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GLI ANNI DELLE COSE F A –A B RANCESCO NZELMO NDREA ELLAVITA L F ORENZO ACCHINOTTI Pubblicazioni dell’I.S.U. Università Cattolica contributi di: Media e società italiana negli anni settanta a cura di FAUSTO COLOMBO

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GLI ANNI DELLE COSE

F A – A B –RANCESCO NZELMO NDREA ELLAVITA

L FORENZO ACCHINOTTI

Pubblicazioni dell’I.S.U. Università Cattolica

contributi di:

Media e società italiana negli anni settanta

a cura di FAUSTO COLOMBO

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GLI ANNI DELLE COSEMedia e società italiana negli anni settanta

a cura di FAUSTO COLOMBO

Contributi di:FRANCESCO ANZELMO – ANDREA BELLAVITA –

LORENZO FACCHINOTTI

Milano 2000

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© 2000 I.S.U. Università Cattolica – Largo Gemelli, 1 – Milanohttp://editoriale.cjb.netISBN 88-8311-063-3

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INDICE

PREMESSA...................................................................................................5

GLI ANNI DELLE COSE...........................................................................7di Fausto Colombo

1. Una prospettiva di studio ....................................................................72. Un decennio contraddittorio ...............................................................83. Il sistema dei media...........................................................................10

PIÙ DI UN DECENNIO. GLI ANNI SETTANTA E I LIBRI. ...........13di Francesco Anzelmo

IL CINEMA DEI MOSTRI.......................................................................55di Andrea Bellavita 55

1. Una premessa metodologica .............................................................552. Il momento creativo: il cinema dei mostri .......................................573. Il secondo momento: la distribuzione...............................................684. Il pubblico: il momento del cambiamento ........................................72

L’INDUSTRIA DISCOGRAFICA TRA PRODUZIONE ECONSUMO..................................................................................................83

di Lorenzo Facchinotti

Transizioni di fine decennio ...................................................................83La musica progressiva ............................................................................91I cantautori ..............................................................................................96La programmazione RAI.........................................................................98La musica ribelle delle radio libere......................................................100Il riflusso: dalla disco-music alla nuova crisi degli anni ’80 ................105Tabelle ...................................................................................................108Le classifiche.........................................................................................110Bibliografia ............................................................................................115

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PREMESSA

Una dispensa universitaria è sempre la traccia di un lavoro duratodiverso tempo. Spesso è anche il segno della volontà di rilanciare verso ilfuturo, buttando il cuore oltre l’ostacolo.

Questa dispensa non sfugge alla regola. Tenta di sedimentare unaparte dei risultati – provvisori e parziali – del corso di Teoria e tecnichedelle comunicazioni di massa da me tenuto presso la Facoltà di Lettere eFilosofia dell’Università Cattolica del S. Cuore di Milano nell’anno1999/2000. In particolare, riguarda il lavoro svolto per le lezionimonografiche del corso, relative appunto all’industria culturale italiananegli anni settanta, e riprende così idealmente una tradizione che ha giàvisto nascere altre due dispense ISU negli anni passati: Studi per unastoria sociale dei media in Italia (1996) e L’industria culturale italiana dal1900 alla Seconda Guerra Mondiale. Tendenze della produzione e delconsumo (1997). Da quelle prima prove è nato il mio volume La culturasottile. Media e industria culturale italiana dall’ottocento agli anninovanta1, per cui sto attualmente pensando a una revisione, soprattuttoper quanto concerne i capitoli della seconda parte, dedicata al secondodopoguerra fino all’oggi.

Concretamente, questa dispensa presenta alcuni dei “carotaggi” cheuno studio di storia sociale può compiere per dare conto della fisionomiadi un sistema industriale di cultura in un arco di tempo dato.

In particolare, vengono presentati il sistema editoriale-librario, ilcircuito cinematografico e l’industria discografica. Durante le lezioni sonostati presentate anche riflessioni sul sistema informativo a stampa,nonché alcune analisi dettagliate su prodotti specifici, come la produzionemusicale del duo Mogol –Battisti, il cinema di Sergio Leone e i fumetti diGrazia Nidasio e di Hugo Pratt. Questi contributi non hanno trovatospazio qui, ma confidiamo di poter dare loro forma editoriale più avanti,così come ci proponiamo di continuare il nostro lavoro di ricognizione,ancora ben lontano dal potersi dire completo.

1 F. Colombo, La cultura sottile, Bompiani, Milano 19992.

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Dunque, ciò che viene qui presentato è un work in progress, che perònon mi vede più solo, perché questa volta sono stato accompagnato daalcuni preziosi collaboratori, che si sono appassionati all’avventura dirileggere il passato della nostra storia attraverso la curiosa lentedell’industria culturale, e che mi hanno ridato entusiasmo e voglia dicontinuare.

Per la verità, gli ultimi anni hanno visto un fiorire di saggi su questotema, e mi dà veramente soddisfazione accorgermi che una strada fino apoco tempo fa abbastanza negletta (per non dire soggetta all’ostracismodi un congruo numero di intellettuali) si è ora popolata di tanticompetenti compagni di strada.

Proprio lo sviluppo crescente degli studi si questi temi ha resoindispensabile da un lato una forte specializzazione nei vari settori sia intermini di contenuto che di competenza rispetto alle fonti, dall’altro ilconseguente lavoro d’équipe, e questo spiega perché soltanto grazie allacreazione di una vera e propria squadra mi sia stato possibile affrontareun tema come quello presentato in questa dispensa.

Ecco allora la necessità di ringraziare in queste pagine sia gli estensoridei singoli saggi (Francesco Anzelmo, Andrea Bellavita, LorenzoFacchinotti), sia Anna Sfardini, che pur non avendo lasciato traccia scrittadei suoi contributi, è stata come noi impegnata nello sforzo comune.

Un altro ringraziamento va ai nostri studenti, davvero protagonisticome poche altre volte con la loro attenzione, le loro domande piene dicuriosità e soprattutto la molta passione dimostrata durante alcunerievocazioni.

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Fausto Colombo

GLI ANNI DELLE COSE

1. Una prospettiva di studio

La prima domanda che credo il lettore sia autorizzato a porsi aprendoquesta dispensa è: quale significato culturale può avere studiare ilsistema dell’industria culturale di un decennio?

La dimostrazione che questa prima, istintiva domanda non è affattoingenua consiste nella complessità della risposta.

In primo luogo: qual è l’obiettivo finale di ogni indagine sull’industriaculturale affrontata – come questa – con gli strumenti della storia sociale?Vorrei ribadire quanto ho affermato in altra occasione presentando unlavoro assai complesso sull’industria culturale milanese: “La prospettivadella storia sociale non è quella filologica nei confronti del testo, o quellacollezionistica di fronte all’oggetto, bensì, molto più banalmente eumilmente, quella di chi vuole guardare al cuore degli uomini dellegenerazioni passate e presenti, e vuole scoprire e ricostruire i loro gusti,le loro invenzioni, le loro passioni”1. Il contributo consiste dunque neltrovare qualcosa che riguarda la vicenda umana, non quella dei sistemi,delle strutture o delle tecnologie della cultura.

In secondo luogo: come si isola un periodo? Date le premesse che hoappena illustrato, credo che la risposta possa essere soltanto una: vi èuna consonanza tra lo sviluppo dei media e dell’industria della cultura e lozeitgeist di un certo periodo, solcato all’inizio e alla fine da cesure diordine storico, sociale, economico e culturale. Il motivo di questaconsonanza sta proprio nella radice dell’industria e del mercato dellacultura, che ha la forma di un circuito in cui il pubblico entra in gioco

1 F. Colombo, “Commenti introduttivi”, in Idem (a cura di), Libri giornali e riviste a

Milano. Storia delle innovazioni nell’editoria milanese dall’ottocento ad oggi, AbitareSegesta-AIM, Milano 1998, p. 11.

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quanto le istituzioni politiche, economiche e culturali, e in cui quindi letendenze si materializzano con irrisoria facilità e si traducono in simboli,strategie produttive, tendenze di consumo.

In terzo luogo: quali sono i limiti di questo tipo di studi? Risposta: noncredo ci siano confini netti. Bisogna arrangiarsi, fare bricolage frasociologia e storia, fra semiotica e critica. Bisogna trovare una bussolache in buona parte è data dall’esperienza. Immergersi nei fatti passati.Farli risuonare dentro. Vecchie questioni che riguardano ognistoriografia, ma più in generale ogni disciplina delle scienze umane.

Le spiegazioni sono finite, per quel tanto che si può dire. Cominciamo.

2. Un decennio contraddittorio

Quando cominciano gli anni settanta?Prima del settanta, naturalmente. Solo che chi viveva allora non lo

sapeva, e se ne è accorto che il decennio si avviava già alla conclusione.Un passo indietro: se identifichiamo gli anni sessanta con il boom e la

prima esperienza del Centrosinistra (ossia con la seconda – e questa voltadefinitiva – spinta verso la modernizzazione del Paese), ossia con unperiodo in cui si è tentato di costruire una modernizzazione bentemperata che mediasse i valori tradizionali con il nuovo che avanzava,allora non vi è dubbio che gli anni settanta cominciano con la crisi di quelperiodo, che certamente è collocabile nel biennio 1967/68, anno dellaprima contestazione studentesca presso l’Università di Trento (questa èappunto l’ipotesi formulata dallo storico P. Ginsborg2).

Per comprendere il significato di quelle prime lotte occorre guardarealle loro cause prossime e remote:✓ In primo luogo il sistema universitario pagava la sua arretratezza,

spiazzata da un afflusso massiccio di nuovi studenti, in parte frutto delboom delle nascite, in parte causato dalle riforme che avevano elevatol’obbligo scolastico fino ai 14 anni (la legge è del 1962) e che avevanoaperto l’accesso ai corsi universitari, prima piuttosto direttivo e

2 Cfr. P. Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi. Società e politica 1943-1988,

Einaudi, Torino 1989, in particolar modo i capitoli IX e X. Sulla storia del nostro Paese inquesti anni si veda anche, tra gli altri, il volume di E. Santarelli, Storia critica dellarepubblica. L’Italia dal 1945 al 1994, Feltrinelli, Milano 1996.

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costrittivo (a certi corsi di laurea ci si poteva iscrivere soltanto concerti diplomi di media superiore).

✓ In secondo luogo la crisi espressa dal mondo studentesco era la primaavvisaglia di un sentire diffuso che avvertiva la fine della faseespansiva del boom, e che prefigurava un futuro assai più incerto diquanto certe ingenue promesse consumistiche continuavano asottolineare nell’ufficialità dei media.

✓ In terzo luogo era il mondo giovanile, nella sua complessità adavvertire una nuova coerenza interna, che si radicava da un lato nelletrasformazioni strutturali (industrializzazione, urbanizzazione,“meridionalizzazione” delle grandi città del nord a causadell’immigrazione interna), dall’altro nella omogeneità dei consumi siadi merci che di cultura.È tanto vera questa autoaffermazione di identità del mondo giovanile

che anche il movimento operaio troverà proprio nei giovani meridionali,estranei alle tradizionali logiche del sindacato, i più forti sostenitori dinuove forme di lotta.

La base culturale del movimento antagonista che inizia nel biennio67/68 ha poco a che vedere con il marxismo tradizionale. È piuttosto unamiscela composta di testi del giovane Marx, di Mao (con riferimenti allacosiddetta rivoluzione culturale), di Marcuse, Laing e Cooper, e quindipresenta svariati elementi di anticonsumismo, antifamilismo,alternativismo giovanile, mito della liberazione sessuale.

Interessante è anche definire il limite estremo del decennio, chequesta volta coincide con il suo limite di calendario: è infatti ravvisabilenel 1980, anno della cosiddetta marcia dei 40.000, la celebremanifestazione con cui quadri e altre forze sociali chiesero a voce alta lafine dell’ultimo grande sciopero alla Fiat. È infatti la fine del movimentoantagonista e il segnale più evidente del riflusso che già serpeggiavasotto traccia dalla seconda metà del decennio.

Scegliendo come inizio e fine del periodo eventi che riguardano la lottasociale e politica si è dato un particolare taglio interpretativo allaricostruzione storica, taglio che qualcuno potrà non condividere. Questascelta è comunque motivata da due ordini di ragioni:✓ Lo scontro politico e sociale ha segnato obiettivamente (anche se in

modo non esclusivo) il periodo: basti pensare alla durata delle

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contestazioni studentesche (assai più lunghe che in qualunque altroPaese dopo la fiammata del ’68), o al terrorismo come svolta radicale edrammatica dei conflitti di piazza, culminata con il rapimento el’uccisione di Aldo Moro nel 1978; su un altro piano, anchel’esperienza della corresponsabilizzazione del PCI di EnricoBerlinguer nell’appoggio agli ultimi governi del periodo segna unastagione unica del Paese.

✓ La rivolta giovanile è stata un’arma determinante nell’imprimere allasocietà italiana una spinta alla modernizzazione dei costumi che forseavrebbe altrimenti richiesto più tempo e si sarebbe esercitata con piùmediazioni. Si pensi invece che in questo periodo si modifica persinola legislazione sulla morale familiare e su alcune scelte riguardantiquella che potremmo definire etica della vita (abrogazione del reato diadulterio fra il 1967 e il 1968; leggi e poi referendum sullalegalizzazione del divorzio e dell’aborto), base di una qualunqueconvivenza civile; e d’altronde, assume definitiva visibilità laquestione femminile.

✓ Infine, il contrasto evidente fra questo brusco scarto dimodernizzazione e il successivo riflusso, che comunque fa propri glielementi del consumismo accentuando la pulsione alla soggettività,segnala l’ambiguità profonda delle istanze che attraversarono lasocietà italiana, che da un lato potevano apparire antagoniste, dall’altropossono essere lette sotto alcuni aspetti come puramente funzionali auno sviluppo liberal-moderno, con l’accentuazione dei diritti diconsumo e di garanzia rispetto a quelli di partecipazione.

3. Il sistema dei media

Se dallo sguardo sulla società nel suo complesso ci lanciamo in unozoom sul sistema dei media, il dato dell’ambiguità risulta ancora piùilluminante.

In effetti molte istanze possono essere interpretate in modoassolutamente legittimo come istanze di democratizzazione e dipartecipazione o, viceversa, come spinte al diritto al consumo.

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Facciamo qualche esempio, soffermandoci in particolare su quegliaspetti che non sono stati messi a tema in questa dispensa3.

3.1.La stampa giornalistica è segnata in questo periodo da due fenomeni:✓ Una trasformazione del sistema legata alla nascita e alla morte di

alcune esperienze del tutto nuove, dai quotidiani alternativi (“Ilmanifesto”, “Lotta Continua”) ai quotidiani ideologico-commentativi come “La Repubblica” e “Il Giornale”, fino alleesperienze di popular all’inglese, come L’Occhio di Rizzoli, direttoda Maurizio Costanzo, destinato a una breve e sfortunata vita. Siaggiunga a questo l’esperienza del “Corriere della Sera” di PieroOttone, che riuscì, con una fortunata e originale formula, ainnovare il più tradizionale dei quotidiani italiani lasciandoneimmutato il ruolo editoriale.

✓ La scalata al sistema giornalistico italiano della Loggia P2, emblemadi una concezione tipicamente nazionale del controllodell’informazione come strumento di potere (occulto e non).

3.2.Il sistema radiotelevisivo è invece caratterizzato da un lato dallariforma della Rai, dall’altro dalla nascita dell’emittenza privata, primaradiofonica, poi televisiva (non a caso, il 1980 è anche l’anno dellanascita di Canale 5 dell’imprenditore Silvio Berlusconi).Le istanze di questa doppia nascita sono almeno quattro:✓ In primo luogo si tratta di dare conto delle obiettive trasformazioni

della società italiana. Nella riforma della Rai (la nascita della terzarete è del 1979) si evidenzia l’ultimo grande tentativo di governareil cambiamento dal “centro” politico e istituzionale, dando vita inmodo “ottriato” a un radicamento sul territorio della produzione

3 Rimando qui a tre possibili testi di approfondimento sulla vicenda dell’industria

culturale nazionale: D. Forgacs, Italian Culture in the Industrial Era 1880-1980. CulturalIndustries, Politics and the Public, Manchester University Press, Manchester and NewYork 1990; tr. it. L’industrializzazione della cultura italiana (1880-1990), Il Mulino,Bologna 1992; M. Sorice, L’industria culturale in Italia, Editori Riuniti, Roma 1998; M.Morcellini, P. De Nardis (a cura di), Società e industria culturale in Italia, Meltemi, Roma1998.

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televisiva e aprendo spazi (le cosiddette trasmissioni dell’accesso)alle identità sparse nel Paese.

✓ In secondo luogo esplode per la prima volta in modo così ampio illocalismo che si esprime nelle radio e nelle televisioni “libere”: unlocalismo che si sviluppa attraverso non tanto lo scimmiottamentodi modalità appartenenti alla tradizione mediatica italiana, maattingendo a un’altra Italia sommersa, fatta ancora di bar e dipruriti, di voglia di divertimento e di sberleffo.

✓ In terzo luogo, emerge una nuova creatività, ancorata almenoculturalmente ai movimenti alternativi, che trova nei media e nonpiù nella politica il proprio spazio espressivo (le radio “politiche”,da Radio Popolare a Milano, fino a Radio Alice a Bologna, che inrealtà hanno il proprio specifico anche nelle innovazionilinguistiche).

✓ Infine, nasce un nuovo terreno di professionalità e di consumi, percerti versi sorprendente: esplode il cinema in televisione, esplodela pubblicità al di fuori di ogni tentativo di mantenerla entro iconfini delle rubriche dedicate come “Carosello”; esplodesoprattutto una tecnologia televisiva che è fatta di colore (contro ilbianco e nero) e di zapping attraverso varie – molte – sceltepossibili (contro la monoliticità dell’offerta monopolistica). Fu tuttoselvaggio. Spesso ai confini della legalità (come dimostrano lesentenze, le controsentenze, le battaglie giudiziarie). Ma fu veroquanto il movimento antagonista. E fu la matrice di ogni possibileriflusso.

Ecco dunque alcune brevi tracce di sviluppo di un’indagine che èappena cominciata, e i cui frutti più evidenti si trovano nei pezzi cheseguono.

In tutti, si ritrova l’ambiguità che ho cercato sommariamente disegnalare qui.

In tutti, si trova anche l’idea che – comunque – questo decennio abbiaavuto a che fare con “le cose”, ossia con la trasformazione del corpo dellasocietà italiana. Alla trasformazione radicale del suo immaginario avrebbeprovveduto il decennio seguente. Ma questa – come si dice – è un’altrastoria.

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Francesco Anzelmo

PIÙ DI UN DECENNIO.GLI ANNI SETTANTA E I LIBRI

Due date mi sono parse in un primo momento significative perraccontare cosa ne è stato dei libri in Italia nel decennio settanta. Il 1968,naturalmente: ma non tanto per quanto riguarda gli eventi politici esociali legati alla nascita del movimento degli studenti (il quale, a voleressere precisi, soprattutto per ciò che riguarda il nostro paese, si èformato un anno prima. Dell’autunno ’67, infatti, sono le primeoccupazioni universitarie: la facoltà di sociologia di Trento a ottobre el’Università Cattolica di Milano a novembre). Piuttosto, e questo fattoriguarda più da vicino il nostro problema, nel 1968 l’editore Feltrinellipubblica Cent’anni di solitudine di Gabriel Garcia Marquez. Una vicendaeditoriale esemplare: un editore tradizionalmente di sinistra pubblica ilcapolavoro di uno scrittore sud americano (che per altro è vissuto e halavorato lungamente in Italia come giornalista) e raggiunge un pubblicorelativamente ristretto, costituito dai soli cultori della letteratura latinoamericana. Passano alcuni anni, e il lavoro di Garcia Marquez diventa unvero e proprio oggetto di culto di quanti fanno parte o si sentono vicini almovimento studentesco nella prima metà degli anni settanta. Infine idiritti del libro cambiano di proprietà e passano in mano a Mondadori. Ilromanzo, all’inizio degli anni ottanta (1982) torna di attualità: GarciaMarquez vince il premio Nobel per la Letteratura, e questo titolo,certamente il suo più famoso, balza nuovamente in cima alle classifichedei libri più venduti.

Vicenda editoriale esemplare per tanti motivi: secondo un percorsolibrario che si ripete spesso, un piccolo editore acquista i diritti e pubblicauno scrittore di una certa notorietà, ma sicuramente molto distantedall’essere la personalità pubblica e mediatica che di lì a poco diventerà.Alcuni, non molti, amanti della letteratura latino americana lo leggono elo apprezzano, ma saranno necessari alcuni anni perché diventi un best-

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seller. Necessario sarà soprattutto il diffondersi di un clima politico esociale molto particolare, di un gusto che si identifica volentieri nelleatmosfere di Garcia Marquez. Cosa è successo? Franco Moretti, in OpereMondo1, individua almeno due elementi in Cent’anni di solitudine chefecero “impazzire” l’Europa a cavallo dei nostri due decenni: il realefantastico e l’apertura al mondo.

Reale fantastico, e non, come si indica solitamente, realismo (che è unacifra stilistica, e una poetica, prettamente europea): un dato di fatto, unacaratteristica che appartiene a quel particolare mondo, a quella realtà: “aHaiti, scrive Carpentier, il surrealismo è nelle cose stesse: è un fattoquotidiano, collettivo, che restituisce realtà alle tecniche moderniste: cheprende l’avanguardia e la rimette con i piedi per terra”2. Se l’Europa haperso ormai da decenni la fiducia nella capacità dei propri discorsi di direla realtà senza mistificarla, senza piegarla all’ideologia, improvvisamentesi presenta ai lettori uno scrittore che sembra in grado di produrre undiscorso innocente, portato avanti con una scrittura trasparente, priva diironia e di moltiplicazioni dei piani di senso, che dice di una realtàmeravigliosa (perché ai nostri occhi quella realtà non può che esseremeravigliosa) e di ridare senso al mondo a partire dalle azioni degliindividui.

“Il colonnello Aureliano Buendia promosse trentadue sollevazioni armate e leperse tutte. Ebbe diciassette figli maschi da diciassette donne diverse, che furonosterminati l’uno dopo l’altro in una sola notte, prima che il maggiore compissetrentacinque anni. Sfuggì a quattordici attentati, a settantatre imboscate, e a unplotone di esecuzione. Sopravvisse a una dose di stricnina nel caffè…”Niente di astratto qui: nessuna ragione “oggettiva” delle guerre. Tutto ha origineda un soggetto concreto, in carne e ossa, che si ripete identico, in principio difrase, per nove lunghi periodi consecutivi. È un modo mitico di spiegare gli eventi,come ha detto tante volte Karl Popper degli dei di Omero? Certo. Ma è unaspiegazione. E dopo mezzo secolo di enigmi, di spiegazioni c’è sempre un granbisogno3.

1 Franco Moretti, Opere Mondo, Einaudi, Torino 1994.2 Id., p. 220.3 Id., p. 221. Il brano di Garcia Marquez è citato dallo stesso Moretti.

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Cent’anni di solitudine è, come si disse allora, un “ritorno allanarrazione”. Una saga familiare, i Buendia, un paese, Macondo, e intornoil corso del mondo visto da questo esatto punto, raccontato senza ilricorso a schemi e strutture concettuali, con una passione per il reale(fantastico) di cui i nostri lettori ritrovano il gusto.

Ma il romanzo di Garcia Marquez, sempre secondo Moretti, haun’altra peculiarità che lo distingue dai suoi parenti più prossimi europei:l’apertura al mondo. Moretti, infatti, ancora in Opere Mondo, traccia lastoria di una progressiva contrazione spaziale che colpisce tutti i romanzieuropei (che condividono una medesima forma epica) a partire dall’Ulissedi Joyce. Così, passando attraverso I Buddeenbrook, i Viceré, il Gattopardo,la Saga dei Forsyte, la forma simbolica “romanzo epico” subisce unprocesso di delimitazione continua dello spazio scelto per gli accadimenti:dallo Stato-nazione alla città, alla casa. Neppure Cent’anni di solitudine sisposta da Macondo, ma questo luogo è continuamente attraversato dalmondo: “è una realtà che affiora fin dalle primissime parole del romanzo,con il ghiaccio e le guerre: e prosegue poi con le invenzioni degli zingari ei mercanti arabi, i damerini italiani e le puttane francesi, il savio catalano,l’ebreo errante, l’aviatore fiammingo…”4. Macondo, insomma, come unospazio in cui il meraviglioso è reale e disponibile (cioè non costruito comeun progetto d’avanguardia), ed è nello stesso tempo un luogostraordinariamente aperto sul mondo in tutto la sua varietà, a fronte diuna narrativa italiana, vedremo meglio in seguito, sempre più provincialee ripiegata su se stessa. Probabilmente non è del tutto legittimo trarreconclusioni immediate e dirette sulla natura del pubblico e della societàche accolse entusiasta, all’inizio degli anni settanta, Cent’anni disolitudine, ma certamente il lettore vi trovò qualcosa di profondamenterispondente alle proprie aspettative, alla propria ricerca di senso, rispettoal reale. E il reale raccontato da Garcia Marquez è senz’altro multiforme,variegato e piuttosto caotico: è, come conclude Moretti, il mondo dellapossibilità. Infine, questo mondo non è fuori dalla storia: la storia gliappartiene, ed è una storia in divenire: “nel realismo magico, infatti, ladisomogeneità del tempo storico [per cui un evento viene annunciatoall’inizio nelle sue estreme conseguenze nel futuro, per tornare poi

4 Id., p. 224.

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indietro, nel resto della narrazione, a raccontare quanto conduce a quellafine, inizio dell’intreccio e fine della fabula] è […] l’indizio di una storia incammino”5. Insomma Cent’anni di solitudine, il romanzo del movimento,il romanzo del ’68 e oltre, è l’opera della realtà riscoperta nella sua magia,dell’apertura al mondo, dove il mondo è quello della possibilità,attraversato da una storia aperta, in cammino; è l’opera senza ironia, dallascrittura trasparente, in cui le parole, insomma, servono a dire le cose,per quello che sono:

È lo stile di Cent’anni di solitudine – questa scrittura senza polifonia e senzaironia: questa scrittura trasparente, come una bella mattina d’estate, cui il romanzodeve tanto del suo successo – era divenuto da tempo impossibile per la letteraturaeuropea, che aveva scoperto l’onnipresenza delle ideologie, e dunque l’inesistenzadi un punto di vista “oggettivo”. Bene, è come se un colpo di genio avessesuggerito a Garcia Marquez il desiderio segreto del lettore colto europeo: avere dinuovo fiducia nel racconto. Leggere una storia strana e complicata quanto si vuole:però, “oggettiva”. Leggere, insomma, un romanzo senza ideologia6.

Nel 1982 Garcia Marquez vince il premio Nobel. L’editore italiano,abbiamo detto, è ora Mondadori. Secondo una strategia che caratterizzaquesta casa editrice, a costo di spendere ingenti somme, Mondadoripreferisce acquistare i diritti di un autore nel momento in cui il suosuccesso è già largamente consolidato: si fa valere, insomma, il peso delleproprie dimensioni economiche. Garcia Marquez, circa dieci anni dopo ètornato d’“attualità”: ma il pubblico, come l’editore, è sicuramentecambiato, come sono cambiati i motivi di interesse e i bisogni a cui ilconsumo di Garcia Marquez risponde. Al bisogno di una narrazionetrasparente intorno a un mondo aperto, sembra ragionevole supporre chesia subentrata la volontà di essere a conoscenza dell’opera di un autoreufficialmente riconosciuto far parte della Letteratura con la L maiuscola.Prima che a Garcia Marquez, nel 1977, il premio Nobel per la letteraturaera stato assegnato a Eugenio Montale. Secondo il settimanale Tuttolibriil Quaderno di quattro anni compare nella classifica dei libri più venduti:fatto più unico che raro, per una raccolta di poesia; ma le ragioni sono lestesse.

5 Id., p.228.6 Id., p. 232.

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La seconda data da cui, inizialmente, mi è sembrato interessanteaprire questa indagine sui libri negli anni settanta è l’ultimo anno deldecennio precedente: il 1969. Nel luglio di quest’anno L’Istitutofinanziario italiano (direttamente legato alla Fiat e alla famiglia Agnelli)acquista il 53% delle azioni della Fratelli Fabbri editori e una delle piùgrosse cartiere d’Italia, situata in Sardegna. Un gruppo estraneo, per laprima volta nella storia del nostro paese, interviene nel mondo editoriale.La Fabbri, in pochi anni, diventerà anch’essa un gruppo industriale,assorbendo la Etas Kompass, la Sonzogno, la Bietti, la De Vecchi e laBompiani; infine si fonderà con la Rizzoli, divenendo, a tutt’oggi, ilsecondo gruppo editoriale italiano. L’editoria, tra la fine degli annisessanta e l’inizio degli anni settanta, è un “buon affare”: i profitti sono incontinuo aumento (dal 1968 al 1971 il fatturato complessivo dell’editoriaregistrò un incremento del 46,7%, senza considerevoli aumenti delprezzo dei libri). Ma, oltre alla possibilità di buoni guadagni,l’imprenditoria italiana sembra acquisire la consapevolezza:

della necessità di una restaurazione politica e sociale dopo l’esplosione dellerivolte studentesche e operaie; anche il controllo dell’editoria libraria sembravaessere utile per ottenere il consenso di un numero di utenti ancora più vastorispetto agli anni sessanta7.

Nel decennio che va dal 1970 al 1979 in Italia nascono ben 545 caseeditrici; in quello precedente ne sono nate solo 2218. Le tiraturecomplessive passano, tra il 1971 e il 1974, da 99.873 a 141.480, con unincremento di circa il quaranta per cento rispetto alla media del decennioprecedente. Eppure questa proliferazione di editori e di nuovi titoli cheappaiono sugli scaffali delle librerie non impedisce che si accentui semprepiù la polarizzazione tra piccole o medie imprese editoriali, a carattereper lo più artigianale, non in grado di gestire secondo criteri industriali laproduzione e la distribuzione, ed editori più grossi, sempre più attentiagli aspetti di marketing del proprio lavoro, capaci di (o avviati a) dare una

7 Alberto Cadioli, L’industria del romanzo, Editori Riuniti, Roma 1981, p. 123. Da

quest’opera sono prese anche le informazioni statistiche riportate di seguito nel testo.8 Giuliano Vigini, Il libro e la lettura, Editrice Bibliografica, Milano 1984, p. 14.

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organizzazione razionale alla produzione e all’immissione sul mercato delprodotto librario. La formazione di gruppi editoriali, avviata intorno allaFabbri, ma che nei decenni successivi si attuerà anche intorno aMondadori e Longanesi, almeno nelle intenzioni dovrebbe facilitareproprio questa razionalizzazione del lavoro editoriale. L’accorpamento dipiù marchi consente infatti la condivisione degli uffici tecnici, degli ufficistampa, della distribuzione (con un conseguente risparmio di denaro) epermette di eliminare i titoli presenti contemporaneamente nei cataloghidi più editori.

Così, da una parte, tra la fine degli anni sessanta e l’inizio dei settanta,l’Italia vede nascere (e spesso rapidamente morire) una grossa quantitàdi piccoli editori, impegnati nella pubblicazione di politica, storia,economia, filosofia, spesso come iniziative parallele e strettamente legatea gruppi politici o organizzazioni studentesche e operaie. La fortuna,brevissima e in verità piuttosto contenuta di queste iniziative, sta in ungenerale incremento di interesse, tra il 1968 e il 1973, per la saggisticalegata ai temi e ai problemi che le agitazioni di questi anni aprono. Se, adesempio, la tiratura di libri genericamente ascrivibili nella categoria“Scienze politiche e economia politica” è, nel 1967, di 1176 unità, l’annodopo questa balza a 2028 volumi9.

Era, in particolare nel ’68 e dopo, l’ondata della “saggistica” (ma è parola inadatta adescrivere quel tipo di testo): un numero molto elevato di titoli e di nuovi piccolieditori […] Vi si incontravano (ed era inevitabile, vista la forte articolazioneraggiunta dalla cultura di ricerca, anche in senso generazionale) varie tendenze;sia la spinta alla demistificazione critica della tradizione, sia la scoperta delladimensione linguistica, e della storiografia, assunte come nuove basi per un sapereantiborghese. Ma nasceva anche l’ideologia dell’inchiesta collettiva, dello smontaree rimontare in gruppo un fenomeno culturale e sociale […] Proprio attraversoquesta pratica, rafforzata dalla tempesta che si abbatteva sulla scuola – e da unaripresa vigorosa della ricerca in campo educativo (che assestò colpi vistosi all’asseidealistico ancora predominante) – vasti settori giovanili, nelle università e poinelle scuole, erano coinvolti in un meccanismo di acculturazione alternativa10,

9 Alberto Cadioli, L’industria del romanzo, cit. p. 125.10 Giovanni Ragone, Un secolo di libri, Einaudi, Torino 1999, p. 213.

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La passione per la realtà (raccontata in maniera trasparente esoprattutto senza ironia) che si intravede nella rapida diffusione diCent’anni di solitudine, ha qui, mi sembra, una sua ulterioremanifestazione, per tanti motivi diversa, ma sicuramente accomunata daquel desiderio di far parte di una storia in cammino.

Dall’altra parte, invece, abbiamo visto che si vanno profilando semprepiù delle vere e proprie industrie editoriali, che non rimangono però certoimmobili rispetto ai nuovi andamenti di questo mercato. E quindi,nonostante Mondadori, solo per citare un esempio, non si possa certodire legata dal punto di vista ideologico al movimento, e tanto meno dalpunto di vista organizzativo (come invece sono molti piccoli editori), giànel 1968 presenta negli Oscar le opere di Trockij. Se esiste una domandadi marxismo, Mondadori è già pronto a soddisfarla.

Eppure, probabilmente, per raccontare le vicende del libro, della suaindustria e soprattutto dei suoi lettori in questi anni, si può fare un saltomolto più indietro. Potremmo andare addirittura al 1951, annodell’apparizione di una delle prime e più significative forme simbolicheche hanno attraversato questi anni: The Catcher in the Rye di J.D.Salinger. Nel 1952 ne esce nel nostro paese una traduzione pirata,pubblicata da Gherardo Casini Editore, intitolata Vita da uomo, ma non sene accorge praticamente nessuno. I pochi critici che vengono aconoscenza dell’opera di Salinger, lo fanno attraverso l’edizione inglese.E prima che qualcuno ne parli positivamente, e lo faccia con sufficienteautorevolezza da attrarre l’attenzione di un qualche importante editore,dovranno passare altri cinque anni, quando Alberto Arbasino, nel 1958,legge e recensisce l’edizione inglese economica Penguin11. Solo neldicembre 1961 è pronta la traduzione ufficiale, intitolata Il giovane Holdene pubblicata da Einaudi; nel marzo dell’anno successivo sarà già statastampata la seconda edizione.

Perché ci interessa questo lungo racconto che in fondo nasce moltoprima del periodo per noi importante e che ha dimostrato di avere in sé laforza necessaria per non rimanere legato a esso? Per una sua particolare,forse unica, capacità di racchiudere dentro di sé la storia del decennio

11 Alberto Arbasino, “Il Telemaco moderno”, Il Mondo, 12 agosto 1958.

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settanta, le sue origini e ciò che di esso è rimasto. Il giovane Holden,come pochi altri libri, precorre i propri conterranei flower children equanto c’è stato di più autentico e innovativo nei movimenti studenteschieuropei e, naturalmente, in quello italiano. Holden, come avviene nelnostro paese, muove la sua “rivolta” a partire dall’istituzione scolastica;proviene, fatto fondamentale, da quella middle class che ha raggiunto direcente buoni livelli di reddito e di consumo; è giovane. Elemento,quest’ultimo, per nulla scontato: negli Stati Uniti degli anni cinquanta,così come nell’Italia del decennio successivo, le giovani generazionidovevano ancora conquistare il proprio diritto di parola.

Holden non era accettabile perché metteva a soqquadro quanto l’America, uscitavittoriosa dalla guerra e dal suo innato isolamento, dava per scontato nel “paradisoin terra procurato dalla disfatta dei “nippo-nazi-fascisti”: l’armonia familiare. Lafamiglia americana era un nucleo compatto, virtuoso, dotato di un equilibrio da nonmettere mai in discussione, in cui il passaggio al timone di una generazione dietrol’altra avveniva senza scosse, senza turbamenti […]. Quel passaggio nonprovocava terremoti perché era indolore: gli adulti dirigevano la barca dellafamiglia, i giovani aspettavano il loro turno, contenti di essere protetti […] Né sidisperavano, come farebbero oggi, se si sentivano messi da parte da tutta lasocietà: mai un film o un libro diretti a loro, mai la loro voce presa pertestimonianza di qualcosa. Il jazz stesso, musica con cui ballavano, era creato daadulti per adulti. Non c’era proprio verso di essere contati12.

La situazione, per molti aspetti, è molto simile a quello che deveessere il rapporto tra le generazioni nell’Italia del boom economico, neldecennio successivo. E in questo quadro irrompe Holden, precedendouna intera generazione di studenti che in lui potrà trovare una formasimbolica adeguata per dire il proprio disaccordo col mondo così come lotrova. Holden inizia la propria rivolta all’istituzione dalla lingua: meeetcha,gonna, gotta, lotsa, cantcha, wanna, elluva sono espressioni slang di cuiriempie il suo discorso: che non sembra più rivolto a un destinatariogenerico e indefinito (e per ciò stesso adulto, visto che il “neutro”, il“grado zero” dello stile è sicuramente associato a una parlata matura, da“grandi”) ma a un coetaneo, un compagno di scuola, un amico, che abbiadiciassette anni come lui.

12 Romano Giachetti, Il giovane Salinger, Baldini&Castoldi, Milano 1998, pp. 71-72.

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Quelli che mi lasciano proprio senza fiato sono i libri che quando li hai finiti dileggere e tutto quel che segue vorresti che l’autore fosse un tuo amico per la pellee poterlo chiamare al telefono tutte le volte che ti gira. Non succede spesso, però.Chiamerei volentieri Isak Dinesen. E Ring Lardner, se D.B. non mi avesse dettoche è morto. Ma prendete quel libro, quello Schiavo d’amore di SomersetMaugham. L’ho letto l’estate scorsa. È un libro abbastanza bello e tutto quanto, manon mi verrebbe mai in mente di chiamare al telefono Somerset Maugham. Nonso. È che non è il tipo che mi verrebbe di chiamare al telefono, ecco tutto.Piuttosto chiamerei il vecchio Thomas Hardy. Mi piace quella Eustacia Vye13.

Holden non solo parla una nuova lingua (per un libro, anch’esso partecospicua dell’istituzione, ma sicuramente non nuova tra gli studenti), madice bugie, beve alcolici, ha un incontro sessuale (un po’ sfortunato) conuna prostituta, si fa beffe di tassisti e camerieri, getta via il denaro etormenta tutti con una domanda: “Sa le anatre che stanno in quellostagno vicino a Central Park South? Quel laghetto? Mi saprebbe diredove vanno le anatre quando il lago gela? Lo sa, per caso?”14. E tuttoquesto lo fa dopo aver abbandonato la scuola, Pencey, in Pennsylvania.Holden, fin dalle prime pagine, prima ancora di scappare da Pencey,dimostra di avere uno sguardo tutt’altro che ingenuo, o, se non altro, dinon riuscire proprio a stare zitto.

L’Istituto Pencey è quella scuola che sta ad Agerstown in Pennsylvania. Probabileche ne abbiate sentito parlare. Probabile che abbiate visto gli annunci pubblicitari,se non altro. Si fanno la pubblicità su un migliaio di riviste, e c’è sempre un tipogagliardo a cavallo che salta una siepe. Come se a Pencey non si facesse altro chegiocare a polo tutto il tempo. Io di cavalli non ne ho visto neanche uno, né lì, né neidintorni. E sotto quel tipo a cavallo c’è sempre scritto: “Dal 1888 noi forgiamo unasplendida gioventù dalle idee chiare.” Buono per i merli. A Pencey non forgiano unaccidente, tale e quale come nelle altre scuole. E io laggiù non ho conosciutonessuno che fosse splendido e dalle idee chiare e via discorrendo. Forse due tipi.Seppure. E probabilmente erano già così prima di andare a Pencey15.

13 J.D. Salinger, The catcher in the Rye [trad. it. Il giovane Holden, Einaudi, Torino 1961,

p. 23].14 Id., p. 71.15 Id., p. 4.

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Holden però, come ho accennato, non trova il suo motivo di interessesolo nella sua capacità di usare una lingua nuova, parlata; di rivolgersi auna fascia sociale fino ad allora estranea alla società stessa, perché questaera costituita dai soli adulti; di dire (e fare) cose proibite (osemplicemente insensate), puntando il dito contro l’ipocrisia e rifiutandoil compromesso. Holden, lungo il suo percorso di rivolta, che dalla scuolalo porta alle strade di New York per poi restituirlo alla sua famiglia, forseun po’ malconcio, compie una parabola paradigmatica, in cui è possibileracchiudere anche la nostra ricostruzione delle vicende del libro comeprodotto culturale, forma simbolica e oggetto di consumo negli annisettanta nel nostro paese. E per questo stesso motivo The catcher in theRye viene prima della nostra storia e va ben oltre essa.

I dati intorno alle vendite di libri negli anni settanta, per quanto moltoscarsi e minimamente sistematici solo a partire dal 1975, anno in cui ilsettimanale Tuttolibri appare in edicola con una classifica dei più vendutidella settimana (costruita dalla Demoskopea sulla base di uncampionamento statistico e senza cifre assolute), mostrano in realtà cheil filone più redditizio in libreria non è certo rappresentato da quei titoli(Cent’anni di solitudine, Il giovane Holden), o quei generi (la saggistica di“impegno”, orientata all’interpretazione dei cambiamenti storici e socialiin atto) che fin qui abbiamo indicato come significativi per descrivere uncerto clima sociale.

Il piatto forte, quello più richiesto e più venduto, resta la narrativa, che puòraggiungere livelli di vendita altissimi. In piena contestazione studentesca, nel1968, grossi successi ottengono testi quali L’airone di Giorgio Bassani (edito daMondadori), e L’occhio del gatto di Alberto Bevilacqua. Nel 1971 […] superano le100.000 copie Paura e tristezza di Cassola (Einaudi, 180.000 copie), Ritratto in piedidi Gianna Manzini (Mondadori, 152.000), I cieli della sera di Michele Prisco(Rizzoli, 115.000)16.

In cima alle classifiche di vendita per tutti gli anni settanta, come delresto per tutto il decennio precedente, anche nel momento in cui lacontestazione è più forte, troviamo il cosiddetto “best-seller italiano di

16 Alberto Cadioli, L’industria del romanzo, cit. p. 127.

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qualità”. I suoi autori sono Bassani, Cassola, Chiara, Tobino, Tomizza,Prisco, Moravia, Bevilacqua, ed è possibile accomunare questi nomi piùche per le caratteristiche dei testi da loro prodotti (tra i quali, peraltro,almeno una certa uniformità linguistica è riscontrabile), per la natura delrapporto intrattenuto con il proprio editore e per le caratteristiche delproprio pubblico. Questi autori, lungo tutti gli anni sessanta e settanta,tendono a essere identificati come produttori della “letteraturaistituzionale”17, in piena continuità con la tradizione letteraria nazionale, everso di essi si rivolgono le nuove classi sociali di recente istruzione e dinuova capacità d’acquisto. Insomma, il boom economico e ilprolungamento della scuola dell’obbligo portano sul mercato librario unanuova classe sociale (che tradizionalmente, e con un po’ di sprezzo, vienechiamata “piccolo borghese”) che anche attraverso il consumo di librivuole consolidare il proprio status sociale. Come giustamente osservaCadioli18, tra gli oggetti, immediatamente significanti, della risalita dellapiramide sociale, oltre all’automobile e magari alla doppia casa per ilweek-end, c’è anche il libro. E questo libro sarà di un autore italianoriconosciuto come appartenente alla “letteratura” in quanto istituzione,dunque sentito in linea con la tradizione culturale nazionale, di cui lascuola ha antologizzato i classici; sarà inoltre di narrativa e sempre di unacerta dimensione (per lo più un racconto lungo o un romanzo breve); diimpianto per lo più ottocentesco, ambientato nella provincia italiana escritto in una lingua media, una sorta di koiné italiana. Il valore di questitesti è alterno e spesso molto alto, ma ciò che più li rende interessantiper noi è la loro identità comune, o meglio la loro riconoscibilità per ilpubblico “borghese” a cui sono destinati. Gli editori, da parte loro,moltiplicano le marche identificative di questo prodotto: e così la cadenzadella loro pubblicazione è piuttosto regolare. Cassola, dopo La Ragazza diBube, pubblica nel 1961 Un cuore arido, nel 1962 La visita, Il cacciatore(1964), Tempi memorabili (1966), Storia di Ada (1967), Ferrovia locale(1968), Una relazione (1969), Paura e tristezza (1970), Monte Mario (1972)con l’editore Einaudi; con Rizzoli, a metà degli anni settanta, Troppo

17 Cfr. Vittorio Spinazzola, “Letteratura, paraletteratura, arciletteratura” in Vittorio

Spinazzola ed., Pubblico 1983, Milano Libri, Milano 1983, pp. 143-171.18 Alberto Cadioli e Giovanni Peresson, Il super libro: conversazioni sul romanzo di

successo, Il Lavoro Editoriale, Ancona 1984, p. 12.

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tardi, L’antagonista, La disavventura, L’uomo e il cane. Insomma è facilerendersi conto che si tratta di una produzione quasi annuale e del restoCassola dimostra ampiamente di essere riuscito a fare della propria firmaun marchio di qualità per un pubblico abbastanza numeroso che non loabbandona mai. D’altro canto i nomi di questo gruppo di autori compaionospesso tra i selezionati dei premi letterari nazionali, come il premioCampiello o il premio Strega, su cui gli editori in vario modo esercitanopressioni.

Il periodo dell’anno scelto per l’uscita del “best seller italiano diqualità” è normalmente l’inizio dell’estate o dicembre, e gli editoripuntano molte delle proprie energie nella sua promozione:

Con la fine degli anni sessanta e l’inizio degli anni settanta, infatti, l’editoriacompie un salto di qualità nelle forme pubblicitarie. La stampa, quotidiana eperiodica, diventa la sede privilegiata di inserti che presentano i nuovi testi, dinarrativa ma anche di saggistica, con “stelloncini pubblicitari” spesso dedicati aun’unica opera, sulla quale l’editore punta particolarmente. L’uso di questi insertiè sempre più massiccio e sempre più perfezionato appare il testo e l’immagine chetrasmette il messaggio al potenziale acquirente.Ogni sforzo in questa direzione è giustificato: i lettori di quotidiani e periodici sonoin netto aumento, e quindi in crescita il numero di potenziali lettori di libri. L’Istatfornisce a questo proposito dati precisi, secondo i quali le spese per acquisti nelsettore dei giornali passano dai 210.000 milioni del 1965 ai 380.000 milioni del1973, mentre i lettori passano da 15 milioni e 967.000 ai 24 milioni e 531.000: unnumero elevatissimo di recettori dl messaggio pubblicitario19,

Il resto dell’anno, normalmente, viene destinato ai cosiddetti romanzi“tappabuchi”, in attesa che l’arrivo di un nuovo periodo di mercato caldoconsenta il lancio del “best-seller di qualità” (le cui vendite di solito siaggirano intorno alle centomila copie).

In questo quadro, naturalmente molto più mosso di quanto laricostruzione possa rendere, vale la pena di ricordare due delle molteeccezioni possibili. Nel 1971 appare in libreria, pubblicato da Rizzoli,Fantozzi di Paolo Villaggio, in cui vengono raccolte le storie del ragionierFantozzi che settimanalmente il comico va pubblicando dall’estate del

19 Alberto Cadioli, L’industria del romanzo, cit. p. 128.

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1968 su L’Europeo. Villaggio non appartiene alla “repubblica dellelettere” e la sua immagine non può certo essere percepita, dal pubblicodei lettori di narrativa in Italia, come in linea con gli scrittori “di qualità”e tanto meno con la tradizione letteraria nazionale. La sua provenienza èpiuttosto televisiva, dove appare per la prima volta nel 1968 in “Quellidella Domenica”, che conduce insieme a Cocchi Ponzoni e RenatoPozzetto. I personaggi da lui portati sul piccolo schermo sono FranzKranz, prestigiatore tedesco dall’indole un po’ irruente, abilissimo aparole ma incapace a compiere i più elementari giochi di prestigio; e unimpiegato conformista, remissivo e frustrato, di nome Fracchia. Gliascolti del programma sono piuttosto modesti, ma nel frattempo PaoloVillaggio approda al cinema. Nel 1970 affianca Vittorio Gassman in“Brancaleone alle Crociate”, diretto da Mario Monicelli, meastro dellacommedia all’italiana. Nel ’71, infine, torna in televisione nel varietà delsabato sera “Senza Rete”.

Fantozzi, in realtà contro ogni aspettativa della stessa Rizzoli, è unodei maggiori successi in libreria per quell’anno. Contro ogni aspettativaprobabilmente perché, come nota Giuseppe Gallo, l’industria editorialenon ha “avvertito a tempo che fra gli strumenti di comunicazione dimassa e il mondo librario si andava stabilendo uno stretto rapporto, chenella seconda metà degli anni sessanta si rivelerà molto fruttuoso”20.Così, alcuni anni dopo, vista l’efficacia di questo “rimpallo mediale”, in cuiun personaggio noto, per lo più un comico, attraverso la radio o latelevisione, attrae nuovi lettori in libreria, usciranno Il secondo tragicolibro di Fantozzi, Il meglio di Alto gradimento di Renzo Arbore e GianniBoncompagni, Il meglio del peggio di Marcello Marchesi e Lo scarafo nellabrodazza di Mario Marenco.

Fantozzi con il best-seller italiano di qualità condivide almeno l’utilizzodi una koiné italiana, che è in fondo la lingua diffusa dalla televisionenazionale, da cui Villaggio proviene. Una scelta, questa, innovativarispetto alla tradizione comica nazionale (dove invece si è sempre fattoricorso al “localismo” linguistico e morale per suscitare il riso), magiustificata dalla necessità di mettere in scena l’“italiano medio”, formatodalla scuola e dalla televisione italiana e inquadrato all’interno di una

20 Giuseppe Gallo, “Villaggio, una comicità mostruosa”, in Vittorio Spinazzola ed., Ilsuccesso letterario, Unicopli, Milano 1985, p. 222.

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grande azienda con funzioni amministrative. Fantozzi ben presto diventapiù che il titolo di un libro di successo o il nome di un personaggiocomico: entra a far parte di quella stessa lingua italiana da lui parlata,diventa una vera e propria categoria qualificante ogni sorta di disgrazia,purché sia iperbolica ma non tragica. Così infatti sono le sue disavventure(smisurate rispetto alla piccolezza del contesto in cui avvengono,iperboliche perché eccessive rispetto alla quotidianità un po’ meschina incui sono calate) e così è la sua lingua, ricca di iperboli, in cui anchel’oggetto più insignificante diventa quantomeno “mostruoso”. Gran partedell’effetto comico di Villaggio è fondato su questa sproporzione. Equesto effetto comico, frutto di un efficace utilizzo dell’iperbole, dice inrealtà della rinuncia di chi organizza il discorso, della voce narrante, adare organizzazione coerente al mondo, alla realtà in cui si svolgel’azione. Questo parossismo espressionistico (fatto di accumulazioni e diellissi) è un modo efficace per esprimere una sorta di spaesamentorispetto al mondo: è come se chi racconta, che solitamente è colui chemette ordine nella realtà, se non altro perché quella realtà è lui ad averlainventata, si scoprisse sovrastato dal mondo e trovasse tutto, appunto,“mostruoso”, iperbolico. La storia è in cammino, abbiamo detto: forseFantozzi è la forma simbolica in cui una certa classe sociale (che è poi lastessa messa in scena da Paolo Villaggio, i suoi lettori) trovaun’espressione al proprio disagio, esorcizzandolo nel riso.

La Storia, di Elsa Morante è la seconda eccezione di cui rendo contorispetto alle vicende del best-seller italiano di qualità. Eccezione se nonaltro perché La Storia va ben oltre le centomila copie vendutesolitamente dai romanzi di Chiara o Cassola: in una decina di mesi toccaquota ottocentomila. L’impegno profuso dall’autrice e dall’editore(Einaudi) ha certamente influenzato questo risultato: il prezzo a cui vienevenduto è molto basso (2.000 lire), almeno la metà del prezzo medio deivolumi di quelle dimensioni (670 pagine) perché la Morante sceglie, perfavorire la diffusione, di ridurre i propri compensi; si fa in modo che siapresente nelle librerie a giugno (siamo nel 1974), offrendosi come letturaper l’estate; la campagna stampa è intensa e se ne fa una tiratura inizialedi 100.000 copie (vale a dire che le librerie ne vengono completamenteinvase); si stampa direttamente nella collana economica. Ma tutto questo

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non sarebbe sufficiente (e il caso di Horcynus Orca di Stefano D’Arrigo,lanciato con dispendio di mezzi anche maggiore da Mondadori l’annosuccessivo, senza però superare le 80.000 copie, lo dimostra) se il libronon avesse effettivamente mosso qualcosa.

Il primo segnale in questo senso è l’intenso dibattito che si apre nellepagine culturali dei maggiori quotidiani italiani. Ma, fatto importante, nonsono solo i quotidiani tradizionali a occuparsi de La Storia, ma recensioniappaiono anche su Avanguardia operaia e su Linus, che (come molti altrigiornali) dedica un certo spazio anche alle opinioni dei lettori21. Vale adire che il romanzo della Morante, pur essendo un opera interna alleistituzioni letterarie, riesce ad andare oltre, e a diventare un vero eproprio caso politico. Su il manifesto, che propone se stesso tanto comeun quotidiano, quanto come una vera e propria aggregazione politica dellanuova sinistra (più o meno come allora erano Lotta continua eAvanguardia operaia), si accende un intenso dibattito, che vede coinvoltiintellettuali di sinistra, quali Nanni Balestrini, Elisabetta Rasy, LuigiPintor, Renzo Paris, Franco Rella e che si trovano d’accordo nel giudicarel’opera della Morante come un “mediocre romanzone borghese, dacriticare da un punto di vista marxista e proletario”22. Ci si trova per lopiù d’accordo insomma nel considerare La Storia come un’elegiaconsolatoria, un invito alla passività: la triste e assurda vicenda di IduzzaRamundo, schiacciata da una Storia con la esse maiuscola (“uno scandaloche dura da diecimila anni”, recita il sottotitolo), che scorre insensibile atutto e a tutti, porterebbe con sé una morale reazionaria; la rassegnazionecome strumento per rinforzare il controllo sulle masse. Eppure, già inquesto momento, sempre nelle pagine de il manifesto, Rossana Rossandaintravede forse il vero senso del successo del libro della Morante, al di làdi supposte manipolazioni.

Nei più giovani e più ingenui, vissuto il 1968 come una accelerazione e quindicome una caduta, [c’è] il bisogno di giustificare la sconfitta e insieme laconsolazione di viverla come elegia: la rivoluzione torna alla sua sfera privata, e

21 Cfr. Albero Cadioli, L’industria del romanzo, cit. pp. 149-150.22 Franco Rella, “La Storia: un mediocre romanzo borghese”, in il manifesto, 24 luglio

1974, citato in Cadioli, p. 150. Un resoconto dettagliato di questo dibattito è riportato inquesta stesso lavoro di Alberto Cadioli.

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solo questa è affermata come valore possibile, contro schematismi e formule […]Giovani di Lotta continua che non leggono mai un romanzo hanno letteralmentedivorato La Storia23.

A parte il giudizio tra le righe sull’opera e sul fenomeno, cheevidentemente rimane negativo, è significativo che ci si renda conto chequalcosa è cambiato, che non si può attribuire a La Storia solo uno spiritodisfattista e sostanzialmente conservatore, ma che forse proprio ilromanzo della Morante, con le sue cifre impressionanti, è il segno piùmacroscopico, tra i libri, del cosiddetto riflusso.

Sono convinto che se La Storia fosse uscita tre anni prima, quando nei movimentinon serpeggiava ancora la crisi che è esplosa proprio un anno dopo lapubblicazione del libro di Elsa Morante, non ci sarebbe stato certo quel successoche c’è stato. La Storia è del ’74, nel ’75 per Lotta continua, Avanguardia operaia,il manifesto comincia il disastro. Credo che il tipo di messaggio contenuto nelromanzo, tutto sommato di grossa sfiducia nei confronti della storia e della politica,della storia in quanto politica, in realtà fosse già abbastanza dentro nei sentimenti,nelle sensazioni, nel fiuto che la gente aveva in quegli anni. Non a caso La Storia èstata letta massicciamente dai giovani lettori del movimento, anche se i politiciallora – la Rossanda come Sofri – ne parlavano male, perché era un librodisfattista24.

I segni del riflusso, che è un fatto politico ma anche culturale, e cheagisce in modo evidente anche sui consumi, nel mercato del libro sonomolteplici. La crisi economica che coinvolge l’intero paese a partire dal1973, a cui gli storici imputano solitamente gran parte della perdita difiducia nell’impegno politico e un certo desiderio di ritrarsi dalladimensione collettiva, nel 1975 colpisce anche l’industria editoriale (dopoun triennio di ulteriore espansione25). Dal 1976 al 1977 le tiraturecomplessive calano da 153.678 a 132.639 unità; il mercato si contraenotevolmente e se gli editori più grossi riescono ancora ad aumentare di

23 Rossana Rossanda, “Una storia d’altri tempi”, in il manifesto, 7 agosto 1974,

riportato in id., pp. 150-151.24 Intervista a Goffredo Fofi, in Alberto Cadioli e Giovanni Peresson, Il superlibro, cit.

p. 59.25 Per un approfondimento delle cifre del mercato editoriale nel triennio 1973-1975

cfr. Alberto Cadioli, L’industria del romanzo, cit. pp. 140-145.

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anno in anno il proprio fatturato, lo devono al continuo ritocco verso l’altodel prezzo di copertina: inevitabile, vista la crescita dei prezzi della carta,ma i lettori diminuiscono. La concentrazione editoriale, abbiamo visto, inun certo senso apre il decennio editoriale. In questo momento, sostenutadalle difficoltà di tutti gli editori, si rafforza, e non è raro che coinvolgaanche gruppi stranieri, mettendo appunto coedizioni o produzioni perl’estero (e coinvolgendo sempre quelli che si sono ormai distinti come igruppi editoriali meglio organizzati ad affrontare i cambiamenti delmercato: Mondadori, Rizzoli, De Agostini, il gruppo Ifi)26.

Come alla fine degli anni quaranta la caduta di tensione politica aveva dato un durocolpo alla produzione di saggistica in favore della narrativa, così anche alla finedegli anni settanta si registra un ritorno di interesse, da parte soprattutto dellapubblicità e dei mass media, per quest’ultimo genere27.

Se le vendite di saggistica non crollano, nonostante la narrativariacquisti peso e visibilità maggiore nel mercato librario, che del resto, siè detto, non ha mai perso, è perché il “saggio” venduto nelle librerie dopola metà degli anni settanta acquista caratteri nuovi. Non si tratta più deltesto di approfondimento e riflessione, di acquisizione di conoscenzespecifiche intorno a uno dei temi politici, economici e culturali che hannoattraversato la contestazione nelle università e nelle fabbriche.L’interesse si sposta rapidamente verso i cosiddetti “istant books”, legatia un tema o un evento di immediata attualità, su cui l’attenzione sispegne piuttosto rapidamente, e affrontati secondo un netto tagliogiornalistico. E in cima alle classifiche di questa nuova saggistica (come sipuò ricostruire dai dati della Demoskopea per Tuttolibri) i nomi di alcunicelebri giornalisti appaiono come i più frequenti (segno anche questodella continua crescita di influenza degli altri media sul libro e le suevendite): Biagi, Montanelli, Bocca, Goldoni.

Enzo Biagi a partire dal 1975 (da quando cioè partono i dati diTuttolibri a disposizione) è ai primi posti in classifica secondo unaregolarità straordinaria: Rizzoli manda in libreria circa due suoi titoliall’anno, normalmente intorno a Natale e all’inizio dell’estate. Disonora il

26 Cfr. Gian Carlo Ferretti, Il mercato delle lettere, Il Saggiatore, Milano 1994, p. 110.27 Alberto Cadioli, L’industria del romanzo, cit. p. 164.

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padre e Italia nel 1975; Il Signor Fiat e Germania nel 1976; Strettamentepersonale e Scandinavia nel 1977; E tu lo sai? nel 1978; Una signora cosìcosì, nel 1979; Ferrari, Cina e Inghilterra nel 1980. Tutti questi titolivendono almeno 70.000 copie; nel caso de Il Signor Fiat si arriva a170.000 copie. Biagi è stato direttore di Epoca e de Il Resto del Carlino; hadiretto il “Telegiornale” della RAI e ha scritto su la Repubblica, IlCorriere della Sera, Panorama, TV Sorrisi e Canzoni; e la notorietà che neha ricavato ha senz’altro influito sul suo successo editoriale.

Eppure, sicuramente per quel che riguarda la serie di viaggio (“LaGeografia di Biagi”), Biagi si incontra perfettamente con una tendenzadelle classi medie (che poi sono i suoi lettori: “Mi accingo con serenaincoscienza a parlare dell’Italia […] Ognuno ha in mente la sua. C’è quelladi Agnelli, quella di Fanfani, quella del pensionato, quella de il manifesto,quella di chi mi legge”, scrive Biagi, strizzando l’occhio ai propri lettori)28,che proprio in questi anni prende piede con decisione: il viaggio turistico,dentro e fuori l’Italia. Tendenza, questa, peraltro fedelmente registratadai consumi editoriali: con regolarità appaiono in classifica in questa partedel decennio la Guida Michelin e la guida del Touring Club dei Villaggi eCampeggi d’Italia.

Ma oltre a venire incontro a un diffuso interesse per probabili meteturistiche (e per lo più i paesi descritti sono europei, dunqueeffettivamente vicini e potenzialmente raggiungibili) Biagi ha la capacitàdi compiere il viaggio fino in fondo, cioè di riportare anche a casa i proprilettori. Mi spiego. Come osserva Fabio Gambaro29, i volumi de “LaGeografia di Biagi” sono dei libri di viaggio molto particolari: sonopressoché privi di riferimenti spaziali. Sia per quanto riguarda la strutturagenerale del libro, sia per quanto riguarda il discorso all’interno deisingoli capitoli, mancano le coordinate spaziali del discorso, ed è un fattosicuramente singolare per un libro di geografia. Questo accorgimento,che fa del paese visitato un termine assoluto, un’unità astratta (la“Francia” senza ulteriori specificazioni), dà a tutta la narrazione un che distatico, un senso di privazione del movimento. Lo stesso effetto, peraltro, è ottenuto a livello temporale: il racconto al presente tende ascivolare nell’atemporalità ogni volta, e accade di frequente, in cui il

28 Enzo Biagi, Italia, Rizzoli, Milano 1975, p. 7.29 Fabio Gambaro, “I viaggi immobili di Biagi” in Vittorio Spinazzola, cit., p. 189-215.

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soggetto del discorso è un soggetto generico (i francesi, la donna, lacultura etc.) privo di un referente specifico e preciso. Il risultato è unaproiezione fuori dal tempo, fuori dalla storia, in una continuità di rapportie di relazioni assoluta.

Tutta la narrazione di Biagi è costruita intorno ad alcuni personaggiillustri: dunque, parlando della Francia è inevitabile parlare di De Gaulle.Ma del generale, della sua figura politica, della storia che lo ha vistocoinvolto il lettore viene a sapere molto poco. In compenso si possonoapprendere una infinità di particolari secondari, quotidiani (rapporti con iparenti, vita interna dell’Eliseo, piccole virtù domestiche) che ne rendonola figura più vicina, comune, quasi conosciuta. Ed è proprio questol’obiettivo di Biagi: di tutto dare l’impressione che sia già noto. A Biaginon interessa la realtà politica e sociale (storica, insomma) delle personee degli ambienti che incrocia: ciò che sembra premergli è una veritàmorale, astratta, vera per ogni uomo, che ogni angolo della terra puòriconfermare.

Ho visto che si prega nella stessa maniera davanti alla Madonna di Pompei e aitempli di Kyoto; il rosario del bonzo aveva solo i grani più grossi. Il carrettinoinfiorito che trascinavano urlando in una strada di Bombay faceva venire in mentele feste popolari napoletane. Non c’è grande differenza tra il destino amaro deipescatori portoghesi e quello dei personaggi di Verga30.

Se è vero, come ci dice Gambaro che “la realtà per Biagi non presentadrammi; tramite il tono brillante, la battuta comica, il gusto per l’aneddototutto viene ricondotto a una dimensione pacificata; ogni episodio, anche ilpiù drammatico, acquista misura comprensibile, anzi ovvia”31, allorasiamo in posizione simmetrica rispetto al ragionier Fantozzi di PaoloVillaggio. Il problema è lo stesso (il rapporto con una storia in cammino)e il pubblico a cui si offre una risposta è il medesimo. Ma la rispostaofferta è opposta. Nel caso di Fantozzi (1971) la realtà vissuta comesovrastante viene esorcizzata con l’iperbole e quindi con il riso; ilproblema però non viene negato, ma in qualche modo ce ne si fanno iconti. Nel caso di Biagi (seconda metà degli anni settanta) la strada scelta

30 Enzo Biagi, America, Rizzoli, Milano 1973, p. 9.31 Fabio Gambaro, cit. p. 204.

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è la negazione del problema: non è vero che la storia è in cammino. Lastoria è assolutamente immobile, il mondo è sempre lo stesso ed èovunque uguale a sé. Nel primo caso non nego il problema, ma scelgo diriderne. Nel secondo affermo che il problema non esiste proprio, perché“così va il mondo”, da sempre.

Biagi, dicevo, in un certo senso completa il viaggio, perché riportarassicurati a casa i suoi lettori. O meglio: nessuno si è mai spostato dacasa, perché in fondo “tutto il mondo è paese”.

Anche quello di Holden è, in fondo, un viaggio verso casa. Ma almenoun viaggio vero e proprio sembra esserci stato. Nel 1977 Gerald Rosen,autore di Zen in the Art of J.D. Salinger32, propone la teoria secondo laquale Il giovane Holden ricalchi alla perfezione la vita leggendaria diSiddharta Gotama, il Buddha, il cui racconto, per opera di HermannHesse, viene pubblicato in Italia nel 1973. (Il successo del racconto diHesse di fatto è l’inizio di un grosso interesse per le discipline filosofiche,mistiche e sapienziali provenienti dall’oriente. Per altro è inserito in unaimpennata di interesse, alla metà degli anni settanta, per le tematichereligiose in generale, tanto che dal 1976 al 1978 le tirature delle opere dicarattere religioso e teologico passano da 4.867 unità a 10.01133).

Come Siddharta, Holden proviene da un ambiente ricco, di privilegio ecome lui è in uno stato, diciamo, di “non attaccamento”, cioè estraniato,distaccato: il suo racconto si apre proprio con lui che sceglie di nonandare a vedere la partita, di starsene in disparte. Visita il suo vecchioinsegnante di Inglese, il professor Spencer, ed è qui che fa esperienza,come Siddharta, della caducità e della morte. (Ed è qui, come ricordaGiachetti34, che Holden dice una delle sue più celebri frasi, in risposta alprofessore che gli dice che la vita è una partita: “Partita un accidente.Una partita. È una partita se stai dalla parte dove ci sono i grossi calibri,tante grazie – e chi lo nega. Ma se stai dall’altra parte, dove di grossicalibri non ce n’è nemmeno mezzo, allora che accidente di partita è?Niente. Non si gioca.”)

32 Citato in Romano Giachetti, cit. p. 91.33 Cfr. Alberto Cadioli, L’industria del romanzo, cit. p. 165.34 Romano Giachetti, cit. p. 93.

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Da qui in avanti, come il Buddha, Holden cerca qualcosa o qualcunoche lo aiuti a fare chiarezza. È alla ricerca di qualcosa, e inizia il viaggio.Non ha orologio, perché vive nella dimensione fuori dal tempo propriadell’infanzia; rimane estraneo al mondo degli adulti anche per quel cheriguarda il sesso, che è più che altro un’aggressione. Holden sembravoler uscire dalla propria infanzia, ma vorrebbe anche portarsene con séuna parte, con la speranza di migliorare il mondo degli adulti. La sorellinaPhoebe, l’unica persona che gli dà retta e sembra tirarlo fuori dal pantano,quando si incontrano a casa dei loro genitori, è seduta sul letto con legambe incrociate come un buddista.

Nel rapporto [tra Holden e Phoebe] c’è anche la prefigurazione di ciò che sta peraccadere alla loro generazione: il rifugiarsi nelle braccia l’uno dell’altro deiteenager degli anni sessanta quando sentirono di non avere più legami con lacultura dei genitori35.

Quando Holden incontra Phoebe, di fatto, è già ritornato a casa. Il suo,però, non è stato un viaggio immobile, e sicuramente al suo arrivo saqualcosa in più di quando è partito. Sa, spronato dalla sorella, ciò chevorrebbe essere: the catcher in the rye. Idea questa che gli viene dallastorpiatura di una canzone scozzese di Robert Burns36, che produce nellasua immaginazione una figura quasi fiabesca, un personaggio che sta aimargini di un campo di segale (rye) aperto su un burrone, su cui giocanodei bambini. Se uno di questi, per distrazione, durante il gioco cade nelburrone, il raccoglitore (the catcher) lo prende al volo e lo rimette nelgioco. Holden insomma vuole recuperare chi sta cadendo; chi come lui,abbiamo visto, sente di non avere più legami con la generazione che lo hapreceduto, ma vuole comunque diventare adulto. Forse in questaimmagine, proprio perché così contraddittoria, e dunque così aperta ainfinite suggestioni, c’è gran parte della ragione del successo de Ilgiovane Holden tra le generazioni che hanno vissuto la propria giovinezzatra gli anni sessanta e i settanta.

35 Id., p. 97.36 Per la ricostruzione di questa storpiatura che ha prodotto anche il titolo del libro, cfr.

la nota al titolo introduttiva dell’edizione italiana ( trad. cit. p. 2).

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Ma se la storia, come vorrebbe “La Geografia di Biagi” e i suoinumerosissimi lettori, in fondo è immobile, e la realtà si riconfermasempre uguale a se stessa, cosa succede alla narrativa e al suo mercato?Le storie raccontate perdono quella trasparenza che tanto ha incantato ilettori di Cent’anni di solitudine, per diventare fortemente costruite,stratificate e ironiche. Se si pensa agli ultimi successi del decennio (oforse ai primi del decennio successivo) sembra che questa sia l’unicaconclusione possibile. Se una notte di inverno un viaggiatore di ItaloCalvino (1979), A che punto è la notte di Fruttero e Lucentini (1979) e Ilnome della rosa di Umberto Eco (1980), nonostante siano diversissimi,possono in questo essere associati. Pur nelle grandi differenzereciproche, i quattro (o tre, a seconda di come si voglia considerare lacoppia Fruttero&Lucentini) autori sono tutti interni all’impresaeditoriale, con lunghe esperienze di consulenti, di lettori se non di veri epropri funzionari editoriali (a differenza degli autori che abbiamoaccomunato nel “best-seller italiano di qualità”: per lo più tutti scrittoripuri, esterni alla macchina produttiva); il loro prodotto è caratterizzato daun intreccio molto articolato e denso, la struttura narrativa è fortementeorganizzata, in due casi è addirittura un giallo (A che punto è la notte e Ilnome della rosa); nel racconto rifluiscono (espliciti o dissimulati) veriarchetipi e stereotipi narrativi e in tutte e tre le opere c’è una chiaraattenzione al ruolo forte e alla posizione centrale del lettore (che nelromanzo di Calvino è addirittura messa a tema di tutta la narrazione).

“Certe parole erano diventate come i magazzini Upim, ci si trovavadentro qualsiasi cosa, dalle grattuge ai tappeti persiani”37, scrivonoFruttero e Lucentini nel loro giallo, e questa totale plurivocità produce undiscorso stratificato, ironico appunto, in cui si mescolano citazioni, topoinarrativi e si priva il discorso di quella cristallinità, di quella apertura almondo, di quell’incanto rispetto alla molteplicità del reale, e non deidiscorsi e dei generi, che ha fatto la fortuna di Garcia Marquez.

I romanzi di Fruttero e Lucentini sono costruiti come veri e propri supermarketletterari, come giganteschi contenitori di tutti i generi, i sottogeneri e i topoi

37 Fruttero e Lucentini, A che punto è la notte, Mondadori, Milano 1979 (1987), pp. 23-

24.

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narrativi sperimentati e prodotti dalla letteratura di consumo degli ultimidecenni38.

La stessa osservazione può essere fatta anche per quel che riguarda illavoro di Umberto Eco: anche Il nome della rosa è una collezionericchissima di citazioni, di riscritture di altri testi (veri o falsi); anchequesto libro è una sovrapposizione di generi e topoi narrativi vastissima.

Eco ha rivelato il suo metodo in più occasioni: “È mia ambizione”, ha spiegato inuna intervista a La Repubblica il 15 ottobre 1980, “che nel mio libro non ci sianiente di mio, ma solo testi già scritti”. Il suo libro dovrebbe essere uno scrignocontenente reliquie, “prodotto con una tecnica artigianale medievale: pezzidisparati, messi insieme attorno alle ossa di un santo da più di mille anni”39.

Eppure questa forte e pervasiva ironia nasconde, sul finire dellavicenda di Guglielmo e Adso, un certo senso di nostalgia, che è un altrotratto qua e là emergente alla fine degli anni settanta e all’inizio degliottanta.

Eco e Calvino […] vogliono compiere certamente una riscoperta ironica delpiacere della narrazione e della lettura. Tuttavia proprio in questo tentativoantistoricistico del recupero del “romanzo-romanzo” si avverte più forte il prezzopagato alla necessità storica e alla necessità formale: la riscoperta è infatti unariscoperta ironica. Lo stesso piacere della narrazione e della lettura appare quicome citato, è esso stesso citazione: l’autenticità e l’immediatezza divengonocitazione dell’autenticità e dell’immediatezza. Così questa narrazione che ècitazione è piuttosto nostalgia della narrazione, e di ciò che la fonda, l’esperienza,che non ritorno effettivo al romanzo-romanzo40.

Lo schema interpretativo che Guglielmo elabora per smascherarel’assassino della biblioteca (che il dotto frate francescano concepisce apartire dalla Apocalisse di Giovanni) si rivela molto utile ma inesatto:

38 Gianni Canova, “Il romanzo supermarket di Fruttero e Lucentini”, in Vittorio

Spinazzola ed., Il successo letterario, cit. p. 294.39 Burkhart Kroeber, “Il misterioso dialogo di due libri: Eco e Calvino”, in Renato

Giovannoli ed., Saggi su “Il nome della rosa”, Bompiani, Milano, 1985 (1999), p. 73.40 Leonardo Lattarulo, “Tra misticismo e logica”, in id., p. 101.

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“Non v’era una trama – disse Guglielmo – io l’ho scoperta per sbaglio”41.Gli strumenti che approntiamo, in sintesi, per agire nel mondo, possonoessere molto efficaci, ma certamente non ci dicono nulla su come stianorealmente le cose. Del mondo, di quel rapporto immediato e autenticocon la realtà che il racconto di Garcia Marquez sembrava aver raggiunto,potremmo concludere con Eco, non ci rimane che la nostalgia.

Nei prodotti librari più significativi che aprono gli anni ottanta lanostalgia è senz’altro un tema molto presente (penso, per fare un nome,oltre al romanzo di Eco, ad Altri Libertini di Pier Vittorio Tondelli). E inmodo nostalgico si chiude anche Il giovane Holden di Salinger. Dopo ilgiro in giostra di Phoebe e il bacio che lei gli dà mentre sta iniziando apiovere, Holden, per esprimere quel momento di felicità, dice: “Dio, chepeccato che non c’eravate anche voi”42, laddove il testo inglese, che inquesto caso non fa distinzione tra il singolare e il plurale, si potrebbeleggere nei due modi: rivolto ai lettori, ma anche rivolto a Dio. E qui sichiude anche il parallelismo tra la storia di Holden e quella di Siddharta:questo momento di bellezza che Holden vorrebbe condividere ècertamente il suo attimo di illuminazione.

Carico di nostalgia è anche il definitivo ritorno in famiglia di Holden,che si conclude con un celebre finale.

D.B. mi ha domandato che cosa ne pensavo io di tutta questa storia che ho appenafinito di raccontarvi. Non ho saputo che accidente dirgli. Se proprio volete saperlo,non so che cosa ne penso. Mi spiace di averla raccontata a tanta gente. Io,suppergiù, so soltanto che sento un po’ la mancanza di tutti quelli di cui ho parlato.Perfino del vecchio Stradlater e del vecchio Ackley, per esempio. Credo di sentirela mancanza persino di quel maledetto Maurice. È buffo. Non raccontate mainiente a nessuno. Se lo fate, finisce che sentite la mancanza di tutti 43.

Questo excursus attraverso i consumi librari negli anni settanta credosi possa concludere proprio con queste parole di Holden: è come se nellasua storia ci fossero già tutti i desideri, le paure e le contraddizioni diquesto decennio, e che i libri e i loro lettori hanno portato con sé.

41 Umberto Eco, Il nome della rosa, Bompiani, Milano 1980, p. 494.42 J.D. Salinger, Il giovane Holden, cit. p. 246.43 Id., pp. 247-248.

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Bibliografia

a. Monografie e raccolte di saggi

Alberto Cadioli, L’industria del romanzo. L’editoria letteraria in Italiadal 1945 agli anni Ottanta, Editori Riuniti, Roma 1981

Alberto Cadioli e Giovanni Peresson, Il superlibro: conversazioni sulromanzo di successo, Il Lavoro Editoriale, Ancona 1984

Gian Carlo Ferretti, Il best seller all’italiana, Laterza, Bari 1983

Gian Carlo Ferretti, Il mercato delle lettere, Il Saggiatore, Milano 1994

Romano Giachetti, Il giovane Salinger, Baldini&Castoldi, Milano 1998

Paul Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi, Einaudi, Torino1989

Renato Giovannoli ed., Saggi su “Il nome della rosa”, Bompiani, Milano1985 (1999)

Marino Livolsi, Almeno un libro. Gli Italiani che non leggono, La NuovaItalia, Firenze 1986

Franco Moretti, Opere Mondo. Saggio sulla forma epica dal Faust aCent’anni di solitudine, Einaudi, Torino 1994

Giovanni Peresson, Le cifre dell’editoria, Editrice Bibliografica, Milano1997

Giovanni Ragone, Un secolo di libri, Einaudi, Torino 1999

Ennio Ranaboldo, Invito alla lettura di Salinger, Mursia, Milano 1999

Antonio Spadaro, Pier Vittorio Tondelli: attraversare l’attesa, Diabasis,Reggio Emilia, 2000

Vittorio Spinazzola ed., Il successo letterario, Unicopli, Milano 1985

Giuliano Vigini, Il libro e la lettura. Introduzione generale all’editoriaitaliana, Editrice Bibliografica, Milano 1984

Giuliano Vigini, L’Italia del libro, Editrice Bibliografica, Milano 1990

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b. Periodici

Panta, “Pier Vittorio Tondelli”, 9, 1992

Pubblico, Vittorio Spinazzola ed., 1977-79; 1981-1987

Tuttolibri, 1975-1980

La classifica di “Tuttolibri”

Tuttolibri è l’unico periodico italiano che pubblichi negli anni settantauna classifica dei libri più venduti. La ricerca è compiuta dallaDemoskopea ed è frutto di un rilevamento statistico operatosettimanalmente su un campione di trecento librerie. I dati di venditasono ordinati secondo il “sistema cento” (vale a dire che posto il valorecento al primo in classifica, vengono attribuiti via via valori relativiinferiori al resto dei titoli venduti): non si conoscono quindi cifre divendita assolute. Inoltre queste classifiche (di cui qui, per motivi dispazio, riportiamo solo i primi classificati settimana per settimanasecondo i quattro generi in cui vengono suddivisi) iniziano purtroppo solodal 1975. Il valore di questi dati è quindi molto relativo, ma, in mancanzadi meglio, rappresentano comunque una panoramica interessante su qualisono, in una parte almeno del periodo considerato, i titoli più richiestinelle librerie d’Italia.

1975 (a partire da sabato 8 novembre 1975)

Narrativaitaliana

Narrativastraniera

Saggistica Varia

1 settimana Fallaci, Lettera aun bambino mainato, Rizzoli

R. Adams, Lacollina deiconigli, Rizzoli.

Biagi, Italia,Rizzoli

2 Sciascia, Lascomparsa diMayorana,Einaudi.

“ “

3 “ “ “4 “ “ “

(continua)

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(segue)

5 “ Peter e Wolf, Ilsuperpotere, SEI

6 Fallaci, Lettera aun bambino mainato, …

Marquez,L’autunno delpatriarca,Feltrinelli

“ AA.VV.,Enciclopediamedica, Garzanti

7 “ “ “ “8 Sciascia, La

scomparsa diMayorana

“ “ Mosca, Storiad’Italia in 200vignette, Rizzoli

1976

NarrativaItaliana

NarrativaStraniera

Saggistica Varia

1 settimana Fallaci, Lettera aun bambino mainato, Rizzoli

Marquez,L’autunno delpatrirca,Feltrinelli

Biagi, L’Italia,Rizzoli

Mosca, Storiad’Italia in 200vignette, Rizzoli

2 “ “ “ “3 “ “ “ “4 “ “ “ Disney, Manuale

delle giovanimarmotte,Mondadori

5 “ “ LaPierre eCollins, Stanottela libertà,Mondadori

AA.VV.,CalendarioAtlante, DeAgostini

6 “ Benchley, Losqualo,Mondadori

Napolitano,Intervista sulPCI, Laterza

Salgari, Leavventure diSandokan, Giunti

7 “ Marquez,L’autunno delpatriarca,…

“ “

8 “ Benchley, Losqualo, …

Faenza e Fini,Gli americani inItalia, Feltrinelli

9 “ Marquez,L’autunno…

Napolitano,Intervista sulPCI,…

(continua)

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40

(segue)

10 Cassola,L’antagonista,Rizzoli

Jong, Paura divolare, Bompiani

Smith, Le guerredel Duce, Laterza

11 “ “ Faenza e Fini,Gli americani inItalia,…

12 “ “ Smith, Le guerredel Duce

AA.VV.,EnciclopediaMedica, Garzanti

13 Cassola,L’antagonista,Rizzoli

Marquez,L’autunno delpatriarca,Feltrinelli

Amendola,Intervistasull’antifascismo,Laterza.

14 Chiara, La stanzadel Vescovo,Mondadori

West, Luporosso, Mondadori

“ “

15 “ Allen, Citarsiaddosso,Bompiani

“ Guida MichelinItalia, Michelin

16 Cassola,L’antagonista

West, Lupo rosso “ AA.VV., Guardae scopri glianimali, AMZ;AA.VV.,Enciclopediamedica, Garzanti.

17 Chiara, La stanzadel vescovo,…

Kesey, Qualcunovolò sul nido delcucolo, Rizzoli.

“ “

18 “ “ “ “19 “ West, Lupo

rosso,…Kung, Esserecristiani,Mondadori

Guida MichelinItalia

20 “ Berlitz,Bermuda: iltriangolomaledetto,Sperling –Kupfer

“ Lorca, PoesieInedite, NewtonCompton

21 Villaggio, Letteredi Fantozzi,Rizzoli

Joffo, Unsacchetto dibiglie, Rizzoli

Gorresio,Berlinguer,Feltrinelli

Bramieri, Io Bra-mieri vi racconto400 barzellette,De Vecchi

(continua)

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41

(segue)

22 Goldoni, Dì che timando io, Rizzoli

Robbins, Stiletto,Sonzogno

“ “

23 “ Benchley, Abissi,Mondadori

Biagi, Il signorFiat, Rizzoli

EnciclopediaMedica, Garzanti

24 “ Joffo, Unsacchetto dibiglie,…

“ Goscinny,Asterix inAmerica,Mondadori

25 Fallaci, Lettera aun Bambino mainato, Rizzoli

“ “ Guida MichelinItalia

26 “ “ “ “27 Cialente, Le

quattro ragazzeWieselber,Mondadori

Kesey, Qualcunovolò sul nido delcuculo,…

“ “

28 Goldoni, Dì che timando io, …

Bellow, Il dono diHumbolt,Mondadori

“ AA.VV.,Campeggi evillaggi turistici,Touring

29 Cialente, Lequattroragazze…

“ “ Mességuè, Il mioerbario,Mondadori

30 “ “ “ “Pausaestiva dafine Luglioa fineSettembre31 Rocco e Antonia,

porci con le ali,Savelli

“ “ Pradac, Guida aimedicinali piùconosciuti,Mondadori

32 “ Joffo, Unsacchetto

“ Enc. Med.Garzanti

33 Rocco e Antonia,Porci con le ali,Savelli

Kesey, Qualcunovolò sul nido delcuculo, Rizzoli

“ Dessì, Cercandoun altro Egitto,Savelli

34 “ Buck, Il fruttomancato, Rizzoli

Grazzini, Anni 70in cento film,Laterza

AA.VV.,Fantascienza,Nord

(continua)

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42

(segue)

35 “ Di Giovanni,Novecento,Longanesi

“ Dessì, Cercandoun altro Egitto,…

36 “ “ “ “37 “ Seltzer, Il

presagio,Sonzogno

Biagi, Germanie,Rizzoli

Renata Pisu,Maschio è brutto,Bompiani

38 “ Bellow, Il dono diHumboldt,Rizzoli

“ Hedgecoe,Fotografare,Mondadori

39 “ Uris, Trinità,Mondadori

“ “

40 “ Bellow, Il donodi…

“ AA.VV., Dovesciare, Fabbri

41 “ “ “ Alberti,Calendarioastrologico,Rizzoli

1977

Narrativaitaliana

Narrativastraniera

Saggistica Varia

1 settimana Rocco e Antonia,Porci con le ali,Savelli

Bellow, Il dono diHumboldt,Mondadori

Montanelli,L’Italia in camicianera, Rizzoli

Alberti,Calendarioastrologico,Rizzoli

2 Sciascia, Ipugnalatori,Einaudi; Rocco eAntonia, Porcicon le ali,…

“ “ “

3 Sciascia, Ipugnalatori, …

“ Amendola, Glianni dellarepubblica, Ed.Riuniti.

4 Rocco e Antonia,Porci con le ali,…

Sagan, Occhi diseta, Mondadori

Montanelli,L’Italia in camicianera,..

AA.VV.,Enciclopediadello spettacolo,Garzanti

(continua)

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43

(segue)

5 “ “ “ AA.VV., Comemantenersi informa, Rizzoli

6 “ Fitzgerald, Gliultimi fuochi,Mondadori

Illich, NemesiMedica,Mondadori

AA.VV.,CalendarioAtlante 77, DeAgostini

7 “ Sagan, Occhi diseta, …

“ “

8 Sciascia, Ipugnalatori,…

Fitzgerald, Gliultimi fuochi, …

Ronchey,Accadde in Italia,Garzanti

Enciclopediadello Spettacolo,Garzanti

9 Rocco e Antonia,Porci con leali,…

West, Ilnavigatore,Mondadori

Bocca, Larepubblica diMussolini,Laterza

Mercanti, Ilmanuale delTrapper,Longanesi

10 Sgorlon, Glitorneranno,Mondadori

“ “ “

11 AA.VV., L’ultimouomo, Savelli

“ Ronchey,Accadde in Italia,Garzanti

Bonvi,Sturmtruppen,Corno

12 Salvalaggio,Sabbia negliocchi, Rizzoli

Bellow,Gerusalemmeandata e ritorno,Rizzoli

“ De Crescenzo,Così parlòBellavista,Mondadori

13 AA.VV., L’ultimouomo

Roth, Lamilleduesimanotte, Adelphi

“ Guida MichelinItalia

14 Rocco e Antonia,Porci con le ali,…

Robbins, Imercanti disogni, Rizzoli

Biagi,Strettamentepersonale,Rizzoli

15 “ “ Masina, Gesù diNazareth, Giunti

Bonvi,Sturmtruppen,Corno; Dessì,cercando un altroEgitto, Savelli;Autret, L’Inglesegiocando,Mondadori

(continua)

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44

(segue)

16 Tomizza, Lamiglior vita,Rizzoli

Jong, Paura divolare, Bompiani

“ Guida Michelin

17 “ Robbins, Imercanti disogni, Rizzoli

“ Prevert, Poesie,Newton Compton

18 “ “ “ Fo, Lecommedie,Einaudi

19 Cassola, Ladisavventura,Rizzoli

Meyer, Onorenel West End,Rizzoli

Biagi,Strettamentepersonale,…

20 Tomizza, Lamiglior vita

“ Messori, Ipotesisu Gesù, SEI

21 Chiara, Le cornadel diavolo,Mondadori

Guthrie, Questaterra è la miaterra, Savelli

Fromm, Avere oEssere,Mondadori

AA.VV., Furia,Sperling Kupfler

22 “ Bach, Il gabbianoJonathanLivingstone,Rizzoli

Ingrao, Massa epotere, Ed.Riuniti

Fo, Lecommedie, …

23 Goldoni, Cioè,Mondadori

“ “ “

24 “ Rey, La vedova,Rizzoli

“ “

25 “ “ “ Campeggi evillaggi turistici,Touring

26 “ Jong, Comesalvarsi la vita,Bompiani

Fromm, Avere oEssere

Guida d’ItaliaMichelin

27 “ “ “ Camping evillaggi turistici,Touring

28 Tomizza, Lamiglior vita

“ Messori, Ipotesisu Gesù

AA.VV., C’erauna volta ungatto, Savelli;Guida d’ItaliaMichelin

(continua)

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45

(segue)

29 “ “ Carli, Intervistasul capitalismoitaliano, Laterza

Camping evillaggi turistici,Touring; AA.VV.,C’era una voltaun gatto, Savelli;Lieutaghi, Il librodelle erbe,Rizzoli

Interruzioneestiva30 “ “ Fromm, Avere o

essereGuida d’Italia,Michelin

31 “ “ Messori, Ipotesisu Gesù

32 Ledda, Padrepadrone,Feltrinelli

“ Eco, Come si fauna tesi di laurea,Bompiani

Lieutaghi, Il librodelle erbe

33 “ “ “ AA.VV., C’erauna volta ungatto; Messegue,Erbe, magie,stregoni,Garzanti; Bonvi,Sturmtruppen,Corno

34 Strati, Ilselvaggio diSanta Venere,Mondadori

“ “ Broekman: Comeleggere la mano,Rizzoli;Doubleday,Prova la tuaintelligenzagiocando, Rizzoli

35 Ledda, Padrepadrone

“ “ Montale,Quaderno diquattro anni,Mondadori

36 Strati, Ilselvaggio diSanta Venere

“ “ “

37 “ Segal, Oliver’sstory, Garzanti

“ Lieutaghi, Il librodelle erbe

(continua)

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46

(segue)

38 Ledda, Padrepadrone

“ “ Alberti,Calendarioastrologico,Rizzoli

39 Cassola, L’uomoe il cane, Rizzoli

“ Biagi,Scandinavia,Rizzoli

40 Soldati, La sposaamericana,Mondadori

“ Gervaso, Il ditonell’occhio,Rusconi

41 “ Haley, Radici,Rizzoli

“ Montale,Quaderno diquattro anni

42 “ “ “ AA.VV., AgendaRossa 78, Savelli

43 “ “ Azzolina, Sullanostra pelle,Sugarco

Alberti,Calendarioastrologico

1978

Narrativaitaliana

Narrativastraniera

Saggistica Varia

1 settimana Soldati, La sposaamericana

Haley, Radici Gervaso, Il ditonell’occhio

Chiappori, Storied’Italia,Feltrinelli

2 Sciascia,Candido, Einaudi

“ Fromm, Avere oessere

3 “ “ “ CalendarioAtlante DeAgostini

4 “ “ “ Chiappori, Storied’Italia

5 “ “ Gervaso, Il ditonell’occhio

Calendario Atlan-te De Agostini

6 “ “ Legrenzi,Valutare perschede, Il Mulino

7 “ “ Azzolina, Sullanostra pelle,Sugarco

(continua)

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47

(segue)

8 Chiara, Ilcappotto diAstrakan,Mondadori

“ Fromm, Avere oessere

9 “ Robbins, I sognimuoiono prima,Sonzogno

“ Angelucci eMatricardi, Storiadegli aereoplanidi tutto il mondo,Mondadori

10 “ Haley, Radici “ CalendarioAtlante DeAgostini

11 “ “ “ “12 “ “ “ “13 “ “ Cederna,

Giovanni Leone,Feltrinelli

Guida Michelin1978

14 “ “ “ “15 “ “ “ “16 “ Flaubert,

Madame Bovary,Rizzoli

“ “

17 “ Haley, Radici “ “18 De Crescenzo,

Così parloBellavista,Mondadori

“ “ “

19 Chiara, Ilcappotto diastrakan

Greene, Il fattoreumano,Mondadori

“ “

20 “ “ “ “21 “ “ “ “22 Saviane, Ore

perse – Vivere asedici anni,Feltrinelli

“ “ “

23 Volponi, Ilpianeta irritabile,Einaudi

Nin, Il delta divenere

“ “

24 “ Robbins, L’ulti-mo avventuriero,Sonzogno

“ “

(continua)

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48

(segue)

25 Goldoni, Non hoparole,Mondadori

“ “ Costanzo, Bontàloro, Rizzoli

26 “ Greene, Il fattoreumano

“ Guida Michelin

27 Moravia, La vitainteriore,Bompiani

“ “ “

28 “ Haley, Radici “ “29 “ “ “ “30 “ Nin, Il delta di

venere“ “

31 Camon, Un altareper la madre,Garzanti

Haley, Radici “ Costanzo, Bontàloro

Interruzioneestiva

32 Granzotto, CarloMagno,Mondadori

“ “ Guida Michelin

33 “ “ “ Costanzo, Bontàloro

34 “ “ “ Bertherat,Guarire conl’antiginnastica,Mondadori;Alberti, Sesso eastrologia, Rizzoli

35 “ “ “ Alberti, Sesso eastrologia; GuidaMichelin; Cetto,Funghi dal vero,Rizzoli

36 “ “ “ Montecucco,Sottovetro,Longanesi;Cetto, Funghi dalvero; Lieuteghi,Il libro delle erbe

(continua)

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49

(segue)

37 “ “ Biagi, Francia,Rizzoli

Guida Michelin

38 Berto, La gloria,Mondadori

“ Sciascia, L’affaireMoro, Sellerio

Veronelli, 200cocktails, Rizzoli;Arcelli, Correre èbello, Sperling

39 “ “ “ Mosca, Storia delmondo in 200vignette, Rizzoli

40 “ “ “ “41 “ Singer, Shosha,

Longanesi“ “

42 “ Robbins, 79 ParkAvenue,Sonzogno

Chiara, Vita diGabrieleD’Annunzio,Mondadori

De Crescenzo,Raffaele,Mondadori

43 “ “ “ Alberti,Calendarioastrologico,Rizzoli

44 “ “ “ Fogar, La zattera,Rizzoli

45 “ “ “ “

1979

NarrativaItaliana

NarrativaStraniera

Saggistica Varia

1 settimana Berto, La gloria Haley, Radici Chiara, Vita diGabrieleD’Annunzio

Forattini, Un’ideaal giorno,Mondadori

2 “ “ “ Roiter, EssereVenezia, Magnus

3 “ Puzo, I follimuoiono,Dall’Oglio

“ CalendarioAtlante DeAgostini

4 “ Shaw,Mendicanteladro, Bompiani

“ “

(continua)

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50

(segue)

5 “ Puzo, I follimuoiono

“ Fogar, La zattera,Rizzoli

6 “ “ Di Nola,Inchiesta suldiavolo, Laterza

CalendarioAtlanteDeAgostini

7 Levi, La chiave astella

Fleischer, Ilparadiso puòattendere, Rizzoli

Fromm, Avere oessere

Fogar, La zattera

8 Tobino, Ilperduto amore,Mondadori

“ Stajano, Africo,Einaudi

9 “ Updike, Un mesedi domeniche,Rizzoli

Goldoni, Conossequio, ciao,Rizzoli

Mordillo, Lacoppia,Mondadori

10 “ West, Proteo,Mondadori

Fromm, Avere oessere

Fogar, La Zattera

11 “ Le Carré, Undelitto in classe,Rizzoli

Goldoni, Conossequio…

Guida Michelin

12 “ Robbins, Maiamare unostraniero,Sonzogno

“ Fogar, La Zattera

13 “ “ Stajano, Africo “14 “ McCullogh, Tim,

BompianiDel Bo Boffino,Pelle e cuore,Rizzoli

Guida Michelin

15 “ “ “ “16 Biagi, Una

signora così così,Rizzoli

“ “ “

17 “ Green,Olocausto,Sperling &Kupfler

Montanelli Cervi,L’Italia littoria,Rizzoli

18 “ “ “ “19 “ “ “ “20 Satta, Il giorno

del Giudizio,Adelphi

“ “ “

(continua)

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51

(segue)

21 Biagi, Unasignora così così,Rizzoli

“ “ Chang, Il taodell’amore,Mondadori

22 “ “ “ “23 “ “ “ “24 “ “ “ Campeggi e

villaggi turisticiin Italia, Touring

25 “ “ “ “26 Calvino, Se una

notte di invernoun viaggiatore,Einaudi

“ “ Guida Michelin

27 Fallaci, UnUomo, Rizzoli

“ “ Dyer, Prendi lavita nelle tuemani, Rizzoli

28 “ Wouk, Guerra ericordo,Mondadori

“ Guida Michelin

29 “ Follet, La crunadell’ago,Mondadori

Hoving,Tuthankamon,Mondadori

30 “ Mc Cullogh, Tim Grillandi, Lacontessa diCastiglione,Rusconi

Smith, La dietapunti con ilsesso, MilanoLibri

Estate31 “ “ Sciascia, La

Sicilia comemetafora,Mondadori

Dyer, Prendi lavita nelle tuemani

32 “ Arnothy, Lafelicità a ognicosto, Rizzoli

“ “

33 “ Landau, Lafenice,Mondadori

“ AA.VV., Ilsecondo nlibrodei Carabinieri,Savelli

34 “ “ Sciascia, Nero suNero, Einaudi

(continua)

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52

(segue)

35 “ Danuziere,Luisiana, Rizzoli

“ “

36 “ “ “ “37 “ “ “ “38 “ “ “ “39 “ “ Biagi, Cina,

Rizzoli“

40 “ “ “ “41 Fruttero e

Lucentini, A chepunto è la notte,Mondadori

Hesse, Il giocodelle perle divetro, Mondadori

“ Forattini, Librus,Mondadori

42 Fallaci, Un uomo Krantz, Scrupoli,Sperling &Kupfler

“ Alberti,CalendarioAstrologico,Rizzoli

43 “ “ “ De Crescenzo,La Napoli diBellavista

44 Chiara, Una spinanel cuore,Mondadori

Forsyth,L’alternativa deldiavolo,Mondadori;Michener, LaBaia, Bompiani

“ Forattini, Librus

1980 (da Gennaio a Settembre; termina la pubblicazione di Tuttolibri)

Narrativaitaliana

Narrativastraniera

Saggistica Varia

1 settimana D’Eramo,Deviazione,Mondadori

Forsyth,L’alternativa delDiavolo

Biagi, Cina,Rizzoli

De Crescenzo,La Napoli diBellavista,Mondadori

2 Fruttero eLucentini, A chepunto è la notte

Michener, LaBaia

“ “

3 “ “ “ “4 D’Eramo “ “ Calendario

Atlante DeAgostini

(continua)

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53

(segue)

5 “ Robbins, Ricordidi un altrogiorno,Mondadori

Alberoni,Innamoramento eamore, Garzanti

6 “ “ “ “7 “ “ Lombard, Soldi

truccati,Feltrinelli

De Crescenzo,La Napoli diBellavista

8 “ “ “ Coco, I satiri,Mondadori

9 Castellaneta,Anni beati,Rizzoli

“ “ Bernardi, Ilnuovo Bambino,Milano Libri;Mordillo, Lacoppia,Mondadori

10 Fallaci, UnUomo, Rizzoli

Cardinal, Unavita per due,Bompiani

Alberoni,Innamoramento eamore

De Crescenzo,La Napoli diBellavista

11 “ Robbins, Ricordidi un altro giorno

Bernazza, O sidomina o si èdominati,Messaggerie

12 “ “ Alberoni,Innamoramento eamore

Campeggi evillaggi turisticid’Italia, Touring

13 “ “ “ Guida d’ItaliaMichelin

14 Tomizza,L’amicizia,Rizzoli

“ Bocca, Il caso 7aprile, Feltrinelli

15 “ Robbins, Unsasso per DannyFischer,Sonzogno

“ Tarnower eBaker, La dietaScarsdale,Sperling &Kupfler

16 “ “ Alberoni,Innamoramento eamore

Guida Michelin

17 Arpino, Il fratelloitaliano, Rizzoli

“ Kissinger, Glianni della CasaBianca, Rizzoli

De Crescenzo,La Napoli diBellavista

(continua)

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54

(segue)

18 Tomizza,L’amicizia

Corman, Kramercontro Kramer,Sonzogno

Andreotti, A ognimorte di papa,Rizzoli

Guida Michelin

19 Arpino, Il fratelloitaliano

Lapierre Collins,Il quintocavaliere,Mondadori

“ De Crescenzo,La Napoli diBellavista

20 “ “ Biagi, Ferrari,Rizzoli

Guida Michelin

21 Goldoni,Dipende, Rizzoli

Smith, Come ilmare, Longanesi

Amendola, UnIsola, Rizzoli

22 “ Krantz, PricessDaisy, Mondadori

“ Mosca, Il nuovogalateo, Rizzoli

23 “ “ “ Tarnower eBaker, La dietaScasdale

24 Bevilacqua, Lafesta parmigiana,Rizzoli

“ “ Mosca, Il nuovoGalateo, Rizzoli

25 “ Guy Talese, Ladonna d’altri,Rizzoli

“ “

26 “ Krantz, PrincessDaisy

“ Marenco, LosPutanados,Rizzoli

27 “ Follett, Triplo,Mondadori

“ “

28 “ Smith, Talese,Kranz

“ Guida Michelin

29 “ Follet, Triplo “ “

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Andrea Bellavita

IL CINEMA DEI MOSTRI

1. Una premessa metodologica

Collocare l’oggetto cinematografico all’interno del sistema di industriaculturale italiano degli anni ’70 significa innanzitutto prevedere tredifferenti percorsi di analisi. E contemporaneamente altri tre sistemi di“forze” che intervengono su di essi modificandoli e condizionandoli: unquadro complesso, variamente articolato, che può essere compresosoltanto ricorrendo ad una schematizzazione che proceda per emergenzee per semplificazioni. I tre punti di vista principali attraverso i qualiosservare e interpretare il cinema di questa decade sono quelli dellacreazione del film, della distribuzione e del consumo. Semplificandoulteriormente, possiamo identificare il primo come l’ambito della messain scena vera e propria del film, dell’atto creativo che precede laproiezione in sala e che comprende quindi la posizione autoriale (la figuradel regista), la classificazione secondo il genere e la partecipazione degliattori. Il secondo momento, della distribuzione, riguarda l’entrata incampo di una serie di processi (di produzione, di distribuzione e dipubblicizzazione del film) che riguardano più strettamentel’organizzazione commerciale e industriale del prodotto. Da ultimoprenderemo in esame il rapporto che il pubblico stabilisce con il film dopola sua proiezione in sala, l’accettazione o il rifiuto, la richiesta implicita olatente di una programmazione cinematografica indirizzata in unadirezione piuttosto che in un’altra. È evidente fin da subito come questitre percorsi non possano viaggiare parallelamente, ma siano destinati adincrociarsi, e condizionarsi, di continuo: la trattazione separata (cosìcome il ricorso a categorie tassonomiche perlomeno discutibili, quali il“genere” o il cinema “d’autore”) risponde a esclusive esigenze dichiarezza e di metodo. Non può esistere una produzione artistica che non

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tenga conto a priori del gusto e delle tendenze del pubblico, così comenon può esistere una risposta di pubblico che non possa esseredirezionata dalle strategie distributive: nodi problematici talmentelampanti da rendere del tutto pleonastica in questa sede una trattazioneulteriore.

Il raccordo tra i tre diversi percorsi di analisi verrà invece tentato quiseguendo i flussi delle altre tre “forze” occorrenti che, per quantotendenzialmente aderenti ciascuna ad uno dei tre diversi ambiti, neconsentono la permeazione e l’interazione reciproca. La prima di questecategorie trasversali si esprime in termini più specificamente tematici estilistici e riguarda pertanto il momento di creazione vera e propria: èrappresentata dalla pesante eredità della cosiddetta “commediaall’italiana” che, nata tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60,continua a influenzare la cinematografia di tutti gli anni ’70 e ancora, conle variazioni dovute al mutamento dei costumi, parte della produzionecontemporanea. Se da un lato il riferimento ad un certo modo dirappresentare la società italiana (incentrato sul grottesco e sullosvelamento sarcastico delle debolezze dell’italiano medio), può sembraredi stretta pertinenza contenutistica, dall’altro vedremo come attraversoquesto tentativo di costruire una trasposizione finzionale della realtà, ilcinema si strutturi come un vero e proprio specchio della società e dellesue pulsioni. Sia declinato sul versante comico-farsesco (la commediapropriamente detta), sia su quello drammatico del cinema impegnato omilitante, che della commedia riprende il tratteggiamento dei personaggiinvertendone il registro. In questa ottica la produzione artistica verràquindi a prevenire (o influenzare) il rapporto del pubblico con l’oggettofilmico e a determinare alcune scelte di strategia distributiva (i casiMedusa e Italnoleggio su tutti).

La seconda “forza” che nel corso degli anni ’70 interviene acaratterizzare pesantemente la programmazione, in particolar modoquella del cinema “medio” o “di profondità” o “di massa”, è costituitadall’incremento di un meccanismo di produzione seriale. Laserializzazione (dei titoli, delle situazioni, dei ruoli e degli attori che liinterpretano) si presenta come una costante del cinema di genere checondiziona, attraversandoli, tutti e tre gli ambiti sopra enunciati. Intermini creativi provoca la ripetizione di cliché collaudati (in particolar

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modo in quelli che vedremo essere i filoni comico-erotico, poliziottesco,western) da parte di sceneggiatori e registi e la costruzione di legamiindissolubili tra gli attori e le maschere, ma anche sul versante delladistribuzione porta alla specializzazione da parte di alcune case produttivee distributive attorno a pochi generi consolidati. Nello stesso modoinnesca un meccanismo di forte soddisfacimento della domanda da partedella fruizione di massa che prelude ad un rapporto con il pubblico dimarca televisiva.

La terza categoria, e a maggior ragione in questo caso è opportuna ladefinizione di “forza”, è quella rappresentata dalla risposta che lacinematografia produce nei confronti dell’ondata di “violenza” checaratterizza la temperie storico-sociale di questa decade. Laddove con iltermine violenza non si intenda soltanto quella dell’eversione di estremadestra e di estrema sinistra e la conseguente repressione, quantopiuttosto il rapporto conflittuale tra la società e il potere (“il mistero delpotere” come tematizzerà il cinema civile) e tra le varie categorie e classisociali. Gli strumenti con cui la commedia all’italiana raccontava la vitadel cittadino medio sono sottoposti ad un radicale ridimensionamento,perché mutata è la realtà che deve essere descritta. A tutti i livelli ilcinema è costretto a “rispondere” alla violenza della società che vuolemettere in scena, sia interrogandosi in fase di creazione, sia interpellandodirettamente il suo pubblico. E poi sia attraverso una tematizzazione dellaviolenza stessa (saranno i casi, come vedremo, del cinema civile, di quellomilitante e del poliziottesco), sia con l’evasione (nel comico, nel comico-erotico), sia nella trasposizione mitica o soprannaturale (il western el’horror).

Assunte queste categorie procediamo ora ad un’analisiparticolareggiata dell’oggetto in questione: del cinema in Italia negli anni’70. Che sarà sempre, e prima di tutto, un cinema di mostri.

2. Il momento creativo: il cinema dei mostri

Abbiamo detto che il cinema degli anni ’70 è un cinema di mostri, maquesti mostri hanno una nascita biologica ben anteriore all’inizio delladecade: hanno il loro battesimo nel 1963, con il film omonimo di Dino Risiinterpretato da Ugo Tognazzi e Vittorio Gassman ma abitano, fin dalla

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metà degli anni ’50, i lavori di Pietro Germi, di Luigi Comencini, MarioMonicelli, Antonio Pietrangeli e poi dei più giovani Marco Ferreri, EttoreScola, Luciano Salce e Pasquale Festa Campanile. Egoisti, arruffoni,presuntuosi, disonesti eppure simpatici e capaci, i mostri sono lospecchio di un italiano medio, di un borghese medio-piccolo (o “piccolopiccolo” come lo descriverà nel 1977 Monicelli) che esce dall’indigenzapostbellica e si affaccia incredulo ad un mondo intravisto soltanto neisogni più temerari.

I mostri sono il risultato di una classe registica essa stessa borghese,che inverte il discorso incominciato dal neorealismo spostando il suosguardo dal popolo alla borghesia: si tratta di dare voce, raccontandola,alla vera classe emergente, ma essendo di questa classe figli e figliastripur vergognosi, i registi della commedia all’italiana, mettono in scena unasorta di confessione pubblica e amara, in un atteggiamento di sfida erifiuto, di compiacimento e di timore, in cui i difetti vengono amplificati eil riso deformato nel ghigno. Si ride dei mostri, anche perché la stradadella loro rappresentazione non può essere quella del racconto verosimile(o realista) ma quello della tradizione comica e della poesia burlescatoscana, delle beffe burchiellesche e bernesche, dell’avanspettacolonovecentesco e della tradizione orale. Il primo elemento sul quale èopportuno soffermarci è dunque rappresentato da questo innervamentoda parte della commedia all’italiana in tutta la cinematografia degli anni’70: la commedia rimane il perno attorno al quale ruota l’interesse delpubblico alla produzione di cinema, così come il maggior impegnoeconomico in termini di produzione e distribuzione, o di occupazionedegli attori e degli autori italiani. Ma contemporaneamente la commediaall’italiana diventa anche punto di partenza per la costituzione di generiminori o paralleli (che di essa rappresentano di volta in volta ilcompletamento, la parodia, la degenerazione) o pietra di paragone per ilribaltamento speculare. Questo tipo di processo si sviluppa attraversopercorsi differenti: il primo, più evidente ed elementare, è rappresentatodal fatto che molti dei registi citati in precedenza, continuano a sfornareprodotti di questo tipo per tutti gli anni ’70 e poi ancora nel decenniosuccessivo, garantendo al fenomeno una continuità naturale. Potremmolimitarci qui soltanto ad alcuni esempi: in particolare il caso di Dino Risi,che con titoli come Vedo nudo (1969) o Sessomatto (1973) sembrerà

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inaugurare sul versante “d’autore” il filone del comico-erotico che inquesti anni rappresenta la gemmazione più invadente della commediaitaliana (struttura ad episodi, nudità abbondanti), ma che toccherà anchele corde della polemica con la magistratura con In nome del popolo italiano(1971) o della rappresentazione poetica con Profumo di donna (1975).Senza contare un titolo fondamentale dal punto di vista dello studio digenere (ma meno fortunato da quello artistico) come I nuovi mostri(1977), sorta di testamento e celebrazione di un certo modo di farecinema che si stava lentamente esaurendo nella mutazione, codiretto conScola e Monicelli. Quest’ultimo poi pone la firma su alcuni dei film piùimportanti e rappresentativi di tutto il decennio: la sua descrizione dellasocietà si muove in equilibrio tra la farsa surreale e grottesca e losguardo lucido di denuncia sociale. I suoi mostri sono sempre a metàstrada tra il Gassman di L’armata Brancaleone (1966) e poi di Brancaleonealle crociate (1970) e l’Alberto Sordi di Un borghese piccolo piccolo (1977)che rimane probabilmente il miglior esempio di commedia all’italianapassata attraverso gli sconvolgimenti storici e sociali di questo periodostorico. Il protagonista Giovanni Vivaldi è un padre di famiglia e unimpiegato scrupoloso, ma quando si vede uccidere durante una rapina ilfiglio su cui aveva riposto tutte le speranze di riscatto, rintraccial’assassino e lo tortura fino ad ucciderlo. Il mostro di egoismo o dicinismo di qualche anno prima è diventato un mostro a tutti gli effetti,sanguinario e crudele, che sviluppa tutta la sua angoscia repressa,esattamente come Vivaldi-Rossi sfoga sul pesce che lo ha morsicato lapropria rabbia, infierendo su di esso a sassate nella sequenza iniziale delfilm. Non è più possibile limitarsi a ridere di questi mostri, di questasocietà: al mostro “innocuo” degli anni ’60 gli anni ’70 sostituiscono unmostro più inquietante, di cui non si può che sogghignare, sorridere adenti stretti, ma provando una sensazione fastidiosa. Bisognerà attenderegli anni ’80, il cinema dei Vanzina, di un Neri Parenti che ha dimenticatola lezione di Fantozzi e dei cantori dello yuppismo, per ritornare ad unmostro (ormai macchietta di se stesso) ancora innocuo, rilassante,divertente a tutto tondo. La trasformazione del carattere centrale dellacommedia verso tinte più drammatiche può essere compresa facilmenteosservando la filmografia di molti autori “storici” della commedia stessa:accanto a titoli più tradizionalmente comici troviamo Vogliamo i colonnelli

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(1973) di Monicelli, parodia del golpismo di destra che racconta il tentatocolpo di stato di Junio Valerio Borghese, Trevico-Torino: viaggio nel Fiat-nam (1973) e Brutti sporchi e cattivi (1976) di Scola, Il mostro (1977) diLuigi Zampa. È l’avvicinamento da parte degli autori della commedia aquello che verrà poi definito il “cinema civile”, il cinema di analisi socialee contemporaneamente di impegno, e che avrà in Elio Petri, FrancescoRosi, Francesco Maselli, Damiano Damiani, Giuliano Montaldo e MauroBolognini i più attivi rappresentanti. Il cinema civile rappresenta,soprattutto nei primi anni ’70, l’alter ego della commedia all’italiana e ilpiù importante fenomeno di mutazione e di derivazione, nonché, per certiversi, di proseguimento ideale. Soprattutto per le appoggiaturesarcastiche e dissacratorie su cui la satira e la denuncia sociale sicostruisce, che sono un retaggio delle modalità rappresentative propriedella commedia e ancor prima del cosiddetto “neorealismo rosa”, e allequali si accompagna lo sdegno civile lasciato in eredità dal neorealismodelle origini. La commedia all’italiana (o se preferiamo la neo-commediaall’italiana) e il cinema civile diventeranno così i due filoni fondanti deldecennio, rispecchiando, e torniamo qui alla trattazione di una delle“forze” presentate in avvio, un particolare tipo di reazione alla “violenza”sociale: la commedia (e con essa le sue derivazioni erotiche e pecorecce)si muove nel territorio dell’evasione dalla violenza, dalla rimozione diessa come elemento di trattazione, tacendola, riducendola a burletta, afarsa, ad elemento estraneo al racconto; al contrario il cinema civile (econ esso il poliziottesco, il western, il cinema horror e a maggior ragioneil cinema militante) sceglierà la via della forte tematizzazione dellaviolenza, mettendola al centro della propria narrazione.

Tralasciando momentaneamente il territorio dell’evasione e dellarimozione della violenza ci addentriamo in quello della suatematizzazione, per effettuare alcune necessarie segmentazioni: partiamoinnanzitutto da una prima separazione tra quello che abbiamo definito“cinema civile” e il “cinema militante” vero e proprio. Quest’ultimo sipresenta contemporaneamente come “lavacro della coscienza,espressione di volontà testimoniale, partecipazione autentica degliintellettuali alla dinamica storico politica, occasionale prestazioneprofessionale per un nuovo bisogno mediologico, o più spesso tuttoquesto insieme” e si risolve ad essere “quasi sempre autotelico: si

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rivolge ad un pubblico già pienamente convinto per ribadirne ilconvincimento e oggettivarlo nelle immagini sonorizzate, senza che mai,o quasi mai, realtà e giudizi siano sottoposti ad una vera, e dialettica,analisi critica”1. Ne fanno parte titoli come Apollon, una fabbrica occupatarealizzato da Ugo Gregoretti nell’ambito dei “Cinegiornali liberi” tra il1969 e il 1979, Il contratto (1970), sempre di Gregoretti, Documenti suGiuseppe Pinelli/Dedicato a Pinelli (1970), opera collettiva che vede i nomidi Nelo Risi, Elio Petri e Ugo Pirro, Processo politico (1971) di FrancescoLeonetti e Arnaldo Pomodoro, sul processo Calabresi, I poveri muoionoprima: la salute è malata (1971), girato da Bernardo Bertolucci per l’ARCIe Dodici dicembre (1972) a cui collaborano fra gli altri Pier Paolo Pasolinie Maurizio Ponzi.

Il cosiddetto cinema civile si muove invece su un territorio liminaretra l’impegno politico sociale degli autori e il compiacimentocommerciale, la strizzata d’occhio al pubblico, di cui caldeggia e interpretai sentimenti di turbamento rispetto a ciò che gli sta accadendo. Iprotagonisti del cinema civile sono altrettanti mostri, borghesi piccoli estritolati dal potere e dal suo lato oscuro e misterioso, che come i loroalter ego comici, rischiano di essere sopraffatti dal senso grottesco dellapropria vita. Registi con esperienze di commedia tentano con le loroopere l’esplorazione del tessuto sociale: è il caso di Risi e di Scola, comesi è visto, ma anche di Damiano Damiani, che accosta La moglie più bella(1970) e Un genio, due compari, un pollo (1975) a titoli che del filonesociale hanno costituito il fondamento, come Confessioni di uncommissario di polizia al procuratore della Repubblica (1971), L’istruttoriaè chiusa: dimentichi (1971), l’incursione nella ricostruzione storica delfascismo di Girolimoni, il mostro di Roma (1972) e il meno felice Perché siuccide un magistrato (1975). Diversa l’esperienza di registi comeFrancesco Rosi, Elio Petri o Francesco Maselli, che del cinema civilefecero una sorta di specializzazione, di materia eletta ed esclusiva delproprio lavoro: Rosi porterà a compimento negli anni ’70 il percorsoiniziato il decennio precedente con Salvatore Giuliano (1961) e Le manisulla città (1963), e suoi saranno titoli come Uomini contro (1971), che sicolloca proprio sulla linea di ricostruzione storica dei film precedenti, Il

1 Lino Miccichè, Cinema italiano: gli anni ‘60 e oltre, Marsilio, Venezia 1998, pp. 348-349.

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caso Mattei (1972) e Lucky Luciano (1973), ma soprattutto l’ottimoCadaveri eccellenti (1976), ispirato a Il contesto di Leonardo Sciascia. Loscrittore siciliano ispirerà anche Todo modo (1976) di Petri, che conIndagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (realizzato nel 1969 madistribuito nel 1970, anno in cui vinse l’Oscar come miglior filmstraniero) costruisce la più riuscita meditazione sull’ordine, sull’autoritàe sulla loro gestione e impersonificazione. Al centro della storia unpiccolo personaggio della piccola borghesia meridionale, un altrominuscolo borghese, che non ha la possibilità di accesso a un poterediverso da quello burocratico e che sfoga nell’autorità le proprierepressioni sessuali e di classe. Ad interpretarlo un grande Gian MariaVolontè che, insieme ad Enrico Maria Salerno, rappresenterà la vera epropria maschera dell’attore impegnato, per tutta la durata del decennio:Volontè aveva interpetato per Petri anche A ciascuno il suo (1967), e poiIl caso Mattei e Uomini contro, Il sospetto (1975) con Maselli e poi Sbatti ilmostro in prima pagina (1972) di Bellocchio. Salerno presterà il suo voltopiuttosto alle esperienze più alte del cinema poliziesco, prima che questosi trasformi, ad opera di un processo di inarrestabile serializzazione dellesituazioni e dei personaggi, in quello che, con una punta di disprezzo,viene definito “poliziottesco”. Con il passaggio dal cinema civile a quellopoliziesco cambia anche in maniera radicale il modo di intendere lasocietà e il rapporto con la violenza espressa al suo interno: se il primo sirivolgeva (e rifletteva) ad una classe che auspicava un ribaltamentoprogressista, e quindi orientato a sinistra, del potere costituito, il secondosi muove in direzione opposta, verso una mitizzazione del potere forte, ingrado di debellare le ondate crescenti di criminalità e sedizione,affidandosi a pochi eroi dal pugno di ferro e dai modi non sempreortodossi che sanno liberarsi dalle pastoie della corruzione. È latrasposizione cittadina dello spaghetti western, in cui alla colt fumantedel dopo-Leone, alle violenze e alle efferatezze sotto il sole del Messico,si sostituiscono ora la Beretta, gli inseguimenti e gli scontri a fuoco incittà. Se il cinema civile tematizzava un rapporto di conflitto quasi edipicotra il cittadino e il potere2, il poliziesco racconta di uomini forti, di

2 Interessante constatare come il cinema italiano tenda ad incrociare il racconto del

terrorismo con storie di conflitti tra padri e figli: da Caro papà (1979) di Dino Risi, a La

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pistoleri metropolitani che non esitano a approfittare delle proprie facoltàpur di assicurare il rispetto della legge. Preludendo così indirettamentealla violenza degli imminenti “anni di piombo”. Il passaggio da La poliziaringrazia (1972) di Stefano Vanzina (per l’unica volta non Steno),apprezzabile capostipite del filone, alla miriade di cloni di genere èimmediato: il poliziottesco diventa così uno dei territori in cuil’industrializzazione del prodotto cinematografico raggiunge i suoi effettipiù deteriori, proponendo una serie praticamente infinita di copie tutteuguali fra di loro, e creando vere e proprie maschere incollate sul viso diattori di mediocri capacità ma di immediato riconoscimento da parte delpubblico. Enrico Maria Salerno dopo La polizia ringrazia si concederà inaltri titoli di volta in volta più o meno scadenti, da La polizia sta aguardare, La polizia è al servizio del cittadino? a La violenza: quinto poteredi Vancini, per lasciare il posto a veri e propri faticatori del set, come LucMerenda e Tomas Milian. Il numero di Milano, Roma, Napoli, Torino amano armata o che sparano, o in preda alla violenza cresce nei titoli dianno in anno, fino a sfiorare nella stagione ’73/’74 la quarantina di film,con campioni del trash poliziesco come Milano odia: la città non puòsparare (1975) o la trilogia napoletana di “camorristi buoni” alleati deipoliziotti contro la “malavita cattiva” in Napoli violenta, La polizia èsconfitta, Napoli si ribella (1977).

Se il cinema della violenza urbana e metropolitana può essereinterpretato come un parossismo catartico della reale ondata di violenzache caratterizza le vicende sociali, nello stesso modo può essereosservato lo spostamento antistorico della violenza e dello scontro che lospaghetti western opera negli stessi anni. Assorbita, banalizzata e inparte incompresa la lezione di Sergio Leone, il campo si sgombra per farposto a due filoni principali, ancora una volta identificabili in funzione delrapporto che instaurano con la rappresentazione della violenza e ancoraun volta costruiti intorno a meccanismi di forte produzione seriale. Lezone più inospitali del Lazio o della Spagna si trasformano così in enormiset sempre pronti, che soddisfano il più delle volte ai bisogni alimentari diregisti ed attori che nella carriera hanno fatto e vorrebbero fare tutt’altro:da Bruno e Sergio Corrucci a Damiano Damiani, da Lucio Fulci ad un tragedia di un uomo ridicolo (1981) di Bernardo Bertolucci, fino a Colpire al cuore (1983) diGianni Amelio.

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giovanissimo Gianni Amelio, da Carlo Lizzani a Florestano Vancini eDuccio Tessari (inventore della figura di Ringo, in Una pistola di Ringo eIl ritorno di Ringo, che rappresentano il corrispettivo western del titolofondativo La polizia ringrazia). Mentre Leone trasvola oltreoceano pergirare la sua epopea americana con C’era una volta in America, i prodottiitaliani si concentrano a produrre il maggior numero possibile di mortiefferate e trucide nel minor tempo possibile, fino a raggiungere unavoluta esasperazione sadomasochista, che le esperienze di registi comeBava e Freda erano riusciti a temperare nell’ironia. Nel western deglianni ’70 si muore, e si muore di morte violenta: sono i tempi di Domanipasso a salvare la tua vedova: parola di Epidemia, Gli fumavano le colt e lochiamavano Camposanto, Giurò e li uccise ad uno ad uno, Dio li crea e io liammazzo e di un’infinità di altri film pressoché identici, nel contenuto,negli attori, nei titoli. Almeno fino a quando autori come Enzo Barboni (ilcreatore di Trinità) o Giuseppe Coalizzi decidono di riportare al cinema lefamiglie e i minorenni e creano la coppia Bud Spencer-Terence Hill e ilwestern delle scazzottate e delle mangiate rabelaisiane, in cui la violenzaviene ancora una volta rimossa e trasformata in performance incruenta ecircense: in questo secondo filone del western all’italiano non muore piùnessuno, contano l’amicizia e i buoni sentimenti, le ragazze hannosempre capelli biondi, occhi azzurri e sguardi da cerbiatte impaurite.

L’interscambiabilità fra generi e sottogeneri nel cinema “diprofondità” è attestata non soltanto dal ricorso alla ripetizione seriale deiformati narrativi (che possono essere riproposti allegramente inambientazioni western, poliziesche, horror, erotiche, soft core senzasostanziali cambiamenti) ma anche dalle filmografie di alcuni tra iconfezionatori, tra i quali si assiste non solo a progressivi “passaggi ditestimone”, ma a una sostanziale ubiquità: sono i casi di registi comeAlfonso Brescia, Mario Bianchi, Bruno Corrucci e Aristide Massaccesi(alias Joe D’Amato) nonché di altri nomi più interessanti per intuizioni epratiche di ripresa, come Umberto Lenzi, Antonio Margheriti masoprattutto Lucio Fulci. Questi nomi (Fulci su tutti) ci permettono ditoccare gli ultimi due generi rimasti sul piatto per completare la cartina diquesto decennio di cinema: l’horror e il genere comico-erotico, o meglioil “pecoreccio” con tutte le sue naturali e fisiologiche germinazioni indirezioni del soft e dell’hard core. Benché i due genere siano posizionabili

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ai vertici opposti della contrapposizione rimozione-tematizzazione dellaviolenza (la totale evasione nel caso del pecoreccio, la centralità nel casodell’horror), essi possono essere accomunati secondo un’altra linea disviluppo, rappresentando il massimo di spostamento (su un asse dievoluzione dal racconto di un mondo ordinario a quello di un mondostraordinario) a partire dai due capostipiti della commedia all’italiana e delcinema civile. Ci troviamo così di fronte ad una sorta di quadrilatero (tav.1), i cui vertici posso essere raggruppati in coppie antinomiche a secondache si scelga come nesso logico il rapporto con la rappresentazione dellaviolenza o quello della rappresentazione ordinaria-straordinaria dellarealtà. È dunque all’interno di questo quadrilatero, attraversato da forzeunificanti (il rapporto con l’eredità della commedia all’italiana, laserializzazione) che possiamo ora riposizionare tutti i generi e isottogeneri presi in esame fin qui.

Per ciò che riguarda il genere pecoreccio ed horror procederemo persemplici occorrenze, per semplificazioni: nel caso dell’horror non èpossibile non centrare l’attenzione sulla triade composta da Mario Bava(La ragazza che sapeva troppo, I tre volti della paura), Antonio Margheriti(La vergine di Norimberga, I lunghi capelli della morte, Danza macabra) eRiccardo Freda (L’orribile segreto del dottor Hitchcock, Lo spettro) cheinnestano un gusto tutto italiano per il truculento e l’effetto speciale sullatradizione inglese di genere della Hammer. Un discorso a parte meritaDario Argento (L’uccello dalle piume di cristallo, Il gatto a nove code,Quattro mosche di velluto grigio, Profondo rosso, Suspiria), l’unico registaitaliano a meritare un posizionamento “d’autore” all’interno del generehorror, confezionatore di sciarade sanguinose in cui le occorrenzepsicoanalitiche vengono temperate e bilanciate da un serrato sistema ditracce da decodificare.

Il voyeurismo diventa invece il perno attorno al quale il cinemapecoreccio (nato come degenerazione di bassa qualità ed alti pruritierotici della componente più scollacciata della commedia all’italiana)imbastisce una serie di sottofiloni tutti uguali per quanto riguarda ladinamica narrativa (ambientazione improvvisata, gag da barzelletta,linguaggio volgare fino ad arrivare all’immancabile doccia della starlet diturno o ad un coito di volta in volta più o meno esplicito), gli attori, iregisti: un cinema guardone in cui il sesso è osservato dal buco della

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serratura. La consacrazione di stelle e stelline (Barbara Bouchet, EdwigeFenech, Gloria Guida, Carmen Russo, Lilli Carati, soltanto per fare alcuninomi) passa attraverso saghe medioevali che scimmiottano i titoli dellatrilogia della vita di Pasolini (da Decameron proibitissimo a Decameroticus,da Beffe licenzie et amori del Decameron segreto a Canterbury 2: nuovestorie del ’300, da Mille e una notte…e un’altra ancora a Le mille e unanotte all’italiana), escursioni nel mondo della scuola (La professoressa dilingue, L’insegnante va in collegio, L’insegnante viene a casa), dell’esercito(La dottoressa del distretto militare) e delle forze dell’ordine (le infinitepoliziotte). Il processo di ripetizione stanca e svogliata degli stessi teminon tocca soltanto registi ed attori, ma anche le case di produzione edistribuzione: esemplare il caso di Medusa che, nella stagione 1979/80,riesce ad infilare questo incredibile carnet: La dottoressa del distrettomilitare (Fenech), La professoressa di scienze naturali (Carati), La ragazzaalla pari (Guida), L’infermiera nella corsia dei militari (Nadia Cassini),L’insegnante al mare con tutta la classe (Anna Maria Rizzoli, La liceale ildiavolo e l’acquasanta, La liceale seduce i professori (Guida) e un Mangiativivi (Paola Senatore) dedicato agli appetiti più forti. Accanto ai titoli piùesplicitamente ammiccanti naviga una produzione più pudica, spessointrisa di risvolti para-sociali: su tutti la produzione di Salvatore Samperi,che continua la tradizione iniziata nel 1968 con Grazie zia in titoli come ilfamoso Malizia (1973), che consacrò la fortuna di Laura Antonelli, Peccatoveniale (1974), Scandalo (1976), Nené (1977), Liquirizia (1979). Il mostrodel filone comico-erotico non fa paura come quello del cinema d’azione,ma confessa pubblicamente una sorta di liberazione sessuale che siindirizza verso la morbosità e la fantasia oscena: le avventure erotichecon l’insegnante del proprio figlio, o con la sua compagna di liceo (i titolidel genere liceale interpretati dalla Guida uniscono alla pruderie unacomponente morbosa, che esplora tutte le sfumature più scabrose delrapporto erotico), con l’infermiera procace o con la poliziotta incontrata inauto diventano il chiodo fisso del solito minuscolo borghese che al cinemavede rispecchiate le sue frustrazioni sentimentali e sensuali nellemaschere di Lino Banfi, Alvaro Vitali, Renzo Montagnani, o sublimate lesue mire machistiche nel Merlo maschio per eccellenza, Lando Buzzanca.La dimensione più autenticamente perversa di questo modo di accostarsial sesso per immagini filmiche troverà il suo compimento nel filone

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porno-horror, e nelle sue due diramazioni nazi-sadomasochistiche ecannibalistiche. Nella dimensione del massimo dell’irrealtà, in cui illegame con il mondo ordinario non è più mantenuto nemmeno dallesembianze degli attori, costretti entro maschere grottesche o deformi dicannibali amazzonici o ufficiali delle SS, registi come Joe D’Amato oRuggero Deodato imbandiranno una fiera del pessimo gusto e del gorepiù estremo, in cui la trattazione parossistica della violenza si congiungecon quella del sesso hard core. Ad essi si deve però concedere uninteresse innegabile per la sperimentazione tecnica, non soltantonell’elaborazione degli effetti speciali (necessariamente granduignoleschie il più possibile realistici) ma anche nella direzione e nel montaggio. Siassiste così a esperimenti incredibilmente felici, come il soft core Larivolta delle gladiatrici, che vede la regia dell’italiano D’Amato, laproduzione di Roger Corman, il montaggio, serratissimo e mirabile, di unJoe Dante alle prime armi e l’interpretazione di Pam Grier, futura attricedi Tarantino.

Giunti al livello più basso della rappresentazione cinematografica deldecennio possiamo “ricordare di aver dimenticato” almeno due categorieche, pur riscontrando come vedremo il massimo consenso di pubblico,rimangono ai margini dei meccanismi dell’industria produttiva: sono igrandi padri del cinema italiano e i debuttanti. I nomi di Antonioni, Fellini,Visconti, Rossellini, De Sica, Pasolini accompagneranno ancora tutto ildecennio con le loro opere: alcuni di essi (gli ultimi quattro)consegneranno agli anni ’70 il loro nome con la morte, tragica eprematura quella di Pasolini, mentre Fellini e Antonioni continueranno agirare film fino agli anni ’90. Ma sono anche gli anni delle sperimentazionidi Marco Ferreri e di Paolo e Vittorio Taviani, della consacrazionecommerciale di Marco Bellocchio e delle invenzioni di Carmelo Beneregista cinematografico. Altri percorsi, impossibili da posizionareall’interno di uno schema, per quanto complesso. E sono anche gli annidel debutto di Maurizio Nichetti, Pupi Avati e di Nanni Moretti: MicheleApicella, figlio legittimo di quest’ultimo, si prepara a diventare il nuovomostro degli anni ’80, complesso, terribile, sconfitto.

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3. Il secondo momento: la distribuzione

Con il termine di distribuzione vogliamo intendere qui non soltanto ilmomento industriale attraverso il quale i film girati raggiungono laprogrammazione in sala, ma anche quello, precedente, nel quale i filmvengono prodotti. La confusione fra i due momenti è resa ancora piùevidente dal fatto che le grandi case di produzione straniere, esoprattutto statunitensi, mantenevano (e continuano tutt’ora amantenere) filiali distributive nei paesi in cui i film venivanoprogrammati: nel caso della produzione straniera i due momenti venivanocosì di fatto a coincidere. Nel caso delle produzioni italiane invece ildiscorso si fa più complesso, in virtù delle percentuali incrociate chetenevano collegate a doppio filo società appartenenti a segmenti diversidel mercato cinematografico, e in virtù degli sviluppi evolutivi che alcunedi queste case si trovano a vivere. Esemplare è il caso di Italnoleggio, chenasce nel 1966 con un capitale (non indifferente ma certo non decisivoper influire realmente sul mercato) di 600 milioni di lire. Dal noleggio difilm interamente prodotti dall’industria privata passerà presto aconfrontarsi con l’esercizio delle sale cinematografiche e con lapartecipazione ai rischi produttivi, svolgendo un genere di operazioniculturalmente pregevoli, sia per quanto riguarda la tutela e lo sviluppo delcinema italiano, sia per l’importazione di cinematografie straniere pococonosciute (il cinema greco ad esempio, ed in particolare l’opera diTheodoros Anghelopulos). Discorso analogo può essere fatto a propositodella I.N.C. che nella stagione 1975/76 portò nelle sale accanto ai film diDe Oliveira (Il passato e il presente) e di Buñuel (Intolleranza), un numeroconsistente di titoli di cinema ungherese e cileno. Operazioni meritoriedal punto di vista intellettuale ma il più delle volte completamentefallimentari sul piano economico, cui rispondevano in termini antitetici leforme di specializzazione seriale segmentate verso il basso. Le strategieproduttive o distributive di case quali l’Interfilm, la C.I.A, la Cinerad o,con qualche concessione alla notorietà degli attori e dei registi, laMedusa, si costruivano al contrario attorno ad una proposta di titolisostanzialmente equivalenti e raggruppabili nel triangolo western-poliziesco-eroticomico di cui ben sappiamo.

L’immediata riconoscibilità da parte del pubblico di un prodotto dievasione non passava soltanto attraverso la presenza di un volto o di un

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regista, ma anche nella scelta dei titoli, che la rete distributiva siprodigava ad uniformare, costruendo un sistema di richiami ferratissimo.Sia nel caso di film di produzione italiana, e pertanto di titolazioneoriginale, sia nel caso di produzioni straniere e quindi tradotte. Unesempio sui tutti la fortuna dei titoli Lo chiamavano Trinità eContinuavano a chiamarlo Trinità interpretati dalla coppia Spencer-Hillnelle stagioni ’70/’71 e ’71/’72: i due film figliarono una serieimpressionante di cloni di genere o semplicemente “nominali”. Così neglianni successivi comparvero I due figli di Trinità e Due fratelli in un postochiamato Trinità, ma anche Continuavano a chiamarli...er più er meno eContinuavano a chiamarli i piloti più pazzi del mondo, fino alle più genialidivagazioni, dall’erotico Continuavano a mettere lo diavolo ne lo inferno alcartoon Lo chiamavano ancora Silvestro.

La caratteristica peculiare dell’industria distributiva di questodecennio è dunque la progressiva specializzazione delle varie case nellaproposta di un tipo di titoli piuttosto omogenei. Questo processo sisviluppa in due direzioni antitetiche: se infatti nella specializzazioneverso il basso, verso il “cinema di profondità”, il meccanismo èaccompagnato e reso più agevole da una produzione di genere imperniatasulla ripetizione seriale, anche in termini di specializzazione verso l’alto,verso il cinema d’autore o addirittura di nicchia, si assiste alla nascita difenomeni significativi. Il più interessante di questi è sicuramenterappresentato dalla nascita e dal rafforzamento del circuito dei cineforume dei cineclub, legati ad associazioni private o collegati territorialmentefra loro, ispirati dalla passione dei singoli cittadini, o manifestazionedell’associazionismo di sinistra e cattolico. Attorno ai cineforum prendeforma una programmazione parallela a quella delle sale regolari, chepermette la distribuzione di pellicole di elevata qualità artistica eculturale, in un rapporto diretto e “personale” con il pubblico (coadiuvatoda forme integrative di fruizione del film: il dibattito, la discussione,l’analisi di gruppo) che esula dai meccanismi di domanda ed offerta dimassa. La passione che all’interno di essi si crea intorno al film è quellache Ferreri filtra attraverso il suo gusto parossistico per il grottesconell’episodio di Nitrato d’argento (1996) dedicato agli anni ’70: il filmviene visto, scomposto, discusso, vissuto con un’intensità che nonappartiene alla programmazione originale. Cambiano le modalità di

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visione del film ma soprattutto cambiano gli oggetti veri e propri: duesono i bacini dai quali i cineforum attingono e che proporzionalmentecontribuiscono a rafforzare e rinnovare. Il primo è quello del cinemad’autore straniero, le pellicole di Bergman e di Buñuel, di Fassbinder e diHerzog, gli ultimi lavori della nouvelle vague, e le cinematografiesotterranee, dell’est europeo e dell’America Latina, distribuite da piccolecase di distribuzione indipendenti, spesso in consorzi o in coproduzionicon i paesi di provenienza. È il cinema “dei salvati”, che un’attività di“militanza cinematografica” riesce a strappare al disinteresse delladistribuzione di massa: non è un caso che lo stesso circuito dei cineforumsi troverà a sostenere e spesso finanziare parallelamente buona partedella critica cinematografica delle riviste specializzate, che proprio inquesti anni incominciano a venire alla luce. Il secondo bacinocinematografico da cui i cineforum traggono materiale, spesso insiemealle sale regolari, è quello delle cosiddette “terze visioni”, ovvero leproiezioni di film ripetute ad anni di distanza dalla prima visione in sala:fenomeno che si andrà attenuando già verso la fine degli anni ’70 e che difatto si è oggi del tutto esaurito. La “terza visione” si differenzia dallacomune rassegna o retrospettiva perché si configura come unaprogrammazione regolare, distribuita nel tempo e con prezzi del bigliettouniformi; essa contiene al suo interno due filoni principali: il primorappresentato dai grandi film della storia del cinema che vengonoriproposti al pubblico dopo un periodo di tempo variabile dalla prima per illoro semplice valore estetico e qualitativo. Il secondo invece risponde alogiche commerciali di richiamo sulla memoria del pubblico e consiste nelprogrammare una pellicola del passato che abbia un regista, un attore,una situazione, o anche soltanto un titolo che richiami una prima visionepresente in sala o di programmazione immediata.

Se spostiamo ora l’attenzione sulla produzione dei titoli è inveceopportuno soffermarsi su due aspetti principali e reciprocamenteconnessi: l’evoluzione numerica dei titoli di produzione italiana nel corsodel decennio e la loro incidenza percentuale sul totale dei film distribuiti.Consultando la tavola 23 risulta evidente che la produzione italiana(comprendendo in essa le coproduzioni) segue una curva ascendente nei

3 I dati raccolti in questa e nelle successive tavole sono tratti dalla Borsa film de Ilgiornale dello Spettacolo delle stagioni in questione.

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primi anni del decennio, con una punta massima di 334 pellicole prodottenella stagione ’72/’73; l’incremento è dato non tanto dall’aumento delleproduzioni nazionali, quanto piuttosto da quelle delle coproduzioni, cherispetto ad un paio di stagioni precedenti arrivano quasi a triplicare,raggiungendo quota 152. Ad esse si accompagna una riduzione delleproduzioni statunitensi, che andranno calando progressivamente fino allastagione ’74/’75, per poi ricominciare a crescere in maniera vertiginosa apartire da quella successiva. La stagione 1975/76 si presenta così comeuna delle più ricche per la produzione e la distribuzione, sia per quantoriguarda i titoli nazionali che quelli statunitensi e stranieri in generale.

La seconda metà del decennio è invece caratterizzato da una curva diandamento decrescente che accompagnerà il crollo della produzionenazionale con leggere oscillazioni fino all’inizio degli anni ’80,accompagnata da un incremento parallelo della distribuzione dei titolistranieri. Il messaggio è chiaro: nel corso del decennio il mercatocinematografico subisce un brusco ridimensionamento, prima verso l’altoe poi verso il basso, non tanto dal punto di vista degli incassi, cherimangono sostanzialmente vicini nel corso degli anni, ma da quello delnumero di titoli prodotti e distribuiti e di spettatori, dal momento che ilprezzo dei biglietti subisce una crescita progressiva costante per tutto ilperiodo (tav. 4). E all’interno di questa debacle gli elementi dibilanciamento non vengono dalla cinematografia nazionale, che a livellopercentuale (tav. 3) incide sempre meno, pur mantenendosi largamente aldi sopra del 50%, quanto piuttosto dai film di importazione, e in particolarmodo da quelli statunitensi.

Le ragioni di questi cambiamenti possono essere riscontrate sia nellecontemporanee fluttuazioni economiche cui il paese è costretto, sia a unmutamento del gusto del pubblico, che indirizza sempre più il suogradimento verso i prodotti del nuovo cinema straniero, in special modoquello hollywoodiano. Preferiamo tuttavia a questo punto focalizzarel’attenzione su un altro aspetto, forse meno evidente ma non di certomeno importante: la domanda comincia a precipitare con una mediaannuale che sfiora talvolta il –20% e che continua fino ad oggi (con unariduzione progressiva a meno di 1/5 di quella del periodo ’70/’75) propriodopo aver oltrepassato la metà del decennio. Dopo quel 1976 che ospitauna sentenza della Corte Costituzionale che permette la libera

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programmazione delle TV private e quindi alla loro libera (e selvaggia)programmazione cinematografica. “Non è una crisi, è un cataclisma: chespazza via in pochi mesi l’illusoria utopia pluriennale della grande, eindisturbata, civiltà cinematografica italiana e muta radicalmente l’assettoindustriale, le tendenze merceologiche e l’andamento culturale delcinema in Italia4”.

I nuovi mostri sono in televisione, quelli di Signore e signoribuonanotte di Ettore Scola. L’anno? 1976.

4. Il pubblico: il momento del cambiamento

Il terzo momento che, seppure brevemente, prenderemo inconsiderazione è quello relativo al pubblico, o meglio al gradimento che ilpubblico dimostra nei confronti della programmazione cinematografica.Condurremo l’analisi a partire da una serie di classifiche (tav. 5), relativeai dieci film più visti nel corso di tutti gli anni ’70. Fin da subito, senzanemmeno portare l’osservazione più in profondità di una semplice letturadei titoli, ci si accorge di due elementi fondamentali: innanzitutto ècomparso all’interno della nostra trattazione il cinema straniero, inparticolar modo il cinema hollywoodiano, che finora è rimasto confinatodietro i generi di stretta produzione e creazione nazionale. Se nelle primetre stagioni il campione di incassi numero uno è ancora un film italiano, apartire dal’72/’73 fino alla fine del decennio saranno le pellicolehollywoodiane a mantenere il primato, e servirà un mostro sacro (in tuttele accezioni che finora abbiamo sviluppato intorno a queste termine)come Amici miei per incrinare questa inesorabile ascesa. A poco a poco ladistribuzione geografica dei campioni di incassi assume un equilibrionettamente esterofilo, poiché si passa dai sette-otto titoli italiani nella topten dei primi anni del decennio ai tre-quattro delle ultime stagioni. Ilpubblico italiano di massa smette di appassionarsi soltanto ai grandiaffreschi di commedia all’italiana o di cinema civile che raccontano storiee miserie del suo paese, e vuole farsi affascinare dalle Guerre stellari odalle avventure di 007. La banalità apparente sottesa ad un discorso diquesto genere, per quanto innegabile, nasconde tuttavia una delle

4 Lino Miccichè, Cinema italiano: gli anni’60 e oltre, op. cit., p. 334.

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riflessioni più interessanti che possono essere formulate a proposito diquesto decennio di cinematografia nazionale: lo scollamento, la discrasiatra la risposta di pubblico al panorama cinematografico internazionale e illavorio nazionale dei registi e degli autori, improntato ad un serissimo einattaccabile campanilismo artistico.

Il pubblico italiano rivolge la propria attenzione alle esperienze che uncerto gruppo di giovani registi americani (Coppola, Cimino, Scorsese,Altman, Allen soltanto per appropriarci delle categorie più immediate)stanno sviluppando nella rilettura dei generi comici e drammatici, alcinema di guerra e all’action movie, al western di Peckimpah e di Fuller:esattamente come tutto il pubblico europeo di quegli anni, che escedall’ubriacatura di cinema d’autore e delle avanguardie del decennioprecedente e si accosta ad una distribuzione più omogenea e continua delprodotto hollywoodiano. Al contrario, come abbiamo avuto modo divedere nella prima parte del lavoro, la creazione artistica nazionale dirigeil suo impegno ad un perseguimento dei vecchi canoni dirappresentazione, ai vecchi stilemi di ripresa e di tecnica, cosicchémentre fuori dal territorio nazionale si sperimentano metodologie dimontaggio e di ripresa, i maestri della commedia continuano ad offrire lostesso tipo di spettacolo. Lasciando magari ai territori di frontiera(l’horror di Argento, le esperienze di Bene) il compito di innovare e diinventare.

Così tra i titoli che compongono queste classifiche troviamo i nomi chehanno fondato la nostra analisi fino a questo punto, i capisaldi dellacommedia all’italiana come Nell’anno del Signore, Per grazia ricevuta, Lamoglie del prete, Amici miei, Il vizietto, Un borghese piccolo piccolo, Quellestrane occasioni e del cinema civile (Indagine… e Confessioni… su tutti),il cazzotti-western della coppia Spencer-Hill con la fortunata saga diTrinità e tutti i suoi epigoni più o meno inurbati, i thriller-horror delprimo Argento, le peripezie erotiche di Buzzanca Homo eroticus o dellaAntonelli di Samperi. Ma anche l’omaggio ai grandi maestri, al cinemad’autore dei Visconti, Pasolini, Fellini, alla produzione che si contrapponeal cinema “di profondità” e che disegna il bilancio storico e sociale diun’epoca che sta giungendo al termine.

Ma insieme a questa programmazione fortemente autoreferenziale,che serve al pubblico e al paese per potersi specchiare pubblicamente nei

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propri difetti senza doverne arrossire in privato, compaiono le saghe di007 che per anni consegnerà un titolo per ogni stagione, le intepretazionidi Marlon Brando e di Robert De Niro, il ciclone Travolta di La febbre delsabato sera e Grease, e poi i cartoon Disney, l’umorismo amaro di WoodyAllen.

Eppure c’è un secondo elemento che deve essere tenuto inconsiderazione: l’insieme dei film più visti non rappresenta una fotografiafedele ed esclusiva del rapporto che il pubblico stabilisce con la realeproposta cinematografica, ma soltanto, per così dire, una serie dioccorrenze particolarmente evidenti.

Lo zoccolo duro delle visioni che nel corso degli anni ’70 si diffondonolungo le centinaia di sale diffuse lungo il paese è costituito proprio da queisotto generi che abbiamo descritto in precedenza e che, se presisingolarmente, non riescono a raggiungere i risultati dei campioni diincasso, considerati nel loro insieme toccano cifre decisamente superiori.

È ancora una volta la produzione seriale dei prodotti a rappresentare lachiave interpretativa per comprendere il mistero della moltiplicazionedelle dottoresse e dei Sartana che, insieme, possono diventare piùimponenti di Malizia e di Apocalypse Now. Ed è proprio alle infinitemaschere del tripode erotico-western-poliziottesco che si affida la base,solida, dell’industria cinematografica italiana degli anni ’70. Una strutturache rispecchia, in tutto e per tutto, quella dei mostri che mette in scena:una piramide che al vertice ha La caduta degli dei, ma che appoggia sufondamenta sinuose come le curve di Edwige Fenech e Gloria Guida.

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Tavola 1

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Tavola 2.1 – Incassi

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Tavola 2.2 – Incassi

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Tavola 2.3 – Incassi

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Tavola 3 – Percentuali di incidenza Tavola 4 – Prezzo medio del biglietto

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Tavola 5.1 – Prime visioni

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Tavola 5.2 – Prime visioni

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Tavola 5.3 – Prime visioni

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Lorenzo Facchinotti

L’INDUSTRIA DISCOGRAFICA TRAPRODUZIONE E CONSUMO

Il consumo di musica leggera negli anni ’70 rappresenta un esempiodella difficoltà a stabilire rapporti causa-effetto univoci nella spiegazionedi un fenomeno complesso qual è l’industria culturale.

Fare coincidere l’inizio della “musica-anni-settanta” con laristrutturazione del mercato discografico attorno ai supporti a lungadurata è utile da un punto di vista analitico, ma insufficiente a spiegare laricchezza dei fermenti e delle motivazioni che sottostanno a unmutamento di gusto tanto radicale.

Nell’arco di poco più di un decennio si assiste non solo allo svilupparsidi una diversa sensibilità, quella del rock progressivo frutto del coagularsidi aspettative politico-sociali e dell’utilizzo di supporti e tecnologie diriproduzione più evolute, ma anche all’esplosione di un genere, la disco-music, che pur essendo contemporanea alla produzione dei Led Zeppeline dei cantautori, si afferma commercialmente a partire dal 1975, dopo unalunga circolazione sotterranea.

La crisi di vendite dei primissimi anni ’80, l’affermazione di nuoviprotagonisti e l’introduzione di un nuovo supporto musicale, il Compact-Disc, segnano la fine di un periodo sospeso tra la volontà di riforme e lastrategia della tensione, venendo incontro a nuove aspettative efavorendo lo sviluppo di nuovi modelli di consumo.

Transizioni di fine decennio

Così Antonio Lubrano descrive l’industria discografica italiana alla finedegli anni ’60:

Le case discografiche sono circa 70, ma appena una dozzina possono considerarsidotate di un’autentica struttura industriale. Tutte insieme producono qualcosacome 5 mila dischi nuovi all’anno. Trecento le case editrici musicali (4 mila

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canzoni), poco più di 2000 i cantanti, di cui trecento risultano iscritti al sindacatoartisti dello spettacolo; e fra questi una cinquantina godono di larga o medianotorietà. Cinquecento autori, oltre 40 mila esecutori (orchestrali o strumentalivari), 6 mila orchestrine, 35 mila juke-boxes. E poi gli impiegati e i funzionari dellecase discografiche e delle case editrici (circa 6 mila), gli operai delle fabbriche chestampano dischi (3500), i negozi: è stato calcolato che in tutta la penisola i puntivendita ascendono a 5 mila. […]. Oggi il mercato assorbe oltre 40 milioni di dischiall’anno e una ragazzina toscana, Nada, riesce a vendere 550 mila copie di Ma chefreddo fa senza vincere Sanremo 1969 che pure l’ha rivelata. […]. Attualmentedunque, nell’arco di dodici mesi gli italiani spendono 32 miliardi per i dischi. E lestatistiche dimostrano con chiarezza che la netta preferenza va alle canzoni. Nel1967 per esempio, su 39.231.902 copie, ben 35 milioni e 800 mila si riferivano allamusica leggera, un milione e settecentomila alla musica popolare e un milione eseicentomila alla musica classica1.

La produzione di musica leggera è basata sulla figura del “divo-

ragazzino”, in cui un’intera generazione di adolescenti si rispecchia e acui attribuisce autenticità. In un’inchiesta apparsa sull’Europeo nel 1964,Roberto Leydi sottolinea come gli adolescenti definiscano quella di RitaPavone, Celentano e Françoise Hardy, la “nostra” musica, in cui “nonconta solo il ritmo o la melodia, contano anche le parole, contano iproblemi dell’amore (in quanto ‘unico tema veramente universale’)espressi secondo una problematica adolescenziale”2.

Le canzoni sono costruite per i tre minuti del formato 45 giri, adattoall’ascolto distratto a cui tipicamente i juke-box, messi in un angolo deilocali affollati, rimandano. I 4 o 5 singoli all’anno che riuniti, conl’aggiunta di qualche nuovo successo, andranno a comporre il 33 giri,sono realizzati tenendo conto del “personaggio2 e degli impegni presidurante l’anno, come testimonia il caso di Rita Pavone “la prima divadella canzone che non fosse donna” e il cui fascino risiede non nellacarica erotica, propria di Mina, quanto nella spettacolarizzazione deiproblemi dell’adolescenza: “nell’anagrafe dell’industria culturale leggera,l’età di Rita Pavone si [è] rapidamente stabilizzata sui diciott’anni”3

1 A. Lubrano, “Dietro i miti della canzone” in TV Radiocorriere, 25 gennaio 1970. 2 U. Eco, Apocalittici e integrati. Comunicazione di massa e teorie della cultura di massa,

Bompiani, Milano, 1997, p. 288. 3 Id., pp. 291-292.

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trasformando la cantante da caso a norma ideale e quindi a mito in cui iproblemi dell’adolescenza si mantengono in una forma generica.

In un sistema di questo genere la promozione svolge un ruoloimportante configurandosi come una strategia che sfrutta i diversi canaliin maniera integrata.

Di solito [afferma Sandro Delor, direttore del reparto promozione della CGD-CBS]il primo passo è la radio. Cominciamo col mandare il disco nuovo ai disc-jockeyperché lo ascoltino e lo giudichino. Passano all’incirca una ventina di giorni, quindi,se il 45 giri è approvato va in onda. Nel periodo in cui la radio lo trasmette (unasettimana, dieci giorni), il nostro ufficio stampa cerca di interessare i giornali,mettendo a loro disposizione notizie fresche e fotografie dell’interprete. Poi sitenta di far apparire il cantante in uno spettacolo televisivo con la sua nuovaincisione. Così lei, consumatore di musica leggera, vede il personaggio sul piccoloschermo quando ha già il motivo nuovo nell’orecchio […] e per di più è incuriositoda ciò che hanno scritto i giornali su quella canzone e su quel cantante4.

Nello stesso articolo Nicola Onorati, capo del servizio promozione e

stampa della RCA, sottolinea il rapporto di reciproca utilità tra industriadiscografica e televisione:

l’industria discografica fornisce cioè un prodotto che è gradito a larghi strati delpubblico radiofonico e televisivo. […]. Nostri incaricati […] visitanoperiodicamente i funzionari addetti alle diverse trasmissioni di varietà e musicaleggera. Chiedono loro di ascoltare dischi nuovi, sentono quale interpretepotrebbe essere gradito per questo o quel programma, fanno considerare il tempoche un certo cantante manca dal video, propongono di aiutare i più giovani aprocurasi un’occasione per essere valutati dalla grande platea di telespettatori. Peralcuni artisti lottiamo mesi prima di arrivare a un risultato. In televisione vogliononomi conosciuti. Dicono, “questo non è una vedette”, “quest’altro non è un nomeancora noto”. Spesso, tuttavia, accanto a un personaggio più popolare accettano ungiovane sconosciuto di cui hanno valutato preventivamente le qualità 5.

Nel 1968 la musica leggera ha rappresentato il 30% del tempo della

programmazione radiofonica (circa 5000 ore) e, insieme al varietà, il 6,3%delle trasmissioni televisive (310 ore): i venti milioni di spettatori diSanremo (1969) significano il 20-25% del fatturato di un anno;

4 A. Lubrano, “La tecnica del successo” in TV Radiocorriere, 1 febbraio, 1970. 5 Ibidem.

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Canzonissima ha ascolti tra i 20 e i 25 milioni di telespettatori, il Disco perl’estate 18 milioni, mentre il Cantagiro ha 10-15 mila fan per tappa.

Di qui l’importanza dell’immagine “fisica” dei protagonisti, che sfociain una vera e propria attività di produzione divistica, come nel caso diRosanna Fratello.

Quando me la presentarono per la prima volta [racconta Nicola Onorati], fui colpitodalla sua semplicità, dall’ingenuità di questa ragazza che a 17 anni non era maiandata a ballare, dalla serenità d’animo che dimostrava […] Ebbene la mia équipediede inizio all’operazione perfezionamento. Rosanna fu mandata a scuola didizione per tre mesi, poi girò diversi “atelier” finché le fu trovato il guardaroba piùconfacente alla sua figurina e al suo stile di ragazza pulita, dotata di un bel viso.Vergottini studiò la pettinatura giusta. Infine l’abbiamo affidata a un regista […]perché le insegnasse a muoversi in scena con proprietà di gesti. Ma c’è di più.Nella nostra fabbrica e nella nostra sala di registrazione abbiamo installato uncircuito televisivo chiuso: Rosanna Fratello ha cantato davanti a due telecamereper provare la sua “resa video”. Dopo, lei stessa, ha avuto modo di controllare glierrori e correggerli, ha imparato insomma a stare davanti alle telecamere6.

Nei primi anni ’70 questo meccanismo si inceppa. Si assiste alla

divaricazione tra consumo discografico e programmazione musicaleradiotelevisiva. Termometro atto a renderne conto è la decadenza delFestival di Sanremo che da giro di affari miliardario7, tocca, a metà deglianni ’70, il suo punto più basso.

6 Ibidem. 7 “Per una consuetudine commerciale diffusasi da qualche anno, i microsolchi con le

canzoni nuove entrano in circolazione mentre il Festival è in corso, addirittura alcunigiorni prima dell’apertura ufficiale. Di solito, almeno 1500 negozi sui 5000 esistentiacquistano presso le case discografiche un numero di copie sufficienti a fronteggiare leprimissime richieste, in particolar modo dei cantanti più popolari. […]. Su 26 canzoni ingara, cinque o sei raggiungono nei tre mesi che seguono la manifestazione sanremese unatiratura che va dalle trecentomila al mezzo milione di copie. […]. Una dozzina di motivi.oscilla fra le 10 mila e le 70/80 mila copie, qualcosa come 600 mila dischi. Le rimanentipossono ottenere il cosiddetto ‘successo discreto’, cento/duecentomila copie. […]Abbiamo così un totale di quattro milioni di dischi che Sanremo fa vendere come minimo,un giro di danaro pari a tre miliardi e duecento milioni di lire. Cifre prudenziali ripetiamoperché certe annate superano i sei milioni di copie vendute, con un giro di cinque miliardilordi. Si aggiungano poi i diritti di esecuzione delle canzoni […] le percentuali derivantidalla cessione di questo o quel brano a un editore straniero, ‘Sanremo’, dice Gianni

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Superata la crisi provocata dal suicidio di Tenco e la contestazione del’68 con la proposta di motivi “giovani”, ma socialmente poco graffianti,nel 1970 il Festival, ignorando i segnali di crisi che provengono dallestrade e dalle fabbriche, dà la vittoria a Adriano Celentano con Chi nonlavora non fa l’amore, cantata in coppia con la moglie Claudia Mori. A untesto giudicato dagli intellettuali di sinistra come il manifesto dellagrettezza della media borghesia, Celentano unisce tutto il suoistrionismo. Per controbattere un balletto improvvisato da Antoine(Taxi), “il molleggiato” finge di dimenticarsi per due volte le parole,occupando tempo sul palcoscenico e in video, fino a scandire il primoverso della canzone. A chi rimprovera al “ragazzo della via Gluk” unamossa azzardata, Ernesto Baldo ribatte che

nell’operazione Sanremo 1970 ha posto in luce tutta la sua abilità di uomo d’affari.Infatti, si dice che il giorno del trionfo sanremese fossero già in circolazione nei 5mila negozi di dischi della penisola almeno mezzo milione di copie di Chi nonlavora non fa l’amore. È stato un rischio, osservano i discografici di scuolatradizionale. Se fosse stato bocciato, il cantante-industriale, ci avrebbe rimessoparecchi milioni. Ma Celentano aveva pensato anche a questa eventualità. Non acaso all’incisione della canzone sanremese della moglie, Claudia Mori, haaccoppiato Ea, un brano da lui lanciato come sigla della trasmissione radiofonica Ilprimo e l’ultimo, e la stessa regola è stata rispettata per la “facciata B” del discoinciso dallo stesso “re del Clan”. Di conseguenza se Chi non lavora non fa l’amorenon avesse superato l’esame dei giudici sanremesi, le “facciate B”, sia del disco diCelentano sia di quello di Claudia Mori, sarebbero diventate immediatamente“facciate A” e si sarebbero avvalse della pubblicità derivante appunto dallapopolare trasmissione radiofonica del martedì8.

Ravera, uno degli organizzatori, ‘vale oggi più di dieci miliardi’. Di una torta cosìappetitosa sono le grandi case discografiche le fette più abbondanti. […]. Da notare che su600 [sic] case esistenti in Italia solo una dozzina ha cantanti in gara al Festival. Ciascunaetichetta spende un bel mucchio di quattrini per portare un cantante a Sanremo: dallacosiddetta quota di partecipazione richiesta dagli organizzatori, al soggiorno perl’interprete e i suoi accompagnatori (una settimana), manifesti e altre iniziativepubblicitarie, cocktail, fotografie, eccetera. A giudizio degli industriali del disco si deveparlare di cinque-sei milioni a cantante.” (A. Lubrano, “La macchina che fabbrica imiliardi” in TV Radiocorriere, 1 marzo 1970).

8 E. Baldo, “Celentano primo sul mercato” in TV Radiocorriere, 15 marzo 1970.

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L’anno successivo le crepe si fanno più evidenti. L’organizzazione delFestival viene assunta dal Comune che decide di appaltarla a chi forniscemaggiori garanzie di successo. Il matrimonio di Mina con il giornalistaVirgilio Crocco, avvenuta negli stessi giorni, contribuisce a distogliereparte dell’attenzione dei media dalla manifestazione canora. VinconoNada e Nicola di Bari (Il cuore è uno zingaro), ma all’attenzione delpubblico si impongono I ricchi e poveri (che in coppia con José Felicianocantano Che sarà) e, soprattutto, Lucio Dalla. La sua 4 marzo 1943diviene un successo internazionale. Riscuote preferenze in Francia, inGiappone e, grazie alla trascrizione di Chico Barque de Olanda eall’interpretazione di Maria Bethania, diva del canto popolare brasiliano,si afferma per due anni consecutivi come successo “sudamericano”.L’anno seguente, con Piazza Grande, Dalla arriva in finale, affermandotuttavia che se il disco riscuoterà un buon successo di vendita nonparteciperà più a Sanremo per dedicarsi a progetti personali.

Nel 1972 vince ancora Nicola di Bari. Tuttavia a un mese dallamanifestazione Jesahel dei Delirium ha venduto 130.000 copie in più delle220.000 dei Giorni dell’arcobaleno. Per la prima volta le canzonisanremesi non riescono a cancellare i vecchi hit in classifica, a cominciareda Grande grande grande di Mina, che uscito senza battage pubblicitario,ha potuto giovarsi del ritorno della “tigre di Cremona” sul piccoloschermo in Teatro 10.

La crisi del Festival esplode nel 1973. Un comunicato del Ministerodelle Poste e Telecomunicazioni, lamentando la scarsa qualità dellamanifestazione pone un veto sulla diffusione. La RAI decide di mandarein video solo la serata finale. La decisione è presa senza troppo dispiaceree si inserisce in una politica di riduzione delle trasmissioni in esternoperseguita dal 19699. La presa di coscienza di un cambiamento del gustomusicale e le limitazioni imposte dalla crisi energetica fanno il resto.

Alla luce della trasformazione del mercato, per i cantanti “tradizionali”partecipare a Sanremo diviene un rischio, sia per paura di incorrerenell’incomprensione del pubblico giovane, sia perché alcune trasmissionia cui prender parte in qualità di ospite rappresentano un’altrettanto valida

9 E. Baldo, “L’estate è un ritornello” in TV Radiocorriere, 4 aprile 1971.

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vetrina10. Celentano coglie al volo l’occasione fornita dall’esclusione dellafolk singer siciliana Rosa Balistreri (la cui Terra che non senti, era statapresentata in anteprima al programma televisivo Stasera Rosa) perritirarsi dalla competizione. Le stesse case discografiche considerano lespese da sostenere e i rischi di una bocciatura superiori ai vantaggi dellasola partecipazione:

un ripudio, ed è qui la novità, che in fondo è stato il pubblico a determinare daquando ha cominciato a rifiutare le canzoni imposte, lasciando nei negozi pile di 45giri invenduti. Si potrebbe dunque dire che è la canzone a 45 giri, quella compostaper fare colpo in tre minuti, che ha messo in crisi il Festival perché oggi il pubblicopreferisce i dischi a 33 giri nei quali ciascun cantante, ciascun autore, cerca di fareun discorso musicale il più completo possibile sottraendosi al condizionamentocommerciale11.

Nonostante la trasmissione radiofonica, “la mancanza della più grossa

platea televisiva, ha inciso profondamente sull’elemento pubblicitario e

10 “‘Per chi ha un prestigio da difendere’, sostiene Claudio Villa, ‘i festival sono da

sconsigliare. E le ragioni sono essenzialmente due: un cantante con un nome parte conl’handicap di venire giudicato da giurie composte essenzialmente da giovani i quali nonsono in condizioni di valutare e di distinguere gli stili alla moda, con le interpretazioni diesecutori dal passato più o meno recente. E poi c’è chi vorrebbe che ci adeguassimo aidiscorsi nuovi: ma come potrei cantare a Sanremo una canzone scritta, ad esempio, per iDelirium? Già una volta, nel 1956, Sanremo aprì le porte ai giovani (è stato l’anno dellaTorricelli) e l’iniziativa naufragò perché allora il Festival aveva soltanto sei anni, mentreadesso ne ha ventitré ed un prestigio che da solo serve per lanciare giovani. Naturalmenteil discorso della gara riservata esclusivamente ai giovani non sarebbe valido perCanzonissima dove, invece, l’intervento di nomi popolari è indispensabile per la riuscitadella lotteria alla quale è abbinata la trasmissione.’

‘Dopo anni di carriera’, spiega Iva Zanicchi, ‘non capisco perché dovrei rischiare in unagara, quando la stessa promozione discografica la posso ottenere senza rischiintervenendo a uno spettacolo televisivo di grande ascolto. Per il cantante che vende longplaying sono anche utili le serate dove, per intervenire, bisogna pagare 5-10 mila lired’ingresso in quanto lo spettatore che paga è lo stesso che acquista i 33 giri; al cantantepopolare, che non vende molti dischi, per conservarsi sulla cresta dell’onda è sufficienteun passaggio televisivo in qualsiasi ora perché il suo pubblico sarà davanti al televisore siache la sua esibizione vada in onda alle sette del mattino, sia alle undici di sera.’” (E. Baldo,“Perché hanno detto no al Festival” in TV Radiocorriere, 11 marzo 1973).

11 E. Baldo, “La Hit Parade attende Sanremo” in TV Radiocorriere, 4 marzo 1973.

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promozionale, specialmente sulle canzoni che non sono entrate nellafinalissima”12. Unica eccezione è quella di Drupi (ultimo classificato), ilcui pezzo, Vado via, si afferma come successo internazionale:

“Di una canzone sanremese, per rientrare nelle spese che comporta lapartecipazione al festival”, sostengono gli operatori commerciali del settoremusica leggera, “è necessario vendere almeno 25-27 mila dischi”. Quante delletrenta canzoni presentate al Festival ’73 supereranno questa barriera? Nella primasettimana post Sanremo nessuna canzone ha raggiunto le trentamila copie esoltanto quattro, per ora, hanno possibilità di superare abbastanza presto questotraguardo: Serena, il brano portato in finale dalla giovane rivelazione Gilda Giuliani,Un grande amore e niente più del vincitore Peppino di Capri, Come un ragazzino diPeppino Gagliardi e Da troppo tempo di Milva […]. Alla distanza dovrebberoaffiorare nella Hit Parade anche i cantautori Umberto Balsamo (Amore mio) eRoberto Vecchioni (L’uomo che si gioca il cielo a dadi), i quali pur non essendomolto conosciuti come cantanti, godono sul mercato discografico di unaconsiderevole stima tra il pubblico giovane. I juke-boxes, invece, sembranoorientati verso la riabilitazione degli esclusi dalla finale. Tra i pezzi più gettonatidel dopo-Sanremo troviamo l’allegro brano delle Figlie del Vento (Sugli sugli banebane) e quello di Drupi, dal titolo Vado via13.

Nel 1974 i dischi festivalieri vendono appena 100.000 copie.

Nonostante non sia arrivato in finale, Raoul Casadei si consola con unbuon successo di pubblico. Il valzer La canta infatti

figurava alla vigilia tra i più prenotati sul mercato discografico, segno evidente chel’orchestra spettacolo Casadei, che fino a un anno fa costituiva un fenomenoesclusivo della Romagna, è diventata un’attrazione nazionale. Non per nienteincisioni come Mazurca di periferia figurano oggi nella Hit Parade dei nastri piùvenduti. “La nostra fortuna”, spiega Raoul Casadei, “sta nel fatto che abbiamo adeguato ilsound delle balere al gusto di oggi. Una volta il liscio era impostato sul clarinettoin do e sul sax in mi bemolle; adesso abbiamo inserito nella nostra orchestra altristrumenti, come la tromba, il trombone, il basso elettrico, ricavando così nuoviimpasti musicali”14.

12 R. Nissim, “E se i discografici mettessero il veto alla RAI?” in Musica & Dischi,giugno 1973.

13 E. Baldo, “Vendi imperativo del verbo cantare” in TV Radiocorriere, 25 marzo 1973. 14 E. Baldo, “Non è bastata la sorpresa Zanicchi”, in TV Radiocorriere, 17 marzo 1974.

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Se gli anni ’60 sono il momento in cui i giovani prendonoconsapevolezza di sé come soggetto sociale imponendo modelli diversi daquelli adulti su cui, fino ad allora, si era basata l’industria culturale, masenza che questo atteggiamento sfoci in un conflitto palese, gli anni ’70sono quelli in cui la scoperta dell’alterità si traduce nella frantumazionedel consumo. Per cui,

Sanremo è rimasto vivo, vitale, fino a condizionare la nostra stessa esistenza,finché non è stato un’ideologia, ma l’Ideologia (seppur ridotta in pillole), finché èstato non un divertimento, ma il Divertimento (nella sua forma archetipica), finchéè stato la Grande Evasione per milioni di famiglie italiane. E dico famiglie non acaso, perché il festival ha saputo essere genuino a suo modo “nazional-popolare”soprattutto come negli anni cinquanta, quando è stato espressione di un pubblicopreciso e omogeneo, quello dell’”umile Italia”, dell’Italia delle “piccole patrie”, incui il “focolare” stava a rappresentare una precisa forma di convivenza. Ma conl’avvento prima del microfono e dei juke-box, poi del pop e dei concerti, poi ancoradella canzone politica, fino al riflusso nella disco-music, quel pubblico si è comepolverizzato dando vita a tanti pubblici diversi, ciascuno con i suoi gusti e le suepreferenze. E il festival, non decidendosi a operare una scelta tra queste diversetendenze, ha finito con il perdere ogni fisionomia, ogni carattere distintivo 15.

Non a caso alla svalutazione del Festival corrispose un maggiore

interesse per Un disco per l’estate, più orientato verso la domandagiovanile, grazie anche alla massiccia presenza di complessi16.

La musica progressiva

Secondo Gino Castaldo, Woodstock è stato “il canto del cigno”dell’ecumenismo e dell’unità del popolo rock prima che si disperdesse esi schierasse “secondo gusti e stili diversi, spesso antagonisti tra loro”17.I germi di una nuova sensibilità e di un nuovo modo di fare musica eranogià presenti in Sgt. Pepper’s dei Beatles (1967), ma è alle soglie del nuovodecennio che si impone definitivamente lo sperimentalismo della musica

15 G. Borgna, L’Italia di Sanremo. Cinquant’anni di canzoni, cinquant’anni della nostra

storia, Mondadori, Milano, 1998, p. 157. 16 E. Baldo, “Mai come stavolta tanti complessi” in TV Radiocorriere, 10 giugno 1973. 17 G. Castaldo, La terra promessa. Quarant’anni di cultura rock (1954-1994),

Feltrinelli, Milano, 1995.

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progressiva (termine con cui si vuole indicare un fenomeno che va oltre ilgenere progressive) destinato a contagiare esperienze diversecaratterizzate dalla tendenza a considerare la discografia un’arte, al di làdell’esito commerciale del prodotto. Benché la tensione utopica del popnon venga meno, “si diffonde la sensazione che quel nuovo mondo chenell’euforia degli anni sessanta sembrava a portata di mano, non fosse poicosì concreto e che tanto valeva cercarlo in una nuova e più pretenziosadignità artistica”18. Di volta in volta prendono forma il mito della fugadalla realtà e del viaggio interiore (Led Zeppelin – comunementeaccreditati come i progenitori dell’havy metal – e Pink Floyd), della fuga aritroso nel tempo alla ricerca delle proprie radici (The Band),dell’esibizione della commerciabilità sottesa al prodotto discograficocombinata con elementi della cultura alta (come nel glam di David Bowie)o, infine, dell’esaltazione del wild side, il lato oscuro e marginale delleperiferie urbane sentito come più vero e autentico (Lou Reed).

Questa nuova sensibilità si coniuga all’evoluzione delle tecniche diregistrazioni e all’utilizzo di un supporto, il 33 giri, che per il suodiametro permette di sviluppare “discorsi” sonori di maggiorecomplessità.

Umberto Eco ha notato come lo stile della musica di consumo siadeterminato a) dalle condizioni di ascolto; b) dalla natura tecnica deimezzi di riproduzione e c) che il mezzo tecnico suggerisce allo stessoesecutore nuove possibilità di manipolazione del proprio prodotto19.

Risulta evidente l’importanza del sintetizzatore, ma soprattuttodall’evoluzione generale dello studio di registrazione, nel processocreativo, come testimonia Middle (1971) dei Pink Floyd: “Echoes [unacanzone dell’album], definito un poema ‘epico-sonoro’, inizia con un ‘ping’ripetuto a intervalli regolari che ricorda i sonar dei sottomarini, tanto persottolineare la poetica dell’immersione che è tipica di tutti i loro lavori.La suite, tra l’altro fu realizzata come un work in progress, aggiungendosequenze, suoni, melodie, fino all’assemblaggio finale”20.

Il nuovo tipo di musica, quando non è calata nella dimensione delconcerto, si presta a un ascolto individuale e raccolto, in luoghi chiusi

18 Id., pp. 208-209. 19 Cfr. U. Eco, Apocalittici…, op. cit., pp.301-302. 20 G. Castaldo, La Terra Promessa…, op. cit., p. 192.

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piuttosto che aperti e rumorosi. Parallelamente, non solo i negozi didischi sostituiscono le cabine di ascolto, nelle cui vicinanze sostavano gliacquirenti in gruppo, con le cuffie, ma si assiste a una progressivadiminuzione del numero dei juke-box, in particolare nelle grandi città enel Nord, dove si concentra la maggior parte del fatturato del mercatodiscografico (cfr. tabb. 1-2).

Il successo ottenuto nel 1971 dal sound “d’importazione” dei DeepPurple, Led Zeppelin e Santana, senza la mediazione della discografiaitaliana, com’era avvenuto con le cover per la musica beat, segna l’iniziodi un processo di ristrutturazione del mercato attorno ai supporti a lungadurata.

Data la scarsa penetrazione iniziale del nuovo supporto, tuttavia ilnumero di dischi venduti, vale a dire di 45 giri, che rappresenta ancora ilformato di riferimento per l’industria discografica, diminuisce21. A farne lespese sono i cantanti italiani, la cui produzione è incentrata sul disco dafestival della durata di tre minuti. Commenta Gianni Morandi:

“Sono mutati i tempi. Nel ’62, quando abbiamo cominciato noi le case discograficheerano assetate di personaggi. Bastava avere un po’ di voce e muoversi in un certomodo che immediatamente venivi catturato e lanciato. Oggi invece sono icontenuti dei dischi a determinare il successo. I festival sono stati scavalcati dainuovi orientamenti discografici. Le canzoni sanremesi non hanno più niente a chevedere con il discorso che viene fatto in campo discografico, un discorso a 33 giri.Il Sanremo può essere soltanto utile per promuovere il dischetto, ma il dischettoalla lunga è controproducente per qualsiasi artista”. Continua Morandi: “Io e molti altri miei colleghi che in passato avevamo impostola nostra produzione discografica prevalentemente sulle gare in quanto interpretidi dischi a 45 giri siamo stati negli ultimi tempi sorpassati, sul mercato del long-plaiyng da giovani, bravi ed anche meno conosciuti di noi. Qualche anno fa nonpensavamo al discorso a ‘lunga durata’ e ci preoccupavamo di costruire i nostri 33giri con una dozzina di canzoni affermate, ossia incise a 45 giri. Ed ora ci troviamoin difficoltà […]”22.

Il 45 giri resta una presenza costante sul mercato discografico fino agli

gli anni ’80. Venuto meno il suo ruolo di supporto principe si trasforma

21 AA.VV., “Com’è stato il 1970 nel mondo della canzone? Avanzano gli stranieri,

avanzano i 33 giri” in Tv Sorrisi & Canzoni, 3 gennaio 1971. 22 E. Baldo, “Perché hanno detto no al Festival” in TV Radiocorriere, 11 marzo 1973.

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dapprima in veicolo di lancio dei 33 giri, adeguando l’industria nazionale aimercati esteri in cui la ristrutturazione era già avvenuta e, anzi, avevacoinciso con una crescita complessiva del numero di “pezzi” venduti,indipendentemente dal formato. Quindi, nella seconda metà del decennio,diviene il supporto della musica per bambini e in particolare dei cartonianimati, arrivando a toccare punte di vendita ragguardevoli comedimostra l’unico hit messo a segno dallo stesso Morandi, Sei forte papà(cfr. tabb. 4-5).

Alla fine del 1971 i Chicago e i Blood Sweat & Tears vendono tra gli 8e i 10 mila 33 giri, Donovan 20-25.000, Santana, il successo dell’anno,30.000 LP e 15.000 musicassette23. La trasformazione del gusto musicalegiovanile è immediatamente colta dagli operatori del settore, comedimostrano le parole di un rappresentante della EMI, Gianfranco DeVitis:

Gradatamente anche in Italia si stanno scoprendo differenti forme di rock. Moltigiovani leggono la stampa estera specializzata ed ascoltano stazioni radiointernazionali. Il marchio del rock rumoroso e commerciale sta scomparendo manmano che gli artisti si trasformano in poeti. In America, The Band (il gruppo cheper molto tempo ha accompagnato Bob Dylan) è molto popolare, essi parlano diresponsabilità sociali e trascurano l’amore, l’amore che per intenderci piace tantoagli italiani, quello tra uomo e donna; nei testi americani invece, l’amore è ancheamore tra i popoli, è l’amore fraterno e l’amore per la natura24.

I dati di vendita devono essere messi in relazione alla ragguardevole

attività concertistica. Accanto a ragioni spettacolari, le cui radici vannorintracciate nella definizione dell’esibizione dal vivo come universoparallelo a quello quotidiano in cui il cantate o il complesso divengonocontemporaneamente punto di riferimento e elemento fuso alla folla,l’affluenza di pubblico trova una sua giustificazione nel rapporto tradomanda e offerta:

“Il concerto è divenuto da qualche tempo l’elemento base nel ‘culto’ giovane”, diceEnzo Caffarelli, critico di musica pop, “al contrario di quanto accadeva ad esempioun anno fa, oggi i settimanali specializzati vengono acquistati più per conoscere le

23 Cfr. E. Baldo, A. Lubrano, “Gli stranieri che vendono di più” in TV Radiocorriere, 28

novembre 1971. 24 Ibidem.

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date dei concerti che per leggere le critiche dei dischi e le biografie degli artisti. Èquanto in fondo da sempre avviene in Inghilterra”. A proposito della “febbre” del pop c’è però da rilevare che l’eccezionale interesseper i concerti non ha finora corrisposto in eguale proporzione un boomdiscografico. […]. I long playing costano il doppio di un concerto, di dischi al mesene escono cinquanta e di concerti se ne fanno due o tre. E poi c’è il fatto che ilmercato degli impianti stereofonici è in espansione, ma non riesce ancora asoddisfare le aspirazioni della massa. D’altra parte i long playing non si possonoascoltare su una fonovaligia. Questa situazione si concilia con i concerti che dannola possibilità di sentire gruppi dal vivo comunicando una sensazione più sincerache non quella provocata ascoltando un disco a casa25.

Gli esempi stranieri e l’accettazione da parte del pubblico di nuove

sonorità e forme di spettacolo facilitano un rinnovamento del sounditaliano benché “i mass media di casa nostra tendano a mantenere illivello di mediocrità tradizionale che è tuttora il simbolo di molti festivalse di kolossal televisivi”26:

Noi con la TV italiana – dice Mauro della PFM – non abbiamo alcun tipo dirapporto. Fondamentalmente perché è razzista nei confronti della musica pop… ameno che non sia quella incanalata nel mondo commerciale delle canzonette eappunto per le sue esigenze commerciali soggette al compromesso. All’inizio igruppi hanno avuto approcci abbastanza fiduciosi, ma le speranze sono andatepresto deluse. A noi, per fare un esempio, è accaduto quando ci hanno proposto dipartecipare a una trasmissione molto importante con tre minuti a disposizione.Ora, siccome il pezzo durava 4 minuti e mezzo abbiamo posto come unicacondizione che fosse trasmesso tutto e così lo abbiamo registrato. Quando poi latrasmissione è andata in onda hanno tagliato il pezzo centrale e trasmesso treminuti di PFM. Come vedi sono dei burocrati infangati che non osano muovere undito da soli. Finché la situazione non cambierà radicalmente è impossibile per igruppi avere rapporti con la TV27.

Mario De Luigi, direttore di Musica & Dischi, vede nella

discriminazione operata dalla televisione italiana (atteggiamentostoricamente a mezzo tra rifiuto ideologico e consapevolezza della

25 E. Baldo, “La febbre del Pop” in TV Radiocorriere, 29 aprile 1973. 26 G. del Savio, A. Morini, “Il sound italiano degli anni ‘70” in Musica & Dischi,

febbraio 1973. 27 F. Brunetti, “Banco Osanna PFM” in Muzak, ottobre 1973.

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marginalità del fenomeno “alternativo”28) un motivo di debolezza diun’industria che troppo a lungo ha soggiaciuto a modelli stranieri e cheper l’immaturità e la migrazione dei migliori professionisti non riuscirà araggiungere un ruolo dominante nel mercato internazionale, nonostante ilsuccesso registrato da complessi come PFM e Le Orme in Inghilterra.

Anticipati da Senza orario e senza bandiera dei New Trolls, con lirichedi De André tratte dalle poesie del poeta genovese Riccardo Mannerini, icomplessi “d’avanguardia” si caratterizzano per “l’interesse per unasocietà in cui il tecnicismo uccide ogni possibilità di libera scelta d’azione,in cui la tecnologia soffoca qualsiasi manifestazione di capacità creativa,una società in cui i problemi ecologici si fanno sempre più allarmanti finoa diventare autentici pericoli di sopravvivenza”29. L’alternativa alla realtàche non si ha il potere di cambiare è la poetica dell’evasione in un mondoaltro (come in Paleopoli degli Osanna) ma anche della pazzia (Lo scemo e ilVillaggio dei Delirium) dell’impossibilità di recezione (Ys, Del balletto dibronzo) o dell’incapacità di controllo (Atlantide dei Trip). Un ruoloimportante è svolto dagli spunti mistici, soprattutto per l’influenza deigruppi d’oltreoceano. Significativi gli album La Bibbia, dei Rovescio dellamedaglia, E fu il terzo giorno, dei Metamorfosi, e Passio secundumMattehum, dei Latte e Miele. Tra i concept album quello dove tuttavial’argomentazione è meglio precisata e calata nella realtà è Unità degliStormy Six. Meno efficace Terra in bocca dei Giganti, contro il fenomenomafioso, per non riuscire a “restituire un’atmosfera di violenza e diomertà come forse era nelle volontà”30. Accanto ai concept album vannoannoverati infine i collage (quelli dei Circus 2000, dei De De Lind, delleOrme – che come Trip e New Trolls scrivono anche testi in inglese –,della Premiata Forneria Marconi).

I cantautori

La giusta misura tra esigenze di cambiamento e commerciabilità èraggiunta nel fenomeno dei cantautori. Ha scritto Paolo Jachia:

28 Cfr. G. Bettetini, “Pluralismo, ideologie e comunicazioni di massa”, Il Giorno, 26

settembre 1976, ora in Scritture di massa, ISU, Milano, 1995. 29 S. Sacchi, “Metamorfosi all’italiana” in Musica & Dischi, maggio 1973. 30 Ibidem.

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Dietro l’affermazione dei cantautori e il loro divenire sempre più espressioneartistica egemone in Italia fino agli anni ’80 vi erano […] sia motivi di ordinecommerciale sia di ordine politico e culturale […]. Bisogna osservare che le casediscografiche erano alla ricerca di un prodotto che fosse in grado di adeguarsi allenuove realtà giovanili – sempre più influenzate dal sessantotto e dalla protestastudentesca – e di risolvere la forte crisi di prospettive che si era aperta nelsettore all’inizio degli anni settanta. Infatti, al di fuori dei singoli personaggi, e diBattisti in particolare, le varie direzioni di rinnovamento delineatesi nel corso deldecennio precedente mostravano ora i propri limiti. Se da un lato la “scuola diGenova” considerata nel suo complesso (Paolo, Endrigo, Lauzi, Tenco, Bindi eCiampi) non era un grado di uscire da un cliché ormai datato, dall’altro il cosiddettobeat italiano rivelava con evidente chiarezza non solo tutto il suo provincialismo,ma anche la sua inadeguatezza nei confronti del mercato sempre più agguerrito odominato ormai dalla presenza dei prodotti angloamericani.

E poco oltre Se dunque tale è la realtà commerciale, non bisogna dimenticare che dietrol’affermazione dei “cantautori dell’impegno politico e sociale” vi sono anchecomplessi motivi d’ordine politico e culturale. Legati alla forte politicizzazionegiovanile avvenuta in seguito alle lotte operaie e studentesche della fine degli annisessanta. Ciò spiega ad esempio l’attenzione per il fenomeno dei cantautori daparte della direzione delle Feste dell’Unità, le feste del Partito Comunista, cheavranno un ruolo importantissimo sia sul piano dell’organizzazione della politicaculturale italiana, sia per quello che riguarda il successo complessivo di questiartisti. Ricorda in proposito Alessandro Carrera che, dal 1973 al 1975, le festedell’Unità passarono da 4706 a 7300 e che in questi anni “il circuito musicale dellasinistra” divenne “enorme”31.

Assimilando la lezione straniera, i cantautori trasformano il 33 giri da

supporto antologico in luogo di narrazione e di contenuto, cometestimonia l’usanza di scrivere sul retro delle copertine i testi dellecanzoni. Due sono le modalità con cui essi si accostano all’LP:raccogliendo una decina di canzoni legate da un filo conduttore, oppuredilatando la forma canzone su un’intera facciata dell’album.

Almeno due interpreti devono essere annoverati quali precursori diquesta tendenza: Ivan della Mea con Io so che un giorno (1966), e Fabrizio

31 P. Jachia, Storia della canzone d’autore, Feltrinelli, Milano, 1998, pp.108-109.

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De André con Tutti morirono a stento (1968) seguito dal più tardo Storiadi un impiegato (1973). Negli anni ’70 importanti furono: Biglietto del tram(1972) degli Stormy Six, Rimmel (1975) di De Gregori, Radici (1972) diGuccini, Disoccupate le strade del sogno (1977) di Lolli e i tre album diDalla e Roversi, Il giorno aveva cinque teste (1973), Anidride solforosa(1975) e Automobili (1976)32.

L’esperienza dei cantautori è legata all’esistenza di etichette minorinella cui “politica” la libertà espressiva dell’artista è funzionale allariduzione dei costi di produzione tramite l’eliminazione di personale“creativo” e alla commercializzazione di un prodotto fortementecaratterizzato dall’immagine dell’interprete.

Nella prima metà degli anni ’70 si assiste a una spartizione delmercato discografico. Le major straniere (nel 1972 WEA e CBS siaggiungono a Decca, EMI, RCA e Polygram), data la difficoltà acontrollare mercati specialistici, privilegiano la diffusione degli interpretiesteri limitando la produzione italiana a canzoni di facile smercio.Semmai, il tentativo di introdursi in mercati ristretti avviene tramite lacreazione o l’acquisizione di sottoetichette, ma senza per altro grandirisultati. È solo l’eccessiva politicizzazione e il conseguente riflusso dellaseconda metà della decade a mettere in crisi le case “alternative”, ormaipronte a essere inglobate in strutture più ampie.

La programmazione RAI

La trasmissione giovane della RAI per eccellenza è Alto gradimento,creato e condotto da Arbore e Boncompagni. Dal 1970 il numero diascoltatori incollati alla radio si mantiene costante a 2,4 milioni con puntedi 3,5, e un gradimento compreso tra il 56 e il 53% tra il 1973 e il 1974.

Se i nonsensi inventati da Arbore e Boncompagni (da “Patroclo” a “Lipecuri!”) si diffondono rapidamente tra i giovani, i loro interpretifiniscono per avere un successo strepitoso.

Il Colonnello Buttiglione (voce di Mario Marenco) è approdato l’anno scorso alcinema. Il film, Un soldato non si arrende mai, nemmeno di fronte all’evidenza.

32 Cfr. P. Sala, La figura del cantautore nell’industria discografica italiana dal 1958 al

1977, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano 1998, mimeo.

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Firmato colonnello Buttiglione, ha avuto un notevole esito commerciale, tant’è chesta per uscirne un secondo. Sul grande schermo Buttiglione è interpretato da unattore francese ma la voce è quella dello stesso Marenco, che ha debuttato cosìnell’insolito ruolo di doppiatore. Nella stagione ’70-’71 sempre Marenco inventòper Alto Gradimento, “il poeta” un tipo che recita con tono ispirato poesie assurde.Successivamente incise per una grossa casa discografica un 33 giri che nell’arco diqualche mese raggiunse le mille copie. Una ragguardevole cifra per un long-playing33.

Un 45 giri (40 mila copie vendute) incide anche Patroclo, alias Enzo

Bracardi che nel ’74 approda al cinema in Patroclooo e il soldato Camillonecon Pippo Franco.

Proprio la parte dedicata ai personaggi si è andata progressivamenteampliando:

“Ci siamo accorti”, aggiunge A, “che le sciocchezza, le assurdità, che diciamo noi ei nostri personaggi soddisfano meglio l’attesa degli ascoltatori”. “Piacciono anchegli stacchetti”, fa eco B. Gli stacchetti sono quelle interruzioni sonore o queisiparietti che caratterizzano l’intera trasmissione ogni giorno. Cominciarono condei glissati di musica folk, brandelli di canti popolari; proseguirono con musicheper banda, quindi con arie da opera (solo qualche frase) e più avanti con citazioniculturali (l’enunciazione per esempio del Teorema di Pitagora); poi con minuscolicouplets composti appositamente per Alto Gradimenti; e attualmente gli stacchisono strofette cantate tipo: “Come son belli i nostri direttori”, a cui ha dato la vocemusicale Enrico Simonetti34.

Per esorcizzare il rischio della recessione, nasce Milledischi sostituito

nel 1972 da Adesso musica che ne riprende la forma di contenitoreeterogeneo di stili musicali e eleva il pubblico alla condizione diintervistatore. Altri programmi che innestano diverse tendenze sonoSpazio musicale e C’è musica e musica, il tentativo, quest’ultimo, di dareuna struttura musicale ad un’insieme di informazioni e di suggerirecostantemente diversi piani di comprensione delle cose.

33 A. Lubrano, “Alto (S)Gradimento”, TV Radiocorriere, 5 maggio 1974. 34 Ibidem. Accanto a Alto Gradimento vanno ricordate: Music Inn, trasmissione di

musica varia (Lippi, Bracardi, Ronni Jones), Hit Parade (chiamata prima Il discobolo, poi Lavoce dell’America e condotta nel 1974 da Lelio Luttazzi), Per voi giovani, L’uomo dellanotte, Folk Jockey, Supersonic (in onda da ormai tre anni), Popoff, Dischi Caldi (GiancarloGuardabassi), Il mattiniere.

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Lucio Battisti partecipa ad alcune trasmissioni per ragazzi, tra cuiArriva il compressore, Tutti insieme e Speciale per voi, programma con unpubblico sapientemente coordinato da Renzo Arbore che firma anche PopStudio, una rassegna dei più significativi gruppi musicali, affermandosicome l’opinion leader della musica giovane.

Senza tanti complimenti (1973), invita ospiti prestigiosi della canzonequali Paoli, De André e Lauzi, così come Ornella Vanoni e Lucio Dallapartecipano a Under 20, programma “off limits” agli adulti. Enzo Trapani,uno tra i più innovativi autori/registi della televisione italiana, dà unulteriore taglio di modernità al programma utilizzando la VR3000, unatelecamera superleggera, in grado di fornire prestazioni uguali a quelladella diretta e che, per la sua maneggevolezza, permette particolariangolazioni e notevole mobilità di sguardo. Nel 1974 GiancarloGuardabassi conduce Musica in libertà, programma che si autodefiniscel’Alto Gradimento televisivo, un hellzapoppin della canzone italiana checerca un filo conduttore tra le diverse tendenze musicali del momento.

La programmazione della RAI, fedele al suo impegno di serviziopubblico, cerca di rendere conto della molteplicità dei fermenti musicalitentando di alleggerire i formati della divulgazione culturale per mezzodella loro contaminazione con l’inchiesta giornalistica e il reportage comenei casi di Europa folk e pop o Folk e pop nell’America Latina (in cui lamusica diventa il pretesto per indagare le condizioni di quel continente)condotti da Gianni Minà e Giampiero Ricci.

La musica ribelle delle radio libere

Nel 1972, mentre infuria la discussione sul futuro della RAI, il cuidestino è sospeso tra ristrutturazione aziendale e la possibileconcorrenza tra pubblico e privato, si hanno i primi casi di emittenza nonautorizzata.

Nel 1974, a Viareggio, si costituisce l’ANTI (Associazione NazionaleTeleradiodiffusioni Indipendenti), prima associazione di categoria. Nelgennaio del 1975 comincia a trasmettere Radio Parma, seguita, a pochimesi di distanza da Radio Milano International e Radio Emmanuel,rispettivamente da Milano e Ancona, chiuse dall’Escopost ma subito

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riaperte grazie all’intervento prefettizio. Alla fine dell’anno le radio liberesono già 67.

A favorirne la moltiplicazione è l’interesse di commercianti,costruttori di attrezzature elettroniche, di proprietari di discoteche, dieditori di giornali (locali e non) che trovano in esse, e nelle conoscenze dipochi amatori, ulteriore supporto alle proprie attività.

La sentenza della Corte Costituzionale del 1976, diminuendo i rischilegati al sequestro delle attrezzature e alla chiusura, le rende vantaggiosicanali promozionali e un appetibile forma di investimento per vasti settoridel mondo economico e imprenditoriale soprattutto in ambito provincialeo regionale. L’utilizzo del telefono e l’imposizione tecnologica/legislativadi trasmettere a breve raggio fanno delle radio libere un primo punto dicontatto tra il sistema dei media e la realtà locale, un settore fino a alloratrascurato dalla RAI.

L’industria discografica non tarda ad accorgersi delle potenzialitàofferte da questa nuova realtà e della sua ricaduta su un ascolto che sidifferenzia sempre più per genere di età. Nel settembre del 1976 MarioDe Luigi constatandone la proliferazione sottolineava come, se

l’obiettivo di sostituirsi ai canali di informazione tradizionali sembra destinato afallire, almeno in questa prima fase, a causa degli alti costi […] la realizzazione diprogrammi confezionati anche per l’ottanta-novanta per cento di musica registrata,se trattata in modo attuale e intelligente, può consentire un’alternativa efficace allaradio di regime, dove l’incompetenza in questo campo si spreca, dove la censurablocca in parte ogni discorso nuovo, dove lo spazio per le novità interessanti èsempre più ridotto. […]. La SIAE non le riconosce, rifiutandosi addirittura diesigere da esse i diritti di esecuzione radiofonica che ugualmente alcune stazioniprovvedono, prudentemente, ad accantonare; ma molte case fonografiche le hannoormai salutate come un nuovo, valido veicolo di promozione, creando repartiappositi per tenere contatti e fornire materiale, nella convinzione che la loroportata, ora limitata, si accrescerà sempre più rapidamente, nei mesi e negli anni avenire35.

L’emittenza privata diviene il canale alternativo attraverso cui

aggirare il monopolio, spesso all’origine di casi di corruzione e

35 M. De Luigi, “Promozione via radio” in Musica & Dischi, dicembre 1975. Con laSIAE verrà alla fine raggiunto un accordo che prevede il versamento di una quotaforfetaria mensile di 50.000 lire.

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favoritismo, esercitato dalla RAI nella selezione dei pezzi da mandare inonda36.

Ancora Mario De Luigi, in occasione del Salone della Musica del 1976,auspica una collaborazione del settore con l’emittenza privata che, dallasemplice fornitura delle ultime uscite, si sarebbe potuta trasformare nellasponsorizzazione di programmi realizzati in funzione di determinate fasced’ascolto, nell’opera di supporto in occasione delle turnées degli artisti,nella sensibilizzazione del pubblico verso prodotti di non immediata presacosicché “l’aspetto commerciale verrebbe […] ad affiancarsi a quello dieducazione nei confronti del pubblico che la RAI continua imperterrita adignorare, malgrado le numerose sollecitazioni”37.

La distribuzione gratuita di materiale discografico si scontra tuttaviacon la difficoltà oggettiva a definire l’esatto bacino di utenza e conl’eccessiva proliferazione delle emittenti, rispetto alle quali si procedecon i criteri di selezione più eterogenei: dalla collocazione geografica (neltentativo di costruire una rete di distribuzione che copra l’interoterritorio) all’indice d’ascolto (per altro difficilmente valutabile) passandoper il tipo di programmi e l’importanza in ambito locale, oltre allaprofessionalità (voce rispetto alla quale un indice interessante è l’anticipo

36 “Fino a pochi mesi fa, la sorte di un disco, nella stragrande maggioranza dei fatti,

veniva deciso dal gradimento che mostravano i dirigenti dei programmi RAI: ottenendo unnumero di passaggi radiofonici (e televisivi) importanti, il brano poteva con maggiorefacilità di altri essere recepito e quindi accettato dagli ascoltatori: in caso contrario la suavita sarebbe stata molto più complicata e spesso non avrebbe potuto ottenere il successo,non per meriti o demeriti propri, ma per sola volontà dell’ente supremo. Naturale quindil’interesse profusi dalla casa discografica nel mantenere buoni rapporti con uninterlocutore così importante da risultare spesso decisivo per l’affermazione del prodotto:gli uffici promozionali erano diventati il punto nevralgico dell’industria musicale, tanto dacoinvolgere la stessa produzione artistica. Si era giunti al punto di stampare un disco solose aveva ottenuto preventivamente un parere favorevole dai responsabili dei programmidi musica leggera. Immaginabile la lotta senza esclusione di colpi tra Case per accaparrarsii favori dei programmatori: persone messe ad un posto di responsabilità o per appoggiopolitico o per essere parenti di qualche caporione, e senza nessuna competenza specifica,diventando talmente importanti da essere blanditi e corteggiati da tutte le casediscografiche d’Italia.” (R. Galanti, “Una ventata di libertà?” in Musica & Dischi,settembre 1976).

37 M. De Luigi, “Radio libere a confronto” in Musica & Dischi, settembre 1976.

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con cui la radio trasmette le uscite del catalogo estero prima che vanganodistribuite in Italia)38.

Il simbolo della crisi della RAI, soggetta a una vera e propriaemorragia di ascoltatori (cfr. tab. 6), è la soppressione di Hit Parade, ilprogramma che per anni ha indicato i gusti e le tendenze del pubblico,travolto dalle accuse di favoritismo e dalle spese per le inchieste Doxache contribuivano a far lievitare i costi di ogni singola puntata a 45milioni.

Non che il rapporto tra industria discografica e radio private simantenga idilliaco. Nel 1980 Musica & Dischi denuncia le prime crepe:

il fatto è che oggi si può ascoltare musica “non stop” ventiquattro ore al giorno conuna possibilità di scelta pressoché illimitata specie nelle grandi città, e per igiovani è sufficiente sintonizzarsi con queste stazioni per esaudire il loro“desiderio” di musica. Senza contare che si può registrare direttamente dalleradio, e con la minima spesa di un nastro vergine avere 60 minuti di successi intutte le case. C’è una radio a Milano, Radio Popolare, che nel mese di agosto hamandato in onda un programma dedicato alla registrazione che diceva circa così:“Pronti con il registratore?”. Perché a questo punto comprare i dischi?39

Per Roberto Galanti la soluzione non poteva che essere una linea

dura: fare pagare tutti i dischi, darli in ritardo in confronto ai negozi, non facilitarenessuna intervista con i cantanti, denunciare chi non paga la SIAE40.

In occasione di un convegno organizzato a porto Cervo tra il 17 e il 22

settembre da Radiouno, Mario de Luigi stila un rapporto41 in cui si evincela volontà dell’industria discografica di ritornare a rapporto privilegiatocon la RAI, accantonando i vecchi rancori e articolando un percorso dicollaborazione attorno ad alcuni punti fermi: la creazione di incontrifrequenti tra industria ed ente; l’eliminazione della piaga della corruzione

38 A. Paleari, “Milleottocento alternative” in Musica & Dischi, febbraio 1977. 39 R. Galanti, “Il disco e le radio private: un problema di saturazione” in Musica &

Dischi, settembre 1980. 40 Ibidem. 41 M. De Luigi, “Dialogo aperto fra RAI e discografici” in Musica & Dischi, ottobre

1979.

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istituzionalizzata ed una maggiore trasparenza nei rapporti; la discussionesugli stanziamenti spropositati destinati dalla RAI a programmipromozionali, quali Hit Parade di un tempo, le cui classifiche eranopilotate; il raggiungimento di un accordo sulla tutela degli interessi delladiscografia, con particolare riferimento alle case più piccole; l’offerta dipartecipare alla realizzazione dei programmi da parte di promoters dellecase stesse.

Alla fine degli anni ’70 anche le emittenti televisive cominciano asviluppare una programmazione musicale degna di nota. Le prime ripresesono effettuate grazie mezzi mobili nei locali da ballo dove si esibisconocomplessi e cantanti. Come nel caso delle radio libere l’industriadiscografica tenta un approccio diretto. Gli addetti alla promozione sirecano presso le sedi televisive accompagnandovi gli artisti e fornisconomateriale video. I costi sono elevati, sia per le spese di duplicazione, siaper lo smarrimento dei nastri.

Nel 1977, constatati l’aumento di professionalità delle TV locali e larichiesta di buone immagini da mandare in onda, Ravera e Gianninifondano GR Videomusica, con il fine di porsi come intermediari tral’emittenza privata e l’industria discografica. Vengono realizzati alcuninumeri pilota per mettere a punto un formato che possa soddisfare il piùelevato numero di emittenti. Partendo dal principio di utilizzare filmatigià realizzati si arriva a definire come prodotto standard un collage dibrani preceduti da titolo in modo tale da consentire a ogni emittente dipersonalizzare la propria offerta42.

L’iniziativa di Ravera e Ginnini non è l’unica. TV Sorrisi e Canzonifornisce gratuitamente la propria Superclassifica legata a un preciso filopubblicitario. Alcune manifestazioni (dal Free Show al Disco Neve alGrappeggia Show) vengono riprese dagli stessi organizzatori. E GRVideomusica affianca al suo programma settimanale Pop, rock & soul, 90special dedicati a singoli artisti.

I risultati promozionali hanno un discreto riscontro: ciò che cerca la promozione musicale è la garanzia sull’uso delle immagini (nessunaccostamento pubblicitario diretto), il rapido raggiungimento del maggior numero

42 S. Benedetti, “Un canale promozionale in continuo sviluppo” in Musica & Dischi,

ottobre 1978.

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di TV (molte videocassette in circuito), le garanzie sull’effettiva utilizzazione eduna relazione reale e tempestiva sull’irradiazione (tramite segnalazione di singolipassaggi). Tutto ciò pare sia stato garantito dalla GR se da diversi mesi alcunegrosse case discografiche provvedono a realizzare costosi show su artisti italianiappositamente e solamente per l’utilizzazione nel circuito di questaorganizzazione. GR acquista anche all’estero show musicali non potendo far frontealle richieste con le sole immagini reperibili presso le case discografiche 43.

Il riflusso: dalla disco-music alla nuova crisi degli anni ’80

Nel 1976 l’organizzazione di Sanremo è affidata a Vittorio Salvetti, cheapre nuovamente le porte agli stranieri, anche se solo in qualità di ospiti.

Nel ’77 punto tutto sui complessi (Homo Sapiens, Collage, SantoCalifornia, gli Albatros di Toto Cotugno). I Matia Bazar, lanciati dal branoSolo tu, si impongono l’anno successivo con E dirsi ciao!. Nel 1978 AnnaOxa, esibisce per la prima volta in Italia un look punk addomesticato albuonismo nazionale e del tutto inadeguato a rendere il disagio giovaniledelle grandi aree urbane del Nord Europa.

Ma soprattutto Salvetti, nel 1977, apre le porte a Barry White,l’inventore della disco-music. Per altri il genere sarebbe invece stato“creato” per caso, sempre tra il ’72 e il ’73, da Richard Rymond Finch eHarry Casay, nel tentativo di realizzare un brano ballabile adatto allafigura di George McCrae. Un ulteriore passo avanti nella definizione delgenere è rappresentato dalle canzoni di Gloria Gaynor (Honey Bee e Nevercan say goodbye) in cui “il produttore ebbe la trovata di portare in primopiano i canali dei bassi e dei tamburi lasciando più arretrati la voce dellacantante e gli altri arrangiamenti”44. La codificazione definitiva spettaperò a Giorgio Moroder con cui il genere si afferma come “un quattroquarti senza scansioni di accenti, con 125 battute al minuto, tale da darel’impressione di unificare in sé le funzioni del battere e levare,annullando qualsiasi variazione, qualsiasi respiro. Una musica monotona,ripetitiva, ma dal ritmo creato apposta per ballare”45.

A proposito del nuovo genere musicale Renzo Arbore nota come

43 Ibidem.44 Borgna, L’Italia di Sanremo…, op. cit., p. 152.45 Ibidem.

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le discoteche […] stanno diventando sempre più importanti come mezzi di lancioper nuovi nomi della pop music. Ci sono best-selleres americani e inglesi diventatitali grazie a pochi disc-jockey, che ogni sera, per settimane o mesi, li hannoprogrammati nei loro locali, e non pochi cantanti devono la loro fortuna improvvisaa discoteche di moda e molto frequentate, dove i loro quarantacinque giri sonomolto piaciuti al pubblico magari senza mai essere stati trasmessi in radio opubblicizzati in altre maniere. A volte le case discografiche puntano su questosistema come mezzo principale per il lancio di un personaggio sconosciuto: bastascegliere le discoteche chiave di poche città importanti, al limite anche soltantoLondra e New York, e il gioco è fatto, in pochi giorni migliaia e migliaia di ragazziparlano del nuovo nome e diventano i suoi migliori press-agent46.

Si assiste al rilancio del ballo. Nel 1977, 3 milioni e mezzo di italianiinvadevano 3000 balere di cui 500 appena aperte per fronteggiarel’aumento della domanda. L’anno successivo le sale erano 5.000 e ilpubblico era aumentato del 40-50%.

Nel 1979 Sanremo torna a essere trasmesso in video per tutta la suadurata. A presentarlo è Mike Buongiorno che afferma: “Stiamo tornando,me ne sono accorto negli ultimi sei mesi, a quei valori e a quegli affettiche avevamo dimenticato. Anche i ragazzi della contestazione stannogradatamente cambiando. Vogliono ballare e divertirsi come JohnTravolta, sono stanchi di tirare sassi… Stiamo forse ritrovando l’unione el’equilibrio. Ci vorrà un po’ di tempo: ma gli anni ottanta saranno diversidagli anni settanta”47.

Se Mike ha ragione sul futuro del paese, non comprende comeun’operazione nostalgia sia inadeguata a catturare il pubblico e inparticolare quello giovane. Nel 1980 Gianni Ravera lascia mano libera alsuo luogotenente, Gianni Naso, ex disc-jockey, che trasforma ilpalcoscenico del Teatro Ariston in una discoteca su cui ClaudioCecchetto, prossimo a iniziare l’avventura di Radio DeeJay, mostra dimuoversi a proprio agio. Ma le canzoni continuano a essere decisamentebrutte.

Con il nuovo decennio è racchiusa nella morte di John Lennon,protagonista indiscusso della scena musicale internazionale per ben due

46 R. Arbore, “L’osservatorio di Arbore. Divi. dalle discoteche” in TV Radiocorriere, 9

marzo 1975.47 Borgna, L’Italia di Sanremo…, op. cit., p. 161.

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decenni. Economicamente si concretizza in una crisi discografica brevema intensa, dalla quale usciranno nuovi protagonisti e nuovi supporti.

Come il 33 giri era venuto incontro ai bisogni del pubblico e avevacambiato il modo di fruizione della musica, lo stessa avviene con il CD.Nella riproduzione laser il senso del tempo viene annientato. Il fruscioche segnava il passare degli anni sull’oggetto disco scompare, sostituitodalla riproduzione digitale. Le funzionalità dei lettori, migliorando lepossibilità di muoversi all’interno del supporto, rompono (paradossalmen-te lasciandone intatte le potenzialità) l’unità del discorso musicale. A tuttigli effetti il CD è il supporto musicale del consumo post-moderno,fondato sulla personalizzazione e sull’attribuzione di significato in basealla ricontestualizzazione del prodotto nell’universo individuale.

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Tabelle

Tabella 1 – Numero di juke-box(“Musica & Dischi”, aprile 1978)

Sedi SIAE 1974 1976Ancona 391 329Bari 473 300Bologna 1446 1348Cagliari 611 629Firenze 1135 1054Genova 1236 1107Milano 5359 4778Napoli 1163 833Palermo 492 466Roma 1378 1243Torino 3877 3479Trieste 784 715Venezia 1419 1450Verona 1828 1763Totale 21594 19491

Tabella 2 – Ripartizione del mercato per regione(“Musica & dischi”, aprile 1978).

Regione %Lombardia 19,0Lazio 14,5Veneto 13,0Emilia-Romagna 9,5Piemonte 8,5Toscana/Umbria 8,5Sicilia/Sardegna 7,0Campania 5,5Liguria 4,5Puglia 4,0Abruzzi/Marche 4,0Clabria/Basilicata 2,0

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Tabella 3 – Evoluzione dei prezzi al rivenditore(“Musica & Dischi”, aprile 1977)

Anno e mese 45 giri LP leggera MC leggera1970 550 1900/2200 24001971 luglio 550 2200 24001972 gennaio 550 2200 25001973 gennaio 550 2300/2500 26001973 ottobre 550 2500/2700 27001974 aprile 600 2700 27001974 ottobre 675 3000 30001975 gennaio 710 3300 33001976 maggio 800/900 3600 36001977 aprile 1000 4000 4000

Tabella 4 – Le sigle a 45 giri più vendute(“Musica & Dischi”, novembre 1978, dati in migliaia)

CanzoneFuria 1.000Sandokan 850Sei forte papà 750Heidi 650La tartaruga 600Johnny Bassotto 600UFO Robot 507Tarzan lo fa 391Furia soldato 350Ci vuole un fiore 300La casa 300Orzowei 250My name isiPotato 130Il trenino 100

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Tabella 5 – Numero dei pezzi venduti(“Musica & Dischi”, marzo 1976, dati in migliaia)

Anno 45 Np 45 EP 33 Music1964 27251 816 25571965 25312 674 32081966 28479 379 47331967 33162 369 57021968 35500 580 5030 1501969 36750 1880 5300 7001970 34112 973 3699 17901971 29220 2315 5137 20751972 20308 644 5776 54521973 18084 161 9052 77581974 18212 291 12184 9026

Tabella 6 – Gli ascolti della radio(Fonte: “Informazione Radio-TV, agosto 1972, valori mediper quarto d’ora d’ascolto dalle 6.00 alle 23.00, in migliaia)

Emittenti Mar 1976 Ott 1976 Marz 1977 Ott 1977 Marz 1978 Ott 1978RAI 2239 1783 1597 1379 1232 1149Private 198 502 781 1009 926 931Estere 123 255 262 257 202 213Totale 2560 2540 2640 2645 2360 2293

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Le classifiche48

I primi dieci successi del 1970 – “ Tv Sorrisi & Canzoni”, 3 gennaio 1971

01. Mina – Insieme02. Nino Manfredi – Tanto pe’ cantà03. D. Modugno – La lontananza04. Shocking Blues – Venus05. Beatles – Let it be06. Michel Delpech – Wight is wight07. Rare Bird – Sympathy08. L. Battisti – Fiori rosa fiori di pesco09. G. Morandi – Occhi di ragazza10. N. di Bari e Ricchi e poveri – La prima cosa bella

Classifica 1971 – “ Tv Sorrisi & Canzoni”, 9 gennaio 1972

45 giri 33 giri1. L. Battisti – Pensieri e parole 1. Mina – Del mio meglio2. Mina – Amor mio 2. C. Aznavour – E fu subito

Aznavour…3. Pooh – Tanta voglia di lei 3. L. Battisti – Amore e non amore4. J. Dorelli, Lai, Pravo – Love story 4. S. Cirpiani – Anonimo veneziano5. S. Cirpiani – Anonimo veneziano 5. Creedence Clearwater Revival –

Pendulum6. G. Harrison – My sweet Lord 6. Emerson, Lake, Palmer – Tarkus7. M. Laurent – Sing sing Barbara 7. Jethro Tull – Aqualung8. I. Zanicchi – La riva bianca, la riva

nera8. F. Lai – Love story

9. L. Dalla – 4/3/1943 9. New Trolls – Concerto grosso…10. B. Lauzi – Amore caro, amore bello 10. L. Battisti – Emozioni

48 Per uno sciopero delle tipografia il numero contenente la classifica generale del

1971 non è uscito.

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Classifica 1973 – “ Tv Sorrisi & Canzoni “, 30 dicembre 1973

45 giri 33 giri1. Elton John – Crocodile rock 1. L. Battisti – Il mio canto libero2. P. Pravo – Pazza idea 2. Pink Floyd – The dark side of the

moon3. Don McLean – Vincent 3. Elton John – Don’t shoot me…4. M. Martini – Minuetto 4. Pooh – Alessandra5. L. Battisti – Il mio canto libero 5. P. Pravo – Pazza idea6. G. Ferri – Sempre 6. G. Ferri – Sempre7. Camaleonti – Perché ti amo 7. Le Orme – Felona e Sorona8. C. Baglioni – Amore bello 8. C. Baglioni – Gira che ti rigira

amore...9. P. McCrtney – My love 9. O. Vanoni – Dettagli

10. Marcella – Io domani 10. F. Papetti – XVI Raccolta

Nastri 1. Pooh – Alessandra 2. Pink Floyd – The dark side of the moon 3. Elton John – Don’t shoot me 4. L. Battisti – Il mio canto libero 5. G. Ferri – Sempre 6. P. Pravo – Pazza idea 7. C. Baglioni – Gira che ti rigira amore.. 8. O. Vanoni – Dettagli 9. Le Orme – Felona e Sorona

10. F. Papetti – XVI raccolta

Classifica 1974 – “ Tv Sorrisi & Canzoni”, 29 dicembre 1974

45 giri 33 giri1. C. Baglioni – E tu 1. Mina – Frutta e verdura2. Pisano – A blue shadow 2. Soundtrack – Jesus Christ Superstar3. Cugini di Campagna – Anima mia 3. C. Baglioni – E tu4. Mina – E poi 4. Pooh – Parsifal5. Drupi – Piccola e fragile 5. P. Pravo – Mai una signora6. R. Cocciante – Bella senz’anima 6. F. Papetti – XVII raccolta7. Sentacruz – Soleado 7. F. Papetti – XVIII raccolta8. G. Cinquetti – Alle porte del sole 8. L. Battisti – Il nostro caro angelo9. Soundtrack – L’ultima neve di

primavera9. Santana – Welcome

10. Cugini di campagna – Innamorata 10. Deep Purple – Burn

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Classifica 1975 – “ Tv Sorrisi & Canzoni”, 28 dicembre 1975

45 giri 33 giri1. C. Baglioni – Sabato pomeriggio 1. F. De Gregori – Rimmel2. D. Modugno – Piange il telefono 2. C. Baglioni – Sabato pomeriggio3. Mina – L’importante è finire 3. L. Battisti – Anima latina4. C. Mori – Buona sera dottore 4. B. White – Just another way to

say…5. Santo California – Tornerò 5. R. Cocciante – L’alba6. Guardiano del faro – Amore grande

amore...6. F. Papetti – XIX raccolta

7. B. White – You are the first, thelast…

7. Goblin – Profondo rosso

8. Mal – Parlami d’amore Mariù 8. Celentano – Yuppi du9. Wess e Dori Ghezzi – Un corpo e

un’anima9. B. White – Can’t get enough

10. R. Cocciante – L’alba 10. F. Papetti – XX raccolta

Classifica 1976 – “ Tv Sorrisi & Canzoni”, 2 gennaio 1977

45 giri 33 giri1. L. Battisti – Ancora tu 1. L. Battisti – La batteria del

contrabbando2. G. Bella – Non si può morire dentro 2. Santana – Amigos3. Abba – SOS 3. R. Cocciante – … per Margherita4. Oliver Onions – Sandokan 4. Summer – A love trilogy5. R. Cocciante – Margherita 5. Mina – Mina/Minacantalucio6. Afric Simone – Ramaya 6. B. Dylan – Desire7. Le Orme – Canzone d’amore 7. Pink Floyd – Wish you were here8. Sentacruz – Linda bella Linda 8. F. Papetti – XXI raccolta9. Giacobbe – Gli occhi di tua madre 9. Venditti – Lilly

10. Santana – Europa 10. De Gregori – Bufalo Bill

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Classifica 1977 – “ Tv Sorrisi & Canzoni”, 25 dicembre 1977

45 giri 33 giri1. L. Battisti – Amarsi un po’ 1. L. Battisti – Io noi tutti2. U. Tozzi – Ti amo 2. A. Branduardi – Alla fiera dell’est3. U. Balsamo – L’angelo azzurro 3. C. Baglioni – Solo4. Alunni del sole – ‘A canzuncella 4. Summer – I remeber yesterday5. D. Summer – I feel love 5. Pink – Animals6. Il Guardiano del faro – Domani 6. E. Bennato – Burattino senza fili7. Lear – Tomorrow 7. Kelly – Zodiac lady8. C. Baglioni – Solo 8. Le Orme – Verità nascoste9. A. Branduardi – Alla fiera dell’est 9. Mina – Singolare e plurale

10. Fergusson – Donna flow now/Rocky 10. Cerrone – Cerrone’s paradise

Classifica 1978 – “ Tv Sorrisi & Canzoni”, 31 dicembre 1978

45 giri 33 giri1. Bush – Wunthering Heights 1. Sountrack – Saturday night fever2. A. Venditti – Sotto il segno dei pesci 2. A. Venditti – Sotto il segno dei pesci3. Pooh – Cercami 3. A. Branduardi – La pulce d’acqua4. U. Tozzi – Tu 4. C. De André – Rimini5. Alunni del sole – Liù 5. A. Sorrenti – Figli delle stelle6. Travolta/John – You’re the one… 6. F. De Gregori – De Gregori7. G. Bella – No 7. Travolta/John – Grease8. F. De Gregori – Generale 8. U. Tozzi – Tu9. A. Celentano – Ti avrò 9. L. Dalla – Com’è profondo il mare

10. Pravo – Pensiero stupendo 10. Alunni del sole – Liù

Classifica 1979 – “Tv Sorrisi & Canzoni”, 23 dicembre 1979

45 giri 33 giri1. J. Iglesias – Pensami 1. L. Dalla – Dalla2. M. Bosè – Super Superman 2. Bee Gees – Spirit having flown3. A. Sorrenti – Tu sei l’unica donna

per me3. R. Stewart – Blondes have more fun

4. A. Pappalardo – Ricominciamo 4. C. Baglioni – E tu come stai5. Bee Gees – Too much haven 5. A. Sorrenti – L.A. & N.Y.6. Blondie – Heart of glass 6. D. Summer – Bad girl7. Pooh – Io sono vivo 7. M. Bosè – Chicas8. G. Gaynor – I will survive 8. U. Tozzi – Gloria9. A. Celentano – Soli 9. R. Zero – Erozero

10. D. Summer – Hot stuff 10. C. De Andrè + PFM – In concerto

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Bibliografia

L. Bolla, F. Cardini, Macchina sonora. La musica nella televisione italiana,RAI-ERI, Roma, 1997

G. Borgna, Storia della canzone italiana, Mondadori, Milano, 1992

G. Borgna, L’Italia di Sanremo. Cinquant’anni di canzoni, cinquant’annidella nostra storia, Mondadori, Milano, 1998

G. Castaldo, La terra promessa. Quarant’anni di cultura rock (1954-1994),Feltrinelli, Milano, 1995

I. Chambers, Urban Rhythms. Pop Music and Popular Culture, tr. it. Ritmiurbani. Pop music e cultura di massa, Genova, Costa&Nolan, 19962

U. Eco, Apocalittici e integrati. Comunicazione di massa e teorie dellacultura di massa, Milano, Bompiani, 1997.

M. Gaido, Radio Libere? La prima vera inchiesta e storia delle radio liberein Italia e nel mondo, Arcana Editrice, Milano, 1976

P. Sala, La figura del cantautore nell’industria discografica italiana dal1958 al 1977, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano 1998,mimeo

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versione digitale 2007ISBN 978-88-8311-063-4