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tutte le musiche del mondo > w w w . m o n d o m i x . i t
g r a t u i t o
n° 3 - 2009
n°3
Goran BregovicRiveli! Santé! Cheers! Saúde! Salute!
Lorena McKennittSpeciale MessicoCesária Évora Mario BrunelloEmmanuel Jal
EGEAdistributore esclusivo
per l’Italia
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Dissidenten & Jil JilalaTanger Sessions25 anni dopo il successomondiale di Sahara Elektriki Dissidenten continuanoil loro giro del mondo con ilnuovo album Tanger Sessionsnella valigia.
FELMAY
FELMAYTRADIZIONE&INNOVAZIONEwww.felmay.it
Filippo GambettaAndirivieniIl ritorno di uno dei migliorimusicisti italiani di tradizione.
Lisandro Adrovermeets the Metropole OrchestraLo spirito del tango non puòessere in mani migliori.
Tine Kindermannschamlos schön Storiche canzoni popolaritedesche eseguite dalla vocedi Tine Kindermann e da alcuni dei migliorimusicisti Down Town NYC (Marc Ribot, Frank London,Greg Cohen…).
Banda OlifanteUn repertorio in bilicofra jazz, tradizione popolaree world per un nuovogrande ensemble.
Gamelan of CentralJavaX. Sindhen trioTre brani delle tradizioneclassica javanese inun’interpretazioneunica ed originale.
Marisa SanniaLa Rosa de PapelPoesie di Garcia Lorca messein musica in modo elegantee raffinato. Un magicoincontro fra l’emozionantevoce di Marisa Sannia e leliriche del poeta spagnolo.
Renato BorghettiFandangoIl nuovo Cd dell’organettistabrasiliano in un repertoriooriginale di musiche ispiratealla tradizione portena fraSud del Brasile,Argentinaed Uruguay.
Mimmo EpifaniZucchini FlowersZucchini Flowers dipanala sua ironia nel connubiogodereccio di musica e cibo,danza e amore.Mimmo Epifani parla dialettoma risulta comprensibile intutte le lingue del mondo.
Municipale BalcanicaRoad to DamascusUn perfetto mix di sonoritàbalcaniche e sapori mediterraneicon un tocco di modernità cherende il tutto più originale egustoso.
Lingling YuXu LaiUna delle più grandiinterpreti della tradizioneclassica cinese.
Gamelanof Central JavaXI. Music ofRemembranceMusiche dicommemorazione dei mortidella tradizione javanese.
XP• Mondomix 17-12-2008 14:49 Pagina 4
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periodico gratuitoEditore Fm2Direttore responsabile Federico [email protected] editoriale andrea [email protected]à N2a+ 39 [email protected] Grafica esseGi [email protected]
Foto di copertina di: Matjaz_TancicHanno collaboratomarta amico, tP africa, alessio Biancucci, antonio Blasi, andrea Boccalini, Plinio Bonato, Ciro de rosa, Gianluca diana, Guido Gaito, Benjamin miNimum,
andrea morandi, martina Neri, Gaetano Palmisano, Vittorio Pio, olivia tanini, Paola Valpreda, mauro Zanda Redazione via di Porta Fabbrica 25, 00165, [email protected] ages arti Grafiche corso traiano 124, 10127 torino
registrazione al tribunale di torino n. 49 del 9 luglio 2008 [periodico culturale].
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EDITORIALE/SOMMARIO moNdomix.it - 3
04 nOTIzIARIO Su e giù 06 zEn nORvEGESEdi Antonio Blasi
07 LA BOSSAnOvA SECOnDO FARACOdi vittorio Pio
08 IL FIGLIO DEL SuDAndi Andrea Morandi
09 nAvIGAzIOnE CIRCOLARE DI MARIO BRunELLOdi Alessio Biancucci
10 quATTRO PASSI A BuEnOS AIRESdi Marta Amico
13 BREGOvICRIvELI! SAnTé! CHEERS! SAúDE! SALuTE!di Benjamin MiniMuM
16 GIAnMARIA TESTA vOCE E CHITARRA DI LAnGAdi Alessio Biancucci
17 ALLE ORIGInI DI CESáRIAdi Plinio Bonato
18 FOLGORATI SuLLA vIA DI DAMASCOdi Plinio Bonato
20 IL FREDDy MERCuRy DELLA GALIzIAdi Martina neri
21 DIETRO LE quInTEdi Andrea Scaccia
22 SuGGESTIOnI PERnOTTI DI MEzzO InvERnOdi Ciro De Rosa
24 SEGnALI DI FuMO DAL MESSICOdi Federico Scoppio
26 L’AFROjAzz DI FEMI KuTIdi Gianluca Diana e TP Africa
27 un’ORCHIDEA DA RECIFEdi Gaetano Palmisano
28 STORIE DI [STRA]ORDInARIA LIBERTàdi Andrea Scaccia
29 MuSICA E MEMORIAdi Guido Gaito
30 afrodisia di Mauro zanda
31 RECEnSIOnI
03 Sommariomagazine mondomix — n.3 - 2009
L’Italia è ormai da anni un paese di immigrazione, conta una
cifra pari a circa tre milioni di immigrati. Tuttavia, quello che
per tanti anni e specialmente nei secoli precedenti era stato un
paese di emigranti, si riscopre indifferente alla sorte dei nuovi
cittadini del mondo che si stabiliscono in Italia. Queste sono
le tesi più accreditate sulla presunta effusione di razzismo in
Italia. Che non è proprio un razzismo classico, ma qualcosa di
più subdolo e alla lunga equivoco, perché non c’è chiarezza di
intenti e, come poter dire, non si riesce neanche tanto bene a
circoscriverlo: non ci sono fasce di età e sociali che lo applica-
no. La diffusione è incontrollabile.
In definitiva è un po’ ciò di cui soffre veramente il mercato della
world music in Italia: c’è, è vivo e sta anche in salute – ce lo
dimostrano la quantità di festival, rassegne, concerti qua e là
sparsi sul territorio o meglio organizzati – che popolano la peni-
sola e le loro cifre ci mostrano un pubblico vasto, curioso e per
niente impreparato. A tal proposito consiglio con attenzione la
lettura dell’articolo interno sul network di festival italiani riuniti
nell’’associazione Talento, che presto, dalle parole del diretto-
re, pare aprirà le porte anche ad altre entità attive sul merca-
to: discografici, produttori, musicisti ed altro. Oppure le tante
case discografiche, soprattutto le piccole, che nonostante le
gravose condizioni del governo in materia di cultura e spetta-
coli continuano a faticare, prodigandosi in favolose scoperte
e produzioni. Ce ne sono diverse e all’interno del numero ne
troverete menzionate sicuramente alcune.
Bene, questo è il volto migliore del mercato. Poi ce n’è tutto un
altro, molto peggiore. Per carità, non è razzista, bensì è indiffe-
rente; oppure non sa come affrontare tali nuove proposte cul-
turali e dunque le scansa anticipatamente. In Italia, ad esempio,
per una pratica non ben definita, molto spesso si finisce per
prediligere, con schemi aprioristici, la musica italiana, che poi
è soprattutto la leggera, a discapito di tanto altro. E invece si
potrebbe scoprire che questo altro - un altro per cui la Makeba
ci ha rimesso la pelle - è più vicino di quanto appaia ad uno
sguardo superficiale, alcolico e distratto, direbbe Goran Brego-
vic. O indifferente.
A proposito, condividiamo il contenuto dell’articolo di copertina
con i cugini francesi, per inaugurare al meglio il nuovo anno.
il razzismo esiste ovunque vivano gli uomini. il razzismo è nell’uomo. si è sempre lo straniero di qualcuno. imparare a vivere insieme, è questo il modo di lottare contro il razzismo.� tahar Ben Jalloun
iN B
reV
e
segnali
su e giù � - moNdomix.it nOTIzIARIO
ADIOS YMA SUMACLa musica peruviana piange la sua più celebre interprete: Yma Sumac se n’è andata lo scorso novembre a 86 anni. Per la leggenda era una principessa Inca, per la musica era una voce inarrivabile, in grado di estendersi fino a 5 otta-ve. Memorabili i suoi spettacoli con l’orchestra del marito Moisés Vivanco, un ensemble di 46 musicisti e danzatori indios. Yma, che amava il suo popolo senza disdegnare le canzoni disneyane, sarà ricordata per la sua potenza ese-cutiva e per il carisma che ne ha sempre contraddistinto le peculiarità artistiche.
FESTIVAL AU DESERTIl Festival au Desert si accende tra la dune del Mali dall’8 al 10 gennaio. In pieno deserto, nella zona di Bamako, a sud ovest del paese sahariano, sono in agenda 21 con-certi. Ogni giorno, si parte alle 15.30 e si prosegue fino a tarda notte: dal Marocco degli Amarg Fusion alle frequenze malesi di Desert Blue, dalla kora di Vieux Farka Tourè alla consueta chiusura con i Tinariwen. E poi l’evento Special Mandingo Night che chiuderà la seconda serata. La tradi-zione musicale africana si esprime in uno scenario da mille e una notte. www.festival-au-desert.org
GRAMMY AWARDSTra le 110 categorie premiate il 9 febbraio a Los Angeles, ci sono quelle che riguardano le musiche dal mondo. Per il miglior album tradizionale sono in lizza “Calcutta�Chronicles:�Indian� slide� guitar� Odissey” di Debashish Bhattacharya, “The�Mandé�variations” di Toumani Diabaté, “Ilembe:�hono-ring�Shaka�Zulu” di Ladysmith Black Mambazo e “Dancing�in�the�light” di Lakshmi Shankar. Nella sezione Contemporary world music, sono in nomination Lila Downs con “Shake�away”, Gilberto Gil con “Banda�larga�cordel”, il collettivo di Mickey Hart, Zakir Hussain, Sikiru Ade-poju e Giovanni Hidalgo con “Global�drum�project”, Youssou N’Dour con “Rokku�mi�rokka�[give�and�take]” e Soweto Go-spel Choir con “Live�at�the�Nelson�Mandela�Theater”.www.grammy.com
CELTIC CONNECTIONOltre 1.500 artisti provenienti da tutto il mondo sbarcano a Glasgow per il Celtic Connection. Nelle molteplici locations allestite in giro per la capitale scozzese, dal 15 gennaio al primo febbraio si esibiscono artisti del calibro di Youssou N’Dour, Bela Fleck, Branford Marsalis, Richard Thompson, Mariza, Oumou Sangare, Martha Wainwright, Edwyn Col-lins, Nanci Griffith and Sly & Robbie. Un evento di grandi dimensioni che dedica ampio spazio anche alla formazione del pubblico. www.celticconnections.com
MIDEMTra gli eventi più significativi d’Europa si distingue il Midem – The World’s Music Community: il mercato mondiale della musica si svolge al Palazzo del Festival di Cannes, dal 18 al 21 gennaio. 9.093 Partecipanti, 4.545 espositori prove-nienti da 88 paesi, per un allestimento di 9.017 metri quadri. Tra i concerti va segnalato lo show di Magnifico, sul palco lunedì 19; e poi conferenze tematiche e tante occasioni di scambio e confronto per operatori e appassionati.
www.midem.com
LA ZAMPOGNAIl festival di musica e cultura tradizionale diretto da Am-brogio Sparagna e Erasmo Treglia va in scena dal 16 al 18 gennaio nel Sud Pontino. Concerti, seminari, percorsi enogastronomici e una mostra-mercato di liuteria si alter-nano tra Maranola, Formia, Itri, Monte San Biagio e Lesola. Tra i protagonisti la Famiglia Boniface, storica formazione valdostana. l Premio Speciale “La�Zampogna�2009” sarà invece assegnato ad Antonio Piccinino, voce dei Cantori di Carpino. www.lazampogna.it
CASA OLIMPIAÈ un luogo di spettacoli che proviene dall’esperienza olim-pica di Torino: si chiama Casa Olimpia, ovvero “dove la cultura riscalda l’inverno”. Una rassegna che parla di cine-ma, libri, incontri, performance e musica, con base a Se-striere ed escursioni a Bardonecchia e Pragelato. In attesa dei nuovi eventi in calendario per le prossime settimane, la prima fase della programmazione invernale si chiude con le musiche dal mondo: lunedì 5 gennaio la serata Jouer sans frontières ospita Mattero Negrin Trio, mentre martedì 6 sarà sul palco Patrizia Laquidara.www.casa-olimpia.it
YOUSSOU N’DOUR MOVIERetour�à�Gorée è il documentario in cui Pierre-Yves Bor-geaud racconta un’avventura musicale: il protagonista è Youssou N’Dour che, insieme al pianista Moncef Genoud, realizza un viaggio artistico e poetico che ha come obietti-vo finale l’esibizione di una grande orchestra jazz sull’isola di Gorée, di fronte a Dakar [Senegal], luogo da cui partiva-no le navi cariche di schiavi dirette verso l’America.
EINAUDI - SISSOKODall’incontro musicale avvenuto nel deserto, era scaturito nel 2005 “Diario�Mali”, un disco in cui la tecnica di Ludo-vico Einaudi temperava l’estro della kora suonata dal vir-tuoso Ballaké Sissoko. Ora i due artisti tornano ad esibirsi insieme, scegliendo Roma per questo concerto di cui sot-tolineiamo le coordinate: giovedì 29 gennaio, ore 21.00, Teatro Olimpico, biglietti su vivaticket.it.www.ponderosa.it
BEPPE GAMBETTAS’intitola “Rendez-Vous” il nuovo disco di Beppe Gam-betta, chitarrista virtuoso dalla carriera ventennale. Parti-to da Genova ma propenso al vagabondaggio artistico, Gambetta presenta un lavoro che viaggia tra la tecnica del benjo e i colori della tarantella, dalle espressioni irlandesi al fascino americano. Un viaggio da affrontare in compagnia di una voce e di una chitarra.
CROSSROADSFesteggia dieci anni di attività Crossroads, festival itineran-te dell’Emilia Romagna. Si svolgerà dal 25 febbraio al 23 maggio, ospitando circa 40 concerti. Inaugura il quintetto guidato da Di Battista, Bosso e Marcotulli con l’omaggio a De Andréwww.crossroads-italia.org
MELTIN’FOLK Meltin’folk è una manifestazione unica in Sicilia. Dal 13 febbraio al 12 marzo torna a Catania il festival internazionale di musica folk acustica. In collaborazione con la Provincia di Catania sono state individuate le curiose locations che ospitano i concerti, tutti ad ingresso libero. Il 13 e il 14 febbraio doppio appuntamento con gli Habbadam [Danimarca/Svezia] e con i loro suoni nordeuropei. Venerdì 13 febbraio tocca invece alla tradizione mediterranea, interpretata dai siculi I Petri ca Addumunu. Il 26 e il 27 appuntamento con il Pivari Trio: dalle radici dell’Appennino modenese parte un cammino musicale legato a strumenti come la ghironda e la ciaramella. Le suggestioni austriache del quintetto femminile Witch saranno invece in scena il 6 marzo, mentre l’epilogo del 12 marzo è dedicato all’Emilia Romagna con l’esibizione degli Enerbia.www.darshan.it
nOTIzIARIO �
my mondo mix Tra facebook e myspace, per i soste-nitori della world music, c’è My mondo mix. Una comunità virtuale, sempre in questo ambito siamo, che però si differenzia dalle altre reti sociali per la filosofia: si interessa alle azioni dei membri della comunità e non alla loro persona.Ognuno si può scrivere, dagli artisti agli organizzatori, dai manager agli appas-sionati, dai discografici ai fanatici, per condividere progetti, idee, comunicare e valorizzare progetti del futuro.
Avete un progetto da realizzare che vi sta a cuore? Potrete incontrare, trami-te My mondo mix, un altro membro della rete, vicino o lontano che condi-vide le vostre idee, i vostri gusti e che potrebbe aiutarvi a realizzarlo.Avrete la possibilità di contattare tut-ti i membri di My mondo mix, creare delle relazioni importanti malgrado le distanze geografiche, socio-culturali che vi dividono e rendere più efficaci le vostre azioni.http://mymondomix.com
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� - moNdomix.Com EuROPA
Antonio Blasi
Ecco linfa vitale per le nuove genera-
zioni della laptop music, con le quali
Arve Henriksen condivide l’attenzione
ai particolari, la capacità di sensibiliz-
zare gli ascoltatori, un orientamento
non-lineare che oscilla fra moduli
delicati e scarni. Trombettista e
compositore norvegese classe
1968, cresciuto nel conserva-
torio di Trondheim, si dimostra
ben presto attento alle possibili
connessioni della musica acusti-
ca con quella elettronica, studian-
do e apprendendo gli insegnamenti
del maestro Arne Nordheim. Dopo
tre dischi incisi per Rune Grammofon
e una carriera sfavillante come mem-
bro fondatore dei Supersilent giunge
a delineare, assieme al compagno Jan
Bang, il primo disco a proprio nome per
Ecm, “Cartography”. “In� realtà� lavoro�
con� loro�dal� 1997,�prima�con�Christian�
Wallumrød�e�poi�con�Jon�Balke,�Arild�An-
dersen�ed�altri�artisti,�ma�ho�sempre�pen-
sato�di�voler�fare�qualcosa�da�leader”.
Della sua estetica colpisce da subito la
forte attrazione nei confronti di compositori
colti o contemporanei più disparati; l’in-
fatuazione per l’arctic beat e alcune
seduzioni etniche: scopre presto
il düdük armeno, i flauti indiani,
la prassi esecutiva di Bali e
della Mongolia, un flauto di
bamboo giapponese, chia-
mato shakuhachi e spes-
so suonato in solo nella
tradizione Zen per la sua
forza espressiva minima-
lista e meditativa, e
rimane affascinato da
una sorta di scat post
post-industriale, tipo
quello proposta dalla connazionale Sidsel Endre-
sen. Ingurgita tutto ciò, creando un timbro parti-
colare alla tromba e un’estetica vibrante e perso-
nale, ben condensata in questo nuovo lavoro. “Lo�
considero�il�seguito�di�‘Chiaroscuro’�[Rune�Gram-
mofon,�2004],�in�cui�però�innesto�diverse�novità:�
anzitutto� il�numero�di�musicisti�coinvolti�è�certa-
mente�maggiore;�ci�sono�delle�parti�vocali�recitate�
che�si�accostano�alle�parti�strumentali;�confesso�
che�ho� iniziato�a� lavorarci�nel�2005,�dunque�ho�
avuto�molto�tempo�per�calibrare�le�parti�dedicate�
alla�tromba”.
Tra i numerosi ospiti ce n’è uno in particolare
che merita menzione: David Sylvian. “Jan�Bang�
ed�Erik�Honoré�avevano�lavorato�su�materiale�di�
Sylvian�nell’ambito�di�una�produzione�organizzata�
per�il�Punkt�Festival�ed�avevano�inviato�il�tutto�a�
Sylvian,�così� lui�mi�aveva�ascoltato�e�mi�chiamò�
per�coinvolgermi�nelle�registrazioni�di�‘Snow�Bor-
ne� Sorrow’� [N.d.r.� pubblicato� a� nome� dei� Nine�
Horses� con� Steve� Jansen� e� Burnt� Friedman� al�
quale�partecipò�anche�Ryuichi�Sakamoto].�Così�
ho�pensato�di�coinvolgerlo�nel�mio�progetto�e�ci�
siamo�incontrati�lo�scorso�anno�ad�Oslo”.
Arve ha mosso i primi passi nei primi anni novan-
ta quando fondò i Veslefrekk, un trio formato da
Ståle Storløkken alle tastiere e Jarle Vespestad
alla batteria e dedito all’avant garde. Proprio il trio
rappresenta il nucleo del fondamentale combo
dei Supersilent del quale fa parte anche il mu-
sicista elettronico Helge Sten aka Deathprod.
Permutazioni, slabbrature, liquidi sgocciolamenti
dalle strutture fluttuanti, con i Supersilent è tutta
un’altra musica. Apparentemente, perché tutto
rappresenta il pluralismo invidiabile di Henriksen,
un prisma che va dal canto jazz alle derive folk
della Norvegia e ancora ad una sorta di trillo gut-
turale Zen inteso come struttura multipla su cui
improvvisare. “Sono�convinto�che�la�musica�viva�
di�connessioni�e�misture,�non�vada�considerata�
a�comparti�stagni.� Io�ho�sempre�tratto� ispirazio-
ne�da�Jon�Hassell,�Brian�Eno�e�lo�stesso�Sylvian,�
quanto� dai� musicisti� con� cui� suono,� anche� per�
quest’ultimo�disco�è�così”.
da aSColtare “Cartography” [Ecm/Ducale]Sito arvehenriksen.no
Zen norvegeseARvE HEnRIKSEn ALL’ESORDIO PER ECM
Arve Henriksen©johanna Diehl/Ecm Records
AMERICA moNdomix.it - �
vittorio Pio
Marcio Faraco è uno dei più interessanti esponenti della nuova inesauribile
generazione di musicisti brasiliani. Colto e sensibile, vanta una collabora-
zione importante con Chico Buarque che per lui si è prodigato in lodi sin-
cere. Classe 1963, originario di Porto Alegre, Faraco si è confrontato con
altre realtà viaggiando parecchio salvo fissare la sua residenza in Francia,
dove passa gran parte dell’anno, un posto ideale secondo le sue stesse
parole per trovare ispirazione e tranquillità. È stato proprio al New Morning,
uno dei club parigini più in voga, che ha presentato le canzoni di “Um�Rio”,
il sesto capitolo di una carriera sviluppata portando il dovuto rispetto nei
confronti della grande tradizione del suo paese a cui però ha abbinato
elementi diversi come la pedal steel guitar, il clarinetto e un utilizzo molto
particolare delle percussioni. Di questo suo momento parla in esclusiva a
Mondomix:
In questo disco sembra aprirsi ancora di
più verso la bossa nova, uno stile
con cui bisogna sempre fare i
conti…
La bossa nova potrebbe para-
gonarsi a una samba non così
festosa, ma di appartamento.
C’è sempre sentimento
ed energia ma è
tutto più con-
trollato.
Sono canzoni nate in maniera semplice, con un mood preciso che mi
accompagnava già da “Invento”, il disco precedente, che per me ha rap-
presentato un nuovo modo di approcciare le cose.
Come si trova a Parigi e che influenza ha avuto nel calibrare il suo
stile?
Oltre ad essere una splendida città, Parigi si trova ad essere ben lontana
dal Brasile, è come se ammirassi un quadro dall’altra parte della stanza.
Qui posso pensare meglio perché ho il tempo per farlo, inoltre non sono
influenzato dai generi che si susseguono in maniera vorticosa. Un giorno
si parla di bossa, un altro di samba, un altro ancora di rap. A Rio non c’è
quasi mai silenzio, però ovviamente è una parte di me a cui tengo. Qui mi
concentro, laggiù è tutto molto più intenso.
Cosa ricorda della sua infanzia, delle prime cose che ha sentito, so-
pratutto nell’effetto che poi hanno avuto su di lei?
Difficile spiegare per chi non è nato in Brasile che cosa significhi realmente
la musica. Da noi è veramente un elemento inscindibile rispetto al quotidia-
no. Non ho ricordi precisi, perché l’ho sempre vissuta come una colonna
sonora costante, però ci sono stati due momenti davvero topici: quando
ho sentito suonare mio padre la chitarra, come pensavo mai nessuno sa-
rebbe riuscito a fare e poi quando sono arrivato a Rio per ascoltare Joao
Gilberto. È stata un’emozione fortissima, è come se qualcuno mi avesse
messo un timbro sul passaporto sottolineando che da quel momento avrei
potuto considerarmi “realmente” un brasiliano.
E della scena attuale cosa pensa?
Come sempre ci sono molti stimoli, l’avvento di internet ha poi ulte-
riormente mischiato carte e tendenze, ma guardando la situazione da
vicino il quadro non è di certo incoraggiante, perché nonostante tutto
la comunità dei musicisti non è affatto tutelata. Molti di loro vivono in
miseria, non c’è considerazione, opportunità, quasi diritti. Ma la musica
va oltre e purtroppo quando uno decide di intraprendere questa strada sa
pure che è inutile lamentarsi perché è sempre stato così.
In questo disco è presente un figlio d’arte di vaglia
come Philippe Baden Powell, con chi le piacerebbe
collaborare potendo esprimere un desiderio?
Vorrei tanto produrre un album con Milton Nascimento,
con il quale mi è già capitato di suonare. Se posso az-
zardare allora scelgo di fare qualcosa con Paul Simon,
uno dei miei miti, anche se ammiro molto Jorge Drexler,
un chitarrista uruguagio fantastico.
da aSColtare “um Rio” [Le chant du monde/Egea]Sito marciofaraco.com
la bossanova secondo faraco
� - moNdomix.it AFRICA
MuSICA ETnICA E HIP HOP, STRuMEnTI TRADIzIOnALI E RAP: EMMAnuEL jAL è un SOPRAvvISSuTO, PASSATO In POCHI AnnI DALL’AK-47 A un MICROFOnO, DALLA GuERRA A un PALCO.
Andrea Morandi
Sembra la sceneggiatura di un film, magari anche
da Oscar, ma non lo è: nato nel 1980 a Tonj, Stato
del Warab, in Sudan, Emmanuel Jal aveva solo sette anni
quando si ritrovò con un’arma in mano nell’Esercito Suda-
nese di Liberazione Popolare. La madre era appena stata
uccisa, il padre al fronte. Da quel momento in poi, per
oltre cinque anni, ogni giorno poteva essere l’ultimo,
ma la vita a volte sorprende perfino i suoi protagonisti
e così, dopo un incontro casuale con una volontaria
inglese, Emma McCune, Jal viene adottato e portato
in Kenya dove inizia un’esistenza normale. Qualche
mese dopo la McCune muore a soli ventinove anni in
un incidente [“è�stato� il�suo�amore�per�me�a�cam-
biare�tutto”] e Jal decide di dedicarsi alla musica:
inizia a rappare, a mescolare i canti tribali con le
ritmiche dell’hip hop, cercando di raccontare
la sua esperienza. “Ho�capito�che� la�musica�è�
l’unica�cosa�che�può�entrarti�nella�testa�e�nel�
cuore�con�tanta�potenza - ammette lui - ho�
capito�che� il� suo�potere�è� infinito�e�mi� ci�
sono�dedicato�anima�e�corpo.�A�volte�mi�
fermo�e�mi�chiedo�perché�mi�è�succes-
so�tutto�questo.�Adesso�una�risposta�ce�
l’ho:� per� raccontarlo”. Afro beat, rap
etnico, hip hop e molto altro, come
se Khalil Farah o Ibrahim el- Kashif
avvessero incontrato Eminem, tre
lingue unite assieme [inglese,
arabo e nuer, l’idioma della
tribù di Jal] con il retaggio
sudanese contaminato alla
modernità sonora: nel 2004
arriva il primo singolo che finisce in radio in
Inghilterra, nel 2005 ecco l’album d’esordio,
“Ceasefire” [candidato ai BBC Music Awar-
ds del 2006]. Oggi ecco il secondo album,
“War�child”, che lo ha portato lo scorso
giugno a Hyde Park, a Londra,
sul palco dei festeggiamenti
del novantesimo compleanno
di Nelson Mandela. Una storia,
quella di Jal, ai confini della
realtà, un incubo che diventa
sogno in maniera talmente
clamorosa che l’anno scor-
so è anche diventato un
documentario, di C. Karim
Chrobog, presentato al Fe-
stival di Berlino e al Tribeca
di New York. Nel frattempo la
musica di Jal è finita addirittura
in un episodio di E.R. - Medici in
prima linea e ha portato Peter Ga-
briel ad affermare: “Emmanuel�Jal?�
Credo�abbia�il�potenziale�per�diven-
tare� il� nuovo�Bob�Marley”. E lui di
rimando: “Peter�è�un�grande�uomo,�
è� come� un� padre,� lui� e� molti� altri�
hanno�cambiato�la�mia�prospettiva.�
Bob� Geldof� no:� dovevo� cantare�
al�Live8�nel�2005�ma�lui�mi�disse�che�
non�avevo�venduto�abbastanza�dischi�
e� che� se� andavo� sul� palco� io� i� cinesi�
avrebbero� spento� la�Tv.�Non� l’ho�mai�
capita�questa�cosa”.
da aSColtare “Warchild” [Sonic360/Audioglobe]Sito emmanueljal.orgda leGGere Deborah Scroggins “La guerra di Emma” Alet 2006
il figlio del sudan
EuROPA moNdomix.Com - �
Alessio Biancucci
A Palermo c’è un enciclopedia di storie, culture, luci, rumori e voci che
si chiama Kalsa. È il quartiere in cui si percepiscono i diversi umori del
Mediterraneo. Soltanto da un luogo come questo, dove la storia rincorre
la leggenda, poteva partire l’itinerario di Mario Brunello: “Odusia” è la tra-
duzione latina di Odissea ed è anche il titolo di un disco in cui il versatile
violoncellista intraprende una nuova avventura musicale, accompagnato
dall’Orchestra d’archi italiana. Si salpa con Spasimo, una composizione
in cinque parti di Giovanni Sollima che rimane la rotta principale su cui si
specchiano altri brani provenienti dal mare nostrum della musica. El�Mole�
Rakhamin�è un canto tradizionale ebraico con la voce estatica di Moni
Ovadia, con la fisarmonica e le percussioni ad inseguire la fierezza del
violoncello. Mole�Rakhamin�è un’improvvisazione per dijembe e violoncello
che è di per sé un episodio epico, probabilmente benedetto dagli dèi: la
ripresa è stata infatti realizzata nel deserto del Sahara con una semplice
telecamera digitale da cui è stata poi acquisita la traccia audio; e qui non
c’entra la mitologia perché è tutto documentato da un video inserito nel
cd. Nana�è invece una ninna nanna iberica drappeggiata dalle corde del-
l’arpa. Evidente poi la matrice turca di 11’Li per violoncello e percussioni,
mentre la tappa balcanica s’intitola Vez, una composizione contempora-
nea firmata dalla giovane serba Ana Sokolovic.
In questa navigazione circolare Brunello dice di sentirsi come Ulisse, ma
senza la necessità di tornare ad una qualche Itaca; e anche il suo violon-
cello, se mai dovesse essere un personaggio dell’Odissea, sarebbe il pro-
tagonista perché è lo strumento più duttile tra quelli classici, lo strumento
che più si adegua agli incontri imprevedibili.
“Ho�cercato�di�avvicinare�la�qualità�e�l’immissione�del�suono - spiega il mu-
sicista veneto - agli�strumenti�della�tradizione�popolare:�a�un�certo�punto�
ho�provato�ad�imitare�il�duduk�armeno�oppure�a�riprodurre�il�suono�molto�
teso�della�tradizione�ebraica”.
C’era bisogno di arricchire la gamma dei colori del violoncello con le
sfumature relative a territori musicali altri. E il risultato è un disco so-
speso tra introspezione e gioia di vivere, in cui l’efficacia delle partiture
si coniuga con la luminosità dell’esecuzione.
Brunello chiarisce così l’alchimia tra la sua attitudine classica e le deri-
vazioni etniche: “La�musica�cosiddetta�classica�ha�la�stessa�provenien-
za�delle�world�music�perché�si�muove�continuamente�alla�ricerca�delle�
proprie�radici”. E in questo caso la ricerca parte proprio da Palermo e
dalla “sua�distruzione�nobilissima”. Le felice definizione del capoluogo
siculo è il corollario di un interesse che Brunello coltiva durante i suoi
continui viaggi: il fascino per i mercati, momenti d’incontro tra esperien-
ze e suoni diversi. E non è un caso se in questo disco emergono realtà
tradizionalmente mercantili: le bancarelle di Palermo, la propensione
ebraica, i bazar di Istanbul, i commerci balcanici.
Del resto le occasioni di scambio e confronto sono uno stimolo per
Mario Brunello, basti pensare alla sua vocazione per le collaborazioni
sempre nuove e le sfide anche rischiose., da Margherita Hack a Uri
Cane, da Capossela alla world music: “La�curiosità�è�il�primo�motivo�
per� accettare� queste� collaborazioni;� la� flessibilità� artistica� aiuta,� ma�
anche�quando�non�si� conoscono�certi�mondi,� l’importante�è� fidarsi�
della�qualità”.
E chi vuol solleticare la propria curiosità con le sirene della qualità artistica,
deve soltanto imbarcarsi per questa audace e avvincente Odissea.
la navigazione circolare di mario Brunello“ODuSIA” è un’AvvEnTuRA, un vIAGGIO SEDuCEnTE TRA I LIDI DEL MEDITERRAnEO,DOvE IL SuOnO DEL vIOLOnCELLO InCOnTRA I RITMI POPOLARI
da aSColtare ”Odusia” [Egea]alCUNe date21/1 - EDInBuRGO, Scottish national Orchestra - R. Abbado22/1 - GLASGOW, Scottish national Orchestra - R. Abbado1/2 - CESEnA, Orchestra d’Archi Italiana12/2 - FOGGIA, Recital con Andrea Lucchesini16/2 - CATAnIA, Recital con Andrea Lucchesini
Marta Amico
Scoprendo Buenos Aires è inevitabile prima o poi imbattersi nell’eco di
uno dei tanti motivi di cui la città è protagonista, le cui note aleggiano
per le strade alberate o fuoriescono dai caffè. Camminando per la zona
di Abasto, tappezzata di profili di Carlos Gardel che qui visse a lungo,
o per le strade affollate del barrio più in voga, Palermo, o ancora per
San Telmo, zeppo di locali in cui si suona dal vivo, si penetra in un
concentrato di atmosfere e immagini che trasudano un passato ormai
semi-mitico in cui nacque il genere indissolubilmente legato alla città:
il tango. Si dice che il bandoneón, strumento di origine tedesca, sia
arrivato in Argentina su una nave, come la maggior parte della popola-
zione di Buenos Aires. Migranti da ogni angolo d’Europa e in gran nu-
mero dall’Italia, come testimoniano i cognomi di molti grandi musicisti
che fecero la storia del genere: Pugliese, De Caro, Di Sarli, Piazzolla.
Ascoltare il tango, conoscerne le epoche, gli stili, gli autori, è una porta
per entrare nel cuore della città e per conoscere la sua storia.
Oggi Buenos Aires continua a palpitare a ritmo di musica. Numerosissi-
me sono le milongas, reminiscenze di un genere che nacque esclusiva-
mente per accompagnare il ballo. Vecchie registrazioni che conservano
il fruscio e la poetica di epoche passate accompagnano le danze fino a
tarda notte. Ce n’è per tutti i gusti, dalle sale di barrio nelle quali basta
una sola occhiata per invitare al ballo, a quelle più giovani e alla moda,
prime tra tutte La Viruta e La Catedral. Poi, la musica esclusivamen-
te da ascoltare. Un’infinità di formazioni e di personalità artistiche di
rilievo, che declinano il tango secondo diverse espressioni e sapori,
lanciandosi in ardite rivisitazioni dei classici e producendosi in arrangia-
menti originali. Nelle note del genere che la rende famosa nel mondo,
Buenos Aires sembra oggi cercare una sua identità artistica con ener-
gia e determinazione. Una dimensione ricca di creatività, degna di una
città dinamica che reagisce con grinta ai postumi dell’ultimo tremendo
crollo economico nel 2001, le cui conseguenze ancora segnano il vol-
to degli abitanti. Tra i molti interpreti meritano un ascolto, nelle varie
formazioni di cui fanno parte, Nicolas Ledesma, Ramiro Gallo, Ne-
stor Marconi, Horacio Molina. Numerose anche le orchestre giovani
che rinnovano la formazione tradizionale tanghera, l’Orquesta Tipica, in
chiave contemporanea. Tra queste l’ottima Orquesta El Arranque, che
si ispira allo stile di Pugliese; Astillero Tango, che vanta un repertorio
di composizioni originali accompagnate da sperimentazioni video; la
Fernandez Fierro, sorta di rock-band tanghera che si esibisce in uno
show scatenato e psichedelico il mercoledì notte in un locale auto-
gestito. Non mancano anche i progetti educativi di alto livello, come
l’Orquesta Escuela de Tango Emilio Balcarce, dove l’apprendimento
è al centro di un percorso formativo completo e intergenerazionale,
che vede affiancarsi sul palco giovani musicisti e grandi maestri. An-
che le istituzioni sono parte attiva in questo processo di valorizzazione.
La città di Buenos Aires, unitamente a Montevideo, ha recentemente
presentato una candidatura presso l’UNESCO per dichiarare il tango
patrimonio culturale dell’umanità.
Insomma, una seconda gioventù, quella che si respira aggirandosi nei
meandri del tango porteño. Un tango oramai lontano dalle sue origi-
ni miserabili, icona della volontà di riscatto di una città pulsante, che
rielabora con gusto e vivacità il frutto della sua identità meticcia. Ma
fermarsi qui sarebbe come trascurare un’altra dimensione importante
“un ITInERARIOPER ESPLORARE I LuOGHI,LE nOvITà E LA RInASCITA
DEL TAnGO PORTEnO”
Quattro passi a Buenos aires
Dal
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re
10 - moNdomix.it AMERICA
della movida cittadina. Molti tangheri di vecchia data dicono che è so-
prattutto grazie all’interesse europeo che negli ultimi anni si è innescata
la rinascita locale. Ora che la città si è resa conto del potenziale del suo
patrimonio culturale, l’intenzione è quella di venderlo a caro prezzo. Il
turismo tanghero a Buenos Aires è un esercizio in piena salute, alimen-
tato dal mito di una città che balla sui tacchi a spillo e da precise po-
litiche istituzionali volte al consolidamento dell’industria culturale por-
teña. I gruppi e i locali per turisti si moltiplicano soprattutto nel centro,
zeppo di annunci sberluccicanti di spettacoli dal sapore fasullo, offerti
allo straniero di passaggio come versioni patinate e stereotipate della
musica e del mito che si aggirano intorno al “dos por cuatro”.
Ma attenti, nonostante queste immagini a senso unico, il tango non è
che uno dei mille volti di una città tanto più ricca perché incrocio di tanti
percorsi, casa di tante culture. Qui troveranno pane per i loro denti gli
amanti del rock, della cumbia, del jazz. E per lanciarsi alla scoperta di
altre dimensioni di Buenos Aires basta recarsi ad una delle numerose
“peñas”, sorta di balere rustiche e molto frequentate, dove gustando
“empanadas de carne” e ottimi vini rossi locali, si ballano i ritmi del
folklore della provincia argentina. Per farsi un’idea, da ascoltare è sicu-
ramente il duo formato dai fratelli Rudi e Nini Flores, che interpretano
in maniera magistrale il “chamame”, ritmo provenente dalla provincia di
Corrientes, nel Nord-est del paese. Anche qui molti sono gli artisti che
non si limitano a ripetere il repertorio classico, ma che inseriscono sen-
za timore il folklore in un bagaglio musicale contemporaneo e popolare.
Aca Seca e Orozco y Barrientos provenenti dalla provincia argenti-
na, mescolano sapientemente i sapori del folklore con ritmi e influenze
metropolitane, elaborando un melange pressoché sconosciuto al pub-
blico europeo, espressione di un tessuto musicale urbano moderno
e attivo, che tuttavia non rinnega le sue origini di “campo”. Insomma,
ogni esperto viaggiatore sa che le mete migliori sono quelle di cui non
si sospettava l’esistenza, quelle che si incontrano durante il cammino.
È dunque compito di colui che si reca nella metropoli quello di scavare
sotto il pacchetto gentilmente offerto al turista e di intraprendere, que-
sta volta sì, un vero viaggio di scoperta, lanciandosi nell’esplorazione
delle ricche polifonie del tessuto musicale porteño.
SELEzIOnE CDtaNGoAstillero Tango, “Sin descanso en Bratislava”, 2008, De Puerto ProduccionesRamiro Gallo quinteto, “Espejada”, 2006, EPSA
mUSiCOrquesta Escuela de Tango Emilio Balcarce, “Bien Compadre”, 2004, EPSA Music
Horacio Molina, “A Pedido”, 2005, Acqua Records
FolkloreOrozco y Barrientos, “Pulpa”, 2008, Surco RecordsAca Seca, “Avenido”, 2006, Imaginary SouthMaria y Cosecha, “Esencia”, 2006, uMIjuan quintero y Luna Monti, “Lila”, 2006
Il giro dei mondi conROUGH GUIDE
Something elseDue facce diverse dell’Ar-
gentina, fisarmonica uno,
bandoneon l’altro. Chango
Spasiuk pubblicherà a feb-
braio “Pinandì-Los descal-
zos” [World village/Egea]
un disco in cui convivono
l’anima tangera e lo spirito
cosmopolita. Quindici brani
che si rincorrono, come a
smascherare i mille volti del-
le tradizioni argentine. Lisan-
dro Adrover, poi, splendido
interprete della tradizione. Il
suo “Meet the metropolitan
orchestra” [Saphrane/ Fel-
may] illumina l’essenza più
profonda del tango, virtuo-
sismo e passione a servizio
della musica.
argentinaDove andare
L’Argentina vanta molte delle mera-
viglie naturali del mondo, tra cui le
maestose cascate dell’Iguazù [con-
divise con il Brasile], lo spettacolare
ghiacciaio Perito Moreno, dalle cui
pareti a strapiombo si staccano ice-
berg enormi che precipitano nel lago
sottostante, e le affascinanti colonie di
balene al largo della peninsula Valdés.
Molto probabilmente il vostro punto
d’accesso al paese sarà Buenos Aires,
città al cui fascino è quasi impossibile
resistere. Mecca gastronomica e nodo
dei trasporti dell’intero paese, vanta
anche una frenetica vita notturna che
la rende attiva 24 ore su 24.
Quando andare
La primavera argentina, che va all’in-
circa da settembre a novembre, è il
periodo ideale praticamente ovunque,
eccetto in alcune zone meridiona-
li dove potrebbero soffiare dei venti
glaciali, mentre l’autunno [marzo e
aprile] è splendido per la vendemmia
AAVV
Tango
Think Global
Per comprendere a fondo
il tango è bene andare in
visita a Buenos Aires. Certo,
non è proprio dietro l’an-
golo, allora si può iniziare a
mettere su questo dischet-
to. Prodotto in collaborazio-
ne con Oxfam [confedera-
zione di 13 organizzazioni
non governative], le vendite
gonfiano le casse del coor-
dinamento nato a scopi be-
nefici. All’interno ce ne sono
di tutti i colori, certo niente
rispetto al mare magnum
della produzione sul tango.
Tutto sommato un ottimo
ascolto. Inizia con il cantore
Melingo, già espressamente
ammirato sul primo numero
di Mondomix, in un brano
crepuscolare, immaginifico.
Si continua poi con reperto-
rio tradizionale reso attuale
da interpretazioni avven-
tiristiche, che presentano
materiale as-
sai moderno.
Tipo Oblivion
di Astor Piaz-
zola interpre-
tato da Beatriz
Suárez Paz. Tres
Son Multitud di
Carlos Libedinsky
è tra i capitoli più curiosi:
ottima prova di tango ed
elettronica.
Dalla cElEbRata GUIDa pER vIaGGIatORI Un EstRattO UnIcO pER I lEttORI DI MOnDOMIx E lO spEcIalE MUsIca DEll’OMOnIMa cOllana ROUGHGUIDEs.It • wORlDMUsIc.nEt
Cile, Bolivia, Uruguay, Paraguaynelle province
di Mendoza e
San Juan e per
le sfumature
rosse e aran-
cione di cui
si colorano i
faggi a sud. Si
raccomanda di
evitare le zone
mer id iona l i
nei mesi più
freddi [da apri-
le a ottobre], e
il Chaco e alcune zone paludose nord-
occidentale nel cuore dell’estate [da
dicembre a febbraio]. La stagione esti-
va è l’unica in cui è possibile scalare
le vette andine e visitare la Tierra del
Fuego con una certa tranquillità. Bue-
nos Aires può diventare insopportabil-
mente calda e umida in piena estate
e rigida nei mesi centrali dell’inverno.
Cercate di visitare
le località sciistiche
in luglio e agosto.
EuROPA moNdomix.it - 13
nEL GIuGnO SCORSO GORAn BREGOvIC è CADuTO DA un CILIEGIO. quESTO InCIDEnTE AvREBBE POTuTO COSTARGLI LA vITA.
OGGI, DI nuOvO In FORzE, PRESEnTA DuE DISCHI “ALKOHOL” E “CHAMPAGnE”. nOn BEvE PRATICAMEnTE MAI, SOLO quAnDO è In SCEnA, PERCHé è un OBBLIGO.
vIEnE DA unA CuLTuRA In CuI LA MuSICA SI ACCOMPAGnA SEMPRE AL BERE.
Bregovicriveli! santé! cheers!
saúde! salute!
1� - moNdomix.it EuROPA
testo di Benjamin MiniMuM
traduzione dal francese Olivia Tanini
Nel giugno scorso Goran Bregovic è caduto da un ciliegio. Questo
incidente avrebbe potuto costargli la vita. Oggi, di nuovo in forze, pre-
senta due dischi: il primo, “Alkohol”, registrato con la Wedding and
funeral band al festival serbo di Guca nel 2007. Il secondo, “Cham-
pagne”, che sarà pubblicato più in là, è un concerto per violini e due
orchestre, sempre registrato in scena a Milano e Torino. L’incontro
con un bevitore strutturato.
Durante il processo di creazione musicale, l’ebbrezza è un mez-
zo o un fine?
L’alcol è una storia di famiglia. Mio padre era colonnello e, come molti
militari, beveva troppo. Mia madre lo lasciò per questo motivo. Io non
bevo praticamente mai, solo quando sono in scena, perché è un ob-
bligo. Vengo da una cultura in cui la musica si accompagna sempre
al bere. Da noi non ci sono la musica classica o l’opera. Da sempre
consideriamo la musica fatta per bere. L’alcol forte è presente presso
gli slavi, dalla vodka russa alla sljivovica dei Balcani: è una tradizione. Si
può capire la differenza tra culture osservando cosa bevono le perso-
ne. Per i francesi è la cultura del vino, mentre presso gli Slavi è la cultura
dell’alcol forte e fatto in casa. La percentuale di metanolo è incontrol-
labile perché l’alcol è distillato in casa. Presso di noi è quasi genetico, i
nostri corpi sono modificati da questa distillazione artigianale praticata
da secoli. La cultura sudamericana si serve di altro: utilizza la droga e
questo rivela un temperamento completamente diverso.
Presenta questo disco contemporaneamente a un altro progetto
intitolato Champagne.
Tutto è nato per commissione dell’European Concert Hall Organi-
sation [ECHO]. Ho proposto un concerto per violini e due
orchestre diverse: una di New York e la mia. Per dare
vita a un dialogo. Il dialogo tra culture parallele
si allaccia più facilmente in musica, perché
la musica è il primo linguaggio. Scientifica-
mente è il primo modo di parlare tra esseri
umani di cose che ci fanno paura [aggiun-
ge alzando gli occhi verso il cielo].
In seguito ho migliorato il progetto de-
cidendo di aggiungere “Alkohol” nella
seconda parte: mi piace l’idea di offrire
questa musica per diversi alcolici. Non si
beve sljivovica o champagne nelle stesse
occasioni. Le atmosfere non sono le stes-
se e i due stati di ebbrezza sono molto di-
versi. Presso di noi il matrimonio e il fune-
rale sono socialmente i due momenti più
importanti. Di conseguenza le musiche di
questi eventi sono cruciali e voglio lasciare
nella scia di questa tradizione una musica
che si potrà ancora ascoltare nei prossimi
secoli. Mi piace l’idea che si possa bere con la mia musica.
Quali sono i temi affrontati in queste canzoni?
Sono canzoni d’amore. Vengono in parte dal mio vecchio periodo
rock’n’roll come�Back�seat�my�car. Yeremia, quella che apre, proviene
dalla Prima Guerra mondiale e dalla guerra dei Balcani [1912-13]. È
un canto conviviale molto famoso da noi e parla di un artigliere.
In Europa è sempre più diffuso l’interesse per la musica Balcani-
ca: lei come vive questa situazione?
È bello vedere questa interazione tra dj e la nostra musica. Prima
erano i dj che prendevano il nostro materiale per utilizzarlo, adesso si
osserva il processo inverso. I gitani utilizzano il modo di pensare del
dj: avere una padronanza assoluta del ritmo, delle frasi… Il circuito si
muove! Per la prima volta abbiamo regalato una canzone –�Gas,�gas,�
gas�– a un dj. È Shantel, che apprezzo da molto tempo. Utilizzava le
mie canzoni nei suoi dischi ma non gli avevamo mai dato l’autorizza-
zione di intervenire sulla musica. Trovo il risultato molto riuscito.
La moda della musica gitana permette alla comunità di essere
meglio considerata nel quotidiano?
No, sono stati sempre considerati formidabili musicisti, ma da sempre
è così…. Sono stati uccisi prima degli ebrei! Ma ho come l’impressio-
ne che in Europa si stia infine riconoscendo ciò che la cultura gitana
ha apportato. Perché è difficile trovare un compositore serio che non
sia stato influenzato o impressionato dalla musica gitana. Nell’Europa
dell’est tutti sono poveri, i gitani lo sono solo un po’ di più. È diver-
tente che l’unica musica che viene dall’est sia la musica gitana. Ci
siamo io e qualche orchestra gitana a uscire da là. Come un rivincita,
una giustizia.
EuROPA moNdomix.it - 1�
Il suo album inizia con la canzone di un artigliere e termina con
Kalashnikov. Quale legame intercorre tra l’alcol e le armi?
È un legame permanente presso di noi. All’epoca dell’ultima guerra,
avevo un zio che non abbiamo ritrovato per quattro anni a Sarajevo [è
della parte serba della mia famiglia]. Quando l’abbiamo infine scovato
era sempre professore di ginnastica ma era diventato alcolista perché
aveva passato quattro anni in prima linea. Alla fine della guerra volevo
comprargli una casa o qualcosa di simile ma viveva in caserma con
dei militari congedati e ha voluto rimanere con i compagni. È morto
laggiù perché l’alcol era gratuito.
L’immagine dell’esercito è rimasta come quella che c’era presso di
voi un secolo fa. Ci sono armi in ogni casa, nascoste, sotterrate, in at-
tesa della prossima guerra. All’epoca della Seconda Guerra mondiale
tutti erano armati fin dall’inizio perché avevano nascosto le armi della
Prima Guerra mondiale. Siamo alla frontiera tra ortodossi, cattolici e
musulmani, perciò abbiamo questa orribile storia.
La sua bevanda alcolica preferita?
Jack Daniel’s dopo la firma del contratto, è l’alcolico che devo bere in
scena. È come la sljivovica, si può
bere in shot senza ghiaccio, ma
non ha quel terribile odore
di prugna.
goran Bregovic
Alkohol [Mercuri/Universal]
Diversamente dalle nostre abitudini durante i
pasti gli slavi bevono alcolici forti prima degli al-
colici leggeri. Aspettando l’album “Champagne”,
previsto per il marzo prossimo, Goran Bregovic
ci serve subito questo “Alkohol” felicemente esplosivo. Senza essere vera-
mente un album live, Sljivovic, nella versione originale, è stato in gran parte
registrato il 10 agosto 2007 al famoso festival serbo Guca che ogni anno
celebra i migliori musicisti di bande dei Balcani. È costituito da brani che la
brass band di Goran Bregovic conserva abitualmente per il proprio piacere.
Canzoni conviviali di artiglieri, successi del periodo rock star di Bregovic,
riproposti dagli ottoni e le voci bulgare, costituiscono l’abituale repertorio di
riscaldamento della band.
Anche se la presenza del pubblico si rivela solo nelle strofe di Yeremia,
brano d’apertura, il piacere provato dal pubblico esperto nell’ascoltare il
concerto è chiaramente palpabile.
Il ritmo è sostenuto come un assalto etilico di cavalleria e l’ebbrezza che si
libera è contagiosa. A metà percorso Goran raccoglie la sfida elettronica
invitando per la prima volta un dj-produttore a manipolare la sua musica. Il
tedesco Shantel, che doveva aspettare ciò da diverso tempo, si è scatenato
su Gas�gas�gas senza sconvolgerne l’equilibrio vagabondo. I brani si susse-
guono lasciando giusto il tempo ai danzatori di respirare un po’ e agli altri di
servirsi di nuovo un bicchiere. Si gode dai primi secondi fino all’assalto finale
dell’irresistibile classico Kalashnikov, acquattato dietro ai minuti di silenzio
che seguono l’ultimo brano annunciato. Con questo disco che trasmette
l’atmosfera elettrizzata dei concerti più riusciti della sua gang, Bregovic fir-
ma il suo migliore album a oggi e segna un vantaggio, già vertiginoso, sulla
produzione discografica del 2009.
Benjamin�MiNiMuM
1� - moNdomix.it EuROPA
Alessio Biancucci
“Testa, ti va ben?” La Renza, dalla terrazza del suo bar, accoglie con le
stesse parole i ritorni del musicista dirimpettaio. E allora a lui sembra di
non essere mai partito. Nel borgo di Castiglione Falletto, la casa di Gian-
maria Testa ammira le Langhe, dove il paesaggio non si accontenta di
essere un incantevole panorama perché sa di rappresentare un’opera di
vita collettiva.
“Qui�fino�agli�anni�sessanta�- spiega il cantautore - c’erano�sofferenza�e�
povertà,�ma�adesso�questa�terra�inizia�a�restituire�un�po’�della�fatica,�del�
sudore:�anche�gli�anziani�si�prendono�il�tempo�di�meravigliarsi�per�la�bellez-
za�della�Langa,�perché�ora�è�una�terra�pettinata�dal�lavoro�dell’uomo”.
Gianmaria [nome eccessivo per la sobrietà del personaggio] si riconosce
completamente nelle radici di un territorio che, come lui, è aspro, sangui-
gno, forte. Se gli chiedi che vino è la sua chitarra, non c’è esitazione: un
Barbaresco, il suo preferito. Lui invece si sente più un Dolcetto perché
la sua musica non è mai sorprendente o innovativa, ma sa essere una
garanzia di qualità. Come nel caso, paradigmatico, di “Solo�-�dal�vivo”, il di-
sco tratto da un concerto quanto mai ispirato, registrato lo scorso maggio
all’Auditorium di Roma. C’è chi potrebbe azzardare qualche perplessità
sulla dilagante formula live-più-inedito, ma la dignità artistica di Testa non
teme certe critiche: “In�tutti�questi�anni�abbiamo�provato�diverse�volte�a�
produrre�un�disco�live,�ma�ritenevo�inutili�quelle�registrazioni�e�non�le�ho�mai�
licenziate;�stavolta�invece,�in�un�cd�realizzato�semplicemente�per�archivio,�
c’è�un’anima.�A�cui�ho�aggiunto�l’inedito�Come�al�cielo�gli�aeroplani�perché�
è�un�pezzo�di�collegamento�con�il�prossimo�disco,�un�lavoro�che�parlerà�
del�tempo�e�dell’uso�che�ne�facciamo”.
Ma intanto le nuove composizioni sono lasciate lì ad affinare, come si con-
fà alla tradizione enologica piemontese. Per ora ci sono le suggestioni di
questo nuovo live: voce e chitarra. Da solo, appunto, lavorando come al
solito per sottrazione: “In�questi�anni�di�grande�falsità�e�millantato�credito
- scandisce Testa - propongo�una�delle�cose�più�vere�e�nude�possibili”.
Ed è facile per lui riconoscere le qualità di un buon concerto: “Il�metro�di�
valutazione�sono�io�stesso:�mi�emoziono�cantando�e�quando�le�emozioni�
che�hanno�generato�le�canzoni�tornano�palpabili,�allora�questo�elemento�
passa�anche�tra�il�pubblico”.
Testa non si esibisce mai, lui semplicemente fa i suoi concerti: ammette
che la canzone, a differenza della poesia, è figlia dell’interpretazione, ma
ha anche l’impressione che nelle parole ci siano una melodia ed un ritmo,
sufficienti a modulare toni e vibrazioni. “È�poi�vero - e ci tiene a precisarlo
- che�l’interpretazione�ha�a�che�vedere�con�l’invecchiamento,�con�la�presa�
di�coscienza�di�sé”.
Ed è qui che si palesa l’assonanza con l’austera tradizione di Langa,
dove i vignaioli [quelli veri] ripetono che le uve di nebbiolo devono ave-
re il tempo di vivere, di invecchiare. Testa ammette poi che per lui è
sempre più faticoso allontanarsi dalle sue colline ed è per questo che
predilige il viaggio immaginario, quello che racconta continuamente,
sotto diverse declinazioni, anche nei brani ripresi in questo “Solo�–�dal�
vivo”. Un disco che non ha bisogno di essere declamato, perché rivela
se stesso e le sue pulsioni con estrema genuinità. Come una schietta
passeggiata nell’armonia delle Langhe.
da aSColtare ”Solo dal vivo” [Odd Times/Egea]Sito gianmariatesta.com
gianmaria testa voce e chitarra di langa
foto
di B
ertr
and
Des
prez
AFRICA moNdomix.it - 1�
testo di Plinio Bonato
traduzione di Paola valpreda
Rádio Barlavento, nella capoverdiana Mindelo, capitale culturale del-
la regione di São Vicente, primi anni sessanta: questo è lo scenario
che si presenta oggi in “Rádio�Mindelo” [cd + libricino di 32 pagine],
una Cesária Évora che non si era mai sentita, una raccolta delle sue
primissime registrazioni. Dolce ieri come oggi, alla perenne ricerca
della bellezza. Fraseggio e sicurezza, già allora. Qualche anno pri-
ma era stata scoperta da Gregorio Gonçalves, gran musicista lui, ne
aveva colto da subito le potenzialità inesplorate, pare ne apprezzasse
vigorosamente quei piedi scalzi che percorrono ancora oggi i palchi
di mezzo mondo.
Ricorda i momenti delle registrazioni? Può raccontare come si
svolgeva la sua vita in quel periodo e ricorda se vi era fermento
musicale?
Sì, mi ricordo quando ho iniziato a cantare, ero molto piccola, avevo
appena tre o quattro anni. Invece avrò avuto vent’anni quando fui
invitata a cantare a Rádio Barlavento, il risultato sono le registrazioni
di questo disco. Oggi la musica capoverdiana è famosa all’estero ed
è molto amata, ma a quei tempi il successo nel mio paese era limitato,
anche se devo dire che suonavo e registravo molto, c’era una fervida
attività che rimaneva però più nell’oscurità. Ho avuto la percezione
dell’importanza della scena di allora e di quel che stava accadendo
quando sono uscita dai confini del mio paese; le cose erano ben di-
verse per me, non c’è il minimo paragone con la situazione odierna.
Qual era il suo rapporto con Gregorio Gonçalves ai tempi?
Ti Goy, come amavo chiamarlo, fin da quando avevo quindici anni era
una figura fondamentale per me e per la mia musica, è stato un sorta
di mentore. Ricordo ancora quando andavo a casa sua ad ascoltare
dischi, mi invitava e io ero lì con la copia delle sue canzoni in mano,
quasi in adorazione. Nei primi tempi mi aiutò molto.
Sono presenti anche brani di suo zio, noto musicista e autore
di canzoni che usava lo pseudonimo di B. Leza: cosa la colpiva
della sua musica?
Infatti era il cugino di mio padre, un musicista molto conosciuto dalle
nostre parti già allora. Ho sempre amato il suo modo di comporre
musica e di scrivere i testi delle sue canzoni, per questo decidemmo
di includere i suoi brani durante quelle sessioni.
A risentire oggi questi brani cosa pensa della musica di allora?
È stato bello riscoprire quella musica perché è secondo me molto di-
versa da quel che propongo oggi, si è trasformata. È una conseguen-
za naturale delle cose, tutto era diverso allora, la società, le persone,
tutto quanto.
Nei primi anni sessanta oltre ad interessarsi alla morna, già la
incuriosivano le musiche di altri paesi, come il Portogallo o il
Brasile?
Sì, certo. Ho sempre amato la musica brasiliana, già durante la mia
adolescenza ne arrivava molta a Capo Verde e cercavo di compren-
derla ed anche utilizzarla pian piano al fianco delle tradizioni del mio
paese.
Che succederà ora, è in giro per una tournée? Quali paesi rag-
giungerà?
La tournée è iniziata in Kazakistan, sono passata per il Portogallo e
poi tornata a Capo Verde. Presto sarò di nuovo all’estero.
Oltre ad esibirsi dal vivo sta già lavorando ad un nuovo progetto
discografico?
Sì, ho già cominciato a registrare alcune cose in Francia, l’album do-
vrebbe essere pronto ed uscire nei prossimi mesi.
Cosa vorrebbe che il mondo intero apprezzasse di Capo Verde?
Capo Verde è meravigliosa, per il clima, per la gente gradevole. Tutte
le isole sono diverse tra loro, ed ognuna ha una particolarità che la
rende unica ed amabile. Naturalmente ci sono cose meno belle, c’è
anche povertà, ma è un paese che andrebbe visitato, è ricco di cultu-
ra e di cose interessanti.
da aSColtare “Rádio Mindelo” [Microcosmo dischi/Ird]Sito cesaria-evora.com
alle origini di cesária
1� - moNdomix.it EuROPA
come la compattezza e la voglia di raccogliere e trasmettere energia. Que-
sta è stata forse la nostra prima illuminazione sulla via di Damasco.
Dalla Puglia alla tradizione dell’Est Europa. Come intrecciate le due
tradizioni?
Essere pugliesi ci aiuta a vivere questo incontro. L’integrazione l’abbiamo
vissuta con grande spontaneità nei nostri paesini. Abbiamo prima cono-
sciuto gli immigrati che si sono trasferiti in Puglia e tramite loro, la musica
balcanica. Il primo punto d’incontro sono stati gli strumenti della nostra
banda tradizionale: con curiosità abbiamo sentito che sassofoni, clarinetti,
trombe e altri ottoni nei Balcani erano utilizzati in modi assolutamente dif-
ferenti. Se da noi la melodia bandistica deve essere solida e precisa, là è
tanto più apprezzata quanto più è fluttuante e instabile.
Non solo la musica tradizionale ma mille altri umori in questo lavoro,
qual è la formazione dei membri di MB?
Il nocciolo della Municipale proviene dalla nostra tradizionale banda di
paese. Da quelle radici i nostri fiati non hanno mai voluto allontanarsi. A
questo background così solido si è aggiunto l’amore per la world music e
il jazz, anche quello più radicale e sperimentale. Ai bandisti si aggiungono
altri musicisti che provengono dalla musica popolare propriamente detta,
quella che ha ricercato e riscoperto filologicamente la musica della nostra
terra. E per finire, nella sezione ritmica, abbiamo chi proviene dal rock
estremo e dal reggae. Il punto d’incontro tra esperienze così diverse è
stato proprio l’humus comune della cultura del paese.
State già lavorando su qualcosa di nuovo?
Ma certo. Lavoriamo su differenti arrangiamenti dei pezzi storici di MB, su
dei remix e soprattutto abbiamo già in cantiere alcuni pezzi per il prossimo
disco che proveremo a suonare in anteprima la prossima estate.
da aSColtare “Road to Damascus” [Felmay] Sito municipalebalcanica.com
folgorati sulla via di damasco MunICIPALE BALCAnICA, quAnDO LA PuGLIA InCOnTRA L’EuROPA DELL’EST
Plinio Bonato
Nel caso in cui vi chiedeste cosa potrebbe accadere se un gruppo di gio-
vani pugliesi entrasse in contatto con la tradizione est europea, la risposta
è: Municipale Balcanica, uno dei gruppi più interessanti che sta girando
per lo stivale. Ne abbiamo parlato con uno dei fondatori del gruppo, Nico
Marziale.
Come inizia la storia di MB?
Quasi sei anni fa decidemmo di dar vita a questo progetto per avviare una
profonda sintesi tra le sonorità tzigane, klezmer e yiddish dell’est Europa
e quelle più radicate e calde della nostra terra d’origine, la Puglia. Dopo
una consistente attività live, nel 2005 uscì “Fòua”, che diventò subito co-
nosciutissimo non solo in Italia ma anche e soprattutto all’estero grazie ad
una recensione apparsa su Folk World, che valutò la nostra Hava�Nagila�
come “una delle migliori interpretazioni ascoltate tra le migliaia degli ultimi
trent’anni”.
Successo che vi piacerebbe replicare in “Road to Damascus”…
Nel nuovo lavoro confluiscono sia le esperienze fatte in questi anni che le
novità e le sperimentazioni del gruppo. Abbiamo unito la tradizione e la
spinta verso il nuovo; pur avendo legami forti con le nostre radici musicali e
con i suoni tradizionali dell’est non siamo mai stati un gruppo folkloristico,
e in questo lavoro la nostra curiosità si nota. Si tratta di un esperimento di
composizione collettiva, in tutti i brani c’è un po’ di ognuno di noi.
Un titolo emblematico. Quale la vostra illuminazione?
Senza avere un progetto prestabilito abbiamo affrontato la nostra espe-
rienza musicale per quella che è: un’avventura in cui non bisogna crear-
si ostacoli, senza perdere per questo le caratteristiche della Municipale,
testo di Martina neri
foto di Andrea Boccalini
Antonio Placer è galiziano e la sua anima si divide tra due mari: Atlan-
tico e Mediterraneo. Di conseguenza, appartiene alle terre che da
essi sono bagnate. Ha presentato in anteprima e uropea la sua nuova
produzione allo European Jazz Expo di Cagliari nel novembre scorso:
“Atlantiterraneo” [S’ardmusic] è un lavoro emozionante frutto di un
consolidato scambio artistico, culturale e umano con l’isola sarda e
con artisti provenienti da diversi paesi a testimoniare la natura univer-
sale della sua musica e del suo canto.
In “Atlantiterraneo” si trovano suoni che arrivano dalle terre ba-
gnate da questi due mari, lo ha scelto come titolo perché questa
parola comprende in sé tutto il mondo?
Le canzoni del disco sono frutto del mio amore con la Vita. All’interno
del mio corpo ci sono le radici di un paese senza confini, cosmopo-
lita, in cui vivono tutti quanti i miei antenati: galiziani, sefarditi, mori,
cubani, genovesi e cantano, piangono, navigano, raccontano le loro
storie e le mille sfaccettature delle loro contraddizioni. Io, come uno
scriba attento, annoto tutto quello che dicono. Sono un artista, faccio
canzoni che incarnano un folclore che è suono, verso, sale delle mie
viscere. È per questo che il mio canto suona universale. Io sono un
atlantiterraneo gallego che vive ai piedi delle Alpi da trent’anni. La
mia storia è come quella di molti iberici cresciuti in una terra distrutta
dalla mancanza di tolleranza e dal disconoscimento dei fondamenti
della vita. Sono nato da padre franchista e madre repubblicana. Sono
arrivato a Grenoble nel 1978 in cerca dell’altra metà della mia vita,
quella che era stata espulsa. L’amore ha ricucito i due poli del mio
essere con allegria e dolore. Ogni canto è una battaglia con il diavolo
nascosto infondo alle mie viscere, toro e torero coabitano nelle mie
canzoni.
Qual è la cosa che la unisce alla Sardegna, alla sua gente e alla
sua tradizione musicale?
Amo questa terra e i suoi musicisti, la sua gente. È un paese di mu-
sica. Galizia e Sardegna sono lontane tra loro, ma quando vado lì il
mio cuore è felice. La mia amica Elena Ledda mi ha aiutato a scoprire
questa terra che adesso è anche un po’ la mia visto che ho scritto la
canzone Mi Quartuchinita�tra Sassari e casa di Elena.
Nella sua musica coabitano differenti sfumature: tango, jazz,
Cuba, folclore galiziano. Che significato dà alla parola identità?
Credo che identità sia essere se stessi lasciando che il brutto e il bello
della vita entrino nel tuo cuore. Credo che l’unica forma di purezza
sia il meticciato: se non ti unisci all’altro, a quello che è diverso da te,
diventi un cretino! La mia musica è il suono di questa fusione.
Scrive testi anche in una specie di esperanto, perché lo fa?
I bambini alla nascita possiedono la totalità dei fonemi che compon-
gono i suoni delle lingue del mondo. Alla fine del primo mese di vita,
ogni essere umano perde quasi la metà di questi suoni perchè ten-
tiamo di adattarci al contesto sonoro che ci circonda. Amo le lingue
e i suoni diversi di ognuna. Tutte insieme formano un arcobaleno. Ho
cantato in più di dieci lingue, ora solo in quattro: gallego, castigliano,
francese e tamarindola che è il mio esperanto personale, un tentativo
di recuperare la memoria del mio primo mese di vita. Come poeta
itinerante cerco attraverso i suoni un sogno di unità e universalità.
A gennaio l’album sarà pubblicato in tutta Europa. Ha già piani-
ficato un tour?
Credo che cominceremo da Italia, Francia e Spagna.
da aSColtare “Atlantiterraneo” [S’ard/Egea]Sito antonioplacer.com
il freddy mercury della galiziaA COLLOquIO COn AnTOnIO PLACER
Andrea Scaccia
A partire da questo numero, Mondomix ha deciso di dedi-
care una rubrica a tutto quel che accade dietro le quinte, per sentire la
voce di quelle realtà che nonostante il grande lavoro operano nell’ombra.
Festival, label, operatori del settore, per parlare in maniera diversa di mu-
sica world. Iniziamo con Talento, uno dei più importanti network italiani in
materia di musica world. Abbiamo incontrato Claudio Tolomio - presiden-
te dell’associazione e direttore generale di Folkest - per parlarne.
Come nasce Talento?
Avendo fatto parte di Assomusica, mi sono sempre chiesto il motivo per
cui la musica folk e world non avessero un network simile. Decidemmo in-
sieme con altri operatori di incontrarci a Palermo per discuterne; tra gi altri
c’erano Martinotti, un po’ la memoria storica del folk italiano, e Giovanni
Callea, era il 2006.
Perché la scelta di una rete esclusivamente di festival? Quali le pre-
rogative su cui si fonda?
Abbiamo deciso di lavorare insieme agli altri festival convinti del fatto che
proprio queste manifestazioni siano le espressioni più radicate del terri-
torio. Lo scopo è quello di formare una rete per promuovere e tutelare
la musica world e folk, attraverso una presenza capillare in tutte le più
importanti fiere mondiali e attraverso rapporti costanti con società come
Enpals, Siae o Agis.
Ci tengo a sottolineare che talento non è un gruppo d’acquisto, non fa
booking e per com’è stato concepito non è giusto che entri nelle regole
del mercato.
Nel corso degli anni ha notato un aumento d’attenzione da parte del-
le istituzioni verso questo genere di musica?
Quando si parla di musica folk o etnica spesso capita di incontrare interlo-
cutori che non hanno la minima idea di che cosa sia. Lo stato italiano tutela
l’opera, la musica folk no.
È interessante che prima della nascita di Talento non si fosse riuscito a
quantificare le presenze di pubblico durante i festival: abbiamo fatto una
stima, sono più di un milione di persone l’anno.
Portando alla luce questi dati mi sono reso conto che si è sollevato un
interesse ed una curiosità da parte delle istituzioni.
Quando si parla di world o folk esce sempre un rassegnato senti-
mento di marginalità…
È inutile star lì a piangersi addosso, bisogna avere un grande rispetto per il
nostro lavoro, andiamo a valorizzare i territori, è un lavoro molto importan-
te, non si può far finta di niente.
In che direzione sta andando Talento? È possibile pensare ad un
allargamento verso altre realtà?
Dopo un fisiologico assestamento stiamo riflettendo proprio in questo pe-
riodo sulla possibilità di allargare gli associati ad altre realtà che possono
essere quelle discografiche e di tutti gli operatori del settore per formare
più massa critica senza perdere lo spirito che muove il network.
dietro le quinte
22 - moNdomix.it EuROPA
World di Peter Gabriel. “C’erano�già�cinque�canzoni�che�erano�parte�di�
‘A�Winter�garden’�[‘A�Winter�garden:�five�songs�for�the�season’,�1995].�
Negli�anni�il�mio�pubblico�e�la�casa�discografica�spesso�mi�hanno�chiesto�
di�aggiungere�canzoni�per�comporre�un�vero�disco,�non�un�EP�di�durata�
limitata.�Così� l’estate�scorsa,�avendo�riunito�i�musicisti�per�il�tour�euro-
peo,�abbiamo�aggiunto�otto�nuove�canzoni.�Insomma,�più�che�qualcosa�
di�sistematico�o�la�volontà�di�fare�un�altro�disco�natalizio,�il�tutto�è�stato�
ispirato�da�un�certo�pragmatismo”. In realtà, la magia di questo periodo
dell’anno aveva già colpito l’immaginazione della McKennitt, che in “To�
drive�the�cold�winter�away” [1987] aveva celebrato il Natale e la stagione
invernale. “Non�volevo� in�cidere�canti�natalizi� troppo�scontati�e� troppo�
noti,�ma�canti�che�avessero�un�che�di�antico,�che�potessero�adattarsi�ai�
musicisti�e�agli�strumenti�con�cui�stavamo�lavorando.�Insomma,�adeguati�
al�mio�stile�musicale”.
A fianco di Loreena [voce, piano, tastiere, fisarmonica, arpa] ci sono ghi-
ronda e percussioni, oud, chitarra, violino, violoncello, viola, lira pontiaca
e laouto. Numerosi gli ospiti, tra i quali il chitarrista bretone Dan Ar Bras, il
cantante algerino Abdelli, il percussionista egiziano Hossam Ramzy.
Qui, come già in passato, vi sono melodie inglesi, irlandesi, bretoni e
francesi, atmosfere barocche, incisi mediorientali. Su tutto, quel tratto
onirico-visionario non privo di certo manierismo che è un marchio della
cifra stilistica di questa raffinata musicista.
Il disco si compone di tredici brani, dieci canzoni e tre strumentali. In pre-
valenza, liriche e melodie sono tradizionali, quattro brani sono musicati
dalla stessa McKennitt, che è autrice di tutti gli arrangiamenti. Colpisco-
no particolarmente Noël�nouvelet!, cantata nel francese del XVI secolo
con arrangiamento di impronta nordafricana, la soave Coventry� carol,
Gloustershire� wassail eseguita a cappella, God� rest� ye� merry, gentle-
men dall’impianto mediorientale, senza dimenticare Emmanuel che ha il
testo latino. Si considera una viaggiatrice musicale? “Sì,�mi�piace�molto�
la�letteratura�di�viaggio,�l’idea�che�attraverso�gli�occhi�di�qualcun�altro�si�
possano�conoscere�certi�argomenti,�certi�luoghi.�Mi�aspetto�che�accada�
lo�stesso�con�il�mio�lavoro,�che�venga�considerato�in�un�certo�senso�un�
documento�musicale”. Le fonti di Loreena sono pari alla sua curiosità
musicale, né sono da trascurare le sue frequentazioni con l’universo tea-
trale shakespeariano. Tra i suoi ascolti cita Monteverdi, Palestrina, il fado
e l’oudista tunisino Anouar Brahem e tanto altro, a seconda dello stato
d‘animo. “La�ricerca�per�il�precedente�album�mi�ha�portato�in�Mongolia:�
speravo�di�usare�il�morin�khuur�[strumento�simile�ad�una�viola�da�gamba�
a�due�corde,�con�cassa�quadrangolare�e�riccio�a�testa�di�cavallo,�ndr],�
ma�era�troppo�complicato�portare�i�musicisti�in�studio.�Da�lì�provengono�
alcuni�“canti�di�gola”�[tecnica�di�canto�armonico�caratterizzato�da�emis-
sioni�vocali�sforzate�che�danno�la�possibilità�di�espandere�gli�armonici,�
ndr]�che�ho�utilizzato.�In�passato,�ho�impiegato�strumenti�turchi�e�greci,�
come�anche�in�questo�disco”.
Ciro De Rosa
Non si considera un’interprete di musica celtica, come in maniera como-
da si accontentano di etichettarla molti organi di stampa, la canadese
Loreena McKennitt: “Ci� sono� musicisti� che� più� apertamente� lavorano�
sul� repertorio� tradizionale.� Guardo� al� mio� processo� artistico� come� ad�
un�viaggio:�i�miei�dischi�diventano�documenti�di�questo�processo”. Per
la cantante cresciuta in un’area rurale dello stato di Manitoba, di tempo
ne è passato da quando negli anni settanta nel folk club di Winnipeg
conobbe la musica di Planxty e della Bothy Band, gruppi seminali del
nuovo folk irlandese, per poi iniziare a fare la busker vendendo le sue
cassette. Oggi con almeno dieci dischi all’attivo, senza dimenticare le
collaborazioni con altri musicisti, è una stella riconosciuta del firmamento
musicale pop-world.
Il suo nuovo lavoro, “A�Midwinter� night’s�dream”, è un album ispirato
al ciclo calendariale natalizio e di fine anno, registrato negli studi Real
da aSColtare “A Midwinter night’s dream” [quinland road/universal]Sito quinlandroad.com
suggestioni per notti di mezzo inverno InTERvISTA A LOREEnA MCKEnnITT
2� - moNdomix.it AMERICA
rinti. Certo, la disgregazione delle espressioni, un’espansione trasversale
e non ordinata, non ha nulla a che fare con quella di un secolo fa: lì la
grande massa del popolo stava prendendo il sopravvento. Ora soltanto
dei segnali, forti, fortissimi, di vitalità. Slegati, non poca cosa per il Mes-
sico, dai clichè abituali: mariachi, e fiestas, le grandi e interminabili ceri-
monie dove rituali folclorici di ogni tipo [danza, musica, liturgie pagane]
venivano celebrati.
Il Messico è ora un concentrato autorevole di quiete e tensione, ricerca
sonora e screening del passato che si sviluppa da qualche anno ma che
oggi arriva ad un punto di volta, dettato non solo dalla contemporaneità
di alcune importanti uscite discografiche, quanto dall’interesse di alcuni
spunti contenuti in queste produzioni. È un fenomeno strano e per niente
classificabile: da un lato segue, prosegue e “persegue”la tradizione del-
la grande canción ranchera per poi stornare lontano; dall’altro l’ambito
digitale ed elettronico – ed a questo si mescola anche il jazz – unisce
timbriche inusuali a quel gusto dissacrante del taglia e cuci; infine, c’è
anche un volto più pop e melodico, che richiama certo folclore, che lo
riecheggia anche solo come vago innamoramento.
Lila Downs non è certo l’ultima arrivata, conosciuta e riconosciuta in tutto
il mondo. È cresciuta fra lo stato di Oaxaca e il Minnesota. Interpreta la tra-
dizione nelle lingue indigene del Messico, come mixteco, zapoteco, maya
e nahuatl, e conosce alla perfezione il simbolismo dell’abbigliamento triqui,
solo ad osservarla vestita, se ne capisce l’ascendenza tradizionale. Gran-
de interprete e attrice a tempo perso, vedi il film Frida [c’è anche la vec-
chia e magnifica Chavela Vargas, nelle vesti della morte, Mictlan donna].
Tuttavia il suo recente lavoro discografico [“Shake�away,�Ojo�de�culebra”],
che certamente non è uno dei suoi migliori album, descrive con particolare
gusto un mescolamento ancora più incisivo tra la tradizione messicana e la
canzone. Non solo per i brani cantati in inglese, ma anche le estetiche più
folk e rock e la presenza della rilettura di Black�magic�woman [con ospite
Raul Midón], di I�would�never di Paul Buchanan dei Blue Nile e I�envy�the�
wind di Lucinda Williams, che registra, nella versione inglese la presenza
alla tromba di Brian Lynch. Affiancando a queste coordinate più tradizionali
cifre che culminano nel bel duetto con la grande Mercedes Sosa.
Sullo stesso versante è il lavoro di Lhasa De Sela, sangue misto, figlia
di uno scrittore messicano e di un’attrice americana, una vera e propria
bohemien della musica ranchera di oggi. Vocalità arcaica e fremiti astratti
stile Bjork, compone e interpreta testi anche in inglese e francese. Lei
però è assente da un bel po’ dalle scene, non fosse per una pubblicazio-
ne – ovviamente da noi mai arrivata – di un libro-diario: La�route�chante.
Murcof, Murcof, Murcof. Paladino dell’elettronica messicana e della
commistione di questa con l’elettroacustica, è nato a Tijuana nel 1970,
dichiara di essere voluto diventare musicista dopo aver ascoltato “Oxy-
gen” di Jean-Michel Jarre. Col nome Murcof intraprende la carriera ad
inizio del nuovo secolo, pubblicando “Martes” e subito snocciola alcuni
elementi importanti: campiona archi, ottoni, utilizza elettronica ambien-
tale, gioca con i silenzi e orchestra con estrema superbia il tutto. Fin qui
tutto bene: testa da musicista proiettato nel corpo di uno sperimentatore
elettronico. Tuttavia con il suo recente disco, “The�Versailles�Sessions”,
frutto dell’accompagnamento sonoro realizzato per il festival di luci, ac-
Federico Scoppio
Chioma nera, lenti spesse, barba incolta. Una torcia in mano, un vinile
nell’altra, passo veloce, sicuro. Il labirinto di musiche per Murcof – nome
d’arte di Fernando Corona – non nasconde poi ancora molti angoli bui.
È un po’ snob, l’uomo, parlandoci un poco, senza sbagliare le domande
da porre, si scopre che una memoria infinita è conservata all’interno del
labirinto, che ha svelato in più riprese: prima nel progetto musicale, chia-
mato Terrestre, nel quale indaga sonorità prossime alla dance, figlio ille-
gittimo di un collettivo che Corona aveva fondato a Tijuana, denominato
NorTec [Norteño Techno], nel quale circolavano liberamente musicisti,
disegnatori, esperti di immagine, grafici e tecnici audio e video. Non da
ultimo il progetto Murcof, di cui si parla poco oltre.
Reminiscenza arcaica e sguardo rivolto al futuro: grazie a lui è possibile
intraprendere un viaggio a ritroso, scoprire il lato sommerso del Messico,
culturale, artistico. D’altronde le ultime grandi rivoluzioni in materia giun-
gevano circa un secolo fa, quando si iniziò a sentir parlare di muralismo,
rinascimento azteco, arte pre-colombiana rivalutata e messa sul palco
nuovamente. Poi buio totale. Solo apparentemente, perché in fondo il
Messico ha sempre continuato a raccontare di incroci, storie strane, labi-
segnali di fumo dal messico
foto
di P
aola
Deg
rene
t
Murcof
AMERICA moNdomix.it - 2�
qua e suoni che si svolge annualmente a Versailles, Le
Grandes Eaux Nocturnes, si trova a declinare suoni veri
e propri, addirittura quelli di un ensemble di musica ba-
rocca, impegnati con una strumentazione del XVII se-
colo, con tanto di flauto, violino, viola e clavicembalo.
Questo rappresenta inoltre un primo ed unico segnale
di arresto della catalogazione dei titoli delle sue pub-
blicazioni secondo le lettere del proprio nome: a “Co-
smos” nel 2009 seguirà “Oceano”.
Murcof è inoltre protagonista, nelle vesti di ospite d’onore, del capitolo
dedicato a Mexico City [di un trittico – “Rendez-Vous” – che include Pa-
rigi e Benares] dal trombettista svizzero di stanza in Francia erik Truffaz.
Un suono desertico che arriva fino alla bassa California, elettronico già di
per sé, frammentario e visionario, sul quale Murcof ha agito sovrappo-
nendo silenzi e rendendo le atmosfere ancora più liquide e rarefatte.
Tra sabbia e fiestas, California e Messico, i calexico di Joey Burns e
John Convertino rappresentano da sempre il volto più esotico, tra alt
country e roots pop, ripreso e portato all’eccesso nel nuovo “Carried�
to�dust”. Il tex mex e la musica dei mariachi si sposa con arrangiamenti
ariosi e soavi, come se gli Steely Dan andassero a cena con i mariachi,
il tutto incastonato in due o tre minuti di brani dalla forma canzone. Una
sciagura per chi amava polke ubriache e musiche balcaniche sgorgare
dai rivoli del tex mex, un miracolo invece per chi della loro tecnica d’ese-
cuzione apprezza l’aspetto meno sbieco, una forma di espressione più
intima, con ballate malinconiche e mozzafiato. Nell’edizione italiana del
disco c’è anche Vinicio Capossela, nel brano Polpo�d’amor, registrato in
una session in cui fu dato il via anche un altro brano che è finito nel nuovo
lavoro del cantautore italiano. Del resto le collaborazioni in “Carried� to�
dust” non mancano: il cantante folk Samuel Beam e Doug McCombs,
bassista dei Tortoise.
da aSColtareLILA DOWnS “Shake away, Ojo de culebra” [Manhattan Records/Emi]LHASA DE SELA “La route chante” [Textuel]MuRCOF “The versailles sessions” [Leaf/Wide]ERIK TRuFFAz “Mexico” [Blue note/Emi]CALEXICO “Carried to dust” [quarterstick/Self]alCUNe date Calexico23/01 Estragon [Bologna]24/1 Teatro Colosseo [Torino]
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Lila DownsCalexico
2� - moNdomix.it AFRICA
Gianluca Diana & TP Africa.it
Femi Kuti ed il suo nuovo “Day�by�day”. Ovvero la potenza sotto con-
trollo. O se preferite l’importanza della consapevolezza. Che in que-
sto disco è elemento architettonico imprescindibile, tanto nei suoni
che nelle liriche. “Sono�trascorsi�sette�anni�da�quando�ho�pubblicato�
l’ultimo�lavoro�in�studio�‘Fight�To�Win’.�Nel�tempo�trascorso�mi�sono�
dedicato�alla�mia� famiglia�e�ad� imparare�a�suonare�nuovi�strumenti,�
come� la� tromba.� Cosa� non� facile.� Puoi� essere� in� grado� di� suonare�
tranquillamente�qualsiasi�cosa�dopo�tanti�anni�di�inattività,�ma�la�trom-
ba�necessita�di�amore�e�dedizione�quotidiana.�Ho�imparato�a�suonare�
come�i�grandi�del�jazz.�Questo�mi�è�servito�a�capire�realmente�come�
funzionino�gli�strumenti�della�mia�band�e,�in�quanto�guida�del�gruppo,�
ho�acquisito�maggior�rispetto�nei�loro�confronti,�specialmente�quan-
do�ci�esibiamo�insieme.�‘Day�by�Day’�è�un�lavoro�molto�più�vicino�al�
jazz�rispetto�al�precedente,�infatti�mi�sono�
avvicinato� a� quelle� che� sono� le� ra-
dici�paterne�dell’afrobeat,�ovvero�
proprio� all’estetica� afroameri-
cana.� Ascoltando� Gillespie,�
Coltrane,� Holiday.� Capendo�
questi� artisti� ed� includendo�
la� musica� di� Fela.� Il� risulta-
to� è� ‘Day� by� Day’”. Il disco
manifesta chiaramente il
percorso del cambiamento
intrapreso da Femi.
Le lunghe session
e cavalcate afro-
beat-style cedono
il passo a brani più
brevi. Volutamente?
“...Si�e�no.�Siamo�andati�in�studio�e�abbiamo�registrato�delle�tracce.�Al-
cune�di�queste�sono�state�modificate�volutamente,�altre�erano�già�brevi.�
Ho�sentito�che�per�questo�album�i�brani�erano�della�durata�giusta”.�Una
drammaturgia nuova nell’uso del tempo breve, che centellina meravi-
gliosamente musica e parole. Come nei tre minuti della title-track, in cui
l’invocazione a Dio non è settaria ma universale: “Questa�è�una�di�quelle�
canzoni� in�cui� la�melodia�è�venuta�un�giorno,�senza�ulteriori� accomo-
damenti.�Si�tratta�di�Dio�nel�senso�più�ampio�del�termine.�Vorrei�che�le�
persone�vedano�che�siamo�in�pace�e�che�ci�amiamo.�Vorrei�che�non�si�
pensasse�che�tutti� in�Africa�siano�come�gli�abitanti�del�Ruanda�o�della�
Somalia.�Questo�discorso�non�è�rivolto�in�particolare�a�ciò�che�succede�
in�Africa,�ma�a�ciò�che�possiamo�essere�come�razza�.�Abbiamo�bisogno�
di�essere�più�pacifici�e�aperti�verso�l’�amore,�“work�and�pray�for�peace�
to�reign,�we’re�tired�of�wars”. L’importanza di una visione comunitaria,
esaltata dal testo di Let’s�make�history: “Questa�è�una�canzone�estre-
mamente�positiva�e�ottimista.�Sono�una�persona�positiva,�devo�esserlo�
per� forza� di� cose.� Dobbiamo� restare� uniti� e� lottare� affinché� ci� sia� un�
cambiamento.�Positivo.�Non�ci�può�essere�nessuna�svolta�se�noi�non�
impariamo�dall’insegnamento�datoci�dai�sacrifici�fatti.�Se�non�impariamo�
a�proiettarci�positivamente� in�avanti.�Ad�esempio,� se�non�proviamo�a�
lottare�contro� la�corruzione,�questa�arriverà�con� il� tempo�a�divorare� le�
nostre�vite,�fino�a�diventare�stagnante.�Dobbiamo�svegliarci�e�cammina-
re�a�testa�alta�invece�di�chinare�il�capo�e�guardare�con�superficialità�ai�
problemi.�Non�puoi�aspettarti�che�siano�i�leader�a�cambiare�le�cose,�
spetta�agli�individui�restare�uniti”.
E la tua Nigeria, oggi, com’è? “Non�ci�troviamo�in�una�bella�situa-
zione.�La�corrente�elettrica�va�via�regolarmente,�la�nostra�acqua�
non�è�mai�pulita�e�il�livello�di�corruzione�è�alto,�il�che�vuol�dire�che�
molti�servizi�non�funzionano�come�dovrebbero.�Mio�padre�iniziò�
a�parlare�di�questi�problemi� trent’anni� fa.�Oggi� io�continuo�a�
farlo.�Non�possiamo�aspettare�che�arrivi�un�leader�a�cambiare�
le�cose,�dobbiamo�cambiare�la�situazione�noi�stessi”.
da aSColtare ”Day by day” [Wrasse/Evolution]SCoPri Fela Kuti su mondomix.com
l’afrojazz di femi Kuti
AMERICA moNdomix.it - 2�
Gaetano Palmisano
Recife Pernambuco come Osvaldo Lenine Macedo Pimental. Punto
di incontro tra Atlantico del nord e Atlantico del sud, bagnata da un
oceano freddo e burrascoso e da un mare calmo e temperato. Lenine
convive con il contrastante dualismo che gli appartiene: la sua voce a
tratti di seta, scivolosa, morbida, a volte ruggente e tenebrosa, i testi
che oppongono a problemi che straziano il Brasile, sua madre terra,
spaccati di vivace vita quotidiana carioca, ed infine la musica che spa-
zia dal samba al funk.
Questa la sua principale qualità: è in continuo movimento. È rock,
baião, frevo spesso miscelati, talmente compromessi tra loro che solo
operando un’attenta analisi ci si accorge del ritmo che si colora, cresce
e magicamente cambia, portando alla metamorfosi suono, voce ed
emozioni. La sua eredità nordestina è carica, è straripante.
Una chitarra distorta e un berimbao. Il pandeiro come unica percussio-
ne in tracce totalmente funky perchè il ritmo è in tutto: nel respiro, nel
canto, nella chitarra che suona ritmica, armonica ed anche melodica.
Lenine spazia in tempi dispari: 5/4, 7/8, 3/4 fondendoli col samba ma
mantenendo la naturalezza e la semplicità [solo apparente], che fanno
dei suoi brani trascinanti e febbrili colonne sonore appassionate.
A Cavallo tra gli anni ottanta e novanta nasceva il progetto Cinco No
Palco che vedeva Lenine, Zeca Baleiro, Chico Cesar, Paulinho Moska
e Marcos Suzano portare avanti e condurre oltre un discorso musicale
e letterario che rimaneva legato alla cultura brasiliana, la stravolgeva
sino ad approdare all’ossatura della MPB. Ed ecco delinearsi il caratte-
re di Lenine con sembianze da pirata del seicento e occhi azzurro-verdi
che guardano lontano.
In una carriera musicale che dura ormai da quasi venti anni incide solo
otto dischi, capolavori pieni di sfaccettature, che caratterizzano di volta
in volta il suo stile. “Falange�Canibal”, il suo lavoro del 2001 tenebroso
ed oscuro.
Sperimentazioni rap nel suo terzo disco “O�dia�em�que�faremos�con-
tato” del ’97, prima ancora in “Olho�de�peixe” nel 1992 descrive il pro-
prio mondo attraverso la sua voce, la sua chitarra e le percussioni di
Marcos Suzano. Insieme a Lula Queiroga l’esordio con “Baque�solto”
nel 1984.
Due sono i dischi dal vivo: “In�citè”�del 2004 e “Lenine�acustico�MTV”
due anni dopo. Approcci assolutamente disparati tra loro già a partire
dalle formazioni . In trio nel primo, con Ramiro Musetto, fantasioso per-
cussionista argentino e Yusa talentuosa cantautrice cubana in veste di
bassista e corista. Per MTV un concerto in cui intervengono a colorare
il suo repertorio ed i vari inediti, presentati proprio in occasione di en-
trambe le registrazioni live, ospiti quali Julieta Venegas, Richard Bonà e
molti altri, realizzato con il chitarrista jr Tostoi, la potenza ritmica di Guila
al basso, Pantico Rocha alla batteria.
È con questa formazione di base che Lenine incide “Labiata”: il suo
nuovo lavoro in studio dopo anni di lontananza. Intimista come rac-
conta Magra con gli accordi della sua chitarra che scandiscono il rit-
mo per supportare il canto, e trascinante come A�Mancha, un funky
singhiozzante che si muove come le onde sulla battigia. Descrizione
di un disastro ecologico, è un’enorme ed inarrestabile macchia di pe-
trolio arrivata sulle spiagge portando morte e distruzione. �o�que�me�
interessa una dolce e surreale bossa nova come dolce e surreale è la
labiata, rilucente regina tra le orchidee brasiliane.
da aSColtare “Labiata” [Emarcy/universal]alCUNe date 29/3 Rolling Stones Milano
un’orchidea da recife
foto
di n
ana
Mor
aes
2� - moNdomix.it EuROPA
questi che si muove il progetto ideato da Guidi: raccontare attraverso
la musica storie di straordinaria libertà, lo spirito di ribellione e giustizia
che attraversa e muove i popoli. “Il�progetto�nasce�su�commissione�del-
l’Ater�dell’Emilia�Romagna,�del�teatro�Asioli�di�Correggio,�sul�tema�della�
liberazione.� Ho� scelto� di� fare� un� concept� il� cui� spunto� iniziale� è� stata�
l’immagine�dello�studente�cinese�in�Piazza�Tien�An�Men,�ribattezzato�dal�
New�York�Times�“the�unknow�rebel”.�Non�ho�scelto�di�parlare�di�Malcom�
X�o�Che�Guevara,�prediligendo�tutte�quelle�persone�a�cui�non�è�mai�stato�
dato�un�nome.�Più�in�generale�volevo�parlare�di�ogni�tipo�di�liberazione,�
anche�quella�contro�le�forme�repressive,�vedi�ad�esempio�la�legge�Basa-
glia,�intesa�come�liberazione�di�persone”.
Si passa dalla liberazione d’Italia alla Primavera di Praga, attraverso i desa-
paracidos argentini, le lotte anticolonialiste in Sudafrica e Algeria e la guerra
civile spagnola del ’39. Arrivando al G8 e all’onda studentesca che questo
periodo sta invadendo le piazze delle nostre città: ribelli sconosciuti del fu-
turo. E tutto questo attraverso la musica, come in un ideale compost al
cui interno c’è la tradizione popolare che si mischia al jazz, che guarda alle
grandi esperienze della Liberation Music Orchestra o di Carla Bley, attra-
verso il comun denominatore dell’improvvisazione. “Le�tradizioni�in�campo�
sono�molteplici:�c’è�quella�jazzistica�che�incontra�la�musica�popolare�italiana,�
argentina�o�del�Sud�Africa,�tutto�materiale�che�ho�ricercato�e�arrangiato.�Più�
nello�specifico�ho�fatto�molte�ricerche�d’archivio�sulla�musica�nata�intorno�
al�periodo�della�seconda�guerra�mondiale,�dedicando�molta�attenzione�a�
quella�dell’Umbria,�che�poi�è�la�mia�terra,�andando�a�ricercare�la�musica�per�
bande�negli�archivi”.
Nulla a che vedere con nostalgiche visioni nella musica dell’Unknown�Rebel�
Orchestra. Perché la libertà non ha nulla di nostalgico, il senso della libertà
ha bisogno di essere nutrito, oggi come ieri: “la�mia�intenzione�non�è�quella�
di�guardare�al�passato�con�senso�di�nostalgia.�Potrà�dargli�questa�chiave�
di�lettura�chi�funzionalmente�legge�così�le�cose.�Le�mie�esigenze�sono�altre�
in�questo�progetto,�al�di�là�da�dei�governi�e�dei�loro�ideali.�Sarà�una�visione�
velleitaria,�ma�spero�che�da�questo�concept�sia�il�genere�umano�ad�uscire�
vincente:�singole�persone�in�grado�di�ribellarsi,�al�di�là�del�credo”.
testo di Andrea Scaccia
foto di Andrea Boccalini
C’è un’esigenza profonda in Giovanni Guidi, quella di usare la musi-
ca come accesso. Il suo ultimo progetto, The�Unknow�rebel, al quale
prenderanno parte altri nove giovani musicisti insieme al pianista – sarà
presentato dal vivo in primavera e registrato dalla Camjazz – è una suite
sulla libertà, su tutte le libertà. Quella delle grandi rivoluzioni a cui pre-
sero parte migliaia d’uomini, volti senza nome e senza carta d’identità.
Perché dietro ai grandi nomi che sopravvivono alla storia, migliaia sono
quelli che nel completo anonimato scrivono la storia. Ed è intorno a
Sito giovanniguidi.netalCUNe date 22/4 Teatro Asioli di Correggio
storie di [stra]ordinaria libertà
EuROPA moNdomix.it - 2�
Guido Gaito
Esce a gennaio in concomitanza con la giornata della memoria, “Go-
lem”, il nuovo disco di Gabriele Coen, uno degli artisti più rappresen-
tativi della musica ebraica in Italia. Definirlo semplicemente musicista
klezmer sarebbe sbagliato; il suo progetto Jewish Experience, grazie
anche alle chitarre di Lutte Berg, oltrepassa con coraggio i confini
della musica tradizionale approdando verso nuove sonorità e linguag-
gi musicali.
Il Golem è una figura mitologica della tradizio-
ne ebraica, perché hai scelto di intitolare così
il tuo disco?
Questo nome è legato innanzitutto ad un brano
presente nel disco da cui poi prende il titolo l’al-
bum. Quella dei Golem è una leggenda legata
soprattutto all’Europa orientale dove si narra
che i rabbini costruivano dal fango dei fantocci,
i Golem, per scopi personali o per difendere la
loro comunità. Accadeva però che questi fantocci si ribellassero!
Mi piaceva ricostruire musicalmente quest’idea, del sogno dell’essere
umano di poter costruire un fantoccio e dominarlo; il golem può rappre-
sentare oggi anche la meccanicità, la tecnologia che si ribella. In questo
brano, infatti, c’è un andamento meccanico di un ostinato del basso su
cui poi avvengono sopra una serie di altri spunti musicali.
Sei noto per essere un musicista molto eclettico, qual è il percorso
che ti ha portato a conoscere la musica Klezmer?
Quella klezmer è la musica con cui mi sono fatto conoscere negli anni
ma la mia formazione è jazzistica. Il mio primo amore è stato il jazz,
quello europeo, che già si mescolava con le tradizioni della musica et-
nica, e poi John Coltrane, che ci ha insegnato a mescolare la modalità
del jazz moderno con la cultura africana, indiana e araba. Solo dopo è
arrivato quel treno della musica klezmer, mi è arrivato addosso, e l’ho
preso volentieri.
Chi guidava quel treno?
Adriano Mordenti, un fotografo-musicista che opera a Roma. Adriano
è un personaggio particolare e ha dato vita a diversi gruppi klezmer. Lui
possedeva i dischi dei Klezmatiz e una serie di spartiti di Giora Feid-
man. Fu una folgorazione per me. Ho scoperto che la musica ebraica
poteva essere utilizzata in chiave moderna come canovaccio d’improv-
visazione per il jazz modale, che era l’altra mia grande passione, e,
quindi, piano, piano è nato questo incontro non solo con la cultura ma
anche con la musica ebraica.
In questo disco, infatti, compaiono dei brani che parlano lingue
diverse...
La sfida di Jewish experience�è un po’ questa: rielaborare il materiale
ebraico in chiave jazz. È per questo che senti delle sonorità che par-
tono da materiale ebraico ma si spostano in altre direzioni. Dance�of�
the�souls, di Mickey Katz, ha la caratteristica di mescolare una scala
tipica della musica ebraica con le sonorità del blues e del jazz. Come�in�
peace, sempre di Katz, è un brano più solenne e riflessivo che abbiamo
interpretato in chiave jazz/ballad moderna, mentre Cuban�shalom è un
brano tradizionale suonato in chiave cubana, è un divertissement che
abbiamo voluto mettere alla fine del disco.
Progetti futuri?
A marzo uscirà una nuova edizione del libro Musica Errante� [klezmer�
e�canzone�yiddish�tra�folk�e�jazz] che ho scritto con mia moglie Isotta
Toso mentre, assieme a Mario Rivera, ho da poco finito di scrivere le
musiche per il film Scontro�di�civiltà�in�un�ascensore�a�Piazza�Vittorio,
tratto dal romanzo di Lakhous Amara, che uscirà sempre a marzo di
questo anno.
da aSColtare “Golem” [Alfamusic/Egea]Sito myspace.com/grabrielecoen
musica e memoria
foto
di P
aolo
Sor
ianiI GOLEM DI GABRIELE COEn
30
cominciò a dire dopo quel sopru-
so. Nel 1966, grazie all’aria rassi-
curante delle canzoni tradizionali
sudafricane, strappa un presti-
gioso riconoscimento istituzionale
[Grammy nella categoria Best Folk
Recording] attraverso un disco
[“An�evening�with�Belafonte/Make-
ba”] che altro non è che un durissi-
mo j’accuse� indirizzato al governo
segregazionista di Pretoria. Nel
1968 poi, il punto di non ritorno.
La Makeba convola a nozze con
il nemico pubblico numero uno
dell’establishment USA d’allora, il
vate del movimento Black Power,
il Primo Ministro onorario del Black
Panther Party, Mr. Stokely Car-
michael. È la fine del suo sogno
americano: l’industria discografica,
indignata, le volta le spalle, Mama
Africa si ritrova improvvisamente
con tour e contratti cancellati. Ma
neppure allora resterà a guardare
in silenzio. Fedele al rigore di sem-
pre, nel 1969 sceglie nuovamente
la via dell’esilio, riavvicinandosi
questa volta al continente madre.
L’occasione del ritorno in Africa
gliela offre la Guinea-Conakry del
presidente Sekou Toure, fervente
panafricanista, propugnatore - as-
sieme al collega ghanese Kwame
Nkrumah - di un socialismo dal
volto africano votato all’internazio-
nalismo dell’emancipazione nera.
Poi il divorzio nel 1973, la morte
del presidente Touré nel 1984, in-
fine la tragedia accorsa all’unica
figlia Bongi nel 1985. A quel punto
abbandona anche la Guinea e si
trasferisce in Belgio. Nell’arco di
una vita intera finirà per accumu-
lare 9 passaporti e 10 cittadinanze
onorarie. Altra costante del suo
percorso è la luce in fondo al tun-
nel. Quando tutto sembra volgere
al peggio, Miriam trova sempre un
sussulto di forza e dignità capace
di riportarla al centro esatto della
carreggiata. È il 1986 quando Paul
Simon, sulla scia del clamoroso
successo world dell’album “Gra-
celand”, la invita a prender parte
all’omonimo tour mondiale che la
vedrà al fianco dell’ex marito Hugh
Masekela e dei meravigliosi Lady-
smith Black Mambazo. È di nuovo
il grande successo internazionale,
è di nuovo, per tutti, un’icona di
resistenza, la voce dei neri e dise-
redati di ogni luogo che si alza forte
a rivendicare diritti civili, rispetto e
cittadinanza. I tempi sono maturi
per tracciare un bilancio di quella
vita extra-ordinaria, e così prende
forma anche la celebre autobiogra-
fia, “Makeba:�My�Story”. Ancora un
paio di incantevoli dischi in coda al
decennio [“Sangoma” 1988, “We-
lela” 1989] e poi, finalmente, la Sto-
ria che si riappropria dei suoi spazi
e dei suoi eroi: Nelson Mandela,
dopo 28 anni di prigionia che, suo
malgrado, lo hanno trasformato in
un simbolo della lotta di liberazione
nera nel mondo, viene rilasciato nel
febbraio del 1990; nel giugno dello
stesso anno Miriam Makeba torna
trionfalmente in Sudafrica con gli
onori di un regnante.
Cocciuta, spavalda, battagliera,
egocentrica ma generosa. Nomen�
omen dicevano i latini; Zenzile, il
suo primo nome, più o meno sta a
significare: “Non puoi prendertela
con nessuno, se non con te stes-
sa.” Omaggio a Miriam Makeba,
indomita guerriera sudafricana,
più forte di un cancro al seno, di
quattro matrimoni falliti e la morte
di una figlia.
AFRODISIA è L’ORGOGLIOSA COnSAPEvOLEzzA DEL COnTAGIO, unA zOnA TEMPORAnEAMEnTE AuTOnOMA DA
FALSE PuREzzE ED ESOTISMI ETnICI. AFRODISIA è un PunTO DI FuGA IBRIDO E SFROnTATO OvE LASCIAR COnFLuIRE
I SEGnI DELL’AFRICA E LA DIASPORA nERA. un’IDEA AMBIzIOSA E nECESSARIA, nATA nEL 2007 AL RIALTO
SAnTAMBROGIO DI ROMA, COn L’OBIETTIvO DICHIARATO DI vEDER AFFIORARE, AnCHE DALLE nOSTRE PARTI,
SPIRITuALITà E RITMO DEL GRAnDE CuORE AFRICAnO
La BaTTaGLIadI mIrIam
Indomita guerriera sudafrica-
na, fino all’ultimo in prima linea.
La grande Miriam non poteva che
andarsene così, dunque, combat-
tendo. Per i diritti civili, l’unità pana-
fricana, la dignità delle donne; ma
forse, più in generale, per l’univer-
sale diritto di cittadinanza di tutti
quegli africani dispersi nel mondo,
neri senza volto e senza voce ai
quali dal principio aveva votato
con coraggio la sua causa. Proprio
come quei ragazzi di Castel Voltu-
rno, Kwame, Affun, El Hadji, Jee-
mes, Christopher, Joseph, immi-
grati anonimi uccisi dal fuoco della
camorra, cui aveva voluto dedicare
il suo ultimo concerto; che prima
ancora, nasceva come forma di
solidarietà e vicinanza ad un altro
«negro», lo scrittore Roberto Savia-
no, come lei costretto all’esilio delle
idee e la frontiera della dissidenza.
“Mama� Africa� è� stata� ciò� che� per�
molti�anni�i�sudafricani�hanno�avuto�
al�posto�della�libertà:�è�stata�la�loro�
voce” ha scritto in un pezzo ap-
passionato lo scrittore napoletano,
all’indomani della sua scomparsa.
“Se�c’è� un� conforto� nella� sua� tra-
gedia�si�può�dire�che�non�è�morta�
lontano.�Ma�è�morta� vicina,� vicina�
alla�sua�gente,� tra�gli�africani�della�
diaspora�arrivati�qui�a�migliaia�e�che�
hanno� reso� propri� questi� luoghi,�
lavorandoci,� vivendoci,� dormendo�
insieme,� sopravvivendo� nelle� case�
abbandonate�nel�Villaggio�Coppo-
la,� costruendoci� dentro� una� loro�
realtà�che�viene�chiamata�Soweto�
d’Italia.� È� morta� mentre� cercava�
di� abbattere� un’altra� township� col�
mero�suono�potente�della�sua�voce.�
Miriam� Makeba� è� morta� in� Africa.�
Non� l’Africa� geografica� ma� quella�
trasportata�qui�dalla�sua�gente,�che�
si�è�mescolata�a�questa�terra�a�cui�
pochi�mesi�fa�ha�insegnato�la�rab-
bia�della�dignità.�E,�spero�pure,� la�
rabbia�della�fratellanza”.
Una rabbia mai banale del resto,
spesso costruita lungo sentie-
ri impervi e radicali. Mama Africa
era così, un concentrato di forza
e passione che lei stessa faticava
a comprendere appieno: “Mi�vedo�
come�una�formica” disse una volta,
“un’africana�del�sud�dotata�di�una�
resistenza�molto�più�grande�del�suo�
fisico.�Solo�così�ho�potuto�far�fronte�
al�peso�di�un�razzismo�che�ha�pro-
vato�a�schiacciare�il�mio�spirito”.
Aveva solo 18 giorni quando si ri-
trovò in carcere, per 6 mesi, assie-
me alla madre, rea di preparare e
vendere illegalmente birra per gua-
dagnarsi da vivere. Era solo una
ragazza di 28 anni quando, sulla
scia di quel successo improvviso
che la vide protagonista negli Sta-
ti Uniti, viene a conoscenza della
morte dell’amata madre. Miriam
vuole porgerle l’ultimo saluto, ma
non può: le autorità sudafricane le
hanno ritirato il passaporto per atti-
vità anti-governative. “Non�canto�di�
politica,�canto�la�verità”
afrodisiadi mauro Zanda
31recensioniAfrica America Asia Europa
Dal vivo è un reading e spettacolo
con musiche in presa diretta e un vi-
deo in sottofondo. Su supporto è un
libro di 69 poesie e dieci brani, stru-
mentali e recitati. “Un�lavoro�che�ha�
avuto�una�preparazione�complessa�e�
conflittuale,�ha�le�radici�ad�inizio�secolo.�Viene�naturale�il�con-
nubio�fra�poesie�e�musica,�anche�se�quest’ultima�e’�frutto�di�
un�lavoro�di�squadra.�Comunque�è�e�sarà�in�continuo�muta-
mento”, spiega Gabriele Finotti, autore del progetto. “Siamo�
tutti�un�po’�poeti...�L’arte�dello�scrivere�anche�solo�una�frase�
passionale�è�dentro�ogni�persona�che�si�ritiene�umana,�ciò�
che�cambia�è�il�saper�scrivere�e�soprattutto�amare�ciò�che�
si�sta�leggendo”. Un vero e proprio progetto multimediale,
poesia e musica. Qual è la relazioni tra le differenti espres-
sioni artistiche? “Funziona�così:�la�musica,�che�è�più�diretta,�
si� mette� al� servizio� della� poesia� per� renderla� più� libera� ed�
efficace”.� [Antonio�Blasi]
GaBrIELE FINOTTIcAosduemilA[ZonA/level 49]
hip-hoppers che dalla Nigeria,
dal Mali e dal Senegal battono
il tempo della loro pro . Ché
di questo il disco tratta. Le
liriche ci sono, i suoni anche.
Con Emmanuel Jal in testa e
la scena di New York negli oc-
chi.� [Gianluca�Diana.]
KarL poTTer
percuSSion group
DANZA RELOADED
[Finisterre]
A Oltre tre anni di distanza
viene rieditato il disco, ormai
introvabile, “Danza” [2005]
con l’aggiunta di brani nuovi,
due remix e una versione live
di Jolly Mensah di Babatunde
Olatunji. Potter riafferma la sua
melting pot music nelle colla-
borazioni di Ruggero Artale,
Roberto Genovesi e di un
numeroso, quanto prezioso,
gruppo di vocalist femminili.
Le radici afroamericane, la ver-
satilità di generi, la simpatia,
oltre che la bravura dell’artista,
traspaiono in questo disco dal-
l’ascolto immediato.
� [Guido�Gaito]
aa.vv.
IN THE NAME OF LOVE-
AFRICA CELEBRATES U2
[Wrasse Records/Shout
Factory]
Dodici incisioni di artisti afri-
iBrahiM MaaLouf
DIASPORAS
[Ponderosa/I.r.d]
Libanese, classe 1980
Maalouf è un figlio d’arte ma
soprattutto trombettista dal-
le solide credenziali anche di
matrice classica. Per questo
debutto ponderato in tre anni
ha fatto le cose in grande sco-
razzando da un capo all’altro
del mondo per registrare con
un esercito di musicisti [più di
30 in totale] in situazioni diver-
se. Il risultato è inevitabilmente
frammentario con l’aggiunta
di qualche sentimentalismo
di troppo e l’aggravante
di anacronistiche drum-ma-
chine. Ma la stoffa c’è e con
una produzione più illuminata
il ragazzo farà parlare bene di
sé. Modestia permettendo.
� [Vittorio�Pio]
u-cef
HALALWOOD
[Crammed/Materiali sonori]
Il futuro che accoglie la tradi-
zione, i bassi profondi ed ip-
notici che si amalgamano agli
strumenti del Marocco. E poi
Demon Albarn, Justin Adams
e Natasha Atlas che assecon-
dano il talento puro di U-Cef. Il
Dj Marocchino gioca con Hip
hop, la trance, mischia le carte
con suggestioni hendrixiane,
se solo il chitarrista di Seattle
fosse cresciuto nei vicoli di
Rabat. Sarebbe interessante
vederlo nelle vesti di cartogra-
fo a ridisegnare i confini del
mondo.� [Andrea�Scaccia]
iSSa BagaYogo
MALI KOURA
[Six Degrees/Family Affair]
Misticanza della migliore tradi-
zione: N’goni e vocalità sono
puramente tradizionali, il resto
per niente. Dal Mali ai beat
elettronici. Produzione perfet-
ta, sposa il ritmo del Mali con
quello del club intelligente.
Simboleggia a pieno ciò che si
muove nelle strade metropoli-
tane del Mali di oggi. Non solo,
perché a tratti compaiono fiati
liquidi, come nella migliore tra-
dizione afro beat. Un tripudio
di sonorità groove. Tra i mi-
gliori dischi dell’anno. � [A.Bl.]
BanTu, DocTa,
SiSTer fa & More
MANY LESSONS, ISLAM &
WEST AFRICA
[Piranha/AMU Music]
Nel titolo la dichiarazione
esplicita di quanto sta nel
dischetto. Grazie al nigeria-
no Bantu, ma residente in
Germania, e Sister Fa, giun-
gono un manipolo di giovani
cani che reinterpretano gli
irlandesi U2.
Ascoltandolo si può facil-
mente evitare l’idea che
sia una mera costruzione
commerciale. C’è dell’altro,
ovvero un buon disco, utile
per traghettare un pubblico
all’oscuro verso altre latitudi-
ni musicali. Grazie particolar-
mente a Vieux Farka Toure,
Tony Allen, Angelique Kidjo e
Vusi Mahalasela.� [G.D.]
STaff BenDa BiLLY
TRES, TRES FORT
[Kelle Kinoise/Crammed
Disc]
Da Kinshasa, Congo, arriva
questo ensamble costituito
da cinque musicisti paraple-
gici. Tra sezioni ritmiche
che rammentano i primi
Congotronics ed un chi-
tarrismo modello Sir Victor
Uwaifo, si collocano liriche
che parlano di emargina-
zione, malattia ed accetta-
zione della diversità. E loro
in copertina, a cavallo delle
loro wheel-chair ricavate da
vecchi sidecar. Sorrisi, rab-
bia e militanza. A loro tutto
il nostro rispetto.� [G.D.]
DuB coLoSSuS
A TOWN CALLED ADDIS
[B&w Real World]
Dub da Addis Abeba,
Etiopia. La firma in calce al
6° mondo
32
della scena North-Mississippi.
Il rischio c’era: tirar fuori un
disco scontato. Non è ac-
caduto. Quattordici brani di
puro hill-country blues, privo
di scopiazzamenti e carico di
tracce realmente autografe.
Raw ‘n’ dirty, direbbe il grande
R.L., a cui è dedicato il brano
manifesto del cd. Da avere.
� [G.D.]
roSaLia De SouZa
D’IMPROVVISO
[Schema Records/Family
Affair]
Se questo disco ha un
grande pregio è quello del-
la produzione, affidata que-
sta volta proprio a Luciano
Cantone. Tutto molto sobrio
ed elegante, musicisti fan-
tastici [Fabrizio Bosso alla
tromba e Luca Mannutza al
pianoforte su tutti].
E lei la solita grande, tra jazz
e samba con quel sapore
new o nu un può sfuocato
però. Manca quella follia che
sempre ha caratterizzato i
suoi lavori. Repertorio brasi-
leiro più che noto e persino
un brano in italiano. � [A.Bl.]
iSraeL vareLa
TIjUANA PORTRAIT
[Cavò studio]
Interessante questo giovane
musicista – batterista, com-
positore, vocalist e produt-
tore – originario del Messico,
classe 1979. Il cui lavoro ha
un approccio tipicamen-
te jazzistico [c’è persino A�
love� supreme di Coltrane
nel repertorio originale] pur
se il territorio di riferimen-
to è il flamenco. Ben suo-
nato, tanta passione, doti
che ormai è difficile trovare
insieme. Fa capolina anche
l’improvvisazione e qualche
trama mediorientale.
� [A.Bl.
orqueSTra
iMperiaL
CARNAVAL SO
ANO QUE VEM
[Ponderosa/I.r.d]
Una delle poderose risorse
del Brasile è la sua capacità
immutata di guardare al fu-
turo non dimenticando mai
le sue floride radici popolari.
È il caso di questo inebriante
progetto che coinvolge ben
19 artisti di aree differenti,
accomunati però dal tra-
sporto per la samba-gafieira
o ballerina che dir si voglia
che impazzava intorno agli
anni cinquanta.
Giovanotti di belle real-
tà come Kassin o Moreno
Veloso, nomi tutelari [Wilson
Das Neves], persino un’at-
trice [Thalma Da Freitas],
riuniti in una sorta di comu-
nità le cui idee in musica
piacciono e trascinano.
� [V.P.]
The reverenD
peYTon’S Big DaMn
BanD
THE WHOLE FAM
DAMNILY
[SideOneDummy]
Il trio dei giovani dannati ca-
pitanato da Rev. J. Peyton
giunge al quinto lavoro da
studio: strepitoso. Una del-
la realtà migliori del blues
contemporaneo: groove hill -
country ed energia punk, testi
arrabbiati [chiedere al colosso
Wal-Mart], ed adrenalina allo
stato puro. Tutto in acustico
- dobro, washboard, drums-
ma non sembra. Incontenibili,
irrefrenabili: non ascoltarli, un
peccato capitale.� [G.D.]
The KLeZMaTicS
TUML = LEBN
[Piranha/Evolution]
E venti! È tempo di celebra-
zioni per una delle più famo-
se band klezmer del globo.
Nato nel 1986 il gruppo gui-
dato dall’istrionico e geniale
Frank London licenzia con
la fedele etichetta Piranha
un’imperdibile raccolta in
cui compaiono tutti i brani di
questi venti anni di studi di
registrazione. Dal travolgente
Man�in�a�hat�fino a Shvarts�un�
ways, passando in rassegna
lavoro di Dubulah, ovvero
Nick Page. Molti di voi lo
rammenteranno con i suoi
Transglobal Underground
dapprima e con Temple Of
Sound poi. Risultato garan-
tito quindi, in una mescita
meravigliosa di ipnosi dub
ed evocazioni blues, il tutto
scritto suonato e prodot-
to con musicisti etiopi. Dal
piano di Samuel Yirga al sax
di Hailu, alla voce di “Mimi”
Zenebe.� [G.D.]
ceDric BurnSiDe &
LighTnin’ MaLcoLM
2 MAN WRECKING CREW
[Delta Groove Music]
Uno figlio/nipote d’arte della
nobile schiatta Burnside, l’al-
tro apprezzato session-man
dVd
Tinariwen
LIVE IN LONDON
[Independiente/
Ponderosa]
Il mistero dei touareg che
suonano un rock vibran-
te dalle mille sfumature ,è
solo parzialmente svelato
da questo dvd che arri-
va a compendio di una
tournèe di consacrazio-
ne in terra d’occidente.
L’imperturbabile front-
man Ibrahim Ag- Alhabib
muove le fila di un reper-
torio che pesca dagli ulti-
mi due album, abbinando
i ritmi circolari nel levare
del tamashek con il blues
primordiale e l’orgoglio
sociale, come spiegato
dall’intervista che in coda
trova il produttore Justin
Adams parlare del suo
rapporto a tutto tondo con
l’ensamble. � [V.P.]
LaDYSMiTh BLacK
MaMBaZo
LIVE!
[Heads Up/Egea]
Un gruppo già innalzato
al rango di leggenda ben
prima delle fortunate col-
laborazioni con Stevie
Wonder e Paul Simon,
trova nelle visioni del lea-
der Joseph Shabalala la
solida matrice spirituale di
un concerto ipnotico e non
solo perché i nove compo-
nenti del gruppo si trovano
in costante movimento fra i
tradizionali passi di danza
che si avvitano sui pro-
digiosi vocalizzi che ani-
mano un inno al rispetto
che si dovrebbe sempre
alla natura come Rain� rain�
beautiful� rain all’evocati-
va Shosholoza, fino alla
preghiera universale di
Amazing�grace.� [V.P.]
33
e sax di Luca Rampini, co-ar-
rangiatore.� [�G.G.]
TrigoMigo
‘SCUZà-OU AQUì
[FolkClub Ethnosuoni]
Musiche, suoni e atmosfere
profondamente radicate nel-
le Valle Variata, di tradizione
“occitana”. I musicisti, tutti
giovanissimi e residenti nella
zona, propongono un disco
di ricerca e trascrizione fedele
di brani tradizionali locali dove
emergono storie ora allegre,
ora dolcissime e struggen-
ti. Arrangiamenti originali di
Trigomigo con la collabora-
zione, nel brano La�chansoun�
nouvelo, del mandolinista
francese Patrick Valillant.
� [G.G.]
aavv
MASTERS OF TRADITION
[RTÉ lyric fm]
Trentuno tracce, distribuite in
due CD, raccolgono quaran-
tadue tra i maggiori interpreti
vocali e strumentali della tra-
dizione musicale irlandese.
Non l’ennesima antologia
pseudo-celtica ma una bella
e significativa testimonianza
del vigore delle forme musicali
popolari dell’isola atlantica.
Differenti generazioni di mu-
sicisti registrati dalla Radio
Nazionale [per informazioni e
acquisti: www.rte.ie/shop] nel
periodo 2003-2007 al festival
Masters of Traditon che si tie-
ne a Bantry, nella parte occi-
dentale della contea di Cork.
Tra le stelle presenti: Donal
Lunny, Ronan Browne, Andy
Irvine, Martin Hayes, Jacky
Daly, Mairéad Ní Dhomhnaill.
� [Ciro�de�Rosa]
BoDega
UNDER THE COUNTER
[Greentrax]
Secondo album per il gio-
vane quintetto scozzese [tre
ragazze e due ragazzi], che
si conferma ensemble di ca-
rattere e di grande versatili-
tà, dotato di forte appeal dal
vivo, in grado di muoversi tra
materiale tradizionale scoz-
zese, irlandese, quebecois e
brani contemporanei, rivisitati
con arrangiamenti energetici
ed inventivi. Decisa l’impron-
ta ritmica [chitarra, basso ed
tutto il meglio della tradizione
yiddish. Sconsigliato solo ai
possessori delle discografia
completa della band.
� [Plinio�Bonato
Sa DingDing
ALIVE
[Wrasse/Evolution]
L’oriente che incontra l’elet-
tronica, le macchine che si
fondono con lo zither ed i
gong. Una mescolanza di
testi tibetani, mandarini e
sancriti che si uniscono alla
melodia cinese, terra d’origi-
ne di Sa Dingding.
Dopo un Bbc award, una va-
langa di dischi venduti tra la
Cina e l’Europa Sa Dingdin si
candida ad essere una delle
espressioni più interessanti
del sol levante. Non è molto
frequente, ma a volte i gran-
di numeri coincidono con la
qualità.� [A.S.]
anDrea capeZZuoLi
e coMpagnia
SUONATO COI PIEDI!
[FolkClub Ethnosuoni]
Progetto originale quello di
Andrea Capezzuoli, intera-
mente dedica to alla musica
del Quebec, da non confon-
dere con quella scoto-irlan-
dese, più nota in Italia. Il titolo
dell’album deriva dall’accom-
pagnamento tipico di questa
musica tradizionale, ovvero,
la percussione dei piedi. Un di
sco ideato per stage di danza
o concerti “a ballo”. Organetti,
violini, piano [digitale], chitarre
alfamusic.comMob 349.5149330
darshan.itNew tour & CD, available in 2009
booking
nakaira.com
3�
AAVV
Vieux�farka�toure�remixed:�ufos�
over�bamako�
[Modiba/Audioglobe]
ANTHONY jOSEPH & THE
SPASM BAND
Bird��Head�Son�[Naïve/Self]
OLEX TOSSEL
Movements�[Naïve/Self]
AAVV Arriba�la�cumbia!
[Crammed/Materiali�sonori]
MATTEO SALVATORE
Popolo�de�lu�paese
[Materiali�sonori]
WATCHA CLAN
Diaspora�hi-fi�A�mediterranean�
caravan�[Piranha/Evolution]
PHIL MANZANERA
1972-2008�[Expression/Egea]
ZAïTI�Still�time�[Iris/Egea]
Da aScoLTare anche
ThierrY TiTi roBin
KALI SULTANA
[Naïve/Self]
La musica non dice mai la ve-
rità, inquadra le scene in un
certo modo e già in quello c’è
una visione parziale della realtà
che rispecchia la volontà del-
l’autore. Poi se la musica è di
Titi Robin, allora espone questa
bugia, moltiplicandola all’infinito
per realizzare qualcosa che sia
il più lontano possibile dal rea-
lismo ma che sappia contem-
poraneamente coinvolgere. Le
possibilità creative legate ad
uno stile visionario come quel-
lo esibito dal multistrumentista
e compositore ben si espli-
cano in questo doppio album
nel quale si rimane dapprima
increduli, ma se si resiste un
poco alla fine si è coinvolti e
soggiogati dal miscuglio mera-
viglioso di idiomi mediterranei
che si incontrano lungo il trac-
ciato. Un museo di strumenti di
diversa estrazione, l’abolizione
dei confini tra musica improv-
visata e scritta. Un lavoro intro-
spettivo, sognante.� [A.Bl.]
occasionali tocchi di djembe],
melodie incentrate sugli stru-
menti cardine della tradizione
caledone [cornamusa, violino,
fisarmonica, clarsach, whistle],
potente ed efficace la voce di
Norrie MacIver, che si espri-
me sia inglese sia in gaelico.
� [C.d.R.]
MouSSu T e Lei
JovenTS
HOME SWEET HOME
[Le chant du monde/Egea]
Tra guepiere anni trenta, chan-
son marsigliese, musica nera,
umori provenzali e suggestioni
occitane Home� sweet� home.
Uno splendido viaggio nelle tra-
dizioni, senza aver paura dell’in-
contro, aperti al mondo e pronti
a ricevere dal mondo, in piena
tradizione portuale. Si prendono
i rischi Tatou e soci, trascinati dal
banjo di Blu, a testimoniare che
alla musica le etichette stanno
strette. Un disco che colpisce
nel segno, elegante e coinvol-
gente come pochi.� [A.S.]
rione Junno
TARANTBEATPROjECT
[Nut/Cni]
Se un disco d’esordio è una
dichiarazione d’intenti, da
Rione Junno c’è da aspettarsi
molto. Electro taranta di gran-
de fascino, Tarantabeatproject�
è un album che sa attingere
dalla tradizione con la consa-
pevolezza che solo attraverso
le proprie radici si può guar-
dare al futuro. Senza dimenti-
care che musicisti del calibro
di Eugenio Bennato - tanto
per nominare a caso una del-
le mille collaborazioni – hanno
deciso di incrociare le proprie
strade con questi sei ragazzi.
Risultato assicurato.� [A.S.]
SMoKe
ROUTES [Way Out/Edel]
Bella questa seconda opera
degli Smoke, band reggae
che tuttavia qui si discosta
dai mari calmi e noti per
disegnare rotte che conflui-
scono nel roots più spinto,
nel quale i punti di riferi-
mento spesso cambiano,
ma dove tuttavia è il soul,
specialmente evocato dalla
voce, a farla da padrone.
Diciassette tracce che scor-
rono bene, ricche di trovate
[campioni ed altro], che na-
scondono testi impegnati,
duri e profondi. � [A.Bl.]
BarBapeDana
GHETTO KLEZMORIM
[Evolution]
Sesto album per lo stori-
co guppo treviginano, sulle
orme del grande tradizione
Klezmer, oggi come tren’anni
fa per un progetto impedibi-
le. Undici brani che parlano
di unificazione, di supera-
mento delle differenze attra-
verso la musica. I cantastorie
– traduzione in piemontese
di Barbapedana – sono tra-
volgenti, infiammano certo,
sanno struggere, malinconia
e felicità che si inseguono,
raccontando quelle che sono
le caratteristiche proprie del-
l’animo umano e, perché no,
della musica� [A.S.]
fanfara ciocarLia
QUEENS & KINGS
[Asphalt Tango/Materiali
sonori]
La fanfara Ciocarlia è tornata.
La grande band gypsy rume-
na, una delle più travolgenti
del panorama internazionale,
continua a far parlare di sé
con il nuovo“Queens�&�Kings”.
Arrivati al quinto album, a due
anni di distanza dal successo
di “Gili�Garabd”, il guppo ripar-
te dai terriori musicali più cari,
fondendo la musica zingara
con umori funk o flamenco,
senza troppo preoccuparsi
delle fonti quanto della funzio-
nalità dei materiali adoperati.
Ad accompagnarli in questo
viaggio alcuni degli esponenti
più interessanti della musica
dell’est Europa, dal serbo Sa-
ban Bajramovic passando per
il macedone Esma Redzepova
(Macedonia) e Jony Iliev.� [P.B.]
JuSTin aDaMS &
JuLDeh caMara
SOUL SCIENCE
[Ponderosa/Ird]
Proseguono le sperimentazioni
di Adams, mente fertile in pas-
sato già al fianco di Natacha
Atlas e Robert Plant, oltre che
essere attuale produttore dei
travolgenti Tinariwen. In pie-
na coerenza con questa sua
attuale passione, il chitarrista
ha scelto di farsi accompa-
gnare da un griot originario
del Gambia che trae dal “rit-
ti”, sorta di violino arcaico,
dei suoni molto evocativi che
ben si abbinano allo scarno
rock-blues di base. Shuffles
e boogie di altri tempi si inse-
guono occhieggiando ad altri
strumenti di tradizione [kora]
oppure di estrazione occiden-
tale [basso elettrico] creando
un percorso sorprendente che
merita attenzione e sopratutto
diffusione. Attenzione al boo-
klet, che prevede persino la
trduzione dei testi, come più o
meno si fa sempre nella pas-
sione che contraddistingue la
coraggiosa label.� [V.P.]