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La figlia del nemico T ERRI B RISBIN Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano Questo volume è stato stampato nel gennaio 2012 presso la Rotolito Lombarda - Milano Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Prologo 5 6

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TERRI BRISBIN

La figlia del nemico

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Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: His Enemy's Daughter Harlequin Historical

© 2011 Theresa S. Brisbin Traduzione di Maria Grazia Bassissi

Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto

di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con

Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

persone della vita reale è puramente casuale.

© 2012 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione I Grandi Romanzi Storici

febbraio 2012

Questo volume è stato stampato nel gennaio 2012 presso la Rotolito Lombarda - Milano

I GRANDI ROMANZI STORICI

ISSN 1122 - 5410 Periodico settimanale n. 814 del 15/02/2012 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi

Registrazione Tribunale di Milano n. 75 dello 01/02/1992 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale

Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione

Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti

contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171

Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano

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Prologo

Thaxted Keep, Inghilterra nordorientale, 1067 Il vescovo Obert batté i pugni sul tavolo di le-gno massiccio con un gesto poco appropriato a un uomo di Chiesa. Un muscolo gli guizzava sulla guancia e dovette lottare per non perdere il controllo del proprio temperamento del tutto umano. Era in momenti simili che rimpiangeva di aver preso gli ordini e di essere diventato un rappresentante del re. Era in tali occasioni che avrebbe desiderato soltanto agitare i pugni e reagire con foga alle parole che gli erano state rivolte. Il guerriero sfregiato si accostò al ta-volo, incurante dei concitati avvertimenti che i suoi amici gli stavano sussurrando. Obert non poté evitare un moto di turbamento mentre l'al-tro si faceva più vicino. Tanto per cominciare, la sua corporatura era a dir poco impressionante: alto più di sei piedi, era dotato di una granitica muscolatura e cir-condato dall'aura di potere e di pericolo di un autentico soldato votato alla guerra. Ma la sua faccia, per metà sfigurata da un colpo d'ascia,

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mentre l'altra metà era ancora quella che gli aveva procurato il soprannome di Splendido Bastardo, lo sgomentava per altri motivi, su-scitandogli emozioni diverse. Obert temeva di conoscere la vera ragione, perché soltanto uno stupido avrebbe potuto guardare Soren Fitzrobert senza elevare al cie-lo una preghiera per la propria anima e per quella del guerriero. E chiunque l'avesse cono-sciuto prima del colpo fatale ricevuto durante la battaglia di Hastings, vedendolo in quel momento non avrebbe potuto fare a meno di provare pietà per tutto ciò che il guerriero ave-va perduto. Tuttavia nella sua vita Obert aveva avuto a che fare con troppi uomini orgogliosi per non sapere che la compassione avrebbe soltanto peggiorato le cose. «Questi sono gli ordini del re, milord» di-chiarò, usando il titolo al quale Soren Fitzro-bert aveva anelato e al quale teneva almeno quanto avrebbe tenuto a riacquistare l'aspetto di un tempo. «Immagino che vorrete acconten-tare il sovrano e portare a termine il compito che vi ha affidato, prima di prendere possesso delle vostre terre.» «Perché questo incarico non può essere affi-dato a Brice?» volle sapere Soren. «Eoforwic era imparentato con lui per matrimonio, se-condo gli ordini del re.» Obert notò la sua e-spressione tempestosa e il tono sarcastico. La collera si stava smorzando, sostituita a poco a poco dall'accettazione, anche se forse il guer-riero non se ne rendeva ancora conto. «Il re richiede questo a voi» insistette il ve-scovo, tranquillo. «Dal momento che Alston si

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trova al nord, potete fermarvi a Shildon lungo la strada e fare ciò che vi è stato ordinato. Il re non vuole che i ribelli occupino qualche for-tezza mentre noi siamo impegnati altrove.» Lord Giles tirò indietro il suo amico, co-stringendolo ad allontanarsi dal tavolo, e gli parlò sottovoce all'orecchio. Lord Brice rima-neva in silenzio, lo sguardo fisso sui compa-gni, l'aria grave e preoccupata. Alla fine Soren rivolse un cenno d'assenso a Obert. «Ebbene, milord, obbedirò al nostro sovra-no» capitolò a denti stretti. «Potete riferire a Guglielmo che sono pronto a servirlo lealmen-te, come ho sempre fatto» concluse con un secco cenno del capo che non intendeva affatto apparire rispettoso. Obert rimase a guardare mentre gli amici del guerriero gli offrivano il loro appoggio e Soren stesso, sia pure riluttante, si rincuorava alla prospettiva di affrontare i ribelli sassoni. An-che se si era assoggettato all'ordine del sovra-no, Obert era ben consapevole che quel valo-roso guerriero non era più l'uomo di un tempo, che il colpo che l'aveva quasi ucciso l'aveva ir-reparabilmente trasformato. Non sarebbe stato mai più il bellissimo, scanzonato giovane che attirava le donne come il nettare le api. Nessu-no più sarebbe riuscito a guardarlo senza trasa-lire per la pena o per la pietà verso la sua con-dizione. Che Dio aiutasse la donna che doveva diven-tare sua moglie! La compassione che in quel momento gon-fiava il cuore del vescovo era tutta per Sybilla di Alston. Per volere del re, Soren avrebbe do-

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vuto sposarla, se lei era ancora in vita, eppure Guglielmo gli aveva lasciato la facoltà di spo-sare un'altra donna, qualora la castellana di Al-ston non avesse incontrato i suoi gusti. Mentre i tre amici parlavano sottovoce, si domandò se i consigli degli altri due sarebbero riusciti a placare la rabbia di Soren. Obert aveva sentito dire che il guerriero a-veva giurato di distruggere chiunque fosse im-parentato con Durward di Alston, l'uomo che gli aveva inferto quel colpo tremendo quando le sorti della battaglia erano ormai segnate da un pezzo. Avrebbe ucciso per vendetta la gio-vane, innocente Sybilla, oppure sarebbe stato in grado di allontanarsi dalla via di tenebra che aveva imboccato, prima di distruggere quella giovane esistenza? Prima che la sua anima fos-se dannata per sempre? Elevando al cielo un'altra muta preghiera, il vescovo annunciò che avrebbe consegnato a Soren la pergamena con la concessione reale del titolo e delle terre al termine della messa. Lord Brice e Lord Giles, accompagnati dalle loro mogli, lo seguirono nella cappella e il ve-scovo si accorse del disagio di Soren nel ve-dersi circondato da tante persone. Mentre apparecchiava l'altare e indossava i paramenti sacri, Obert pregò come non faceva da moltissimo tempo. Forse Dio avrebbe restituito un po' di umani-tà a quello straordinario e sfortunato cavaliere, riuscendo laddove i suoi amici e gli altri ave-vano fallito? Nelle settimane successive, mentre Soren si

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preparava per il viaggio verso nord, il vescovo non mancò di notare la cupezza che continuava a opprimergli il cuore e lo spirito e cominciò a temere che neppure l'intervento divino sarebbe bastato a sostenere il cavaliere nella battaglia per diventare l'uomo che era destinato a essere.

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Shildon Keep, Inghilterra nordorientale, luglio 1067 Il tanfo acre del fuoco e della morte gli faceva bruciare gli occhi e le narici. Soren Fitzrobert sbatté rapidamente le palpebre e scrutò la scena di devastazione che lo circondava. Campi ed edifici erano ancora in fiamme in quel tardo pomeriggio di mezza estate e il fumo scuriva il cielo ancora più del sole che stava tramontando. I morti coprivano il loro stesso sangue che la terra assorbiva a poco a poco. Il silenzio era impressionante: neanche un suono si levava dal cortile e dai campi che circondava-no il castello. Stephen si avvicinò – dal suo lato integro, notò Soren con amarezza – e si fermò, in attesa di ricevere ordini. «Vigliacchi!» imprecò Soren. Si tolse l'elmo e si passò le dita tra i capelli. «Guarda, hanno bruciato i campi, ammazzato la gente e sono scappati.» «Solo una bestia come Oremund può aver or-dinato un tale scempio» replicò Stephen, la voce

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carica di disprezzo per la viltà del ribelle. «Se non fosse già morto, lo ucciderei di nuo-vo, molto lentamente, per aver commesso una simile atrocità» dichiarò Soren. Lord Oremund era stato alleato dei ribelli che cercavano di ro-vesciare il nuovo re affinché i vecchi baroni sas-soni riprendessero il potere in Inghilterra. Era stato ucciso nella battaglia che doveva assicura-re a Brice, l'amico di Soren, le terre di sua mo-glie, sorellastra di Oremund. La brama di vendetta gli faceva ribollire il sangue e neppure la pietà per i morti che aveva davanti riuscì a raffreddarlo. Aveva tutte le ra-gioni per voler stanare e distruggere i responsa-bili della sua condizione, tuttavia gli abitanti del villaggio – uomini, donne e bambini – non ave-vano fatto niente per meritare di venir massacra-ti dai soldati del loro signore. Poteva succedere che innocenti restassero coinvolti in una guerra, ma quella non si poteva definire tale. Era una vera e propria carneficina. «Controllate se qualcuno è ancora vivo e sep-pellite i morti» ordinò. «E bruciate i corpi di quelli che hanno combattuto contro di noi.» Stephen esitò, ma rimase in silenzio. Soren si voltò a guardarlo con l'occhio sano. Il lampo d'orrore che attraversò lo sguardo dell'amico du-rò quanto un battito del cuore, ma a Soren non sfuggì. Ancor più penosa, tuttavia, fu l'espres-sione compassionevole che lampeggiò negli oc-chi di quel soldato indurito dalle battaglie. Lo stomaco gli si serrò nel modo che ormai gli era familiare quando affrontava quella co-stante, inevitabile reazione al proprio aspetto. Spavento, orrore o repulsione erano prontamen-

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te sostituiti dalla pietà. Dannazione, non ne po-teva più! Soren girò i tacchi e si allontanò, senza aspettare di vedere se i suoi ordini venivano e-seguiti. In quel momento il sangue gli ribolliva di o-dio. Avrebbe scovato i figli di Durward di Al-ston e li avrebbe annientati, affinché quel nome venisse cancellato dalla faccia della terra. La ci-catrice irregolare che dall'occhio scendeva lun-go la guancia e sul collo prese a formicolare, ri-cordandogli il danno che gli era stato inferto dal codardo sassone a battaglia ormai conclusa. Re-sistette all'impulso di toccarla, troppe persone lo stavano guardando. Ansel, un altro degli uomini di Brice, lo chiamò e lui gli fece segno di avvicinarsi. Era seguito da un prete che avanzava zoppicando e, con la testa china, pregava sottovoce. Siccome non vedeva davanti a sé, il prete andò a sbattere contro Ansel e barcollò. Solo allora alzò il capo, i loro sguardi si incrociarono e accadde. L'orrore. Lo spavento. D'istinto il prete si fece il segno della croce e distolse lo sguardo come se non riuscisse a sop-portare tale vista. Di nuovo Soren fu pervaso dalla rabbia e dall'odio ed esplose. «Portalo via di qui, Ansel» gridò. La sua voce echeggiò nel silenzio e coloro che non lo stava-no ancora guardando si voltarono verso di lui. Soren non ci fece caso. «Soren, il prete vuole benedire i morti» spie-gò Ansel con calma, niente affatto impressiona-to dalla sua collera. Lui trasse un profondo respiro, cercando di riprendere il controllo, mentre il bisogno di col-

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pire, ferire e distruggere gli faceva pulsare il sangue, minacciando di sopraffarlo. Strinse i pugni, serrò i denti e attese che quell'impeto d'i-ra si attenuasse. Il prete curvò ancora di più la schiena e nel cortile si levarono dei mormorii: tutti i presenti, sia i contadini superstiti sia gli uomini di Soren, aspettavano di vedere la sua reazione. Lui non riusciva a parlare, tanto la gola era serrata dalla rabbia; mani e braccia gli dolevano dal bisogno di colpire qualcuno. Rivolse ad An-sel un secco cenno di assenso e riprese a cam-minare. L'unico sollievo, in quei momenti, era la fatica. Lavoro duro, fisico, che avrebbe sfinito il suo corpo e scaricato dalla sua anima un poco di odio. Con tale consapevolezza raggiunse gli uo-mini che stavano raccogliendo i cadaveri e, sen-za dire una parola, cominciò a lavorare con loro. Ore dopo, esausto per il lungo viaggio e ancor più per la fatica di scavare fosse e riempirle di morti, Soren si trascinò verso il proprio giaci-glio. Ci sarebbero voluti diversi giorni per sep-pellire tutti i cadaveri e mettere un po' di ordine a Shildon e solo a quel punto sarebbe potuto ri-partire per il nord, verso Alston. Giorni sprecati, mentre lui avrebbe dovuto assumere il controllo delle sue terre e liberare il mondo dalla sprege-vole stirpe di Durward. Aveva dato la sua parola a Obert e a Brice, quindi non poteva esimersi dal concludere il suo compito lì a Shildon. Seppur a malincuore, l'a-vrebbe portato a termine. Da quando aveva avu-to fra le mani il decreto che attestava la sua no-mina a barone e aveva pronunciato le parole che

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lo rendevano un leale servitore del re e ricevuto la benedizione del vescovo, la tensione dentro di lui era aumentata a dismisura. Con il passare delle ore e dei giorni, l'urgenza di reclamare le sue terre e di mettere il proprio marchio su quel luogo lo pressava, simile al desiderio ardente di un cibo che non avrebbe potuto né dovuto man-giare. Con il passare dei giorni, la paura tormentosa che quel sogno gli sarebbe stato portato via cre-sceva dentro di lui. Come un ghiotto osso sven-tolato davanti a un cane affamato, le promesse contenute nel decreto reale lo inducevano a bal-lare alla musica suonata dal sovrano, indipen-dentemente dai rischi che avrebbe corso. Soren e i suoi amici erano figli illegittimi, privi del di-ritto di ereditare beni e terre. L'opportunità che il re aveva offerto loro era una concessione i-naudita e il timore del fallimento lo seguiva pas-so passo, come era accaduto anche a Giles e a Brice. Non che avesse più importanza, si disse Soren per l'ennesima volta da quando aveva parlato con il vescovo Obert. I sogni e le speranze di costruirsi una vita erano morti sul campo di bat-taglia e ora lui viveva soltanto per vendicarsi. Anche se aveva accettato il dono del re, una vol-ta che se lo fosse assicurato non sapeva di preci-so cos'avrebbe fatto. La sera del quinto giorno dal suo arrivo a Shildon, Soren venne assalito da un improvviso senso di colpa. E anche dall'ironia della situa-zione, dal momento che aveva in mente per Al-ston lo stesso destino che Oremund aveva riser-

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vato ai suoi: bruciare il castello e fare piazza pu-lita di tutto per potervi imprimere sopra il pro-prio marchio. Si chiese se avrebbe provato pietà per i discendenti di Durward, dopo che li avreb-be uccisi, e se quella sorta di giustizia avrebbe riscattato anche lui. Il sonno lo colse prima che potesse darsi una risposta. Soren ordinò agli uomini di salire a cavallo e montò a sua volta. Con un grosso sforzo riuscì a non sorridere, perché sapeva che in quel modo il suo viso sarebbe apparso ancora più demoniaco. Dopo aver organizzato il governo delle terre e dei sopravvissuti, aveva affidato il comando a uno degli uomini di Brice, che si sarebbe occu-pato di Shildon finché lo stesso Brice non aves-se scelto un amministratore. Il pensiero di partire per le terre che sarebbero diventate la sua dimora, di liberarle della feccia che le abitava e della battaglia che avrebbe do-vuto ingaggiare per compiere tutto ciò gli faceva scorrere il sangue più veloce nelle vene e i mu-scoli fremevano per la smania di impugnare la spada. Avrebbe avuto tempo e opportunità in abbondanza, per cui si impose di restare tran-quillo in attesa che i suoi uomini si disponessero in fila dietro di lui. La sua attenzione era concentrata su quella formazione ordinata, pronta per difendersi e da-re battaglia, se fosse stato necessario, e Soren non si accorse del ragazzino che gli si avventava contro, di lato. Sentendo l'urlo del bambino si voltò un istante prima di essere attaccato. Attaccato? Il bambino aveva in mano un pu-

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gnale e lo teneva sollevato mentre correva verso Soren e il suo cavallo. Il guerriero, forte ed e-sperto, impiegò pochi istanti e ancor meno sfor-zo per sventare l'assalto: molto semplicemente, si chinò e agguantò il ragazzino per la tunica, sollevandolo da terra e lasciandolo penzolare a mezz'aria. A quel punto il giovanissimo assali-tore non ebbe più alcuna speranza né di succes-so né di fuga. «Che cosa diavolo credi di fare?» lo apostrofò Soren, scrollandolo finché il bambino non lasciò cadere il pugnale. Gettò indietro il cappuccio, servendosi delle orribili cicatrici per incutergli ancora più terrore. «Pensavi di uccidermi?» Gli uomini, non appena si furono resi conto che non c'era più pericolo, cominciarono a ridere per lo strampalato tentativo del bambino di colpire il loro capo e rimasero a guardare, aspettando la reazione di Soren. «Voi... voi...» sbottò il piccolo, agitando i pu-gni nell'aria, senza peraltro riuscire ad avvici-narsi al guerriero. «Bastardo?» gli suggerì Soren a bassa voce. «Sì.» Il bambino sputò per terra. «Siete un bastardo!» Quell'insulto aveva smesso di ferirlo da tem-po. Del resto, lo condivideva nientemeno che con il re normanno. Soren aveva scoperto la ve-rità riguardo ai suoi genitori quando aveva all'incirca l'età del ragazzino e aveva imparato a proprie spese che non valeva la pena di infuriar-si né di reagire. Gli insulti hanno potere solo se ti lasci go-vernare da loro. Gli sembrava quasi di risentire la voce di Lord Gautier quando gli aveva impar-

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tito quella lezione di vita, molto tempo prima. «Lo è perfino il mio re, che adesso è anche il tuo» si limitò a replicare. I soldati si misero a ridere. Loro stessi si era-no sentiti ripetere innumerevoli volte l'offesa, essendo nati quasi tutti al di fuori del vincolo nuziale. Era uno dei motivi per cui avevano de-ciso di stare insieme e per cui Soren si sentiva a proprio agio con loro. Tra le file dei suoi soldati non c'erano guerrieri di nobili natali in grado di umiliarlo. Nessun figlio di aristocratici prestava servizio insieme a lui, perché solo il figlio legit-timo di Lord Gautier gli era stato amico. Tutti bastardi, dunque, ai quali nessuno aveva chiesto scusa per averli messi al mondo in condizioni di netta inferiorità. Soren lasciò cadere a terra il bambino e rima-se in attesa della sua mossa successiva. Curioso, era il primo essere umano che non avesse reagi-to con orrore o pietà davanti al suo volto sfigu-rato. «Come ti chiami?» gli domandò. «Raed» rispose il bambino, con le spalle tirate indietro e il mento sollevato. «Raed di Shildon, dove sono i tuoi genitori?» Soren si rese conto che quel nome si accordava perfettamente con i capelli rossi del ragazzino. Raed distolse lo sguardo, portandolo verso le fosse coperte di terra fresca allineate lungo la strada e fece un cenno con la testa. «Non ho madre» rispose a bassa voce. «E mio padre è laggiù.» Orfano. Per colpa dei soldati di Oremund. «Che cosa sai fare?» chiese ancora Soren. In quel bambino c'era qualcosa che lo toccava pro-

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fondamente, raggiungendo un organo che rite-neva ormai del tutto insensibile. Raed doveva avere all'incirca otto anni e lui ricordava bene la fierezza che l'aveva colmato a quell'età. Il bam-bino si strinse nelle spalle e scosse la testa. «Sciocco e coraggioso, quindi, perché assalire un cavaliere armato di tutto punto con un coltel-lo significa cercare la morte.» Mentre quelle parole gli uscivano d'impulso dalle labbra, sentì uno spasmo nello stesso pun-to di prima, lo stesso preposto a riconoscere ve-rità che non voleva accettare. Raed si chinò a raccogliere il pugnale, facendolo saltare da una mano all'altra mentre assumeva la postura di un autentico guerriero. Era chiaro che aveva già usato quell'arma. In quel momento Soren prese una decisione che sbalordì lui per primo e della quale non avrebbe saputo spiegare le motiva-zioni. «Il coraggio mi fa comodo, la stupidità te la farò passare a suon di frustate» sbottò. Il bam-bino impallidì, ma non distolse lo sguardo. «Mi serve uno scudiero. Larenz, lo porteremo con noi.» Gli uomini risero di nuovo e Larenz si affrettò a prendere il ragazzino per una spalla, trasci-nandolo poi verso il fondo della colonna. Senza sapere neppure lui perché si fosse appena assun-to il compito di addestrare quel bambino, Soren alzò la mano e diede il segnale della partenza. Soren non rivide il bambino durante i quattro giorni di viaggio verso Alston, ma ogni giorno Larenz faceva rapporto. Solo la sera della vigilia del loro arrivo, Raed apparve per qualche istan-

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te, prima di scomparire di nuovo tra le ombre dell'accampamento. La notte precedente alla battaglia Soren dormì male, come gli accadeva sempre, in parte per l'incertezza dell'esito, in parte per l'eccitazione dell'imminente combattimento. Stanco di rigi-rarsi, durante la notte si alzò e fece un giro per l'accampamento. Si fermò a parlare con qualcu-no degli uomini, ma in realtà stava cercando il ragazzino che si era preso come scudiero. Lo trovò, raggomitolato a una certa distanza da un falò ormai spento, che rabbrividiva per il freddo dell'alba. Soren vide una coperta abbandonata lì vicino e gliela mise addosso. Si stava allonta-nando quando il bambino lo fermò, rivolgendo-gli una domanda a bassa voce. «E voi come vi chiamate?» chiese Raed. «Soren» rispose il guerriero. «Soren il Danna-to.» Qualunque fosse stato l'esito della battaglia del giorno successivo e della lotta di Guglielmo contro i ribelli che imperversavano nel paese e nonostante la quantità di sangue che avrebbe fatto versare al nemico, la sua anima era dannata a causa delle tenebre che lo avvolgevano.

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MARGUERITE KAYE Il principe del deserto

MARGARET MOORE L'ereditiera scozzese

ARABIA - INGHILTERRA, 1818 - Rimasta sola tra le sabbie infuocate del deserto, Lady Celia viene salvata dal seducen-te Sceicco Ramiz. E nel suo harem scopre l'amore.

SCOZIA, 1817 - Lady Moira viene citata in giudizio dall'ex fidanzato, difeso dall'attraente Gordon McHeath. Ma l'av-vocato decide di mettere la legge del cuore prima di tutto.

La figlia del nemico TERRI BRISBIN

INGHILTERRA, 1067 - Costretta a sposare il rude Soren, Sybilla intuisce che il feroce guerriero bretone nasconde in sé un uomo vulnerabile ancora capace di amare.

Timida duchessa AMANDA MCCABE

INGHILTERRA, 1819 - Quando Emily capisce che il marito non è solo il dandy affascinante che credeva, decide di di-ventare la duchessa e l'amante che lui ha sempre desiderato.

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CHRISTINE MERRILL Un conte da sedurre

MIRANDA JARRETT Il cuore e la ragione

LONDRA, 1815 - Lady Emily decide di sedurre il marito di-venuto cieco senza rivelargli la propria identità. E lo strata-gemma porterà finalmente l'amore nelle loro vite.

VENEZIA, 1775 - Complice la magia di Venezia, Jane deci-de di seguire il cuore e non la ragione. E una notte si lascia tentare dalla passione per il bellissimo Duca di Aston...

Tra le braccia di un barbaro CAROL TOWNEND

TURCHIA, 1081 - Vestendo i panni della Principessa Theo-dora, Katerina fa breccia nel cuore di Ashfirth il Sassone. Come potrà rivelare la verità al guerriero che ormai ama?

Una proposta inattesa ANNIE BURROWS

INGHILTERRA, 1815 - Imogen sa di non essere una bellezza, e quando l'affascinante Visconte di Mildenhall chiede la sua mano, sospetta che lui abbia un secondo fine. Ma quale?

Dall'1 marzo

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