questa categoria sia in

ambito nazionale che comunitario.

Le soluzioni proposte si rivolgono, in modo alternativo ma non concorrente, sia alle esigenze

del giocatore di Calcio a 5, soprattutto in riferimento alla normativa sportiva internazionale, che alle

problematiche più generali del lavoro sportivo dilettantistico.

2. La riforma del calcio dilettantistico

Il momento di svolta nell’evoluzione dello status del calciatore dilettante coincide con

l’estensione dell’attività di tutela ed assistenza dell’Associazione Italiana Calciatori (A.I.C.) al

mondo del calcio dilettantistico2.

La collaborazione fra A.I.C. e Lega Nazionale Dilettanti ha dato vita, nel giugno del 2002, ad

una riforma delle norme federali3 che ha portato ad un miglioramento dello status del calciatore non

professionista. Le modifiche regolamentari hanno interessato due aspetti fondamentali del rapporto

fra società e calciatori dilettanti: il vincolo sportivo ed i rapporti economici fra società e tesserati.

La riforma del vincolo sportivo a tempo indeterminato4 è nata dalla necessità di contemperare

i diritti dei calciatori con le opposte esigenze delle società. Per raggiungere questo obiettivo è stato

introdotto un vincolo a tempo determinato, che decade al compimento del 25º anno d’età del

calciatore. Oggi tutti i calciatori che, entro il termine di ogni stagione sportiva, abbiano compiuto il

25º anno d’età possono richiedere, ai Comitati ed alle Divisioni di appartenenza, lo svincolo per

decadenza del tesseramento ai sensi dell’art. 32-bis delle Norme Organizzative Interne della

Federazione (N.O.I.F.)5.

2 Dal 10 aprile 2000, infatti, l’A.I.C. ha esteso la propria tutela anche a tutti i calciatori tesserati per società appartenenti al settore dilettanti, al calcio femminile e al Calcio a 5. 3 Per un’analisi della riforma si veda A. DE SILVESTRI, La riforma del calcio dilettantistico in tema di vincolo e di accordi economici, in P. MORO (a cura di), Vincolo sportivo e diritti fondamentali, Pordenone, Euro92 ed., 2002, p. 31. 4 Sulla natura e sulla durata del vincolo sportivo esiste un ampio dibattito in dottrina al quale si rimanda. Per un utile riferimento si vedano AA.VV., Vincolo sportivo e diritti fondamentali, Pordenone, Euro 92 ed., 2002; D. ZINNARI, Percorsi dottrinali in tema di vincolo, in GiustiziaSportiva.it, 2005, I, p. 41; P. MORO, Natura e limiti del vincolo sportivo, Riv. di dir. ed ec. dello sport, 2005, I, p. 67. 5 La riforma in oggetto ha inserito tre nuovi articoli alle N.O.I.F.: l’art. 32-bis riguarda la durata del vincolo di tesseramento e lo svincolo per decadenza, mentre l’art. 32-ter ha previsto un regime transitorio per l’entrata in vigore della riforma, che è operativa dal 1 luglio 2004; infine, è stato modificato l’art. 36 del Regolamento della L.N.D. che prevedeva l’assunzione, al momento del

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L’evoluzione dello status professionale………

È importante sottolineare che tutti i calciatori che hanno chiesto ed ottenuto lo svincolo per

decadenza del tesseramento nelle stagioni precedenti, risultano automaticamente svincolati al

termine della stagione sportiva successiva6. Non è stata prevista invece, come richiesto dalle

società, la corresponsione di un’indennità compensativa per la perdita dei calciatori rimasti in

ambito dilettantistico, mentre è aumentato il premio di addestramento e formazione tecnica che le

società professionistiche sono tenute a versare alle società presso cui il calciatore ha svolto l’attività

dilettantistica.

Ancora più articolato è stato il riassetto della materia in ambito economico, che ha previsto da

un lato le modifiche alle norme che non consentivano accordi economici per i calciatori dilettanti,

dall’altro la necessità di strumenti di tutela nel caso di controversie nascenti dalla nuova normativa.

Ora i calciatori tesserati con società che partecipano ai campionati nazionali della L.N.D.7 sono

tenuti a sottoscrivere, su appositi moduli, Accordi Economici annuali8 relativi alle loro prestazioni

sportive. La sottoscrizione degli accordi, ai sensi degli artt. 29, punto 3, e 94-ter delle NOIF è

obbligatoria, così come il deposito presso i Comitati e le Divisioni di competenza. Gli accordi

possono prevedere la determinazione delle indennità di trasferta, dei rimborsi forfetari di spesa e

delle voci premiali legate alla partecipazione all’attività agonistica oppure, in via alternativa e non

concorrente, l’erogazione di una somma lorda annuale da corrispondersi in dieci rate mensili di

uguale importo9. Eventuali accordi integrativi o sostitutivi di quelli depositati sono considerati nulli

e privi di efficacia e comportano, inoltre, il deferimento di entrambi i contraenti agli organi di

giustizia sportiva per illecito disciplinare10, con ipotesi di squalifica per il calciatore e

penalizzazione per la società coinvolta.

Le controversie relative alla stipula di Accordi Economici sono state affidate alle decisioni di

una Commissione Accordi Economici, istituita appositamente con l’introduzione dell’art. 21-bis del

Regolamento della L.N.D..

tesseramento, del vincolo a tempo indeterminato. 6 Ad esclusione dei giocatori di calcio a 5 che hanno in corso accordi pluriennali ai sensi dell’art. 94-ter, punto 7, delle N.O.I.F.; norma peraltro abbastanza controversa di cui si parlerà specificamente nel par. 2. dedicato ai giocatori di Calcio a 5.7 Sono i calciatori della serie D, le calciatrici della serie A femminile ed i giocatori di Calcio a 5 che partecipano ai campionati di serie A, A2 e B.8 Ad eccezione dei giocatori di Calcio a 5 che disputano campionati nazionali, i quali, ai sensi dell’art. 94-ter, punto 7, delle NOIF, possono concordare l’erogazione di somme annuali lorde per un periodo massimo di tre stagioni sportive. 9 Gli accordi concernenti i rimborsi forfetari di spesa e le indennità di trasferta non possono superare il tetto di 61,97 euro al giorno, per un massimo di 5 giorni alla settimana durante il periodo di campionato e per un massimo di 45 se relativi alla preparazione pre-campionato. Nel caso di attività agonistica relativa a gare di campionato e coppa Italia, gli accordi non possono prevedere somme superiori a 77,47 euro per ciascuna prestazione. Se invece viene concordata l’erogazione di una somma lorda annuale, l’accordo non può superare il tetto dei 25.822 euro.10 Ai sensi dell’art. 7, nn. 4 e 8, del Codice di Giustizia Sportiva.

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L’evoluzione dello status professionale………

Contro tali decisioni è possibile ricorrere in appello alla Commissione Vertenze Economiche

Federale11. Si è stabilito, inoltre, che il calciatore rimasto insoddisfatto delle decisioni prese dagli

organi di giustizia sportiva possa rivolgersi, decorso un mese dalla decisione divenuta definitiva,

alla magistratura ordinaria senza bisogno di autorizzazione in deroga al vincolo di giustizia. Questa

ultima previsione, decisamente innovativa per il mondo sportivo, anticipa in parte l’intervento del

legislatore nazionale in materia12 e riprende l’impostazione adottata dalle normative internazionali

in tema di controversie tra società e calciatori.

La storia dell’evoluzione della figura del calciatore descrive la progressiva presa di coscienza

dei suoi diritti e la relativa codificazione di tali diritti13. Questo crescita progressiva ha finito per

interessare anche il calciatore dilettante, influenzando indirettamente anche il giocatore di Calcio a

5.

Tuttavia, il giocatore di Calcio a 5 non rappresenta ancora una categoria separata di

calciatore, tanto che questa mancata definizione in positivo da un lato ne pregiudica la crescita,

dall’altro non permette la strutturazione di un sistema normativo specifico.

Mentre il calciatore professionista continua a premere per una totale liberalizzazione del

sistema contrattuale, scontrandosi con le esigenze delle società, il giocatore di Calcio a 5 è alla

ricerca di una sua identità professionale, in modo tale da poter contribuire alla costruzione di un

settore sportivo efficiente che possa integrarsi con il sistema sportivo italiano ed internazionale14.

11 Secondo quanto disposto dall’art. 45, n. 4, lett. b), del Codice di Giustizia Sportiva.12 Si tratta della legge n. 280/2003 che ha definito i rapporti fra ordinamento sportivo e ordinamento statale riconoscendo l’autonomia dell’ordinamento sportivo, ma delineandone, allo stesso tempo, i limiti rispetto all’ordinamento giuridico statale. Per un’analisi critica della legge n. 280/2003 si veda AA.VV., La giustizia sportiva. Analisi critica della legge 17 ottobre 2003 n. 280, Forlì, Experta ed., 2004. 13 In questo senso E. LUBRANO, L’ordinamento giuridico del giuoco calcio, Roma, Ist. Ed. Regioni Italiane, 2004.14 Il sistema calcistico internazionale crede fortemente nelle potenzialità del Calcio a 5, tanto che sia la FIFA che la UEFA hanno iniziato un percorso di promozione e di sviluppo di questa disciplina. La FIFA ha inserito fra le sue Commissioni permanenti (FIFA Standing Committees) una Commissione per il Calcio a 5 (Futsal Committee). La struttura organizzativa della FIFA, infatti, è divisa in 25 Commissioni Permanenti e due Organi “Giurisdizionali” (la Commissione Disciplinare e la Commissione d’Appello). Le Commissioni svolgono una funzione di base e decidono l’organizzazione dei tornei e lo sviluppo del calcio in generale. Le decisione adottate dalle Commissioni sono ratificate dal Comitato Esecutivo della FIFA (FIFA Executive Committee), composto dal Presidente, da 7 Vice-presidenti, da 16 membri (sono membri dell’Esecutivo anche il Presidente ed il Vice-presidente della Commissione per il Calcio a 5, ma non vi sono rappresentanti italiani) e dal Segretario Generale. La Commissione per il Futsal è presieduta dal brasiliano Ricardo Terra Teixeira e annovera, fra i suoi membri, il Presidente della Commissione UEFA per il Futsal Petr Fousek, ma, anche in questo caso, ai suoi lavori non partecipano rappresentanti italiani.

Anche la UEFA, che si occupa dell’organizzazione del calcio a livello continentale, si è dotata di un Comitato Esecutivo (UEFA Executive Committee) e di una serie di Commissioni (Committees) e Panel. Il Comitato Esecutivo della UEFA, composto da 14 membri, compreso l’italiano Franco Carraro, decide su ogni materia che non ricade nella competenza del Congresso della UEFA o di qualsiasi altro organo. Si occupa anche dell’amministrazione, ad eccezione dei compiti dell’Amministratore Delegato o della Direzione Generale. Le Commissioni e i Panel rappresentano le 52 Federazioni affiliate e si occupano di un ampio ventaglio di attività. Fanno inoltre parte della struttura due consigli disciplinari (il Consiglio Controllo e Disciplina e la Commissione d’Appello) e il Consiglio del progetto Meridian (un progetto di cooperazione Europa-Africa per lo sviluppo del settore calcistico che prevede un torneo internazionale under 17 per le rappresentative nazionali di Europa ed Africa). Oltre alla struttura ed alle Commissioni, si contano più di 25 Panel di esperti che, in caso di decisioni importanti, sono affiancati da gruppi di lavoro specifici istituiti dalla UEFA. La commissione UEFA per il Calcio a 5 (UEFA Futsal Committee) è composta da un Presidente, Petr Fousek, un Vice-presidente, l’ungherese Huszar, e da 9 membri, compreso il Presidente della Divisione Calcio a 5 Fabrizio Tonelli. Il responsabile del

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3. I giocatori di Calcio a 5

I giocatori di Calcio a 5 che svolgono attività ufficiale, sia a livello nazionale che regionale,

sono inquadrati nel settore dilettantistico della Federazione Italiana Giuoco Calcio (F.I.G.C.). Le

società di Calcio a 5, infatti, sono associate alla Lega Nazionale Dilettanti, perciò gli atleti tesserati

per queste società svolgono la loro attività quali giocatori “non professionisti”, secondo quanto

disposto dalle norme della F.I.G.C.15 e dal Regolamento della L.N.D.16.

La riforma del calcio dilettantistico, concordata dall’Associazione Italiana Calciatori con la

L.N.D. e rafforzata dalla sottoscrizione di un protocollo d’intesa firmato nell’ottobre del 2004, ha

introdotto importanti modifiche che riguardano i giocatori ed il loro rapporto con le società17.

Questa riforma, di notevole interesse per il mondo del calcio dilettantistico, non ha

differenziato, in senso formale, il calciatore dilettante dal giocatore di calcio a 5, ad eccezione di

una singola norma. L’art. 94-ter, n. 7, delle N.O.I.F.18, infatti, prevede, in deroga a quanto stabilito

per gli altri calciatori partecipanti ai campionati nazionali organizzati dalla L.N.D., la possibilità,

Calcio Professionistico, l’inglese David Richards, insieme al capo della Commissione per le competizioni per squadre nazionali, lo svedese Lagrell, amministra la Commissione per il Futsal.

Gli obiettivi ed i compiti della Commissione UEFA per il Futsal sono:Scambiare opinioni sulle competizioni organizzate dalla UEFA (UEFA Futsal Cup; UEFA European Futsal Championship;

European qualification for FIFA Futsal Championship)Redigere raccomandazioni per l’Amministratore della UEFA riguardo:

- Possibili modificazioni alle competizioni organizzate dalla UEFA- Regolamenti delle competizioni- Processo di selezione per i paesi ospitanti le competizioni- Organizzazione di programmi di sviluppo per il Futsal- Monitoraggio dell’organizzazione e della preparazione delle competizioni assegnate- Cooperazione con le altre Commissioni

Le attuali priorità della Commissione per il Futsal sono: Monitorare le preparazione dei campionati Europei del 2007, della UEFA Futsal Cup e delle

qualificazioni europee ai Mondiali del 2009 Assistere al processo di selezione per il paese ospitante gli Europei del 2009 Promuovere e supportare le Federazioni che non hanno ancora un settore specifico dedicato al

Calcio a 5 nell’inserimento del Futsal nei loro programmi futuri Elaborare nuove proposte di sviluppo

Nessun Panel, finora, è stato creato per collaborare con la Commissione per il Futsal, tuttavia la UEFA ha organizzato recentemente (nel febbraio del 2006 a Madrid) una conferenza dedicata alle problematiche attuali e agli sviluppi futuri del Calcio a 5 a livello continentale. 15 Le Norme Organizzative Interne della Federazione (N.O.I.F.) prevedono tre diverse categorie di calciatore, secondo quanto previsto dall’art. 27: i professionisti; i non professionisti; i giovani. Ai sensi dell’art. 29 “Sono qualificati ‘non professionisti’ i calciatori che, a seguito di tesseramento, svolgono attività sportiva per società associate alla L.N.D. compresi quelli di sesso femminile, quelli che giocano il ‘Calcio a 5’ e quelli che svolgono attività ricreativa”. 16 Il Regolamento della L.N.D. prevede tre ulteriori categorie per i giocatori dilettanti: i non professionisti; i giovani dilettanti; i giovani (art. 34). 17 Cfr. par. 1.18 In particolare, l’art. 94-ter prevede, al punto n. 7, che “… i calciatori tesserati per società di Calcio a Cinque che disputano Campionati nazionali, possono concordare l’erogazione di somme annuali lorde per un periodo massimo di tre stagioni sportive. Gli eventuali accordi pluriennali cessano di avere efficacia in caso di trasferimento del calciatore sia a titolo definitivo che temporaneo, nonché di retrocessione della società nei Campionati regionali”.

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solo per i giocatori di calcio a 5 che disputano campionati nazionali, di sottoscrivere Accordi

Economici pluriennali.

La durata di tali accordi può essere al massimo triennale. Il legislatore sportivo in questo

modo ha voluto dotare il mondo del Calcio a 5 di una norma di settore che potesse sancire la

specificità della disciplina, differenziandola dal calcio dilettantistico.

Appare necessario sottolineare, in primo luogo, come una singola norma sia del tutto

insufficiente a garantire la specificità di un settore sportivo. Il Calcio a 5, infatti, ha bisogno di una

struttura regolamentare propria e di una cornice normativa che possa disciplinare in modo

complessivo l’intero sistema.

Non si vuole, con questo, separare il Calcio a 5 dal sistema calcistico, al contrario si ricerca la

migliore collocazione per una disciplina che ha ormai bisogno della sua identità, anche in senso

strettamente giuridico. Se dal punto di vista tecnico-agonistico questo obiettivo è stato raggiunto19,

molto ancora rimane da fare in ambito normativo, soprattutto in Italia, dove questo sport fatica a

ritagliarsi degli spazi a livello istituzionale.

Inoltre, questa norma sembra inserita, in modo forzato, in un sistema strutturato per prevedere

accordi economici di durata unicamente annuale20 e si rapporta male alle altre norme. La

problematica più rilevante riguarda il rapporto fra vincolo sportivo ed accordo economico e quindi

il combinato fra l’art. 32-bis e l’art. 94-ter delle N.O.I.F..

Il vincolo sportivo rappresenta una parte del rapporto giuridico che si instaura al momento del

tesseramento del calciatore21, quella parte che lega il calciatore alla società per la quale si impegna a

svolgere l’attività sportiva agonistica. L’accordo economico, invece, regola gli aspetti meramente

economici del rapporto e dovrebbe essere una logica conseguenza dell’esistenza di un vincolo

sportivo. Quindi, quando il vincolo sportivo cessa di esistere l’accordo economico dovrebbe

considerarsi inefficace per mancanza del suo presupposto logico. Questa impostazione è confermata

dalla previsione contenuta nell’art. 94-ter, n. 2, in base al quale “Gli accordi predetti cessano di

avere efficacia in caso di trasferimento del calciatore, sia a titolo definitivo che temporaneo, nel

19 Dalla stagione 2006/2007 il Regolamento di Giuoco Ufficiale, per tutte le Federazioni Nazionali affiliate, è quello emanato dalla FIFA (FIFA Futsal Laws of the Game). Questa importante decisione, confermata da una Circolare ufficiale del febbraio 2006, sottolinea il forte interesse della FIFA per lo sviluppo internazionale del Calcio a 5. 20 Questo sistema è stato strutturato per rispondere primariamente alle esigenze del Campionato Nazionale Dilettanti di calcio e non si comprende come possa adattarsi ad uno sport completamente diverso come il Calcio a 5, né si comprende come una singola norma sia in grado di modificare tale situazione. Semmai riesce a rendere il sistema dei rapporti “società-giocatori di Calcio a 5” ancora più problematico ed inefficiente. 21 L’altra parte del rapporto giuridico derivante dal tesseramento riguarda la volontà dell’atleta di entrare a far parte della comunità sportiva facente capo alla Federazione di riferimento, volontà che si estrinseca all’atto del tesseramento. Su questo argomento D. ZINNARI, Percorsi dottrinali in tema di vincolo sportivo, in GiustiziaSportiva.it, n. 1, 2005, p. 52 e ss..

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corso della stagione sportiva” e dal disposto dell’art. 94-ter, n. 7, ai sensi del quale “Gli eventuali

accordi pluriennali cessano di avere efficacia in caso di trasferimento del calciatore sia a titolo

definitivo che temporaneo, nonché di retrocessione della società nei Campionati regionali”.

In questo sistema, infatti, assume maggiore rilevanza il vincolo sportivo, tanto è vero che i

calciatori dilettanti che ancora non hanno compiuto il 25º anno di età rimangono vincolati alla

società con la quale sono tesserati anche in assenza di accordo economico22. Al compimento del 25º

anno, invece, il meccanismo funziona perfettamente perché il calciatore può svincolarsi

annualmente e sottoscrivere accordi economici ugualmente annuali23.

Nel Calcio a 5, come abbiamo visto, è possibile sottoscrivere accordi economici pluriennali.

Questa ipotesi, invece di garantire specificità ed efficienza al sistema lo ha ulteriormente

complicato. In definitiva siamo in presenza, per i soli giocatori di Calcio a 5 che svolgono attività

nazionale, di un sistema di regolazione dei rapporti fra società e giocatori non solo duplice, ma

improntato a logiche completamente differenti. Fino ai 25 anni, infatti, il giocatore è sottoposto al

vincolo sportivo, a prescindere dalla presenza dell’accordo economico24, mentre dal compimento

del 25º anno di età si passa ad un sistema basato sugli accordi economici e sulla loro durata25.

L’art. 32-bis delle N.O.I.F. da un lato ha previsto lo svincolo per decadenza del tesseramento

per i giocatori over 25, dall’altro ha stabilito una deroga per consentire al Calcio a 5 la stipula di

accordi economici pluriennali26 giustificando, formalmente, questa inversione logica.

Ci si chiede, quindi, quale istituto abbia prevalenza, se il vincolo sportivo o l’accordo

economico, ma soprattutto se sia possibile dare prevalenza al vincolo fino ad un certo periodo di

tempo per poi modificare l’impostazione privilegiando l’accordo economico27.

I difetti di questo sistema appaiono ancora più rilevanti quando vengono correlati alle ulteriori

previsioni della normativa in oggetto.22 Anche se la sottoscrizione degli accordi economici risulta essere un obbligo e non una semplice possibilità (Cfr. art. 94-ter, n. 2, delle N.O.I.F.).23 Nel Campionato Nazionale Dilettanti e nel Calcio Femminile questo sistema funziona (fatta eccezione per gli atleti under 25); la combinazione vincolo sportivo/accordo economico, infatti, risulta efficiente perché originariamente predisposta per operare in parallelo, cosa che non avviene nel Calcio a 5. 24 Il sistema, in questo caso, ripresenta le inefficienze del calcio dilettantistico dovute alla presenza del vincolo sportivo, aggravate dal ribaltamento del principio su cui il sistema stesso si basa: la supremazia del vincolo sportivo sull’accordo economico. 25 Nel Calcio a 5 per i giocatori over 25, dopo la riforma del calcio dilettantistico, si sta andando verso un sistema di tipo “contrattuale”, con lo svantaggio che non siamo in presenza di veri e propri contratti, ma di semplici accordi che hanno limiti ben precisi, sia di carattere economico che giuslavoristico. 26 Ai sensi dell’art. 32-bis delle N.O.I.F., infatti, “I Calciatori che, entro il termine della stagione sportiva in corso abbiano anagraficamente compiuto ovvero compiranno il 25º anno di età, possono chiedere ai Comitati ed alle Divisioni di appartenenza, (…), lo svincolo per decadenza del tesseramento, fatta salva la previsione di cui al punto 7 del successivo art. 94-ter”. 27 Una logica questa che privilegia fortemente gli interessi delle società di Calcio a 5, a scapito dei diritti dei giocatori e che appare in contrasto con il principio di parità fra le parti, che dovrebbe caratterizzare gli statuti e i regolamenti delle Federazioni sportive. Si veda, ad esempio, l’art. 16, co. 1, D. lgs. 242/1999 (c. d. decreto “Melandri”) che prevede la “…partecipazione all’attività sportiva da parte di chiunque in condizioni di parità e in armonia con l’ordinamento sportivo nazionale e internazionale”.

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Secondo quanto disposto dall’art. 94-ter, n. 2, i calciatori “…devono sottoscrivere, su

apposito modulo, accordi economici…” e tali accordi “…dovranno essere depositati presso il

Comitato e le Divisioni di appartenenza…”. Questa norma, quindi, impone alle società ed ai

calciatori l’obbligo di sottoscrivere e di depositare gli accordi, ma non prevede nessun tipo di

sanzione in caso di inadempimento. Una norma che impone un comportamento senza prevedere un

meccanismo sanzionatorio nei casi di mancato adempimento rimane incomprensibile perché, di

fatto, non rappresenta più un obbligo, ma una semplice eventualità.

In conclusione è possibile affermare che questa struttura normativa è rivolta principalmente

alle esigenze delle società, perché le pone in una posizione di vantaggio prima grazie al vincolo

sportivo, poi attraverso l’accordo economico pluriennale. Il giocatore di Calcio a 5, in questo

sistema, risulta fortemente penalizzato28, addirittura più del calciatore dilettante, che si ritrova, al

compimento dei 25 anni, con una maggiore libertà di scelta.

Questa breve analisi non può che confermare la necessità di una riforma di sistema per il

settore del Calcio a 5, a partire proprio dalla posizione giuridica del giocatore, che rimane il

protagonista dell’intero movimento. L’effettiva valorizzazione della figura del giocatore di Calcio a

5 necessita di un approfondito ripensamento della sua posizione giuridica e di una successiva

modifica delle norme che la disciplinano.

Le normative internazionali e la giurisprudenza comunitaria rappresentano una chiara

opportunità di sviluppo in questo senso, tuttavia l’azione dei soggetti che compongono il sistema

deve essere tesa al contemperamento delle differenti istanze, in modo da strutturare quel sistema

virtuoso di cui il Calcio a 5 ha assoluto bisogno per il suo sviluppo futuro.

28 Questo sistema sta dando vita ad un vero e proprio circolo vizioso. Le società, infatti, sfruttando a loro vantaggio questa normativa, propongono ai giocatori quasi esclusivamente accordi triennali, in modo da vincolare gli atleti il più a lungo possibile. I giocatori, d’altra parte, sono costretti a sottoscrivere questo tipo di accordi che rimangono l’unica forma di tutela economica prevista dai regolamenti federali (una forma di tutela “minima” a ben vedere, ma l’unica al momento disponibile). Questa scelta è dettata, oltre che dal rischio di poter perdere gli atleti maggiormente richiesti dal mercato, dalla possibilità di “patrimonializzare” i propri tesserati, nonostante i divieti previsti dalle normative federali. La compra-vendita dei “cartellini” dei giocatori, infatti, è un fenomeno in grande espansione anche nel mondo del Calcio a 5 e dovrebbe rappresentare uno stimolo ulteriore alla ridefinizione delle regole normative di questa disciplina.

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4. Prospettive di riforma

Le valutazioni critiche sul sistema Calcio a 5 e, soprattutto, sulle norme che lo disciplinano

hanno evidenziato due aspetti significativi che caratterizzano in negativo questo settore.

In primo luogo, la mancanza di normative specifiche per un settore che, in considerazione

della sua dimensione quantitativa e dei suoi tassi di crescita29, ha assoluto bisogno di una

regolamentazione appropriata. Lo sviluppo futuro di questa disciplina sportiva, infatti, dipende

anche dall’evoluzione del quadro normativo di riferimento.

Inoltre, l’inefficienza, rispetto al contesto regolamentare generale, dell’unica norma di settore

emanata dal legislatore sportivo sulla figura del giocatore di Calcio a 5. Una figura che, al pari di

altri sportivi qualificati quali “dilettanti”, rischia di rimanere compressa in una normativa oltremodo

penalizzante riguardo alla sua posizione giuridica e allo svolgimento della sua attività professionale.

La storia dell’evoluzione della figura del calciatore ha dimostrato che la modifica delle

normative sportive necessita di un processo basato sulla combinazione di diversi elementi30, ma che

difficilmente ha natura endogena.

Molto spesso, infatti, i cambiamenti necessari vengono imposti dall’esterno anche con

modalità conflittuali31.

Questa tendenza dipende principalmente dalla resistenza al cambiamento che contraddistingue

il sistema sportivo italiano.

Tuttavia, la capacità di innovare è una caratteristica che deve essere presente in ogni tipo di

organizzazione, soprattutto in quelle sportive dove gli aspetti competitivi risultano determinanti.

29 Secondo stime del CONI, basate sulle indagini effettuate da CONI e ISTAT sulla pratica sportiva in Italia, gli sportivi praticanti il Calcio a 5 sono circa 3,5 milioni. Questa cifra rende il Calcio a 5 lo sport di gran lunga più praticato e conosciuto nel panorama sportivo italiano. 30 Storicamente le modifiche alle normative sportive sono sempre state caratterizzate da contributi di vario tipo: istanze dei soggetti interessati, ricorsi ai giudici sportivi, contrattazione con le associazioni delle categorie interessate, interventi legislativi, ricorsi ai giudici ordinari, giurisprudenza comunitaria, dottrina giuridica, normative sportive internazionali.31 Il riferimento è ai continui interventi legislativi e dei giudici, ordinari e comunitari, in ambito sportivo, sollecitati soprattutto dalle disfunzioni interne del sistema. Sembra che il sistema sportivo sia incapace di risolvere le sue problematiche più rilevanti in forma autonoma e debba spesso attendere un intervento esterno.

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4.1 Il Regolamento FIFA sullo status e i trasferimenti internazionali dei giocatori:

l’Allegato 6 sul Futsal

Un momento di grande importanza per l’evoluzione della figura del giocatore di Calcio a 5

coincide con l’emanazione, da parte della FIFA, dell’Allegato 6 al Regolamento FIFA sullo status e

i trasferimenti internazionali dei calciatori.

Questo Allegato, approvato dalla FIFA il 29 giugno 2005 ed entrato in vigore il 1 settembre

2005, è parte integrante del Regolamento FIFA e stabilisce regole generali, vincolanti per tutte le

Federazioni sportive nazionali affiliate alla FIFA, relative allo status dei giocatori di Calcio a 5 e

alla disciplina dei trasferimenti internazionali.

In questo importante documento (Cfr. Allegato 1) troviamo, per la prima volta, la

formalizzazione ed il riconoscimento, da parte del massimo organismo di governo del Calcio

mondiale, della categoria “Giocatore di Calcio a 5”32.

Il riconoscimento di una identità specifica per il Giocatore di Calcio a 5, separata da quella del

calciatore, ha significato, per la F.I.F.A., la strutturazione di un sistema di regole apposito. Le norme

che costituiscono questo Regolamento, infatti, pur rimanendo nell’ambito della disciplina già

dettata per il calciatore33, stabiliscono, ai sensi dell’art. 2, n. 1, “…regole generali e vincolanti

relative allo status dei giocatori di Futsal, alla loro idoneità a partecipare al Calcio Organizzato e al

loro trasferimento fra società appartenenti a differenti Federazioni”.

La F.I.F.A., inoltre, ha previsto che tale Regolamento sia applicato senza modifiche ai

Giocatori di Futsal, imponendo34 alle Federazioni affiliate di includere nei propri regolamenti anche

alcune disposizioni del Regolamento FIFA sullo status e i trasferimenti dei calciatori. Alcune di

queste disposizioni risultano di particolare rilevanza per il Giocatore di Calcio a 5, soprattutto l’art.

2 sullo status dei calciatori.

La F.I.F.A. suddivide i calciatori che praticano attività ufficiale in Dilettanti e Professionisti.

Il professionista è colui che “…ha un contratto scritto con una società e che in cambio della

propria prestazione riceve un pagamento superiore alle spese effettivamente sostenute nell’esercizio

32 Il termine usato dalla F.I.F.A. è «Futsal Player», questo perché il nome internazionale del Calcio a 5 è appunto Futsal.33 Secondo quanto previsto dall’art. 1, le norme contenute nel Regolamento FIFA sul Futsal sono “…parte integrante del Regolamento FIFA sullo status e i trasferimenti dei calciatori…” 34 Bisogna aggiungere che la stessa F.I.F.A. obbliga le Federazioni sportive Nazionali sue affiliate a conformarsi ai suoi regolamenti. L’art. 26, n. 3, del Regolamento FIFA, infatti, dispone che “Le Federazioni affiliate dovranno modificare i propri regolamenti secondo quanto previsto dall’art. 1 per assicurare che gli stessi siano conformi al presente Regolamento e li sottoporranno alla FIFA per approvazione entro il 30 giugno 2007. In ogni caso, tutte le Federazioni applicheranno l’art. 1, n. 3 a), a partire dal 1 luglio 2005”; l’art. 1, n. 3 a), prevede che “Le seguenti disposizioni sono vincolanti a livello nazionale e devono essere incluse, senza alcuna modificazione, nei regolamenti delle Federazioni: artt. 2-8, 10, 11 e 18”.

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della prestazione calcistica”35. Il Dilettante, invece, viene definito, in negativo, come quel giocatore

che non possiede i due requisiti previsti per il Professionista. Altrettanto importanti sono le

disposizioni relative ai contratti fra professionisti e società, contenute nell’art. 1836, che prevedono,

fra l’altro, il mantenimento della stabilità degli accordi economici fra società e giocatori sulla base

della disciplina prevista per i calciatori e già predisposta nel Regolamento FIFA.

Inoltre, è prevista l’introduzione nel Calcio a 5 della disciplina prevista dal Regolamento

FIFA riguardo la protezione dei minori (art. 19), le indennità di formazione (art. 20), i meccanismi

di solidarietà (art. 21) e del sistema giurisdizionale (artt. 22-25) correlato a questa struttura

normativa.

Di tenore completamente diverso sono alcune norme emanate per regolamentare in senso

specifico la figura del Giocatore di Futsal.

La F.I.F.A., dopo aver previsto un tesseramento specifico per il giocatore di calcio a 5, ha

sancito la possibilità di un “doppio tesseramento” (art. 4, n. 2). Il giocatore di Futsal, in sostanza,

può essere tesserato nello stesso periodo per una società di Calcio a 5 e una di calcio. Le società in

questione possono anche non appartenere alla medesima Federazione. Alla base di questa norma vi

è da un lato la constatazione della specificità dei due settori sportivi, dall’altro la possibilità di

condividere, soprattutto in ambito giovanile, esperienze sportive differenti ma allo stesso tempo

caratterizzate da stimoli formativi comuni37.

Per garantire la necessaria specificità al sistema dei trasferimenti internazionali la F.I.F.A. ha

deciso di istituire un Certificato Internazionale di Trasferimento solo per il Futsal. La disciplina del

transfert per il Calcio a 5 riprende in larga parte quella già adottata per i calciatori, tuttavia, ai sensi

dell’art. 5, n. 1, “Il Certificato Internazionale di Trasferimento per il Futsal dovrà essere

distinguibile dal Certificato Internazionale di Trasferimento per il calcio”.

35 La definizione di professionista data dalla F.I.F.A. riprende in parte il dettato della legge n. 91/1981, quando all’art. 2 definisce i professionisti sportivi come coloro i quali “…esercitano l’attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità…”, mentre all’art. 4 dispone che il rapporto di lavoro sportivo “…si costituisce mediante assunzione diretta e con la stipulazione di un contratto in forma scritta, a pena di nullità, tra lo sportivo e la società destinataria delle prestazioni sportive…”. Riguardo ai due elementi previsti dalla F.I.F.A. (contratto scritto e onerosità della prestazione), bisogna sottolineare che tali elementi sono presenti anche negli accordi che sottoscrivono i giocatori di Calcio a 5 (la possibilità di ricevere una somma lorda pari a 25.822 euro annui, significa sicuramente superare le spese effettivamente sostenute nell’esercizio dell’attività sportiva). 36 Si tratta delle disposizioni relative ai contratti fra professionisti e società che prevedono la figura dell’agente (art. 18, n. 1), la durata dei contratti (n. 2), il periodo contrattuale “protetto” (n. 3), la validità dei contratti (n. 5) e il principio di stabilità contrattuale (n. 5) previste al capo IV del Regolamento stesso. 37 Uno dei punti di forza del Calcio a 5, come riconosciuto anche a livello internazionale, è la sua stretta connessione con gli aspetti formativi del calcio; un legame che dipende dalla grande adattabilità del Futsal allo schema corporeo del bambino, alla sua pratica al chiuso su superfici veloci e con palloni a rimbalzo controllato, caratteristiche, queste, che lo rendono uno sport propedeutico al calcio, pur non snaturandone le sue peculiarità.

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Si tratta, quindi, di due documenti differenti che, con la loro diversità formale, sanciscono

ulteriormente le differenze sostanziali esistenti fra le due discipline sportive38.

La scelta, da parte del massimo organo di governo del calcio, di prevedere per il Calcio a 5

una struttura organizzativa e regolamentare propria, distinta rispetto a quella calcistica, impone alle

Federazioni sportive Nazionali una scelta simile. Queste regole, codificate dalla FIFA nel

Regolamento sul Futsal, non possono essere disattese a livello Nazionale e devono essere recepite

dagli statuti e dai regolamenti delle Federazioni affiliate.

4.2 Le problematiche dello status di dilettante

Uno dei problemi più rilevanti per il Calcio a 5, anche in considerazione delle prescrizioni

della FIFA sull’argomento, riguarda lo status del giocatore. La definizione di giocatore

professionista formalizzata dalla FIFA nel suo Regolamento, infatti, si adatta perfettamente al

giocatore di Calcio a 5 di alto livello. In Italia, invece, il Calcio a 5 è una disciplina dilettantistica e

lo status del giocatore di Calcio a 5, come emerge dalla normativa sportiva, è quello di “non

professionista”39.

Il concetto di dilettantismo, in termini più generali, non è stato mai considerato dal legislatore

in positivo. Gli interventi normativi sull’attività sportiva dilettantistica, infatti, hanno interessato gli

aspetti fiscali40 e, ultimamente, quelli assicurativi41 di tale attività.

Con il termine dilettantismo, invece, si fa riferimento a diverse attività, caratterizzate da

prestazioni sportive anche molto differenti fra di loro. Si va dal dilettante che si dedica allo sport per

pura passione, il cosiddetto amateur, interessato esclusivamente agli aspetti ludici dell’attività

sportiva, al dilettante retribuito che, nonostante la qualifica formale, percepisce compensi, anche

elevati, a fronte della sua prestazione sportiva.

38 Bisogna sottolineare che il Regolamento FIFA sul Futsal, pur essendo entrato in vigore il 1 settembre 2005, non è stato ancora recepito dalla F.I.G.C.. Secondo quanto disposto dalla F.I.F.A., invece, gli statuti e i regolamenti delle Federazioni Nazionali devono obbligatoriamente conformarsi ai Regolamenti emanati dalla F.I.F.A., in caso contrario sono previste una serie di sanzioni che possono arrivare fino alla sospensione dall’attività internazionale per le Federazioni inadempienti tali obblighi.39 La dizione “non professionista” sta prendendo il posto del termine dilettante soprattutto nella normativa sportiva. In realtà, sembra solo una distinzione linguistica perché nella sostanza i due concetti si equivalgono, infatti al termine “non professionista” non è correlata alcuna definizione in positivo, così come avviene per il termine dilettante. 40 Soprattutto con la legge n. 289/2002 (c.d. “Legge finanziaria 2003”) che si occupa di sport all’art. 51, relativo all’assicurazione obbligatoria per atleti, dirigenti e tecnici, e all’art. 90, composto da ben 26 commi, che prevede una serie di agevolazioni fiscali per le associazioni o le società sportive dilettantistiche. 41 Si tratta del D.M. 17 dicembre 2004 sull’obbligo assicurativo degli sportivi dilettanti che, nonostante sia stato sospeso fino al 31 dicembre 2006, definendo sportivi dilettanti “…tutti i tesserati che svolgono attività sportiva a titolo agonistico, non agonistico, amatoriale, ludico motorio o quale impiego di tempo libero, con esclusione di coloro che vengono definiti professionisti” non fa altro che lasciare irrisolta la questione.

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Il fenomeno del dilettante che lavora è stato individuato e definito in modo molto variegato42,

tuttavia è un problema che rimane fondamentalmente correlato al campo di applicazione e alle

definizioni della legge n. 91/1981.

La legge, infatti, individua la nozione di sportivo professionista non solo sulla base delle

caratteristiche idonee a dimostrare la connotazione professionale dell’attività, ma anche in relazione

alla qualificazione data a tale attività dalle Federazioni sportive nazionali.

Tale qualificazione, tuttavia, dovrebbe essere conseguita in base alle “…direttive stabilite dal

CONI per la distinzione dell’attività dilettantistica da quella professionistica”43 . Lo Statuto del

C.O.N.I. prevede, all’art. 6, n. 4, lett. d), che sia il Consiglio Nazionale del C.O.N.I. a stabilire “…in

armonia con i principi dell’ordinamento sportivo internazionale e nell’ambito di ciascuna

Federazione sportiva nazionale e delle Discipline sportive associate, i criteri per la distinzione

dell’attività sportiva dilettantistica o comunque non professionistica da quella professionistica”.

Criteri, peraltro, che il C.O.N.I. non ha mai emanato e che ha rimesso, solo in tempi recenti,

all’autonomia statutaria delle singole Federazioni44, in palese inadempimento dell’obbligo giuridico.

L’impostazione legislativa della Legge n. 91/1981 si basa su un vecchio concetto di

dilettantismo, legato alla gratuità della prestazione, ormai superato e sulla netta dicotomia

professionismo-dilettantismo, oggi sempre più sfumata. La realtà sportiva odierna, infatti, è

caratterizzata dalla presenza di differenti forme di attività sportiva, tanto che la riduzione a due sole

categorie di sportivo, il dilettante e il professionista, risulta anacronistica ed inadeguata a spiegare

un fenomeno complesso come quello sportivo.

Lo status di dilettante, quindi, risulta, come è stato giustamente osservato, “svuotato dei

contenuti per cui era stato concepito”45 tanto da risultare un vero e proprio “relitto del sistema”46.

La dicotomia professionista-dilettante ha perso significato anche in funzione olimpica, tanto

che il termine dilettante è scomparso dalla Carta Olimpica, che rimanda, per l’ammissione degli

atleti ai giochi, alle prescrizioni delle corrispondenti Federazioni Internazionali47.

42 Si veda, in proposito, A. DE SILVESTRI, Il lavoro nello sport dilettantistico, Atti del Convegno Nazionale “Sport e Diritto del Lavoro”, Torino 13 e 14 gennaio 2006.43 Cfr. art. 2 legge n. 91/1981.44 Si veda la Delibera n. 1256 del 23 marzo 2004, in tema di principi fondamentali degli Statuti delle Federazioni Sportive Nazionali, delle Discipline Sportive Associate e delle Associazioni Benemerite, che rimanda la qualificazione dell’attività sportiva svolta all’autonomia statutaria delle Federazioni “in considerazione delle specifiche esigenze delle singole discipline”, ma anche in relazione alle “normative delle federazioni internazionali”. 45 In questo modo A. DE SILVESTRI, op. cit., p. 7.46 È questa la definizione data da J. TOGNON, La libera circolazione nel Diritto Comunitario: il settore sportivo, Riv. Amm., 2003, p. 670.47 Cfr. Carta Olimpica, Regola n. 45 e Legge suppletiva alla Regola 45.

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Oggi, quindi, appare sempre più difficile sostenere l’utilità della dicotomia professionista-

dilettante, e conseguentemente dello status, quando questa non sia accompagnata da una reale

distinzione48.

La dimensione economica dello sport di alto livello risulta talmente determinante da mettere

in secondo piano la qualificazione dello sportivo o comunque tale da far scegliere criteri di

qualificazione alternativi e maggiormente rilevanti rispetto al concetto di status presente nella

normativa sportiva italiana.

La soluzione più coerente ai problemi sollevati dal dilettantismo retribuito proviene dalla

giurisprudenza comunitaria, che ha avuto modo di affrontare la questione in varie occasioni.

Confermando quanto già stabilito nelle sentenze Walrave49, Donà50 e Bosman51, i giudici

comunitari hanno stabilito che l’attività sportiva è soggetta alle norme comunitarie in quanto

considerata attività economica ai sensi dell’art. 2 del Trattato CE. Questo consolidato indirizzo

giurisprudenziale ha portato alle recenti sentenze Deliège e Kolpak, che rappresentano un momento

importante per gli sportivi dilettanti.

Nella sentenza Deliège52, relativa ad una judoka qualificata dalla sua federazione come

dilettante, è stato sottolineato il principio dell’inutilità della qualifica che una Federazione si dà

unilateralmente rispetto all’approfondimento concreto della natura dell’attività sportiva svolta

dall’atleta. In particolare la Corte ha rilevato, al punto 46 delle motivazioni, che “la semplice

circostanza che un’associazione o una federazione sportiva qualifichi come dilettanti gli atleti che

ne fanno parte non è di per sé tale da escludere che questi ultimi esercitino attività economiche ai

sensi dell’art. 2 del Trattato”53.

La Corte, poi, ha qualificato le prestazioni di servizi54 retribuite, svolte dall’atleta in

questione, come attività economiche ai sensi dell’art. 2 del Trattato, alla pari del lavoro subordinato.

48 In questo senso L. MUSUMARRA, La qualificazione degli sportivi professionisti e dilettanti nella giurisprudenza comunitaria, Riv. Dir. ed ec. dello Sport, n. 2, 2005, p. 40. 49 Cfr. Corte di Giustizia, sentenza del 12 dicembre 1974, B.N.O. Walrave, L.J.N. Koch c. Association Union Cicliste Internationale, causa C-36/74, in Foro it., 1975, IV, p. 81. 50 Cfr. Corte di Giustizia, sentenza del 14 luglio 1976, G. Donà c. M. Mantero, causa C-13/76, in Foro it., 1976, IV, p. 361. 51 Nel caso Bosman (Corte di Giustizia, sentenza del 15 dicembre 1995, causa C-415/93), al punto 73 della motivazione della sentenza, si riconosce la natura economica “…all’attività di calciatori professionisti (…) che svolgono un lavoro subordinato o effettuano prestazioni di servizi retribuite”, sottolineando come sia più rilevante l’attività effettivamente svolta, tale da non risultare insignificante o marginalmente svolta e per la quale si percepisca una retribuzione superiore al rimborso spese, rispetto alla qualifica formale dello sportivo. 52 Cfr. Corte di Giustizia, sentenza del 11 aprile 2000, C. Deliège c. Ligue Francophone de Judo et disciplines associées ASBL, Ligue Belge de Judo ASBL, Union Européenne de Judo, cause riunite C-51/96 e C-191/97, in Raccolta, 2000, p. I-2549.53 Purché, prosegue il Giudice al successivo punto 54, tali attività siano “…reali ed effettive e non talmente ridotte da potersi definire puramente marginali ed accessorie” 54 Per “servizi”, ai sensi dell’art. 60 del Trattato, si intendono “le prestazioni fornite normalmente dietro retribuzione, in quanto non siano regolate dalle disposizioni relative alla libera circolazione delle merci, del capitale e delle persone”.

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Al punto 56, infatti, il Giudice ha constatato che “le attività sportive e, in particolare, la

partecipazione di un atleta di alto livello ad una competizione internazionale possono comportare la

prestazione di diversi servizi distinti, ma strettamente connessi, che possono rientrare nell’ambito

dell’art. 59 del Trattato anche se taluni di questi servizi non sono pagati da coloro che ne fruiscono”.

L’attività sportiva svolta da un atleta di alto livello come la Deliège comporta, quindi, una

prestazione di servizi che rientra a tutti gli effetti nella nozione di attività economica sancita dal

Trattato CE e che fa definire la judoka belga “un atleta professionista o semiprofessionista, o

candidato a divenire tale”55.

Nel caso del giocatore di pallamano Kolpak56, qualificato dagli statuti della federazione

tedesca quale dilettante, la Corte, dopo aver constatato che il rapporto fra l’atleta e la sua società di

appartenenza si configura come un “contratto di lavoro, in quanto l’attore è vincolato, contro il

corrispettivo di una retribuzione mensile fissa, a fornire in forma subordinata prestazioni

nell’ambito dell’attività di allenamento e degli incontri organizzati dalla sua società e che si tratta in

proposito della sua principale attività professionale”57, definisce lo stesso giocatore uno “sportivo

professionista”58.

Il Giudice europeo ha tracciato passaggi importanti nelle motivazioni delle due sentenze.

L’applicazione delle norme del Trattato anche agli atleti formalmente dilettanti, ma sostanzialmente

professionisti, come rilevato dalla Corte, è un punto di fondamentale importanza, che è destinato ad

avere conseguenze rilevanti anche per le normative nazionali. Inoltre, va evidenziato che la

Dichiarazione n. 29 sullo sport59, allegata all’atto finale della conferenza che ha adottato il testo del

Trattato di Amsterdam, sottolineando la rilevanza sociale dello sport, invita gli organi dell’UE a

riservare un’attenzione particolare alle caratteristiche specifiche dello sport dilettantistico.

Anche la giurisprudenza italiana si è occupata a più riprese delle problematiche connesse al

dilettantismo retribuito.

Fra le molte decisioni sull’argomento alcune in particolare risultano decisamente interessanti.

Tutte comunque concordano sulla necessità di valutare gli aspetti sostanziali del rapporto che lega

55 Punto 69 delle motivazioni della sentenza.56 Cfr. Corte di Giustizia, sentenza del 8 maggio 2003, Deutscher Handballbund e V. c. M. Kolpak, causa C-438/00, in Guida al Diritto, 2003, p.111 e ss..57 Punto 16 delle motivazioni della sentenza.58 Al successivo punto 2159 “La Conferenza sottolinea la rilevanza sociale dello sport, in particolare il ruolo che esso assume nel forgiare l’identità e nel ravvicinare le persone. La Conferenza invita pertanto gli organi dell’Unione Europea a prestare ascolto alle associazioni sportive laddove trattino questioni importanti che riguardino lo sport. In quest’ottica, un’attenzione particolare dovrebbe essere riservata alle caratteristiche specifiche dello sport dilettantistico”.

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l’atleta alla società di appartenenza, piuttosto che fermarsi ai criteri qualificatori indicati dalle

Federazioni.

Il concetto si ritrova chiaramente nell’ordinanza del Tribunale di Pescara, del 18 ottobre

200160, in cui si afferma che “la distinzione tra professionismo e dilettantismo nella prestazione

sportiva si mostra priva di ogni rilievo, non comprendendosi per quale via potrebbe mai legittimarsi

una discriminazione del dilettante”. Altrettanto esemplari sono due pronunce, una del Tribunale di

Grosseto (Sez. Lavoro, 11 settembre 2003, n. 518) l’altra del Tribunale di Ancona (Sez. Lavoro, 4

luglio 2001, n. 147) entrambe inedite, relative ai ricorsi presentati da due calciatori dilettanti.

Nella prima il Giudice ha riconosciuto la validità del contratto stipulato fra la società,

militante nel Campionato Nazionale Dilettanti, ed il giocatore relativo alla retribuzione pattuita per

lo svolgimento della prestazione sportiva.

Le numerose clausole inserite nel contratto61 hanno portato l’Organo giudicante a qualificare

l’accordo come “un contratto di lavoro sportivo retribuito, vietato dalle norme federali, ma non per

questo nullo nell’ordinamento giuridico statale”.

Nella stessa direzione si muove la pronuncia del Tribunale di Ancona che, condannando

l’associazione sportiva dilettantistica Nuova Jesi Calcio a corrispondere ad un suo calciatore una

consistente somma di denaro relativa ad una scrittura privata, ha considerato il rapporto fra le parti

come “un rapporto di lavoro di natura subordinata”.

Le prestazioni dell’atleta, infatti, sono state considerate di natura lavorativa, tali da rientrare

nell’ambito di un rapporto di lavoro subordinato, poiché il giocatore era “in tutto e per tutto

sottoposto al potere decisionale dell’associazione”.

Il giudice, poi, ha obbligato la società a regolarizzare la posizione previdenziale dell’atleta per

tutto il periodo in cui questi era stato alle dipendenze della società stessa62.

Nonostante le soluzioni univoche date dalla giurisprudenza, nazionale e comunitaria, rimane

ancora il problema di fondo relativo alla disparità di trattamento, presente nelle normative sportive,

fra i professionisti formalmente riconosciuti tali ed i professionisti di fatto.

Bisogna sottolineare, infatti, che atleti che appartengono a diverse federazioni, come

pallavolisti e cestisti, ovvero a diversi settori della stessa federazione, come calciatori e giocatori di

60 Tribunale di Pescara, ordinanza del 18 ottobre 2001, Hernandez Paz c. Federazione Italiana Nuoto, con la nota di F. AGNINO, Statuti sportivi discriminatori ed attività sportiva: quale futuro?, in Foro it., 2002, III, p. 897 e ss. 61 Fra le quali la previsione di una retribuzione fissa indipendentemente dall’insorgenza di malattie o infortuni, di benefit in caso di vittoria, di rimborso totale delle spese mediche non coperte dal servizio sanitario nazionale, di un riposo annuale pari a sei settimane. 62 Dalle motivazioni della sentenza, infatti, si apprende che “L’accertata natura subordinata del rapporto di lavoro della durata di sette mesi dal novembre 95 comporta che la Nuova A.S. Jesi Calcio va dichiarata tenuta a regolarizzare presso l’INPS la posizione assicurativa e previdenziale del ricorrente in relazione al periodo di lavoro subordinato svolto”.

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Calcio a 5, ricevano qualifiche e trattamenti diversi, pur percependo somme di denaro simili ed

offrendo prestazioni identiche63.

4.3 Ipotesi di riforma

Lo spazio del dilettantismo retribuito è aumentato considerevolmente negli ultimi anni,

andando al di là delle previsioni del legislatore del 1981.

Tutta una serie di attività sportive qualificate come dilettantistiche, anche all’interno delle

stesse Federazioni professionistiche, è alla ricerca di una nuova collocazione giuridica, più

rispondente alle esigenze dei singoli settori sportivi.

In questo contesto si inserisce la figura del giocatore di Calcio a 5 che, ad alto livello,

riassume tutte le problematiche e le difficoltà del professionista non ufficiale.

Tutte le soluzioni proposte per risolvere i problemi dei “professionisti di fatto” ruotano intorno

alla considerazione che sia necessario prescindere dalla qualificazione formale, privilegiando la

sostanza dei rapporti64. Il parametro di valutazione principale rimane così l’aspetto economico della

prestazione, legato comunque alla presenza di un rapporto di lavoro65, necessariamente autonomo o

subordinato66.

In questi casi infatti, l’attività sportiva viene “remunerata a fronte di impegni e obblighi

sostanzialmente identici a quelli del professionista”67.

Quelle prospettate, sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza, sono tutte soluzioni che

prevedono l’applicazione dei principi del diritto del lavoro agli sportivi dilettanti, con il

conseguente superamento delle normative sportive.

L’impossibilità di applicare i precetti della legge n. 91/1981 agli sportivi dilettanti68 e la

contemporanea carenza delle normative sportive lascia il professionista non ufficiale in un sorta di

limbo giuridico, che, allo stato attuale, può essere evitato solo dall’estensione delle tutele

giuslavoristiche a questa categoria di sportivi. È significativo, in proposito, un passaggio della

63 Cfr. A DE SILVESTRI, op. cit., p. 10; J. TOGNON, Il rapporto di lavoro sportivo: professionisti e falsi dilettanti, Rivistagiuslavoristi.it, p. 9; E. CROCETTI BERNARDI, Rapporto di lavoro nel diritto sportivo, Digesto delle discipline privatistiche, sez. comm., Torino, UTET, 2003, p. 757. 64 In questo senso AA.VV., Il diritto dello sport, Le Monnier, Firenze, 2004, p.167; E. CROCETTI BERNARDI, op. cit., p. 757 e ss..65 Cfr. M.T. SPADAFORA, Diritto del lavoro sportivo, Giappichelli, Torino, 2004, p. 62.66 In questo senso G. MARTINELLI, Il rapporto di lavoro nello sport dilettantistico: problematiche e prospettive, in giustiziasportiva.it, n. 2, 2005, p. 39. 67 Così A. DE SILVESTRI, op. cit., p. 10.68 La definizione di professionista dettata dall’art. 2, che prevede una specifica qualificazione da parte delle Federazioni, ed il divieto di applicazione analogica per le leggi speciali imposto dall’art. 14 delle preleggi, fanno propendere per questa soluzione.

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sentenza del TAR Lazio, relativa al ricorso intentato dalla cestista Catarina Pollini, che sottolinea

come “la mancata applicazione al settore del basket femminile della legge 23 marzo 1981 n. 91 è la

vera causa della vicenda quando, come nel caso in esame, appare difficile configurare come

dilettantistica un’attività comunque connotata dai due requisiti richiesti dall’art. 2 (remunerazione

comunque denominata e continuità delle prestazioni) per l’attività professionistica”69.

Gli interventi legislativi in ambito dilettantistico, rivolti, come già sottolineato, agli aspetti

fiscali e assicurativi, hanno interessato principalmente le società e le associazioni sportive

dilettantistiche, tralasciando le esigenze degli altri soggetti: atleti, tecnici, dirigenti e collaboratori.

Le problematiche previdenziali che interessano questa nutrita schiera di soggetti, ad esempio, sono

rimaste irrisolte. Riesce difficile comprendere come retribuzioni anche molto elevate siano state

considerate dal legislatore fiscale “redditi diversi”, rispetto a quelli derivanti da lavoro autonomo o

subordinato, esenti quindi da ogni obbligo assicurativo e previdenziale70.

Tuttavia, questa impostazione sembra destinata ad una modifica dovuta agli effetti del Decreto

del Ministero del lavoro del 15 marzo 2005 che prevede un adeguamento delle categorie dei

lavoratori assicurate obbligatoriamente presso l’ENPALS. Fra le nuove categorie si ritrovano i

soggetti impiegati presso gli impianti e i circoli sportivi ed i dipendenti delle società sportive71.

Due circolari dell’ENPALS, emanate in seguito al D.M. 15 marzo 2005, stabiliscono con

chiarezza le figure professionali rientranti nelle categorie assoggettate all’obbligo assicurativo72.

Ad oggi solamente gli atleti sono stati esclusi da tale normativa, anche se, in futuro, sembra

ipotizzabile una ulteriore modifica in questa direzione73.

In senso più strutturale e sistematico si muovono due distinte proposte legislative, la Proposta

di legge “Moroni” ed il Disegno di legge “Scalera” (cfr. Allegato 2).

La prima, composta da otto articoli, è intitolata “Disposizioni in materia previdenziale degli

sportivi”.

In realtà, pur partendo dalle problematiche previdenziali, finisce per occuparsi della

prestazione sportiva nella sua interezza, tanto da sovrapporsi in parte alle previsioni della legge n.

69 TAR Lazio, sezione terza-ter, 12 maggio 2003, n. 4103, in A. DE SILVESTRI, op. cit., p. 5.70 Cfr. art. 37 legge n. 342/2000.71 In particolare, il Decreto prevede, fra le nuove categorie, al punto 20 “ impiegati, operai, istruttori e addetti agli impianti e circoli sportivi di qualsiasi genere, palestre sale fitness, stadi, sferisteri, campi sportivi, autodromi” e al punto 22 “direttori tecnici, massaggiatori, istruttori e i dipendenti delle società sportive”. 72 Cfr. Circolare Enpals n. 7 del 30 marzo 2006 e, soprattutto, Circolare Enpals n. 13 del 7 agosto 2006. 73 Su questo argomento si veda G. MARTINELLI, Si estende l’obbligo Enpals, Il Sole24ore Sport, n. 5, 2006, p. 1 e 7.

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91/198174. Nonostante alcune difficoltà di fondo ha l’indubbio merito, come si legge nella relazione

introduttiva, di voler “dare il giusto riconoscimento alla prestazione sportiva in quanto tale,

indipendentemente dalla categoria di appartenenza o della disciplina sportiva praticata”.

Molto interessante, invece, nella sua estrema semplicità è il Disegno di legge “Scalera”75,

ripresentato in apertura di questa legislatura. Si compone di soli tre articoli ed è rivolto direttamente

alla categoria degli sportivi dilettanti, essendo intitolato “Norme in materia di previdenza per gli

sportivi non professionisti”.

Il disegno di legge in oggetto, inoltre, non ha bisogno di alcuna copertura finanziaria, in

quanto il nuovo sistema non comporta oneri per lo Stato.

L’art. 1 stabilisce l’obbligo di iscrizione previdenziale delle categorie di sportivi privi della

qualificazione di sportivi professionisti che svolgono la loro attività nell’ambito delle discipline

regolamentate dal C.O.N.I.. La condizione è che tali soggetti esercitino l’attività sportiva, tecnica e

didattica, anche in modo non esclusivo, a fronte di un compenso, in qualsiasi forma corrisposto, e

che abbiano conseguito l’abilitazione dalle competenti Federazioni sportive nazionali o da altri

organismi competenti in materia. L’iscrizione dovrà avvenire all’assicurazione obbligatoria per

l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti gestita dall’Ente Nazionale di Previdenza e di Assistenza per

i Lavoratori dello Spettacolo (ENPALS). L’ENPALS, infatti, provvede alla tutela previdenziale per i

lavoratori dello spettacolo e per gli sportivi professionisti.

L’art. 2 fissa l’aliquota contributiva dovuta per i soggetti individuati all’art. 1 a carico dei

datori di lavoro e degli sportivi.

All’art. 3 è prevista l’estensione agli sportivi non professionisti del regime pensionistico, delle

modalità di calcolo delle prestazioni previdenziali, dei requisiti di accesso al pensionamento e delle

disposizioni in materia di prosecuzione volontaria della contribuzione, delle disposizioni in vigore

per i lavoratori già iscritti al Fondo pensioni per gli sportivi professionisti. Il comma 2 dell’art. 3

prevede l’estensione delle disposizioni in materia di tutela e sostegno della maternità.

Questa proposta legislativa, che fa riferimento esclusivamente agli aspetti previdenziali dello

sport non professionistico, sottolinea come l’assenza di una tale disciplina abbia “creato nel tempo

74 Si veda, in proposito, A. DE SILVESTRI, op. cit., pp. 25 e 26. 75 Si tratta del disegno di legge n. 720, ripresentato nel giugno del 2006.

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una discriminazione evidente…tra settori del mondo sportivo tutelati da un apposita disciplina e

settori, viceversa, totalmente privi di qualsivoglia garanzia nell’ambito delle prestazioni sportive

effettuate”76.

4.3.1 La modifica delle NOIF

L’evoluzione della figura del giocatore di Calcio a 5 passa necessariamente dalla ricezione,

all’interno dei regolamenti emanati dalla F.I.G.C.77, del Regolamento FIFA sul Futsal.

La Federazione calcistica nazionale, infatti, non solo non ha adeguato i suoi regolamenti a

quelli imposti dalla corrispondente Federazione sportiva internazionale, ma li ha invece strutturati,

in alcuni casi, in aperto contrasto con gli stessi regolamenti internazionali.

Questo primo importante provvedimento consentirebbe, in un secondo momento, la

strutturazione di un nuovo sistema di rapporti fra società e giocatori di Calcio a 5, attraverso

l’emanazione di una normativa di settore specifica per il Calcio a 5. In questo senso, dopo le

modifiche alle N.O.I.F.78, ai regolamenti e allo statuto della Federazione, sembra auspicabile la

costituzione, in seno alla F.I.G.C., di un “Settore Calcio a 5”.

Questo nuovo Settore avrà infatti la possibilità di dotarsi di un suo Regolamento, in accordo

con la normativa internazionale, tale da garantire le specificità della disciplina pur rimanendo

all’interno dell’organizzazione calcistica nazionale79. Una soluzione di questo tipo, oltre a

salvaguardare la specialità del Futsal, avrebbe l’indubbio merito di riuscire a soddisfare tutte le

esigenze di un Settore complesso come quello del Calcio a 5, dove convivono, nell’ambito

dell’attività ufficiale, realtà professionali accanto ad altre tipicamente amatoriali.

L’emanazione di un Regolamento specifico, inoltre, potrebbe rappresentare significativamente

la rinnovata capacità, da parte del mondo sportivo, di auto-regolamentarsi, prevenendo i molti

interventi esterni che stanno caratterizzando le recenti modifiche alle normative sportive.

76 Cfr. Relazione introduttiva al disegno di legge Scalera (in Allegato 2).77 Le modifiche necessarie riguardano, infatti, sia le Norme Organizzative Interne della Federazione (N.O.I.F.), che il Regolamento della Lega Nazionale Dilettanti.78 Il riferimento, ovviamente, è all’art. 94-ter, punto 7.79 Tale modifica sarebbe realizzabile, ai sensi dell’art. 7, n. 1, dello Statuto F.I.G.C., solo attraverso una delibera del Consiglio Federale adottata a maggioranza qualificata.

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L’evoluzione dello status professionale………

Tale Regolamento, comunque, dovrà essere strutturato in modo da poter recepire le eventuali

modifiche normative imposte dal legislatore ordinario80 e, allo stesso tempo, in modo da risultare

conforme non solo ai regolamenti sportivi internazionali, ma anche a quelli nazionali.

La riconfigurazione del Calcio a 5 come Settore della F.I.G.C., è bene sottolinearlo, non

significa una separazione dal mondo calcistico. L’obiettivo, al contrario, è quello di rendere

indipendente la disciplina a livello regolamentare e normativo, rimanendo comunque all’interno

dell’attività ufficiale della Federazione. I regolamenti e le norme predisposte per la Lega Nazionale

Dilettanti, infatti, non sono più adeguati a disciplinare il Calcio a 5, almeno per ciò che riguarda

l’attività di alto livello.

4.3.2 Il superamento dello status

A livello comunitario, quindi anche italiano, il trattamento e la tutela dedicate ai professionisti

non ufficiali non hanno mai presentato i problemi che caratterizzano il sistema normativo italiano81.

I Giudici comunitari, infatti, nella valutazione delle prestazioni sportive prescindono completamente

dai parametri formali attribuiti dalle Federazioni sportive nazionali ai propri tesserati.

Questa scelta, riaffermata nel tempo, ha portato la dottrina giuridica a parlare di “tramonto

dell’istituto della qualificazione”82 operata dalle Federazioni sportive.

Questa soluzione implica delle conseguenze rilevanti anche sul piano del diritto nazionale e

della normativa sportiva.

La nozione di lavoratore sportivo basata su questa impostazione giuridica, infatti, dovrà essere

ridefinita utilizzando le categorie del diritto del lavoro comunitario, applicate in modo estensivo.

Inoltre, tale nozione dovrà risultare svincolata dai parametri presenti negli ordinamenti dei singoli

stati, in modo da acquisire valenza generale.

L’applicazione dei precetti del diritto del lavoro a tutti gli sportivi, comunque qualificati,

rappresenterebbe una vera e propria rivoluzione per il mondo dello sport, causando forse più

problemi che benefici. In questo senso appare necessario rivedere l’intera materia del lavoro

sportivo, soprattutto da parte del legislatore.

80 Se, come è auspicabile, il ddl “Scalera” dovesse effettivamente essere convertito in legge, ovvero se, finalmente, il legislatore modificasse la tanto discussa legge n. 91/1981, i regolamenti e gli statuti delle Federazioni dovrebbero essere modificati in modo tale da recepire le rinnovate normative ordinarie. 81 In questo senso A. DE SILVESTRI, op. cit., p. 25.82 Cfr. L. MUSUMARRA, op. cit., p. 42.

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In un secondo momento dovranno essere il C.O.N.I. e le Federazioni sportive nazionali ad

adeguare le loro prescrizioni a quelle generali, in quell’ottica di contemperamento che ormai

caratterizza i rapporti fra ordinamento statale e ordinamento sportivo83.

5. Conclusioni

Sembra ormai arrivato il momento per una modifica dell’ordinamento giuridico interno volta a

qualificare correttamente gli atleti sportivi quali lavoratori. Tale riqualificazione dovrà poggiare non

più sull’acquisizione dello status di professionista o dilettante, quanto piuttosto sull’incidenza

economica dell’attività sportiva effettivamente svolta.

In questo senso, la legge n. 91/1981 appare del tutto inadeguata a disciplinare un fenomeno

complesso come quello sportivo. È auspicabile, quindi, una radicale modifica oppure un nuovo

intervento del legislatore su tutta la materia del lavoro sportivo.

Non appare sufficiente neppure l’intervento della giurisprudenza comunitaria, tanto che

sembrerebbe necessario disciplinare la materia anche a livello europeo, in modo tale da evitare

differenze e contraddizioni fra le varie normative nazionali84. Tuttavia, una ipotesi di questo tipo

sembra ancora molto lontana dalla realtà, nonostante lo sport abbia una dimensione europea ormai

consolidata.

In attesa di un futuro intervento legislativo sarà importante che le varie Federazioni nazionali,

di concerto con le relative Federazioni internazionali, adattino i propri statuti e regolamenti alle

esigenze delle attività sportive che intendono disciplinare, in modo da evitare i ricorsi sempre più

frequenti alla magistratura ordinaria.

I soggetti dell’ordinamento giuridico sportivo devono dimostrare, in questo senso, di avere la

forza di auto-regolamentarsi anche in un ambito problematico come quello del lavoro sportivo. Il

caso del Calcio a 5 potrebbe allora essere emblematico della ritrovata autonomia dell’ordinamento

sportivo.

83 Così ancora A. DE SILVESTRI, op. cit., p. 26.84 In questo senso J. TOGNON, op. cit., p. 674.

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ALLEGATO 1

REGOLAMENTO F.I.F.A. SULLO STATUS E I TRASFERIMENTI INTERNAZIONALI DEI

CALCIATORI

ALLEGATO 6

REGOLAMENTO SULLO STATUS E I TRASFERIMENTI INTERNAZIONALI DEI

GIOCATORI DI FUTSAL*

DEFINIZIONI

Ai fini del presente regolamento, i termini elencati in seguito sono definiti come segue:

1. Il Futsal è uno sport praticato secondo il “Regolamento di giuoco del Futsal” elaborato dalla

FIFA in collaborazione con il sottocomitato dell’International Football Association Board

(Commissione Internazionale delle Federazioni di Calcio).

2. Il Calcio è uno sport praticato secondo il “Regolamento di giuoco” autorizzato

dall’International Football Association Board.

3. Il Regolamento FIFA sullo status e i trasferimenti dei calciatori è una normativa emanata

dalla FIFA sulla base dell’art. 5 dello Statuto della FIFA del 19 ottobre 2003.

4. Federazione precedente: la Federazione alla quale la società precedente è affiliata.

5. Società precedente: la società che il calciatore sta per lasciare.

6. Nuova Federazione: la Federazione alla quale la Nuova Società è affiliata.

7. Nuova Società: la società presso la quale il calciatore si sta trasferendo.

8. Partite Ufficiali: le partite giocate nell’ambito del Calcio Organizzato, come i campionati

nazionali, le coppe nazionali e i campionati internazionali per società, ad esclusione delle gare

amichevoli e delle partite di prova.

9. Calcio Organizzato: Calcio organizzato sotto gli auspici della FIFA, delle Confederazioni e

delle Federazioni calcistiche e di Futsal, o da loro autorizzato.

10. Periodo Protetto: un periodo di tre stagioni intere o di tre anni, a seconda di quello che

comincia per primo, che segue l’entrata in vigore di un contratto, se questo contratto è stato

* Il regolamento FIFA sullo status e i trasferimenti dei giocatori di Futsal è stato redatto originariamente in lingua inglese. Solo le versioni in lingua inglese, francese, tedesca e spagnola, redatte a cura della FIFA fanno testo. La presente versione in lingua italiana è stata tradotta dal Dott. Valerio Bernardi, sulla base del Regolamento FIFA sullo status e i trasferimenti internazionali dei calciatori tradotto dall’Avv. Michele Colucci, al solo scopo di agevolare la comprensione di questo importante documento.

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concluso prima del 28° compleanno del Professionista, ovvero un periodo di due stagioni intere o

due anni, a seconda di quello che comincia per primo, che segue l’entrata in vigore di un contratto,

se questo contratto è stato concluso dopo il 28° compleanno del Professionista.

11. Periodo di tesseramento: un periodo stabilito dalla Federazione interessata ai sensi dell’art.

6 del Regolamento FIFA sullo status e i trasferimenti dei calciatori.

12. Stagione: il periodo che comincia con la prima Gara Ufficiale del campionato nazionale e

termina con l’ultima Gara Ufficiale dello stesso campionato.

Ulteriore riferimento è fatto alla sezione “Definizioni” del Regolamento FIFA sullo status e i

trasferimenti dei calciatori.

(N.B. i termini che fanno riferimento alla persona fisica si applicano ad entrambi i sessi; ogni

termine al singolare si applica al plurale e viceversa).

Articolo 1 - Principio

Queste regole sono parte integrante del Regolamento FIFA sullo status e i trasferimenti dei

calciatori e ne costituiscono l’allegato 6.

Articolo 2 - Scopo

1. Le norme sullo status e i trasferimenti dei giocatori di Futsal stabiliscono regole generali e

vincolanti relative allo status dei giocatori di Futsal, alla loro idoneità a partecipare al Calcio

Organizzato e al loro trasferimento fra società appartenenti a differenti Federazioni.

2. Il Regolamento sullo status e i trasferimenti dei calciatori sarà applicato senza modifiche ai

giocatori di Futsal, a meno che una diversa disposizione contenuta in questo allegato 6 preveda

espressamente norme differenti applicabili al Futsal.

3. Il trasferimento dei giocatori di Futsal fra società appartenenti alla stessa Federazione è

disciplinato dai regolamenti specifici emanati dalla Federazione interessata ai sensi dell’art. 1 del

Regolamento sullo status e i trasferimenti dei calciatori.

4. Le seguenti disposizioni, contenute nel Regolamento sullo status e i trasferimenti dei

calciatori, sono vincolanti per il Futsal a livello nazionale e devono essere incluse, senza

modificazioni, nei regolamenti delle Federazioni: artt. 2-8, 10, 11 e 18*.

5. Ogni Federazione includerà nei propri regolamenti strumenti adatti a proteggere la stabilità

contrattuale, nel rispetto della legislazione nazionale e dei contratti collettivi nazionali. In

* In modo più specifico: l’art. 2 sullo status dei calciatori, dilettanti e professionisti; l’art. 3 sul riacquisto dello status di dilettante; l’art. 4 sulla cessazione dell’attività; l’art. 5 sul tesseramento; l’art. 6 sui periodi di tesseramento; l’art. 7 sul passaporto del calciatore; l’art. 8 sulla richiesta di tesseramento; l’art. 10 sul prestito dei professionisti; l’art. 11 sui calciatori non tesserati; l’art. 18 sulle disposizioni speciali relativa ai contratti fra professionisti e società.

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particolare, i principi contenuti nell’art. 1 del Regolamento sullo status e i trasferimenti dei

calciatori (n. 3, lett. b), dovrebbero essere presi in considerazione.

Articolo 3 – Rilascio ed idoneità dei giocatori per le squadre Nazionali

1. Le previsione contenute negli allegati 1 e 2 del Regolamento sullo status e i trasferimenti

dei calciatori che disciplinano il rilascio dei giocatori per le squadre Nazionali e l’idoneità dei

giocatori a fare parte delle squadre Nazionali sono vincolanti.

2. Un calciatore può rappresentare una sola Federazione sia nel Futsal che nel Calcio. Il

calciatore che abbia già rappresentato una Federazione (sia in modo pieno che in parte) in una

competizione ufficiale di Calcio o di Futsal di qualsiasi categoria non può giocare un incontro

internazionale con la squadra di un’altra Federazione. Questa disposizione è soggetta alle eccezioni

previste dall’art. 15, par. 3-5, delle norme che disciplinano l’applicazione degli statuti della FIFA.

Articolo 4 - Tesseramento

1. Un giocatore di Futsal deve essere tesserato con una Federazione per giocare con una

società, sia come professionista che come dilettante, in accordo ai principi contenuti nell’art. 2 del

Regolamento sullo status e i trasferimenti dei calciatori. Solo i giocatori tesserati possono

partecipare al Calcio Organizzato. Per mezzo del tesseramento, un giocatore accetta di aderire agli

statuti e ai regolamenti della FIFA, delle Confederazioni e delle Federazioni.

2. Un giocatore può essere tesserato solo per una società di Futsal alla volta. Un giocatore,

tuttavia, può essere tesserato allo stesso tempo per una società di Calcio. Non è necessario per le

società di Calcio e di Futsal appartenere alla medesima Federazione.

3. I giocatori possono essere tesserati per un massimo di tre società di Futsal nel periodo che

va dal 1 luglio al 30 giugno dell’anno successivo. Durante questo periodo il giocatore può giocare

partite ufficiali solo per due società.

Il numero di società di Calcio con le quali lo stesso giocatore può essere tesserato nel periodo

che va dal 1 luglio al 30 giugno dell’anno successivo è specificato nell’art. 5, n. 3, del Regolamento

sullo status e i trasferimenti dei calciatori.

Articolo 5 – Certificato Internazionale di Trasferimento per il Futsal

1. I giocatori di Futsal tesserati con una Federazione possono essere tesserati per una nuova

Federazione solo quando questa ultima abbia ricevuto il Certificato Internazionale di Trasferimento

per il Futsal (CITF) dalla prima. Il CITF sarà rilasciato a titolo gratuito e non sarà soggetto a

condizioni né a limitazioni temporali. Sono nulle le disposizioni contrarie. La Federazione che

rilascia il Certificato di Trasferimento dovrà depositarne una copia presso la FIFA. La procedura

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amministrativa relativa al rilascio del Certificato Internazionale di Trasferimento dei calciatori

(CIT) sarà applicata allo stesso modo al rilascio del CITF. Questa procedura è stabilita dall’allegato

3 del Regolamento sullo status e i trasferimenti internazionali dei calciatori. Il CITF dovrà essere

distinguibile dal CIT usato nel Calcio.

2. Il CITF non è richiesto per i giocatori al di sotto dei 12 anni.

Articolo 6 – Applicazione delle sanzioni disciplinari

1. Una sanzione da scontare in termini di partite (cfr. art. 20, nn. 1 e 2, del Codice di disciplina

della FIFA) per un’infrazione commessa giocando a Futsal ovvero in relazione ad una partita di

Futsal riguarderà solo la partecipazione del giocatore all’attività della sua società di Futsal. Allo

stesso modo, una sanzione da scontare in termini di partite per un giocatore di Calcio riguarderà

solo la sua partecipazione all’attività della società di Calcio.

2. Una sanzione irrogata in termini di giorni e mesi riguarderà la partecipazione del giocatore

sia all’attività della sua società di Futsal che a quella di Calcio, senza tenere in considerazione dove

l’infrazione è stata commessa, nel Calcio o nel Futsal.

3. La Federazione per la quale il giocatore è tesserato dovrà notificare la sanzione irrogata in

termini di giorni e mesi alla seconda Federazione per la quale il giocatore risulta tesserato, nel caso

in cui il giocatore sia tesserato per una società di Futsal e una di Calcio che appartengono a due

differenti Federazioni.

4. Qualsiasi sanzione disciplinare irrogata ad un calciatore prima del suo trasferimento deve

essere applicata dalla Nuova Federazione per la quale il calciatore è tesserato. La Federazione

Precedente ha l’obbligo di notificare per iscritto tutte le sanzioni alla Nuova Federazione al

momento del rilascio del CITF.

Articolo 7 – Rispetto del Contratto

1. Un professionista sotto contratto con una società di Calcio può sottoscrivere un secondo

contratto da professionista con una diversa società di Futsal solo se ottiene un’approvazione scritta

dalla società di Calcio che lo impiega. Un professionista sotto contratto con una società di Futsal

può sottoscrivere un secondo contratto da professionista con una diversa società di Calcio solo se

ottiene un’approvazione scritta dalla società di Futsal che lo impiega.

2. La disciplina applicabile al mantenimento della stabilità contrattuale è prevista negli articoli

13-18 del regolamento sullo status e i trasferimenti dei calciatori.

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Articolo 8 – Protezione dei minori

I trasferimenti internazionali dei giocatori sono ammessi solo se i giocatori abbiano più di 18

anni d’età. Le eccezioni a questa regola sono previste dall’art. 19 del Regolamento sullo status e i

trasferimenti dei Calciatori.

Articolo 9 – Indennità di formazione

La disciplina sull’indennità di formazione come prevista dall’art. 20 e dall’allegato 4 del

Regolamento sullo status e i trasferimenti dei calciatori non verrà applicata ai trasferimenti dei

giocatori da e per le società di Futsal.

Articolo 10 – Meccanismo di solidarietà

La disciplina sul meccanismo di solidarietà come prevista dall’art. 21 e dall’allegato 5 del

Regolamento sullo status e i trasferimenti dei calciatori non sarà applicata ai trasferimenti dei

giocatori da e per le società di Futsal.

Articolo 11 – Competenze della FIFA

1. Senza pregiudizio per il diritto di un giocatore di Futsal o di una società di adire un

tribunale civile per controversie relative ai rapporti di lavoro, la FIFA è competente nelle

controversie previste dall’art. 22 del Regolamento sullo status e i trasferimenti dei calciatori.

2. La Commissione per lo Status dei calciatori o il giudice unico giudicheranno tutte le

controversie previste dall’art. 23 del Regolamento sullo status e i trasferimenti dei calciatori.

3. La Camera per la Risoluzione delle Controversie o un giudice della Camera decideranno le

controversie previste dall’art. 24 del Regolamento sullo status e i trasferimenti dei calciatori.

4. Le decisioni prese dalle autorità sopramenzionate sono appellabili davanti al Tribunale

Arbitrale dello Sport (TAS).

Articolo 12 – Materie non regolamentate

Le materie non previste dal presente regolamento saranno disciplinate dal Regolamento sullo

status e i trasferimenti dei calciatori.

Articolo 13 – Lingue Ufficiali

Nel caso di qualsiasi divergenza nell’interpretazione dei testi in Inglese, Francese, Spagnolo o

Tedesco del presente regolamento, prevale la versione Inglese.

Articolo 14 – Applicazione

Il presente regolamento è stato approvato dal Comitato Esecutivo della FIFA il 29 giugno

2005 ed entrerà in vigore il 1 settembre 2005.

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ALLEGATO 2

DISEGNO DI LEGGE d’iniziativa del senatore SCALERA

NORME IN MATERIA DI PREVIDENZA DEGLI SPORTIVI NON PROFESSIONISTI

Onorevoli Senatori. – Lo sport sviluppa notevoli riflessi nella nostra società contemporanea,

sia come espressione di prestazione individuale, sia come aspetto sociale e collettivo. Un dato che si

inquadra in una società che tende a far prevalere modelli di vita consumistici e sedentari.

È pur vero che la Costituzione italiana, come insieme di norme e princìpi che regolano i

diritti e doveri dei cittadini, nonché i poteri e le funzioni degli organi pubblici, non annovera alcun

articolo specifico sull’attività sportiva o sport in generale. Ora, la disciplina del disegno di legge in

esame è riconducibile essenzialmente alla «previdenza sociale», ai sensi dell’articolo 117, secondo

comma, lettera o), della Costituzione, rientrante nelle materie oggetto di potestà legislativa

esclusiva dello Stato, e in via secondaria alla «tutela e sicurezza del lavoro» o all’«ordinamento

sportivo» rientranti, ai sensi del terzo comma del medesimo articolo della Costituzione, nelle

materie di legislazione concorrente Stato – Regioni.

Infatti, gran parte dello sport italiano è oggi privo di un adeguato sostegno normativo

relativamente alla questione delle tutele, degli ingaggi, delle caratteristiche e della

regolamentazione del rapporto esistente tra sportivi e società, del riconoscimento della

professionalità e delle responsabilità delle metodologie didattiche messe a punto dagli insegnanti e

dagli istruttori delle varie discipline sportive quale attività principale esercitata ai fini del sostegno

economico per sé e il proprio nucleo familiare.

L’intervento legislativo che qui si propone si rende necessario, poiché nel nostro

ordinamento non risulta esservi alcuna disciplina specifica in materia di regolamentazione delle

prestazioni lavorative tra gli sportivi e le società o le associazioni sportive.

Ecco, quindi, la necessità di un riconoscimento delle tutele fondamentali in materia di

sicurezza sociale, salvo per ciò che riguarda gli «sportivi professionisti» e alcuni altri settori inerenti

il personale addetto agli impianti sportivi.

L’assenza di una tale disciplina ha creato nel tempo una discriminazione evidente non

soltanto tra settori del mondo sportivo tutelati da una apposita disciplina e settori, viceversa,

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totalmente privi di qualsivoglia garanzia nell’ambito delle prestazioni sportive effettuate, ma anche

all’interno stesso dello sport professionistico.

Eppure sono circa 7 milioni i tesserati alle Federazioni sportive nazionali e, tra essi, decine

di migliaia svolgono attività sportiva in forma sostanzialmente agonistica, continuativa e quasi

esclusiva.

Appare opportuno, pertanto, riconoscere una precisa tutela a quanti operano in questo

settore, caratterizzato – proprio per la tipicità e la specificità delle prestazioni rese – da un percorso

agonistico e professionale inevitabilmente più breve e intermittente rispetto ad altre attività,

aggiornando in particolare le disposizioni previdenziali.

Il disegno di legge è composto di 3 articoli e non ha bisogno di alcuna copertura finanziaria,

in quanto il nuovo sistema non comporta oneri per lo Stato.

L’articolo 1 stabilisce l’obbligo di iscrizione previdenziale di atleti, allenatori, istruttori,

insegnanti, maestri e tecnici, direttori sportivi, direttori tecnici, direttori tecnico-sportivi, preparatori

atletici privi della qualificazione di sportivi professionisti nell’ambito delle discipline regolamentate

dal Comitato olimpico nazionale italiano (CONI). La condizione è che tali soggetti esercitino

l’attività sportiva, tecnica e didattica, anche in modo non esclusivo, a fronte di un compenso, in

qualsiasi forma, corrisposto e che abbiano conseguito l’abilitazione dalle competenti Federazioni

sportive nazionali o da altri organismi competenti in materia.

L’iscrizione dovrà avvenire all’assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i

superstiti gestita dall’Ente nazionale di previdenza e di assistenza per i lavoratori dello spettacolo

(ENPALS) – Fondo pensioni per gli sportivi professionisti. Si ricorda, al riguardo, che

l’ordinamento pensionistico del nostro Paese è strutturato in un regime generale di previdenza quale

è l’assicurazione generale obbligatoria (AGO) per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti, gestita

dall’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) e che riguarda sia lavoratori dipendenti che

autonomi. Ad esso si affiancano i regimi sostitutivi dell’AGO, anche essi di natura obbligatoria, che

si sostituiscono al regime generale dell’INPS in quanto gestioni speciali o fondi per determinate

categorie di lavoratori.

L ’ENPALS, in particolare, di cui al decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 16

luglio 1947, n. 708, ratificato, con modificazioni, della legge 29 novembre 1952, n. 2388, provvede

alla tutela previdenziale per i lavoratori dello spettacolo e per gli sportivi professionisti.

L’articolo 2 fissa l’aliquota contributiva dovuta per i soggetti individuati all’articolo 1 a

carico dei datori di lavoro e degli sportivi.

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All’articolo 3 è prevista l’estensione agli sportivi non professionisti del regime

pensionistico, delle modalità di calcolo delle prestazioni previdenziali, dei requisiti di accesso al

pensionamento e delle disposizioni in materia di prosecuzione volontaria per ciò che attiene la

contribuzione, delle disposizioni in vigore per i lavoratori già iscritti al Fondo pensioni per gli

sportivi professionisti.

Il comma 2 dell’articolo 3 prevede l’estensione delle disposizioni in materia di tutela e

sostegno della maternità. Più in particolare, per le lavoratrici, si prevede la corresponsione

dell’indennità giornaliera di maternità per il periodo di gravidanza e per quello successivo al parto

già riconosciuta alle lavoratrici autonome (articoli 66 e seguenti del testo unico delle disposizioni

legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15

della legge 8 marzo 2000, n. 53, di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151).

DISEGNO DI LEGGE

Art. 1(Soggetti assicurati)

1. Gli atleti, gli allenatori, gli istruttori, gli insegnanti, i maestri e i tecnici, i direttori

sportivi, i direttori tecnici, i direttori tecnico-sportivi, i preparatori atletici privi della qualificazione

di sportivi professionisti nell’ambito delle discipline regolamentate dal Comitato olimpico nazionale

italiano (CONI), che esercitano l’attività sportiva, tecnica e didattica, anche in modo non esclusivo,

a fronte di un compenso in qualsiasi forma corrisposto, sono tenuti ad iscriversi all’assicurazione

obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti gestita dall’Ente nazionale di previdenza e di

assistenza per i lavoratori dello spettacolo (ENPALS) – Fondo pensioni per gli sportivi

professionisti.

2. I soggetti di cui al comma 1, nell’ambito delle discipline regolamentate dal CONI,

devono aver conseguito l’abilitazione dalle competenti Federazioni sportive nazionali o da altri

organismi competenti in materia.

3. Dopo il numero 22) del primo comma dell’articolo 3 del decreto legislativo del Capo

provvisorio dello Stato 16 luglio 1947, n. 708, ratificato, con modificazioni, dalla legge 29

novembre 1952, n. 2388, sono aggiunti i seguenti numeri:

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22-bis) atleti, allenatori, istruttori, insegnanti, maestri e tecnici, direttori sportivi, direttori

tecnici, direttori tecnico sportivi, preparatori atletici, che esercitano l’attività sportiva, tecnica e

didattica con rapporto di lavoro di natura subordinata;

22-ter) atleti, allenatori, istruttori, insegnanti, maestri e tecnici, direttori sportivi, direttori

tecnici, direttori tecnico-sportivi, preparatori atletici, che esercitano l’attività sportiva, tecnica e

didattica con rapporto di lavoro di natura autonoma».

Art. 2 (Obblighi contributivi)

1. All’articolo 1 del decreto legislativo 30 aprile 1997, n. 166, sono apportate le seguenti

modificazioni:

a) i commi 1 e 2 sono sostituiti dai seguenti:

«1. L’aliquota contributiva a carico dei datori di lavoro dovuta per gli sportivi iscritti al

Fondo pensioni per gli sportivi professionisti, di seguito denominato “Fondo“, è stabilita nella

misura del 9,11 per cento; per il medesimo personale l’aliquota a carico degli sportivi è stabilita

nella misura in vigore nel Fondo pensioni lavoratori dipendenti. Per i lavoratori di cui all’articolo 3,

primo comma, numero 22-ter), del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 16 luglio

1947, n. 708, ratificato, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 1952, n. 2388, e successive

modificazioni, l’aliquota contributiva a carico dei medesimi è stabilita nella misura del 18 per cento.

2. L’aliquota contributiva a carico dei datori di lavoro dovuta per il personale iscritto al

Fondo è incrementata annualmente di 2 punti percentuali fino a concorrenza dell’aliquota in vigore

nell’assicurazione generale obbligatoria. L’aliquota contributiva a carico dei lavoratori di cui al

secondo periodo del comma 1, è incrementata annualmente di 2 punti percentuali sino a

concorrenza dell’aliquota in vigore nell’assicurazione generale obbligatoria»;

b) dopo il comma 6 è aggiunto il seguente:

«6-bis I lavoratori iscritti al Fondo di cui all’articolo 3, primo comma, numero 22-ter), del

decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 16 luglio 1947, n. 708, ratificato, con

modificazioni, dalla legge 29 novembre 1952, n. 2388, e successive modificazioni, possono

provvedere direttamente all’adempimento degli obblighi contributivi».

2. Quanto previsto al comma 1 dell’articolo 1 del decreto legislativo 30 aprile 1997, n. 166,

come sostituito dal presente articolo si applica a decorrere dalla data di entrata in vigore della

presente legge.

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3. Quanto previsto al comma 2 dell’articolo 1 del citato decreto legislativo n. 166 del 1997,

come sostituito dal presente articolo. Si applica a decorrere dal 1º giugno dell’anno successivo alla

data di entrata in vigore della presente legge.

Art. 3 (Regime pensionistico)

1. Ai soggetti iscritti al Fondo pensioni per gli sportivi non professionisti ai sensi della

presente legge si applicano, ai fini dei requisiti richiesti per il diritto alle prestazioni pensionistiche,

delle modalità di calcolo, dei requisiti di accesso delle prestazioni pensionistiche e della disciplina

della prosecuzione volontaria, le disposizioni di cui agli articoli 2, 3 e 4 del decreto legislativo 30

aprile 1997, n. 166, e successive modificazioni.

2. In materia di tutela e sostegno della maternità si applicano le disposizioni previste dal

testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della

paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53, di cui al decreto legislativo 26

marzo 2001, n. 151, e successive modificazioni. L’indennità di maternità è corrisposta con le

modalità previste per le lavoratrici autonome di cui all’articolo 66 e seguenti del citato testo unico

di cui al decreto legislativo n. 151 del 2001.

3. Ai fini della determinazione del diritto ai trattamenti pensionistici e della misura degli

stessi, gli sportivi di cui all’articolo 1, comma 2, della presente legge possono riscattare, a domanda,

i periodi di attività prestata anteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge con le

modalità di cui all’articolo 13 della legge 12 agosto 1962, n. 1338.

4. Per il riscatto dell’attività prestata nel periodo compreso tra il 1º gennaio 1996 e la data

di entrata in vigore della presente legge, l’onere previsto a carico del richiedente è determinato

applicando l’aliquota contributiva di cui al comma 1 dell’articolo 1 del decreto legislativo 30 aprile

1997, n. 166, come modificato dalla presente legge, sulle retribuzioni percepite nei periodi oggetto

del riscatto. La domanda di riscatto dei predetti periodi di attività deve essere presentata entro sei

mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge.

DOTTRINA88

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L’evoluzione dello status professionale………

5. Il consiglio di indirizzo e vigilanza dell’ENPALS previsto dall’articolo 4 del regolamento

concernente norme per l’organizzazione ed il funzionamento dell’ENPALS in attuazione

dell’articolo 43, comma 1, lettera c), della legge 27 dicembre 2002, n. 289, di cui al decreto del

Presidente della Repubblica 24 novembre 2003, n. 357, è integrato, con decreto del Presidente del

Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, da quattro

membri, dei quali la metà in rappresentanza degli sportivi e la restante metà in rappresentanza delle

società sportive, designati dalle rispettive associazioni di categoria maggiormente rappresentative

sul piano nazionale.

DOTTRINA89

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L’evoluzione dello status professionale………

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(*) dottore in Scienze Politiche

DOTTRINA90

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PARTE SECONDANOTE A SENTENZA

SOMMARIO:

MATTEO CAMPAGNARO, La responsabilità per le lesioni cagionate durante l'attività sportiva

pag.92

ALESSIO PISCINI, La crisi del calcio tra il terzo "caso Catania" e l'ennesimo rimedio all'Italiana

pag.106

91

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE ORDINARIO DI PADOVA

SEZIONE II° CIVILE

IL GIUDICE

Dott. ROBERTO BEGHINI ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I° grado iscritta a ruolo al n. 860/99 R.G. Pret., promossa con atto di

citazione notificato in data 17.3.1999 da Aiut. Uff. Giud. della Pretura di Piove di Sacco

DA

Z. P.G., in nome e per conto del figlio minore Z. P. – Attore –

rappresentato e difeso come da mandato a margine dell’atto di citazione dall’Avv. C. T. ….

CONTRO

F. T. - Convenuto –

rappresentato e difeso come da mandato in calce alla copia notificata dell’atto di citazione

dall’Avv. A. M……

SOC. ………. S.R.L. - Convenuta –

rappresentata e difesa come da mandato in calce alla copia notificata dell’atto di citazione

dall’Avv. A. R…..

CON LA CHIAMATA IN CAUSA DI

F. S. S.P.A. (già S. ASS.NI S.P.A.)

- Chiamata in causa -

rappresentata e difesa come da mandato in calce alla copia notificata dell’atto di citazione

dall’Avv. L. P.

OGGETTO: Risarcimento danni.

NOTE A SENTENZA92

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CONCLUSIONI

Dell’attore

- voglia l’Ill.mo Tribunale, accertata la responsabilità dell’evento dannoso di cui è causa in

capo ai convenuti soc. … … … s.r.l. e F. T., condannare questi ultimi e la S. Ass.ni, in solido tra

loro, a pagare all’attore la complessiva somma di € 7.032,94 a titolo di risarcimento dei danni fisici

e morali subiti con gli interessi dal giorno dell’infortunio al saldo;

- rifusione delle spese legali.

Del convenuto F.

- si chiede il rigetto della domanda attorea, in caso di denegata soccombenza, dichiararsi la

Compagnia S. Ass.ni s.p.a. tenuta a manlevare il convenuto F. T., in virtù della polizza assicurativa

in essere;

- in ogni caso: con vittoria delle spese di giudizio che nell’ipotesi di soccombenza dovranno

essere poste a carico della terza chiamata S. Ass.ni s.p.a..

Della convenuta soc. ………. s.r.l.

- nel merito: respingersi le domande attoree, e comunque ogni domanda svolta nei confronti

della soc. ……… s.r.l, in quanto infondate in fatto ed in diritto e non provate.

Con riserva di agire in via di regresso, in separata sede, nei confronti del sig. T. F., nella

denegata ipotesi di condanna della società convenuta, laddove nel presente giudizio venisse

ravvisata una qualche responsabilità in capo allo stesso per i fatti di cui è causa;

- con vittoria di spese, diritti ed onorari.

Della chiamata in causa

- nel merito: respingersi perché infondata ogni pretesa attorea nei confronti del convenuto F. e

conseguentemente dichiararsi insussistente ogni obbligo di garanzia dalla S. Ass.ni verso

quest’ultimo;

- ancora nel merito: dichiarata inoperante la garanzia prevista dalla perizia in atti, respingersi

la domanda di manleva del F. verso la S. Ass.ni;

- con vittoria di spese ed onorari.

NOTE A SENTENZA93

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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 19-22.3.1999, Z. P.G., in nome e per conto del figlio

minore Z. P., esponeva che quest’ultimo, il 25 luglio 1997, presso il complesso positivo gestito dalla

soc. … ... … s.r.l., durante una partita di calcetto in cui ricopriva il ruolo di portiere, riportava una

grave lesione al polso sinistro dopo aver parato un tiro eseguito dall’istruttore F. T..

La stessa soc. … s.r.l., nella lettera del 25.08.1998 spedita alla N. T. s.p.a., aveva dichiarato

che probabilmente l’istruttore aveva tirato una pallonata troppo forte per essere parata da un

bambino di 14 anni. Tutto ciò premesso, Z. P.G. conveniva innanzi alla Pretura di Padova (assorbita

poi in questo Tribunale per effetto del decreto legislativo n. 51 del 1998) l’istruttore F. T. e la soc.

… … … s.r.l. per sentirli condannare in solido al risarcimento dei danni fisici (frattura del polso

sinistro) e morali riportati nel sinistro.

F. T. ammetteva di aver calciato il pallone, ma affermava che l’evento era accaduto

nell’ambito di una normale attività sportiva, senza alcun eccesso da parte sua. Chiedeva ed otteneva

di chiamare in garanzia la S. Ass.ni spa.

La soc. … s.r.l. escludeva la propria responsabilità solidale, ritenendo inapplicabile l’art. 2049

c.c..

La S. Ass.ni spa eccepiva l’inoperatività della polizza stipulata con il F., che copriva solo fatti

verificatisi nello svolgimento della vita privata, e non invece quelli inerenti ad attività professionali.

Designato lo scrivente a seguito di astensione del giudice ordinario; espletati gli incombenti

previsti dall’art. 183 c.p.c.; assunte le prove testimoniali dedotte dalle parti; interrogato

formalmente F. T.; espletata C.T.U. medico-legale da parte del dott. F. F.; la causa ora passa in

decisione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

I criteri che disciplinano la responsabilità civile (e penale) nell’ambito sportivo, sono noti.

Affinché, durante un’azione di gioco, vi possa essere responsabilità, è necessario che lo

sportivo abbia commesso un fallo che produca delle conseguenze che superano il rischio

tacitamente accettato dai giocatori; oppure che, nonostante l’osservanza delle regole del gioco, la

condotta del giocatore non mantenga il senso vigile e prudente del rispetto della integrità fisica

dell’avversario, pur nei limiti delle finalità agonistiche.

NOTE A SENTENZA94

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Sotto questo ultimo profilo, emblematico può considerarsi il caso deciso da Cass. pen.

22.11.1961 (in Resp. Civ. e Prev. 1962, 507) ove appunto il rispetto delle regole del gioco non è

stato considerato sufficiente per esonerare l’atleta da responsabilità penale. Era infatti accaduto che

durante un normale allenamento, un pugile esperto, violando le istruzioni impartite dall’allenatore,

aveva inferto colpi così violenti all’avversario, un principiante di categoria inferiore, da cagionarne

la morte. La colpa del pugile è stata ravvisata nel non aver seguito le istruzioni dell’allenatore e

nell’aver usato una violenza eccessiva rispetto ad un semplice allenamento (negli stessi termini v.

Trib. Roma 4.4.1996, in resp. civ. e prev. 1996, 1247, ove è stata ritenuta colposa la condotta

dell’atleta che, in occasione di un incontro di scherma, aveva trasceso i limiti dati dal carattere di

mera esibizione della gara, imprimendo al fioretto una forza eccessiva e cagionando in tal modo

delle lesioni gravissime all’altro concorrente).

Nella fattispecie concreta, premesso che è pacifico che era in corso una partita di calcetto a

livello puramente ricreativo (e non agonistico), va in primo luogo osservato che il doc. 1 attoreo

non contiene alcuna confessione del F., essendosi questi limitato a riferire di aver effettuato un tiro

in porta, parato da Z. P., il quale accusava poi dolori al polso.

Il F. non risulta invece aver ammesso di aver calciato il pallone con una forza eccessiva

rispetto all’età del portiere (anni 13).

Poiché non proviene dal soggetto direttamente responsabile, è irrilevante che la soc. … … …

s.r.l. nella nota del 25.05.1998 (v. doc. 2 att.), abbia affermato che il suo istruttore (vale a dire il F.)

abbia “probabilmente tirato una pallonata troppo forte da parare per un bambino di 14 anni e gli ha

rotto il polso”.

L’unico teste oculare è F. S.. Questi si trovava ad una distanza di circa 8-10 metri, giacché

anche lui giocava in una delle due squadre. “Durante una normale azione di gioco – ha riferito il

teste – mio fratello ha fatto un tiro nella porta ove l’attore faceva il portiere … Il tiro in porta non fu

forte. Il portiere parò il tiro e la palla uscì. Il ruolo degli istruttori, come me e mio fratello, era

quello di tenere i ragazzi e di giocare anche assieme a loro”. È ben vero che si tratta della

deposizione del fratello del convenuto principale, ma non risultando altre ragioni al di fuori del

vincolo di parentela, non v’è motivo di ritenere la deposizione inattendibile.

Il C.T.U. dott. F. F. non ha saputo dare alcuna indicazione in merito alla velocità con cui il

pallone è stato calciato dal convenuto.

NOTE A SENTENZA95

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Nel parere medico-legale prodotto dallo stesso attore sub doc. 4, egli si limita –

significativamente – a riferire che “in data 25.7.1997 nel mentre si giovava a calcio in un campo

estivo, veniva colpito alla mano sinistra da un pallone lanciato dall’istruttore-sorvegliante”, senza

affermare che quest’ultimo gli aveva impresso una velocità sproporzionata.

In atti, non vi è pertanto alcun elemento probatorio che consenta di ritenere che il convenuto

F. abbia calciato il pallone con una forza eccessiva rispetto alla semplice caratteristica ricreativa

della partita di calcetto.

Bisogna quindi concludere che il sinistro rientri nei rischi a cui si espone chi esercita attività

sportiva, senza che possa attribuirsi alcuna responsabilità al F..

Per completezza, alla fattispecie non può applicarsi l’art. 2048 c.c., in primo luogo perché

l’eventuale responsabilità del F. non deriverebbe dalla sua qualità di istruttore, ma da quella di mero

giocatore; ed in secondo luogo, perché il cit. art. 2048 c.c. si applica solo all’ipotesi del danno

cagionato dall’allievo ad un terzo (v. Cass., Sez. Un., 27.6.2002 n. 9346).

La domanda principale va dunque respinta.

Tutte le altre restano assorbite.

Sussistono giusti motivi per compensare le spese di giudizio.

Quelle di C.T.U. sono poste a carico dell’attore.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunziando, respinge la domanda principale. Dichiara

assorbite tutte le altre.

Compensa le spese di giudizio.

Pone quelle di C.T.U. definitivamente a carico dell’attore.

Padova, 22 marzo 2005

NOTE A SENTENZA96

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LA RESPONSABILITA’ PER LE LESIONI CAGIONATE DURANTE L’ATTIVITA’ SPORTIVA

di Matteo Campagnaro (*)

La pronuncia in epigrafe ripropone il tema dei limiti di giustificabilità della violenza

sportiva, con particolare attenzione verso gli sport a violenza eventuale come il gioco del calcio

(gioco del calcetto in questo caso). In particolare la sentenza del Tribunale di Padova definisce i

confini della liceità della violenza nello sport con specifico riguardo ad una fattispecie di infortunio

verificatosi non durante lo svolgimento di una gara, ma nel bel mezzo di un allenamento sportivo.

Nel caso di specie, infatti, il genitore di un giovane portiere di calcetto dell’età di quattordici

anni, citava in giudizio l’allenatore: questi, infatti, durante una sessione di allenamento con i propri

giovani giocatori, calciava la palla in porta per esercitare il proprio portiere ma quest’ultimo, dopo

aver parato il tiro, riportava una grave lesione al polso sinistro. In particolare, il genitore, agendo in

nome e per conto del proprio figlio infortunato, chiedeva il risarcimento dei danni all’istruttore in

via principale, alla società di gestione del complesso sportivo di cui l’allenatore-istruttore era

dipendente in via subordinata, con la chiamata in causa dell’assicurazione della società di gestione.

La fattispecie storica portata all’attenzione del Tribunale di Padova consente, in questa sede,

di perpetrare un ulteriore approfondimento sul tema della individuazione dei criteri disciplinanti la

responsabilità civile (e penale) nell’ambito sportivo. In via introduttiva, si ritiene opportuno

specificare che il confronto su questo tema, in verità assai dibattuto, non pare mai aver assunto toni

di disputa esegetica o di classificazione dogmatico-giuridica del tutto svincolata dalle implicazioni

pratiche. Il controverso dibattito intrattenuto sull’opzione alternativa tra le varie scriminanti per la

giustificazione della violenza sportiva in ambito penale non si può comprendere appieno se non

apprezzando lo sforzo che gli autori hanno prodotto nell’immaginare gli sviluppi pratici cui avrebbe

condotto l’accedere ad una teoria piuttosto che all’altra.

NOTE A SENTENZA97

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Pare piuttosto condiviso, perlomeno nella giurisprudenza più recente, il principio secondo cui

nel caso di violenza determinatasi nello sport, non possono operare le cause di giustificazione del

consenso dell’avente diritto né quella dell’esercizio del diritto: la prima a causa dell’ostacolo

difficilmente valicabile dell’art. 5 c.c., perlomeno nei confronti delle condotte produttive di lesioni

permanenti; la seconda a causa della problematica estensione di questa causa di giustificazione

fondata sul riconoscimento che l’attività sportiva riceve dalla legge e dalla Costituzione, alle

manifestazioni sportive non organizzate ufficialmente e negli allenamenti (anche se, va anticipato,

la dottrina più pervicace cerca di perorare le tesi che fanno leva sulle scriminanti di cui agli artt. 50

e 51 c.p. rispettivamente anche oltre i limiti poco innanzi menzionati).

La giurisprudenza prevalente ha abbracciato la tesi della scriminante non codificata o altresì

detta del c.d. rischio consentito, la cui ammissibilità si fonda su di un’estensione analogica in

bonam partem delle scriminanti codificate. Questa causa di giustificazione, o meglio, di esclusione

dell’antigiuridicità del fatto, trova la sua ratio essendi nell’assunto secondo il quale l’attività

sportiva non solo è ammessa, incoraggiata, tutelata dallo Stato, ma, altresì, ritenuta dalla coscienza

sociale attività assai positiva per lo sviluppo della persona e dell’intera comunità1.

La scriminante non codificata presenta in re ipsa un’efficace duttilità che le consente di

essere applicata oltre gli angusti confini di verificazione della conformità o meno della condotta

sportiva ai regolamenti di gioco.

Come asserito da eminente dottrina 2, “oltre ad essere probabilmente la tesi scientificamente

più corretta, ha in ogni caso il duplice pregio di dare, da un lato, fondamento di liceità di

determinati fatti che, pur verificandosi al di fuori di vere e proprie competizioni organizzate e pur

non presupponendo nei competitori una perfetta nozione di tutte le regole del gioco, sono

indubbiamente manifestazione esclusiva dell’agonismo sportivo inteso nel senso più genuino e

cavalleresco del termine; dall’altro di non ridurre la valutazione della concreta liceità del fatto e

sulla responsabilità o meno del suo autore ad una mera e fredda indagine sull’osservanza delle

regole che, in certi casi, potrebbe anche essersi avuta, nonostante l’assenza, nel competitore e

nell’arbitro, di quello spirito sportivo che non può non vivificare ogni gioco degno di questo nome”.

Secondo la interpretazione prevalente degli autori peroranti questa tesi, sono stati enunciati una

serie di principi inderogabili di condotta che sarebbero rivelatori dello spirito sportivo e che, in

qualsiasi tipo di competizione, i contendenti debbono rispettare:1 Cass. 2 Giugno 2000, Rotella, in Foro it., Rep. 2001, voce Lesione personale e percosse, n. 6; Cass. 12 Novembre 1999, Bernava, id., 2000, II, 639, Cass. 2 dicembre 1999, Rolla, ibid., 321.2 VASSALLI, Agonismo sportivo e norme penali, in Riv. dir. Sport, 1958, 183.

NOTE A SENTENZA98

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a) assenza di acredine, o peggio, di odio tra gli avversari e convinzione di dover colpire

l’avversario (necessariamente o eventualmente a seconda dello sport di cui si tratta) e,

reciprocamente, di dover da questo ricevere colpi per nessun altro motivo all’infuori del fine

sportivo;

b) equilibrio (sia pure entro limiti di ragionevole elasticità) delle forze contrapposte;

c) assenza di frodi e tanto meno di previ accordi circa l’esito della gara;

d) consapevolezza di dover rispettare, entro i limiti delle finalità agonistiche specifiche,

l’integrità personale dello avversario ed in ogni caso di non dover mai intenzionalmente cagionare

una diminuzione permanente dell’integrità fisica o peggio la morte dell’avversario: scopi oggi

questi assolutamente incompatibili con qualsiasi tipo di sport, essendo oggi le finalità dello stesso

intenzionalmente rivolte al potenziamento della vita umana non alla sua oppressione o

menomazione;

e) lealtà e cavalleria in ogni aspetto del gioco non disciplinato dal regolamento ufficiale o,

quanto meno, da quel minimo di norme che qualsiasi giocatore sempre conosce.

Chi rispetta questi canoni, nell’osservanza dei quali dunque si ritiene estrinsecarsi

quell’attività di alto valore sociale che é lo sport, non è meritevole di alcuna sanzione; ciò si può

sostenere anche nel caso in cui lo sportivo sia stato autore di violenze e se, nel commetterle, sia

venuta meno l’osservanza di qualche norma regolamentare emanata dalle federazioni sportive.

Da ciò discende, ad esempio, che sembra più degno di non essere sottoposto a procedimento

penale un ragazzo che, improvvisato un incontro di pugilato con un amico, senza guantoni e senza

alcun arbitro, si dimostri con lui fedele interprete di tutti i principi sopra esposti, che non il pugile

professionista, il quale, salito sul ring davanti a migliaia di spettatori, più per lucrare i guadagni

della “borsa” che per interesse sportivo, procuri intenzionalmente, seppure con un colpo “regolare”,

una ferita all’arcata sopraciliare dell’avversario costringendolo alla resa; magari, già conoscendo la

predisposizione alla ferita della zona colpita.

Tali tattiche sono frequenti nell’ambito del pugilato ma non sono vietate dai regolamenti

federali: ciò non significa che si possa dire che si presentino come animate da vero spirito sportivo.

Quindi, da un lato si può ritenere che l’osservanza integrale da parte dell’atleta dei

regolamenti di gioco racchiuda in se stessa la prova almeno teorica e presuntiva secondo un

giudizio quo ante dello spirito sportivo che lo ha animato.

NOTE A SENTENZA99

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Ma si può, allo stesso modo, ribadire che quand’anche un atleta abbia posto in essere una

condotta lesiva, pur non rispettando ossequiosamente i regolamenti sportivi, ma pur sempre ispirata

a sincero spirito sportivo, questi meriti ugualmente di non essere ritenuto responsabile.

La considerazione del rispetto dei regolamenti va quindi integrata dalla ricerca dello spirito

sportivo: è necessario considerare non solo l’atto produttivo della lesione, ma tutto il contegno

tenuto durante lo svolgimento della gara.

Tanto più che i regolamenti interni emanati dalle federazioni sportive sono soltanto dei

regolamenti propriamente endogeni, come tali non aventi efficacia erga omnes al pari delle norme

giuridiche. In conclusione, questa tesi conduce la nozione di spirito sportivo e le prescrizioni che

esso porta in dote ad assurgere al ruolo cardine di causa di giustificazione che elide l’antigiuridicità

della lesione causata durante la gara sportiva.

E’ lo spirito sportivo che anima la competizione ad eliminare la antigiuridicità di una condotta

lesiva, non la mera esteriore osservanza dei regolamenti tecnici. I regolamenti, infatti, presentano

disposizioni che non possono dirsi nemmeno consuetudinarie, in quanto non tutti le osservano in

maniera costante ed uniforme, ed anzi, moltissimi, le ignorano; e non può ad essi riconoscersi

nemmeno il carattere assoluto di generalità ed imperatività normative.

La teoria della scriminante non codificata, non può ovviamente spingersi sino a ritenere ad

libitum giustificata la violenza sportiva.

Il problema dei limiti entro cui opera la causa di giustificazione in esame viene a trovare una

particolare soluzione: essa smentisce l’affermazione, ricorrente in dottrina, che la liceità penale di

una condotta sportiva violenta sia condizionata al fatto che, nel caso concreto, siano state osservate

tutte le regole che disciplinano il gioco.

Si presti attenzione alla seguente considerazione: l’affermazione da sopra citata (ovvero che la

liceità della condotta sportiva dipenda dal rispetto delle regole) sarebbe da ritenersi valida se con

essa si intendesse sostenere che è sufficiente constatare la violazione di una regola di gioco esplicita

o tacita palesemente infrangendo lo spirito sportivo per ritenere integrati gli estremi della

responsabilità; ma è certamente viziata da un errore di difetto se, per converso, si intenda sostenere

che, per escludere la responsabilità penale dell’atleta, sia sufficiente accertare l’osservanza da parte

dello stesso di tutte le regole espresse di gioco.

In tema di competizioni sportive il giudice deve, infatti, accertare l’esistenza della colpa non

solo verificando se nel caso concreto siano state osservate le norme espresse contenute nella

NOTE A SENTENZA100

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regolamentazione del gioco; ma anche se siano state osservate tutte le altre norme tacite di prudenza

e diligenza imposte dalla stessa gamma di situazioni in cui si articola il gioco.

Né tale considerazione può essere contestata dalla dimostrazione che nella maggior parte delle

evenienze l’osservanza delle norme dei regolamenti federali valga ad escludere la colpa.

Infatti, riferendosi ad “una maggior parte delle evenienze” si da un carattere di relatività ed

un’approssimazione all’affermazione stessa: non è scorretto autorizzare la supposizione che, in un

determinato numero di casi, l’adozione delle precauzioni imposte dai regolamenti tecnici si possa

rilevare, alla stregua di un giudizio ex ante e in rapporto alle circostanze del fatto concreto, inidonea

alla prevenzione del danno.

In questo caso, se la condotta che ha causato l’evento dannoso non è specificamente

autorizzata da una norma permissiva, sussisteranno gli estremi della colpa per violazione di una

regola di prudenza o di diligenza.

Come è stato osservato, a proposito di un calciatore il quale nel tentativo di colpire la palla,

colpì con un tremendo calcio il portiere (mentre quest’ultimo gettandosi a tuffo sulla palla,

fermatala e trattenutala a sé si accingeva a rialzarsi) provocando allo stesso un danno irreparabile ad

un rene: “L’osservanza delle regole del gioco discrimina finché non si crei una situazione

pericolosa che deve imporre di astenersi da quel particolare gesto, anche se potesse derivarne la

soccombenza nella gara che è così meno importante dell’integrità fisica e della vita del

contendente ”3.

Riprendendo le parole di una celebre sentenza della Suprema Corte 4“…si tratta di non venire

mai meno al senso vigile ed umanitario del rispetto dell’integrità fisica e della vita

dell’avversario”.

Come palesemente evidenziato nella sentenza in epigrafe, attraverso la menzione delle

sentenze della Corte di Cassazione del 22.11.1961 e del Trib. Roma del 4.4.1996.

E’ stato osservato, a tale proposito, che il rispetto delle regole doverose di prudenza imposte

dalle singole situazioni, vale in ogni altra manifestazione della vita di relazione; deve valere, a

maggior ragione, nel caso di competizioni sportive, in cui si svolge un’attività particolarmente

pericolosa per le conseguenze assai gravi che possono derivarne.

3 Cass. 25 febbraio 2000, n. 2286, in Guida al diritto, n. 18/2000, 79.4 Cass. 9 ottobre 1950, in Foro it., 1951, II, 85.

NOTE A SENTENZA101

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La responsabilità per...

Tanto più che gli stessi regolamenti delle varie attività sportive contengono un esplicito rinvio

alle norme tacite di prudenza, vietando determinati comportamenti che non potrebbero essere

qualificati scorretti se si prescindesse dal riferimento a quelle norme. Ad esempio, il regolamento

del gioco del calcio, all’art. 12, proibisce la carica violenta o pericolosa e stabilisce il divieto del

gioco giudicato dall’arbitro pericoloso.

Date tali premesse, possiamo dunque dedurne il principio generale che nelle competizioni

sportive sono consentite le sole azioni indispensabili al conseguimento del risultato vittorioso, a

condizione che non contrastino con le regole di prudenza compatibili con le finalità agonistiche del

gioco.

Tale principio determina i limiti della liceità sportiva nel senso di escludere che si possano

considerare penalmente irrilevanti, nonostante l’osservanza delle regole del gioco, i comportamenti

di cui sono certi, alla stregua di un giudizio ex ante, i risultati dannosi.

La sentenza in rassegna sottolineando che “Affinché durante un’azione di gioco vi possa

essere responsabilità, è necessario che lo sportivo abbia commesso un fallo che produca delle

conseguenze che superano il rischio tacitamente accettato dai giocatori; oppure che, nonostante

l’osservanza delle regole del gioco, la condotta del giocatore non mantenga il senso vigile e

prudente del rispetto della integrità fisica dell’avversario, pur nei limiti delle finalità agonistiche”,

mostra di condividere sostanzialmente la tesi della scriminante non codificata.

Il pregio principale di questa pronuncia è certamente quello di superare definitivamente la

risalente concezione che ravvisa in ogni violazione delle regole del gioco una responsabilità

perlomeno colposa per le eventuali lesioni cagionate.

Concezione, quest’ultima, che renderebbe di fatto inapplicabile la scriminante sportiva in

tutte quelle competizioni c.d. a violenza eventuale come il calcio, il basket dove la produzione di

conseguenze lesive non può essere ipotizzata, salvi gli scontri fortuiti, se non a seguito di

trasgressioni disciplinari.

Perciò, le lesioni cagionate in una partita di calcio configurerebbero quasi sempre, per lo

meno, il reato di lesioni colpose in quanto scaturite, nella maggior parte dei casi, da una violazione

delle regole del gioco: tale conclusione risulterebbe oltremodo severa per un lineare ed

incondizionato svolgimento dell’attività sportiva; inoltre, verrebbe a collidere con lo spirito con cui

il legislatore ha inteso favorire, diffondere e tutelare la pratica sportiva degna di questo nome.

NOTE A SENTENZA102

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La responsabilità per...

Sarebbe troppo restrittivo esigere che si possa praticare un determinato sport tutelato

giuridicamente e socialmente riconosciuto solo in quanto le relative norme disciplinari siano

rispettate: il favor generale per lo sviluppo delle pratiche sportive deve essere inteso come

inclinazione riconosciuta verso il fenomeno sportivo nella sua globalità.

Fenomeno sportivo che comprende, come sottolineato dalla terza sezione della Suprema

Corte5 una buona dose “di audacia e spericolatezza” parametrata sul tipo di sport esercitato e sulle

abilità dei partecipanti. Per fenomeno sportivo nella sua globalità deve dunque intendersi anche lo

sport non regolamentare, o, come più comunemente si dice, “falloso”.

La violazione regolamentare, entro certi limiti (dettati dai sostenitori della tesi della

scriminante non codificata proprio dal c.d. spirito sportivo di cui la nozione di “rischio consentito” è

un sottoinsieme,) fa parte del gioco stesso: è del tutto normale che, al cospetto di un attaccante

lanciato a rete, il difensore gli faccia lo sgambetto allo scopo di evitare la realizzazione del goal.

Se l’intervento è commesso con l’energia a ciò necessaria senza la volontà diretta di ledere

l’avversario, appare corretto ritenerlo ricompreso nella scriminante in questione.

Nel caso di specie, infatti, il giudice di primo grado non si è limitato allo scrutinio della

conformità della condotta dell’istruttore alle regole di gioco: se avesse così proceduto, non

essendovi nessuna norma che prescriva la velocità massima della palla calciata per un tiro in porta

nel gioco del calcio, tale indagine si sarebbe risolta linearmente con la verifica della liceità della

condotta. Invece, anche in considerazione del contesto in cui ha trovato luogo l’azione perniciosa

(una seduta di allenamento e non una competizione “agonistica”) e dell’età dell’allenato, il giudice

de quo ha ritenuto opportuna e doverosa la verifica della congruità della condotta dell’istruttore con

“il senso vigile e prudente del rispetto dell’integrità fisica”.

Il riferimento alla pronuncia della Suprema Corte del 22.11.19616 che condannò un pugile

esperto per avere inferto colpi violenti all’avversario di caratura notevolmente inferiore durante una

seduta di allenamento, violando le istruzioni impartite dall’allenatore, è coerente. In ogni gesto

atletico si deve ravvisare quello “spirito sportivo” che esclude l’antigiuridicità della condotta nel

caso di lesioni e che prescinde dalla conformità dell’azione dalle regole del gioco.

Da ultimo, in tema di lesioni colpose provocate durante un allenamento si deve dare uno

sguardo alla sentenza della Corte di Cassazione 25 febbraio 2000 n. 2286, avente ad oggetto una

seduta di karate ma in grado di sancire un principio di diritto valevole per ogni sport.

5 Cass. 8 agosto 2002 n. 12012, in Foro it. 2003, I, 168.6 Cass. 22 novembre 1961 in Resp. Civ. e Prev 1962, 507.

NOTE A SENTENZA103

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La responsabilità per...

Con questa sentenza della Suprema Corte viene posto l’accento sulla differenza tra

l’esibizione-allenamento e la gara-competizione vera e propria e la conseguente diversità dei criteri

di controllo e di prudenza da adottare nelle due ipotesi.

Durante un allenamento, infatti, assume rilievo, da un lato, il divario tecnico tra gli atleti e,

dall’altro, la mancanza di mezzi di protezione normalmente necessari in una gara vera e propria;

sono queste le ragioni per cui è stata ritenuta opportuna l’adozione, da parte dell’atleta più esperto,

di tutta una serie di cautele e di prudenza che le finalità diverse dell’allenamento medesimo sono

tali da suggerire.

Si ritengono pertanto più stringenti, più restrittivi, in una parola, probabilmente, più adeguati,

i limiti alla violenza sportiva in allenamento rispetto a quelli che si imporrebbero nel corso di una

gara. In particolare, viene ribadito il seguente principio di diritto: “nel caso di attività sportiva

esplicatesi in esibizione-allenamento, i contendenti devono usare particolare prudenza e diligenza

per non travalicare i limiti connessi a siffatte modalità di pratica sportiva, caricata da una minore

carica agonistica, da un maggiore controllo delle manifestazioni di violenza agonistica e della

velocità dei colpi, con specifico riferimento alla capacità di esperienza dell’avversario ed ai mezzi

di protezione in concreto utilizzati”.

Si dice ancora che “ funzione tipica dell’allenamento-esibizione è essenzialmente, nella

disciplina del karate, il reciproco studio dei colpi e della tecnica sportiva, per un complessivo

miglioramento e coordinamento dei movimenti propri della disciplina stessa: per contro, la

competizione agonistica è caratterizzata dalla specifica volontà–finalità di dominare l’avversario,

utilizzando ogni movimento e colpo regolamentare idonei a renderlo inerte“.

Per quel che riguarda la responsabilità in caso di allenamento, si ritiene, in conclusione, che

la diligenza da tenersi durante lo stesso sia maggiore rispetto a quella che dovrebbe tenersi durante

una competizione sportiva, per la ragione secondo la quale nel primo assumono rilevanza aspetti

peculiari tra i quali: il possibile divario tecnico, fisico, di esperienza tra gli atleti, le direttive del

direttore tecnico o allenatore, la mancanza di mezzi di protezione normalmente utilizzati durante

una gara.

Nel caso di allenamento, in particolare, potrà configurarsi la responsabilità colposa dell’atleta

in tutte le circostanze in cui lo stesso commetta condotte imprudenti che non tengono conto del

bagaglio di esperienza dell’avversario in relazione del tipo di sport praticato.

NOTE A SENTENZA104

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La responsabilità per...

Molto correttamente, la sentenza del Tribunale di Padova che ha sollevato da ogni

responsabilità l’istruttore è stata pronunciata solo dopo che si fosse potuta escludere la violazione di

ogni ordine di cautela nel tiro del pallone.

Per la verità si può ben dire che, la tesi dell’attore, facente leva sulla supposta violenza del tiro

del “mister” in spregio alle più elementari regole cautelari non veniva suffragata da alcun elemento

probatorio dirimente: non essendo l’attore in grado di allegare fatti costitutivi del suo diritto al

risarcimento del danno, il giudice di merito non poteva che respingere la domanda in ottemperanza

al disposto dell’art. 2697 c.c..

In astratto, se l’attore fosse riuscito a raggiungere la prova dell’estrema violenza non solo del

tiro che determinava l’infortunio ma anche dei metodi troppo rudi tenuti durante tutta la sessione di

allenamento, in ragione delle circostanze di luogo e dell’età del giovane calciatore l’istruttore

avrebbe potuto essere ritenuto responsabile.

Ma, actore non probante, reus absolvitur.

(*) dottore in Giurisprudenza

NOTE A SENTENZA105

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La crisi del calcio…

REPUBBLICA ITALIANA

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DELLA SICILIA

SEZIONE STACCATA DI CATANIA- Sez. 4^

IL PRESIDENTE

ha pronunciato il seguente

DECRETO

sul ricorso n. 729/2007, proposto dal sig. PENNISI Michele + 81, rappresentati e difesi

dagli avv.ti prof. Vincenzo Vitale e Danila Grasso, elettivamente domiciliati presso lo studio del

primo, in Catania, via G. Leopardi, n. 7;

CONTRO

-il Comitato Olimpico Nazionale Italiano – C.O.N.I.;

-la Federazione Italiana Gioco Calcio;

-la Lega Nazionale Professionisti Serie A;

-il Giudice sportivo di primo grado, domiciliato per la carica presso la F.I.G.C.;

-la Commissione Disciplinare della F.I.G.C.;

-La Commissione di Appello Federale, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro

tempore;

E NEI CONFRONTI DELLA

-SOCIETA’ MESSINA Calcio s.r.l.,in persona del legale rappresentante pro tempore;

per l’annullamento,

previa sospensione dell’esecuzione, del provvedimento n. 67 del Giudice sportivo della

F.I.G.C., di cui al comunicato ufficiale n. 227 del 14 febbraio 2007, e di ogni atto presupposto,

derivato, conseguente e/o direttamente od indirettamente connesso ed, in particolare, dei

provvedimenti confermativi pronunciati dalla Commissione Disciplinare della F.I.G.C.(Federazione

Italiana Gioco Calcio) e dalla C.A.F. (Commissione Appello Federale) e, per quanto occorra, degli

artt. 9, 11 e 14 del vigente “codice di giustizia sportiva” della F.I.G.C.;

NOTE A SENTENZA106

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La crisi del calcio…

NONCHE’

per il rimborso ed il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale subito dai

ricorrenti;

Vista la contestuale domanda cautelare;

Vista l’ulteriore istanza del difensore, formulata contestualmente alla predetta domanda

cautelare, con la quale si chiede che il Presidente, prima della trattazione della domanda cautelare,

disponga, con decreto motivato (anche in assenza di contraddittorio), ai sensi dell’art. 21, 9°

comma, della legge 6.12.1971, n. 1034, introdotto dall’art. 3, 1° comma, della legge 21.7.2000, n.

205, misure cautelari provvisorie, in quanto sussisterebbe, in relazione alla fattispecie dedotta, lo

specifico requisito della estrema gravità ed urgenza, tale da non consentire neppure la dilazione

fino alla data della camera di consiglio”, prescritto da tale disposizione di legge;

Ritenuto che, ad una prima delibazione sommaria, i motivi dedotti a sostegno del ricorso si

appalesano assistiti da sufficiente “fumus boni juris”;

Considerato che non possono essere posti in dubbio l’interesse sostanziale e la legittimazione

ad agire dei ricorrenti, tutti dotati di “abbonamento” per assistere allo svolgimento delle partite

“casalinghe” della squadra di calcio del Catania, relativamente al campionato di Serie A, anno

2006/2007, per cui tale interesse sostanziale si appalesa come personale, diretto e concreto;

Considerato che, per quanto concerne la competenza territoriale, non si applica -per il caso di

specie- il disposto di cui al D.L. 19.8.2003, n. 220, convertito nella legge 7.10.2003, n. 280 che,

all’art. 3, comma 2, devolve la competenza di primo grado, in via esclusiva, anche per l’emanazione

di misure cautelari, al T.A.R. del Lazio, con sede in Roma, atteso che tale competenza esclusiva

appare dettata unicamente per i soggetti interni al mondo sportivo, nei cui confronti si pone la

necessità della previa formazione della c.d. “pregiudiziale sportiva”, ossia l’esaurimento dei gradi

della Giustizia Sportiva come condizione d’ammissibilità della successione azione avanti al Giudice

Amministrativo, nell’ottica di garantire la omogeneità del complessivo sistema;

Ritenuto che appaiono, sempre ad un primo esame, fondati:

a)il motivo di gravame con il quale si deduce la violazione dell’art. 1, comma 1, in relazione

all’art. 10, comma 1, del codice di giustizia sportiva, atteso che i tragici fatti del 2 febbraio 2007,

nonostante si siano svolti in un momento successivo allo svolgimento della gara Catania-Palermo e,

soprattutto, all’esterno dell’impianto sportivo, hanno dato luogo sostanzialmente ad una sorta di

responsabilità automatica per la società calcistica etnea (ipotesi prevista soltanto per l’ipotesi in cui

NOTE A SENTENZA107

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i disordini si verifichino all’interno dell’impianto), con conseguente violazione del succitato art. 10

il quale, in relazione ad eventuali incidenti ricadenti al di fuori dell’impianto, impone che la relativa

responsabilità venga pronunciata quantomeno attraverso la prova che la società interessata abbia

contribuito al loro accadimento “con interventi finanziari o con altre utilità, alla costituzione ed al

mantenimento di gruppi, organizzati e non, di propri sostenitori”;

b)il secondo, collegato motivo di censura, con il quale si deduce la violazione dell’art. 11,

comma 1°, ultimo inciso, che così recita: “la responsabilità è esclusa quando il fatto è commesso

per motivi estranei alla gara”, atteso che i gravi incidenti in questione non appaiono conseguenti ad

alcun episodio relativo allo svolgimento della gara (di solito, l’aggressione alle Forze dell’ordine

rappresenta l’estensione di una protesta indirizzata, in primo luogo ai protagonisti dell’evento

calcistico; soprattutto, il direttore di gara);

c)il terzo motivo di censura, con i quali si deduce che i provvedimenti sanzionatori impugnati

omettono completamente di valutare l’effettiva collaborazione prestata dalla Società Catania Calcio

nell’identificazione dei tragici episodi, come imposto, invece, dall’art. 11, comma 6, del più volte

menzionato codice di giustizia sportiva;

d)il quarto motivo, con cui si sottolinea la carenza e la contraddittorietà della motivazione,

atteso che, mentre da un lato si riconosce l’estraneità dei tragici fatti alle vicende di gioco, subito

dopo si ritiene inequivoca la responsabilità della Società;

e)i vari motivi di gravame con i quali si sottolinea l’evidente contrasto tra i provvedimenti

impugnati e gli inderogabili principi dell’ordinamento, consacrati in apposite norme di rango

costituzionale (art. 2 e 27, comma 1, della Costituzione) o di legge ordinaria (artt. 1 e 134, ultimo

comma, T.U.L.P.S. ), palesandosi, in particolare, il principio della responsabilità oggettiva, specie

alla luce della rigida applicazione che ne viene praticata, come contrario ai principi

dell’ordinamento giuridico vigente.

Visto il recentissimo orientamento in sede comunitaria: il Tribunale Amministrativo di Parigi,

adito dalla locale squadra di calcio del Paris Saint Germain, con decisione del 16 marzo 2007, ha

annullato la sanzione della squalifica del campo di gioco, comminata alla squadra medesima da tutti

gli Organi di giustizia sportiva della Federazione francese, statuendo che “la responsabilità

oggettiva di cui all’art. 129, c.1 del regolamento federale francese viola il principio costituzionale

della personalità della pena”.

NOTE A SENTENZA108

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Ritenuto, altresì, che, sempre ad un primo esame, si configura, nella specie, il predetto

specifico requisito del danno e della correlata o conseguente urgenza della tutela cautelare

monocratica, prescritto dal menzionato art. 21, 9° comma, della legge n. 1034/1971, introdotto

dall’art. 3, 1° comma, della legge n. 205/2000, tenuto conto del danno patrimoniale, consistente

nell’impossibilità, per i ricorrenti, di continuare ad utilizzare l’abbonamento alle partite

“casalinghe” del campionato, in relazione a tutti gli incontri (ben otto), ancora da disputarsi dopo il

2 febbraio 2007, e tenuto conto, altresì, del danno non patrimoniale, nel duplice aspetto del danno

esistenziale (categoria ampia, comprensiva di ogni ipotesi di ingiusta lesione di un valore inerente

alla persona umana, costituzionalmente protetto, dalla quale conseguano pregiudizi non suscettibili

di valutazione economica), e del danno all’immagine, all’onore ed al decoro.

P.Q.M.

1) ACCOGLIE la suindicata domanda di misure cautelari provvisorie, così come previsto

espressamente dal menzionato art. 21, 9° comma, della legge n. 1034/1971, introdotto dal

menzionato art. 3, 1° comma, della legge n. 205/2000, e , per l’effetto, sospende, con effetto

immediato, tutti gli atti impugnati.

La sospensione dei provvedimenti medesimi ha efficacia erga omnes, configurandosi i

predetti come atti generali, la cui applicazione, o non applicazione, ha carattere collettivo e non

scindibile.

Pertanto, la sospensione che viene disposta con il presente decreto si applica non soltanto agli

82 abbonati, che hanno proposto il ricorso in oggetto, ma a tutti gli abbonati e a chiunque voglia

assistere alle prossime partite.

Pertanto, viene ordinato a tutte le Autorità di pubblica sicurezza, a tutti gli Enti pubblici ed ai

soggetti privati addetti all’organizzazione delle partite di calcio di Serie A, ciascuno per quanto di

rispettiva competenza, di consentire a quanti ne facciano regolare richiesta, l’accesso agli impianti

sportivi su tutto il territorio nazionale ove si svolgeranno le partite casalinghe del Catania Calcio,

già a far data del 7 aprile prossimo venturo.

Ovviamente, tutti i soggetti menzionati sono tenuti ad attenersi scrupolosamente a tutte le

disposizioni, vecchie e nuove, introdotte per un’efficace tutela dell’ordine pubblico.

NOTE A SENTENZA109

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2) FISSA la camera di consiglio del 13 aprile 2007, attesa l’urgenza, a mente del 3° comma

dell’art. 36 del R.D. 17 agosto 1907, n. 642, per la sottoposizione del presente decreto presidenziale

cautelare al Collegio;

3) DISPONE che la notifica del presente decreto alle Amministrazioni intimate venga

effettuata dai ricorrenti anche soltanto a mezzo telefax, come espressamente previsto dall’arte 12

della predetta legge n. 205/2000 e, genericamente, dall’art. 151 del c.p.c.;

4)ORDINA che il presente decreto venga immediatamente eseguito dalle Amministrazioni

intimate.

Il presente decreto viene depositato presso la Segreteria della Sezione, che provvederà a darne

immediata comunicazione alle parti.

Catania, 4 aprile 2007.

NOTE A SENTENZA110

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REPUBBLICA ITALIANA

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

PER IL LAZIO

ROMA

SEZIONE TERZA TERnelle persone dei Signori:

FRANCESCO CORSARO Presidente

MARIA LUISA DE LEONI Cons.

GIULIA FERRARI Cons. , relatore

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nella Camera di Consiglio del 12 Aprile 2007

Visto il ricorso 3021/2007 proposto da:PENNISI MICHELE ED ALTRI , ABATE AGATINO, AIELLO ALBERTO,AIELLO GIOVANNI

FRANCESCO,ALBINI PAOLO,ARENA BARBARA,BELLIA LORIANA ALESSIA,BELLIA SALVATORE

,BERTOLO ANTONIO PASQUALE ,BERTOLO ROSARIO VINCENZO ,BONACCORSO STEFANO ,BONICA

SALVATORE,CALVINO ANGELA RITA,CALVINO DUILIO CARUSO MASSIMILIANO,CARUSO PAOLO

GIUSEPPE,CASELLA ALFIO ,CERNUTO PASQUALINO,COCILOVO GAETANO,COCO GABRIELE

FRANCESCO,COSTANZO AGATINO COSTANZO, MICHELE ROSARIO MARIA,D'ARRIGO GIACOMO

CARLO,D'ARRIGO PAOLO,D'ARRIGO PIETRO VITTORIO,DI BERNARDO ANDREA,DI EMANUELE

FIANCARMELO FABIO,FALCO ALFIO,FIAMMINGO STEFANO,FORMICA SALVATORE,GEMMA

STEFANO,GENOVESE PAOLO,PINO GIOVANNI ,GENOVESE PIER PAOLO ,GIUFFRIDA

GIUSEPPE,GIUFFRIDA MASSIMO,GRASSO NATALE,GRECO GIUSEPPE SALVATORE,GRECO LUCA

,GRECO SALVATORE,VITALE VINCENZO, CLAUDIO GIUSEPPE, VARONCELLI GIUSEPPE, URSINO

COSIMO , TORRISI GABRIELE, TOMASELLI SALVATORE ,TESTA GIUSEPPE, SANTONOCITO ALBERTO,

SALINA ANTONIO, SAITTA SIMONE, SAITTA SEBASTIANO PAOLO, SAITTA GIOVANNI, SABELLA

FRANCESCO, RESTUCCIA PLACIDO, RECUPERO GIUSEPPE, PISTORIO MAURIZIO, GUELI FRANCESCO

PAOLO MARIA, GUELI GIUSEPPE ,GUGLIELMINO VINCENZO, GULINO LUIGI AGATINO, INGRASCIOTTA

ANGELO, IRACI FUINTINO PAOLO, LAVALLE MARIA CONCETTA, LAVORE FRANCESCO, LITRICO

CARMELA, LIZZIO ALESSANDRO, LIZZIO LUIGI, LO PINTO SERGIO, MALERBA ANTONIO, MANCINI

GAETANO, MARINO DAVIDE, LUIGI MARIA, MAZZOTTA FORTUNATO VALERIO, MAZZOTTA GIOVANNI

,MESSINA SEBASTANO, MILAZZO ROSARIO, NAPOLI ANTONELLA, NAPOLI FRANCESCO, NAPOLI

MARIA, NAPOLI STEFANIA, PAPPA GIUSEPPE DAMIANO, PAPPALARDO GIANPIERO, PAPPALARDO

SALVATORE PIER PAOLO, PECORA DANIELE

NOTE A SENTENZA111

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La crisi del calcio…

rappresentati e difesi da:

VITALE AVV. VINCENZO, GRASSO AVV. DANILA

con domicilio eletto in CATANIA

VIA GIACOMO LEOPARDI 7,presso VITALE AVV. VINCENZO

CONTRO

CONI

rappresentato e difeso da:

ANGELETTI AVV. ALBERTO

con domicilio eletto in ROMA

VIA G PISANELLI, 2

presso la sua sede

FEDERAZIONE ITALIANA GIUOCO CALCIO - FIGC

rappresentato e difeso da:

MAZZARELLI AVV. LETIZIA

GALLAVOTTI AVV. MARIO

MEDUGNO AVV. LUIGI

con domicilio eletto in ROMA

VIA PANAMA, 58

presso

MEDUGNO AVV. LUIGI

LEGA NAZIONALE PROFESSIONISTI SERIA A

rappresentato e difeso da:

STINCARDINI AVV. RUGGERO

con domicilio eletto in ROMA

VIA VARRONE, 9

presso VANNICELLI AVV. FRANCESCO

NOTE A SENTENZA112

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La crisi del calcio…

E NEI CONFRONTI DI

SOC MESSINA CALCIOper l'annullamento, previa sospensione dell'esecuzione,

del provvedimento n. 67 del giudice sportivo della FIGC di cui al comunicato ufficiale n. 227

del 14 febbraio 2007; nonchè di ogni altro atto indicato nell’epigrafe del ricorso.

Visti gli atti e i documenti depositati con il ricorso;

Vista la domanda di sospensione della esecuzione del provvedimento impugnato, presentata in

via incidentale dal ricorrente;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di:

CONI

FEDERAZIONE ITALIANA GIUOCO CALCIO - FIGC

LEGA NAZIONALE PROFESSIONISTI SERIA A

Visto l’atto di riproposizione in riassunzione del ricorso, depositato dalla FIGC il 7 aprile

2007;

Udito il relatore Cons. GIULIA FERRARI e uditi altresì per le parti gli avvocati come da

verbale di udienza.

Visti gli artt. 19 e 21, u.c., della Legge 6 dicembre 1971, n. 1034, e l'art. 36 del R.D. 17

agosto 1907, n. 642;

Visto l’atto di riproposizione in riassunzione, depositato dalla F.I.G.C. il 7 aprile 2007 ed

avente ad oggetto il ricorso (n. 729/07) proposto da soggetti titolari del diritto ad assistere, in qualità

di abbonati, alle partite casalinghe del Catania Calcio s.p.a. avverso il provvedimento del giudice

sportivo della F.I.G.C., di cui al comunicato ufficiale n. 227 del 14 febbraio 2007, e di quelli

successivi della Commissione disciplinare della F.I.G.C. e della C.A.F. confermativi del primo, con

i quali è stata disposta la squalifica dello stadio Massimino di Catania sino al 30 giugno 2007 e

l’obbligo per la squadra di giocare a porte chiuse, e quindi senza la presenza del pubblico, le gare

casalinghe disputate in campo neutro;

Considerato che il predetto ricorso è stato proposto dinanzi alla IV Sezione del Tar Catania

che, con decreto presidenziale (n. 401/07), dopo aver espressamente e motivatamente affermato la

propria competenza territoriale e la legittimazione ad agire dei ricorrenti, ha ritenuto sussistente il

fumus ed il periculum in mora ed ha quindi disposto la sospensione cautelare - con efficacia erga

omnes - dei provvedimenti impugnati, fissando la camera di consiglio per la trattazione collegiale

dell’istanza cautelare per il giorno 13 aprile 2007;

NOTE A SENTENZA113

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Ritenuta applicabile nella controversia de qua il D.L. 19 agosto 2003 n. 220, convertito con

modificazioni dall’art. 1 L. 17 ottobre 2003 n. 280, a nulla rilevando che i ricorrenti non siano

soggetti interni al mondo sportivo, essendo fattore a ciò determinante l’impugnazione di una

sanzione disciplinare inflitta da un Organo della F.I.G.C.;

Ritenuto ammissibile il predetto atto di riproposizione in riassunzione del ricorso proposto

dai sig.ri Michele Pennisi ed altri e visti i motivi nello stesso dedotti in ordine alla competenza del

Tar Catania motivatamente affermata nel decreto presidenziale n. 401 del 2007 del predetto Tar

Catania;

Considerato che il processo amministrativo in materia di giustizia sportiva trova infatti

specifica disciplina nel D.L. n. 220 del 2003, che detta disposizioni ad hoc in considerazione della

peculiarità di detta materia, del suo eco sociale, della sua frequente rilevanza a livello di ordine

pubblico e della necessità di provvedere all'adozione di misure idonee a razionalizzare i rapporti tra

l'ordinamento sportivo e l'ordinamento giuridico dello Stato;

Visto l’art. 3, quarto comma, del cit. D.L. n. 220 del 2003, che introduce in questo giudizio -

sia pure espressamente per la fase transitoria - l’istituto della riassunzione del ricorso proposto

dinanzi ad un Tar diverso da quello del Lazio con sede di Roma, individuato dal secondo comma

dello stesso art. 3 come l’organo giudicante di primo grado con competenza funzionale, esclusiva

ed inderogabile nella materia de qua;

Considerato che detta riassunzione può essere proposta da qualsiasi “parte interessata” del

rapporto processuale e, quindi, anche dall’Amministrazione resistente (nella specie, la F.I.G.C.)

notificataria del ricorso proposto dai sigg.ri Pennisi ed altri e che nelle more della decisione assunta

dal Tar competente ogni misura cautelare adottata da altro giudice resta sospesa sino alla sua

conferma, modifica o revoca per effetto della decisione assunta dal solo giudice competente in

primo grado;

Considerato che l’applicazione dell’istituto della riassunzione al contenzioso ora all’esame

del Collegio non può essere messa in dubbio in ragione della natura transitoria della norma, atteso

che la stessa - pur essendo espressamente dettata per disciplinare le sorti dei provvedimenti cautelari

adottati, prima dell’entrata in vigore della novella del 2003, dai giudici divenuti poi incompetenti - è

espressione di un principio di carattere generale teso ad accentrare inderogabilmente le questioni

relative alla materia sportiva dinanzi ad uno stesso giudice (in primo grado, appunto, il Tar del

Lazio con sede in Roma) e deve quindi ragionevolmente intendersi estesa a tutte le ipotesi in cui un

ricorso in materia sportiva sia stato erroneamente proposto dinanzi a giudice incompetente;

NOTE A SENTENZA114

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La crisi del calcio…

Ritenuto pertanto che l’art. 3, quarto comma, D.L. n. 220 del 2003 deve ritenersi applicabile

non solo dopo l’entrata in vigore della nuova disciplina in materia di giustizia sportiva ma tutte le

volte in cui il ricorso in suddetta materia sia stato erroneamente proposto dinanzi a giudice di primo

grado diverso da quello individuato a regime dal secondo comma dello stesso art. 3, id est il Tar

Lazio con sede in Roma;

Ritenuto altresì che il ricorso - proposto da soggetti che, in quanto abbonati, hanno titolo ad

assistere alle partite casalinghe del Catania avverso la sanzione disciplinare della squalifica dello

stadio Massimino di Catania sino al 30 giugno 2007 e dell’obbligo di giocare in campo neutro e a

porte chiuse le gare casalinghe - rientra nella competenza funzionale del Tar Lazio con sede in

Roma ex art. 3, secondo comma, D.L. n. 220 del 2003 – espressamente e motivatamente esclusa nel

decreto presidenziale n. 401 del 2007 della IV Sez. del Tar Catania -, atteso che ciò che rileva, al

fine di radicare la competenza funzionale dinanzi a questo Tribunale, è la provenienza dell’atto

impugnato dal C.O.N.I. o dalle Federazioni sportive;

Ritenuto pertanto inconferente che i ricorrenti non siano soggetti interni al mondo sportivo,

essendo fattore determinante all’applicazione del secondo comma dell’art. 3 cit. la circostanza che

oggetto del gravame sia una sanzione disciplinare inflitta da un organo della F.I.G.C.;

Ritenuto di dover disattendere l’eccezione di difetto di giurisdizione di questo giudice,

sollevata dalle parti resistenti sul rilievo che i provvedimenti impugnati costituirebbero esercizio

dell’autodichia disciplinare della Federazioni e riguarderebbero materia riservata all’autonomia

dell’ordinamento sportivo ex art. 1 D.L. n. 220 del 2003;

Considerato infatti che, ancorché l’art. 2, lett. b, D.L. n. 220 del 2003, in applicazione del

principio di autonomia dell’ordinamento sportivo da quello statale, riservi al primo la disciplina

delle questioni aventi ad oggetto “i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione

ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive”, tuttavia detto principio, letto

unitamente all’art. 1, secondo comma, dello stesso decreto legge, non appare operante nel caso in

cui la sanzione non esaurisce la sua incidenza nell’ambito strettamente sportivo, ma rifluisce

nell’ordinamento generale dello Stato (T.A.R. Lazio, III Sez., 22 agosto 2006 n. 4666 (ord.); 18

aprile 2005 n. 2801 e 14 dicembre 2005 n. 13616);

Ritenuto che una diversa interpretazione del cit. art. 2 D.L. n. 220 del 2003 condurrebbe a

dubitare della sua conformità a principi costituzionali, perché sottrarrebbe le sanzioni sportive alla

tutela giurisdizionale del giudice statale;

NOTE A SENTENZA115

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La crisi del calcio…

Considerato comunque che costituisce principio ricorrente nella giurisprudenza del giudice

delle leggi che, dinanzi ad un dubbio interpretativo di una norma o ad un’aporia del sistema, prima

di dubitare della legittimità costituzionale dello norma stessa occorre verificare la possibilità di

darne un’interpretazione secondo Costituzione (Corte cost. 22 ottobre 1996 n. 356);

Ritenuto che nella vicenda in esame è impugnata la sanzione disciplinare della squalifica del

campo di calcio e l’obbligo di giocare in campo neutro e a porte chiuse, e quindi senza la presenza

del pubblico, le gare casalinghe, sanzione che comporta una indubbia perdita economica per la soc.

Catania Calcio in termini di mancata vendita di biglietti ed esposizione a possibili azioni da parte

dei titolari di abbonamenti;

Ritenuto pertanto che detta sanzione, per la sua natura, assume rilevanza anche al di fuori

dell’ordinamento sportivo ed è quindi impugnabile dinanzi a questo giudice;

Ritenuto che, ai fini della correttezza di questa conclusione, non rileva la circostanza che a

proporre il ricorso siano stati alcuni abbonati e non il Calcio Catania s.p.a., atteso che per accertare

la giurisdizione di questo giudice (e, come già detto, la sua competenza funzionale) occorre fare

riferimento all’atto impugnato, all’Autorità che lo ha adottato e non al soggetto che instaura il

giudizio;

Ritenuto di dover disattendere anche l’eccezione di difetto di legittimazione attiva dei

ricorrenti, sollevata sempre dalle parti resistenti, essendo indubbia la posizione qualificata che gli

stessi, in quanto titolari di abbonamenti per seguire le partite di calcio giocate nello stadio dalla soc.

Catania, rivestono nell’ordinamento;

Considerato infatti che, a fronte di una lesione, di carattere patrimoniale e non, che i

ricorrenti affermano di subire dal provvedimento impugnato non può dubitarsi della loro

legittimazione ad adire questo giudice per la tutela non tanto del diritto di natura patrimoniale, che

nasce dalla stipula del contratto di abbonamento, quanto sicuramente dell’interesse a vedere le

partite casalinghe di calcio della soc. Catania allo stadio, atteso che, diversamente opinando e

premessa la giurisdizione di questo giudice, una tale situazioni giuridica soggettiva non potrebbe

trovare altra forma di tutela;

Ritenuto a tal proposito inconferente il richiamo, effettuato dalla F.I.G.C. ai precedenti di

questo stessa Sezione (1 settembre 2006 n. 7909, ecc.), che attengono alla diversa ipotesi in cui i

ricorrenti erano soci di società sportive, ai quali era stata negata la legittimazione attiva sul rilievo -

non estensibile alla fattispecie in esame - che la società commerciale, quale persona giuridica,

NOTE A SENTENZA116

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La crisi del calcio…

assomma in sé e compone tutti gli interessi dei soggetti partecipanti, secondo le norme della

organizzazione interna disposta con il contratto sociale e lo statuto, nei limiti dell’oggetto e dello

scopo sociale, con la conseguenza che tali interessi sono unitariamente individuati dagli organi

aventi legittimazione ad esprimerli;

Ritenuto, sotto il profilo del fumus boni juris, che non sussistono i presupposti per

l’accoglimento dell’istanza cautelare proposta dagli abbonati innanzi indicati atteso, tra l’altro, che:

a) non risponde al vero, in punto di fatto, che gli eventi criminosi scatenatisi durante e dopo la

partita di calcio Catania - Palermo siano occorsi solo all’esterno dello stadio, come risulta dalla

relazione della Procura della Repubblica di Catania;

b) non possono scindersi i fatti delittuosi verificatisi all’interno e all’esterno dello stadio,

costituendo ciascuno un tassello dello stesso episodio criminoso di guerriglia urbana;

c) non è determinante la circostanza che gli atti di violenza non siano stati occasionati da uno

specifico episodio verificatosi in campo, atteso che ciò rileva ai fini sanzionatori è che l’evento

sportivo sia stato occasione e causa dei predetti fatti di guerriglia.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio – Sezione Terza Ter

Accoglie l’istanza di riassunzione proposta dalla F.I.G.C. e per l’effetto revoca, ex art. 3,

quarto comma, D.L. 19 agosto 2003 n. 220, il decreto adottato dal Presidente della IV Sezione del

Tar Catania n. 401 del 4 aprile 2007; respinge l’istanza cautelare proposta dai sig.ri Michele Pennisi

ed altri.

Manda alla Segreteria della Sez. IV del Tar Catania di trasmettere alla Sez. Terza Ter del Tar

Lazio il fascicolo di causa.

La presente ordinanza sarà eseguita dalla Amministrazione ed è depositata presso la

Segreteria del Tribunale che provvederà a darne comunicazione alle parti.

ROMA , li 12 Aprile 2007

NOTE A SENTENZA117

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La crisi del calcio…

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia - Sezione staccata di Catania - Sezione

Quarta, composto dai Signori Magistrati:

Dott. Biagio CAMPANELLA Presidente rel. est.

Dott. Francesco BRUGALETTA Consigliere

Dott. Dauno TREBASTONI Referendario

ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A

sul ricorso n. 729/2007, proposto dal sig. PENNISI Michele + 81,

rappresentati e difesi dagli avv.ti prof. Vincenzo Vitale e Danila Grasso,

elettivamente domiciliati presso lo studio del primo, in Catania, via G.

Leopardi, n. 7;

CONTRO

-il Comitato Olimpico Nazionale Italiano – C.O.N.I., in persona del legale rappresentante pro

tempore, non costituito in giudizio;

-la Federazione Italiana Giuoco Calcio, in persona del legale rappresentante pro tempore,

costituita in giudizio, rappresentata e difesa dagli avv.ti Luigi Medugno e Letizia Mazzarelli,

elettivamente domiciliata in Catania, via Ventimiglia, n. 145, presso lo studio dell’avv. Giuseppe

Tamburello;

-la Lega Nazionale Professionisti Serie A, in persona del legale rappresentante pro tempore,

costituita in giudizio, rappresentata e difesa dall’avv. Ruggero Stincardini, elettivamente domiciliata

in Catania, via Monsignor Ventimiglia, n. 145, presso lo studio dell’avv. Giuseppe Tamburello;

-il Giudice sportivo di primo grado, domiciliato per la carica presso la F.I.G.C., non costituito

in giudizio;

NOTE A SENTENZA118

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-la Commissione Disciplinare della F.I.G.C.,in persona del legale rappresentante, non

costituita in giudizio;

-La Commissione di Appello Federale, in persona del legale rappresentante pro tempore, non

costituita in giudizio;

e nei confronti della

-SOCIETA’ MESSINA Calcio s.r.l.,in persona del legale rappresentante pro tempore;

con l’intervento ad adjuvandum:

-di ARENA Grazia, ARENA Raimonda, GRASSO Rosina, DI MAURO Rosa ed ANASTASI

Nunziata, rappresentate e difese dagli avv.ti prof. Vincenzo Vitale e Danila Grasso, elettivamente

domiciliate presso lo studio del primo, in Catania, via G. Leopardi, n. 7;

-della PROVINCIA REGIONALE di CATANIA, in persona del Presidente pro tempore,

rappresentata e difesa dagli avv.ti Nicolò D’Alessandro e Francesco Mineo, elettivamente

domiciliata presso l’Avvocatura dell’Ente, in Catania, via Centuripe, n. 8;

-del COMUNE di CATANIA, in persona del Sindaco pro tempore, costituito in giudizio,

rappresentato e difeso dal prof. avv. Vincenzo Vitale, presso il cui studio è elettivamente

domiciliato, in Catania, via G. Leopardi, n. 7;

-della CONFEDERAZIONE NAZIONALE NUOVI CONSUMATORI EUROPEI, in

persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Giuseppe Gitto,

presso il cui studio è elettivamente domiciliata, in Catania, viale XX settembre, n. 28;

PER L’ANNULLAMENTO

previa sospensione dell’esecuzione, del provvedimento n. 67 del Giudice sportivo della

F.I.G.C., di cui al comunicato ufficiale n. 227 del 14 febbraio 2007, e di ogni atto presupposto,

derivato, conseguente e/o direttamente od indirettamente connesso ed, in particolare, dei

provvedimenti confermativi pronunciati dalla Commissione Disciplinare della F.I.G.C.(Federazione

Italiana Gioco Calcio) e dalla C.A.F. (Commissione Appello Federale) e, per quanto occorra, degli

artt. 9, 11 e 14 del vigente “codice di giustizia sportiva” della F.I.G.C.;

NOTE A SENTENZA119

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La crisi del calcio…

NONCHE’

per il rimborso ed il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale subito dai

ricorrenti;

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti intimate;

Visti gli atti tutti della causa;

Designato relatore per la Camera di consiglio del 13 aprile 2007 il Presidente Dott. Biagio

Campanella; uditi gli avvocati delle parti, come da relativo verbale, anche ai sensi dell’art. 3 della

legge 21 luglio 2000, n. 205, per la definizione del giudizio nel merito a norma del successivo art.

26 della legge innanzi citata.

1) Come appena accennato, ritiene, innanzitutto, il Collegio di potere definire nel merito la

controversia in esame procedendo all’emanazione di sentenza in forma semplificata così come

previsto dal combinato disposto dell’art. 21, 10° comma, della legge 6.12.1971, n. 1034 (introdotto

dall’art. 3, 1° comma, della legge 21.7.2000, n. 205), e dell’art. 26, 4° e 5° comma, della stessa

legge n. 1034/1971 (introdotti dall’art. 9, 1° comma, della predetta legge n. 205/2000).

In base alle predette norme processuali, infatti, “in sede di decisione della domanda cautelare,

il tribunale amministrativo regionale, accertata la completezza del contraddittorio e dell’istruttoria

ed ove ne ricorrano i presupposti, sentite sul punto le parti costituite, può definire il giudizio nel

merito a norma dell’art. 26” (art. 21, 10° comma, legge T.A.R., aggiunto dall’art. 3, 1° comma,

legge n. 205/2000) in tutti i casi in cui ravvisi “la manifesta fondatezza ovvero la manifesta

irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza del ricorso” (art. 26, 4° comma, legge

T.A.R., aggiunto dall’art. 3, 1° comma, legge n. 205/2000), e ciò, appunto, “nella camera di

consiglio fissata per l’esame dell’istanza cautelare” (art. 26, 5° comma, legge T.A.R., aggiunto con

la ripetuta “novella” della legge 205 del 2000), al fine di rendere possibile quella c.d. “osmosi” fra

la fase cautelare e la fase di merito del processo amministrativo che può consentire di realizzare, in

molte controversie, l’obiettivo della “ragionevole durata del processo codificato dall’art. 111, 2°

comma, della Costituzione.

Per effetto di tale “osmosi”, inoltre, resta ovviamente superata la necessità, per il Collegio, di

procedere “nella prima camera di consiglio utile” (art. 21, 7° comma, legge T.A.R.) all’esame della

domanda cautelare ai fini della conferma, modifica o revoca degli effetti del decreto cautelare

presidenziale, in quanto viene meno ontologicamente, a seguito della sentenza definitiva, ogni

NOTE A SENTENZA120

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La crisi del calcio…

esigenza cautelare per mancanza del presupposto essenziale del “periculum in mora” in attesa della

definizione della controversia nel merito.

2) Ciò premesso, vanno preliminarmente esaminate le eccezioni di rito sollevate dalle parti

resistenti.

3) Nell’ordine logico-giuridico, precede ovviamente l’esame dell’eccezione di difetto assoluto

di giurisdizione sollevata, in sintesi, sul rilievo che i provvedimenti impugnati costituirebbero

esercizio dell’autodichia disciplinare delle Federazioni sportive e riguarderebbero materia riservata

all’autonomia dell’ordinamento sportivo a norma dell’art. 1 del D.L. n. 220/2003 convertito, con

modificazioni, nella legge n. 280/2003.

Tale eccezione è palesemente infondata.

Innanzi tutto, come affermato, con motivazioni condivisibili, dalla stessa ordinanza n. 1664

del 12.4.2007 del T.A.R. Lazio-Roma-Sezione terza ter (con la quale, previo accoglimento

dell’istanza di riassunzione della F.I.G.C., è stato revocato il D.P. cautelare n. 401/2007 del

Presidente di questa IV^ Sezione ed è stata altresì respinta l’istanza cautelare dei ricorrenti),

“ancorché l’art. 2, lett. b, D.L. n. 220 del 2003, in applicazione del principio di autonomia

dell’ordinamento sportivo da quello statale, riservi al primo la disciplina delle questioni aventi ad

oggetto “i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione ed applicazione delle

relative sanzioni disciplinari sportive”, tuttavia detto principio, letto unitamente all’art. 1, secondo

comma, dello stesso decreto legge, non appare operante nel caso in cui la sanzione non esaurisce la

sua incidenza nell’ambito strettamente sportivo, ma rifluisce nell’ordinamento generale dello Stato

(T.A.R. Lazio-3^ Sezione, 22 agosto 2006, n. 4666 (ord.); 18 aprile 2005 n. 2801 e 14 dicembre

2005 n. 13616)”.

Inoltre –prosegue la predetta ordinanza del T.A.R. Lazio- “una diversa interpretazione del

citato art. 2 D.L. n. 220 del 2003 condurrebbe a dubitare della sua conformità a principi

costituzionali, perché sottrarrebbe le sanzioni sportive alla tutela giurisdizionale del giudice statale”.

La stessa ordinanza conclude, sul punto, rilevando che, nella vicenda in esame, è impugnata la

sanzione disciplinare della squalifica del campo di calcio, con l’obbligo di giocare in campo neutro

e a porte chiuse, e quindi senza la presenza del pubblico le gare casalinghe; sanzione che comporta

una indubbia perdita economica per la società Catania calcio in termini di mancata vendita di

biglietti ed esposizione a possibili azioni giudiziarie da parte dei titolari di abbonamenti.

Per sua natura, quindi, tale sanzione assume indubbia rilevanza anche al di fuori

dell’ordinamento sportivo, ed è quindi impugnabile dinanzi al Giudice amministrativo.

NOTE A SENTENZA121

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La crisi del calcio…

Ma, ciò posto in termini generali, il Collegio non può sottrarsi all’obbligo di delineare con

maggior precisione quale sia la posizione giuridica soggettiva azionata col ricorso in esame, e ciò al

fine precipuo di eliminare in radice ogni dubbio residuo in ordine alla possibilità giuridica di

configurare, in materia, il difetto assoluto di giurisdizione.

In proposito, deve ritenersi che, come precisato dai difensori dei ricorrenti nella memoria

depositata nel corso dell’udienza camerale, l’azione proposta col ricorso in esame tende

congiuntamente alla rimozione della lesione, asseritamene subita per fatto e colpa del terzo (la

F.I.G.C.), del diritto di credito (c.d. tutela aquiliana del credito) vantato dagli abbonati nei confronti

della società sportiva Catania calcio s.p.a., nonché alla tutela dei connessi o correlati diritti

personalissimi ed inviolabili (art. 2 della Costituzione) all’immagine, all’onore ed al decoro degli

stessi abbonati, attraverso l’emanazione di pronunce (prima cautelari e, poi, di merito) idonee anche

alla “reintegrazione in forma specifica” dei diritti lesi (così come previsto, nell’ambito della

giurisdizione elusiva, dall’art. 35, 1° comma, del decreto legislativo n. 80/1998, nel testo sostituito

dall’art. 7, 1° comma, lettera c, della ripetuta legge n. 205/2000, nonché, per quanto concerne anche

la giurisdizione generale di legittimità, dall’art. 7, 3° comma, della legge TAR, nel testo sostituito

dall’art. 7, 4° comma, della stessa legge n. 205/2000, oltre che, con estensione analogica in

entrambi tali ambiti, dall’art. 2058 del codice civile).

Da diversi anni la giurisprudenza riconosce la c.d. tutela aquiliana del credito.

Originariamente, la tutela accordata dall’ordinamento giuridico per reagire contro il danno

derivante da fatto illecito ex art. 2043 c.c. era circoscritta ai diritti reali ed ai diritti personali

(libertà, onorabilità, etc.); in un secondo momento, la giurisprudenza, sia di merito che di

legittimità, ha esteso tale tutela ai c.d. diritti relativi, ossia valevoli o esercitabili soltanto nei

confronti di pertinenza di soggetti determinati o determinabili, quali il diritto di credito.

Per quanto concerne, in particolare, tali diritti di credito, aventi ad oggetto prestazioni

personali ed infungibili, è stata riconosciuta la legittimazione del creditore danneggiato a rivolgersi

direttamente al terzo autore del fatto illecito, che ha reso impossibile la prestazione, e non al

debitore impossibilitato ad adempiere a causa, appunto, di tale fatto illecito.

Comunque, per quanto riguarda i ricorrenti, il credito, che trova il suo momento genetico nel

rapporto contrattuale intercorrente con la società in esito

alla stipula del contratto di abbonamento, non è rappresentato soltanto dal diritto di assistere

alle gare casalinghe, ma anche da tutto quell’insieme di condizioni psicologiche, sociali, ambientali

e ludiche la cui violazione costituisce danno morale ed esistenziale.

NOTE A SENTENZA122

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La crisi del calcio…

L’impossibilità per i ricorrenti di assistere a tali incontri non deriva ovviamente da

inadempimento colpevole imputabile alla società, ma dall’adozione degli atti impugnati, adottati

dalla resistente F.I.G.C.

La suprema Corte ha, in proposito, affermato: “La tutela risarcitoria ex art. 2043 c.c. deve

ammettersi anche con riguardo al pregiudizio patrimoniale sofferto dal titolare di diritti di credito,

non trovando ostacolo nel carattere relativo di questi ultimi in considerazione della nozione ampia

generalmente accolta di danno ingiusto come comprensivo di qualsiasi lesione dell’interesse che

sta alla base di un diritto, in tutta la sua estensione. Trova, in tal modo, protezione non solo

l’interesse rivolto a soddisfare il diritto (che, nel caso di diritti di credito, è attivabile direttamente

nei confronti del debitore della prestazione oggetto del diritto), ma altresì l’interesse alla

realizzazione di tutte le condizioni necessarie perché il soddisfacimento del diritto sia possibile,

interesse tutelabile nei confronti di chiunque illecitamente impedisca tale realizzazione. In siffatta

prospettiva trova fondamento la tutela aquiliana del diritto di credito. L’area di applicazione della

responsabilità extracontrattuale per la lesione del diritto di credito va, peraltro, circoscritta ai

danni che hanno direttamente inciso sull’interesse oggetto del diritto” (cfr., Cassazione civile-Sez.

3^, n. 7337 del 27 luglio 1998).

Conclusivamente, non si può in alcun modo dubitare che sussista, nella materia de qua la

giurisdizione del G.A., che deve considerarsi esclusiva alla stregua della espressa qualificazione in

tal senso contenuta nel predetto art. 3, 1° comma, della legge n. 280/2003.

4) Conseguentemente, alla stregua delle argomentazioni che precedono, deve essere disattesa

l’ulteriore eccezione di difetto di legittimazione attiva dei ricorrenti.

Anche tale eccezione, del resto, è stata rigettata con la menzionata ordinanza n. 1664/2007

della Sezione terza ter del T.A.R. Lazio-Roma, in base ai seguenti testuali rilievi:

Ritenuto di dover disattendere anche l’eccezione di difetto di legittimazione attiva dei

ricorrenti, sollevata sempre dalle parti resistenti, essendo indubbia la posizione qualificata che gli

stessi, in quanto titolari di abbonamenti per seguire le partite di calcio giocate nello stadio della

società Catania, rivestono nell’ordinamento;

Considerato infatti che, a fronte di una lesione, di carattere patrimoniale e non, che i ricorrenti

affermano di subire dal provvedimento impugnato non può dubitarsi della loro legittimazione ad

adire questo giudice per la tutela non tanto del diritto di natura patrimoniale, che nasce dalla stipula

del contratto di abbonamento, quanto sicuramente dell’interesse a vedere le partite casalinghe di

NOTE A SENTENZA123

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La crisi del calcio…

calcio della soc. Catania allo stadio, atteso che, diversamente opinando e premessa la giurisdizione

di questo giudice, una tale situazione giuridica soggettiva non potrebbe trovare altra forma di tutela;

Ritenuto a tal proposito inconferente il richiamo, effettuato dalla F.I.G.C. ai precedenti di

questa stessa Sezione (1 settembre 2006 n. 7909, ecc.), che attengono alla diversa ipotesi in cui i

ricorrenti erano soci di società sportive, ai quali era stata negata la legittimazione attiva sul rilievo –

non estensibile alla fattispecie in esame- che la società commerciale, quale persona giuridica,

assomma in sé e compone tutti gli interessi dei soggetti partecipanti, secondo le norme della

organizzazione interna disposta con il contratto sociale e lo statuto, nei limiti dell’oggetto e dello

scopo sociale, con la conseguenza che tali interessi sono unitariamente individuati dagli organi

aventi legittimazione ad esprimerli.

Deve ancora rilevarsi, in proposito, che la legittimazione attiva dei ricorrenti – così come il

loro interesse processuale ex art. 100 c.p.c.- si configura, al di là di ogni dubbio, sulla base di

ulteriori argomentazioni che possono riassumersi nei termini che seguono:

Non possono essere posti in dubbio l’interesse sostanziale e la legittimazione ad agire dei

ricorrenti, tutti in possesso di “abbonamento” per assistere allo svolgimento delle partite

“casalinghe” della squadra di calcio del Catania, relativamente al campionato di Serie A, anno

2006/2007, per cui tale interesse sostanziale si appalesa come personale, diretto e concreto.

Non può correre alcun dubbio sulla circostanza che ogni abbonato sia titolare tanto di un

diritto soggettivo (quello al rimborso della quota parte di abbonamento pagata e non goduta),

quanto di un preciso interesse legittimo a che la Federazione non adotti provvedimenti sanzionatori

a carico della società calcistica che direttamente risultino lesivi della propria situazione giuridica

soggettiva.

5) Per quanto concerne la competenza territoriale, con il menzionato decreto presidenziale n.

401 del 4 aprile 2007, è stato affermato che “non si applica -per il caso di specie- il disposto di cui

al D.L. 19.8.2003, n. 220, convertito nella legge 7.10.2003, n. 280 che, all’art. 3, comma 2, devolve

la competenza di primo grado, in via esclusiva, al T.A.R. del Lazio, con sede in Roma, atteso che

tale competenza esclusiva appare dettata unicamente per i soggetti interni al mondo sportivo, nei cui

confronti si pone la necessità della previa formazione della c.d. “pregiudiziale sportiva”, ossia

l’esaurimento dei gradi della Giustizia Sportiva come condizione d’ammissibilità della successiva

azione avanti al Giudice Amministrativo, nell’ottica di garantire la omogeneità del complessivo

sistema”.

NOTE A SENTENZA124

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La crisi del calcio…

Una tale interpretazione va confermata, alla luce di un ulteriore approfondimento della

questione da parte del Collegio: orbene, il decreto-legge n. 220 del 19 agosto 2003, convertito nella

legge n. 280 del 17 ottobre 2003, così recita, all’art. 3 (“norme sulla giurisdizione e disciplina

transitoria”):

1. Esauriti i gradi della giustizia sportiva e ferma restando la giurisdizione del giudice

ordinario sui rapporti patrimoniali tra società, associazioni e atleti, ogni altra controversia avente ad

oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o delle Federazioni sportive non riservata agli

organi di giustizia dell’ordinamento sportivo ai sensi dell’art. 2, è devoluta alla giurisdizione

esclusiva del giudice amministrativo….”;

2. La competenza di primo grado spetta in via esclusiva, anche per l’emanazione di misure

cautelari, al tribunale amministrativo regionale con sede in Roma. Le questioni di competenza di cui

al presente comma sono rilevabili d’ufficio”;

3. Davanti al giudice amministrativo il giudizio è definito con sentenza succintamente

motivata ai sensi dell’art. 26 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, e si applicano i commi 2 e

seguenti dell’art. 23-bis della stessa legge”;

4. Le norme di cui ai commi 1, 2 e 3 si applicano anche ai processi in corso e l’efficacia delle

misure cautelari emanate da un tribunale amministrativo diverso da quello di cui al comma 2 è

sospesa fino alla loro conferma, modifica o revoca da parte del tribunale amministrativo regionale

del Lazio, cui la parte interessata può riproporre il ricorso e l’istanza cautelare….”.

Dal mero dato letterale delle disposizioni surriportate emerge un elemento assolutamente

incontrovertibile: l’adizione del T.AR. del Lazio, sede di Roma, quale viene prevista e disciplinata

dal quasi integralmente trascritto art. 3, ha un suo preciso presupposto nella circostanza che siano

stati aditi, preventivamente, gli Organi di giustizia sportiva, e che ne siano stati esauriti tutti i gradi.

Ma dal momento che gli unici soggetti abilitati ad adire la giustizia sportiva sono quelli

(persone fisiche o società) che operano all’interno del mondo sportivo, in quanto tesserati, ne

consegue che tale disciplina non può applicarsi nei confronti degli altri soggetti dell’ordinamento.

Oltre al dato testuale, le disposizioni in esame vanno interpretate alla luce della ratio ad esse

sottesa.

Va sottolineato, in proposito, che la normativa medesima è stata introdotta in un periodo

molto travagliato dell’attività sportiva svolta in Italia (estate dell’anno 2003), allorché diverse

società calcistiche, rivolgendo i loro ricorsi a diversi Tribunali amministrativi sparsi sul territorio

nazionale, hanno provocato l’adozione di decisioni non di rado inaspettate e contrastanti, con

NOTE A SENTENZA125

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La crisi del calcio…

conseguente disorientamento degli Enti preposti al coordinamento ed al controllo dell’attività

sportiva medesima, specie in relazione alla possibilità di stilare in tempo i vari calendari sportivi.

Sotto altro profilo, vale un ragionamento per absurdum.

Orbene, se si dovesse ritenere che anche il quisque de populo sia soggetto alla su delineata

competenza territoriale, si perverrebbe ad una conclusione logicamente assurda e giuridicamente

aberrante.

Un comune cittadino, non essendo legittimato ad agire, allo scopo di precostituirsi la

“pregiudiziale sportiva”, i relativi Organi, non potrebbe mai autodeterminarsi, ricorrendo alla tutela

del Giudice amministrativo, sia pure in presenza della lesione di un proprio interesse

giuridicamente tutelato;la tutelabilità del suo interesse avanti al G.A. sarebbe totalmente rimessa

all’arbitrio del soggetto sportivo, unico legittimato a soddisfare quella condizione di

ammissibilità.

Tale interpretazione sarebbe in evidente contrasto con gli artt 24, 111 e 113 della Carta

Costituzionale.

Da quanto esposto emerge con sufficiente chiarezza come l’unico criterio determinativo della

competenza territoriale non può non essere quello generale che, in via principale, presiede al

riparto della competenza per territorio tra i diversi TT.AA.RR., ossia il criterio che indica il T.A.R.

del luogo ove il provvedimento da impugnare ha prodotto l’effetto lesivo.

Ma c’è di più: occorre tener conto della “transitorietà” di tale norma.

Sotto la rubrica “norme sulla giurisdizione e disciplina transitoria”, l’art. 3 della legge n.

280/2003 citata, dopo aver individuato il T.A.R. del Lazio come unico territorialmente competente

per le “questioni” indicate all’art. 1, al successivo comma 4, dispone l’applicabilità della disciplina

di cui ai precedenti commi “anche ai processi in corso”.

E’ pacifico che i caratteri essenziali di ogni disposizione transitoria sono:

1) la temporaneità: sussiste ed è efficace sino all’esaurimento dei rapporti da essa contemplati;

2) non è suscettibile di applicazione analogica;

Tale norma temporanea prevede espressamente non solo il dies a quo per per attivare il

congegno procedurale da essa previsto, ma anche il dies ad quem.

NOTE A SENTENZA126

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La crisi del calcio…

Il primo decorre, come recita il comma 4 citato “dalla data di entrata in vigore del presente

decreto; il secondo “spira” -essendo ridotto della metà rispetto a quello ordinario- 15 giorni dopo da

quella data (ossia, circa tre anni e mezzo fa).

Quindi, tale normativa “transitoria” non solo disciplina le controversie “in corso” alla data

della sua entrata in vigore, ma condiziona, altresì, la sua concreta operatività all’assolvimento di un

preciso onere, a pena di improcedibilità: la riassunzione entro un termine decadenziale.

In tale ottica, è stato adottato, in data 4 aprile 2007, il decreto presidenziale n. 401 con il

quale, ritenuti sussistenti il fumus boni juris ed il periculum in mora, è stata disposta la sospensione

cautelare, con efficacia erga omnes, dei provvedimenti impugnati.

Sennonché, in data 7 aprile 2007, la F.I.G.C. ha presentato “atto di riproposizione in

riassunzione” avanti la Sezione Terza Ter del T.A.R. del Lazio-sede di Roma, la quale, con

ordinanza n. 1664 del 12 aprile 2007, ha accolto tale istanza di riassunzione ed ha revocato, per

l’effetto, ai sensi dell’art. 3, 4° comma, del D.L. n. 220, il decreto presidenziale n. 401/2007,

respingendo, al contempo l’istanza cautelare.

Il Collegio non condivide tale decisione che, ovviamente, non lo può vincolare, attesa la

posizione di equiordinazione di tutte le Sedi della Giustizia Amministrativa di primo grado.

Orbene, tale diverso orientamento di questa 4^ Sezione discende, oltre che dalla convinzione

che, per il caso di specie, non si applichi il principio della competenza “esclusiva” del T.A.R. di

Roma (come estesamente esposto), dalla circostanza che, per il caso di specie, sia stata seguita, da

parte della F.I.G.C. intimata, una procedura abnorme.

Ed invero, il trascritto 4° comma dell’art. 3 della legge 280/03 prevede (o meglio,

prevedeva), per il caso in cui tale inderogabile competenza funzionale non venga rispettata, che

la“parte interessata può riproporre il ricorso e l’istanza cautelare…”.

Orbene, anche se può ritenersi possibile che il legislatore, con il termine parte interessata”, si

sia potuto riferire non alla parte ricorrente, ma alle Amministrazioni intimate ed ai controinteressati,

non si comprende tuttavia come questi siano facultati a “riproporre” il ricorso e l’istanza cautelare.

Apparendo pressocchè impossibile che il legislatore sia incorso in un così grave errore

materiale, il Collegio ritiene che l’art. 4, perché ad esso possa essere attribuito un senso logico e

giuridico, deve essere letto, mutatis mutandis, in connessione con le disposizioni che regolano

l’istituto del “regolamento di competenza”.

NOTE A SENTENZA127

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La crisi del calcio…

La menzionata “riassunzione” presuppone, naturalmente, che sia stato adito un T.A.R.

diverso da quello di Roma e che quest’altro T.A.R. si sia dichiarato incompetente; diversamente,

non ci sarebbe alcun interesse alla riassunzione del giudizio avanti al Tribunale laziale.

Così opinando, oltre a darsi un senso logico e un concreto significato a tale “eventuale

riassunzione”, ne consegue che il T.A.R. romano agisca non come Giudice di appello (e ciò

sconvolgerebbe l’assetto della giurisdizione Amministrativa), bensì, grazie all’atto di riassunzione,

come Giudice di primo grado, non potendosi peraltro sottrarre al Consiglio di Stato le funzioni di

Organo regolatore della competenza.

In sostanza, spetta al T.A.R. adito, anche nel caso in cui non coincida con quello del Lazio,

delibare sull’appartenenza della competenza nel caso sottoposto al suo esame; anche se si ritiene

che un tale tipo di competenza territoriale sia inderogabile.

Tuttavia, nessuna disposizione impone che una tale cognizione venga effettuato dal T.A.R.

del Lazio medesimo; quello che appare necessario è soltanto che, nel caso in cui il diverso T.A.R.

adito accerta che si versa nelle ipotesi di cui all’art. 2 del D.L. n. 220/2003 (corretto

svolgimento delle attività sportive ed agonistiche, l’ammissione e l’affiliazione alle federazioni di

società…,etc.), tale T.A.R. deve dichiararsi incompetente. Ma non può non restare fermo il

principio basilare secondo cui l’unico strumento previsto nel processo amministrativo per contestare

la competenza del T.A.R. periferico adito è esclusivamente costituito dalla proposizione, da parte

dei resistenti, del regolamento di competenza dinanzi al Consiglio di Stato ai sensi e per gli effetti di

cui al ricordato art. 31 della legge T.A.R. (che, nella specie, non è stato proposto).

Giova ancora sottolineare che le regole ed i principi generali del riparto di competenza

territoriale dei T.A.R. sono derogabili (art. 2, 3 e 31 legge T.A.R.), salvo i casi assolutamente

eccezionali di competenza territoriale funzionale, non ricorrente nel caso di specie.

D’altra parte, la necessità cha tale esame avvenga presso il Giudice adito risponde alla

necessità che tutti le parti si confrontino attraverso un’ordinata dialettica processuale.

Nel caso di specie, invece, il T.A.R. del Lazio, in data 12 aprile 2007, si è dichiarato

competente, pur in assenza della necessaria documentazione, giacente presso questa Sezione,

documentazione che è stata poi richiesta alla Segreteria con la medesima ordinanza n. 1664/07,

ossia dopo che era stata adottata una decisione propria del Giudice non della “riassunzione”, ma

d’appello.

NOTE A SENTENZA128

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Quindi, va ribadito ancora che l’itinerario logico argomentativo seguito dalla Sezione terza ter

del T.A.R. del Lazio non può essere condiviso, proprio in base al criterio della “lettura

costituzionalmente orientata” impropriamente invocato dalla F.I.G.C. (pag. 6 dell’atto di

riproposizione in riassunzione) al fine di pervenire al risultato interpretativo della operatività anche

“a regime” (e non soltanto in via transitoria) di tale anomalo ed ibrido istituto della riassunzione e

della configurabilità della competenza funzionale del T.A.R.

Lazio-Roma anche per le controversie in materia di sanzioni disciplinari instaurate, nei

confronti del C.O.N.I. e delle Federazioni sportive, da soggetti non tesserati, e quindi da comuni

cittadini estranei a tali ordinamenti settoriali.

Una interpretazione adeguatrice o conforme a Costituzione, infatti, conduce ad un risultato

diametralmente opposto a quello sostenuto dalla F.I.G.C. e dal T.A.R. Lazio-Roma con la

menzionata ordinanza, posto che proprio la spregiudicata operazione ermeneutica finalizzata a

“trasformare” una disposizione espressamente dichiarata transitoria, e disciplinata come tale dal

legislatore del 2003, in norma con efficacia permanente, o, come suol dirsi,“a regime”,

verrebbe a vulnerare gravemente non solo e non tanto il divieto di estensione analogica delle “leggi

…che fanno eccezione a regole generali e ad altre leggi” (art. 14 delle disposizioni preliminari al

codice civile), ma soprattutto i principi costituzionali del giudice naturale precostituito per legge

(art. 25, 1° comma, della Costituzione), e del doppio grado della giustiziaamministrativa

consacrato dall’art. 125 della Costituzione, che costituiscono indubbiamente un sistema di valori

costituzionali all’interno del quale il giudice deve operare interpretando ed applicando le norme

dell’ordinamento giuridico.

Viene, infatti, ad essere introdotto, per le controversie sportive di cui trattasi, un anomalo

percorso che stravolge l’ordinario iter giudiziario.

La regola generale, invero, è che ad un giudizio di primo grado segua, ove la parte

soccombente appelli, un giudizio di secondo grado, sia che si tratti di giudizio cautelare, sia che si

tratti di giudizio di merito; giammai è prevista una doppia pronuncia sulla stessa materia da parte di

due diversi giudici di primo grado, uno dei quali abilitato, come se fosse giudice d’appello o un

T.A.R. non equiordinato agli altri, ma dotato di poteri speciali, a riformare la decisione del primo

giudice.

Orbene, ad avviso del Collegio, siffatta disciplina integra altresì violazione del principio del

“giusto processo”, di cui all’art. 111, comma primo, della medesima Carta (“La giurisdizione si

attua mediante il giusto processo regolato dalla legge”).

NOTE A SENTENZA129

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Sempre con riferimento ai processi pendenti, dinanzi a tutti i TT.AA.RR. diversi da quelli del

Lazio, infatti, la parte soccombente nel giudizio cautelare verrebbe ad essere fornita di uno

strumento giurisdizionale anomalo e atipico a tutela della propria (legittima, ma da esercitare in

modo conforme ai principi costituzionali) aspirazione ad ottenere una pronuncia favorevole in

secondo grado (che deve tuttavia essere un vero giudizio di secondo grado, e non, si ribadisce, un

inedito duplicato del giudizio di primo grado, affidato al TAR centrale, in quanto ritenuto

preminente rispetto a quelli periferici: il che costituisce, evidentemente, un palese disvalore

costituzionale.

Ciò comporterebbe, altresì, una evidente violazione del principio del ne bis in idem, che, se

pure non espressamente contemplato dalla Carta costituzionale,deve ritenersi corollario del

medesimo generale principio del “giusto processo” testè richiamato.

E’ questo il sistema di valori costituzionali all’interno del (e in conformità al )quale il giudice

deve muoversi, e non già l’affermata necessità di accentramento di tutte le questioni relative alla

materia sportiva dinanzi ad uno stesso giudice (il TAR del Lazio-Roma, come sostenuto nella

ripetuta ordinanza n. 1664/2007 di tale Tribunale), ovvio essendo –ed è appena il caso di rilevarlo-

che tale esigenza non è in alcun modo contemplata e consacrata nella nostra Costituzione.

7)Gli interventi ad adjuvandum della Provincia Regionale di Catania, del Comune di Catania

e della Confederazione Nazionale Nuovi Consumatori Europei sono ammissibili.

In particolare, l’interesse ad intervenire del Comune di Catania, Ente esponenziale cui

compete la cura e la tutela degli interessi della collettività locale, trova la sua fonte nell’art. 13 T.U.

Autonomie Locali, il quale stabilisce che spettano al Comune tutte le funzioni amministrative che

riguardano la popolazione ed il territorio comunale, precipuamente nei settori organici dei servizi

alla persona e alla comunità, dell’assetto e dell’utilizzazione del territorio e dello sviluppo

economico.

Dunque è evidente che il Comune di Catania abbia un sostanziale interesse ad intervenire,

proprio perché il provvedimento del Giudice sportivo, fortemente lesivo della dignità e del decoro

dell’intera popolazione catanese, ha causato un gravissimo danno all’immagine della città, dal

momento che ha accomunato persone per bene a delinquenti, ed ha causato un grave danno

all’economia della città.

NOTE A SENTENZA130

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La crisi del calcio…

Analogo discorso può essere svolto in relazione alla costituzione in giudizio della Provincia

regionale di Catania, Ente esponenziale di un comprensorioancora più esteso del Comune

Capoluogo.

Anche la costituzione in giudizio dell’Associazione dei consumatori è ammissibile.

In proposito, il Consiglio di Stato, in Adunanza plenaria, ha stabilito, con la recente sentenza

n. 1 dell’11 gennaio 2007, che “le associazioni dei consumatori possono sempre esperire azioni per

l’annullamento di atti amministrativi ritenuti pregiudizievoli nel termine decadenziale decorrente,

di norma, dalla pubblicazione – ai sensi dell’art. 2 del R.D. 17 agosto 1907, n. 642- non essendo

detti organismi i diretti destinatari degli atti stessi…in vista della salvaguardia dell’interesse

collettivo perseguito”.

Per quanto concerne, invece, le intervenienti Arena Artura Grazia, Arena Raimonda, Grasso

Rosina, Di Mauro Rosa ed Anastasi Nunziata, il Collegio non può fare a meno di pronunciare

l’inammissibilità di tale intervento, atteso che tali cinque persone sono abbonate per assistere alle

partite interne del Catania Calcio e vantano, quindi, un interesse personale e diretto ad impugnare i

provvedimenti in epigrafe.

Tuttavia, atteso che tale intervento è tempestivo (con riferimento al termine di scadenza dei

provvedimenti in questione), è stato ritualmente notificato e contiene tutti gli elementi propri di un

normale ricorso, l’atto di intervento in questione va convertito in ordinario ricorso (giurisprudenza

pacifica).

Conseguentemente, le predette cinque intervenienti acquistano lo status di ricorrenti

principali, limitatamente alla domanda di annullamento, non avendo proposto domanda risarcitoria.

8) Come già affermato con il decreto presidenziale n. 401 del 4 aprile 2007, il ricorso si basa

su una serie di motivi di censura che vanno condivisi.

a)Con un primo motivo di gravame si deduce la violazione dell’art. 1, comma 1, in relazione

all’art. 10, comma 1, del codice di giustizia sportiva, atteso che i tragici fatti del 2 febbraio 2007,

nonostante si siano svolti in un momento successivo allo svolgimento della gara Catania-Palermo e,

soprattutto, all’esterno dell’impianto sportivo, hanno dato luogo sostanzialmente ad una sorta di

responsabilità automatica per la società calcistica etnea (ipotesi prevista soltanto per l’ipotesi in cui

i disordini si verifichino all’interno dell’impianto), con conseguente violazione del succitato art. 10

il quale, in relazione ad eventuali incidenti ricadenti al di fuori dell’impianto, impone che la relativa

responsabilità venga pronunciata quantomeno attraverso la prova che la società interessata abbia

NOTE A SENTENZA131

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contribuito al loro accadimento “con interventi finanziari o con altre utilità, alla costituzione ed al

mantenimento di gruppi, organizzati e non, di propri sostenitori”.

b)Anche il secondo collegato motivo di censura va condiviso; con esso si deduce la

violazione dell’art. 11, comma 1°, ultimo inciso, che così recita: “la responsabilità è esclusa quando

il fatto è commesso per motivi estranei alla gara”, atteso che i gravi incidenti in questione non

appaiono conseguenti ad alcun episodio relativo allo svolgimento della gara (di solito, l’aggressione

alle Forze dell’ordine rappresenta l’estensione di una protesta indirizzata, in primo luogo, ai

protagonisti dell’evento calcistico; soprattutto, il direttore di gara).

Nel comunicato ufficiale n. 227 del 14 febbraio 2007 si evidenzia che i disordini erano già

cominciati durante lo svolgimento dell’incontro; ciò risponde a verità; ma non sussiste alcun nesso

di causalità tra gli i comportamenti, prettamente “vandalici”, verificatisi all’interno dello stadio

“Massimino” e quelli, assolutamente criminali, chiaramente finalizzati all’aggressione delle Forze

dell’Ordine, probabilmente pianificati da tempo, verificatisi successivamente nelle adiacenze dello

stadio.

c) Condivisibile si appalesa anche il terzo motivo di censura, con i quali si deduce che i

provvedimenti sanzionatori impugnati omettono completamente di valutare l’effettiva

collaborazione prestata dalla Società Catania Calcio nell’identificazione dei responsabili dei tragici

episodi, come imposto, invece, dall’art. 11, comma 6, del più volte menzionato codice di giustizia

sportiva;

d) Fondato è anche il quarto motivo, con cui si sottolinea la carenza e la contraddittorietà

della motivazione, atteso che, mentre da un lato si riconosce l’estraneità dei tragici fatti alle

vicende di gioco, subito dopo si ritiene inequivoca la responsabilità della Società;

e)Giustamente si sottolinea, poi, l’evidente contrasto tra i provvedimenti impugnati e gli

inderogabili principi dell’ordinamento, consacrati in apposite norme di rango costituzionale (art. 2 e

27, comma 1, della Costituzione) o di legge ordinaria (artt. 1 e 134, ultimo comma, .U.L.P.S. ),

palesandosi, in particolare, il principio della responsabilità oggettiva, specie alla luce della rigida

applicazione che ne viene praticata, come contrario ai principi dell’ordinamento giuridico vigente.

Qualunque sia la teoria preferita in ordine alla pluralità degli ordinamenti giuridici, resta

fermo che l’ordinamento sportivo, per funzionare normalmente, deve godere di un notevole grado

di autonomia.

NOTE A SENTENZA132

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La crisi del calcio…

Tuttavia quest’ultima, per quanto ampia e tutelata, non può mai superare determinati confini,

che sono i confini stessi dettati dall’ordinamento giuridico dello Stato.

E tali fondamentali principi valgono non solo per l’ordinamento sportivo, ma anche per

l’autonomia di ogni formazione sociale, pur se riconosciuta dalla Costituzione:confessioni

religiose, università, accademie, istituzioni di cultura, sindacati…

Né potrebbe, in senso contrario, sostenersi che la F.I.G.C., in quanto assoggettata alle

direttive impartite dalla U.E.F.A., organismo che opera in sede internazionale, sia tenuta a recepire

pedissequamente ed acriticamente tali direttive medesime, atteso che alla U.E.F.A. non è comunque

considerata un “soggetto di diritto internazionale” e che, in ogni caso, ogni recepimento normativo

o regolamentare va comunque inquadrato all’interno delle norme di legge e dei principi

costituzionali vigenti.

Tali principi si stanno affermando anche all’estero: il Tribunale Amministrativo di Parigi,

adito dalla locale squadra di calcio del Paris Saint Germain, con decisione del 16 marzo 2007, ha

annullato la sanzione della squalifica del campo di gioco, comminata alla squadra medesima da tutti

li Organi di giustizia sportiva della Federazione francese, statuendo che “la responsabilità oggettiva

di cui all’art. 129, c. 1, del regolamento Federale viola il principio costituzionale della personalità

della pena”.

Inoltre, è fondamentale rilevare che, nel caso di specie, mancano alcuni requisiti integranti

l’ipotesi della responsabilità oggettiva, quale delineata da dottrina e giurisprudenza; ed invero, tra la

condotta e l’evento dannoso deve essere rinvenibile un nesso di causalità materiale ben individuato

e, inoltre, l’agente deve avere volontariamente tenuto un condotta che di per sé costituisce illecito,

in ossequio al noto principio “qui in re illecita versatur tenetur etiam pro casu”.

Nel caso di specie, come è evidente, manca qualsiasi nesso di causalità tra i fatti dannosi

verificatisi ed il comportamento tenuto dai ricorrenti.

In sostanza, i ricorrenti sono stati colpiti dalla sanzione non perché abbiano fatto o non

abbiano fatto alcunché, ma solo in quanto appartenenti ad una categoria generale ed astratta.

Quindi, ben può affermarsi che, nel caso di specie, non si sono applicate delle pesanti sanzioni

per una caso di responsabilità oggettiva, bensì per una forma di responsabilità “per fatto altrui”.

Pertanto, si appalesano illegittimi non soltanto gli impugnati provvedimenti sanzionatori per

i “vizi” evidenziati, ma anche le stesse norme del regolamento “Codice di giustizia sportiva” della

F.I.G.C., nella misura in cui, introducendo una tale forma di “responsabilità oggettiva” si pongono,

fra l’altro, in contrasto con l’art. 27 della Costituzione.

NOTE A SENTENZA133

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Conseguentemente, vanno annullati sia l’art. 9, commi 1 e 2 (che sostanzialmente pongono a

carico delle società sportive un onere di vigilanza non consentito dal T.U.L.P.S.), sia l’art. 11 di tale

regolamento.

9)Va ora esaminata la domanda risarcitoria proposta dai ricorrenti contestualmente all’azione

di annullamento dei provvedimenti impugnati.

Anche tale ulteriore domanda si appalesa fondata, tenuto conto che, oltre al presupposto della

c.d. pregiudizialità amministrativa, e cioè alla necessità del previo annullamento dei provvedimenti

lesivi della sfera soggettiva (richiesto dalla prevalente e consolidata giurisprudenza amministrativa:

cfr., per tutte, A.P. del Consiglio di stato, n. 4 del 26.3.2003), sussistono nella specie tutti gli

ulteriori presupposti per accordare la chiesta tutela risarcitoria, vale a dire tutti gli elementi

contemplati e richiesti dall’art. 2043 ai fini della risarcibilità del danno (evento dannoso, ingiustizia

del danno, sussistenza dell’elemento soggettivo della colpa della P.A. quale criterio d’imputabilità

alla stessa dell’evento).

Quanto al primo di tali elementi (evento dannoso), è appena il caso di ribadire che esso va

individuato negli impugnati provvedimenti sanzionatori irrogati sulla base di un’illegittima

normativa regolamentare ispirata alla responsabilità oggettiva, che rilevano quale fatto illecito

produttivo dei danni lamentati.

Come già esposto al punto 2) circa la c.d. tutela aquiliana del credito, l’impossibilità di

assistere alla gare interne, per i ricorrenti, non deriva di certo da inadempimento colpevole

imputabile alla società calcistica, ma dalla persistenza e dalla reiterazione di atti illegittimi adottati

dalla F.I.GC., i quali hanno inciso dall’esterno sul rapporto già instaurato tra i ricorrenti e la società

medesima.

Pertanto, l’ingiustizia del danno è evidente in quanto, come più volte sottolineato, tali

provvedimenti illegittimi hanno inciso, ledendoli, su diritti soggettivi perfetti dei ricorrenti (diritto

di credito e diritti personali inviolabili precedentemente indicati).

Quanto, poi, all’elemento soggettivo della colpa della P.A. (nella specie, gli Organi di

giustizia sportiva della F.I.G.C.), è sufficiente ricordare che, alla stregua dell’ormai consolidato

orientamento giurisprudenziale, l’imputazionedella responsabilità alla P.A. per illecito

extracontrattuale può e deve essere effettuata non già sulla base del mero dato obiettivo

dell’illegittimità del provvedimento, bensì ancorandola alla valutazione della colpa non dei singoli

funzionari agenti (da riferire ai parametri della negligenza o imperizia)

NOTE A SENTENZA134

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ma della P.A. intesa come apparato, colpa che è configurabile allorché l’adozione e

l’esecuzione dell’atto illegittimo (lesivo dell’interesse del danneggiato) sia avvenuta in violazione

delle regole di correttezza, imparzialità di buona amministrazione, alle quali l’esercizio della

funzione amministrativa deve ispirarsi, e che il giudice deve valutare (cfr., fra le tante, Consiglio di

Stato, n. 500/1999, e Consiglio di Stato-Sezione 5^, n. 1307 del 19.3.2007, paragrafi da 87 a 111).

E’ appena il caso, inoltre, di ricordare che l’onere del soggetto danneggiato di provare tutti gli

elementi costitutivi della domanda di risarcimento (danno, nesso di casualità, colpa), ai sensi

dell’art. 2697 c.c., può essere adempiuto anche attraverso prove indirette quali le presunzioni di cui

agli artt. 2727 e 2729 c.c., di guisa che l’accertata illegittimità del provvedimento ritenuto lesivo dei

diritti e degli interessi del danneggiato ricorrente può rappresentare, nella normalità dei casi,

l’indice (grave, preciso, concordante) della colpa dell’Amministrazione (cfr., fra altre, Consiglio di

Stato-Sezione 5^, n. 1307/2007, citato, paragrafi 100 e 101).

Nella specie, l’onere della prova ex art. 2697 c.c., relativamente agli elementi costitutivi della

domanda risarcitoria, può ritenersi adempiuto sia con riferimento all’”an” ed al “quantum” del

danno patrimoniale che all”an” di quello non patrimoniale (del quale viene chiesta la liquidazione in

via equitativa, non essendo, ovviamente, determinabile).

A)In ordine alla prima componente del danno, quello patrimoniale, i ricorrenti deducono la

loro impossibilità di continuare ad utilizzare l’abbonamento alle partite casalinghe del torneo, e ciò

in relazione a tutte le partite (ben otto) ancora da disputarsi dopo il 2 febbraio 2007.

Si ricorda, in proposito, che i ricorrenti medesimi, fino al 30 giugno c.a.,non possono accedere

a qualunque stadio d’Italia ove si svolgono le partite casalinghe del Catania; i ricorrenti hanno

allegato al ricorso copia del relativo “tesserino”.

Orbene, agli 82 ricorrenti (e soltanto ad essi) va rimborsato dalla F.I.G.C. una quota parte del

costo dell’abbonamento, in relazione agli incontri cui essi non hanno pututo assistere a causa del

divieto derivante dagli atti impugnati.

B)In ordine, poi, al danno non patrimoniale (o danno morale) subito, i ricorrenti lo

configurano, chiedendone il risarcimento per equivalente, sotto il profilo del danno esistenziale e

del danno all’immagine, all’onoreed al decoro.

NOTE A SENTENZA135

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La crisi del calcio…

B1) Quanto al primo di tali profili, occorre in estrema sintesi ricordare, sul filo dei principi

generali, che esso viene configurato dalla dottrina e dalla giurisprudenza quale danno derivante da

qualsiasi illecito o torto che leda interessi rilevanti per la sfera personale dell’individuo,

compromettendo od ostacolando le attività realizzatrici della persona umana, e quindi quale

categoria nella quale confluiscono, in ultima analisi, tutti gli impedimenti che l vittima è destinata a

subire con riguardo ad attività che contribuiscono alla propria realizzazione individuale (cfr., per

l’affermazione di tali principi, fra le tante, Cassazione civile, 7.6.2000, n. 7713; Corte

Costituzionale, 14.7.1986, n. 184; Tribunale di Torino, 8.8.1995).

B2) Quanto al lamentato danno all’immagine, all’onore e al decoro, deve preliminarmente

osservarsi che tale figura, in realtà, alla stregua delle categorie concettuali enucleate ed elaborate in

base ai vigenti referenti normativi ed alle più recenti acquisizioni del dibattito giuridico in continua

evoluzione, come danno all’onore ed alla reputazione (o, se si vuole, all’immagine sociale), più

che all’immagine in senso proprio.

In estrema sintesi, e quindi negli stretti limiti in cui tale nozione rileva nella presente

controversia, si può affermare che il diritto all’onore è uno dei diritti fondamentali della persona,

come emerge dal richiamo alla dignità personale contenuto negli artt. 3, 32 e 41 della Costituzione,

e conseguentemente nel catalogo “aperto” di cui all’art. 2 della Costituzione.

La lesione di tale diritto inviolabile provoca ovviamente multiformi conseguenze dannose di

carattere morale (e, a volte, anche di carattere psico-fisico) legate all’insorgere del sentimento di

vergogna che nasce dalla perdita pubblica della propria immagine personale.

Nel caso di specie, anche se in maniera necessariamente larvata, i mezzi televisivi ed i

giornali, sportivi e non, lanciano dei “messaggi” che non depongono di certo per l’immagine non

solo degli sportivi catanesi, ma di tutta la collettività.

C) Circa il problema della quantificazione del danno esistenziale e del danno all’onore ed alla

reputazione, i ricorrenti chiedono una valutazione equitativa. Procedendo, qundi, a tale valutazione,

ai sensi dell’art. 2056, 1° comma, e dell’art. 1226 c.c., ilCollegio ritiene equa una liquidazione, in

favore di ciascuno dei ricorrenti,della somma di € 500,00 (cinquecento/00) a titolo di risarcimento

del danno esistenziale, e di € 500,00 (cinquecento/00) a titolo di risarcimento del danno all’onore e

alla reputazione, da porre a carico dell’intimataF.I.G.C.

10)In definitiva, vanno annullati, nei limiti dell’interesse, tutti gli atti impugnati.

NOTE A SENTENZA136

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La crisi del calcio…

Appare opportuno sottolineare che, atteso il carattere collettivo di tali provvedimenti, un tale

annullamento ha efficacia erga omnes; pertanto, la cancellazione della squalifica del campo di

gioco del Catania Calcio avrà effetti non soltanto per i ricorrenti, ma anche per gli altri abbonati e

per chi chiederà di assistere legittimamente alle competizioni “casalinghe” della squadra.

11)Con memoria depositata alla Camera di consiglio del 13 aprile 2007, è stata avanzata,

all’uopo, contestuale richiesta di nomina di un Commissario ad acta, non residuando il tempo utile

per espletare un eventuale giudizio di ottemperanza, essendo peraltro notorio che in passato gli

Organi federali della F.I.G.C. si sono ripetutamente e sistematicamente rifiutati di dare spontanea

esecuzione ai provvedimenti emessi dall’Autorità giudiziaria (ed anche di questo T.A.R.).

L’istanza non può essere ritenuta ammissibile, atteso che essa avrebbe dovuto essere proposta

con atto notificata alle controparti.

12)Per quanto concerne le spese giudiziali, infine, sussistono giusti motivi perdisporne la

compensazione.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia-Sezione staccata di Catania-Sez. 4^

ACCOGLIE il ricorso in epigrafe ed annulla, per l’effetto, gli atti sanzionatori impugnati e gli artt.

9, commi 1 e 2, e 11 del regolamento “Codice di giustizia sportiva” , egualmente impugnati, con gli

effetti esposti in motivazione.

Condanna l’intimata F.I.G.C. al parziale rimborso del costo dell’abbonamento in favore degli

originari ricorrenti, nonché al risarcimento del danno morale, che viene liquidato in Euro 1.000

(mille) per le causali indicate in motivazione in favore degli stessi 82 ricorrenti.

Spese Compensate

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Si autorizza la notifica anche soltanto a mezzo fax e, se del caso, per via

telematica (art. 12 legge n. 205/00) della presente sentenza.

Così deciso in Catania, nella Camera di consiglio del 13 aprile 2007.

NOTE A SENTENZA137

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La crisi del calcio…

LA CRISI DEL CALCIO TRA IL TERZO CASO CATANIA E L’ENNESIMO RIMEDIO ALL’ITALIANA

di Alessio Piscini (*)

SOMMARIO:

1) Premessa.

2 ) L’ordinanza n. 1664/2007 del T.A.R. Lazio – Roma

3 ) La sentenza n. 679/07 del T.A.R. Sicilia – Catania

4) Conclusioni.

NOTE A SENTENZA138

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1) Premessa

Al di là di ogni considerazione tecnico-giuridica, ai fini di una miglior comprensione delle

sentenze in esame – e della temperie da cui sono emerse – è necessario non solo affrontare le

questioni in rito e merito che hanno interessato i Tribunali amministrativi, ma anche affiancare a

tale analisi il racconto giornalistico degli eventi occorsi in seguito alla morte dell’ispettore capo di

Polizia Filippo Raciti, avvenuta in occasione della partita di calcio Catania-Palermo del 2 febbraio

2007, mentre effettuava servizio d’ordine all’esterno dell’impianto sportivo “A. Massimino” di

Catania.

Simile nota programmatica è necessaria perché, a discapito della indiscutibile competenza dei

giudici, sportivi e non, che hanno affrontato le complesse questioni, altrettanto indiscutibile è la

fusione di ragion pratica e ragion pura che ha informato l’iter complessivo della sanzione

disciplinare irrogata alla Catania Calcio S.p.A. per responsabilità oggettiva con riferimento alle

violenze compiute dai propri tifosi e che ha condotto, infine, ad un accordo (ci sia passato il

termine: “meta-giuridico”) tra la società professionistica e la F.I.G.C. avanti alla Camera di

Conciliazione e Arbitrato dello Sport del C.O.N.I., a chiusura di una battaglia giudiziaria che,

purtroppo, il travagliato calcio degli ultimi hanno ha facilmente metabolizzato.

Questi gli antefatti:

Il 2 febbraio 2007, come ricordato, l’ispettore capo di Polizia Filippo Raciti decede poco dopo

la gara Catania-Palermo, a causa dell’impatto, avvenuto all’esterno dello Stadio, con un corpo

contundente lanciato da tifosi del Catania.

A seguito dell’evento, il Giudice Sportivo della Lega Nazionale Professionisti, con il

provvedimento n. 67 pubblicato nel Comunicato Ufficiale F.I.G.C. n. 227 del 14 febbraio 2007, in

applicazione delle norme del Codice di Giustizia Sportiva nella formulazione allora vigente,

dispone a carico del Calcio Catania S.p.A. la squalifica del campo di giuoco sino al 30 giugno 2007,

con obbligo di disputa delle gare a porte chiuse, oltre alla sanzione di € 50.000,00; in particolare,

l’allora art. 11 del Codice di Giustizia Sportiva, richiamato nella decisione, distingue chiaramente,

riguardo la responsabilità della società sportiva per i fatti dei propri tifosi, tra le manifestazioni

violente commesse fuori dello stadio e quelle commesse all’interno dello stesso, prevedendo, ai fini

della punibilità delle prime, che questi debbano verificarsi nell’immediatezza cronologica della gara

NOTE A SENTENZA139

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La crisi del calcio…

e nelle immediate vicinanze dello Stadio, e debbano esser originate da soggetti che ricevano dalla

società contributi o altra utilità, in violazione dell’art. 10, medesimo Codice1.

Pur nel precedente quadro normativo, il Giudice di prime cure sportive ritiene non rilevante,

nella fattispecie, la localizzazione degli scontri che avevano condotto alla morte dell’ispettore

Raciti, poiché “la dinamica degli eventi……induce a ritenere….che l’intollerabile aggressione alle

Forze di Polizia sia stata connotata da un’unicità di programmazione e da un coordinamento

nell’azione che all’interno dello stadio si generava, si organizzava, si rafforzava e si alimentava.” e

per questo applicando la c.d. “responsabilità oggettiva” nei confronti della società per il

complessivo atteggiamento dei tifosi in occasione della gara. Simile conclusione, peraltro, non è

frutto di riflessioni del Giudice Sportivo, ma viene desunta espressamente dalla nota informativa

trasmessa all’Ufficio Indagini della F.I.G.C. dalla Procura della Repubblica di Catania ai sensi

dell’art. 2, comma 3, Legge 13 dicembre 1989, n. 4012 e, dunque, da un atto avente pubblica fede.

La decisione del Giudice Sportivo viene ritualmente impugnata, in sede di giustizia sportiva,

dal Catania Calcio S.p.A., ma è integralmente confermata sia dalla Commissione Disciplinare della

Lega Nazionale Professionisti3 sia dalla Commissione d’Appello Federale della F.I.G.C.4; a tal

punto, si perfeziona il “giudicato federale”.

Alla società etnea, che spergiura, tramite i suoi dirigenti, di voler rispettare le decisioni delle

Istituzioni sportive, non resta che adire la Camera di Conciliazione e Arbitrato dello Sport del

C.O.N.I., i cui tempi tecnici non lasciano però ben sperare per la tempestività della pronuncia nei

termini del Campionato di Serie A.

Nel frattempo, la squalifica diviene esecutiva e alla prima squadra del Catania si palesa la

prospettiva di giocare in campo neutro e a porte chiuse le proprie residue gare di Campionato, con

notevole pregiudizio del rendimento sportivo.

In tale temperie spunta in modo inaspettato il sig. Michele Pennisi, capofila di 82 intrepidi

catanesi, il quale si rivolge, assieme agli altri, a due avvocati affinché siano tutelati i propri diritti di

abbonato del Catania Calcio.

1 Sul punto, F. Bagattini, A. D’Avirro, M. Ducci, M. Giglioli, M. Taddeucci Sassolini, Guida al Codice di Giustizia Sportiva, Firenze, 2005, 133.2 Ai sensi di tale normativa, in punto di autonomia tra procedimento disciplinare e procedimento penale, “gli organi della disciplina sportiva, ai fini esclusivi della propria competenza funzionale, possono chiedere copia degli atti del procedimento penale ai sensi dell'articolo 116 del codice di procedura penale fermo restando il divieto di pubblicazione di cui all'articolo 114 dello stesso codice.”3 Si veda C.U. Lega Nazionale Professionisti n. 236 del 22 febbraio 2007.4 Si veda C.U. F.I.G.C. n. 41/C del 20 marzo 2007.

NOTE A SENTENZA140

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La crisi del calcio…

Nelle intenzioni di questi tifosi, la giustizia avrebbe dovuto reintegrare i titolari di

abbonamento per le partite interne del Catania sia nel leso diritto di credito – e, dunque, relativo –

ad esser presenti alle gare interne della squadra del cuore sia nei diritti assoluti alla dignità (e alla

regolarità dell’esistenza) di sportivo catanese.

Per questo, nei primi giorni di aprile 2007, viene presentato avanti al Tribunale

Amministrativo della Regione Sicilia – Sezione distaccata di Catania un ricorso avverso il

provvedimento di squalifica del campo e obbligo di giuoco a porte chiuse emanato dal Giudice

Sportivo della L.N.P. e quindi confermato dalle Corti federali degli ulteriori gradi, nonché avverso

gli artt. 9, 11 e 14 del Codice di Giustizia Sportiva della Federazioni Italiana Giuoco Calcio.

Ulteriormente, i ricorrenti chiedono il rimborso del prezzo e risarcimento del danno patrimoniale e

non patrimoniale patito e, soprattutto, l’emissione, in via cautelare, di provvedimento provvisorio di

sospensione per la sussistenza dei requisiti di “estrema gravità e urgenza”5.

Il ricorso, nella sua sostanza, lamenta l’illegittimità delle pronunce sportive, poiché queste

ultime avrebbero sostanzialmente imputato una responsabilità “automatica” in capo alla società

Catania Calcio S.p.A. senza curarsi di dimostrare la correità della stessa negli avvenimenti,

quantomeno tramite contributi finanziari o altre utilità ai gruppi di tifosi coinvolti negli scontri al di

fuori dello stadio, né compiutamente verificando l’estranietà dei motivi di scontro con la gara, causa

esimente di punibilità ai sensi dell’art. 11, comma 1, u.cpv., C.G.S..

La palla, perciò rotola di nuovo al T.A.R. Sicilia-Catania che, dopo il riposo di qualche anno,

è ancora pronto a stupire6.

- il decreto presidenziale n. 401/2007 del T.A.R. Sicilia-Catania

La Corte etnea non perde tempo e il Presidente, investito della questione, ritenutala degna di

approfondimento, in data 4 aprile 2007, deposita, inaudita altera parte, decreto con il quale

vengono sospesi tutti gli atti impugnati, con effetto immediato e efficacia erga omnes.

5 Art. 3, c. 2, L. 21 luglio 2000 n. 205, di modifica dell’art. 21, L. 6 dicembre 1971 n. 1034.6 Il riferimento è al c.d. “caso-Catania” (il secondo, per la verità), scatenato con la pronuncia T.A.R. Sicilia-Catania, ord. 5 giugno 2003, n. 958, cui seguirono in poco tempo le altre decisioni T.A.R. Sicilia-Catania, ord. 13 agosto 2003, n. 1408, T.A.R. Calabria-Reggio Calabria, decreto 14 agosto 2003 e T.A.R. Calabria-Reggio Calabria, sent. 25 agosto 2003. In quel caso, sotto la lente delle corti amministrative era la mancata ammissione della prima squadra del Catania Calcio S.p.A. al Campionato di Serie B per la stagione 2003/2004, a seguito sia di una decisione disciplinare sulla regolarità della gara Catania-Siena del 12 aprile 2003, sia della asseritamente illegittima ammissione di alcune società al medesimo Campionato, pur in presenza di illeciti amministrativi. Anche in quel caso, le decisioni cautelari del T.A.R. locali crearono difficoltà e scompiglio alla Federazione che, all’esito di una intensa battaglia giudiziaria, decise di ampliare l’organico del Campionato di Serie B a 24 squadre. Per un più esaustivo commento alla vicenda, P. Moro, A. De Silvestri, E. Crocetti Bernardi, E. Lubrano, La Giustizia Sportiva, Trento, 2004, 115 e ss.; in epoca più remota, il T.A.R. Sicilia-Catania si era reso protagonista di un altro clamoroso annullamento, quello del provvedimento di esclusione del Catania Calcio S.p.A. dal Campionato di Serie C1, con nomina di commissari ad acta e il risultato finale della co-presenza di due calendari, uno stilato dalla F.I.G.C. e uno dai commissari nominati giudizialmente: per un riepilogo della vicenda si può consultare la monografia dello scrivente, Il Tesseramento di un alteta: natura giuridica dell’atto e dei vincoli conseguenti, Firenze, 2003, 76 e ss.

NOTE A SENTENZA141

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La crisi del calcio…

Le motivazioni sono così sviluppate: la legittimazione ad agire dei ricorrenti discende

dall’interesse sostanziale dei titolari di abbonamento alla corretta esecuzione del contratto stipulato,

interesse sostanziale che “si appalesa come personale, diretto e concreto”.

Procedendo a tale stregua, il Presidente rileva come alla fattispecie non possa applicarsi il

dettato della L. 280 del 7 ottobre 2003, in materia di giustizia sportiva, poiché questa avrebbe

efficacia esclusivamente per i soggetti “interni all’ordinamento sportivo”. Pertanto, la competenza

territoriale esclusiva del T.A.R. Roma – Lazio, come istituita dall’art. 3 della sopra citata legge, non

ha validità nei confronti del sig. Pennisi e degli altri ricorrenti7.

In tal modo, sgombrato il campo sulle presunte irritualità della procedura, il Presidente del

T.A.R. Sicilia-Catania passa al merito dell’istanza cautelare, verificando sia la sussistenza del

periculum in mora (costituito dall’impossibilità ad utilizzare l’abbonamento, quale danno

patrimoniale in fieri, e dell’ulteriore danno non patrimoniale sostanziato nel danno esistenziale e nel

danno all’immagine e al decoro patito dai tifosi del Catania in seguito alla squalifica) sia del fumus

boni iuris (con riferimento alla già citata estraneità degli scontri tra tifosi e polizia ai fatti di giuoco

e alla mancanza di responsabilità provata, ai sensi del Codice di Giustizia Sportiva, in capo al

Catania Calcio S.p.A.).

In particolare, l’estensore scomoda anche il Tribunale Amministrativo di Parigi, citato

laddove, in un caso analogo, aveva annullato la squalifica del campo comminata nei confronti di

una squadra francese perché il principio della c.d. “responsabilità oggettiva” viola il basilare dettato

costituzionale della personalità della pena8, comune a tutti i regimi liberaldemocratici.

Per tutti questi motivi, al Presidente consequenzialmente sospende tutti gli atti impugnati e

rende inutiliter data la squalifica a suo tempo comminata dalla giustizia sportiva.

7 Val la pena di ricordare che, recentemente, il T.A.R. Puglia-Bari, sez. II, con sentenza 401/2007 ha espressamente affermato la natura inderogabile della competenza territoriale del T.A.R. Lazio-Roma in materia di impugnazioni degli atti federali, pur essendo il ricorso ivi in esame promosso da un tesserato; si veda questa rivista, n. 1/2007, 188 e ss. 8 Tribunale Amministrativo di Parigi, IV sect., III ch., 16 marzo 2007: per un confronto critico tra le sentenze amministrative italiane e francesi, V. Forti, Riflessioni in tema di diritto disciplinare sportivo e responsabilità oggettiva, Rivista di Diritto ed Economia dello Sport, n. 2/2007, 13 e ss.

NOTE A SENTENZA142

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2 ) L’ordinanza n. 1664/2007 del T.A.R. Lazio – Roma

La F.I.G.C., tuttavia, immediatamente esprime la volontà di non piegarsi alle decisioni

siciliane, e passa al contrattacco con una mossa davvero singolare. Difatti, a distanza di pochi giorni

dal decreto presidenziale sopra analizzato, deposita atto di riproposizione in riassunzione della

causa presso il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio.

La strategia fa forza su una interpretazione estensiva dell’art. 3, L. n. 280/07, rubricato:

“norme sulla giurisdizione e disciplina transitoria”.

Al comma 4, unico riservato alla disciplina transitoria, l’articolo sopra citato così recita: “le

norme di cui ai commi 1, 2 e 3 (sulla competenza territoriale esclusiva del T.A.R. Lazio, ndr) si

applicano anche ai processi in corso e l’efficacia delle misure cautelari emanate da un tribunale

amministrativo diverso da quello di cui al comma 2 è sospesa fino alla conferma, modifica o revoca

da parte del tribunale amministrativo regionale del Lazio con sede in Roma, cui la parte

interessata può riproporre il ricorso e l’istanza cautelare entro il termine di cui all’art. 31, comma

undicesimo, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, decorrente dalla data di entrata in vigore del

presente decreto e ridotto della metà”.

Evidentemente, a dispetto del tenore letterale, la F.I.G.C. ritiene che il dettato normativo

possa applicarsi ad ogni controversia soggetta alla legge medesima.

Ciò che pare sinceramente incredibile non è che la difesa della F.I.G.C. abbia tentato di

fuggire dal T.A.R. siciliano. Piuttosto, ciò che è incredibile è che il T.A.R. del Lazio, nella Sezione

terza ter, specializzata in materia sportiva, abbia aderito a una così avventurosa interpretazione,

sviluppando una serie di criticabilissime argomentazioni.

In particolare, il T.A.R. capitolino valuta ammissibile l’atto di riproposizione in riassunzione,

ritenendo che la disciplina contemplata nell’art. 3, ultimo comma, della L. 280/2003, “sia pur

espressamente per la fase transitoria” sarebbe espressione di “un principio di carattere generale”

teso ad accentrare tutte le controversie sportive presso la competenza del T.A.R. di Roma. Come

tale, stante la sua generalità, il principio deve intendersi – estensivamente - applicabile a tutte le

controversie in subjecta materia, qualora proposte avanti a Giudice incompetente.

Ulteriormente argomentando, il Tribunale supera anche l’obiezione – logica – secondo cui

legittimato alla riassunzione, dal tenore della norma, sarebbe esclusivamente il ricorrente, ritenendo

che la ratio della disciplina conduca piuttosto alla legittimazione di ogni parte interessata, sempre in

virtù dei “generalissimi principi” (!) difesi della norma transitoria.

NOTE A SENTENZA143

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Raggiunte tali certezze, la pronuncia brevemente rammenta come la L. n. 280/2003 preveda la

giurisdizione esclusiva del Tribunale Amministrativo per tutti gli atti emanati da CONI e

Federazioni nazionali i quali non esauriscano la loro incidenza “nell’ambito strettamente sportivo,

ma rifluiscano nell’ordinamento generale dello Stato”. In tal modo, si raggiunge un duplice

obiettivo: da un lato, viene rafforzata l’estensiva giurisprudenza attuale per cui le Federazioni

Sportive, quali organi del C.O.N.I., operano alla stregua di enti pubblici nella maggior parte delle

loro attività (con buona pace dell’art. 2, legg. b, L. 280/2003, in punto di materie riservate

all’autonomia sportiva9); dall’altro, la “oggettività” del criterio di applicazione, legato alla natura

degli atti impugnati, condivisibilmente priva di rilevanza giuridica il fatto che i ricorrenti non siano

tesserati.

Sgombrato il campo dalle questioni in rito, il merito della vicenda viene affrontato in poche

righe, nelle quali sono sostanzialmente difese le motivazioni del Giudice Sportivo, sulla

considerazione che i fatti violenti del 2 febbraio 2007 abbiano avuto unicità dinamica e

programmatica tale da impedire una chiara scissione tra gli accadimenti esterni e quelli interni

all’impianto sportivo. Si badi bene, anche in questo caso non è invocata l’autonomia

dell’ordinamento sportivo: piuttosto, la corte amministrativa giudica sul merito della vicenda,

giungendo alle medesime conclusioni dei tribunali federali.

Tutto ciò premesso, il T.A.R. Lazio conclude per una valutazione preliminare di infondatezza

del ricorso depositato dal sig. Pennisi e altri, con conseguente reiezione delle domande cautelari

avanzate.

3 ) La sentenza n. 679/07 del T.A.R. Sicilia – Catania

Come pronosticabile, la partita non è finita.

A tempo di record, il 13 aprile 2007 il T.A.R. Sicilia-Catania celebra l’udienza di discussione

dell’istanza cautelare. All’esito dell’audizione delle parti, il Tribunale, applicando gli artt. 21 e 26,

L. 6 dicembre 1971, n. 1034, ritenuta la completezza del contraddittorio e dell’istruttoria, assieme

alla domanda cautelare decide del merito, depositando la relativa e definitiva pronuncia in data 19

aprile 2007.

9 La giurisprudenza è costante sul punto (a titolo esemplificativo, T.A.R. Lazio, Sez. III, 22 agosto 2006 ord. n. 4666 e anche il recente T.A.R. Lazio, Sez. III, 21 giugno 2007, sent. n. 5645). Va da sé come, nel caso di società professionistiche – e comunque di buon livello dilettantistico – qualsiasi provvedimento disciplinare eccedente le giornate di squalifica di un atleta produca una lesione economicamente apprezzabile e, dunque, sfugga nelle sue conseguenze all’ambito meramente sportivo.

NOTE A SENTENZA144

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Ricapitolando, in meno di un mese la vicenda ha ottenuto tre pronunce di tre differenti

Giudici, delle quali una conclusiva di un intero grado di giudizio.

A ogni operatore del diritto – che si scontra ogni giorno con i tempi della giustizia –

l’appropriato commento.

La sentenza conferma la decisione provvisoria del Presidente, e, con toni didascalici,

ripercorre la vicenda e tenta di costituire una giurisprudenza autorevole. Tuttavia, molti dubbi

permangono sulla correttezza delle argomentazioni.

Difatti, la pronuncia preliminarmente aderisce all’interpretazione circa la giurisdizione

esclusiva amministrativa in materia sportiva (con applicazione dell’art. 3, L. 280/2003), con

riguardo all’atto impugnato.

Come usuale nelle recenti sentenze analoghe, ne verbum quidem circa l’effettiva natura

amministrativa dell’atto impugnato e, anche, dell’ente emanante. Come spesso accaduto, il

Tribunali Amministrativi by-passano allegramente la questione circa la natura delle Federazioni

Sportive, pur essendo queste, a seguito della c.d. “riforma Melandri”10, divenute associazioni non

riconosciute di diritto privato: allo stato, la valenza pubblicistica ha ormai inglobato tutte le attività

federali, talché le Corti amministrative neppure si prendono la briga di motivare le ragioni della loro

“invadenza”.

Tuttavia, la pronuncia si distacca dalla corrente interpretazione con riferimento alla

competenza territoriale esclusiva, dettata dal medesimo articolo.

Difatti, la Corte catanese ritiene che, laddove i ricorrenti non siano tesserati o, comunque,

appartenenti all’agonismo programmatico delle Federazioni, questi non siano soggetti alla

competenza territoriale esclusiva del T.A.R. Lazio (con disapplicazione dell’art. 3, L. 280/2003).

Il passaggio è nebuloso, e si limita ad affermare la presenza, in capo agli ottantadue catanesi,

di un chiaro diritto soggettivo (recte, diritto relativo di credito) alla tutela del proprio contratto di

abbonamento per le partite interne della prima squadra ed anche di un “interesse legittimo” (sic!)

alla regolarità dell’amministrazione federale in capo al tifoso-abbonato, che li legittimerebbe ad

adire la giustizia amministrativa.

10 Il riferimento è all’art. 15 del D.Lgs. 23 luglio 1999 n. 242, come modificato dall’art. 1, Decreto Legislativo 8 gennaio 2004, n. 15: “1. Le federazioni sportive nazionali e le discipline sportive associate svolgono l’attività sportiva in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi del CIO, delle federazioni internazionali e del CONI, anche in considerazione della valenza pubblicistica di specifiche tipologie di attività individuate nello statuto del CONI…(omissis) 2. le federazioni sportive nazionali e le discipline associate hanno natura di associazione con personalità giuridica di diritto privato. Esse non perseguono fini di lucro e sono soggette, per quanto non espressamente previsto nel presente decreto, alla disciplina del codice civile e delle relative disposizioni di attuazione.”

NOTE A SENTENZA145

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La crisi del calcio…

Tuttavia, il Tribunale sostiene che la competenza territoriale esclusiva, ex art. 3, L. 280/2003,

deriverebbe in via preminente dalla sola “pregiudiziale sportiva” (ovverosia, l’obbligo dei tesserati

di percorrere tutte le fasi della giustizia endo-ordinamentale). Tale istituto, logicamente, è valido per

i soli appartenenti all’ordinamento settoriale e, non operando per ogni quisque de populo, non

potrebbe giustificare l’attrazione delle controversie introdotte da un non tesserato nella conoscenza

del Tribunale romano, con deroga al generale principio di competenza per il T.A.R. del luogo nel

quale il provvedimento da impugnare ha prodotto l’effetto lesivo.

Il ragionamento appare invero cavilloso, e poco rispondente alla ratio della normativa.

La competenza territoriale, difatti, non può derivare soltanto dalla c.d. “pregiudiziale

sportiva”, quanto, piuttosto, da una valutazione circa la natura centralistica dello sport – ed anche

dall’opportunità di creare una Corte specializzata11. Scarso valore hanno i richiami ai generali

principi di competenza interni al processo amministrativo, non essendo certo questi inderogabili.

Meno complesso, per la sentenza, è far strame della contraria pronuncia romana, laddove

viene applicata la norma transitoria sulla riproposizione delle domande cautelari ad oltre tre anni

dall’entrata in vigore della legge: l’evidente inconciliabilità del tenore letterale del testo con ogni

interpretazione differente, ad anche l’inconciliabilità dell’istituto con il concorrente, e non derogato,

regolamento di competenza, unico mezzo di risoluzione di tali conflitti aderente alle norme

processuali, appaiono sufficienti sostegni per la negazione di ogni possibilità di “fuga” da parte

della F.I.G.C. nei casi di asserita violazione delle norme sulla giustizia sportiva.

Per quel che riguarda il merito, il Tribunale catanese si esprime in modo chiaro: secondo il

giudicante, l’ipotesi della responsabilità oggettiva, per configurarsi come legittimo, anche alla

lettura delle norme sportive, e non incorrere nella violazione del più generale principio di

personalità della pena, deve esser ancorato a due requisiti specifici: “deve esser rinvenibile un nesso

di causalità materiale tra condotta ed evento dannoso” e l’agente “deve aver volontariamente

tenuto una condotta che di per sé costituisce illecito”.

Nel caso di specie, non vi sarebbe niente di tutto questo, poiché nessuna azione od omissione

specifica viene imputata alla Catania Calcio S.p.A.; vieppiù, le azioni delinquenziali sarebbero

avvenute esclusivamente fuori dello Stadio, senza che gli atti vandalici dell’interno possano esser

considerati “causali” degli stessi (sic!): in tal senso, anche la responsabilità c.d. “automatica” (sic!)

di cui al Codice di Giustizia Sportiva sarebbe mal richiamato.

11 Sul punto, E. Lubrano, La giurisdizione amministrativa in materia sportiva dopo la legge n. 17 ottobre 2003 n. 280, in P. Moro, A. De Silvestri, E. Crocetti Bernardi, E. Lubrano, La Giustizia Sportiva, cit., 176-177.

NOTE A SENTENZA146

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La crisi del calcio…

Per tutti questi motivi, il Tribunale etneo arriva all’annullamento della sanzione impugnata, ed

anche alla condanna della F.I.G.C. al rimborso ai tifosi ricorrenti della quota-parte del costo

dell’abbonamento relativo alle partite non godute, nonché al pagamento dell’ulteriore somma di

€ 500,00 pro capite a titolo di risarcimento del danno esistenziale e all’immagine, all’onore e al

decoro patito dagli stessi, quantificato in via equitativa ai sensi dell’art. 1226 del codice civile.

Per non perdere ulteriore tempo – dando prova di una dedizione davvero eccezionale – il

Presidente della quarta sezione nomina il 19 aprile stesso, con il decreto n. 5, tre commissari ad

acta al fine di eseguire la sentenza, con ciò ritenendo di aver messo la resistente, in modo definitivo,

“alle corde”.

I postfatti:

La questione pare avviarsi, all’epoca, verso un’ennesima battaglia giudiziaria e, invece, il

“deus ex machina” è in agguato, sotto forma del Prefetto di Catania. Il rappresentante locale del

Governo, difatti, comunica celermente ad un Commissario ad acta che lo Stadio “A. Massimino”

non è agibile per la gara Catania-Ascoli del 22 aprile 2007, oltre che trovarsi sotto sequestro

giudiziario; in tal modo viene consentita, nel rispetto della legge, la disputa della gara sopra

menzionata, a distanza di dieci giorni dalla data stabilita, su campo neutro (Verona).

La soluzione di compromesso, però, è nell’aria e così, sulla scia del sig. Pennisi e company, il

Catania Calcio S.p.A. torna in gioco e, nell’udienza di conciliazione avanti alla Camera di

Conciliazione e Arbitrato del C.O.N.I., in data 8 maggio 2007, la questione si chiude con un

accordo laconico tra società e Federazione, secondo il quale la squalifica irrogata viene modificata

ed è annullato l’obbligo di porte chiuse per le ultime gare di Campionato. Per questa ragione, la

prima squadra del Catania può giocare le rimanenti partite casalinghe in campo neutro (d’altronde,

lo Stadio “A. Massimino” non è agibile e si trova sotto sequestro), ma con il supporto del pubblico.

E questa, davvero, è la parola fine.

NOTE A SENTENZA147

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La crisi del calcio…

Conclusioni

Ben poco c’è da aggiungere alla croni-storia della vicenda, e all’analisi delle sentenze. Il

giuoco del calcio, come al solito, è riuscito a dimostrare la propria importanza assoluta nella società

italiana, tale da ottenere in meno di venti giorni tre pronunce giurisprudenziali, la nomina di

commissari ad acta e l’intervento di Commissioni, Parlamenti, Prefetti e quant’altro.

Il tutto, a seguito di una tragedia che non avrebbe meritato questo epilogo, con la

dimostrazione che, al di là dell’accordo nei lamenti funebri, manca troppo spesso la concordia, pur

nelle emergenze.

Quel che resta, per un operatore del settore, delle sentenze in esame, è presto detto:

I) la certezza ormai granitica che la Legge n. 280/2003 non ha, nei fatti, modificato granché il

quadro giurisprudenziale, poiché ogni atto interno all’ordinamento può esser sindacato dalle Corti

statali qualora abbia una conseguenza “esterna” all’ambito puramente sportivo (ma qual è, l’ambito

“puramente sportivo”?)12;

II) l’analoga certezza che i Tribunali Amministrativi considerino di loro competenza l’intera

materia sportiva, senza eccezioni, e che ogni T.A.R. con facilità giunge ad attrarre nella valenza

pubblica qualsivoglia aspetto dell’attività federale;

III) il fastidioso presentimento che neppure l’art. 3, L. 280/2003, nello sforzo di stabilire un

criterio di competenza territoriale interna alla giurisdizione amministrativa per la materia sportiva,

riesca a superare indenne la radiografia giurisprudenziale, mentre riemergono le spinte “federaliste”

dei T.A.R. locali;

IV) il sorgere di un nuovo, inalienabile, diritto della personalità: ovverosia, il diritto del

cittadino a tifare dentro lo Stadio, con ogni conseguenze del caso in ordine alla regolarità della sua

esistenza, alla sua dignità e al suo decoro nel caso di impedimento illegittimo.

Con riferimento a ques’ultimo aspetto, sarebbe interessante comprendere quanto simile diritto

sia compatibile con la giurisprudenza e la dottrina più morigerate in tema di danno esistenziale, ma

la brevità connaturata a queste note non lo consentono, e si lascia l’argomento alla buona volontà

dei lettori.

12 Per approfondire l’argomento, e per una critica più esaustiva alla Legge n. 280/2003, P. Moro, A. De Silvestri, E. Crocetti Bernardi, E. Lubrano, La Giustizia Sportiva, cit.

NOTE A SENTENZA148

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La crisi del calcio…

Piuttosto, altre considerazioni vi sarebbero sugli insegnamenti che i fatti del “Massimino”

avrebbero dovuto trasmettere al mondo del calcio. Ma, anche in questo caso, l’attuale non è la sede

più opportuna.

(*) avvocato fiduciario AIC ed esperto in diritti televisivi

NOTE A SENTENZA149

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PARTE TERZAGIURISPRUDENZA

SOMMARIO:

IL CASO LORBEK, Camera di conciliazione e arbitrato del CONI lodo 11 maggio 2007

pag.151

REGOLAMENTO AGENTI DI CALCIATORI, Tar Lazio, sez. III ter, ordinanza 19 luglio 2007

pag.166

150

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Camera di conciliazione…

CAMERA DI CONCILIAZIONE E ARBITRATO PER LO SPORT

I L C O L L E G I O A R B I T R A L E

On. Prof. Avv. Pier Luigi Ronzan, i Prof. Avv. Maurizio Benincasa, Avv. Guido Cecinelli

Prof. Marcello Foschini, Prof. Avv. Luigi Fumagalli, nominato ai sensi dell’art. 13.4 del

Regolamento della Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport, riunito in conferenza personale

in data 11 maggio 2007, presso la sede dell’arbitrato, in Roma

ha deliberato all’unanimità il seguente

L O D O

nel procedimento di arbitrato (n. 0787 del 23 aprile 2007) promosso da:

Pallacanestro Treviso S.p.a., in persona del suo Presidente, Giorgio Buzzavo, rappresentata e

difesa dall’Avv. Antonino De Silvestri e dall’avv. Franco Coppi ed elettivamente domiciliata presso

lo studio di quest’ultimo in Roma, al Viale Bruno Buozzi n. 3, giusta delega in calce all’istanza di

arbitrato datata 20 aprile 2007; ricorrente

CONTRO

Federazione Italiana Pallacanestro, con sede in Roma, Via Vitorchiano n. 113, in persona del

Legale Rappresentante , il Presidente Federale Prof. Fausto Maifredi, rappresentata e difesa dagli

avv.ti Prof. Guido Valori e avv. Paola M.A. Vaccaro ed elettivamente domiciliata presso lo studio

dei medesimi in Roma, Viale delle Milizie n. 106, giusta delega allegata alla memoria di

costituzione e risposta datata 26.04.2007 ; resistente

IL COLLEGIO

vista l’istanza arbitrale del ricorrente e le relative domande, tese all’annullamento della

decisione in data 27 marzo 2007 con cui la Corte Federale della FIP ha irrogato a Pallacanestro

Treviso s.p.a. la sanzione della penalizzazione di n. 15 punti in classifica nella corrente stagione

sportiva ex art. 44 del Regolamento di Giustizia della FIP (R.G.);

GIURISPRUDENZA151

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Camera di conciliazione…

viste le richieste e le memorie della resistente e le relative conclusioni, che chiedono la

reiezione del ricorso con la conferma dei provvedimenti endofederali impugnati;

ritenuta l’ammissibilità del ricorso e la sussistenza della competenza del Collegio Arbitrale a

conoscere delle domande proposte, essendo soddisfatte tutte le condizioni a tal riguardo previste,

poiché si è infruttuosamente esperito il procedimento di conciliazione disciplinato dagli artt. 3 ss.

del Regolamento della Camera, chiuso con verbale del 16 aprile 2007;

affermato il potere di piena cognizione sulla controversia in ragione del carattere devolutivo

del giudizio arbitrale atteso che il Regolamento conferisce all’organo arbitrale un potere di integrale

riesame del merito della controversia, senza subire limitazioni se non quelle derivanti dal principio

della domanda e dai quesiti ad esso proposti dalle parti, con la conseguenza che di fronte al Collegio

arbitrale sono deducibili questioni attinenti non solo alla “legittimità” ma anche al “merito” della

decisione impugnata;

ritenuto che sia esclusa qualsiasi valutazione in termini equitativi o di clemenza per il solo

fatto della proposizione di istanza arbitrale;

acquisiti ed esaminati gli atti e i documenti tutti riversati nel procedimento endofederale;

OSSERVA

1. La ricostruzione dei fatti, peraltro non oggetto di contestazione ad opera delle parti, sulla

base delle risultanze probatorie conduce a sottolineare:

che in data 15.11.2006 la Pallacanestro Treviso s.p.a. stipulava con l’atleta Cuccarolo, giovane

di serie, un contratto professionistico e che lo stesso, successivamente a tale data, veniva iscritto a

referto per numerose partite fino a quella del 7.1.2007;

che la Pallacanestro Treviso stipulava il 4.1.2007 con l’atleta Lorbek un contratto

professionistico e lo stesso giocatore in data 7.1.2007

.veniva iscritto a referto, partecipando a n. 5 gare a partire da quella del 7.1.2007;

che detto atleta veniva a costituire il 19° giocatore professionisti, andando oltre il numero di

18 atleti professionisti iscrivibili a referto durante il corso di un campionato ex art. 1 del

Regolamento Esecutivo

.– Settore Professionistico della FIP (R.E.), norma inderogabile;

che successivamente a tali eventi il team manager della squadra, Andrea Cirelli incontrava il

Signor Zanetti, Segretario della Lega Basket Serie A (in un bar, cioè al di fuori della sede legale),

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Camera di conciliazione…

consegnando a questi una lettera retrodatata (17.11.2006) che accompagnava un modello di

risoluzione del contratto professionistico sottoscritto dall’atleta Cuccarolo e dalla stessa società ed

avente data 16.11.2006; documenti che lo Zanetti riceveva dal Cirelli e ne attestava la loro ricezione

in Lega, apponendo timbro e data anch’essa “antedatati” al 17.11.2006;

che detti documenti non venivano inseriti nel fascicolo del giocatore Cuccarolo, ma tenuti in

un “cassetto” dallo Zanetti, senza che costui desse alcuna comunicazione della circostanza alla FIP;

che la mancata comunicazione alla FIP da parte dello Zanetti faceva permanere il Cuccarolo

ufficialmente come atleta professionista, più volte iscritto a referto e che lo stesso veniva ad essere

retribuito come professionista fino al mese di febbraio 2007;

Le osservazioni del Collegio, dunque, devono essere svolte in riferimento a tali fatti.

2.1 Peraltro vanno innanzitutto prese in considerazione le questioni sollevate dal ricorrente

avente carattere pregiudiziale di rito.

Pallacanestro Treviso ha chiesto al Collegio Arbitrale di «[…] in via preliminare, fornire

l’interpretazione autentica dell’art. 1, comma 3, R.E. del Settore Professionistico della FIP,

valutando, altresì la legittimità del divieto di impiego del cestista Lorbek disposto dalla FIP e

comunicato alla Pallacanestro Treviso in data 23.2.2007 […]».

La domanda è inammissibile.

Il Collegio osserva, al riguardo che, a’ sensi dell’art. 3 del Regolamento della Camera di

Conciliazione e Arbitrato per lo Sport, la richiesta di parere – nell’ambito della funzione consultiva

della Camera – può essere formulata dal Consiglio Nazionale, dalla Giunta Nazionale, dal

Presidente e dal Segretario Generale del Coni nonché da una Federazione sportiva nazionale (cfr.

art. 3, comma 4° Reg. ).

Inoltre, la funzione consultiva non può essere svolta dalla Camera con riferimento a « […]

una controversia in atto per la quale sia stata avviata una procedura prevista dal Titolo III [id est,

Conciliazione] o dal Titolo IV [id est, Arbitrato] del presente Regolamento […]» (cfr. art. 3, comma

7° Reg.).

Evidentemente, per un verso e sotto il profilo soggettivo, la Pallacanestro Treviso non appare

legittimata a chiedere la pronuncia di un parere della Camera nell’ambito della funzione consultiva.

Per altro verso, e sotto il profilo oggettivo, è preclusa la richiesta de qua, considerando che,

nel caso di specie, è in atto la controversia per la cui decisione, almeno astrattamente, si rende

necessario procedere all’interpretazione della norma su cui dovrebbe essere espresso il parere.

GIURISPRUDENZA153

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Camera di conciliazione…

2.2 Pallacanestro Treviso deduce che la Corte Federale avrebbe «[…]

operato una immutazione del fatto contestato, in violazione del principio di correlazione fra

incolpazione e decisione ricavabile dall’art. 46, comma 3, nonché dall’art. 47, comma 3, R.G. FIP

[…]». In particolare, si evidenzia che il capo di incolpazione farebbe ambiguo riferimento sia al

tentativo che alla consumazione della frode sportiva, « […] ma non anche alla frode sportiva

consumata aggravata […]». La decisione di primo grado avrebbe riconosciuto solo la frode sportiva

tentata. La Procura federale avrebbe impugnato tale decisione solo in ordine all’entità della

sanzione, senza svolgere censure in ordine al riconoscimento del tentativo, né chiedendo il

riconoscimento della frode consumata aggravata. La Corte Federale, invece, avrebbe riconosciuto

quest’ultima ipotesi «[…] con ciò immutando il fatto oggetto di contestazione […]».

In primo luogo, il Collegio sottolinea come dal carattere devolutivo dell’impugnazione

proposta e dalla piena cognizione della controversia spettante a questo Collegio arbitrale

deriverebbe l’assorbimento della censura svolta dal ricorrente, poiché lo svolgimento dell’arbitrato

ha consentito, nel pieno rispetto del contraddittorio e dei diritti della difesa, il pieno esame della

controversia.

In ogni caso la censura non è accoglibile.

Già ad un mero esame testuale, il capo di incolpazione evidenzia che la Procura Federale ha

inteso contestare al Cirelli (e all’odierna istante per gli effetti di cui all’art. 44 R.G.) la violazione

dell’art. 43 R.G., ipotizzando sia la frode sportiva consumata che la minore figura del tentativo.

Depone in questa direzione la formula, richiamata anche dalla difesa di Pallacanestro Treviso, «[…]

alterando o tentando di alterare […]».

Volgendo l’attenzione alla decisione della Commissione Giudicante Nazionale si legge,

innanzitutto, l’affermazione «[…] che il fatto appare senz’altro sussumibile nell’ipotesi di cui alla

lettera c) del primo comma dell’art. 43 del R.G. […]». Si aggiunge, poi, in sede di determinazione

della sanzione a carico del Cirelli che a tal fine occorre considerare « […]

quanto previsto all’art. 43, comma 2 R.G. per le fattispecie a livello di tentativo […]».

È evidente, pertanto, che nessuna soluzione di continuità è rinvenibile tra il capo di

incolpazione e la decisione della Commissione Giudicante Nazionale avendo, il primo, ipotizzato

sia la frode consumata che quella meramente tentata e, la seconda, affermato quest’ultima,

esclusivamente nella valutazione quoad poenam.

GIURISPRUDENZA154

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Camera di conciliazione…

Ad analoga conclusione si deve attingere per la decisone della Corte Federale che, per le

ragioni che si esporranno, non ha immutato il capo di incolpazione.

In almeno due eloquenti passaggi della motivazione della decisione della Corte Federale si

legge che la fattispecie nell’ambito della quale è stata sussunta la condotta del Cirelli è quella di cui

all’art. 43, 1° comma, lett. c) del R.G. e, cioè, la frode sportiva consumata.

Si afferma, infatti, che risulta dimostrata « […] con assoluta tranquillità, la piena ricorrenza,

nel caso, di un atto di frode sportiva ai sensi dell’art. 43, comma 1 lettera c) R.G. […]»; e, ancora,

« […] sussiste, dunque, la violazione dell’art. 43, comma 1 lettera c) R.G., con ciò respingendosi

ogni diversa valutazione e derubricazione richiesta dalle difese […]». Né, infine, risulta una diversa

determinazione nell’ambito del dispositivo.

Il tema dell’aggravamento entra nell’iter logico della Corte Federale solo al momento della

determinazione della sanzione a carico del Cirelli e di Pallacanestro Treviso in una prospettiva,

tuttavia, che il Collegio reputa diversa da quella sostenuta dalla difesa dell’istante e che consente di

poter negare un’immutazione tra il capo di incolpazione e la decisione di secondo grado.

Infatti, per quanto concerne il Cirelli, la Corte Federale, contrariamente a quanto sostenuto da

Pallacanestro Treviso, non ha applicato l’ultimo comma dell’art. 43 R.G. poiché, altrimenti, avrebbe

dovuto disporre la radiazione del tesserato. Il riferimento alla frode consumata aggravata punita con

la radiazione rappresenta un mero obiter dictum.

La decisione, ha, invece fatto applicazione solo dell’art. 43, comma 1, lett. c) R.G. e, nella

scelta tra la misura minima (3 anni) e quella massima (5 anni), ha optato per quest’ultima che,

comunque, rimane la sanzione della frode sportiva consumata. La frode sportiva consumata

aggravata di cui all’art. 43 u.c. R.G. è solo quella che venga punita con la radiazione del tesserato.

Alla luce di quanto finora esposto, il Collegio reputa che anche tra la decisione della Corte

Federale e il contenuto del capo di incolpazione non sia rinvenibile alcuna immutazione, trattandosi,

comunque di (prospettata e affermata) applicazione dell’art. 43, 1 comma, lett. c) R.G. e, cioè, di

frode sportiva sportiva a consumazione anticipata.

Per quanto concerne Pallacanestro Treviso il Collegio osserva che sia nel capo di

incolpazione, sia nella decisione della Commissione Giudicante Nazionale, sia, infine, in quella

della Corte Federale la norma richiamata e applicata è stata sempre quella di cui all’art. 44 R.G., la

quale non pone limiti massimi alla misura della sanzione per responsabilità oggettiva, ma si limita

ad indicare quali criteri per la quantificazione quello della gravità degli atti (di frode sportiva) e dei

danni da essi cagionati all’immagine del movimento cestistico nazionale. Anche sotto tale profilo,

GIURISPRUDENZA155

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Camera di conciliazione…

dunque, nessuna illecita immutazione appare essere stata commessa in danno dell’odierna

ricorrente.

2.3 Pallacanestro Treviso denuncia poi la violazione del divieto di reformatio in peius che

inferisce dall’art. 73 R.G.

Fermo quanto già esposto in relazione alla natura devolutiva del presente giudizio, occorre

preliminarmente richiamare il tenore dell’art. 73 del Regolamento di Giustizia il quale dispone che

« […] Le sanzioni disciplinari non possono essere riformate in pejus in secondo grado nel caso in

cui la Procura Federale non abbia proposto impugnazione […]».

L’istante deduce, da un lato, che la Procura Federale, nel ricorso in appello, non « […] ha

esplicitamente messo in discussione, facendone oggetto di uno specifico motivo di doglianza, la

qualificazione in termini di “frode sportiva tentata” data alla condotta del Cirelli dalla Commissione

Giudicante Nazionale […]». Dall’altro, che «[…] Se infatti nel ricorso in appello del Procuratore

Federale, non è dato individuare alcuna richiesta di riqualificazione del fatto nei termini di cui

all’art. 43, comma 2, prima parte R.G., tanto meno è ovviamente possibile individuare una richiesta

di applicazione dell’aggravante di cui all’art. 43, comma 3, R.G. FIP, peraltro mai contestata in

precedenza […]».

Anche questa censura non può essere accolta.

Quanto al primo aspetto, il Collegio osserva, richiamando quanto già esposto, che il

riferimento al tentativo, contenuto nella decisione di primo grado, è stato operato dai giudici al fine

della determinazione della sanzione; pertanto, l’impugnazione che abbia ad oggetto la misura della

sanzione – considerate le peculiarità dell’ordinamento sportivo – involge anche la censura

sull’affermazione dell’ipotesi minore del tentativo.

Per quanto concerne il secondo profilo della censura della Pallacanestro Treviso, il Collegio

ha già chiarito l’estraneità all’iter logico della decisione della Corte Federale della disposizione di

cui all’art. 43 u.c. R.G.; sicché, nessuna reformatio in pejus è configurabile essendo rimasta,

comunque, anche la decisione di secondo grado nell’alveo della frode sportiva consumata di cui

all’art. 43, 1 comma, lett. c) del Regolamento di Giustizia.

3. La vicenda si presta ad agevole valutazione secondo un’analisi logica e oggettiva dei

comportamenti emersi a seguito dell’istruttoria. E a tali comportamenti, quali ascrivibili al Cirelli,

occorre fare riferimento, per poi trarre le conseguenze in punto di responsabilità della odierna

istante.

GIURISPRUDENZA156

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Camera di conciliazione…

La Società sportiva Pallacanestro Treviso tra novembre 2006 e gennaio 2007 si rivolge al

mercato per ingaggiare atleti di qualità. Senonché, raggiunto il numero massimo di atleti

professionisti (18) consentiti dalla disciplina federale, ingaggia ancora il giocatore professionista

Lorbek. Si crea, quindi, la necessità di espungere un nominativo dall’elenco dei giocatori

professionisti già sotto contratto.

La sola strategia realisticamente praticabile per raggiungere tale obiettivo è quella di

“declassificare” un giovane neo-professionista, individuato nella persona del Cuccarolo, al

pregresso status di giovane di serie, così da liberare un posto per il nuovo atleta di maggior talento.

Trattasi, di per sé, di un fine antisportivo, in quanto è palesemente contrario al principio di

lealtà sportiva cercare di modificare, a campionato in corso, la forza di gioco di una squadra

attraverso una procedura (la declassificazione di Cuccarolo) non consentita dalla disciplina federale

e per di più “gestita” in proprio dalla Società, ossia in assenza di trasparenza nei confronti della

Federazione, della Lega e delle altre Società concorrenti e controinteressate.

La finalizzazione della condotta del Cirelli – dirigente della Società preposto al mercato e ai

contratti con gli atleti – al conseguimento di tale obiettivo antisportivo si evince, invero, da

molteplici elementi indiziari, la cui univocità è dimostrata a contrariis dall’assoluta incoerenza dei

comportamenti dello stesso Cirelli laddove valutati, per ipotesi, secondo criterio di buona fede.

Difatti, premesso che la falsificazione dell’attestazione di deposito in Lega della dichiarazione

di risoluzione del contratto Cuccarolo costituisce un fatto storico confessato in corso di istruttoria

sia dallo Zanetti che dal Cirelli; tale comportamento poteva avere un senso solo nell’ottica di un

ripensamento tardivo rispetto all’inquadramento contrattuale e regolamentare del giocatore

Cuccarolo, giacché, qualora tale atto risolutivo, per quanto stravagante nei suoi contenuti giuridici,

fosse stato realmente coevo al contratto di ingaggio del Cuccarolo come professionista, non vi

sarebbe stata ragione logica o di ordine pratico per non depositarlo in Lega al momento della sua

redazione, unitamente al contratto stesso.

Anzi: in tal caso, lo stesso deposito del contratto di ingaggio come professionista non avrebbe

avuto alcun senso, essendo esso posto nel nulla da un accordo contestuale di segno esattamente

contrario.

Mentre, nel caso in cui tra le parti di quel contratto vi fosse stata ab origine la riserva mentale

in ordine alla sua effettiva validità – ossia accettandosi reciprocamente l’eventualità che ci si

potesse avvalere, alla bisogna, del patto contrario di risoluzione – tale intesa sarebbe, comunque,

GIURISPRUDENZA157

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Camera di conciliazione…

stata priva di validità e/o manifestamente illecita, in quanto strumentale alla preordinazione di un

meccanismo in frode della disciplina federale sui tesseramenti.

Ma persino nell’assurda ipotesi in cui tale dichiarazione risolutiva fosse stata redatta

contestualmente al contratto (15 novembre 2006), va da sé che l’omissione del suo deposito in

Lega, fors’anche per dimenticanza o caso fortuito, avrebbe comunque prodotto l’effetto irreversibile

di consolidare il novero dei 18 giocatori professionisti tesserati dalla Pallanestro Treviso –

Cuccarolo compreso – inibendo al Cirelli di agire per rimediare ex post al suo errore.

In conclusione, da ciò si ricava che è proprio la tardività del deposito in Lega della

dichiarazione di risoluzione che manifesta la consapevolezza del Cirelli di muoversi al di fuori del

lecito sportivo, e ciò a prescindere dall’accertamento dell’epoca in cui tale dichiarazione venne

materialmente redatta: nel senso che, comunque, Cirelli non avrebbe mai potuto legittimamente

avvalersi di tale dichiarazione in quanto intrinsecamente contraria ai precetti federali in materia di

contratti e ai principi fondamentali di lealtà sportiva di cui all’art. 2 del R.G. della FIP.

Né, d’altro canto, il Cirelli può seriamente invocare la sua buona fede asserendo di aver male

interpretato la normativa in tema di tesseramenti dei c.d. “giovani di serie”. Difatti, se egli fosse

stato realmente convinto che un giovane di serie conservasse il suo status (e quindi non dovesse

essere conteggiato nei 18) anche dopo la sottoscrizione di un contratto da professionista, non vi

sarebbe stata, da tale prospettiva, alcuna necessità né di escludere Cuccarolo dalla rosa per far

spazio a Lorbek (cosa avvenuta a partire dalla gara del 10.1.2007), né di depositare in Lega

(retrodatandola) la dichiarazione di risoluzione.

Mentre, qualora in Cirelli vi fosse stato realmente un dubbio interpretativo sulla normativa,

coerenza avrebbe voluto – come giustamente osservato dalla Corte Federale – che il dirigente

disponesse o chiedesse ai vertici della Società di sospendere il tesseramento o quantomeno l’utilizzo

dell’ipotetico 19° atleta (Lorbek) in attesa di un chiarimento da parte degli organi preposti.

È, dunque, proprio l’avvicendamento Cuccarolo/Lorbek ad essere insanabilmente e

ingiustificatamente antisportivo, senza che possano esservi dubbi di sorta in ordine alla

consapevolezza di Cirelli di aver dato vita, con il suo comportamento, alla creazione di una realtà

documentale non corrispondente al vero, eppure rivelatasi idonea a consentire al Lorbek di

partecipare ad almeno alcune partite del nostro massimo campionato di Serie A.

In conclusione deve affermarsi come ampiamente dimostrata, quantomeno da un punto di

vista storico-fattuale, la realizzazione del comportamento addebitato al Cirelli, di talché, a fronte di

un siffatto quadro probatorio univoco e largamente esaustivo, può serenamente affermarsi l’inutilità

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di qualsivoglia attività istruttoria richieste dalla Pallacanestro Treviso, le cui istanze in tal senso

vanno perciò respinte.

4. Occorre ora soffermarsi sulle problematiche di stretto diritto sollevate dalla difesa della

Pallacanestro Treviso.

Accertato il fatto, va esaminata la questione relativa alla sua qualificazione in termini di frode

sportiva consumata o tentata.

L’art. 43, 1° comma, R.G. elenca le quattro ipotesi di frode sportiva, definendo ciascuna di

esse in termini di “atto diretto” al conseguimento di un obiettivo illecito (alterazione di un risultato

di gara ovvero assicurazione di un vantaggio in classifica; elusione delle norme sull’età dei

giocatori delle categorie giovanili; partecipazione all’attività agonistica di un atleta sprovvisto delle

necessarie qualifiche o condizioni, mediante creazione di documentazione falsa; assicurazione di un

illecito vantaggio a un tesserato o a un affiliato).

Il 2° comma del medesimo articolo richiama il concetto di “tentativo”, prevedendo un

trattamento sanzionatorio attenuato:

Il 3° comma, infine, si fa riferimento all’ipotesi di frode sportiva consumata, di particolare

gravità. Da questo assetto normativo, la difesa di Pallacanestro Treviso ha cercato di dare accesso ai

criteri di (in)idoneità del tentativo e di (im)possibilità della frode, onde escludere la responsabilità

del dirigente -e, conseguentemente, della società - sulla scorta dell’affermazione per cui la falsa

retrodatazione del deposito in Lega della dichiarazione di risoluzione del contratto Cuccarolo, da un

lato non avrebbe avuto rilevanza causale rispetto all’andamento delle gare, dall’altro lato avrebbe

semmai integrato un’ipotesi di tentativo di frode mentre, infine, tale condotta sarebbe stata così

maldestramente inefficace rispetto all’obiettivo perseguito da giustificare un’affermazione di

impossibilità dell’illecito.

Questi argomenti trascurano, a parere del Collegio, l’analisi sia testuale che funzionale della

norma di cui al 1° comma dell’art. 43 R.E.

In realtà, le quattro condotte di frode sportiva di cui alla norma in esame sono tutte strutturate

quali ipotesi di illecito a consumazione anticipata, giacché l’evento antisportivo dedotto (alterazione

del risultato di gara, tesseramento illecito dell’atleta in virtù di sue dichiarazioni mendaci sull’età,

falsificazione delle condizioni di partecipazione ecc.) non deve, perché si abbia frode,

necessariamente realizzarsi, essendo sufficiente, ai fini della consumazione dell’illecito, il mero

compimento di un atto diretto al raggiungimento di uno dei predetti scopi fraudolenti.

GIURISPRUDENZA159

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Siffatta configurazione delle fattispecie di frode sportiva in termini di mera condotta non è

affatto preclusiva, come invece afferma l’istante, della possibilità di ravvisare rispetto ad esse il

tentativo.

Si sostiene che la frode sportiva potrebbe dirsi consumata solo in caso di verificazione

dell’evento, poiché se, al contrario, la configurazione della fattispecie fosse in termini di illecito di

mera condotta, non sarebbe ammissibile il tentativo: questo perché, anticipando la soglia della

consumazione alla condotta pura e semplice, si definirebbe una fattispecie di illecito di pericolo; ma

anche il tentativo è, per definizione, un’ipotesi di pericolo, onde per cui il tentativo di un illecito di

mera condotta realizzerebbe il “pericolo di un pericolo”, ossia un assurdo giuridico. Ma, stando così

le cose, la previsione del 2° comma dell’art. 43 (il quale espressamente contempla l’ipotesi di frode

tentata) sarebbe priva di significato giuridico.

In realtà, ciò che non è condivisibile in questa ricostruzione è la premessa su cui si fonda,

ossia che un illecito di mera condotta debba necessariamente essere un illecito di pericolo.

E invece esistono, nell’ordinamento penale, numerosi casi di reati di mera condotta che pure

non sono di pericolo bensì di danno. Tali sono, ad esempio, l’evasione, l’incesto, la violazione di

domicilio, la rissa, la corruzione sia propria che impropria, le falsità in atti.

In questi, come in altri casi, la condotta è connotata da una particolare finalità illecita. Eppure,

si anticipa la soglia della punibilità al momento di realizzazione dell’azione criminosa, a

prescindere dal fatto che se ne consegua il fine.

Non è dunque vero che l’anticipazione della soglia di punibilità alla realizzazione della mera

condotta dia luogo sempre a una fattispecie di pericolo né, ancor meno, che impedisca la

ravvisabilità del tentativo.

Così, considerando le ipotesi di frode sportiva di cui all’art. 43 del R.E. della FIP, nulla vieta

di immaginare l’azione di chi tenti di somministrare, senza riuscirvi, sostanze tossiche ai

componenti di una squadra per alterare il risultato di una gara. In tal caso, laddove l’azione

fraudolenta non venga portata a compimento, si avrà tentativo di frode sportiva. La frode sarà,

invece, consumata qualora la somministrazione del tossico venga eseguita. La verificazione

dell’evento di danno voluto dall’agente (alterazione del risultato della gara) sarà irrilevante rispetto

alla configurazione della frode consumata, potendo costituire, invece, circostanza aggravante (art.

43, 3° comma, R.E.).

Tornando al caso sub judice, proprio il caso di Cirelli, paradossalmente, costituisce un ottimo

esempio di frode sportiva astrattamente suscettibile di rimanere allo stato di tentativo.

GIURISPRUDENZA160

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Se, infatti, Zanetti si fosse rifiutato di apporre la falsa data di deposito sui documenti

presentati dal dirigente della Pallacanestro Treviso, il Cirelli non sarebbe stato in grado di

predisporre quella documentazione artefatta costituente il mezzo di realizzazione della frode di cui

alla lettera c) del primo comma dell’art. 43 R.G.

Davvero, in quel caso, sarebbe allora stato possibile qualificare l’azione del dirigente come

frode tentata. Purtroppo per lui, però, siccome Zanetti accettò la proposta di falsificare l’attestazione

di deposito, l’azione fraudolenta, così come descritta dalla norma, venne perfezionata, essendo stato

inequivocabilmente portato a compimento un atto diretto a consentire la partecipazione del Lorbek

sotto falsa attestazione delle condizioni necessarie per l’iscrizione a referto.

In conclusione, la frode sportiva commessa dal Cirelli non può che essere qualificata come

frode consumata.

5. Altro argomento difensivo è quello concernente l’idoneità della condotta al raggiungimento

dello scopo.

La questione viene proposta sia sotto il profilo del tentativo inidoneo che sotto il profilo

dell’inidoneità dell’azione a ledere il bene protetto (il c.d. principio di offensività).

Posto che nel caso in questione, alla luce di quanto sopra esposto, deve senz’altro parlarsi di

illecito consumato e non certo di un mero tentativo, la prima formulazione dell’eccezione può dirsi

superata.

Quanto, invece, alla questione dell’offensività, essa va valutata tenendo conto di quale sia il

bene protetto dalla norma. Tale bene va individuato muovendo proprio dalla lettura del testo

regolamentare, poiché sono la struttura stessa della fattispecie e il suo contenuto precettivo i soli

parametri tramite i quali eseguire detta operazione ermeneutica.

Negli illeciti di mera condotta, il disvalore sportivo viene individuato dal legislatore federale

nella condotta in sé, in quanto vi è interesse generale non solo a prevenire l’evento di danno ma,

ancor prima, a reprimere taluni comportamenti antisportivi a prescindere dalle loro conseguenze

concrete.

Le norme del Regolamento di Giustizia della FIP di cui all’art. 43 hanno statuito la volontà di

sanzionare i tesserati che si siano resi responsabili di determinate condotte fraudolente in quanto

tali. Il bene protetto, pertanto, va identificato nell’interesse della Federazione a reprimere i

comportamenti fraudolenti anche se essi non abbiano prodotto danno. Ciò, naturalmente,

nell’intento di salvaguardare dal malcostume lo spirito di lealtà e correttezza che debbono ispirare il

comportamento sportivo.

GIURISPRUDENZA161

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Alla luce di quanto precede, è evidente che la condotta del Girelli deve considerarsi, essendo

stata azione di falsificazione proiettata verso un obiettivo antisportivo, certamente lesiva del

suddetto bene e sia ampiamente meritevole di sanzione.

Né, del resto, è possibile affermare che la condotta del Girelli fosse, astrattamente, del tutto

inadeguata all’intento perseguito.

L’inadeguatezza della condotta, difatti, non può essere valutata secondo un giudizio ex post,

giacché altrimenti di processi per frode sportiva non se ne farebbero mai: difatti, il fatto stesso che

una frode sportiva venga scoperta dimostra la fallibilità della condotta prescelta.

Il giudizio di offensività va dunque operato ex ante. E, in questa prospettiva, non possono

esservi dubbi sull’astratta attitudine dell’operato del Cirelli ad ingannare gli organi federali e ad

agevolare la realizzazione e/o la prosecuzione e/o l’occultamento della condotta antisportiva posta

in essere mediante il tesseramento e l’utilizzo di un 19° atleta professionista.

6. Esaminando, ora, più nel dettaglio la specifica posizione della Pallacanestro Treviso, ne va

confermata la responsabilità oggettiva, ex art. 44 R.G., per il comportamento fraudolento del suo

dirigente.

Invero, come ha giustamente osservato la Corte Federale, la formulazione dell’art. 44 non

lascia spazio a difese sostenibili da parte della Società cestistica trevigiana. Difatti, la Società

affiliata risponde oggettivamente degli illeciti posti in essere dai suoi organi dirigenziali, a

prescindere dalla condivisione degli stessi da parte dei vertici societari.

Né, peraltro, è ammessa prova liberatoria, atteso che simile eventualità è riconosciuta

dall’ordinamento della F.I.P. solo rispetto agli illeciti commessi dai sostenitori della società, ma non

anche dai suoi dirigenti e affiliati.

Peraltro non può negarsi come la posizione della Pallacanestro Treviso sia stata tutt’altro che

cristallina. Non vi è dubbio, infatti, che il tesseramento e l’utilizzo del Lorbeck non poté certamente

passare inosservato alla Società ed, anzi, venne da questa sicuramente ponderato, avallato e

deliberato, sia sul piano tecnico-sportivo che su quello finanziario.

Possibile, dunque, che solo l’aspetto giuridico-regolamentare dell’operazione Lorbeck fosse

stato integralmente demandato alla gestione esclusiva del Cirelli, senza che nessuna forma di

controllo o supervisione fosse stata attivata dai vertici della Pallacanestro Treviso?

Dopotutto, si trattava pur sempre di ingaggiare un atleta in corso di stagione, eventualità che

di per sé poneva domande sulla fattibilità dell’acquisto rispetto alle disponibilità della rosa degli

atleti già tesserati.

GIURISPRUDENZA162

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Se così davvero fu, si trattò quantomeno di dimenticanza gravemente colposa, la quale perciò

fa sì che la sanzione alla Società si giustifichi ben oltre il paradigma di imputazione oggettiva di cui

all’art. 44 R.G.

Del resto non va neppure dimenticato che, dalla frode sportiva commessa dal suo dirigente, la

Società si avvantaggiò concretamente mediante l’utilizzo irregolare del Lorbeck in diverse partite. E

se in sé tale condotta non costituisce frode, è anche vero che mai la Società si sarebbe determinata a

tesserare l’atleta sloveno se non avesse ricevuto rassicurazione dal Cirelli circa la regolarità del

tesseramento; ma a sua volta il Cirelli non avrebbe mai potuto fornire tale rassicurazione se non

avesse concepito, prima o dopo il tesseramento non ha importanza, l’idea di aggiustare, facendo

carte false, l’elenco dei 18 professionisti.

In altre parole, la frode sportiva attuata dal Cirelli, oltre ad essere stata quantomeno agevolata

da una mancanza di controllo della Società sul suo operato, si pone in relazione causale con un

concreto vantaggio illecitamente conseguito, sul piano sportivo, dalla Società stessa, sicché a

maggior ragione va negata ogni possibilità per la ricorrente di sottrarsi all’applicazione dell’art. 44

R.G., il quale appare, persino, criterio di imputazione in grado di cogliere e stigmatizzare solo

parzialmente il coinvolgimento della Pallacanestro Treviso nella condotta del suo dirigente.

Pur tuttavia, nella commisurazione della sanzione non può prescindersi dal considerare

positivamente almeno due elementi di attenuazione della responsabilità della Società.

Il primo di essi concerne l’atteggiamento tenuto, sia nell’ambito dei procedimenti disciplinari

che al di fuori di essi, dalla Pallacanestro Treviso, la quale si è da subito distanziata dalle ben

diverse posizioni tenute dal suo ex dirigente, disponendone l’immediato licenziamento e cercando

di riabilitare la propria immagine di entità fattivamente impegnata, nel tessuto sociale in cui opera,

alla formazione e all’avviamento dei giovani allo sport e ai suoi principi etici.

Il secondo concerne l’immagine che la Società trevigiana ha dato di sé a livello sia nazionale

che internazionale, conferendo lustro allo sport italiano senza mai, in passato, incorrere in episodi di

antisportività.

Per tali ragioni, sanzione equa appare quella originariamente inflitta dalla Commissione

Giudicante Nazionale, all’esito del giudizio di primo grado, pari a dodici punti di penalizzazione da

scontarsi nel campionato in corso. Il tutto ferme le qualificazioni sopra formulate in ordine alla

condotta del Cirelli e alla conseguente responsabilità oggettiva di Pallacanestro Treviso.

Tutte le altre domande ed eccezioni devono intendersi assorbite.

GIURISPRUDENZA163

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7. Sussistono i motivi per operare una parziale compensazione delle spese di arbitrato e di lite,

atteso il parziale accoglimento della domanda arbitrale.

P.Q.M.

Il Collegio Arbitrale, definitivamente pronunciando nel contraddittorio delle parti, disattesa

ogni ulteriore istanza anche istruttoria, eccezione e deduzione:

1. In parziale riforma della decisione resa dalla Corte Federale della Federazione Italiana

Pallacanestro (FIP) in data 27 marzo 2007, determina la sanzione della penalizzazione della

Pallacanestro Treviso SpA di 12 punti in classifica nella corrente stagione sportiva ex art. 44,

comma 3 del R.G. FIP;

2. Condanna la Pallacanestro Treviso SpA al pagamento dei 2/3 degli onorari del Collegio

arbitrale e delle spese di arbitrato e la FIP al pagamento del residuo terzo, così come liquidate dalla

Camera con separata ordinanza;

3. Condanna l’istante al pagamento delle spese legali in favore della FIP che liquida in

complessivi € 1.500,00, oltre spese generali, iva e c.p.a. come per legge;

4. Dispone che tutti i diritti amministrativi versati dalle parti siano incamerati dalla Camera di

Conciliazione e Arbitrato per lo Sport.

Così deciso definitivamente in Roma, all’unanimità e in conferenza personale degli arbitri, il

giorno 11 maggio 2007.

GIURISPRUDENZA164

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NOTA REDAZIONALE

Il lodo arbitrale emesso dalla Camera di Conciliazione e Arbitrato del CONI l'11 maggio

2007 ha chiuso definitivamente il c.d. "Caso Lorbek" (ottimo giocatore della Slovenia che sta

disputando un eccellente campionato europeo a Madrid) permettendo alla Benetton di cullare

sogni di play off sino all'ultima gara.

La decisione ha ridotto di 3 punti, in maniera alquanto salomonica, la penalizzazione inflitta

dalla Corte Federale FIP (su cui amplius nel numero 1/2007 della Rivista) ma, come la precedente,

manca di una espressa motivazione in ordine all'entità della pena e al criterio di calcolo della

stessa.

Peraltro, in una vicenda in cui tutte le parti interessate non paiono esenti da censure, la

Federazione - che pure ha commesso numerose leggerezze nella gestione del tesseramento

dell'atleta - non ha avuto alcuna "sanzione", con questo mettendo ancora una volta in risalto la

problematica degli organi di giustizia endoassociativa di nomina Federale e poco inclini alla

condanna di.....coloro che li hanno nominati (sul punto vedi anche l'opinione di A. DE SILVESTRI,

"Giustizia sportiva - crisi profonda" in Il Sole 24 ore sport n. 7/8 del 2007, pag. 43).

Non da ultimo, infine, deve essere ricordato che le intercettazioni disposte dal Pubblico

Ministero di Bologna Gestri (che ha in carico le indagini sull'ipotesi di reato di frode sportiva in

relazione ai medesimi avvenimenti oggetto di processo sportivo) hanno evidenziato un clima non di

massima trasparenza nella gestione del caso Lorbek da parte della Camera del CONI e da parte di

altri soggetti dell'ordinamento sportivo di talchè il Procuratore FIP Alabiso ha aperto un nuovo

fascicolo disciplinare al fine di verificare se sussistono nuovi elementi di colpevolezza a carico di

tesserati in precedenza prosciolti.

Ben lungi dal dare alcun giudizio in ordine a fatti che devono essere ancora accertati (per un

commento sulle problematiche giuridiche vedi anche J. TOGNON, Lorbek, frode sportiva o mera

irregolarità?, in Il Sole 20 ore sport n. 3/2007, pag. 3) non ci si può però esimere dal rilevare che il

caso Lorbek ha messo in risalto il grave disagio in cui si dibatte la giustizia sportiva di cui mai

come oggi si sente viva l'esigenza di una profonda riforma (J.T.)

GIURISPRUDENZA165

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TAR Lazio: regolamento agenti…

REPUBBLICA ITALIANA

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO ROMA , SEZIONE TERZA TER

nelle persone dei Signori:

ITALO RIGGIO Presidente

GIULIA FERRARI Cons.

STEFANO FANTINI Cons. , relatore

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nella Camera di Consiglio del 19 Luglio 2007

Visto il ricorso 2136/2007 proposto da:

ASS ITAL AGENTI CALCIATORI E SOCIETA' -AIACS-ASSOAGENTI ED A BERTI SERGIO,

BOZZO GIUSEPPE, BRANCHINI GIOVANNI, CARPEGIANI BRUNO, CONTI PAOLO,

FEDELE GAETANO, PASTORELLO FEDERICO, RIZZATO GASTONE, TINTI TULLIO

rappresentati e difesi da:

SCOCA AVV. FRANCO GAETANO, PROIETTI AVV. ENZO

con domicilio eletto in ROMA, VIA G. PAISIELLO, 55

presso

SCOCA AVV. FRANCO GAETANO

GIURISPRUDENZA166

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TAR Lazio: regolamento agenti…

CONTRO

FEDERAZIONE ITALIANA GIUOCO CALCIO - FIGC

rappresentato e difeso da: GALLAVOTTI AVV. MARIO, MEDUGNO AVV. LUIGI

con domicilio eletto in ROMA

VIA PANAMA, 58

presso

MEDUGNO AVV. LUIGI

E NEI CONFRONTI DI

ASSOCIAZIONE ITALIANA CALCIATORI

rappresentato e difeso da:

MANZI AVV. LUIGI, JANNA AVV CESARE

con domicilio eletto in ROMA

VIA F. CONFALONIERI, 5

presso

MANZI AVV. LUIGI

per l'annullamento, previa sospensione dell'esecuzione,

- del nuovo “Regolamento degli Agenti” della FIGC pubblicato con C.U. n. 48 del 28

dicembre 2006, e successivamente integralmente sostituito dal C.U. n. 50 del 4 gennaio 2007, nella

parte in cui comporta notevoli limitazioni allo svolgimento dell’attività di Agente dei calciatori e

delle Società, in contrasto con le norme costituzionali, comunitarie, di diritto comune e della FIFA,

in particolare degli artt. 4, 7, 10, 15,17 18, 23 e 24; nonchè di ogni altro atto indicato nell’epigrafe

del ricorso.

Visti gli atti e i documenti depositati con il ricorso;

Vista la domanda di sospensione della esecuzione del provvedimento impugnato, presentata in

via incidentale dal ricorrente;

GIURISPRUDENZA167

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TAR Lazio: regolamento agenti…

Visto l'atto di costituzione in giudizio di:

ASSOCIAZIONE ITALIANA CALCIATORI - FEDERAZIONE ITALIANA GIUOCO CALCIO - FIGC

Udito il relatore Cons. Stefano FANTINI e uditi altresì per le parti gli avvocati come da

verbale di udienza.

Visti gli artt. 19 e 21, u.c., della Legge 6 dicembre 1971, n. 1034, e l'art. 36 del R.D. 17 agosto

1907, n. 642;

Ritenuto che, ad una sommaria delibazione, propria della fase cautelare, il ricorso, pur

necessitando di una unitaria cognizione in sede di merito, involgendo un atto regolamentare

contemplante un’eterogenea pluralità di fattispecie, tra loro in rapporto di, quanto meno potenziale,

connessione, evidenzia peraltro taluni profili assistiti da sufficienti elementi di fumus boni iuris, che

giustificano prudenzialmente la sospensione del nuovo regolamento degli agenti della F.I.G.C.

limitatamente alla disposizione di cui allo art. 24, IV comma, allo scopo di evitare la risoluzione dei

rapporti contrattuali (tra Agenti e calciatori o tra Agenti e società) in essere alla data di entrata in

vigore del testo normativo, e sino alla decisione di merito, in funzione della quale viene fissata sin

da ora l’udienza di trattazione del 31.1.2008.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio – Sezione Terza Ter accoglie la suindicata

domanda incidentale di sospensione nei limiti di cui alla motivazione.

La presente ordinanza sarà eseguita dalla Amministrazione ed è depositata presso la

Segreteria del Tribunale che provvederà a darne comunicazione alle parti.

ROMA , li 19 luglio 2007

GIURISPRUDENZA168

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TAR Lazio: regolamento agenti…

NOTA REDAZIONALE

L’Ordinanza che precede si riferisce al “nuovo” Regolamento Agenti di Calciatori emanato

dalla Federazione Italiana Giuoco Calcio (di seguito “FIGC”) con il C.U. n. 48 del 28 dicembre

2006, successivamente modificato con il C.U. n. 50 del 4 gennaio 2007, ed entrato in vigore in data

1° febbraio 2007.

Il “nuovo” Regolamento Agenti sostituisce il precedente Regolamento per l’Attività di Agente

di Calciatori, che la FIGC aveva disposto per recepire nell’ordinamento sportivo calcistico italiano

la regolamentazione internazionale adottata dalla FIFA (FIFA Players’ Agents Regulations,

pubblicate su www.fifa.com).

Il Regolamento Agenti previgente era stato oggetto dell’indagine IC27 settore calcio

professionistico condotta dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (di seguito

“AGCM”) avviata in data 31 marzo 2005 e conclusasi in data 21 dicembre 2006. Nella relazione

conclusiva (n. 16280 del 21 dicembre 2006, pubblicata sul sito www.agcm.it) l’AGCM aveva

evidenziato come numerosi aspetti della disciplina della professione di agente di calciatori fossero

potenzialmente idonei a pregiudicare il normale svolgimento della concorrenza, quali:

1) l’esercizio della professione in situazione di incompatibilità e di conflitto di interessi,

2) le limitazioni all’accesso alla professione di nuovi soggetti,

3) le c.d. “clausole di garanzia”,

4) le conseguenze pregiudizievoli (eccessivamente onerose) derivanti dalla risoluzione

unilaterale del mandato da parte degli assistiti,

5) la clausola compromissoria e le modalità di risoluzione delle controversie,

6) l’insufficiente regolamentazione dell’accesso a dati sensibili per il mercato da parte degli

operatori del settore,

7) l’utilizzo di un modello contrattuale imposto dalla Commissione Agenti. In seguito alla

segnalazione dell’AGCM tali problematiche erano state oggetto di revisione e modifica da parte

della FIGC nel Regolamento Agenti attualmente in vigore.

Gli operatori del settore non hanno tuttavia accolto con favore unanime la riforma: parte

delle nuove norme sembrano costituire ostacoli per il regolare svolgimento della concorrenza al

pari – se non in misura maggiore - delle precedenti.

GIURISPRUDENZA169

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TAR Lazio: regolamento agenti…

Particolarmente aspra la critica inerente alle disposizioni transitorie del nuovo Regolamento

Agenti, quali l’art. 24, comma 3, secondo cui “gli Agenti in possesso di licenza alla data di entrata

in vigore del presente Regolamento hanno 90 giorni di tempo da tale data per risolvere le eventuali

situazioni di incompatibilità di cui all’art. 7”; oppure quali il comma 4 del medesimo art. 24,

secondo cui “al termine della stagione sportiva 2006-2007 si risolvono di diritto i rapporti

contrattuali tra agenti e calciatori o tra agenti e società che siano in essere alla data in vigore del

presente Regolamento e che ricadano nei divieti previsti dall’art. 15”.

Con queste premesse l’Associazione Agenti Calciatori e Società, ed alcuni agenti come

persone fisiche hanno agito avverso la FIGC e l’AIC dinanzi al Tribunale Amministrativo

Regionale del Lazio per chiedere l’annullamento – previa sospensione – del “nuovo” Regolamento

Agenti, per contrasto con le norme costituzionali, comunitarie, nonché delle disposizioni

regolamentari FIFA. Il TAR ha tuttavia sospeso l’esecuzione del nuovo Regolamento Agenti solo

per l’art. 24, comma 4 (sopra citato – in questa nota), rimandando ogni altra decisione alla

trattazione nel merito. (A.B.)

GIURISPRUDENZA170