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www.gamberorosso.it Allegato al Gambero Rosso 251. Poste italiane S.p.A. spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1 comma 1, DCB Verona & FUOCO POESIA LE RICETTE DELLE FESTE DI ROBERTO PETZA ® VIGILIA cabi soffocau cun lardu crema de cabi soffocau e gelato di ricci suppas (matzamurru) crema di fave e bieda selvatica baccalà in due cotture pai ‘e saba pirikitus NATALE fegatini di agnello e saba zuppa di fregua e collo ripieno tallutzas con ragu di agnello maialino e cardi gelato di grano arso e pirikitus CAPODANNO uovo e cardi pesce povero, bottarga e pai ’e saba ravioli di zucca cotechino… di testa dolce come un maialino

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LE FESTE A CASA PUDDU &FUOCO

POESIALE RICETTE DELLE FESTE DI ROBERTO PETZA

®

VIGILIA cabi soffocau cun lardu • crema de cabi soffocau e gelato di ricci • suppas (matzamurru) • crema di fave e bieda selvatica • baccalà in due cotture • pai ‘e saba • pirikitus NATALE fegatini di agnello e saba • zuppa di fregua e collo ripieno • tallutzas con ragu di agnello • maialino e cardi • gelato di grano arso e pirikitus CAPODANNO uovo e cardi • pesce povero, bottarga e pai ’e saba • ravioli di zucca • cotechino… di testa • dolce come un maialino

Baratti & Milano Torino 1858 - Bra (Cuneo)

Il Gianduiotto Baratti & Milano nasce a metà ‘800,

quando il blocco continentale imposto da Napoleone

aveva reso il cacao prezioso come l’oro. L’idea di unire al

cacao un frutto di casa, la nocciola, si rivela subito

geniale: ed ecco nel 1865 i primi “Gianduia”, c h e d i v e n -

t a n o p re s t o “ G i a n d u i o t t i ” co n l a lo ro inconfondibile

f o r m a a b a rc h e t t a ro v e s c i a t a . O g g i i l G i a n d u i o t t o

Baratt i & Milano è l’erede di tanta squisita tradizione:

le migliori varietà di cacao

e la preziosa nocciola

“Tonda e Gentile”.

Gambero Rossodicembre 3

Gambero Rosso Holding S.p.A.via Enrico Fermi 16100146 Romatel +39 06 55 11 21

Copyright 2012Gambero Rosso Holding S.p.A.tutti i diritti riservati

SEGRETERIA DI REDAZIONE E COORDINAMENTO FOTOGRAFICORossella Fantina

TESTI Stefano Polacchi

FOTO Francesco Vignali

ALLEGATO A GAMBERO ROSSO N. 251Registrazione Tribunale di Roman. 214 del 26-4-89 e. n. 3646 vol. 37 foglio 361 del 20-3-92 del Registro Nazionale della Stampa

DIRETTORE RESPONSABILEEmanuele Bevilacqua

Stampato da Mediagraf S.p.A. viale della Navigazione Interna 89 Noventa Padovana (PD)

le feste con Roberto Petza

vigilia

i dolci

natale

capodanno

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Gambero Rossodicembre 5

le feste con Roberto Petza

«Mio nonno faceva il falegname e io volevo fare il falegname, come lui. Però sia mia

ma� a � e mio nonno me lo hanno impedito in tu� i i modi. Dopo le scuole medie, mi

iscrissero alle magi� rali, ma io mi ero già iscri� o per conto mio all’alberghiero di Al-

ghero: dovevo superare una selezione molto rigida per poter accedere al convi� o. E alla fi ne

ce l’ho fa� a». In que� e po� e parole, pronunciate con leggerezza e col sorriso sulla bocca,

Robe� o Petza rac� iude la sua � oria. In eff e� i c’è tu� o, an� e il suo essere un Pinoc� io dei

tempi moderni, Pinoc� io e Geppe� o insieme, outsider e crea� vo, profondo e legato alle radi-

ci della sua terra e delle sua gente, ma senza farsene soff ocare, mai. Giramondo, viaggiatore

apprendi� a per anni e anni, dall’Inghilterra, alla Spagna, dalla Francia alle Dolomi� .

Abbiamo scelto lui per farci guidare tra i fornelli delle fe� e più belle dell’anno, le più

vissute, le più calde, le più in� me. Per� é l’in� mità e il calore sono le cifre più emozionan�

della cucina di Robe� o Petza. Per� é lui è lega� ssimo alla sua � oria, alle tradizioni della

sua terra, senza per que� o impedirsi di girare il mondo e di imparare sempre, ovunque, da

� iunque. E se la sua cucina ri� iama insieme la terra e il mare, la Sardegna e l’Oriente, non

c’è da � upirsi. Robe� o appa� iene alla categoria dei poe� , dei mene� relli, degli a� igiani. E

dei sardi di mondo.

AZIENDA SPECIALE DELLA CAMERA DI COMMERCIO DI VICENZA

Gambero Rossodicembre 7

La cucina di Roberto richiama insieme la terra e il mare, la Sardegna e l’Oriente, ma non c’è da stupirsene: Roberto appartiene alla categoria dei poeti, dei menestrelli, degli artigiani. E dei sardi di mondo.

«Mio nonno faceva il falegname, anche io volevo fare il falegname... Me l’hanno impedito, ma sono riuscito a seguire la mia strada: così faccio lo chef.

8Gambero Rosso dicembre8Gambero Rosso dicembre

«Nella mia vita ho fatto sempre il ladro di esperienza – confessa lo chef – non ho mai chiesto quanto mi avrebbero pagato nei ristoranti dove mi sono presentato per lavorare: ho sempre imparato, ho visto, ho fatto… Fino a quando, nel 1999, è iniziata

l’avventura di S’Apposentu». Prima a San Gavino, il suo paese di origine, nel Medio Campidano; poi al Lirico di Cagliari, esperienza bella, ma allo stesso problematico. Tanto che Roberto ha dovuto lasciare il teatro: e il ristorante del Lirico è chiuso da cinque anni. Ma lo chef non si perde d’animo. Ed ecco S’Apposentu a Casa Puddu, a Siddi, di nuovo nel Medio Campidano, di nuovo in Marmilla, ma questa volta con un progetto ambizioso: un’Accademia di Alta Cucina, una Fondazione per il rilancio della gastronomia e dell’agroalimentare in Sardegna, una scuola per la formazione e l’inserimento lavorativo dei giovani che escono dagli istituti alberghieri.

La forza di Roberto e del suo insegnamento è la convinzione e la pratica di una cucina sartoriale, una cucina fresca, all’impronta, fuori dagli schemi, fatta su misura per gli ospiti, fatta su misura per le storie che vuole raccontare. Tutte le preparazioni cominciano nei campi, nel mare e continuano nella sua cucina, si arricchiscono di racconti, di complessità e finiscono nei piatti, semplici, diretti, emozionanti soprattutto. Sapori, profumi, consistenze con cui Roberto sa emozionare, creando continuamente racconti leggeri e veri, carichi di vita, con un tocco che in passato abbiamo definito femminile e che ora si percepisce ancora di più e si traduce in una leggerezza, in un’ironia, in una assenza di giudizio che non è mai neutra ma che invita ad andare oltre… Insomma, quella di Roberto è una cucina di grandissimo artigianato che in molti casi diventa arte, quando riesce a sintetizzare e a rimandare sensazioni universali che colpiscono il cuore e che aprono punti di vista nuovi e inediti. Roberto è una risorsa per la Sardegna, per la Marmilla, per i giovani cuochi.

«Ho sempre fatto il ladro di esperienze. Ho sempre imparato, ho visto, ho fatto. Poi è iniziata l’avventura di S’Apposentu».

lo chef. Fuoco & Poesia

8Gambero Rosso dicembre

10Gambero Rosso dicembre

«QUI SIAMO in piena Marmilla, terra di grano, di legumi e di mandorle, tantissime mandorle» racconta Roberto mentre entriamo a Baressa. Stiamo andando a vedere le aziende dei suoi amici, tutti molto vicini e allo stesso tempo sparsi in tre province (Oristano, Cagliari e Medio Campidano), perché qui siamo proprio al crocevia dei confini. A Baressa ci accolgono due splendidi murales, e la scritta: il paese delle mandorle. «Era tutto un mandorleto senza fine, la marmilla che ricordo io da bambino – fa Roberto – mandorle e campi di grano. Ormai purtroppo molto è stato abbandonato. Però si può lavorare molto su questi due elementi: c’è una seria ripresa della lavorazione del grano duro antico e ci sono progetti sui mandorleti: il valore aggiunto è che qui è davvero tutto biologico, anche senza certificazioni, anche molto più che biologico!». Intanto – mentre attraversiamo Ussaramanna, il paese degli olivi secolari e centro di produzione di ottimo olio extravergine di oliva, da cultivar bosana e pitz’e carroga – ci scorre da un lato la giara di Siddi, l’altopiano dove sta il museo del territorio; dall’altro la giara di Gesturi, l’altopiano famoso per i cavallini selvatici. Come si percorre qualche chilometro, qui si inciampa sulla storia – come ad Ales, patria di Antonio Gramsci e patria di Liccu Manias e di suo nipote Gigi, che oltre a tenere una bella biblioteca gramsciana produce anche uno dei migliori mieli d’Italia – e sulla cultura materiale di una terra ricchissima, purtroppo lasciata a se stessa, che deve rialzare la testa e puntare sulle sue eccellenze, quelle vere, quelle profonde, quelle che hanno fatto la storia di questa terra.

il terroir. La Marmilla, un cuore di grano e mandorle

GIANFRANCO MASSA, da anni impegnato nel campo della formazione professionale, è il socio e il sostenitore più convinto di Roberto Petza e del fatto che lui sia una risorsa vera per l’isola. Si sono incontrati e conosciuti tredici anni fa: Roberto era appena tornato in Sardegna e aveva aperto da pochissimo S’Apposentu a San Gavino. Gianfranco, appassionato di cucina, lo ha subito eletto a suo cuoco preferito. Del resto in quaranta minuti da Cagliari arrivava alla tavola di Roberto. Poi lo ha seguito al Lirico. E da lì il grande passo insieme: «Un giorno di quattro anni fa, nell’accompagnare una troupe di Australiani che facevano un documentario sulle paste fresche della Sardegna – ricorda Roberto - per puro caso ho scoperto Casa Puddu. Mi ha subito affascinato e ho buttato giù di getto un progetto che ho fatto vedere a Gianfranco.

10Gambero Rosso dicembre

Fondazione Casa Puddu. Il futuro, dai campi e dai fornelli

12Gambero Rosso dicembre

Che ha immediatamente condiviso l’idea: una Fondazione Casa Puddu, nella vecchia residenza della famiglia che per anni e anni era stata il centro della vita di Siddi, con il pastificio intorno a cui ruotava il reddito di quasi tutte le famiglie dei 700 cittadini. «La Marmilla ha una grande vocazione agroalimentare, anche se da anni è molto abbandonata – racconta Gianfranco – Il legame con Roberto punta a creare un volano che rilanci la produzione nei campi, nei laboratori, nelle cucine, cercando di unire il più possibile insieme amministrazioni, enti, imprese intorno a questi obiettivi: sviluppo, territorio, ambiente, cultura, turismo, ricerca. Il legame con Roberto è fondamentale per riuscire a creare un’accademia di alta cucina che punti a formare giovani cuochi e legarli all’uso dei prodotti di eccellenza del territorio». Nella testa di Gianfranco, che segue direttamente le attività formative, il lavoro dell’Accademia e della Fondazione deve portare

alla mappatura delle risorse esistenti e dei bisogni al livello delle singole competenze, sia nel mondo del turismo che in quello agroalimentare, in modo da avere modelli e obiettivi concreti per mirare la formazione delle singole figure professionali e tecniche rispetto alle esigenze concrete. «Su questo terreno dell’agroalimentare e dell’alta cucina, e quindi del turismo che a questi settori è sempre più legato, noi di Casa Puddu puntiamo a essere un centro di riferimento regionale per progetti e percorsi di sviluppo. Casa Puddu deve essere un modello da replicare in altre zone e su altri settori, dal tessile all’artigianato artistico. L’Accademia è al secondo anno. Entro la primavera partiranno tutte le altre iniziative di formazione. E nel 2013 il pastificio deve diventare un vero e proprio centro di ricerca e di produzione legato anche alle attività di Porto Conte Ricerche, il centro di ricerche agroalimentari partecipato dalla Regione e che ha a Siddi suoi laboratori in via permanente». Progetto in cui il Comune di Siddi è da sempre in prima fila.

«Noi di Casa Puddu puntiamo a essere un centro di riferimento regionale per progetti e percorsi di sviluppo. Casa Puddu deve essere un modello da replicare in altre zone e su altri settori, dal tessile all’artigianato artistico»

14Gambero Rosso dicembre

PROTAGONISTI. Il grano della Marmillacoop. Madonna d’Itria tel. 348 4215 588 Villamar (VS)

LA MARMILLA era una delle patrie del grano duro. Il Senatore Cappelli era la varietà migliore. «Grande spiga, è uno spettacolo, bellissimo sul campo con quei baffi alti e densi: non serve diserbare, le spighe fanno ombra e le infestanti non crescono – racconta Efisio Rossi, direttore e coordinatore della rete di filiera – Peccato che sia stato dismesso: poco produttivo! Noi però abbiamo dato vita a un progetto che punta a riprenderne la coltivazione, una rete di filiera per il grano duro della Marmilla e del Sinis. Come azienda ne produciamo 50mla quintali che salgono a 85mila come rete di filiera: coltiviamo, raccogliamo e trasformiamo, una parte la maciniamo anche a pietra tradizionale e garantiamo una retribuzione minima garantita ai produttori che aderiscono al disciplinare e al progetto». Con il Senatore Cappelli, la cooperativa Madonna d’Itria produce pane

Il Senatore della Marmilla

carasau e guttiau, fegola, strozzapreti, malloreddus, gnocchetti sardi, rigatoni, le creste di gallo (tipiche di Masullas dove le chiamano Craboristas: ottime condite con sugo di galletto e rigagli). E poi altri formati come le sampe de gattu, originarie di Carloforte e derivate dalla tradizione genovese.

Gambero Rossodicembre 17

«Un giorno di quattro anni fa, ho scoperto Casa Puddu. Mi ha subito affascinato e ho buttato giù di getto un progetto che ho fatto vedere a Gianfranco. E lui ha immediatamente condiviso l’idea»

«Fondazione Casa Puddu, nella vecchia residenza della famiglia che per anni e anni era stata il centro della vita di Siddi. E che oggi, grazie anche agli sforzi del Comune, vuole essere una nuova spinta propulsiva».

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Gambero Rossodicembre 19

I PIATTI

Cabi soffocau cun lardu

Crema de cabi soffocau e gelato di ricci

Suppas (matzamurru)

Crema di fave e bieda selvatica

Baccalà in due cotture

VIGILIA «Era l’attesa dell’evento, si mangiava di magro. Di magro voleva dire senza carne: carne rossa, vera. Ma non si rinunciava al lardo! Del resto, i cavolfiori e le verdure invernali andavano arricchite. E per un’isola di terra, sempre molto scanzonata e in fondo laica, la scappatoia di buonsenso anche in cucina c’era sempre!»

Gambero Rossodicembre 21

4 piccoli cavolfiori1 spicchio di aglio2 fette di lardo dello spessore

di 2 mm20 olivette denocciolate20 cubetti di pane civraxiu

(pagnotta tradizionale)un mazzetto di erbe aromaticheolio extravergine di oliva,

sale e pepe

PULIRE i cavolfiori e tagliarli a pezzettini (o a metà se sono molto piccoli) e metterli a stufare in una pentola incoperchiata con olio extravergine di oliva e uno spicchietto di aglio, dopo avergli fatto prendere colore all’esterno. A parte, far croccare le fettine di lardo a pezzi, insieme ad alloro, rosmarino, maggiorana, timo, aggiustando di sale. Bruscare i cubetti di mollica di pane, senza aggiungere grassi. Quando il cavolfiore è pronto, unirlo al lardo

alle erbe e farlo aromatizzare per qualche minuto sul fuoco. Intanto mettere un po’ del sughetto del lardo nel pane abbrustolito e passarlo ancora un po’ sul fuoco. Alla fine, aggiungere le olive al cavolfiore. Adagiare i pezzi di cavolfiore nel piatto, sistemare intorno il pane con qualche oliva e guarnire con qualche pezzetto di lardo croccante e le foglioline di erbette insaporite. Finire con un giro di olio extravergine»

ricettaper cabi soffoccau cun lardu

Cabi soffoccau cun lardu

VIG

ILIA

«Il cavolfiore in Sardegna è diffusissimo, tutti lo avevano nell’orto: era la verdura più comune a tutte le famiglie. La Sardegna è terra, non mare! E cavoli, broccoli, verze e cavolfiori sono le verdure invernali per eccellenza. Si fa stufare in casseruola, col coperchio e a fuoco lento, finché, appunto, non soffoca con la sua stessa acqua. Il lardo era l’elemento di arricchimento e dava l’idea della festa. Nella ricetta tradizionale il cavolo si cuoce fino a diventare una poltiglia, una crema. Io invece voglio mantenerlo nella sua integrità, per goderne meglio il sapore».È una sorta di variante “povera” dell’insalata di rinforzo partenopea, con il lardo al posto della carne e le olive – che hanno una particolare nota acidula – al posto dell’aceto.

22Gambero Rosso dicembre

«È la versione moderna della ricetta tradizionale. Il riccio porta il sapore e il profumo del mare nella carnosità vellutata del cavolfiore: perché è vero che la Sardegna è terra, ma è anche vero che ormai è pure mare! E cosa cerchi quando sei a mare? I ricci, i frutti di mare, il profumo del mare. Il crostino invece serve a dare croccantezza e a sottolineare il gioco, oltre ad essere il fil rouge che lega questo piatto a quello tradizionale, che si accompagnava con la pagnotta tradizionale del Campidano, il civraxiu. Sì, perché il carasau che ora si trova ovunque, era originario del Nord, della Barbagia. L’altro legame con la tradizione è la crema di cavolfiore, che in questo piatto torna all’antica consistenza».

PER LA CREMA DI CAVOLFIORI

1 cavolfiore freschissimo di circa 800 g

1 spicchio d’aglio3 cucchiai d’olio extra vergine

d’oliva½ bicchiere d’acquasale e pepe q.b.olio extravergine di oliva

PER IL GELATO DI RICCI

200 g di polpa di ricci freschissima

4 cucchiai di olio extra vergine d’oliva

sale e pepe 60 g d’acqua

ALTRI INGREDIENTI

100 g di mandorle pelate, tagliate a listarelle e tostate in forno

cubetti di pane civraxiu tostati in padellala scorza di mezzo limonegermogliinsalatina a taglioerbe aromaticheolio extravergine, pepe, sale di Maldon

IN UNA PENTOLA capiente mettere l’olio, l’aglio, l’acqua e il cavolfiore tagliato a pezzetti, far stufare per circa mezz’ora a fuoco vivace. Una volta che il cavolfiore è ridotto a una consistenza morbida, aggiustare di sale e frullare, passare il tutto al setaccio e conservare al caldo.Mettere la polpa di riccio nel secchiello del pacojet aggiungere l’olio, l’acqua, poco sale e il pepe, mettendolo poi in congelatore fino al completo congelamento. Passare al pacojet e tenere da parte al freddo.Se non si ha il pacojet, frullare tutti i componenti e farli congelare nei contenitori per fare i cubetti di ghiaccio. Quindi metterli nel

frullatore alla massima velocità uno a uno: meno potente è il frullatore, più piccoli dovranno essere i cubetti. Frullare e conservare al freddo. Condire le mandorle con un filo di olio extra vergine, scorze di limone grattugiate e sale marino grosso appena pestato e tenere da parte.Prendere quattro fondine e riempire il fondo con la crema di cavolfiore, sistemare le mandorle e i cubetti di pane civraxiu lasciando al centro lo spazio dove adagiare la quenelle di gelato di ricci, decorare il tutto con i germogli, l’insalatina, le erbe aromatiche, i petali di fiore e un filo d’olio extra vergine d’oliva aggiungendo un pizzico di sale di Maldon sul gelato.

Crema di cabi soffoccau con gelato di ricci

24Gambero Rosso dicembre

«Tutti i piatti in Sardegna erano di recupero. In origine, prima dell’avvento del pomodoro, questa preparazione era molto sostanziosa: a base di lardo, brodo di pecora, pecorino e pane fatto rinvenire in acqua. In ogni zona, poi, si usavano i pani locali che non si sfarinano in acqua: carasau, pane zichi, pane pistoccu, coccoi... Tutti di semola di grano duro e molto consistenti. Nel Campidano si utilizzavano il civraxiu o il coccoi raffermi. Oggi, il pomodoro prende il posto del lardo sciolto alleggerendo un piatto che si usava soprattutto nei giorni di magro».

Gambero Rossodicembre 25

Suppas(in cagliaritano: matzamurru) ingredienti

4 fette di pane civraxiu o coccoi8 sardine 10 pomodori appesi1 cucchiaio di mandorle tagliate

a listarelle e tostatebasilico, prezzemolo e

peperoncino¼ di spicchio d’aglioolio extra vergine di oliva, sale

e pepe qb

pecorino stagionato da grattugia

Sbollentare i pomodori in acqua, pelarli e si solettarli, quindi tagliarli a dadini. Sfilettare le sardine e mondarle perfettamente dalle

spine. Far saltare i pomodori a fuoco vivo in padella con olio, aglio e peperoncino. Aggiungere una foglia di basilico a pezzi. Far bollire le fetta di pane in acqua finché non si ammorbidiscono. Aggiungere i filetti di sardina fatti a pezzi ai pomodori, con un po’ di basilico tritato, far scaldare giusto per amalgamare e far prendere sapore. Togliere dal fuoco e aggiungere scagliette di mandorla. Adagiare le fetta di pane scolate nei piatti, disporre sopra e la salsetta di pomodori, le mandorle e le sardine appena scottate. Finire con una grattata di pecorino e un giro di olio.

IL SALE. Per Roberto il

sale è fondamentale. E

si arrabbia moltissimo

quando, cucinando per la

brigata di cucina, i suoi

aiutanti ne mettono troppo.

A differenza di altri suoi

colleghi, poi, Roberto sala le

preparazioni subito, all’inizio

della cotture. «Sì, per me è il

primo elemento! Altrimenti il

cibo non lo prende più come

dovrebbe. Trovo che non

abbiano senso i discorsi sulla

perdita dei liquidi. È stato

infatti provato che mettere

all’aria un pezzo di carne

senza sale e uno salato non

comporta alcuna differenza

nella perdita di liquidi».

Tanto che lo chef si prepara

da sé molte cose col sale:

dalla bottarga al baccalà.

VIG

ILIA

26Gambero Rosso dicembre

IL FORMAGGIO ACIDO

«Era il condimento per zuppe

e minestre di verdura: dà

una piacevole e fresca nota

acida e si scioglie al calore

come una pasta filata.

Viene preparato prima dei

formaggi da conservare:

appena la cagliata precipita

e si coagula, si rompe e si

forma la formaggella; si fa

spurgare un po’ il siero. si

sforma e si lascia per mezza

giornata nel siero acido a

40°. Non ha sale e quindi

rimane un elemento neutro

rispetto alla sapidità del

piatto».

Crema di fave e bieta selvaticaingredienti:

500 g di fave ammollate e sgusciate

2 fette di lardo tipo Colonnata3 scalogni affettati a julienne1/2 spicchio d’aglioun rametto di finocchietto

selvaticouna foglia d’alloro 2 litri d’acqua 4 foglie di bietola selvatica20 cubetti di formaggio acidoolio extra vergine d’oliva, sale e

pepe di mulinello

Preparare un soffritto con olio e un po’ di lardo, scalogno tritato, aglio e il gambo di finocchietto selvatico. Aggiungere un po’ di acqua, mentre

il soffritto va, per prolungarne la cottura e far tirar fuori tutto il sapore allo scalogno e al finocchietto. Aggiunge quindi l’acqua e mettere le fave sgusciate a cuocere: se ammollate bene, in mezz’ora dovrebbero cuocersi e diventare come un pure. Passare tutto al frullatore e poi al setaccio o al colino cinese. Affettare i gambi e le foglie della bietola selvatiche; sbollentare prima i gambi e alla fine aggiungere, per una veloce lessata, le foglie. Saltare le bietole in una pentola con un po’ì di olio e uno spicchio di aglio, aggiustare di sale. Disporre la crema di fave nel in una fondina, guarnire con le bietole saltate e i dadini di formaggio acido condito con olio e sale. Un giro d’olio e di pepe per terminare.

LUSSO QUOTIDIANO

28Gambero Rosso dicembre

Baccagliari. Crocchetta e scaloppa di baccalà

PER LE CROCCHETTE

100 g di baccalà con la pelle dissalato e spinato

1 patata media tagliata a fette grosse

2 scalogni2 foglie di basilico1 rametto di timo1 foglia di alloro1 spicchio d’aglio1 rametto di prezzemolo5 grani di pepe neroolio extra vergine d’oliva, sale e

pepe1 uovopane grattugiato

grossolanamente

PER IL BACCALÀ IN UMIDO

4 scaloppe di merluzzo da circa 100 g ciascuna (messo sotto sale per 30 minuti)

100 g di pomodorini confit (o di pomodori appassiti)

1 cucchiaio d’aceto di vino rossoolio extra vergine e sale grosso30 g di capperi dissalati2 foglie di basilicofoglie di timo e di basilico

limonato

La crocchetta: mettere in una pentola a bollire l’acqua con sale (da regolare in base alla sapidità del baccalà), cipolla, prezzemolo, basilico, scalogno, aglio e 2 grani di pepe.

«E da sempre un pesce “di terra”, il protagonista dei pranzi di vigilia, l’elemento di ricchezza e di sontuosità sulle tavole di campagna, la scorta di proteine e nutrienti preziosi. Il baccalà si preparava in genere in umido, con una salsa di pomodoro. Io, per dare risalto a un elemento del territorio importante, utilizzo un bel merluzzo fresco. Dando leggerezza e profumo, senza perdere i sapori che mantengo intatti e separati, riconoscibili».

Aggiungere due patate tagliate a fette grandi. Far cuocere bene la verdura e le patate, aggiungere a fine cottura il baccalà e spegnere il fuoco; far riposare per almeno 15 minuti, quindi passare tutto al mixer: deve uscire un composto abbastanza fluido che va fatto freddare; comporre con il composto freddo, aiutandosi con due cucchiai, le quenelle di baccalà mantecato: congelarle per poterle poi panare. Al momento di comporre il piatto, togliere le quenelle dal freezer, pareggiare bene le forme, e passarle prima nell’uovo sbattuto e poi nel pane grattugiato: ripetere due volte l’operazione per essere sicuri che le quenelle siano perfettamente e

Gambero Rossodicembre 29

omogeneamente panate. Friggere in abbondante olio extra vergine di oliva.

LA CREMA: se avete i pomodori appassiti interi, sbollentateli e spellateli come fossero freschi, quindi fateli a dadini. Altrimenti, mettere in un tegame i pomodorini confit (o anche un mix tra i due tipi di pomodoro) con sale, olio extra vergine di oliva, aglio e due foglie di basilico. Far andare per qualche minuto finché il pomodoro non diventa cremoso e ben amalgamato. Alla fine, aggiungere un po’ di acqua di cottura del baccalà, un filo di olio di oliva e una spruzzata di aceto di vino buono. La salsa deve essere abbastanza densa.

LA SCALOPPA: Sfilettare il merluzzo, pulirlo bene dalle spine e farlo riposare sotto sale in frigo per 30 minuti; quindi lavarlo bene e asciugarlo, poi ungerlo con un po’ di olio. Farlo colorare in una padella antiaderente o di ferro. Alla fine, lasciarlo sul fuoco per un paio di minuti con qualche cappero ammollato. Disporre la scaloppa di merluzzo nel piatto, sistemare accanto una quenelle di salsa e guarnire il pesce con i capperi e un filo d’olio. Adagiare nel piatto anche la crocchetta e guarnire con foglioline di basilico limonato.

VIGILIA

Gambero Rossodicembre 31

I DOLCI «Non ci sono dolci tradizionali strettamente legati a queste feste invernali. In Sardegna i dolci sono essenzialmente a base di farina, uova e all’80% di mandorle». Così Roberto ha invitato a Casa Puddu Annamaria Atzeni – una delle leader dell’associazione di donne che a Siddi mantengono in piedi la tradizione della pasta e della pasticceria – per realizzare insieme due dolcetti invernali, tratti in modo rigoroso dal suo ricettario di famiglia che da generazioni e generazioni si tramanda di madre in figlia.

32Gambero Rosso dicembre

La saba Partendo da 10 litri di mosto, spremere l’uva e passare il succo al colino; mettere il succo a bollire con 6 - 7 mele fatte a pezzi, pulite e senza semi (le cotogne o lo golden), e la buccia di 4 arance. Far bollire a fuoco medio, girando spesso, fino a ridurre il tutto a un massimo di 2 litri (la cottura dura diverse ore, anche tutto il giorno). Mettere lo sciroppo nei vasi di vetro: si conserva così pronto all’uso.

Pai ‘e sabaper 25 ciambelle circa: 1 kg di farina 2 kg uva passa 2 kg mandorle pelate e tritate

grossolanamente 100 g di lievito di birra saba

semi d’anice macinati, cannella in polvere, la buccia di 4 arance grattugiata

Sciogliere in una boule il lievito in acqua tiepida, quindi aggiungere gli ingredienti a poco a poco e continuare a impastare con la saba

«Questi dolci sono tipici delle famiglie del paese, è piacevolissimo gustarli come sono – spiega Roberto – ma anche proporli come scintille di sapore in dessert più moderni, ma che mantengono tutto il sapore della mia infanzia»

fino ad avere un impasto duro che assorba bene il mosto cotto. Lasciare lievitare a temperatura ambiente per tutta la notte. Il giorno dopo, prendere l’impasto e formare delle polpettone: praticarvi un buco al centro, con il dito, disporre sei mandorle intere sopra ciascuna ciambellina e infornare nel forno preriscaldato a 180° per 20 minuti. Una volta cotte le ciambelline, mettere della saba a bollire in un pentolino in cui passare una ciambellina per volta stando attenti che assorba omogeneamente lo sciroppo. Toglie le ciambelline e disporle in una teglia, cospargerle di diavoletti di zucchero colorati.

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La ricetta per questo rosolio arcaico che si può utilizzare sia nei dolci che nelle preparazioni salate per arricchire ed esaltare sapori e aromi, ce la dà Annamaria Atzeni: «Si può fare di uva bianca, di uva nera e fico d’india: ma la saba di uva nera è decisamente la migliore. Da 10 litri di mosto si ricava alla fine un litro e mezzo, al massimo 2 litri, di saba».

34Gambero Rosso dicembre

Pirichitus PER UNA TRENTINA DI BIGNÈ

8 tuorli 7 cucchiai acqua 5 cucchiai olio di oliva 25 g di zucchero 1 bustine di lievito per dolci 400 g di farina 1 limoni grattugiati

PER LA GLASSA

1 kg di zucchero 4 bicchieri di acqua le scorze di 4 limoni

Impastare tutti gli ingredienti per i bignè insieme, fino ad avere un composto elastico e soffice, non duro. Formare delle palline grandi come una noce e passarle al forno a 180° per una quindicina di minuti. Fare la glassa: mettere lo zucchero e l’acqua in una pentola (capace di contenere tutti i bignè) a fuoco medio; quando il composto bolle, va girato continuamente per non farlo attaccare. Per verificare se la glassa è pronta, fatene cadere una goccia in un piatto: la goccia deve rimane ferma e ben formata; se si disaggrega e scivola via non è pronta.Una volta cotti i bignè, passarli nella glassa a fargli assorbire per bene lo zucchero che si attaccherà alle pareti dei pirikitus. Far freddare prima di mangiare.

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I PIATTI

fegatini di agnello e saba

zuppa di fregua e collo ripieno

tallutzas con ragu di agnello

maialino e cardi

gelato di grano arso e pirikitus

NATALE. «È l’agnello, è il maialino: cibi sontuosi, ricchi di sapore, immancabili sulle tavole dei ricchi. Io voglio unire tagli poveri e tagli più ricchi, accostare sapori e tradizioni diverse, perché Natale è anche un po’ il gioco della meraviglia e delle sorprese, dei colori e della gioia di stare insieme, riuniti».

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«Da quando sono qui in Marmilla, le mandorle sono per me un elemento fondamentale della cucina. Purtroppo la gran parte delle mandorle usate in pasticceria e industria, anche qui in Sardegna, vengono dalla Turchia, dalla California, in parte dallaPuglia. Io avevo quasi dimenticato il loro vero sapore. Qui i mandorleti sono coltivati naturalmente in biologico, anzi meglio

del biologico. Ci sarebbe da fare davvero un bel lavoro su queste produzioni». Roberto le usa tantissimo in cucina, sia per dare consistenza che per esaltare sapori e aromi. «Per me sono tutto, riescono a dare quello sprint al piatto che in nessun altro modo puoi avere: dolcezza, amarezza, croccantezza, aroma: puoi usarle sia verdi che naturali che tostate. Per esempio

faccio un gelato di gambero con crema di riso aromatico di San Gavino, mandorle tostate e limone. Faccio uno sciroppo allo scalogno (con una proporzione di zucchero e acqua 1 a 1), quindi frullo insieme allo sciroppo i gamberi rossi interi, con la buccia, l’olio extra vergine di oliva, il basilico, passo al colino cinese o al setaccio fine e surgelo il tutto. Quando mi serve lo passo al pacojet. Se non si ha a disposizione, basta

congelare il composto nei contenitori per i cubetti di giaccio e passarli poi al frullatore. Per la crema, invece, faccio stracuocere il riso in acqua, aggiungo un pizzico di sale e frullo al Bimbi, poi passo la crema al setaccio. Le mandorle le condisco con delle scorzette sottilissime di limone e ci guarnisco il piatto. Inoltre riesco a utilizzare le mandorle sia secche che fresche, tutto l’anno: basta metterle in acqua e fargli riprendere i liquidi.

MANDORLE. SCINTILLE DI SAPORI E CONSISTENZE

«Le mandorle per me sono tutto, riescono a dare quello sprint al piatto che in nessun altro modo puoi avere: dolcezza, amarezza, croccantezza, aroma: puoi usarle sia verdi che naturali che tostate».

Gambero Rossodicembre 39

200 g di fegato di agnello 30 g di mandorle 30 g di farina sale integrale, pepe 2 cucchiai di saba 1 cucchiaio di aceto di vino rosso olio extravergine 4 cucchiaini di composta

di prugne 4 tranci di pane carasau

(o fettine tostate di pane) erbe aromatiche e di campo, fiori

commestibili

PULIERE il fegato, togliendo tutte le venuzze e la pellicina che lo ricopre. Prenderne un blocco intero da 200 g e cospargerlo di sale grosso. Passare insieme al mixer le mandorle la farina, col composto spolverare il fegato sui due lati. Far dorare bene il fegato sui due lati in un tegame con un filo di olio, quindi lasciarlo a riposare coperto. Preparare un’insalatina di erbette aromatiche fresche e petali di fiori commestibili condita con olio e sale. Emulsionare la saba con olio, sale e aceto. Scaloppare il fegato e adagiarne delle fettine in ciascun piatto. Guarnire con composta di prugne, gocce di vinaigrette, insalatina aromatica, qualche scaglietta di sale integrale e con una cialdina di pane carasau.

Fegatini di agnello con composta di prugne e vinaigrette alla sapa

LA COMPOSTA DI PRUGNE 200 g di polpa di prugne 40 g di miele 30 g di Moscato

Mettere a cuocere a fuoco basso in una pentola tutti gli ingredienti, far andare fi n quando il composto non diventa luicido. Togliere dal fuoco e sistemare la composta in vasetti di vetro da far bollire chiusi ermeticamente in acqua per ottenere il sottovuoto. Lasciarli raffreddare a temperatura ambiente. Questa composta si può utilizzare accanto a formaggi stagionati, carne di maiale, preparazioni con interiora o cacciagione.

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Zuppa di fregua e collo ripienoper il brodo

1 galletto ruspante sedano, carota e cipolla 2 foglie di alloro 3 pomodori secchi basilico, prezzemolo, pepe in grani

per il collo

1 fegato di pollo 1 fetta di pane raffermo pelle del collo 1/2 scalogno saltato prezzemolo, aglio, basilico, timo 1 punta di peperoncino sale e pepe

per la zuppa

160 g di fregola brunoise di sedano, carota, porro, erba cipollina 4 pomodorini confit

PULIRE ed eviscerare il galletto, togliendo il collo con attenzione a non rompere la pelle. Prepara il brodo con il galletto intero tenendo da parte il collo e tutti gli altri ingredienti in acqua bollente con un po’ di sale. Mentre il brodo cuoce, staccare la pelle del collo dalla carne, avendo cura di non romperla; pulirla per bene dal grasso. Preparare una farcia a base di pane secco: fare a dadoni la mollica e saltarla in padella con olio, aglio, prezzemolo, scalogno e il fegatino del galletto, con una punta di peperoncino, sale e pepe. Ammollare il pane con acqua, mentre si cuoce, poco a poco, quindi frullare il tutto nel mixer con foglioline di timo e basilico. Con questo composto farcire la pelle del pollo ben pulita: si lega il cilindro

di pelle a un’estremità, come a fare un sacchetto, e si riempie; si chiude l’altro capo con altro spago e si mette a lessare insieme al brodo di gallina. Alla fine, quando è cotto, farlo rosolare in padella per avere la pelle croccante, quindi ricavarne quattro rondelle che andranno sulla zuppa. Preparare una brunoise di carote, sedano, porro ed erba cipolina. Cuoce nel brodo bollente la fregola per 10-15 minuti, a seconda della grandezza (se è precotta passare per 3 minuti nel brodo bollente per finire la cottura). Negli ultimi 3 minuti aggiungere la brunoise e qualche pomodorino confit. Versare la fregola in brodo nelle fondine, disporre al centro una fettina di collo, finire con un filo d’olio a crudo e servire ben calda.

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La cucina di Robe� o a Siddi è davvero il massimo dell’a� igianalità: esce e prende la gallina o il piccione quando c’è o la faraona, le erbe� e e � ra giù il pia� o cominciando a spennare la gallina.«La gallina, il galletto o il cappone, nelle feste, avevano due utilizzi: con il busto si preparava il brodo che andava con la fregola; le cosce, invece, venivano fatte in padella il giorno dopo, con le erbette e ben rosolata e asciutta: il piatto si chiama sa pudda arrubiara. Il collo, invece, veniva farcito di pane, prezzemolo, aglio e pomodoro secco e co� o insieme al brodo: era un piccolo premio per � i se lo aggiudicava e dava sapore al brodo � esso».

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PROTAGONISTI. Formaggio, Agnelli & Maialinisocietà agricola f.lli Cuscusa loc. Gennavigu tel. 0783 991 235 Gonnostramatza (OR)

MICHELE Cuscusa e i suoi fratelli hanno una delle più grandi aziende zootecniche della zona, tutta certificata biologica, con tanto di agriturismo, maneggio, caseificio e fattoria didattica: 1.200 pecore, 178 ettari i n proprietà e 70 in affitto. Qui allevano anche i maiali sardi incrociati con i cinghiali. Da loro Roberto ha preso l’agnellino e il maialino che ci propone per le feste.«La nostra pecora sarda – racconta Michele – non è né da carne, né da lana: è da latte. Qui, prima dei Romani, avevamo i mufloni. Solo dopo il periodo nuragico arrivano le pecore dal continente e si incrociano coi mufloni autoctoni: infatti la nostra pecora nasce a volte bianca e a

Nel regno della pecora sarda

volte nera, ciclicamente, e ha le orecchie piccole come il muflone».I Cuscusa producono tre tipi di formaggio a diverse stagionature, tutti a latte crudo, lavorato a 34° con caglio di vitello in polvere e trasformato entro 3 ore dalla mungitura. «Le pecore sarde non sono fatte per stare in stalla – spiega Michele – Basta che sentano un rumore, infatti, e si precipitano subito verso il cancello per uscire al pascolo. Qui si nutrono di lentisco e macchia mediterranea». L’azienda dei Cuscusa è tutta percorsa da muretti a secco e nasconde ben sette nuraghi, ancora sepolti. E alla sera, davanti a un bicchiere di rosso, la famiglia si ritrova a raccontare le storie e le leggende locali, come quella che vorrebbe l’altopiano di Collinas, dall’altra parte della valle, abitata nell’antichità da cavalli verdi giganti e alati: avrebbero portato loro i massi da una parte all’altra della valle per la realizzazione di due enormi nuraghi. Leggende. Ma i nuraghi restano ancora avvolti nel fascino del mistero.

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Esistono infiniti modi per innamorarsi delle nostre terre. Vederle, percorrerle, gustarle, viverle. Con Poggio Bonelli scoprirete il piacere di farlo con grandi vini.

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ingredienti

240 g di tallutzas 300 g di polpa di agnello 50 g di fegato di agnello 20 pomodorini canditi 1/2 pomodoro secco 1/2 di spicchio di aglio 2 carciofi a cubetti basilico e timo 4 aghi di rosmarino 2 cucchiai di Malvasia

PULIRE i carciofi e tagliarli a dadini. Pulire il fegato di agnello e farlo a dadini. Col coltello, ridurre la polpa di agnello in dadini e mettere sia la polpa che il fegato a marinare in olio, filetti di pomodoro secco sminuzzati, metà dell’aglio, sale, pepe e Malvasia. Intanto mettere a stufare i carciofi con l’altra metà dell’aglio, prezzemolo e rosmarino tritati. Far scaldare l’olio in un’altra padella e aggiungere i pomodorini confit con un cucchiaio di acqua. Far rosolare a parte il mix di agnello marinato, farlo asciugare e colorire a fuoco vivo: quando la carne comincia

Tallutzas con ragù di carciofi e agnelload attaccarsi alla pentola ed è ben rosolata, deglassare con un po’ di acqua e aggiungere i pomodori saltati con qualche fogliolina di timo. Far insaporire sul fuoco per un paio di minuti, quindi aggiungere i carciofi saltati. Lessano le tallutzas per 4 minuti. Tritare una foglia di basilico. Scolare la pasta e saltarla in padella col ragu. Finire la mantecatura fuori dal fuoco, con un filo di olio, basilico e pecorino. Impiattare e guarnire con qualche fogliolina di basilico aromatico, un giro d’olio e una grattata di pecorino.

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Ecco un piatto soave, armonico, deciso: fedele alla leggerezza della cucina di Roberto che rimanda sempre a un tocco di dolcezza e femminilità, anche nelle portate più ardue. «Il carciofo – spiega lo chef – qui va a definire l’elemento di contrasto e gioca bene con la grassezza sontuosa del ragu. Anche il pomodoro è un elemento di sapore e di acidità, non una salsa in sé: uso solo pomodori appassiti o canditi, tutti presi nel periodi di massima maturazione. E ne uso pochi. In questo modo posso utilizzarli anche con i carciofi».

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PROTAGONISTI. pasta frescaass. culturale is Macarronis Fibaus c/o Monica Pau via San Sebastiano, 7 tel. 347 9299 387 Siddi (VS)

MARIA ROSARIA Moi, Monica Pau, Annamaria e Veronica Atzeni si incontrano quasi ogni giorno, al mattino presto o alla sera. Siedono intorno al tavolo della cucina, tirano fuori la spianatora, acqua e farina e cominciano a impastare e a formare la pasta. Ma soprattutto si mettono a parlare di tutto e di tutti, si raccontano le cose del paese e dei paesani… «Certo! – sorride Maria Rosaria – è per questo che ci vediamo: passiamo insieme tre ore. Tre ore in quattro per fare un chilo di Maccaronis Fibaus, la pasta tradizionale di Siddi. E insieme passiamo il tempo, parliamo, ci raccontiamo le cose…»

Macarronis e Tallutzas

L’associazione dedicata al particolarissimo maccaronis fibaus, uno spaghetto fatto a mano, senza torchio, e disposto con l’aiuto delle dita della mano a forma di M per l’essiccazione naturale, nasce sette anni fa a Siddi. «Siamo rimaste solo noi - commenta Monica, un po’ scoraggiata, ma anche molto fiera di portare avanti la tradizione delle famiglie di Siddi – È complicato fare bene la sfoglia per i maccaronis: è la lavorazione più complessa, perché bisogna riuscire a impastarla in modo che sia né dura, né molle, molto soffice e con un giusto grado di umidità, altrimenti non si riesce a lavorarla». Infatti, per mantenere l’umidità, viene avvolta in panni bagnati in attesa che sia lavorata. «Qando si mangia – spiega Roberto – ha una consistenza molto particolare. Tradizionalmente si condiva con il sugo di galletto, un ragu fatto cuocendo nel sugo tutto il galletto. Io, invece, la faccio spesso anche con le verdure e con i frutti di mare». Mentre raccontano dei maccaronis che danno il nome all’associazione, Monica esce dalla cucina e torna con un enorme cesto pieno di ostie di pasta… Belle e appetitose solo a vederle. «Sono le tallutzas» esclama lei. Roberto si illumina, quelle ostie di pasta lo riportano all’infanzia: «Così si riciclavano i ritagli di pasta avanzata dopo la lavorazione del pane coccoi. Le donne facevano rinvenire la pasta tra le mani, ci facevano delle palline e le schiacciavano sulle cosce, fino a farle diventare sottilissime. Tradizionalmente si condivano con un ragu a base di vino e funghi, io le accompagno con un ragù di agnello e carciofi. È una variante dei maltagliati».

48Gambero Rosso dicembre

Maialino e cardi1 quarto di maialino 1 mazzetto di cardi lessati succo di 1 melagrana 1/2 bicchiere di vino rosso 100 g di fondo bruno di maiale sale alle erbe aromatiche

(50 g di sale grosso, 3 foglie di salvia, 15 aghi di rosmarino, 3 rametti di timo, 1 rametto di maggiorana, 10 foglie di mirto, 1 foglia di alloro, 1 spicchio di aglio, 15 grani di pepe nero, tutto frullato o schiacciato al mortaio)

DISOSSARE completamente il maialino, testa compresa. Pareggiare le parti sporgenti (muso e zampe) per avere un rettangolo e inserire i ritagli all’interno, nei punti dove c’è meno carne. Salare l’interno del maialino con sale aromatico e arrotolare il tutto come per fare un rollé. Legare ben stretto il rotolo e passarlo in padella per rosolare la cotenna esterna. A questo punto si affumica: mettere il maialino sospeso su una griglietta all’interno di un contenitore di metallo (anche un pentolone); sotto alla griglia sistemare un pentolino con trucioli di leccio da affumicatura, accendere il legno senza fare la fiamma e

lasciare chiuso ermeticamente per 40 minuti. Finita l’operazione, in una pentola di ghisa (non troppo grande, a misura per il maialino) mettere 1/2 cucchiaio di zucchero, far caramellare e spegnere con 4 cucchiai di aceto di vino rosso; quindi aggiungere il vino e farlo bollire per dealcolizzarlo; aggiungere il succo di melagrana, il fondo bruno e il maialino: cuocere per 4 ore a fuoco bassissimo e a pentola coperta. Far raffreddare e tagliare il rollé a fette abbastanza alte, togliere lo spago e far scaldare in padella con il succo di cottura filtrato. Impiattare le fette, irrorare con la salsa e a fianco sistemare dei pezzi di cardo saltati in padella con olio ed erbe aromatiche.

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«Il maialino è un classico: con la cotenna croccante, al mirto, cotto sotto terra o allo spiedo lo trovi ovunque. Il mio invece è un maialino morbido, da mangiare quasi al cucchiaio, cotenna compresa. Voglio esaltarne la delicatezza, la dolcezza, la sontuosità. E voglio che i cardi ne sottolineino queste caratteristiche, per contrasto, ma anche in armonia».

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PROTAGONISTI. le lameIs Lunas di Aniceto Pistis loc. Santa Maria tel. 339 6748 403 Villanovaforru (VS)

IL TAGLIO è fondamentale nella cucina di Roberto. Il coltello e il taglio sono fatti estetici, nelle forme e nei gesti. Mentre siamo a Siddi, arriva a Casa Puddu un pacchetto: «Un mio allievo giapponese mi ha mandato un coltello» sorride lo chef. Apre il pacchetto e sulla lama c’è inciso il suo nome. «Il mio primo lavoro è stato il macellaio – racconta – e non posso non amare le lame, i tagli, le tecniche».È Roberto a portarci a Villanovaforru, un paesino

Fuoco, Acciaio e Design

vicino a Siddi: vuole farci vedere a tutti i costi il laboratorio e le nuove creazioni di Aniceto Pistis, maestro coltellinaio dall’estro artistico e con una grande passione per lame e corni, elementi che trasforma in vere e proprie opere d’arte. I nuovi coltelli da bistecca li ha progettati insieme al designer Giulio Iacchetti (l’inventore del moscardino, la posata bivalente usa e getta): sono splendidi, solidi e leggeri come una piuma, richiamano il bisturi, hanno una comodità di presa incredibile. E le lame sono studiate per finire il taglio fino all’ultimo. Roberto ne è innamorato e sta aspettando di poterne avere una serie tutta per sé.

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La Sardegna, del resto, è una delle poche terre dove la tradizione dei coltellinai è rimasta in vita. «Anche se dobbiamo riprenderci in mano queste radici – fa Aniceto – e dargli nuovo slancio. Le nostre sono creazioni particolari, non hanno nulla a che vedere con le lame cinesi che importiamo per due soldi. Il lavoro con Iacchetti è stato esaltante, abbiamo avuto uno scambio vero nella progettazione». Ma ad Aniceto non basta: «Io voglio lavorare sulle lame, sugli acciai, sul futuro – spiega – E per me uno dei futuri possibili è lo studio sulle damascature. Vorrei arrivare a farle colorate. Pensate che eleganza: una lama damascata rossa su un manico di osso bianco».

«Per me uno dei futuri possibili è lo studio sulle damascature. Vorrei arrivare a farle colorate - afferma Aniceto Pistis - Pensate che eleganza: una lama damascata rossa su un manico di osso bianco»

52Gambero Rosso dicembre

Gelato di grano arso con pirikitus, melagrana e saba

1 pirikitus sbriciolato

per il gelato

200 grammi di grano 200 g di zucchero 500 g di latte

per la crema

200 g di yogurt 100 di latte 80 g di zucchero di canna

(moscobado) 1/2 stecca di cannella

per la cialda

50 g di sciroppo (2 parti di zucchero e 1 parte di acqua.

30 g di amido di frumento 100 g di succo di carote

per guarnire

chicchi di melagrana e foglie di menta

La cialda: fare sciogliere lo zucchero nell’acqua in un pentolino e aggiungere il succo di carote. Far andare a fuoco basso fino a ridurre a un composto denso, senza mai farlo bollire. Fuori dal fuoco, aggiungere l’amido. Stendere lo sciroppo su un foglio di silpat e infornare a 60° per un’ora finché non cristallizza. Meglio in un essiccatore. Quindi par raffreddare per poter staccare la cialda dal silpat.

Il gelato: far tostare i chicchi di grano duro e metterli in ammollo per due giorni. Frullarli con il latte; aggiungere la panna e lo zucchero (preventivamente miscelati e portati a 80°) e mantecare nella gelatiera. se non si ha la gelatiera o il mantecatore, si congela il composto e si frulla (vedi la ricetta del gelato ai ricci).

La crema: mischiare insieme gli ingredienti, far riposare in frigo per 2 ore, quindi frullare il tutto.

Sbriciolare sul fondo di ciascun piatto 1/2 pirichitus, disporvi sopra una quenelle di gelato, accanto la crema e i chicchi di melagrana con delle gocce di saba. Guarnire con la cialda di carota.

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NATALE

54Gambero Rosso dicembre

PROTAGONISTI. l’olio extravergine di olivaoleificio Podda di Aurelio Podda zona artigianale | Ussaramanna (CA)www.terradeinuraghi.it

L’OLIO DI OLIVA, in Marmilla, è l’altro grande pilastro dell’agricoltura, della tradizione gastronomica e della cultura materiale delle famiglie che vivono qui. Le varietà tipiche della zona sono la pitz’e carroga, la bosana, la semidana e la tonda di Cagliari. Più dolce e delicata la pitz’e carroga, più intensa e decisa la bosana: i due estremi che coprono una grande varietà di aromi e sapori, di possibili utilizzi in cucina. Nella cucina di S’Apposentu ne sono appena arrivate tre bottiglie,

Elisir per tutti i gusti

l’olio nuovo appena estratto, tutte e tre davvero notevoli: uno, quello di Franco – autista e factotum del Comune che voleva farlo provare allo chef – più forte, amaro e piccante; poi quello di Fancesco, il responsabile della sala di Casa Puddu: questo più dolce e delicato. E una bottiglia appena spillata dal tino in acciaio dell’oleificio Podda: olio dal gran carattere e molto equilibrato, frutto di un accorto blend tra le quattro cultivar autoctone. È l’olio che Roberto usa normalmente in cucina, a crudo e per cucinare. È il prodotto di un bel frantoio il cui prodotto non si trova però nei negozi, sugli scaffali. «No, noi vendiamo quasi tutto l’olio all’estero, in Germania soprattutto, dove lo pagano e lo apprezzano molto più che in Italia – sorride Aurelio Podda, il giovane e appassionato erede di una famiglia che produce olio da tre generazioni – Una parte, poi, la vendiamo attraverso Internet con consegna porta-a-porta, soprattutto nel Nord Italia. Abbiamo imboccato questa strada con decisione, appena capito che l’olio extra vergine di oliva in Italia è ancora poco considerato. Da 10 anni, grazie a contatti avuti durante il Sol di Verona, abbiamo cominciato ad andare all’estero. Del resto, io ci sono nato nel frantoio, il rumore delle presse e delle macchine era la mia ninna nanna: non volevo cambiare lavoro! Così ho, abbiamo, cercato di trovare il modo di lavorare e produrre di più e di differenziare i prodotti. Oltre ai 30 quintali dalle nostre olive che etichettiamo come Terre dei Nuraghi e ai 300 che estraiamo per i clienti del frantoio, da anni lavoriamo i nocciolini per fare combustibile naturale e le acque di vegetazione per concimare i campi della zona: prima eravamo aperti 2 mesi l’anno, ora lavoriamo 12 mesi su 12!».

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PROTAGONISTI. il vinoCantina Lilliu via Sardegna, 13 | tel. 0783 95039Ussaramanna (VS)

«VOLEVO AVERE in carta un vino di questo territorio – spiega Roberto Petza – e le etichette di questa cantina hanno una gande dignità, sono vini davvero particolari e molto ben fatti». Pietro Lilliu e la sua compagna Roberta hanno cominciato da pochi anni a vinificare le proprie uve e a metterci la faccia in etichetta. «La prima vinificazione è del 2004. Invece di puntare al business, abbiamo voluto scegliere una strada di agricoltura consapevole – racconta Pietro Lilliu – La nostra

«Naturale, più che naturale»

idea è che in agricoltura il produttore, che è alla base della catena alimentare, debba garantire un prodotto sano e siamo partiti proprio dalla terra, dalla vigna. La natura ha un suo ritmo ed equilibrio e l’agricoltore è il primo a stravolgerli quando entra in vigna o nel campo. Occorre un compromesso per cui l’agricoltore prende, ma dà anche. Noi non diserbiamo nulla, rovesciamo supeficialmente la terra e diventa tutto nutrimento: in un’annata torrida come questa abbiamo avuto un’uva ottima senza irrigazione. La nostra cura è nel fare un vino che faccia bene. Stiamo studiando, insieme al professore Gaetano Ranieri di Cagliari, un processo di coltivazione e lavorazione dell’uva senza nessun aiuto della chimica. Collaboriamo anche con l’immunologo Jan Sula che, dopo essersi ubriacato con 3 bottiglie di Dicciosu (tradotto dal sardo vuol dire “proverbiale”) in Costa Smeralda, è venuto a cercarci: lo abbiamo coinvolto nel progetto per arrivare a una certificazione di un “vino che fa bene”. Stiamo brevettando un metodo ad esempio per aiutare le vigne nella siccità senza irrigazione. Così come studiamo altri brevetti che partono dallo studio dei campi magnetici e possono aiutare a curare la sanità delle vigne. Oltre ad altri processi che riguardano la cantina, a partire dalla vinificazione soffice per cui utilizziamo il metodo Ganimede».

Gambero Rossodicembre 57

I PIATTI

Uovo e cardi

Pesce povero, bottarga e pai ’e saba

Ravioli di zucca

Cotechino... di testa

Dolce... come un maialino

CAPODANNO. «Non si festeggiava in Sardegna, qui la vera festa era l’Epifania». Così Robe� o lascia libera la sua mano di spaziare a� raverso diversi ingredien� , tu� i tradizionali, ma lavora� come in un gioco � e deve dive� ire, in cui ci si tolgono di dosso tabù e dogmi, fi no ad arrivare al maialino dolce. Anzi, al dolce come un maialino, incredibile desse� � e se nel nome provoca, in bocca conqui� a, subito.

58Gambero Rosso dicembre

Pesce povero, bottarga e pai ’e saba2 tracine (in mancanza,

una palamita) 40 g bottarga di muggine 8 rondelle di pai ‘e saba vinaigrette di melagrana chicchi di melagrana 20 piccoli pomodori confiterbe aromatiche e fiori

commestibili olio extravergine, sale e pepe

Per la vinaigrette, emulsionare una riduzione di succo di melagranata, olio e sale. Sfilettare le tracine, pulirle bene dalle spine e metterle per 5 minuti sotto sale, in frigo; quindi lavare e asciugare per bene e affettare sottilmente i filetti, come si taglia il salmone affumicato, per avere dei piccoli veli di polpa. Far marinare i veli di pesce in olio con basilico, maggiorana e timo. Intanto, tagliare a lamelle la bottarga. Far asciugare in una padellina a

fuoco delicato le rondelle di pai ’e saba, quindi sbriciolarle. Disporre le fettine di pesce sul fondo di un passino e farle sbianchire in acqua bollente per 30 secondi. Mettere sui piatti le lamelle, piegate su se stesse e guarnite con qualche fogliolina della marinata. Aggiungere qualche pomodorino candito, qualche foglia di rucola, di basilico rosso, menta e petali di fiori commestibili. Guarnire con le lamelle di bottarga e un po’ di pai ‘e saba sbriciolato. Finire con un filo di vinaigrette e chicchi di melagrana.

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Ecco un piatto che nasce all’impronta, direttamente in cucina. «È il mio metodo migliore per creare – sorride lo chef – parto da un elemento e ci gioco. Cerco legami, salti logici… Mi sento libero». È un grande piatto questo a base di tracine – «un pesce che nessuno vuole» – pesce povero, ma dalla carne delicata e consistente. Qui si esalta la bottarga, che segue tutto il percorso del piatto, dal dolce all’acido, dal salato all’amaro in un caleidoscopio che affascina le papille gustative.

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60Gambero Rosso dicembre

COMPOSTA

DI BORRAGINE

Roberto usa moltissimo la

borragine: per riempire i

ravioli, insieme al formaggio

fresco; per le zuppe, ma anche

per fare una composta dolce

da abbinare ai formaggi,

specialmente con i pecorini

stagionati di cui attenua

piccantezza e calore. Ecco la

ricetta.

Fare uno sciroppo (una parte di

zucchero – o di miele – e una di

acqua) con finocchietto in fiore,

maggiorana e timo: mettere

sul fuoco basso e far bollire

per 15 minuti. Aggiungere la

borragine tagliata molto fine (1

kg per 200 g di sciroppo) e far

cuocere a fuoco lento finche il

composto non diventa lucido.

VINAIGRETTE

DI MELAGRANA

Ecco una vera risorsa in cucina:

un composto da utilizzare

quando vogliamo giocare

sui contrasti, sulle acidità.

Da realizzare in inverno

e conservare per poterlo

utilizzare durante l’anno.

INGREDIENTI

il succo di 1 melagrana agra

olio extravergine di oliva, sale

e pepe

Centrifugare i chicchi della

melagrana (senza la pellicina

giallastra) e far ridurre di ¾

il succo a fuoco basso, fino

ad avere una consistenza

sciropposa.

A questo punto, si può

conservare puro il succo

ridotto, per utilizzarlo a

piacere quando serve. Per la

vinaigrette, aggiungere al

succo l’olio e mescolare, senza

emulsionare, quindi aggiustare

di sale e di pepe.

Gambero Rossodicembre 61

L’uovo, i cardi4 uova di gallina ruspante 1 mazzetto di cardi lessati ½ spicchio di aglioprezzemolo e scalogno1/2 alice sotto sale40 g di funghi secchi (orecchie

di porco, trombette dei morti o funghi neri aromatici giapponesi)

50 g di taleggio 4 fettine di pane bruscato

(o carasau) olio extravergine, sale e pepe

Cuocere l’uovo a bagnomaria (a 65° per 20 minuti) girandolo in continuazione x avere cottura omogenea all’interno. Pulire i cardi e lessarli, quindi saltarli in padella con olio, aglio, prezzemolo e acciuga. Frullare ed emulsionare nel frullatore con con olio extravergine di oliva fino ad avere una bella crema, passare al setaccio. Fare una fonduta di formaggio: mettere il formaggio con qualche cucchiaio di acqua a 50° nel frullatore e frullare.

Preparare i funghi: sbriciolarli con le mani e farli rinvenire in acqua tiepida, quindi scolarli per bene e ripassarli in padella con olio, prezzemolo, scalogno e aglio. Sistemare la crema di cardi in una fondina, colarvi al centro una cucchiaiata di fonduta e sopra una cucchiaiata di funghi. Quindi rompere sui funghi l’uovo, che sarà come in camicia, meno cotto. Sistemare nel piatto un crostino di pane o un pezzo di carasau bruscato, guarnire con sale di Maldon e un giro di pepe di mulinello.

62Gambero Rosso dicembre

Ravioli di zuccaper la pasta

80 g di semola di grano duro 220 g di farina (fluida) di grano

tenero 12 rossi d’uovo

ripieno

500 g di zucca tipo piacentina 1/2 porro 2 scalogni 1/2 spicchio di aglio 30 g di burro brodo di pollo 1 foglia di alloro 150 g di taleggio 10 g di tartufo bianco pepe e sale

salsa

50 g di burro 4 cipollotti a julienne 4 foglie di salvia sale e pepe

TIRARE la pasta e conservarla avvolta nella pellicola trasparente o in un panno leggermente umido. Far stufare la zucca con porro, scalogno, alloro e burro. Lasciar cuocere finché la zucca non si sfalda tutta, aggiungendo un po’ di brodo di pollo quando si asciuga troppo. Una volta cotta, passare la zucca al frullatore aggiungendo un po’ di taleggio e alla fine un po’ di tartufo fresco o burro al tartufo. Far raffreddare il composto, quindi

utilizzarlo come farcia per formare i ravioli. Stendere la pasta molto sottile, formare dei cerchi o dei quadrati, riempirli di farcia e chiuderli su se stessi a caramella.Tagliare i cipollotti a julienne e passarli in padella con burro e salvia.Lessare i ravioli in acqua bollente salata, scolarli e sistemarli nel piatto, quindi condire con olio e una grattata di pecorino stagionato; guarnire con la julienne di cipollotto stufato, un filo di olio e un giro di pepe.

Gambero Rossodicembre 63

CAPODANNO

64Gambero Rosso dicembre

Agnellino in tegame

4 spalle di agnellino sardo Igp, da 5 kg

4 cucchiai di fondo bruno di agnello

1 cucchiaio di strutto20 cipolline 8 fette di ravanello sardo lungo 1 mazzo di cardi lessati 1 punta di peperoncino 1 mazzetto di erbe aromatiche

(timo, maggiorana, rosmarino)1 gambo di finocchietto

selvatico1 foglia di alloro1 spicchio di aglio sale alle erbe (vedi ricetta

maialino e cardi, a pag. 48sale e pepe in grani

Pulire per bene le spalle e spolverarle di sale alle erbe. Ungere la padella con lo strutto e far rosolare le spalle a fuoco vivo, bagnandole continuamente con lo stesso succo di cottura, per 10-15 minuti e muovendole continuamente. Trasferire le spalle in una brasiera di ghisa con un filo di olio, 1/2 spicchio di aglio e le cipolline pulite. Aggiustare di sale e far andare per una mezz’ora a fuoco molto basso insieme a gambi di finocchietto, rosmarino, timo, maggiorana e qualche grano di pepe. Girare il tutto, bagnare con la Vernaccia e, appena il vino sfuma, aggiungere un goccino di acqua, un paio di cucchiai di fondo di arrosto di agnello e incoperchiare.

A metà cottura, aggiungere il ravanello e il peperoncino e controllare che ci sia abbastanza liquido. Quando sono cotte, dividere in due le spalle al livello dell’articolazione e prima di impiattare dare un’ultima passata di calore alla brasiera per amalgamare bene il succo di cottura. Saltare i cardi lessi in olio ed erbe aromatiche (alloro, finocchietto, rosmarino, 1/2 aglio e timo), aggiustare di sale. Sistemare nel piatto i due pezzi della spalla con le verdure brasate, nappare col succo di cottura e disporre accanto i cardi.

Gambero Rossodicembre 65

«Questo è un piatto di tradizione. Il gioco, per me, è nella cura delicata con cui seguo la cottura. Aderisco alla carne, riesco a sentirne la consistenza, a capirne il colore – racconta Roberto mentre smuove dolcemente la spalla di agnellino, la coccola, la inumidisce, fa deglassare i succhi – Ecco, l’agnello tradizionale, per le feste, in Sardegna si fa sempre in padella. Solo per Pasqua si prepara arrosto. Questo in umido è un piatto sontuoso, grasso, da leccarsi i baffi. e si accompagna sempre con cardi o carciofi, verdure che contrastano i grassi con i loro tannini»

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L e t y o u r s e r v e s b e c o n q u e r e d

SANTADIC A N T I N A

v i n i f a t t i c o n a r t e

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Gambero Rossodicembre 67

PROTAGONISTI. l’ortoAzienda agricola Frau | loc. Tradorio | Siddi (VS) tel. 333 1910 955

GIAMPIERO FRAU produce olio, alleva maialini neri e, soprattutto, coltiva un ricco orto alle porte di Siddi. Un ettaro pieno di pomodori, peperoncini da far ripieni o piccanti, borragine, fagiolini, cavoli e verdure invernali, finocchi, sedano, lattuga, insalate e insalatine, rucola, radicchi e ravanelli lunghi sardi, melanzane, tanti diversi tipi di basilico aromatico, melanzane tailandesi... «Quelle gliele ho portate io – sorride Roberto – Sono di un verde pallido e molto lunghe, le trovo saporitissime, sono ottime in umido. Così come i fagiolini thai: hanno un sapore incredibile, erbaceo e quasi di nocciola

verde, anche un po’ piccante, ottimi nelle insalate a crudo». «È impagabile il poter venire qui nell’orto e cogliere le verdure direttamente. Il sapore degli ortaggi coltivati in campo, a terra, e freschissimi non ha prezzo!». Gli fa eco Giampiero: «In estate molta gente che trascorre qualche giorno qui, viene alla sera o al mattino presto e va direttamente nell’orto col cesto e il coltello a scegliersi le verdure. In effetti per chi viene da Milano o da Roma sono esperienze che – a sentir loro – valgono la vacanza». Particolarissimi, poi, sono i ravanelli sardi, lunghi e grossi. «Prima che arrivassero quelli piccolini standard – spiega Roberto – c’erano solo questi. Sono ottimi stufati e con il loro bel piccante accompagnano bene gli arrosti: sono simili alle rape, un po’ più decisi. Poi sono fantastici i baccelli verdi di ravanello: li metto crudi nelle insalate, incredibili!»

Orto orientale, tipico sardo

68Gambero Rosso dicembre

Cotechino... di testa1 kg di polpa di testa di maiale

macinata grossolanamente 17 g di sale 6 g di pepe nero 1 spicchio di aglio 50 g di Malvasia 1 budello da salame

per il purée: 100 g castagne lesse 200 g patate di Gavoi

(o di montagna) lesse 140 g di burro latte, sale e pepe

per guarnire:olio extravergine scorza di 1 arancia foglie di basilico al limone

Disossare la testa a crudo (lasciando sia cotenna che cartilagini di orecchie e muso), condire la carne con sale, pepe e aglio frullato nel vino Malvasia e setacciato, lasciare marinare il tutto per una notte. Quindi, insaccare il composto in un budello vegetale per salami e cuocere sottovuoto a 95° per 8 ore.In mancanza di sottovuoto e di Roner, avvolgere il salame di testa in una pellicola per microonde senza pvc, chiudere ermeticamente e mettere in acqua, nel forno, a 85° per 8 ore. Una volta cotto, il salame si conserva al freddo.

Per il purée, bollire le patate e le castagne quindi spellarle. Sbriciolarle con la mano e metterle in un pentolino con il burro già caldo schiumante, amalgamare a fuoco basso, come per fare un roux, quindi setacciare l’impasto che può

essere conservato in frigo. Quando serve per fare il purée, ripassare il composto in pentola: quando è ben caldo, aggiungere il latte a poco a poco fino ad avere la consistenza desiderata (si può usare anche acqua al posto del latte). Grattugiare la buccia di un’arancia e metterla nell’olio per aromatizzarlo.

A questo punto, tagliare 4 fette di cotechino di medio spessore, passarle in una padella antiaderente o di ferro senza grassi aggiunti per far fare la crosticina su entrambi i lati. Disporre nel piatto il purée caldo, tagliare in due la fetta di cotechino e disporre i due semicerchi sul pure, guarnire con gocce di olio agli agrumi e una fogliolina di basilico al limone.

Gambero Rossodicembre 69

PROTAGONISTI. il mieleLiccu Manias | loc. Marraconi | tel. 347 7289 905 | Ales (OR)

«COL MIELE faccio di tutto e di più, a partire dal dessert: maialino al miele. Poi ci preparo un condimento per il pesce o per le verdure, ma anche per la pasta: succo e scorza di limone tritata finissima, mandorle tostate a fettine e pancetta affumicata. Oppure faccio un condimento con vongole per la pasta: appena le vongole cominciano ad aprirsi col calore, metto dentro un cucchiaino di miele e le lascio sul fuoco un altro po’. Poi le salto con le verdure del momento, piselli o asparagi». Roberto racconta il “suo” miele mentre ci avviciniamo ad Ales, paese che ha dato i natali ad Antonio Gramsci… e a Liccu Manias. Del resto i due stanno bene insieme: Gigi Manias, nipote di

Dolcezza a tutto tondo

Licu, è un esperto bibliotecario e archivista oltre ad essere il titolare di una delle migliori aziende di miele d’Italia. E a casa sua ospita una biblioteca dedicata al fondatore dell’Ordine Nuovo, accanto ai vecchi apiari del nonno Liccu. Gigi ci presenta il suo progetto: restaurare e mettere in funzione gli apiari del nonno, vecchie arnie del 1917, le Sartori, le prime a favo mobile. E poi ci fa assaggiare il suo miele: un millefiori che ha appena vinto le tre gocce al Premio Piana classificandosi

miglior miele d’Italia. Gigi ha 60 alveari davanti a casa sua – una palazzina semplice realizzata completamente in bio edilizia, con i “ladiri”, i mattoni di fango crudi con cui si costruiva tutto nella Marmilla – e ne ha altri 140 sparsi in diversi campi. Inutile dire che è tutto biologico, anzi più che biologico. Entriamo nel laboratorio ed ecco un altro progetto ancora: il miele cremoso. «Sì, il miele viene passato in una specie di mantecatore che lo rende appunto cremoso senza fargli perdere assolutamente nulla: è il sistema che usano anche in Provenza per fare il miele di lavanda. Sarebbe il terzo stato del miele, oltre a quello liquido e a quello cristallizzato”. Ma non finisce qui: prima di lasciarci andare, Gigi apre il frigo e tira fuori una bottiglia senza etichetta: è l’idromele di abbamele (il miele di recupero), una nuova creatura, l’ultima. «La sto perfezionando, ma presto sarà pronta e avrà una sua etichetta». No sbagliavamo: l’utima creazione non è l’idromele, ma una crema di miele di eucalipto e pasa di nocciole. Strepitosa, aromatica, nient’affatto stucchevole. Eh già, Gigi non sta mai fermo. E sta preparando anche una mostra di acque tinte di Graham Sutherland dedicate alle api che farà da sfondo alla cucina di Roberto a base di miele… Da non perdere!

70Gambero Rosso dicembre

Dolce... come un maialino

1 coscia di maialino da circa 600 g

3 cucchiai di miele sale marino integrale 100 g di zucchero di canna

(mix di moscobado, demerara, dolcita, rapadura)

DISOSSARE il coscio e metterlo a cuocere cosparso di miele di montagna, sottovuoto, per 3 ore a 95°, in modo che il collagene si sciolga e si distribuisca bene nella carne. In alternativa, è possibile cuocere il maialino in forno, in una pirofila incoperchiata e della

misura giusta a contenere il più precisamente possibile la carne, a 120° per un paio di ore. Una volta cotto infarinare il maialino con il mix di zucchero di canna grezzo (se fosse solo demerara sarebbe troppo dolce, invece così escono fuori aromi più complessi) e

metterlo in forno a 130°, in modo che lo zucchero diventi una specie di crosta caramellata. Una volta caramellato, tagliare a pezzi e servire. Ma si può anche mettere la coscia al centro della tavola in modo che ciascuno ne stacchi e ne prenda con le mani un pezzo.

Gambero Rossodicembre 71

«Un omaggio all’Oriente, alla grande cucina cinese… Mi ha ispirato la tradizione dell’anatra laccata. Ma in realtà mi hanno conquistato la dolcezza e la succulenza del nostro tradizionalissimo maialino e la texture delle sue carni, quando è allevato come dio comanda». Roberto sorride e sa benissimo che è stato conquistato anche dal desiderio di provocare, di prendersi quello spazio da Pinocchio che tanto lo affascina. «Beh, io lo servo come predessert, così nessuno si può rifiutare di ordinarlo! – sorride – E poi alla fine conquista tutti: si mangia con le mani, assolutamente, ed è davvero succulento»

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