harry potter 8

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CAPITOLO RITORNO AD HOGWARTS Harry si svegliò disteso a faccia in giù, il punto in cui l’anatema che uccide lo aveva colpito gli faceva un gran male. Rimase qualche istante in ascolto, immobile e con gli occhi serrati, aspettando di sentire le urla di trionfo dei Mangiamorte per la sua fine. Tese le orecchie, ma l’unico rumore che riuscì a distin- guere era un orrendo suono a metà tra un risucchio e un gemito. Aprì gli occhi di un millimetro, per vedere da dove ve- nisse quel rumore, ma impiegò qualche secondo a capire che non si trovava disteso nella Foresta, circondato da Voldemort e i suoi Mangiamorte. Sbatté gli occhi, aggrediti da una violenta luce arancio- ne, poi finalmente riuscì a distinguere sette persone che lo salutavano animatamente, tutti con indosso sgargianti abiti arancioni, e muniti di manici di scopa. Erano i gio- catori dei “Cannoni di Chudley” che lo salutavano dai poster appesi nella stanza di Ron. Si tirò a sedere in mezzo al letto e si voltò, sbadiglian- do, verso quello dell’amico.

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Dal 1° al 10° capitolo

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Page 1: HARRY POTTER 8

Capitolo �

RitoRno ad HogwaRts

Harry si svegliò disteso a faccia in giù, il punto in cui l’anatema che uccide lo aveva colpito gli faceva un gran male. Rimase qualche istante in ascolto, immobile e con gli occhi serrati, aspettando di sentire le urla di trionfo dei Mangiamorte per la sua fine.

Tese le orecchie, ma l’unico rumore che riuscì a distin-guere era un orrendo suono a metà tra un risucchio e un gemito.

Aprì gli occhi di un millimetro, per vedere da dove ve-nisse quel rumore, ma impiegò qualche secondo a capire che non si trovava disteso nella Foresta, circondato da Voldemort e i suoi Mangiamorte.

Sbatté gli occhi, aggrediti da una violenta luce arancio-ne, poi finalmente riuscì a distinguere sette persone che lo salutavano animatamente, tutti con indosso sgargianti abiti arancioni, e muniti di manici di scopa. Erano i gio-catori dei “Cannoni di Chudley” che lo salutavano dai poster appesi nella stanza di Ron.

Si tirò a sedere in mezzo al letto e si voltò, sbadiglian-do, verso quello dell’amico.

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Ron era completamente rannicchiato sotto il copriletto, anch’esso arancione e guarnito con due ‘C’ gigantesche e una palla di cannone.

Quel rumore innaturale, a metà tra un risucchio e un gemito, ancora udibile, sembrava essere il respiro del-l’amico. Ron continuava a respirare in quella maniera di-sgustosa e innaturale, e ad ogni suo respiro sembrava arri-vare anche uno sgradevole e penetrante puzzo di fogna.

«Ron?» lo chiamò Harry, con la voce ancora impastata dal sonno.

Ma Ron non si mosse. Harry lo chiamò altre volte, a voce sempre più alta, ma l’amico non dava il minimo se-gno di averlo sentito.

Harry scese dal letto preoccupato. Era impossibile che Ron non lo sentisse gridare il suo nome tanto erano vicini i letti.

Prese i suoi occhiali dal comodino, ma senza perdere mai di vista una ciocca sparuta dei capelli di Ron che spuntava da sotto le coperte. In due passi fu al suo ca-pezzale, e, mentre con una mano finiva di sistemarsi gli occhiali sul naso, con l’altra tirò un lembo della coperta scoprendo il volto di Ron.

Harry urlò e cadde all’indietro scivolando su una cia-batta, tirandosi addosso la coperta e perdendone tra le pieghe gli occhiali.

Ron a quel punto si alzò a sedere in mezzo al letto, urlando e gemendo a sua volta, in maniera decisamente innaturale e non umana. Quello non era Ron. Gli assomi-

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gliava per forma e taglia, aveva cespugliosi capelli rossi sulla testa e indossava quello che sembrava essere un suo vecchio pigiama, ma non era Ron. Era deforme, coperto di enormi e rivoltanti pustole e continuava a ululare e a divincolarsi come una bestia ferita.

Harry arrancò sul pavimento come uno scalmanato, avvinghiandosi sempre più nella coperta che si era trasci-nato dietro cadendo. Cercando di arrivare carponi a pren-dere la bacchetta che aveva lasciato sotto il suo cuscino, sentì rompersi sotto il ginocchio i suoi occhiali.

In quel momento si aprì la porta della stanza, e sulla soglia, pur senza occhiali, riconobbe la figura e la voce del vero Ron.

«Harry cosa diavolo…» disse Ron fissandolo ester-refatto. Harry era a terra, sconvolto, i capelli ancor più spettinati del solito e arrotolato per metà tra le coperte.

«RON! Grazie al cielo! Nel tuo letto c’è…» disse Har-ry mettendo entrambe le mani sotto al cuscino e tirando-ne fuori due bacchette.

«Harry ma sei impazzito? Quello è il nostro demone!» Harry fissò Ron a bocca aperta, e poi tornò a guardare la figura che continuava a ululare imperterrita nel letto.

Solo allora ricordò che la sera prima erano tornati per la prima volta alla Tana da quando c’era stata la battaglia ad Hogwarts. Era tardi e non c’era stato tempo per riman-dare il demone, che si era finto Ron con la spruzzolosi per tutto l’anno precedente, su nella sua soffitta.

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Così Harry, stanco morto, aveva accettato di dormire con il demone, e Ron era andato a dormire in camera con Ginny.

«Avevo… avevo dimenticato» disse Harry con un filo di voce e arrossendo velocemente.

Ron scoppiò a ridere, una risata a pieni polmoni, esa-gerata, liberatoria. La morte di Fred aveva sconvolto tut-ti, come quella di Lupin e Tonks. Nessuno rideva più da giorni, la loro assenza pesava tra loro come un macigno. Harry si unì a malincuore alla risata di Ron, solo per non rovinare quel momento, solo per la gioia di sentir ridere l’amico.

Ron prese la coperta da terra e la stese sulla testa del demone, che, tornato nuovamente invisibile, parve cal-marsi e riprese a ronfare in quel suo modo disgustoso.

«Vieni, scendi a fare colazione, hai proprio bisogno di mettere qualcosa nello stomaco. Ginny e George sono già in cucina. Sbrigati prima che arrivi anche Percy» disse chiudendo la porta, e continuando a ridere nel corridoio.

Harry prese da terra i resti degli occhiali, vi puntò la sua bacchetta e disse «Reparo». Gli occhiali tornarono come nuovi. Harry se li infilò e cominciò a vestirsi. Na-scose la bacchetta di sambuco sotto al materasso e mise la sua nella tasca dei pantaloni. Uscì dalla stanza mas-saggiandosi delicatamente il punto in cui l’anatema che uccide l’aveva colpito ormai tanti giorni addietro, anche se in certi momenti sembrava fosse appena successo.

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Scese lentamente, attraverso una scala zigzagante, i tre piani che lo separavano dalla cucina della Tana.

La piccola cucina era come al solito piuttosto ingom-bra. La signora Weasley si muoveva per la stanza rumoro-samente. Mentre un mestolo girava i fagioli e un coltello imburrava il pane a mezz’aria, lei continuava a lanciare salsicce in una padella enorme, gettando occhiate malin-coniche al tavolo della cucina dove i suoi figli mangiava-no in silenzio.

La vecchia radio vicino al lavandino aveva appena annunciato “L’ora della magia, ospite Rita Skeeter con interessanti novità sull’epico scontro tra Colui-che-non-deve-essere-nominato e il Prescelto”. Harry scosse il capo. Erano passati dieci giorni da quando lui e Voldemort si erano battuti, la notizia era rimbalzata per tutto il mon-do magico come un boccino d’oro. Persino lui, che aveva evitato in tutti i modi di parlare con chicchessia, era stato costretto a narrare l’accaduto più volte. Era naturale che la gente volesse sapere, che volesse essere tranquillizza-ta, che volesse essere sicura che Voldemort fosse morto per sempre. A questo punto dell’“epico scontro” era stato detto veramente tutto, che Rita Skeeter avesse interessan-ti novità era pazzesco, lei non c’era quel giorno! Forse Harry avrebbe dovuto mentire e dire che anche lei era una Mangiamorte e farla chiudere ad Azkaban, pensò mentre si sedeva tra George e Ginny al tavolo della cucina.

Tutti lo salutarono, improvvisamente sorridenti, con-tenti di poter ridere ancora al racconto di Ron e del demo-

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ne in pigiama, grati di aver qualcosa di cui ridere. Appena il suo sedere aveva toccato la superficie della sedia la si-gnora Weasley gli aveva già riempito il piatto.

«Adesso arrivano altre salsicce Harry caro, inizia pure a mangiare» disse mentre spegneva la radio.

Ginny gli carezzò la mano mentre gli versava del succo d’arancia, intanto che Ron continuava a mimare a George come Harry fosse stato sopraffatto dal demone e dalla sua perfida coperta.

«Non vedo l’ora che torni Hermione per raccontarglie-lo» concluse Ron addentando una salsiccia. Hermione era andata in Australia a recuperare i suoi genitori a cui aveva modificato i ricordi. Sarebbe stata via alcuni giorni per reintrodurli ad una vita normale e per stare un po’ con loro.

Tutti ripresero a mangiare smarriti nei propri pensieri.Harry pensò a quanto dolce sarebbe potuto essere quel

momento se Sirius, Silente, Fred, Lupin, Tonks e perfino Piton non fossero morti e avessero trascorso quel periodo di pace tutti insieme.

Harry non sapeva cosa avrebbe fatto ora. In quei dieci giorni che erano stati lontani dalla Tana si erano occu-pati di seppellire i loro cari e di dare una mano dove necessitava, non aveva avuto tempo per pensare a nulla. Voleva lasciare tranquilla per un po’ la famiglia Wea-sley, e trascorrere un periodo a riflettere su cosa sarebbe stato ora della sua vita. Forse sarebbe stato meglio par-tire oggi stesso per Grimmauld Place, lì ci sarebbe sta-

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to almeno Kreacker a fargli compagnia. Ma la signora Weasley difficilmente l’avrebbe lasciato andar via così. Aveva anche una mezza idea di scrivere una lettera a suo cugino Dudley. Voleva dirgli che ora potevano stare tranquilli, e cominciare, per la gioia di zio Vernon e zia Petunia, una vita veramente normale, lontano da lui e dal suo mondo.

Appena tutto si fosse tranquillizzato sarebbe dovuto anche tornare ad Hogwarts, per nascondere la bacchetta di sambuco. Ne avevano discusso con il quadro di Silente nell’ufficio dei Presidi e avevano deciso così, seppure tra le mille proteste di Ron, che pensava fosse uno spreco che una bacchetta così potente giacesse inutilizzata per sempre. Solo che Hogwarts in quei giorni era un via vai di maghi venuti da ogni parte del mondo per dare una mano nella ricostruzione della scuola, e non era stato possibile nasconderla senza dare troppo nell’occhio.

Mentre terminava quel pensiero dalla finestra aperta precipitarono dentro quattro allocchi che planarono sul tavolo della cucina scombinando piatti e bicchieri ancora in parte pieni. Tutti e quattro i gufi sollevarono una zam-pa dove era legata una grossa busta quadrata. Le buste recavano l’intestazione di Hogwarts ed erano indirizzate a Ginny, come era naturale che fosse, ma anche a Harry, Ron e George, che si fissarono in silenzio.

Ognuno cominciò ad armeggiare con il laccio che le-gava la propria busta alla zampa del gufo. Harry riuscì

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a slegarla per primo, aprì la busta, estrasse il foglio di pergamena e lesse:

Caro signor Potter,ci pregiamo di informarla che, in base al nuovo statuto scolastico, tutti gli studenti che per “causa di forza maggiore” non abbiano potuto frequentare l’anno accademico appena trascorso avranno la possibilità di tornare a scuola.

Essendo, come da noi appurato, intervenuta nel suo caso “causa di forza maggiore” siamo lieti di darle l’opportunità di completare i suoi studi.

Le ricordiamo che il nuovo anno scolastico comincerà il primo settembre. L’espresso per Hogwarts partirà dalla stazione di King’s Cross, binario nove e tre quarti, alle undici in punto.

Allego la lista dei libri di testo per gli studenti del settimo anno.Cordialmente

Professoressa M. McGranittPreside

P.S. Il professor Albus Silente, dall’interno del suo ritratto, si unisce a me nel richiedere la sua gradita presenza.

«Ron…» chiamò Harry l’amico che non si era anco-ra voltato e continuava leggere e rileggere quel pezzo di pergamena.

«Anche tu?» chiese piano.«Io… mi chiedono di tornare a scuola, un altro anno di

scuola!» disse Ron incantato.«Hey non vi montate la testa, l’hanno chiesto anche a

me» disse George dando un pugno sulla spalla sia a Ron che a Harry.

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«E cosa pensate di fare?» chiese Ginny, che solo ora aveva afferrato il contenuto della lettera.

«Ci vanno tutti e tre!» tuonò la signora Weasley in un tono che non ammetteva repliche, sbattendo la padella con le salsicce sul tavolo e facendo volare via tutti e quat-tro i gufi.

Per quanto avesse passato “abbastanza guai per una vita intera”, più guai e dolori di qualsiasi mago adulto, per la prima volta da un anno a questa parte, si sentì con-tento di essere nuovamente solo uno studente.

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Capitolo �

il più osCuRo dei libRi

Era arrivato troppo presto, il piccolo negozio di libri non era ancora aperto. Non gli rimase che aspettare, non po-teva permettersi di dare nell’occhio.

Si sedette su una panchina dall’altro lato della strada. Era stanco, ormai era passato quasi un mese da quando era partito per la missione. La prima parte, la più peri-colosa, era compiuta. Ma anche ora, il semplice fatto di trovarsi in città, era un rischio.

Proprio per questo era ricorso alla Pozione Polisucco. L’aveva bevuta poco prima di materializzarsi ai margini del paese. Aveva utilizzato i capelli di un grasso babba-no ubriaco che aveva incontrato la sera prima. Si sentiva impacciato e disgustato da quel nuovo aspetto, ma era necessario, doveva restare nascosto.

Ripensò a quel che era accaduto qualche giorno prima, quando aveva finalmente trovato il castello che gli era stato descritto “una fortezza, nera come la notte”. Secon-do quello che aveva appreso, Grindelwald aveva passato gli ultimi anni della sua vita rinchiuso in una cella nella più alta delle torri. E proprio lì era stato trovato misterio-samente morto. Solo in seguito aveva scoperto che era

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stato proprio Voldemort a ucciderlo nella sua ricerca del-la Bacchetta di Sambuco.

Ma lui cercava qualcos’altro in quella fortezza. Aveva faticato per riuscire a superare tutti gli incantesimi di pro-tezione disseminati nel castello, ma alla fine ce l’aveva fatta. Aveva infine scovato ciò che solo nei suoi sogni sperava di trovare.

Si ridestò dai suoi pensieri. Tirò fuori un giornale mal-concio dalla tasca interna della stretta giacca. Non capiva proprio come i babbani potessero portare abiti così scomo-di! Il giornale era La Gazzetta del Profeta di qualche gior-no prima. L’articolo principale gli fece torcere le budella:

SIGLATO ACCORDO CON LE CREATURE MAGICHEÈ stato finalmente istituito il CIOcCoCreMa (Centro Interministe-riale di Oculata Collaborazione con le Creature Magiche).Lo ha reso noto ieri il Ministro della Magia in persona. Il Ministro Kingsley ha raccontato in anteprima al nostro giornale che “Dopo i recenti accadimenti che ci hanno visto uniti nella lotta alle forze Oscure, per confermare il rapporto di collaborazione che deve esi-stere tra i Maghi e le Streghe e tutte le altre creature magiche è stato creato questo nuovo organo”.

Sarà composto per metà da membri del ministero e per metà da rappresentanti delle altre creature magiche di tutto il mondo. Gli Elfi domestici e i Centauri hanno già aderito e presto si aggiunge-ranno i rappresentanti di altri gruppi.

Per sovrintendere alla sigla di questo importante accordo si è re-cato in visita ufficiale al Ministero il Presidente dei Maghi d’Ameri-ca con una nutrita delegazione di maghi americani “È un passo im-portante”, ha detto il Presidente John Waynegan, “Noi maghi degli Stati Uniti ci impegneremo per far sì che questo patto sia stipulato nel migliore dei modi e rappresenti un vantaggio per tutti noi”.

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Smise di leggere. Era atterrito, maghi ridotti allo stesso livello degli elfi domestici.

Non solo si era ritornati allo stato delle cose precedente al ritorno di Voldemort, ma si era andati oltre. L’entusia-smo per la morte del Signore Oscuro, così a lungo repres-sa, aveva contagiato tutta la popolazione magica, e una voglia di rispetto e collaborazione era entrata nel cuore di ognuno.

Anche se lui, naturalmente, non la pensava così. Il suo sangue puro ribolliva nelle vene.

Riprese a leggere. Un trafiletto sul fondo della pagina ricordava che erano in corso i preparativi per l’inizio del nuovo anno ad Hogwarts. “Grazie al contributo dei ma-ghi americani sono finalmente terminate le opere di rico-struzione della nostra amata Hogwarts - a pag. 4 intervi-sta alla Preside McGranitt e indiscrezioni sul rinnovato corpo insegnanti”.

Sentì un rumore provenire dall’altro lato della strada. Le pesanti imposte di legno del negozio che stava tenen-do d’occhio si aprirono lentamente. Sulla soglia apparve la sagoma curva di un uomo molto vecchio. Canuto, con la pelle bianca e venata come una pergamena, non sem-brava più neanche un mago, dopo tanti anni vissuti in mezzo ai babbani.

Il vecchio fece un paio di passi, guardò a destra e a si-nistra e poi rientrò.

«è arrivato il momento» mormorò tra sé, mettendo via il giornale e dirigendosi verso la libreria.

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All’interno c’erano libri ovunque, alcuni disposti ordi-natamente sugli scaffali, ma la maggior parte impilati in modo instabile in ogni angolo della stanza.

«Buongiorno, buongiorno, posso esserle utile?» lo ac-colse il vecchio da dietro il bancone.

«Certo. Mi sarai molto utile» rispose il mago, con un filo di malignità mal celato nella voce.

«Cinereus, non mi riconosci?».Il vecchio parve barcollare dietro il bancone. La Pozio-

ne Polisucco gli aveva cambiato il viso e la corporatura, ma la sua voce, profonda e rauca, era inconfondibile.

«Cosa fai qui... non dovresti farti vedere in giro. Io... io non voglio aver più nulla a che fare con voi!».

«Abbiamo bisogno di te Cinereus».«Non pronunciare quel nome, non mi appartiene più...

voi ancora non vi siete rassegnati! Ormai è finita, non ab-biamo più nessuna speranza. Siamo fortunati a non essere finiti tutti ad Azkaban e se qualcuno sapesse che sei...».

«Basta Cinereus! Ci occorrono le tue conoscenze. Pren-di le tue cose e vieni con me».

«Lasciatemi stare! A cosa posso servirvi, sono solo un povero vecchio. Quello in cui credevo non mi interessa più, voglio solo passare in pace gli ultimi anni che mi rimangono» disse lamentoso.

«Cinereus non abbiamo tempo da perdere. Non farmi arrabbiare o io...».

Il vecchio non gli diede tempo di terminare la frase, con un movimento sorprendentemente rapido, estrasse la

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bacchetta da sotto il bancone. Ma prima di poter formula-re un incantesimo l’altro gridò «Expelliarmus».

La bacchetta di Cinereus volò contro un’alta pila di li-bri facendola crollare.

«Cominciamo male Cinereus, cominciamo molto male» disse il mago digrignado i denti.

Si sentirono dei passi arrivare dal retro del negozio e una piccola donna anziana, ancora avvolta in una sgar-giante vestaglia bordò, si affacciò da una porta nascosta dietro una tenda.

«Chi ha gridato? Cosa mai...» quando vide un uomo puntare una bacchetta contro suo marito soffocò a stento un grido, portandosi sconvolta le mani alla bocca.

Il mago la degnò appena di uno sguardo. «Va tutto bene vero Cinereus?» continuò tornando a fissare il vecchio «Ora suo marito verrà via con me signora. A lei il compito di far credere a tutti che è costretto a letto da una grave malattia. Siamo in pochi e dobbiamo restare nascosti, ma non credere che non siamo in grado di uccidere una vec-chia strega come tua moglie!».

Rimasero per alcuni istanti tutti immobili e in silenzio.«Hai capito Cinereus?» disse il mago rompendo il

silenzio.«Si ho capito» si arrese il vecchio.Il mago raccolse la bacchetta di Cinereus da terra e la

fece sparire nell’interno della giacca, prese per un brac-cio il vecchio e si smaterializzarono.

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La moglie si lasciò cadere su una sedia. Aveva spe-rato che tutto fosse finito. Finalmente anche suo marito sembrava deciso a vivere la vecchiaia in serenità. Ora era tutto cambiato, di nuovo.

Si rimaterializzarono all’interno di un bosco.«Muoviti, ora dobbiamo raggiungere gli altri» dis-

se con voce rauca iniziando a camminare. I due uomini camminavano a stento all’interno della fitta boscaglia. Quei luoghi probabilmente non venivano frequentati da tempi immemorabili.

Il freddo entrava nelle ossa. Nonostante fosse pieno giorno, una nebbia fitta avvolgeva tutto. Nemmeno le bacchette riuscivano a illuminare più di qualche passo avanti. Altre persone non avrebbero resistito in quell’am-biente, sarebbero state sopraffatte da un senso di oppres-sione, private di ogni scintilla di vitalità. Ma su loro due i dissennatori non avevano alcun effetto, la loro anima era malvagia, non c’era niente di cui potevano essere privati.

L’allegria e il buon umore che erano calati su tutta la terra dopo l’epica battaglia di Hogwarts, aveva decimato i dissennatori. Si erano ritirati in questa regione dove la miseria e la povertà già toglievano ogni speranza nel fu-turo. Con il loro arrivo tutto era anche peggiorato, nessun mago con un po’ di sale in zucca avrebbe messo piede in questa zona. Ma per loro era diverso, quello era diventato il luogo più adatto per nascondersi.

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«Ecco ci siamo» disse il mago. Davanti a loro c’era un masso su cui erano incisi due segni incrociati. Allungò la sua bacchetta sopra il masso e bisbigliò alcune formule.

«Ora possiamo passare, ma in fretta, gli incantesimi di protezione si riattiveranno subito».

«Chi vuoi che ci trovi in questo posto dimenticato... e chi dovrebbe cercarci?» si lamentò Cinereus ansimando.

«Taci vecchio! Pensi che non abbiamo considerato ogni evenienza?» rispose il mago adirato.

Proprio in quell’istante cessò l’effetto della Pozione Polisucco. Erano anni che Cinereus, dal suo nascondiglio babbano, non assisteva a questa magia. Quel corpo gras-so e gioviale si contrasse sino a tornare, sotto i suoi occhi disperati, la scarna sagoma del mago con cui un tempo aveva condiviso tanti ideali.

Oramai erano arrivati, ma intravidero la sagoma del rudere solo all’ultimo istante, quasi invisibile tra la fitta vegetazione.

Gli anni di abbandono e la natura avevano preso il sopravvento. Rampicanti, solidi come manici di scopa, sembravano voler stritolare la casa. Molti rami avevano sfondato le finestre ed erano usciti dal tetto, facendo sal-tare la maggior parte delle tegole.

Salirono tre gradini e si fermarono sulla soglia. Alla porta era attaccato un antico batacchio in ottone, raffigu-rante la testa di una piccola sfinge.

Il mago bussò deciso tre volte, e, quando l’eco del batac-chio cessò, gli occhi d’ottone della sfinge si animarono.

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Si mossero vispi, fissando dapprima Cinereus per poi fermarsi sul mago che aveva bussato.

«Quando si è spento il sacro fuoco?» disse la sfinge in un sussurro.

«Sempre arde il sacro fuoco» mormorò reverente il mago.

E mentre gli occhi della sfinge tornarono a chiudersi, la porta si aprì piano.

Entrarono, il salone che li accolse era enorme, troppo grande rispetto alle dimensioni esterne della casa. Del-le finestre visibili dall’esterno non c’era traccia, le pareti erano prive di aperture. La scarsa luce proveniva da po-che candele che bruciavano sospese a mezz’aria, in pros-simità delle pareti tutt’attorno alla stanza. A terra, sotto di ognuna, si era accumulata molta cera, ma le candele erano ancora intatte, non davano l’idea di consumarsi.

Al centro della sala un tavolo di legno scuro occupava buona parte della stanza, i tre maghi che vi erano seduti si voltarono verso di loro con aria impaziente.

«Vedo che sei riuscito a scovare il nostro caro amico. Hai dunque trovato anche ciò che cercavamo?» esordì uno dei tre maghi in uno strano accento.

«Ne dubitavi forse?» disse il mago dirigendosi verso di loro e spingendo malamente Cinereus avanti.

«Non è stato semplice ma ce l’ho fatta».Estrasse da sotto il mantello un sacchetto di stoffa le-

gato con un cordino. Si avvicinò al tavolo adagiandocelo

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sopra. Lo toccò con la bacchetta e il sacchetto scompar-ve, mostrando un vecchio libro frusto.

Negli occhi di Cinereus si accese un bagliore. Dal suo sguardo traspariva stupore e reverenza. Non avrebbe mai pensato di poter vedere quel libro prima di morire. Nel corso della sua vita era incappato in alcuni riferimenti alla sua esistenza, ma si pensava fosse sparito da secoli.

Ad Hogwarts ne esisteva una copia. Era però una ben misera copia, trascritta secoli dopo in maniera incom-pleta. Nonostante ciò Silente aveva voluto nasconderla ugualmente, togliendola dalla sezione dei libri proibiti. Quello che aveva davanti era il volume originale, appa-rentemente integro. Pur essendo alla vista solo un insie-me di vecchie pergamene rilegate, era tangibile l’enorme potere che queste sprigionavano. La paura che era cre-sciuta dentro di lui stava velocemente lasciando il posto al richiamo di quel potere.

«Vedo che hai riconosciuto il libro Cinereus. Spero per te che sarai capace di tradurlo» disse il mago nella sua strana pronuncia.

Cinereus si avvicinò fissando la copertina. Con reve-renza girò alcune pagine, toccandole solo con la punta delle dita.

«Allora ne sei capace?» gli mise fretta un altro mago. «Piano, piano, dovete capire che questo libro è vecchio

di secoli, e la scrittura utilizzata forse è ancora più antica, non posso sapere…».

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Ma l’altro lo interruppe gridando e puntandogli contro la bacchetta. «Cinereus sì o no?»

«Certo, certo…» continuò Cinereus tremando «Non pensavo esistesse ancora, sapevo che una trascrizione suc-cessiva era conservata nella biblioteca di Hogwarts, ma non avrei mai pensato di avere tra le mani l’originale».

Rimase in silenzio alcuni secondi, tornando ad osser-vare la copertina logora.

«“Segreti dell’Arte Più Oscura”, è un libro molto pericoloso…».

Di nuovo l’altro non lo lasciò parlare «Questo lo sap-piamo! Tu occupati solo di tradurlo, siete in pochi ormai capaci di farlo».

«Ma cosa volete farne, questo libro è...».«Ogni cosa a suo tempo Cinereus, ogni cosa a suo

tempo».

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Vita alla tana

Nei giorni seguenti, alla Tana tutti cercarono di riprende-re la vita di sempre, ma era come chiedere ad un uomo senza una gamba di non zoppicare. La signora Weasley coinvolgeva chiunque le capitasse a tiro nel vortice delle pulizie casalinghe. Qualsiasi attività fosse servita a tene-re lontani i pensieri era gradita a tutti.

George, anche se a malincuore, tornò ad occuparsi del negozio di scherzi. Sapeva che Fred non avrebbe voluto che fosse rimasto chiuso troppo a lungo. Ora che stava per iniziare l’anno scolastico erano praticamente inva-si dai gufi, tutti avevano un bisogno urgente di ordinare qualche “Tiro Vispo Weasley” da portare ad Hogwarts.

Harry e Ron si dedicavano prevalentemente alla pulizia del giardino, che era grande e pieno di erbacce e aveva continuamente bisogno di una sistemata.

Anche la disinfestazione dagli gnomi era diventata una specie di rito giornaliero. Ogni giorno ne allontanavano decine, ma quelli continuavano a tornare. Quando comin-ciava la disinfestazione, invece di nascondersi, correvano come pazzi per il giardino urtandosi uno con l’altro, non erano difficili da acciuffare.

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Harry ne afferrò uno per le orecchie. Era piuttosto gros-so, con la testa completamente calva ed esageratamente bitorzoluta. Aveva imparato anni prima a non fidarsi de-gli gnomi, quando uno di questi lo aveva morso ad una mano. Lo gnomo scalciava e si dimenava come una furia, ma Harry con un movimento collaudato lo mise a testa in giù e lo afferrò per le caviglie. Cominciò a farlo roteare sempre più velocemente girando su se stesso. Improvvi-samente mollò la presa e quello volò molti metri oltre la siepe che delimitava il loro giardino, atterrando con un tonfo.

«Non capisco come facciano a non farsi male» disse Harry appoggiandosi allo steccato, far girare gli gnomi alla lunga poteva diventare faticoso.

«Sono tanto coriacei quanto stupidi» disse Ron mol-lando il suo.

Lo gnomo lanciato da Ron schizzò alto, ma a metà del suo volo si scontrò imprevedibilmente con qualcosa nel cielo, precipitando poco prima della siepe.

Harry e Ron corsero a vedere cosa fosse caduto. Lo gnomo si era rialzato e aveva ripreso a correre senza una meta insieme agli altri, a terra era rimasta invece una pic-cola palla di piume.

«Complimenti Ron, hai appena abbattuto Leotordo.» disse Harry, che aveva riconosciuto il gufo dell’amico.

Ron si chinò sulle ginocchia preoccupato. Prese Leo-tordo tra le braccia lisciandogli piano le piume tutte scompigliate.

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«Leo, Leotordo... ti prego rispondimi» disse con un filo di voce.

Leotordo aprì piano gli occhi e bubbolò debolmente in segno di risposta, poi alzò la zampa mostrando una pergamena. Ron sospirò sollevato continuando ad acca-rezzare le piume del suo piccolo gufo.

Harry allungò la mano per prendere la pergamena dal-la zampa di Leotordo, ma Ron si voltò velocemente di schiena.

«è per me» disse. Prese la pergamena dalla zampa e passò il gufo a Harry, girandosi nuovamente per leggere.

Leotordo e Harry si fissarono perplessi.Dopo pochi istanti Ron, tese la pergamena ad Harry.

«è di Hermione…» iniziò deluso «ma è per tutti e due» disse paonazzo in viso, praticamente la faccia e i capelli avevano lo stesso colore.

Si scambiarono nuovamente Leotordo che sembrava ancora un po’ intontito ed Harry incominciò a leggere.

“Cari Ron e Harry, spero tanto che stiate tutti bene. Io e i miei genitori siamo finalmente tornati dall’Australia. Mio padre aveva quasi messo in piedi un allevamento di canguri, e una volta re-stituitagli la memoria, gli è quasi dispiaciuto tornare alla sua vecchia vita. Al contrario mia madre è stata entusiasta, in più di un occasione ha rischiato di essere divorata dagli alligatori!

A questo punto immagino che anche voi avrete ricevuto posta da Hogwarts… non è meraviglioso? Certo così all’im-provviso, non ci hanno dato molto tempo per ripassare, ma

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ho ideato un piano giornaliero di studio abbastanza fitto da permettermi di ripercorrere tutto il programma degli scorsi anni, non si sa mai, sempre meglio essere previdenti!

L’ho inviato anche a voi, mi raccomando di seguirlo alla lettera altrimenti non farete in tempo a fare un ripasso ve-ramente completo.

Ho comunque previsto una piccola pausa nel programma per il compleanno di Harry! Ci vediamo il 31 luglio. A presto Vostra Hermione”

«Tipico di Hermione... a me non era neanche passata per la mente l’idea di ripassare!» disse Harry divertito, mentre dava un’occhiata incredulo a quello che doveva essere il programma, una seconda pergamena scritta in maniera incredibilmente fitta.

«Già, tipico…» rispose malinconico Ron, assestando un gran calcio allo gnomo più vicino.

«Praticamente secondo questo programma ora dovrem-mo essere a studiare “Storia della Magia” e nel caso aves-simo finito prima, dovremmo essere a studiare “Incantesi-mi”. Non ci credo... Hermione ha ideato un programma di studio aggiuntivo ad uno già impossibile da attuare! Lei sicuramente corre il rischio di finire di ripassare in antici-po... e anche noi, vero Ron? » chiese Harry divertito.

«Già» rispose Ron, che però non sembrò cogliere l’iro-nia «Ha avuto così tanto da fare con questo programma da non potermi scrivere neanche…» si interruppe ar-rossendo improvvisamente come un semaforo babbano.

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Harry lo fissò divertito in attesa che completasse la frase, ma Ron in tutta risposta riprese ad inseguire gnomi con maggior foga.

A Harry capitò tra i piedi uno degli gnomi più piccoli che avesse mai visto, sembrava una vecchia patata con le gambe, alta non più di 15 cm. Cominciò a rotearla mec-canicamente, riflettendo su come sarebbe stato triste in questi giorni senza la presenza costante di Ginny.

Certo la signora Weasley la teneva impegnata con le pulizie e anche Ginny aveva molto da ripassare, ma il semplice fatto di saperla nella stanza accanto lo faceva stare bene. Anche se in quell’istante stava girando su se stesso come una trottola impazzita, con uno gnomo tra le mani, poteva mollarlo in qualunque istante e correre da lei anche solo per salutarla, per sfiorarla. Ogni volta che si incontravano per casa trovavano una scusa per toccar-si, una piccola carezza, uno sguardo, un occhiolino, un bacio rubato in giardino.

Capiva l’amico, non solo era lontano dalla sua Her-mione, ma evidentemente aspettava una missiva roman-tica che non era arrivata. Ron doveva avergli scritto una lettera inviandola con Leotordo, ma il piccolo gufo era tornato indietro con una risposta di tutt’altro genere.

Probabilmente ne avranno da litigare quei due, già era difficile gestirli prima, figuriamoci ora… pensò Harry un pò preoccupato. L’esperienza gli aveva insegnato che ogni volta che i suoi amici litigavano ne pagava puntual-mente anche lui le conseguenze.

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Verso le sette gli gnomi erano ormai tutti volati. Harry e Ron andarono a prepararsi per la cena, consapevoli del fatto che l’indomani ne avrebbero trovati altrettanti.

Ginny li chiamò per la cena poco dopo. La tavola era come al solito carica della generosa e succulenta cucina della signora Weasley: pasticcio di pollo, prosciutto farci-to e abbondanti porzioni di patate al forno con pancetta.

Ron si sedette al suo posto e addentò un pezzo di pro-sciutto farcito.

«Ron, non puoi aspettare un momento che arrivi tuo padre? Devi essere sempre il primo ad ingozzarsi?» disse la signora Weasley seccata, mentre controllava una cro-stata di zucca nel forno.

Prima che Ron potesse giustificarsi, si udirono due schiocchi, e il signor Weasley comparve dal nulla insie-me a Percy. Harry non li aveva mai visti così accigliati.

«Sono degli insolenti, ecco cosa sono!» disse Percy stizzito, raddrizzando sul naso i suoi occhiali di corno.

«Hai ragione Percy, hai ragione.. » rispose il signor Weasley stancamente, mentre abbracciava la moglie, «è tutto il giorno che me lo ripeti...».

Si sedettero a mangiare tutti con molto appetito. Solo Percy sembrava più interessato a continuare la discussio-ne iniziata in ufficio con il padre.

«Quel loro presidente mezzo cowboy John Waynegan chi si crede di essere! Il Ministro Shacklebolt è troppo permissivo» disse in tono pomposo.

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«Non piace neanche a me Waynegan, ma Kingsley come politicante è piuttosto ingenuo, è stato sempre un Auror. Waynegan lo ha convinto che è ora di dare una rinfrescata, di fare piazza pulita dei vecchi metodi. Tecni-camente poi le sue proposte sono sempre lodevoli» disse il signor Weasley in tono stanco. «Si è intrufolato con questa storia del CIOcCoCreMa, e ora Kingsley gli chie-de consiglio praticamente su tutto...».

«Ma come ha potuto farsi convincere a nominare “ACQua” quel Donald Troom!» riprese Percy, più invi-perito che mai.

«Soprattutto se quel posto lo volevi tu, eh?» disse il signor Weasley sorridendo con la bocca piena di patate.

«Che cosa è un ACQua, caro?» domandò la signora Weasley, versando della burro birra a Percy che era di-ventato paonazzo.

«ACQua: Addetto Controllore Qualità. è una carica che hanno in America. Questo “controllore” stabilisce delle direttive per mantenere alto lo standard qualitati-vo. Ti faccio un esempio: da oggi in poi le pergamene ministeriali per uso interno dovranno essere scritte solo con inchiostro “ibiscus porpora”, quelle spedite all’ester-no in inchiostro “verde sangue di drago” anticontraffa-zione. Le pratiche dovranno essere raggruppate solo con “mollettine parlanti”, così ogni volta che si riprenderà in mano la pratica la mollettina ricorderà chi l’ha fatta e a chi appartiene…».

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«Beh mi sembrano cose ben fatte, ti sei sempre lamen-tato del disordine che regnava al ministero nella gestione delle pratiche…» rispose la signora Weasley.

«Il problema è che il signor Troom, del tutto in buona fede, ha convinto il ministero ad usare questi due inchio-stri, appunto “sangue di drago” e “ibiscus porpora” che producono solo in due fabbriche che si trovano negli Sta-ti Uniti. Idem per le mollettine incantate, le fanno solo in una piccola fabbrica in California. E questi sono solo alcuni esempi. Il vero problema è che ora con la scusa di riordinare, catalogare e uniformare, hanno accesso a tut-ti i nostri documenti, anche a quelli top-secret, in poche parole ci stanno spiando, solo che sono spie designate da noi stessi! Kingsley non se ne rende conto, e anche volendo ora sarebbe difficoltoso allontanarli senza creare un incidente internazionale. Quando gliene ho parlato ha minimizzato, ha detto che stiamo collaborando e che la loro presenza è solo provvisoria».

«Tu che ne pensi Harry, di questa invasione america-na?» domandò Percy imprevedibilmente ad Harry, che stava raccontando sottovoce a Ginny dell’arrivo di Leo-tordo e della reazione di Ron.

«Oh, non ho un opinione in proposito, voglio tener-mi il più lontano possibile dagli affari del ministero quest’anno...»

«Beh dovranno interessarti per forza questi americani, perché ad Hogwarts te ne troverai un bel pò!».

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«Cosa?» disse Ron, che per la prima volta alzava la testa dal piatto, fissando il padre.

«Sì» rispose stanco il signor Weasley, «Sono molti i diplomatici, gli assistenti e le guardie del corpo che sono qui con le rispettive famiglie. Quindi i loro figli verranno a studiare con voi. Nella ricostruzione di Hogwarts han-no ampliato un’ala del castello e ne è uscito un piccolo dormitorio. Hanno aiutato così tanto nella ricostruzione della scuola che né Kingsley né la McGranitt hanno po-tuto opporsi…».

Ron alzò gli occhi al cielo e borbottò qualcosa, come “non si può mai stare tranquilli”, ma prima che qualcuno potesse domandargli cosa avesse detto, si alzò e salì di-ritto in camera.

Harry rimase un altro po’ in cucina, tentando di spie-gare al signor Weasley come facessero navi grosse come quelle da crociera o le petroliere, a galleggiare sull’acqua senza l’uso della magia.

Dopo essersi dati tutti la buonanotte, scambiando con Ginny un bacio frettoloso sul pianerottolo buio, raggiun-se Ron in camera.

Ron indossava già il pigiama. Sdraiato sul suo letto continuava a lanciare verso il soffitto, una riproduzione di pezza di un boccino d’oro.

Harry si sedette sul suo letto e attese.Ron non lo degnò di uno sguardo. Continuava a lan-

ciare e a riacciuffare il boccino. Harry contò 75 lanci e altrettante prese prima di rivolgergli la parola.

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«Allora Ron? Che ne pensi di questi americani?» Ron mancò la presa e il boccino rotolò a terra.

«Niente» rispose seccato raccogliendo la pallina di pezza.

Harry si sdraiò a sua volta sul proprio letto. Ron aveva ripreso a lanciare il boccino, evidentemente non aveva voglia di parlare.

«è una rottura bella e buona, ecco cos’è!» riprese ina-spettatamente, stupendo Harry.

«E perché dovrebbe scocciarci?… Non credo che la tua sia solidarietà con Percy!» disse Harry divertito.

«Hai mai visto i maghi americani?» disse Ron serio.«Veramente no… sono diversi da noi?» «Sono sempre dei bestioni muscolosi fissati con lo

sport. Tutti biondi e abbronzati con le loro tavole da surf magiche. Giocano un quidditch da urlo che è molto più spettacolare del nostro… sono praticamente bravi in tut-to!» disse ormai praticamente infuriato, scagliando il boccino di pezza in un angolo della stanza.

«Buon per loro! E allora? A noi cosa importa?» rispose Harry sull’orlo della disperazione.

«E allora, e allora… niente! Lascia stare, notte.» ri-spose Ron girandosi dall’altra parte e ficcandosi sotto il lenzuolo.

Non era decisamente la giornata adatta per parlare con l’amico, Harry decise di lasciar perdere.

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Spense la luce e si mise anche lui a letto. Sistemò la bacchetta di Sambuco sotto il cuscino e la sua sul como-dino vicino agli occhiali.

Dopo pochi istanti Ron iniziò a russare. L’arrivo di questi maghi statunitensi, in fin dei conti, non gli aveva tolto il sonno.

Harry sentì la bacchetta di Sambuco premere attraverso il cuscino. La sistemò un pò meglio, cominciando a riflet-tere su come e quando l’avrebbe nascosta. Già la scuola di per sé sarebbe stata piuttosto gremita, rimetterla nella tomba di Silente, con la presenza di questi maghi stranie-ri, poteva diventare una seccatura.

Rimase disteso a fissare il buio per molto tempo, cer-cando una soluzione.

Si addormentò, cullato dall’incessante russare di Ron, fantasticando sull’eventualità di creare un diversivo dina-mitardo usando alcuni “Tiri Vispi Weasley”, con buona pace di Gazza e della McGranitt.

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Capitolo �

Compleanno a godRiC’s Hollow

I giorni seguenti continuarono a susseguirsi tutti uguali. Harry e Ron avevano sostituito l’abituale caccia agli gnomi da giardino con lunghe sedute, seppur non ai livel-li consigliati da Hermione, dedicate allo studio. Restare un anno lontani dalla scuola aveva svuotato quasi com-pletamente le loro menti da qualsiasi nozione scolastica.

Quando Harry iniziava a leggere in “Storia della ma-gia”, della guerra dei giganti, il suo pensiero si perdeva sempre amaramente tra i ricordi della battaglia di Ho-gwarts, in cui aveva potuto vedere con i propri occhi la loro furia distruttiva. Ron passava molto tempo con il li-bro aperto e lo sguardo a scrutare il cielo, come in attesa di qualcosa. Difficilmente Hermione sarebbe stata con-tenta di loro.

Il signor Weasley e Percy passavano sempre più tempo al lavoro. Adeguare il loro ufficio a tutte le direttive “qua-litative” di Donald Troom stava diventando di per sé un lavoro a tempo pieno per tutti gli impiegati del ministero. La sera, persino Percy era sempre troppo stanco, anche solo per lamentarsi.

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La signora Weasley continuava a sfornare prelibatezze a tutte le ore e a seguire le pulizie della casa e del giardi-no senza sosta. Faceva in modo di non far mai trovare per casa copie della Gazzetta del Profeta, e siccome l’unica radio di casa Weasley si era rotta, non avevano nessuna notizia dal mondo magico.

Arrivò infine il 31 luglio. Quella notte Harry non aveva dormito molto. L’agitazione per il viaggio che aveva in programma per quel mattino, aveva tenuto quasi com-pletamente lontano il sonno. Nonostante ciò, non vedeva l’ora di alzarsi.

Guardò la sveglia sul comodino. È ora, pensò tra sé scendendo dal letto. Si vestì cercando di non svegliare Ron, infilò entrambe le bacchette nella tasca dei jeans e uscì dalla stanza senza fare il minimo rumore.

Harry non aveva mai sentito la casa così silenziosa. Ar-rivato in cucina afferrò un paio di merendine alla melassa dalla credenza e uscì in giardino. Percorse il vialetto e, giunto oltre il cancello, si smaterializzò. Ricomparve ai margini della via principale di un piccolo villaggio.

Era da tanto che voleva tornare in quel posto, ma aveva voluto attendere una data particolare. Aveva atteso che fosse il giorno del suo diciottesimo compleanno. Si era regalato quella visita solitaria per festeggiare in un modo tutto suo.

Cominciò a camminare, lungo una strada costeggiata da villette, come mesi prima aveva fatto insieme ad Her-mione. Anche adesso, come allora, si domandò se vera-

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mente volesse vedere, se veramente volesse liberarsi di quel peso dal cuore.

Improvvisamente avvertì un formicolio dietro la testa, la sgradevole sensazione di essere fissato. Si voltò di scat-to ma vide solo alcune signore uscire da un negozio con delle borse delle spesa in mano. Un anno vissuto in clan-destinità aveva lasciato nel suo animo più di una traccia. Si sentiva, nonostante tutto, teso e sospettoso.

Si voltò e continuò a camminare lungo la piazza, di-retto al monumento ai caduti. A metà della piazza, poco prima che l’obelisco si trasformasse, vide un ragazzo che lo fissava insistentemente. Stava con la schiena appog-giata al monumento, le braccia incrociate, e fissava Harry mentre si avvicinava. Portava calcato sulla testa un ber-retto da baseball, da cui uscivano disordinatamente lun-ghi capelli biondi. Era piuttosto robusto, e continuava a fissarlo da sotto il cappello con uno sguardo che a Harry non piacque; sembrava lo stesse aspettando. Harry con-tinuò a camminare, fissandolo con la coda dell’occhio. Invece di continuare dritto verso il monumento, piegò a destra, dirigendosi invece alla chiesa. Non capiva perché quel ragazzo continuasse a guardarlo con tanta insisten-za. Anche ora che gli dava le spalle, sentiva di nuovo la sgradevole sensazione di essere osservato.

Dopo pochi minuti arrivò davanti alla chiesetta. Si vol-tò indietro più volte ma nessuno lo stava seguendo. Entrò dal cancello, lasciando fuori tutti i pensieri, sicuramente si era sbagliato, probabilmente quel ragazzo stava guar-

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dando i suoi capelli spettinati o la sua maglietta troppo larga. Girò attorno all’edificio e raggiunse il cimitero.

Facendo attenzione che non ci fosse nessuno, levò la sua bacchetta e fece apparire un grande mazzo di fiori.

Il cimitero che ricordava era tutto bianco. L’unica volta che l’aveva visto, l’anno prima, uno spesso strato di neve copriva tutto. Ora, invece, le lapidi risaltavano tra il ver-de intenso dell’erba e i colori dei fiori freschi.

Fu colpito da una tomba dall’aspetto più recente delle altre. Si avvicinò. Era quella di Bathilda Bath, il cui cor-po era stato trovato solo qualche mese prima.

Proseguì attraverso il cimitero e raggiunse la tomba di Kendra Silente e della figlia Ariana. Non le aveva cono-sciute, come non aveva conosciuto Bathilda, ma avevano fatto parte come lui di quella lunga, triste storia che era finalmente giunta all’epilogo. Tolse alcuni fiori dal maz-zo e li sistemò come meglio potè sulle tombe.

Due file più in la scorse il marmo bianco della lapide dei suoi genitori. La raggiunse, con il cuore gonfio.

Si chinò piegando le ginocchia in modo da avere i nomi di suo padre e di sua madre all’altezza degli occhi.

Non riuscì a trattenere le lacrime, aveva sempre dovuto essere forte, ora finalmente poteva sfogarsi. Il suo non era un pianto di dolore ma di liberazione.

“L’ultimo nemico che sarà sconfitto è la morte”. Pensò alle parole incise sul marmo. Adesso quella frase aveva un significato. L’anno prima era ritornato dalla morte, aveva deciso di vivere con tutto il dolore e le conseguenze che

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questo comportava. Aveva rimandato la sua battaglia con la morte ad un futuro il più possibile lontano.

Per un momento gli parve di vedere i suoi genitori abbracciati che lo salutavano. Sorrise, stava piangendo e sorridendo allo stesso tempo. Spostò gli occhiali e si asciugò il viso. Alzandosi in piedi li salutò anche lui. Get-tò alla tomba un ultimo sguardo carico di amore e voltan-dosi si diresse verso l’uscita.

Attraversò la piazza fermandosi davanti al monumento ai caduti. Quel ragazzo col berretto non c’era più. Come Harry sapeva, il monumento al centro della piazza di Go-dric’s Hollow era molto speciale. Per i babbani era il sim-bolo della loro gratitudine verso i caduti in guerra. Per i maghi, invece, rappresentava il ricordo dei Potter e del giorno in cui Voldemort era scomparso la prima volta.

Si avvicinò, con gli occhi ancora lucidi. Il marmo scomparve, al suo posto apparvero tre figure di pietra. Suo padre e sua madre con in braccio il piccolo Harry. Finalmente la pace e la serenità che vedeva in quel bam-bino erano anche le sue.

Riprese a camminare nella direzione opposta a quella da cui era arrivato. Quasi alla fine della fila di villette, finalmente, vide la sua vecchia casa. La siepe ribelle at-torno al giardino, l’erba alta e parte del secondo piano esplosa. Tutto era come se lo ricordava.

La fissò. Chissà, forse un giorno avrebbe trovato il coraggio per entrare. Si immaginò la casa ristrutturata,

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l’erba tagliata e lui che tornava a vivere lì. Magari con Ginny.

Il futuro era lontano. Ora doveva pensare ai suoi amici e ai festeggiamenti che lo attendevano quella sera.

La via era deserta, ma un attimo prima di smaterializ-zarsi, si accorse che qualcuno lo stava fissando. Appog-giato al muro della villetta di fronte, il ragazzo che aveva visto nella piazza lo guardava sorridendo.

Harry riapparve con uno schiocco fuori dal giardino della Tana. Era scosso, il cuore gli batteva talmente forte che pensò gli avrebbe sfondato il petto. Come era potuto accadere?

Aveva controllato con attenzione che la strada fosse deserta prima di smaterializzarsi; era assolutamente certo che non ci fosse nessuno. A quel punto era evidente che quel ragazzo lo aveva seguito fin dall’inizio. Non c’era altra spiegazione.

Si incamminò lentamente lungo il vialetto, guardan-dosi intorno preoccupato. Cosa devo fare? Pensò frastor-nato. Se quel ragazzo era un babbano, da un momento all’altro avrebbe avuto un richiamo dal Ministero. Ma era pronto a giurare che fosse un mago, chi altri sarebbe po-tuto apparire così improvvisamente dal nulla?

Nonostante nell’anno appena trascorso avesse impara-to a fare affidamento solo sulle proprie forze, inconscia-mente provò il disperato desiderio di poterne parlare con Sirius o con Silente.

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Aprì la porta della cucina, completamente assorto nei suoi pensieri, ed entrò.

«TANTI AUGURI, HARRY!» lo sorprese Molly Wea-sley facendolo sobbalzare. Aveva completamente dimen-ticato che fosse il suo compleanno. La signora Weasley gli corse incontro e lo schiacciò tra le sue forti braccia. «Sei tornato finalmente!».

«Sì… grazie mille!» riuscì a rispondere Harry, quasi senza fiato, stretto nel suo abbraccio.

«Siediti caro, ho appena preparato la colazione» gli disse tornando ai fornelli, con gli occhi un pò lucidi. La signora Weasley continuava a commuoversi per lui in continuazione.

Ron era già seduto a tavola, intento a rimpinzarsi. Lo accolse con una sonora pacca sulla spalla. «Gnon ‘mplea-gno...» riuscì a dirgli sputacchiandogli addosso pezzi di pancetta e uova che saltavano fuori dalla bocca piena.

Mentre Harry tentava di pulirsi con un tovagliolo dai rimasugli del pasto di Ron, vide poggiata su una sedia una borsa che stava letteralmente per esplodere tanto era piena di libri.

«Ron, ma è arrivata Hermione?» domandò Harry, che sapeva che quella borsa non poteva appartenere che a lei.

«è di sopra con Ginny» rispose Ron con noncuranza, spalmando su una fetta di pane tostato una dose sconsi-derata di burro.

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«E cosa aspettavi a dirmelo?» lo rimproverò Harry alzandosi.

Ron si infilò per intero la fetta di pane in bocca, rispon-dendo all’amico con un’alzata di spalle.

Harry portò gli occhi al cielo, e scuotendo la testa corse su per le scale, verso la camera di Ginny.

La porta era aperta, Hermione e Ginny stavano parlan-do al centro della stanza «…quel testone! Vorrei sapere cosa gli prende adesso!» sentì dire ad Hermione.

Prima di essere visto, Harry ebbe il tempo di distin-guere una delle espressioni di Hermione che conosceva meglio. Era la faccia che aveva solitamente quando era infuriata con Ron.

«Buon compleanno Harry!» gli disse Ginny appena lo vide, gettandoglisi al collo con un gran sorriso. Harry si abbandonò tra le sue braccia, dimenticandosi del ragazzo che lo aveva pedinato a Godric’s Hollow, e dimentican-dosi anche di Hermione che doveva essere dietro di lui. Era difficile preoccuparsi di qualcosa in quel momento. Raramente si sentiva così sollevato, e quel giorno era già la seconda volta. Quando Ginny allentò la presa, entram-bi si lanciarono uno sguardo di intesa. Harry era sicuro che anche Ginny stesse pensando al bacio che gli aveva regalato per i suoi diciassette anni.

«Tanti auguri Harry» disse timidamente Hermione fa-cendo capolino da dietro, un po’ imbarazzata. «Scusate ma…» cominciò, fissandosi la punta dei piedi.

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«Oh, ma quali scuse!!» disse Harry abbracciandola con entusiasmo «Come stai piuttosto, tutto bene? E i tuoi genitori?».

«Oh, loro stanno bene. E… anche io» rispose debolmente.

Sia Harry che Ginny rimasero a fissarla, era palese-mente giù di corda.

«Sono solo un po’ stanca» riprese Hermione in risposta ai loro sguardi, con un pochino più di entusiasmo «Sai, un po’ il viaggio in Australia, un po’ tutto quello che c’è da ripassare… ho avuto pochissimo tempo per riposarmi» si affrettò ad aggiungere «A voi invece come và con il mio programma? Siete riusciti a seguirlo tutto? L’ho chiesto a Ron quando sono arrivata ma non mi ha neanche rispo-sto…» disse Hermione gettando uno sguardo a Ginny.

«Bene, piuttosto bene direi...» rispose Harry imbaraz-zato. Lui e Ron non erano andati molto oltre un decimo del programma suggerito da Hermione.

«Ottimo! Allora ho fatto bene a portare alcuni libri di approfondimento per il M.A.G.O. che avevo a casa. Francamente pensavo di essere stata troppo ottimista a portarveli!»

Ottimista è dir poco pensò Harry, considerato che da sei anni sia lui che Ron sbarcavano l’anno scolastico gra-zie al suo aiuto e ai suoi appunti.

In quel momento sentirono la signora Weasley chia-marli a gran voce dalla cucina per la colazione. Quando

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scesero, di Ron non c’era traccia, ma nessuno di loro si azzardò a fare domande.

Anche se non aveva assistito direttamente al litigio, Harry immaginò che ce ne fosse stato uno, ed era pron-to a scommettere che Ron avesse accolto Hermione con uno dei suoi soliti musi lunghi dovuti a - solo lui sapeva quale - offesa imperdonabile.

Quando furono tutti seduti a tavola, la signora Weasley riempì il piatto di Harry con tanta pancetta fritta, uova e pane tostato che avrebbe potuto sfamare l’intero tavolo dei Grifondoro ad Hogwarts.

Cominciò a mangiare con appetito, contento che nes-suno gli chiedesse dove fosse sparito quella mattina. Non voleva commuovere nessuno con la storia della visita alla tomba dei suoi genitori. Di sicuro la signora Weasley sa-rebbe scoppiata in lacrime, e probabilmente anche Ginny ed Hermione.

Mentre ascoltava distrattamente i progetti per la serata, il suo pensiero tornò a quel ragazzo che, ne era ormai pra-ticamente certo, lo aveva pedinato a Godric’s Hollow.

Aveva letto in quello strano sguardo, in quel sorriso storto, tutto fuorché buone intenzioni.

Non sapeva se parlarne con i suoi amici, tantomeno ora che era arrivata Hermione. Probabilmente lei lo avrebbe rimproverato per essersi smaterializzato con tanta legge-rezza, e avrebbe poi comunque sminuito la sua sensazio-ne di essere pedinato da chicchessia.

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«Harry caro, allora cosa preferisci per dolce oggi?» lo riscosse improvvisamente la signora Weasley.

«Oh fa lo stesso, veramente…» rispose Harry, che non si era accorto che la discussione si fosse spostata sulla sua torta di compleanno.

«Eh no! è la tua festa, almeno la torta devi decider-la tu! Una torta di zuccotti alle fragole o la crostata di nocciolotti melassati?» chiese la signora Weasley, con l’aria di chi ritiene che dalla risposta dipendano i destini dell’umanità.

Inizialmente Harry non voleva festeggiare il suo di-ciottesimo compleanno, pensava che l’assenza di Fred, Lupin e Tonks avrebbe reso vano ogni festeggiamento. Ma la signora Weasley aveva insistito tanto che alla fine erano rimasti d’accordo su una festicciola veramente molto intima. Oltre ovviamente al sig. Weasley e a Percy, li avrebbe raggiunti solo George. Hermione era pratica-mente l’unico ospite che non fosse della famiglia.

«Allora proverei volentieri la crostata di nocciolotti melassati, non l’ho mai assaggiata» rispose Harry.

Decisa la torta, la signora Weasley ricominciò ad ar-meggiare ai fornelli, Ginny e una depressa Hermione sa-lirono in camera lasciando intendere che preferivano sta-re sole, e ad Harry non rimase che andare a cercare Ron.

Lo trovò in giardino seduto sotto un albero con in mano un vecchio libro sui “Cannoni di Chudley” ,che doveva aver letto e riletto almeno un migliaio di volte.

«Ciao Ron» lo salutò sedendosi.

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Ron alzò appena lo sguardo dal libro, guardandosi in-torno con diffidenza.

«Ciao» rispose con un tono piuttosto cupo, tornando a leggere.

Harry era stato sempre piuttosto preoccupato dal rap-porto tra Ron ed Hermione. Se ora si fossero lasciati, co-noscendo Ron, probabilmente non si sarebbero più rivolti la parola, e lui non voleva passare il resto della sua vita cercando di riconciliarli.

«Come mai hai già litigato con Hermione?» domandò Harry senza tanti preamboli.

«Io non litigo con nessuno!» rispose Ron voltando vio-lentemente pagina.

Era difficile per Harry comprendere il perchè delle in-comprensioni tra Ron ed Hermione, per quel poco che ne sapeva l’unica cosa che aveva creato problemi alla sua storia con Ginny era stata la caccia mortale a Voldemort, che, oltre ad essere un buon motivo di rottura, difficil-mente si sarebbe ripetuta...

Ron invece si ostinava ad offendersi per ogni stupi-daggine, la sua insicurezza, paradossalmente, sembrava aumentata ora che finalmente sapeva di essere ricambiato da Hermione.

«No sai, mi sembrava..» concluse Harry. Se aves-se insistito con le domande, Ron per stizza non avreb-be risposto. Raccolse invece un bastoncino e cominciò a giocherellarci.

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«Lo sai cosa mi ha detto appena è arrivata? Eh, dopo tutto il tempo che non ci vedevamo?» riprese Ron fu-ribondo dopo alcuni istanti, senza smettere di fissare il libro.

«Mi ha detto: Buongiorno Ron. Allora, come procede lo studio?» disse, facendo un imitazione improponibile della voce di Hermione.

«Sei appena arrivata, dovresti avere mille cose da dir-mi - tipo che bello vederti, ad esempio... - e la prima cosa che mi domandi è questa? Io sono rimasto senza parole. In risposta al mio silenzio allora, lo sai cosa ha detto? Che stupida sono stata a pensare che avresti seguito il mio programma!» continuò Ron, sempre fissando il vec-chio libro. Sembrava intenzionato ad incendiarlo con lo sguardo.

«E tu cosa hai risposto…» domandò Harry timidamen-te, temendo l’esplosione dell’amico.

«Non meritava risposta!! Ho girato i tacchi e me ne sono andato!» concluse Ron voltando la pagina del libro con tanta foga che gli rimase in mano.

«Ma sai come è fatta Hermione, mette lo studio prima di tutto…»

«Come ti sentiresti a venire dopo lo studio nella per-sonale classifica di Ginny?» ormai la faccia di Ron era di un rosso decisamente fuori dalla norma. Le orecchie in particolare avevano assunto una sfumatura oltremodo preoccupante.

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«Io le ho scritto una lettera! Lei l’unica che mi ha invia-to… beh la conosci. Eppure a Victor Krum gli scriveva eccome! Forse a me non ha nulla da dire che non riguardi la mia istruzione!».

Calò un silenzio carico di tensione, Ron sembrava troppo infuriato per parlare ed Harry maledì la sua tota-le mancanza di argomenti appropriati all’occasione, ma, come a ricordargli che le cose possono sempre peggio-rare, accadde ciò che temeva più di qualsiasi altra cosa: Ron gli chiese chi avesse ragione.

Harry tentò una debole difesa a favore di Hermione dicendo che forse era un po’ imbarazzata e che Ron for-se, e sottolineò il forse, era stato troppo precipitoso, ma l’espressione omicida dell’amico lo convinse a dargli co-munque ragione su tutta la linea, e a chiudere il discorso con un neutrale «Le donne chi le capisce è bravo» che parve soddisfare Ron.

Hermione e Ron passarano il resto della giornata ad evitarsi. Così anche Ginny e Harry furono costretti a ri-manere lontani. Harry non faceva che pensare al momen-to in cui sarebbe rimasto solo con lei, ma si era quasi rassegnato all’idea che quel giorno probabilmente quel momento non sarebbe mai arrivato.

Non poteva rischiare di far innervosire ancora di più Ron facendosi scoprire magari proprio intento a baciarsi con sua sorella. Troppe emozioni per un giorno solo... le sue orecchie sarebbero esplose rischiando di ferire qualcuno.

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Alle sette arrivò George con un enorme pacco per Har-ry. Alle otto due schiocchi annunciarono che anche il signor Weasley e Percy si erano materializzati.

La cena fu eccezionale, Harry non ricordava di aver mai mangiato nulla di così buono: maialino fritto ripieno di salsicce, le leggendarie patatine polacche aromatizzate alla pancetta, purè al formaggio e tre tipi di pane diver-so. La signora Weasley continuava sistematicamente a riempirgli il piatto senza neanche aspettare che Harry lo svuotasse.

A tavola George continuava a punzecchiare Percy come ai vecchi tempi, il signor Weasley non la smetteva di fare domande ad una sconsolata Hermione, su come facessero i babbani a fare questo o quello senza magia. Solo Ron continuava a mangiare a testa bassa senza fiatare.

Se ci fosse stato anche Fred, la si sarebbe potuta scam-biare per una cena di qualche anno prima, quando Volde-mort era solo un nome che non doveva essere pronuncia-to e non un pericolo reale.

Nonostante tutti si professassero satolli, trovarono co-munque uno spazio per la spettacolare crostata di noccio-lotti melassati, definita all’unanimità sicuramente la torta più buona che la signora Weasley avesse mai fatto.

«Oh beh, sono stata fortunata! Difficilmente i noccio-lotti lievitano così bene» disse con modestia Molly al sig. Weasley che si complimentava più di tutti.

Finita la torta, finalmente Harry potè cominciare ad aprire i regali. Iniziò con quello di George, che era enor-

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me, grande quasi quanto un baule. La scatola conteneva decine di altri contenitori. Era un campionario comple-to di tutti gli scherzi presenti al negozio, e almeno una confezione di ogni qualità di dolciume proveniente da Mielandia. Harry, volendo, non sarebbe dovuto andare al negozio di dolci per i prossimi due anni.

Hermione gli aveva regalato due statuine di bron-zo a forma di canguro, comprate in Australia. Appena Harry le ebbe scartate, Ron cominciò a sghignazzare apertamente.

«Vedi Harry, qualche stupido potrebbe pensare che questi siano solo due soprammobili» disse, lancian-do un’occhiataccia a Ron che continuava beatamente a ridacchiare.

Hermione prese un pezzo di carta, ci scrisse qualcosa sopra, e lo ripiegò facendolo diventare piccolo come l’in-carto di un cioccolatino.

Prese un canguro e lo portò vicino a George, poi tornò vicino ad Harry che aveva l’altro.

«Ora guarda, infilo il bigliettino nel marsupio del can-guro». Il bigliettino scomparve immediatamente nella piccola fessura.

«Ok George, ora puoi controllare nella tasca del tuo». George prese il piccolo canguro di ottone e guardò nella piccola fessura, che fino ad un istante prima era vuota, dove era apparso un bigliettino di carta tutto piegato.

«Leggi pure cosa c’è scritto» disse Hermione gongolante.

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«Risus abundat in ore stultorum» lesse George ad alta voce.

«Il riso abbonda sulla bocca degli stolti» tradusse im-mediatamente Hermione, fissando Ron che aveva smesso di ridere.

«Con questo Harry, puoi mandare messaggi a qualsiasi distanza, istantaneamente e senza rischio di essere inter-cettato. Ho pensato che anche in futuro, quando sarai un Auror, ti sarà utile…»

«Grazie Hermione, è veramente fantastico!» disse Harry sinceramente contento. I regali di Hermione erano sempre tra i suoi preferiti. Il kit per la manutenzione delle scope era tutt’ora una delle cose più belle che avesse mai ricevuto, dopo la Firebolt ovviamente.

La signora Weasley gli passò un grosso pacco infor-me. Harry sapeva perfettamente cos’era prima ancora di aprirlo: un maglione di lana alla Weasley, quest’anno di un bel verde prato. Harry le dedicò un lungo abbraccio, era stata già così buona a organizzare quella cena.

«Tieni Harry, non è molto ma…» disse Ron gravemen-te, tenendo la testa bassa.

«Beh qualsiasi cosa sia, non sarà all’altezza del rega-lo di Hermione» lo punzecchiò George, che aveva colto l’evidente tensione tra i due.

Harry scartò il pacco, era una piccola borraccia da ap-pendere alla scopa. «Grazie mille Ron, mi serviva pro-prio» disse Harry tranquillizzando l’amico. Sicuramente

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era un regalo dozzinale in confronto a quello di Hermio-ne, ma era comunque realmente utile.

Finalmente fu il turno di Ginny. Gli diede una scato-la tutta colorata, con un grosso fiocco giallo. Quando Harry la prese in mano s’accorse che la scatola vibrava vivacemente.

Guardò Ginny perplesso. Aprì la scatola e dentro vide una piccola palla di pelo

rotonda color oro. Inizialmente pensò fosse un boccino di pezza come quello di Ron, ma quando la vide roteare e sbattere gli occhi capì di cosa si trattasse.

«Una Puffola Pigmea! Grazie Ginny». Harry abbracciò di slancio Ginny, che lo strinse con entusiasmo.

«Hey, ma questa non viene dal mio negozio!» esclamò George avvicinandosi.

«L’ho presa al Serraglio Stregato» disse Ginny acca-rezzandola «Ha detto il proprietario che è di una varietà molto intelligente e raramente alcune manifestano anche poteri magici».

«E da dove viene?» chiese Ron, avvicinandosi per ve-derla da vicino.

«Sono americane, vengono dalla Death Valley» rispose Ginny.

Ron, che sembrava avere una forte avversione per tut-to ciò provenisse dagli Stati Uniti, ritirò la mano con cui stava per accarezzarla e tornò a sedersi.

«Come pensi di chiamarla?» domandò Hermione ad Harry.

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«Non saprei…» rispose Harry accarezzandola.«Bleah! Unghia di piedi, è davvero ripugnante!!»

disse Ron inaspettatamente, sputando qualcosa nel suo tovagliolo.

L’intero tavolo si girò a fissarlo.«Scusate, ho preso una caramella Tutti i gusti + uno»

disse Ron con fare disgustato, tentando di pulirsi la lin-gua con un lembo del tovagliolo.

«Mangia una di queste, vedrai che il saporaccio andrà via» gli suggerì George passandogli una piccola gomma.

Non appena Ron ebbe iniziato a masticarla, questa ini-ziò a lievitare nella sua bocca. Dopo pochi istanti non era più in grado di muovere le mascelle. Le guance di Ron si tesero al massimo, sembrava uno scoiattolo con due noci nella bocca.

Improvvisamente, dalle labbra, iniziò a gonfiarsi un enorme pallone che tirava Ron verso l’alto. Il ragazzo iniziò a sollevarsi dalla sedia trascinato verso il soffitto, scalciando e agitandosi senza sosta.

Ginny salì sul tavolo e cercò di forare la gomma con una forchetta, ma senza risultato.

«George fai qualcosa! Tuo fratello è tutto rosso, non respira!» gridò la signora Weasley preoccupata, ma que-st’ultimo era troppo impegnato a ridere per poter anche solo pensare di rispondere.

«Deglonfa!» Hermione aveva raggiunto Ginny e aveva bucato il pallone con la bacchetta.

Ron cadde a terra con un sonoro schianto.

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La signora Weasley si precipitò ad aiutarlo. Ron si alzò borbottando inviperito parole incomprensibili con la boc-ca ancora impastata dalla gomma, lanciando occhiate in-fuocate a George che ancora rideva.

Il signor Weasley, che stava ridendo anche lui, divenne improvvisamente serio non appena incrociò lo sguardo di sua moglie.

«Chiedi subito scusa a tuo fratello!» disse cercando di avere un tono autoritario.

«Scusa fratellino, non ho saputo resistere» disse Geor-ge anche se non aveva ancora smesso del tutto di ridere.

«Si può sapere che diavoleria era, questa volta?» chie-se la signora Weasley.

«Era una Bubblemuu, una delle più recenti creazioni di Fred, mamma. “Bubblemuu, perfetta come una bubble, buona come una muu, ti farà toccare il cielo!”… e non in senso metaforico!» rispose George entusiasta.

«Tutto bene Ron?» disse Hermione avvicinandosi a Ron, che stava togliendosi ancora pezzi di gomma dalla faccia.

«Ghon aeevo gisogno gnel uuo ajuto» farfugliò Ron, lanciandogli un’occhiataccia carica di risentimento.

Detto questo salì in camera senza salutare nessuno.Hermione rimase impalata. Ad Harry sembrò di udire

un singhiozzo prima di vederla correre fuori in giardino.Ginny fece per raggiungerla ma Harry la prese per un

braccio «Lascia, vado io» disse a malincuore.

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La trovò seduta su una vecchia sedia alla destra del portico.

«Oh, Harry» disse lei con un filo di voce. «Sono…ehm… venuto a vedere come stavi…» rispose

Harry impacciato.Non sapeva cosa dirle. In cucina un impulso gli ave-

va suggerito che dovesse essere lui a raggiungerla e non Ginny. In fondo Hermione era sua amica da molto più tempo.

«Ehm… sai, Ron ultimamente è un po’ nervoso e…» tentennò Harry.

«Non parlarmi di Ron, ok? Non mi interessa minima-mente cosa gli passa per la testa!» sbottò Hermione.

«è tutto il giorno invece che voglio parlarti di una cosa» disse evidentemente sollevata, nel suo solito tono battagliero.

«Che ne è della bacchetta di Sambuco?» gli disse guar-dandolo dritto negli occhi.

«è sempre qui nella mia tasca» rispose Harry tastandola.

«La porti sempre dietro? Ancora non l’hai nascosta?» strabuzzò gli occhi Hermione.

«Beh, dovevo rimetterla nella tomba di Silente… ma ancora non c’è stato tempo perché…»

«Harry è della massima importanza che tu la nascon-da immediatamente! Se qualcuno dovesse scoprire che tu possiedi quella bacchetta leggendaria... ogni mago cerche-rebbe di impossessarsene!!» disse Hermione rudemente.

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«Sì lo so Hermione, appena tornati ad Hogwarts…»«No Harry, devi farlo subito! è troppo rischioso… te-

nerla in tasca poi è da incoscienti! Non sarei dovuta anda-re in Australia senza risolvere questa cosa…».

«Guarda Hermione, che anche quando sei lontana rie-sco ancora a cavarmela» la interruppe Harry stizzito, contento ora più che mai di non avergli raccontato del suo strano incontro a Godric’s Hollow.

«Come ben sai, non posso materializzarmi all’interno della scuola. Dovrei materializzarmi ad Hogsmeade e poi andare a bussare al cancello di Hogwarts per chiedere di andare a scoperchiare la tomba di Silente… mi sem-bra decisamente più rischiosa questa strada, che aspettare semplicemente l’inizio dell’anno scolastico. Come puoi vedere anch’io ho riflettuto sulla questione!» concluse con più arroganza di quanto avesse voluto.

Hermione, con cipiglio severo, stava per replicare quando la porta della cucina si aprì. Era Ginny, che si av-vicinò loro andandosi ad appoggiare alla spalla di Harry.

«Beh, visto che la mia presenza non è gradita a tutti, e che comunque in mia assenza siete in grado di cavarvela da soli, tolgo il disturbo» disse improvvisamente sfog-giando un sorriso stiracchiato.

Entrò a grandi passi in casa, per riuscirne poco dopo con la sua borsa.

«Ginny, ricordati di salutarmi George, quando sono en-trata era già andato via. Ci vediamo il primo settembre» disse, sistemandosi lo zaino sulle spalle.

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«Dai Hermione, fermati per la notte» la pregò Ginny.«Sarei comunque partita domani dopo colazione, se vado

via ora guadagno un paio d’ore di studio domattina».Harry fece un goffo tentativo di dirle qualcosa, ma Her-

mione lo ignorò. Si affrettò a baciare Ginny, rivolgendo a lui solo un cenno sbrigativo di saluto mentre si smateria-lizzava con uno schiocco.

Harry raccontò brevemente a Ginny cosa si fossero detti con Hermione, ammettendo infine di essersi inner-vosito troppo, data la situazione.

Ma non sopportava che lei avesse insinuato che non sarebbe dovuta partire per occuparsi personalmente di nascondere la bacchetta di Sambuco. Era come dire che lui era un bambino di due anni e lei sua madre.

«…poi sono sicuro che alla fine non ha replicato perché ha capito che avevo ragione io a dire che ormai conviene aspettare l’inizio dell’anno per nasconderla…» Ginny lo zittì mettendogli un dito sulla bocca, gli strinse le braccia al collo e lo baciò.

Fu un bacio lunghissimo, o per lo meno così parve ad Harry.

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Capitolo �

stRani inContRi a diagon alley

«Dai Snitch, salta su!» disse Harry stancamente, tendendo la mano verso la sua Puffola Pigmea. Snitch gli era sem-brato un nome adatto, così piccola e di un vivido color oro, gli aveva ricordato subito un boccino da Quidditch.

Quella lo guardò allegra e cominciò a roteare su sé stessa.

«No Snitch! Non rotolare, salta… qui, sulla mia mano» insistette Harry. Era seduto sul suo letto con la Puffola di fianco, tentando inutilmente, come nei giorni passati, di insegnargli a fare qualcosa.

«Meno male che è una varietà intelligente!» disse Ron, mentre finiva di vestirsi.

«La Puffola di Ginny – che non è americana – ha impara-to a saltare dopo neanche un’ora!» commentò sarcastico.

Dalla sera del compleanno e della partenza di Hermio-ne, Ron era particolarmente acido.

Harry cercava di assecondarlo in ogni modo, cercando di distrarlo e passandoci più tempo possibile insieme, ma in tutta risposta si trovava ad essere il bersaglio preferito delle sue frecciatine.

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Insomma per Harry non era facile, soprattutto perchè tra la compagnia di un Ron immusonito e di una raggiante Ginny preferiva di gran lunga la seconda.

Quello che gli sarebbe servito era una Giratempo di quelle che Hermione usava il terzo anno, in modo da poter conciliare il piacere, Ginny e il dovere, il suo suscettibile amico Ron, e dedicare del tempo ad entrambi.

Quella sera, dopo aver ricevuto in giardino da Ginny l’augurio di compleanno che aveva sognato per tutto il giorno, Harry si era precipitato in camera da Ron.

Appena aperta la porta ebbe il tempo di vedere l’amico serrare improvvisamente gli occhi e ostentare un respiro esageratamente pesante.

Harry stava per dirgli quanto male fingesse di dormi-re, quando all’improvviso udì del trambusto provenire dal pollaio. Qualcosa aveva svegliato le galline, che correva-no schiamazzando nel cortile. Harry pensò ad una volpe, quando dalla finestra aperta un gufo capitombolò al centro della stanza.

Era ridotto male. Si capiva che aveva avuto un viaggio piuttosto lungo e tormentato. Tra le sue piume, impolverate e arruffate oltremodo, spiccavano alcune penne di gallina. Evidentemente le inquiline del pollaio dovevano essersi vendicate per essere state svegliate così all’improvviso.

Ron, che aveva smesso di fingersi addormentato per guardare cosa stesse accadendo, corse a raccoglierlo.

«È un gufo di Hogwarts» disse, sfilandogli dalla zampa una lettera e un pacchetto informe.

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«è per te» disse Ron passandogli la posta, e cercando di lisciare le penne al povero gufo.

Harry aprì la lettera «è di Hagrid!» lesse sorpreso.

“Buon compleanno Harry!Sono proprio spiaciuto di non essere lì con te.Avrei voluto darti una bella pacca sulla spalla, come si fa

tra uomini.Invece, sono dovuto rimanere con la mia Frilly che faceva

nascere i suoi frillini.Quando vieni sentirai che suoni. Sono tanto carini. Come

facevo a lasciarli soli?Ieri, al Paiolo Magico un mago vendeva un sacco di “cosi”

americani.Cerano un mucchio di maghi tutti contenti che li prova-

vano, così mi sono detto: «Cavolo, questi li devo proprio regalare a Harry».

Non ci ho capito niente di come funzionano, quel mago mi ha detto che ti fanno viaggiare di un’ora però all’indietro, insomma vedi tu!

Tra due settimane vado a Diagon Alley a comprarci un po’ di cose importanti per Hogwarts, ti va se ci incontriamo per mangiarci un bel gelato?

Se proprio non puoi ti aspetto a Hogwarts che ci beviamo un te con i miei biscotti.Hagrid”

«Hagrid mi ha mandato un regalo di compleanno, pen-savo se ne fosse dimenticato!» disse Harry.

Ron adagiò il gufo, ancora piuttosto intontito, nella gab-bia di Leotordo dove c’erano acqua e biscotti gufici, e poi tornò a sedersi con circospezione vicino all’amico. Cono-

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scendo Hagrid, dentro quel pacco informe, poteva esserci qualche animale non meno pericoloso di uno Schiopodo Sparacoda.

Harry prese il pacchetto, incartato grossolanamente, e lo aprì piuttosto incuriosito, sotto lo sguardo attento di Ron.

Una vistosa, quanto improbabile montatura di corno, in-corniciava le più enormi e spesse lenti, del più strano paio di occhiali che Harry avesse mai visto.

Su un piccolo cartellino, legato con una cordicella, c’era scritto “Retroglass – il tuo viaggio nel tempo”.

Harry tolse i propri occhiali e indossò i Retroglass.«Sei terribile Harry!» gli disse Ron ridendo.Attesero alcuni istanti, ma non accadde nulla. Tutto era

tale e quale.«Questo è un altro scherzo che hanno fatto ad Hagrid»

concluse Harry, ridendo a sua volta mentre rimetteva i propri occhiali.

Ron smise improvvisamente di ridere. Evidentemente aveva ricordato il motivo per cui doveva essere arrabbiato. Tornò a dormire senza dire una parola.

Da quell’ultima risata Harry non ne sentì altre. Nono-stante fossero passate quasi due settimane da quella sera, il suo umore non sembrava essere migliorato.

Se ne stava la maggior parte del tempo chiuso in came-ra, uscendo solo per mangiare o per lagnarsi di qualcosa come un vecchio troll.

Harry tentò di toccare il tasto Hermione solo in due occasioni.

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La prima volta suggerì di mettere un po’ più impegno nel seguire il suo programma di studi, e Ron in tutta ri-sposta – borbottando in maniera totalmente incompren-sibile – raccolse tutti i suoi libri in un grosso sacco e li depositò in soffitta, restando intrattabile per tutto il resto della giornata.

La seconda volta fu la mattina precedente, mentre face-vano colazione. Harry domandò timidamente se non fosse il caso di mandare un gufo ad Hermione per sapere se l’in-domani volesse raggiungerli a Diagon Alley per incontrar-si insieme con Hagrid.

Ci mancò poco che Ron si strozzasse con il panino al prosciutto che stava mangiando.

Alla fine dovette intervenire la signora Weasley: gli die-de una pacca così forte sulla schiena – ormai era cianotico – che il povero Ron sputò il pezzo di panino direttamente fuori dalla finestra.

Harry intuì che l’amico non aveva gradito l’idea.Dopo colazione, quando Ron non era a portata di orec-

chio, Ginny risolse la situazione e decise di inviare lei un gufo ad Hermione, in cui le chiedeva di andare a Diagon Alley insieme. Harry ne fu sollevato, così non si sarebbe sentito in colpa per non averla invitata.

Ne approfittò per allegare alla pergamena anche i suoi saluti. Non si azzardava a mandarle un gufo personalmen-te temendo che fosse ancora arrabbiata anche con lui.

«Andiamo?» disse Ron, finendo di allacciarsi le scarpe «Io sono pronto».

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Harry prese Snitch e se lo appoggiò sulla spalla, come faceva Ginny con Arnold quando dovevano uscire «Fer-mo Snitch, da bravo, non ti muovere».

In tutta risposta Snitch cominciò a rotolare da una spalla all’altra di Harry, saltandogli di tanto in tanto sulla testa.

«No, fermo… dai mettiti qui» gli disse Harry dispera-to, tentando inutilmente di rimetterlo nuovamente sulla spalla.

«Devi stare fermo Snitch o non puoi venire a Diagon Alley!».

«Ehi, o viene lui o vengo io!» esclamò Ron agitato «A meno che non sia per riportarlo al Serraglio Strega-to, in quel caso…».

«Va bene, va bene non lo porto» disse Harry prendendo-lo dalla spalla per adagiarlo sul letto.

Di colpo la stanza si fece buia. Sparirono Ron, Snitch, il letto, i manifesti dei cannoni di Chudley e anche il muro su cui erano appesi. Harry era piombato nel nulla, solo.

«RON! RON!» gridò Harry terrorizzato, girandosi in-torno infermo sulle gambe. Prese istintivamente dalla ta-sca dei pantaloni la bacchetta di Sambuco, per illuminare quel nulla così opprimente.

Ma prima ancora di formulare la parola Lumos, comin-ciarono a delinearsi i contorni di una stradina. In pochi istanti si rese conto di trovarsi in un piccolo vicolo scarsa-mente illuminato.

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Non è possibile pensò Dove mi trovo? Non ebbe il tem-po di terminare quel pensiero che improvvisamente sentì un’esplosione provenire alle sue spalle.

Si voltò appena in tempo per vedere apparire dal nulla una carrozza nera, trascinata da un enorme toro anch’esso nero come la pece.

La carrozza procedeva verso di lui a tutta velocità e non c’era nessun cocchiere a governarla. Il toro non accenna-va minimamente ad interrompere la sua corsa scalmanata, e anche volendo ormai, non avrebbe fatto in tempo, era troppo vicino.

Harry riuscì a buttarsi di lato, appiattendosi contro uno dei muri dello stretto vicolo, chiudendo gli occhi e speran-do di non essere travolto.

Il toro sbuffò rumorosamente. Harry aprì gli occhi, sem-brava impossibile, ma la carrozza era immobile, proprio davanti a lui.

La tendina che copriva il vetro si scostò. Di poco, ma abbastanza per far scorgere ad Harry la sagoma di una persona.

L’uomo all’interno fece sporgere dal finestrino la pro-pria mano. Harry pensò per un attimo che volesse strin-gergli la sua, per scusarsi, ma invece la mano cominciò a muoversi in maniera sinuosa, flettendo le dita come se stessero suonando una sinfonia.

Harry sentì la bacchetta di Sambuco tirare. Cercava di sgusciare dalla sua mano per andare verso quella dello sconosciuto.

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Harry la teneva a sé con tutta la forza di cui era capa-ce, ma ben presto fu costretto a stringerla con entrambe le mani, la bacchetta tirava sempre più forte. Chiuse gli oc-chi e puntò i piedi nel tentativo disperato di trattenerla, ma ormai era a pochi centimetri dalle dita dello sconosciuto.

Il cuore gli batteva sempre più forte, sembrava che lo stessero punzecchiando con un attizzatoio incandescente.

Aprì gli occhi. Davanti a lui c’era la faccia di Ron che lo guardava con aria a dir poco preoccupata.

Era tornato alla Tana, nella luminosa stanza che divide-va con Ron.

Nella mano non stringeva più nulla, si tastò disperata-mente, in cerca della bacchetta di Sambuco. Per fortuna era al suo posto, accanto alla sua bacchetta, nella tasca dei pantaloni.

«Harry, ma che ti prende?» chiese Ron allarmato.Non rispose, aveva il fiatone. Cominciò a respirare len-

tamente, cercando di calmarsi.Solo allora vide Snitch tremare vistosamente sul let-

to. Non aveva il suo solito color oro, era più scura, quasi arancione.

«è così da quando hai iniziato ad agitarti» intervenne Ron seguendo lo sguardo preoccupato dell’amico.

«Va tutto bene Snitch, calmati!» gli disse Harry acca-rezzandolo dolcemente.

La Puffola si riprese istantaneamente. Tornò al suo vi-vido color oro e cominciò a saltellare allegramente da una parte all’altra del letto.

Harry si sentì un po’ sollevato.

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«Allora, cosa ti è successo?» Chiese Ron.«Non lo so, ti giuro che non lo so…» Harry tentò di

spiegare a Ron cosa fosse accaduto. Anche se non sapeva spiegarlo in nessun modo. Sicuramente non si era addor-mentato e non era svenuto. E non aveva avuto neanche una visione come quelle della Cooman. Ron gli aveva det-to che se ne era stato senza dire una parola, impalato e ansimante per non più di un paio di minuti.

«Ehm, ma ti fa… ti fa male la cicatrice?» domandò Ron intimorito dalla possibile risposta.

«No, assolutamente! è stata un tipo di visione comple-tamente diversa da quelle che condividevo con Voldemort. Non so che pensare e…» si interruppe. E non so con chi parlarne pensò tra se. Nuovamente tornò a desiderare di avere un padrino a cui spedire un gufo, o un preside infal-libile che potesse occuparsi della cosa.

«Senti Harry, forse oggi preferisci riposarti, magari vado solo io e avviso Hagrid…» disse Ron mettendogli una mano sulla spalla.

«Grazie Ron ma sto bene. Mi sembra già tutto così lon-tano.» ed era vero. La visione era stata molto reale conclu-se Harry, ma ora stava già sbiadendo come un sogno.

Sulla soglia della stanza Harry ebbe un ripensamento. Prese la bacchetta di Sanbuco e la nascose sotto il mate-rasso. Quella visione lo aveva impressionato più di quanto fosse disposto ad ammettere, e comunque la prudenza non era mai troppa. Alla Tana, con i suoi incantesimi di prote-zione, sarebbe stata al sicuro.

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Decisero per il momento di non allarmare né Ginny né nessun altro.

«Ok ti copro io. Non dirò a Ginny e a mia madre che sei pazzo!» disse Ron zig-zagando giù per le scale della tana.

Scesi in salotto, si piazzarono davanti al camino. Con disappunto di Harry, che odiava la metropolvere sin dalla prima volta che l’aveva usata finendo a Nocturn Alley, de-cisero di usare proprio quella.

La signora Weasley, lo aveva pregato in gran segreto, di far smaterializzare Ron il meno possibile. Ora che era sempre così nervoso avrebbe corso il rischio di lasciarsi dietro qualche pezzo di sé.

Presero dal vaso un pizzico di polvere magica, si avvi-cinarono al fuoco, e la gettarono tra le fiamme. Con uno schianto il fuoco divenne verde, ci saltarono dentro a tur-no gridando a voce altissima «Diagon Alley».

Come purtroppo rammentava, la sensazione di essere trascinato giù per un tubo, stordito da un rumore tremendo e accecato da brillanti fiamme verdi, lo faceva star male.

Cercò di tenere gli occhi il più aperti possibile nono-stante la fuliggine, tentando di intravedere il negozio di George, dove avevano deciso di apparire.

Molti camini vorticarono confusi davanti ai suoi occhi, stretti come due fessure, quando finalmente riconobbe quello che sembrava essere lo sgargiante negozio “Tiri vi-spi Weasley”. Formulato quel pensiero, si ritrovò a sbat-tere sonoramente il sedere sul marmo tiepido del camino di George.

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Giusto il tempo di sistemarsi gli occhiali sul naso, e scostarsi i capelli pieni di fuliggine dalla fronte e Ron si schiantò dolorosamente sulla sua schiena.

«Perché ancora non ti sei tolto? Vuoi ammazzarti?!» gli disse Ron con le gambe avvinghiate intorno al suo collo.

«Cof, cof… mi sono distratto» rispose Harry tossendo, un po’ per la fuliggine e un po’ perché l’amico lo stava strangolando tra le gambe.

«Cosa stai combinando Ron? Levatevi dal mio camino o rischiate di far male a qualche cliente vero!» li accol-se Geroge, venendo loro incontro in uno sgargiantissimo completo magenta.

«Ma Harry non si è tolto…» si giustificò Ron.George diede una mano ad Harry a rialzarsi, ignorando

completamente le lamentele del fratello.Mentre si spazzolava dalla polvere, Harry si guardò in-

torno. Il negozio era pieno di clienti, tutti accalcati intorno agli altissimi scaffali, che facevano incetta delle più dispa-rate diavolerie.

La maggior parte dei ragazzi si trovava davanti agli stands delle “Merendine Marinare”, del “Torrone Sangui-nolento” e dei “Sogni svegli brevettati”.

«Ora che si avvicina l’inizio della scuola tutti hanno fretta di assicurarsi la possibilità di saltare qualche lezio-ne» disse George cogliendo lo sguardo di Harry.

«Quest’anno ho aggiunto le “Piume Sgorganaso”. Sono una forza, guarda… TYRON VIENI QUI!» gridò Gorge.

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Dopo pochi istanti arrivò di corsa, con un po’ di fiatone, un vecchietto sorridente con la corporatura esile e una te-sta grandissima, sembrava un lecca-lecca tutto avvizzito.

«Tyron, fai vedere il funzionamento delle “Piume Sgor-ganaso”» disse George porgendogli una piuma di un vivi-do colore rosso scarlatto, che teneva in tasca.

Tyron prese la piuma e cominciò a solleticarcisi il naso. Ci impiegò alcuni istanti, poiché a causa del tremo-re che aveva alla mano, a volte si passava la piuma sulla guancia, a volte sulla bocca e in alcuni istanti perfino fin sull’occhio.

Finalmente riuscì a soffermarsi sul naso per alcuni istan-ti, e come risultato emise un sonoro starnuto.

Immediatamente cominciò a sgorgargli, copioso e inar-restabile come un fiume in piena, un fiotto di sangue dal naso.

Tyron restò immobile, sempre sorridente, a lasciare che il sangue si riversasse sul pavimento in un’enorme pozza. George lo indicava tutto contento, mentre Harry e Ron fis-savano la scena terrorizzati.

«Ok Tyron, può bastare» gli disse Gorge porgendogli un fazzoletto.

Tyron si tamponò il naso, restituì la piuma a George, e scomparì trotterellando nel retrobottega.

«Ma chi è quel poveraccio?» chiese Ron allibito.«è Tyron. Dà una mano in negozio e mi aiuta a testa-

re nuove invenzioni. Gli altri commessi non hanno mai voglia di sperimentare…» rispose George, tirando fuori

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la bacchetta e facendo sparire la macchia di sangue dal pavimento.

«Ma è una persona anziana… non hai paura che muoia?» lo interrogò nuovamente Ron.

«Ma sei stupido o cosa? Non è mica sangue quello! Vedi la piuma ora è un po’ meno rossa di prima. Si può usare tre volte prima che torni bianca del tutto» disse George mettendo la piuma usata vicino ad una nuova, che era ef-fettivamente di un rosso molto più intenso.

Improvvisamente Harry si accorse che davanti ad uno scaffale pieno di scatole rosa shocking, su cui troneggiava uno striscione con scritto “Filtri d’amore”, delle ragazze che fino ad un attimo prima erano impegnatissime a leg-gere le proprietà dei vari filtri, ora lo stavano fissando, in-dicandolo e ridacchiando esageratamente.

Harry stava per chiedere a Ron e a George cosa avesse-ro da guardare, quando un commesso si fece largo tra la folla tentando di richiamare l’attenzione di George.

«Signor George!» disse il ragazzo con la divisa magen-ta del negozio «Signor George, può venire nel retro per cortesia? Tyron è scivolato facendo cadere due casse di “Piume al Pepe”! Tutti gli inservienti che erano nel retro stanno starnutendo come matti… compreso Tyron».

Le Piume al Pepe erano un’altra nuova invenzione di George. Te le strofinavi sotto al naso ed eri vittima di una crisi di starnuti incontrollata.

«E allora? Eseguite il contro incantesimo che vi ho fatto vedere» rispose George sbrigativo.

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«Il contro incantesimo che ci ha fatto vedere non fun-ziona signore, continuano tutti a starnutire, c’è muco dap-pertutto e…» continuò allarmato il giovane commesso.

«Ok, ok ho capito. Harry senti, devo andare a vedere cosa ha combinato Tyron...» disse George.

«Oh certo, anche noi dobbiamo andare, abbiamo un ap-puntamento con Hagrid» rispose Harry.

«Tanto qui non hai nulla da comprare, ti ho già regalato tutto per il tuo compleanno, e Ron comunque non ha un soldo, quindi…» disse George sorridendo e assicurandosi che il fratello lo avesse sentito.

Harry non si sarebbe mai abituato a sentir chiamare George “signore”, soprattutto se a farlo era un ragazzo che doveva avere all’incirca la sua stessa età.

Nello stesso modo in cui non si sarebbe mai abituato a vederlo da solo. Quando Harry lo guardava cercava con lo sguardo sempre istintivamente anche Fred.

Anche le sue parole sembravano strane pronunciate solo da lui. Come quest’ultima frase Tanto qui non hai nulla da comprare, ti ho già regalato tutto per il tuo compleanno… era la parte che in effetti avrebbe detto George ma sarebbe stato Fred a terminarla con …e Ron comunque non ha un soldo, quindi…

George scomparve nel retro, trascinandosi dietro il ri-luttante commesso.

Harry e Ron uscirono dal negozio, senza accorgendosi che ormai, tutti i clienti, avevano smesso di interessarsi alla mercanzia per fissarli e indicarli a bocca aperta.

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Fuori il sole splendeva alto. I negozi di Diagon Alley erano di nuovo tutti aperti, con la loro sgargiantissima merce esposta fino in mezzo alla strada. Calderoni di tut-te le misure e materiali, gabbie contenenti civette, gufi e barbagianni traboccavano dall’Emporio del Gufo. Da tutte le vetrine i più disparati oggetti brillavano alla luce del sole.

Poche persone ciondolavano stancamente per la via con quel caldo, erano tutte stipate nei negozi in cerca di fresco.

Anche la bottega di Olivander era di nuovo aperta. Har-ry preferì passare dall’altro lato della strada, non aveva voglia di parlare con il vecchio fabbricante di bacchette. Solo leggere il nome “Olivander” sull’insegna gli aveva ricordato la fuga da casa Malfoy e la morte di Dobby.

Mentre cercava di scacciare quel pensiero, si accorse di un insolito tramestio che veniva dalle sue spalle.

Se ne rese conto anche Ron perché si voltarono all’unisono.

Vedendo tutti quegli occhi puntati verso di loro ad Har-ry venne un mezzo accidente. Riconobbe poi alcune delle facce che aveva visto fino a poco prima fare acquisti nel negozio di George.

«Eccoli, si sono girati!» li udì vociare tra loro «… guar-da la cicatrice!».

Ron, evidentemente non abituato a una situazione del genere, arrossì più del solito e cercò di nascondersi dietro

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l’amico, tentando di capire se tutte quelle persone erano interessate solo a Harry o anche a lui.

In pochi istanti si trovarono praticamente circondati da una trentina, tra bambini e ragazzi, stipati quasi uno so-pra l’altro, intenti a sgomitarsi e a sussurrare indicandoli. «è Harry Potter! E quello vicino a lui è il suo aiutante!» gridò un ragazzo cicciottello che teneva tra le mani una busta dei “Tiri Vispi Weasley”.

Le ultime parole ebbero appena il tempo di giungere alle orecchie ormai viola di Ron.

«Io non sono “l’aiutante” di nessuno!» gridò spostan-dosi da dietro Harry e gonfiando il petto più che poté.

«Però sembra proprio l’aiutante dai capelli rossi…» commentarono due dei bambini più piccoli in prima fila.

A queste parole Harry tappò prontamente la bocca a Ron, ma anche attraverso la mano di Harry era possibi-le intuire alcune delle vivaci imprecazioni dell’“aiutante dai capelli rossi”.

Tutti cominciarono a ridere stringendo maggiormente il cerchio intorno ad Harry, che a stento riusciva a tratte-nere il sempre più infuriato Ron.

Improvvisamente tra quella piccola folla, delicatamen-te ma con decisione, si fece largo una figura talmente imponente, che li avrebbe sovrastati anche se si fossero messi tutti uno sopra l’altro.

«Largo, via non ci sta’ mica nulla da vedere qui eh… forza largo!»

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«Hagrid grazie al cielo!» disse Harry contento come non mai di vedere l’amico mezzo gigante.

La folla si era fatta un pochino più dietro ma nessuno se ne era ancora andato.

«Che ci piglia a questi ragazzi Harry? Ron… come mai sei tutto così rosso?»

«Quei nanerottoli hanno detto che sono l’aiutante di Harry!» rispose Ron ringhiando verso la folla.

Hagrid si girò «Questo qui è Ronald Weasley ed è un eroe della battaglia di Hogwarts! AMICO e non AIU-TANTE di Harry chiaro? E ora sparite e non scocciate più questi due ragazzi eh…» disse minaccioso mimando una piccola carica.

A quel punto i più piccoli scapparono a gambe levate, mentre i più grandicelli si dispersero tentando di mante-nere un minimo di dignità in più.

«Ron! Harry! Che piacere vedervi!» gli disse Hagrid abbracciandoli entrambi nella sua prevedibile morsa stri-tolatrice «E Hermione? Pensavo che sarebbe venuta an-che lei…».

«Non è potuta venire...» si affrettò a rispondere Harry, scorgendo con la coda dell’occhio l’espressione contra-riata di Ron al solo nome della ragazza.

«E cos’è che ci aveva da fare che non poteva pigliarsi un gelato con noi?» domandò Hagrid incuriosito.

«Hagrid ma non dovevamo vederci da Florian?» tentò di cambiare discorso Harry.

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«Stavo proprio per andarci quando vi ho visto… Andiamo a mangiarci un bel gelato, offro io!» disse allegro dandogli una poderosa pacca sulla schiena.

In pochi minuti furono alla Gelateria Florian Forte-braccio, Ron e Harry si sedettero a un tavolino sgombro, mentre Hagrid prese la panca che era lì vicino per sedersi anche lui.

«Novità da Hogwarts?» chiese sbrigativo Ron, evi-dentemente intenzionato a non tornare sull’argomento Hermione.

«Oh un mucchio!» rispose Hagrid alzando gli occhi al cielo «La professoressa McGranitt come saprete è la Pre-side ora, ed è sempre piena di cose da fare poverina! Ci saranno due nuovi insegnanti quest’anno e… » queste pa-role ridestarono l’interesse di Ron come se fosse risorto da una morte precoce «Che tipi sono i nuovi insegnanti? Li conosciamo?» chiese impaziente.

«Non li conosco nessuno dei due ancora… ma purtrop-po uno dei due è un impiccione di americano» rispose Hagrid bisbigliando ma battendo il pugno sul tavolo.

«Perché bisbigli? » chiese Harry. «Harry ma non ce li hai gli occhi tu? Qui è pieno zeppo

di americani! Ne arrivano ogni giorno! E ora sono pure riusciti ad entrare a Hogwards!» continuò sempre sotto-voce. «La McGranitt ha cercato di opporsi, ma alla fine ha dovuto prenderlo almeno uno... E questo le scoccia parecchio».

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«Beh ma non è la prima volta che ospitiamo alunni e professori di altre scuole no? Cioè quando c’è stato il tor-neo Tremaghi…» sopraggiunse Harry, incuriosito.

«Si lo so, ma lì c’era un accordo. Ora però il loro Presi-dente…» e alla parola “loro” fece una smorfia di disgusto «Ha voluto un professore americano a Hogwarts! E que-sto non è andato proprio giù alla McGranitt!».

«E allora? Lei può decidere se assumerlo o non assu-merlo…» disse Ron che odiava gli americani per parti-to preso «Il Ministero ha fatto amicizia con loro, mica Hogwarts!»

«Si, ma gli americani hanno aiutato molto nella rico-struzione della scuola» puntualizzò Harry.

«Ci hai azzeccato» annuì Hagrid. In quel momento si avvicinò al tavolo un uomo mol-

to alto, con vistose cicatrici sul viso e sulle braccia scoperte.

«Perbacco Florian!» commentò Hagrid dispiaciu-to «Ti hanno proprio conciato male quei malnati di Mangiamorte!».

«Già» rispose lui con voce piatta «Mi hanno tenuto rin-chiuso per mesi nei sotterranei di Villa Malfoy, ma posso dirmi fortunato...».

Per la seconda volta in poche ore Harry si trovò a pen-sare a “Villa Malfoy”. Fissando Fortebraccio fu assalito dal senso di colpa per tutte le persone che non era riuscito a salvare. Ancora una volta tentò di scacciare quel pen-

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siero. Era con Ron ed Hagrid e doveva pensare a loro, a non rattristarli con i suoi musi lunghi.

Mentre si gustavano tre grosse coppe gelato offerte da Hagrid, Ron e Harry gli spiegarono nel dettaglio tutto quello che avevano fatto alla Tana, partendo dalle pulizie della casa fino al giorno del compleanno di Harry, mentre Ron zittiva l’amico ogni volta che il discorso rischiava di avvicinarsi all’argomento “Hermione”.

Terminati i dolci, Hagrid tirò fuori da una delle sue enormi tasche un piccolo orologio a cipolla e guardò l’ora. «Perbacco quanto è tardi! Dovrete fare un sacco di compere! E anche io ciò da finire i miei acquisti!» ag-giunse indicando con un gesto della testa alcune borse poste vicino a lui, che né Harry né Ron avevano notato prima di quel momento.

«Io devo fare prima un salto alla Gringott» disse Harry controllando il suo sacchetto con dentro poche falci.

«Ma sei impazzito Harry? Non ci puoi mica andare da solo in quel covo di folletti dopo quello che hai combina-to!» disse Hagrid «Quelli saranno arrabbiati a morte! Ti ci accompagno io! Che ci provino a fare i prepotenti!».

«Grazie Hagrid, forse hai ragione…» ammise Harry un po’ preoccupato.

«Beh, visto che ti accompagna Hagrid vado al Serra-glio Stregato a prendere dei biscotti gufici per Leotordo che li ha finiti…» disse Ron alzandosi dalla sedia visibil-mente sollevato al pensiero di non dover incontrare nes-sun folletto.

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«Allora rincontriamoci tutti al Serraglio che an-che io devo comprarci delle cose» concluse Hagrid incamminandosi.

Appena Ron si fu allontanato, Hagrid si rivolse a Harry con tono solenne.

«Harry, devo darti questa da parte del Ministro».Mentre lo diceva aveva uno sguardo attento affinché

nessuno potesse notare che stava tirando fuori dal pa-strano una busta chiusa con un sigillo dorato. La porse a Harry, che, sorpreso, la guardò attentamente, come per vedere se fosse reale o se fosse uno scherzo.

La rigirò più volte tra le dita prima di soffermarsi ad osservare il grosso timbro dorato che la sigillava. Rappre-sentava una grossa “M” che lui riconobbe come il simbo-lo del Ministero della Magia, ma sotto di esso vi era un altro timbro: “Inchiostro spiaggioso – M.B.I. - Magical Bureau of Investigation”.

«Hagrid, ma c’è un timbro americano qui… cosa è l’MBI?» chiese esterrefatto.

Hagrid annuì con aria contrariata «“L’em-bi-ai”: Ma-gical Bureau of Investigation – Sono i servizi segreti americani... ficcano i loro grossi nasi dappertutto con la storia di rendere tutto più sicuro. Sai, a volte ho l’impres-sione che il loro capo sia una specie di reincarnazione della Umbridge!»

A quel nome Harry rabbrividì, ma non sentì il bisogno di aggiungere altro. Il signor Weasley e Percy erano stati già abbastanza chiari sull’argomento.

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«Hai idea di cosa voglia il Ministero...».«No mi dispiace. Kingsley è passato dalla scuola ieri

per discutere alcune cose con il quadro di Silente e quan-do l’ho incontrato e ci ho detto che oggi ci saremmo in-contrati mi ha chiesto se potevo dartela io…».

Harry non indugiò oltre e ruppe il sigillo.

Caro Harry,ti aspetto il giorno 12 agosto p.v. presso il Ministero della Magia, Ufficio del Ministro.

Desidero avere un colloquio con te alle 10.00. Ti prego di essere puntuale.

Non rivelare a nessuno il contenuto di questa lettera.Ti abbraccioKingsley Shacklebolt

Non appena ebbe finito di leggere, la pergamena volò via dalle sue mani, si avvicinò al suo orecchio e sussur-rò con una voce sibilante «Sssi ricordi, Sssignor Potter! Dieci in punto del dodici agosssto all’Ufficio Del Miniss-stro!». Detto questo si allontanò di pochi centimetri e, senza fare il minimo rumore, si dissolse in tanti minusco-li granelli di sabbia dorati.

Ancora un pò turbato, ma non del tutto sorpreso che una lettera potesse sbriciolarsi, Harry si incamminò pen-sieroso insieme ad Hagrid lungo il viale che portava alla Gringott.

«Non è che diceva molto ‘sta lettera eh… probabil-mente vorrà parlarti di un premio penso, magari ti vo-

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gliono dedicare una via… Potter Halley!» disse Hagrid euforico.

Harry sorrise debolmente, non sapeva perché ma il suo sesto senso gli diceva che era una cosa poco probabile.

L’ultima volta che era stato alla Gringott, l’anno prima, lo aveva fatto sotto mentite spoglie col preciso intento di sottrarre qualcosa dalla banca. Non sapeva come i follet-ti lo avrebbero accolto. Sperava che avessero capito le particolari circostanze che lo avevano costretto ad agire in quel modo, ma ora non ne era più tanto sicuro. Cono-scendo la loro natura, sicuramente lo consideravano an-cora un ladro, ma faceva affidamento sul fatto che essere un loro cliente, un ottimo cliente per di più, per i folletti fosse importante. Gli affari prima di tutto.

Non appena entrato non ebbe più dubbi, una cinquan-tina di folletti abbandonarono le loro attività e iniziarono a seguire attentamente ogni suo movimento. Per fortuna sentiva alle sue spalle la possente figura di Hagrid che gli dava coraggio.

Si guardò intorno, tutto era tornato a posto. In poco tempo i folletti avevano riparato i danni fatti dal drago durante la fuga e ricostruito tutto esattamente com’era.

Si avvicinò al lungo bancone rivolgendosi ad un follet-to che sembrava meno scontroso degli altri.

«Vorrei fare un prelievo dalla mia camera blindata» esordì Harry timidamente.

Il folletto stava trascrivendo alcune cifre da una perga-mena ad un’altra e sembrò non accorgersi di lui.

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«Senti un po’ piccoletto, ci sei qui per lavorare o per fare i comodi tuoi?» tuonò Hagrid.

Solo allora il piccolo banchiere alzò la testa, si sistemò gli occhiali e scrutò attentamente i due. Dopodiché saltò giù dallo sgabello e si diresse verso un altro folletto che sedeva dietro una grande scrivania, probabilmente un suo superiore.

I due iniziarono a confabulare senza che Harry riuscis-se a sentire alcunché.

«Credo che ci siano dei problemi… avevi ragione tu, qui dentro non sono più ben accetto.» sussurrò imbaraz-zato ad Hagrid.

«Non preoccuparti, ci hai i tuoi diritti, non possono mica non darti i tuoi soldi» lo rassicurò l’amico.

Poco dopo il folletto fece ritorno alla sua postazio-ne e, senza degnarli di uno sguardo, tornò alle sue trascrizioni.

Harry strinse i pugni, visibilmente innervosito. Stava per lamentarsi quando un piccolo drappello di folletti li raggiunse. In testa c’era il folletto anziano che sedeva dietro la grande scrivania.

«Prego signor Potter, da questa parte. Capirà che nel suo caso, dobbiamo prendere delle misure di sicurezza particolari, data la sua attitudine a prendere possesso di oggetti non suoi ed ad arrecare danni alle strutture».

L’irritazione di Harry superò la soglia di autocontrollo.

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«MA IO NON SONO UN LADRO!» gridò. «Non ca-pite che era necessario distruggere quella coppa per poter sconfiggere Voldemort?».

«Noi siamo estranei alle vicende tra maghi. Abbiamo il dovere di assicurare ai nostri clienti la massima protezio-ne per quello che ci affidano. Non avremmo più la loro fiducia altrimenti. Ma ora basta, venga che la scortiamo alla sua camera blindata, prima lascia la nostra banca me-glio è!»

Harry era furioso, l’imbarazzo di poco prima era scom-parso del tutto. Tentò comunque di trattenersi, su una cosa il folletto aveva ragione, prima avrebbe lasciato la banca prima si sarebbe sentito meglio.

Seguirono il piccolo drappello attraverso una delle por-te che portavano dall’atrio ai binari per le grotte.

Il capo folletto chiamò con un fischio un paio di car-relli che subito arrivarono sul binario vicino a loro. Si sistemarono in due di questi, marcati strettamente dalle loro guardie.

Ci volle poco tempo per raggiungere il suo forziere. Durante quel piccolo tratto, però, avevano passato due getti d’acqua simili alla Cascata del Ladro e due avampo-sti dove folletti con elmetto e manganello ispezionavano i carrelli. Ai vertici della Gringott dovevano essersi preoc-cupati un bel po’ per essere stati imbrogliati se avevano aggiunto tutte quelle protezioni.

Il cumulo di monete d’oro che i suoi genitori gli aveva-no lasciato era ancora lì. Harry ne fu sollevato, per qual-

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che istante aveva temuto che i folletti si fossero presi una parte delle monete come risarcimento.

«Signor Potter faccia alla svelta» lo incitò il folletto capo.

«Hey, razza di gnomo da giardino! Stacci un po’ atten-to a quello che dici! Harry fai con comodo.»

Harry lanciò uno sguardo di gratitudine ad Hagrid, e si concentrò sul da farsi. Decise di prendere un po’ più di denaro del solito, per ritardare il più possibile il suo ritorno li sotto.

Riempì il piccolo sacchetto di stoffa che si era portato dietro e allacciò accuratamente il cordino.

«Ho finito, possiamo andare».Durante il viaggio di ritorno ci fu meno tensione, tutti

si sentivano un po’ sollevati.Arrivati nel grande atrio di marmo il drappello che ave-

va fatto loro da scorta si disperse. Harry e Hagrid punta-rono verso l’uscita.

«Grazie di avermi accompagnato» disse Harry.«Lo sai che ti aiuto con piacere! E poi se ti avevo la-

sciato solo chissà cosa di facevano quelli là!» rispose Hagrid.

Harry rise divertito mentre attraversavano il portone per uscire. Varcata la soglia si attardò per tenere la por-ta aperta e lasciar passare una signora che teneva un fa-gotto tra le braccia. Harry e la signora incrociarono lo sguardo.

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I capelli lunghi e castani, gli occhi dolci, calmi. Era proprio lei. Ma allora era chiaro cosa, anzi … chi teneva tra le braccia. Harry sentì gli occhi inumidirsi e il cuore battere forte.

«Oh Harry, sei proprio tu?» le disse lei per prima.Dopo tutto quello che aveva passato, Andromeda Tonks

era davvero in forma. Probabilmente, occuparsi del nipo-te, le aveva dato il coraggio di andare avanti e sembrava che l’avesse addirittura ringiovanita.

Spostò parte della coperta facendo sì che si potesse ve-dere il viso del piccolo Teddy. Stava dormendo ma la luce lo svegliò subito. Il piccolo si esibì in un lunghissimo sbadiglio e poi aprì gli occhi. I capelli erano di un azzurro tenue.

Harry rimase senza parole.«Bello come sua madre, a parte gli occhi si intende,

quelli sono sicuramente di Remus» disse orgogliosa la nonna.

Harry annuì, anche se non aveva mai capito come faces-sero a vedere delle somiglianze in bambini così piccoli.

«Teddy, tesoro, questo e Harry… il tuo padrino!» disse la signora Tonks.

Il piccolo rise gonfiando le guance paffute e in un atti-mo i capelli passarono dall’azzurro ad un blu acceso.

«A quest’età cambiano colore almeno dieci volte al giorno».

Harry fissò la chioma del piccolo variare di tonalità.

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«Mi dispiace …» disse Harry con voce strozzata riu-scendo finalmente a spiaccicare qualche parola.

«Come dici Harry? Guarda che non è un grosso proble-ma ci si abitua subito!»

Harry si schiarì la voce e continuò.«No, non parlavo dei capelli. Stavo dicendo che mi

dispiace di non essere ancora passato a trovarvi, mi di-spiace di non esservi stato vicino in questo periodo difficile…».

La signora Tonks lo interruppe.«Non dirlo nemmeno per scherzo, tu non hai certamen-

te passato momenti migliori; avrai pure diritto anche tu ad un po’ di tranquillità, non ti pare?»

«Si… solo che i suoi genitori non ci sono più… se le cose fossero andate diversamente, forse ora potrebbe ave-re un padre e una madre» disse torcendosi le mani.

«Se le cose fossero andate diversamente forse ora il Signore Oscuro sarebbe ancora al potere e Teddy non po-trebbe avere una vita felice. Senti Harry, Remus e Dora sono morti e non puoi darti la colpa per questo; hanno dato la loro vita per un mondo migliore in cui possa cre-scere anche loro figlio. Proprio tu dovresti capire quanto sia importante un sacrificio come questo!»

Detto questo si avvicinò ad Harry e lo strinse forte con il braccio libero. Era incredibile la sua forza d’animo, aveva perso tutti i suoi affetti ma era lei a dare conforto.

«Comunque non pensare che una tua visita sia sgradi-ta, la porta di casa nostra è sempre aperta per te!»

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«Potrei …?» Chiese Harry allungando le braccia verso Teddy.

«Oh … certo!» Rispose la signora Tonks porgendo il fagotto ad Harry.

«Anzi, … che ne dici di occupartene per qualche minu-to, intanto io sbrigo qualche faccenda in banca».

«Ma… non so se sono in grado…» disse Harry indeciso.

«Non preoccuparti, ha appena mangiato e al resto ci pensano i Pannolini Autopulenti. E poi c’è Hagrid, se c’è anche lui non ho nulla di cui preoccuparmi» Lo rassicurò la signora Tonks sorridendo.

«Allora penso che potrei provare!» disse Harry.Hagrid, che fino a quel momento era rimasto in dispar-

te per lasciare i due a parlare serenamente, intervenne.«Dromeda non ti preoccupare, ci sto io che lo aiuto …

coi bambini ci ho successo io!»«Bene allora, ci vediamo tra un po’» disse la signora

Tonks sistemando la coperta di Teddy.Harry si ritrovò con il figlioccio in braccio, incerto su

come muoversi per non fargli male. Il piccolo continua-va a ridere tentando di acciuffare i capelli spettinati di Harry.

E così questo è Teddy pensò Harry mentre iniziava a scendere dalla gradinata ed a incamminarsi lungo il viale insieme ad Hagrid.

Harry ripensò alle parole della signora Tonks. Proprio tu dovresti capire quanto sia importante un sacrificio

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come questo! Aveva ragione. Era incredibile come il de-stino di Teddy assomigliasse tanto al suo.

In quel momento Harry promise al piccolo, ma anche a se stesso, che gli sarebbe stato vicino e che avrebbe mantenuto viva la memoria dei suoi genitori. Voleva che Teddy avesse tutto ciò a cui lui aveva dovuto rinunciare.

La voce di Hagrid lo fece ridestare dai suoi pensieri.«Harry, andiamo al Serraglio Stregato a far conoscere

Teddy anche a Ron, e poi devo comprarci un po’ di cibo per i frillini. Ti ci ho già parlato di loro, vero?»

«Oh, sì. Me lo hai scritto nella lettera».Si avvicinarono alla vetrina. Teddy cominciò a ride-

re guardando dei simpatici uccellini azzurri che stavano volteggiando in una gabbia sospesa in alto.

«Quelli sono dei Colibrì Piuma Blù, non ci smettono mai di volare, nemmeno quando mangiano e dormono» precisò Hagrid. Poi prese Teddy con le braccia e lo sol-levò fino alla gabbia. Con un bambino così piccolo in braccio, sembrava ancora più gigante.

Un manifesto sistemato in basso nella vetrina attirò l’attenzione di Harry. Al centro c’era il muso di un enor-me toro nero come la pece con due enormi corna. Sotto all’immagine una scritta diceva: Tori da tiro della Tran-silvania, i più forti di tutta Europa! Prossimamente dispo-nibili in questo negozio.

La mente di Harry non poté far altro che ritornare al sogno di quella mattina e a quell’enorme toro nero che trainava la carrozza. Le coincidenze si disse.

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Erano ancora intenti ad ammirare le acrobazie aeree dei Colibrì Piuma Blù, quando si sentì una strano rumo-re provenire dal vicolo accanto alla vetrina del negozio. Harry avrebbe giurato di aver sentito un nitrito. Si sporse per dare un’occhiata.

Il vicolo a ridosso del serraglio stregato era notevol-mente largo, probabilmente per le esigenze di riforni-mento del negozio. I muri erano fatti con le tipiche mat-tonelle rosse e avevano un aspetto trascurato. Scatoloni e ciarpame di ogni genere era accatastato ai lati.

Quello che attirò l’attenzione di Harry, però, fu una sa-goma nera in fondo al vicolo. Poteva sbagliarsi ma sem-brava proprio una carrozza. Forse il sogno stava condi-zionando la sua mente ma il suo sesto senso gli diceva che doveva vederci chiaro.

Essersi trovato davanti l’immagine del toro nero, po-teva essere stata una coincidenza, ma se quella era ve-ramente una carrozza, la faccenda diventava alquanto anomala. E poi dov’era Ron? Possibile che se ne fosse andato senza aspettarli?

Harry si avvicinò ad Hagrid.«Potresti tenere Teddy per qualche istante? Devo fare

una cosa…» domandò Harry pensieroso.«Certo, certo! Non ti preoccupare. Ma c’è qualcosa che

non va?».«Niente, tutto bene. Voglio solo controllare una cosa».Era agitato, ma dopotutto Diagon Alley era un posto

sicuro. Dopo essersi assicurato che Teddy fosse a posto,

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si incamminò piano nel vicolo appiattendosi il più possi-bile al muro.

Il vicolo era silenzioso, la luce del sole non riusciva a penetrare direttamente e la carrozza era ferma in una zona relativamente buia. Come in tante altre occasioni, rimpianse di non aver portato con sé il Mantello dell’In-visibilità, in quel momento avrebbe fatto molto comodo. Per fortuna tutte le cianfrusaglie buttate per strada gli of-frivano un minimo riparo.

A metà del vicolo non ebbe più dubbi. La sagoma nera era un’enorme carrozza legata a due cavalli, neri anch’essi.

Estrasse la bacchetta. Il cuore iniziò ad aumentare il ritmo. Sentì delle voci all’interno. Qualcuno si stava lamentando.

A pochi passi le voci diventarono più chiare. Ebbe un tuffo al cuore. C’era qualcosa di molto strano. Una delle voci sembrava quella di Ron.

«Non so dove sia, ve l’ho già detto! Dopo la battaglia Hogwarts non l’ho più vista!»

Il pensiero di Harry ritornò in un lampo al sogno… La bacchetta! Devo chiamare Hagrid.

«è chiaro che non collabora dobbiamo passare alle ma-niere più forti!» disse una strana voce, che poco aveva di umano.

«Ma vi ho detto che non ne so nulla!» gridò Ron.«Preferisco controllare… Apri la tua mente!» disse una

seconda voce.

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L’occlumanzia, pensò Harry, Non c’è tempo, devo in-tervenire subito! Tese la bacchetta.

«Nebbiosum!»Una fitta nebbiolina prese ad uscire copiosa dalla punta

della bacchetta ed ad invadere tutto il vicolo.I cavalli iniziarono a dimenarsi e a nitrire.«Cosa succede?» disse l’uomo con la voce innaturale.Harry vide affacciarsi uno degli uomini dallo sportello

di sinistra, allora silenziosamente corse allo sportello di destra. Tentò di aprirlo ma non si muoveva.

«Alohomora!» sussurrò.Sentì la serratura sbloccarsi e il finalmente riuscì a spa-

lancare la porta. Ebbe solo il tempo di riconoscere la sa-goma dell’amico, lo afferrò per il braccio e lo tirò con tutta la forza che aveva verso la strada.

Caddero entrambi a terra. Con orrore ad Harry sfuggì la bacchetta di mano.

Sentì un forte schiocco. Chiuse gli occhi rassegnato a ricevere una maledizione senza neanche la possibilità di difendersi.

Videro invece un lampo di luce. Poi la nebbiolina ini-ziò a dissolversi. La carrozza era sparita.

Ron era come inebetito. Harry raccolse la sua bacchet-ta, afferrò l’amico per un braccio e lo trascinò correndo fuori dal vicolo.

Una volta davanti alle vetrine del Serraglio stregato, ansimanti si gettarono a terra.

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Hagrid si girò verso di loro e li raggiunse con un unico gigantesco passo.

«Che caspita succede?» chiese «E tu Ron, da dove salti fuori?»

Detto questo, tenendo con un braccio Teddy, con l’al-tro sollevò prima un ragazzo e poi l’altro.

«Grazie, Hagrid!» disse Harry, iniziando a respirare più lentamente.

Ron era pallido come non mai, lo sguardo fisso verso un non precisato punto sulla strada.

«Allora si può sapere chi erano quei due? Come sei finito in quella carrozza?» chiese Harry.

Hagrid aggrottò le sopracciglia non capendo di cosa stavano parlando.

«Stavo per entrare al serraglio, ero proprio in questo punto, quando una voce dal vicolo mi ha chiamato “Ra-gazzo, potresti aiutarmi ti prego” e io come un ingenuo mi sono fatto abbindolare. Appena ho girato l’angolo mi si sono irrigiditi tutti i muscoli, una sensazione sgradevo-lissima te lo assicuro. Ho iniziato a camminare contro la mia volontà fin sopra la carrozza»

«La Maledizione Imperio» disse Harry.«No, era qualcos’altro, io ero cosciente di quello che

facevo, ma non potevo oppormi».«Per mille gufi, questa è magia potente. Che diavolo

succede?» esclamò Hagrid.Sentendo il tono del gigante, il piccolo Teddy iniziò a

piangere.

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«Oh, no, piccolino, non fare così» disse Hagrid cocco-landolo per tranquillizzarlo.

Ci fu un attimo di silenzio.«Ma chi erano, li hai visti?» chiese Harry impaziente.«No, era tutto buio. Ma quel che è più strano è che era-

no in due ma si distingueva solo una figura. Era come se fossero due uomini in uno! E poi una delle voci era così strana… volevano sapere della Bacchetta di Sambuco! Per fortuna sono riuscito a non dirgli niente, anche se …» si interruppe Ron dubbioso.

«Anche se?» Lo incalzò Harry.«Beh, c’eri anche tu… ha tentato di leggermi nella men-

te, può essere che sia riuscito a scoprire qualcosa…»Harry sospirò e rifletté sul da farsi. Poi si rivolse ad

Hagrid.«Ti prego, puoi riportare Teddy ad Andromeda. Scusati

da parte mia, ma adesso è meglio che ce ne andiamo da questo posto, non è sicuro».

«Teddy?» Disse Ron, avvicinandosi. Solo in quel mo-mento sembrava essersi accorto del piccolo.

«Oh, sì. Ho incontrato Andromeda alla Gringott e me lo ha lasciato per un po’» E io non sono stato in grado di passare nemmeno un ora con lui. Pensò amareggiato do-vendo già venir meno ai suoi propositi verso Teddy.

«Ci hai ragione Harry! Meglio che andate. Non preoc-cuparti per Teddy, Dromeda capirà».

«Dai Ron andiamo».

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«Dobbiamo avvertire l’Ordine, e forse dovrò incontra-re Kingsley prima del previsto» disse Harry.

«Che vuol dire “prima del previsto”?».«Oh, certo, tu non lo sai. Hagrid mi ha consegnato una

lettera di Kingsley».«Cosa?» disse Ron esterrefatto.«Mi ha scritto che vuole incontrarmi nel suo ufficio».«Incontrarti per cosa?»«Non ne ho la più pallida idea. Anche se adesso so di

cosa parleremo…».Fino a quella mattina il mondo aveva ripreso a girare

nel verso giusto. I preparativi per un nuovo, tranquillo anno a Hogwarts erano iniziati. Ora tutto era cambiato. Di nuovo erano in pericolo, qualcuno voleva imposses-sarsi della bacchetta con chissà quali scopi. I programmi per la scuola passavano in secondo piano. C’erano cose più urgenti.

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Capitolo �

un nuoVo auRoR al ministeRo

In quel momento Harry avrebbe voluto avere Hermione accanto a se. Ron non sapeva della lettera che Ginny le aveva spedito annunciandole che loro si sarebbero trovati a Diagon Alley quel giorno. O non era ancora arrivata, o non sarebbe venuta per niente. Dopo la sua fuga dalla tana forse non era ancora pronta ad incontrarli. In ogni caso Harry non voleva aspettare oltre. Voleva togliersi da lì il più in fretta possibile.

Harry e Ron sbrigarono i loro acquisti velocemente. Si recarono in farmacia per fornirsi degli ingredienti per le lezioni di Pozioni e poi al Ghirigoro per acquistare i libri per il nuovo anno scolastico.

Arrivarono al “Tiri Vispi Weasley”, il negozio era, se possibile, più affollato di quando lo avevano lasciato. George era attorniato da una marea di ragazzini che gli arrivavano a malapena alla cintura dei pantaloni.

Tutti volevano acquistare le ultime novità in fatto di pasticche vomitose e torrone sanguinolento. Harry e Ron cercarono di avvicinarglisi il più possibile, ma tra i pacchi dei libri e le teste dei maghetti non riuscirono a raggiungerlo.

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«Hey!» urlò Harry al di sopra degli schiamazzanti ra-gazzini. George si voltò verso di loro cercando di distri-carsi tra le innumerevoli braccia alzate che indicavano gli scaffali alle sue spalle. «Come? Non sento!» rispose di rimando.

«Noi torniamo alla Tana» cercò di farsi sentire Harry. «Ci vediamo lì per pranzo».

«No, penso che rimarrò qui. Avvisa tu la mamma che mangerò un panino in negozio. Come vedi ho molto la-voro e non mi posso allontanare»

«Come vuoi» fu la risposta di Harry.Ron, che era rimasto alle sue spalle, si girò per aprire un

varco verso il camino. Lui lo seguì cercando di non per-dere per strada gli scatoloni che reggeva tra le braccia.

Prese la polvere verde da un’urna d’argento posata sul camino. Era appartenuta alla famiglia Black, l’aveva re-galata a George e Fred per il loro compleanno.

Preceduto da Ron entrò nel camino.«Tana!»Harry pronunciò il nome della destinazione scanden-

do bene le sillabe per evitare spiacevoli inconvenienti. Questa volta Ron si era levato in tempo dal braciere del salotto prima che arrivasse.

«Oh, eccovi qua finalmente!» li accolse la voce preoc-cupata della signora Weasley, mentre i due ragazzi cerca-vano di levarsi le ultime tracce di fuliggine dagli occhi e dai vestiti.

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«Oh, santo cielo Ron, sei tutto intero? Stai bene?» con-tinuò stritolando in un abbraccio il figlio.

La signora Weasley era davvero sconvolta. Doveva aver saputo quello che era successo. Ma come?

«Mamma, sto bene, almeno che non mi spezzi qualche osso tu!»

«Oh, scusa caro ... ma insomma si può sapere cosa ti è successo ... la tua lancetta sull’orologio della cucina era su ... su Pericolo Mortale»

«Ora sto bene non preoccuparti» ripetè Ron per rassicurarla.

«Poi tuo padre mi ha mandato un gufo dicendomi che tornava a casa per pranzo perché doveva parlare con voi. Non sapevo cosa pensare!»

Solo allora Harry si accorse di Ginny. Era sulla porta della cucina e osservava attentamente la scena. Anche lei aveva uno sguardo preoccupato.

Le fece un cenno indicando le scale, come ad inviarla ad andare sopra.

«Nulla di grave mamma, ne parliamo dopo…» disse Ron mentre con Harry già saliva le .

Molly a malincuore, contenta di vederli sani e salvi, li lasciò andare in camera.

In camera, Ron si sedette sul letto con le mani strette sul bordo del materasso. Harry, invece, prese a cammina-re avanti e indietro sollevando piccole nuvole di polvere al suo passaggio e schivando Snitch e Arnold che stavano rotolando sul pavimento. Ginny li guardava perplessa.

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«Ragazzi, allora mi volete dire cos’è successo?» senza guardare Ron, si rivolse a Harry. «Avete fatto strani in-contri a Diagon Alley?»

«Dai, diglielo» sbottò Ron.«Dirmi cosa?»«Che qualcuno vuole rubare la bacchetta di sambuco!»

rispose tutto d’un fiato.L’espressione di Ginny era a dir poco terrorizzata, non

se lo era aspettato.«Cosa? ... Ma di cosa state parlando? Si può sapere

cosa è successo?»«Ecco...» iniziò Ron guardando l’amico. Harry annuì

con la testa come a dare il permesso a Ron di continuare. «... sono stato rapito!»

Non aveva senso non dire niente a Ginny, quello che era successo era troppo grave, era meglio che tutti fosse-ro preparati.

Le raccontarono approssimativamente quello che era accaduto quella mattina.

«Ma non è tutto...» continuò Harry. «Prima di partire da casa, mi è successa una cosa strana…»

«E vero!» disse Ron. «Me n’ero quasi dimenticato. Ca-volo proprio una cosa strana!»

«Si, è vero. Non è andata proprio come nel sogno ma ci sono troppi particolari in comune…» convenne Harry tentando di riordinare i pensieri.

«Ora basta!» Ginny si era parata davanti ad Harry con le mani sui fianchi, come faceva sua madre quando li

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sgridava. «Si può sapere cosa sta succedendo, una volta per tutte? Parlate come se io non fossi qui... spiegatevi meglio!»

Ginny, la gattina, sapeva tirare fuori gli artigli, quando voleva, come sua madre durante il combattimento con Bellatrix.

«Ecco… stamattina, quando ero ancora in camera, ho avuto come un sogno ad occhi aperti. Ho visto una car-rozza trainata da due tori. E dentro c’era qualcuno che voleva la bacchetta. Insomma faccio una visione in cui c’è una carrozza trainata da tori e poi subito dopo una carrozza con due maghi dentro rapisce Ron! E poi nel-la mia visione avevano cercato di rubarmi la bacchetta di sambuco e all’improvviso succede che chiedono della bacchetta di Sambuco!»

Ci furono attimi di silenzio. Harry e Ron si zittiro-no scervellandosi su quello che poteva essere stata la visione.

«Potrebbe essere una premonizione» intervenne Ginny in tono vago.

«No, non era una visione come quelle della Cooman e poi non ho previsto il futuro precisamente ma metafori-camente nel senso che non è accaduto come nella mia vi-sione. è Ron che è stato attaccato, non io» disse Harry.

«E non è stato nemmeno come nelle visioni che avevo in passato. Era diverso, molto più realistico di un sogno fatto di notte, ma non quanto le visioni di Voldemort è qui

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non ero Voldemort, ma me stesso …» continuò Harry con una nota di monotonia nella voce stanco di ripeterlo.

«Comunque siamo sicuri che lui non è tornato. Ab-biamo distrutto tutti gli Horcrux!» disse Ron sicuro, ma nella voce aveva subito un lieve calo di tono alla parola Horcrux.

«Cosa facciamo adesso?» disse Ginny.Ci fu ancora un attimo di silenzio.«Se ci fosse qui Hermione avrebbe sicuramente qual-

che proposta» disse Harry guardando Ron di sottecchi per vederne la reazione.

«Sappiamo già cosa direbbe no? “Harry! La situazio-ne è grave, dobbiamo avvertire subito il ministero, loro sapranno cosa fare” e poi avrebbe aggiunto “Vedi che avevo ragione quando ti dicevo che dovevi nascondere subito la bacchetta» fece Ron in una pessima imitazione di Hermione.

«E come al solito avrebbe avuto ragione. La bacchetta di sambuco! La devi nascondere subito. Se quelli sono riusciti a leggermi la mente, sapranno dove venire a prenderla!»

Ginny si portò le mani alla bocca come a soffocare un grido. Harry l’attirò a se. L’abbracciò lisciandole i capelli.

«Non avere paura. Non ti succederà niente di brutto» le disse con voce calda per rassicurarla.

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«Non è per me che ho paura» gli rispose Ginny con le parole soffocate dal maglione di Harry «Ma per noi tutti.»

«Sono preoccupato anche io... sono convinto che la cosa migliore sia di andare a parlare subito con Kingsley».

«Ah già... la lettera! Dille anche di quella!» li interrup-pe Ron agitato.

Ginny lo guardò con aria interrogativa.«Kingsley mi ha mandato una lettera che diceva che

mi dovrò recare al ministero nel suo ufficio il 12 agosto. C’era scritto anche che non dovevo rivelarlo a nessuno» Harry continuò a camminare e per un poco l’unico rumo-re fu quello dei suoi passi sull’impiantito di legno della camera. Poi Ron ruppe il silenzio.

«Di che cosa pensi ti voglia parlare Kingsley? Secondo me vorrà lodarti con qualche premio per il grande gesto eroico che hai fatto. Ne sono sicuro!» aggiunse con tono da tronfio da cerimonia ufficiale. «Un Ordine di Merlino, Prima Classe, per i Servigi resi al Mondo Magico dal Si-gnor Harry Potter»

Un sorriso arricciò le labbra di Harry.«Non ne sono così sicuro, se fosse stato solo un premio

non credo che ci sarebbe stata tutta questa segretezza...» disse ringraziando in in cuor suo l’amico per il tentativo di sdrammatizzare la situazione. «… è senz’altro qualco-sa di pericoloso» disse Harry diventando cupo. Ginny gli si avvicinò, prendendogli delicatamente la mano.

«Ma cosa? Qualcosa su Voldemort!» disse Ron.

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Harry lo guardo fisso.«Che ... che c’è?» continuò guardando la strana faccia

di Harry.«Hai appena pronunciato il suo nome!» rispose

sorpreso.«Oh, si. Beh, da quando lo hai sconfitto sto cercando di

essere più coraggioso al riguardo...»Harry capì subito il senso dell’affermazione di Ron, o,

meglio, su chi avesse intenzione di fare colpo, ma non disse niente a proposito.

«Devo trovare il modo di incontrare Kingsley al più presto»

I tre stettero qualche minuto zitti cercando di rielabora-re tutto quello che si erano detti.

Il silenzio fu interrotto dalla voce della signora Weasley.

«RAGAZZI VENITE, è ARRIVATO PAPÀ»Quando scesero il signor Weasley in piedi in cucina

con l’espressione evidentemente tesa.«Tutto bene ragazzi?» chiese con tono apprensivo.Harry e Ron annuirono.«Meno male che state bene» disse visibilmente solle-

vato. «Hagrid ci ha avvisato di quello che vi è successo. Il ministro Kingsley vuole anticipare ad oggi il vostro incontro.»

Harry non disse niente. In tutti i loro discorsi non ave-vano pensato ad Hagrid. Era normale che l’amico avesse fatto qualcosa.

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«Ora mangiamo con calma e poi ti porto al ministero con me»

Ron dovette ripetere nuovamente la storia per i suoi genitori. Ad Harry parve che l’amico stesse leggermente romanzando il tutto ma lo lasciò fare.

Erano altre cose ad impensierirlo, il ministro voleva in-contrarlo subito. Ciò significava che era veramente qual-cosa di molto serio quello di cui dovevano parlare.

Terminato il racconto di Ron il signor Weasley cercò di cambiare discorso, per alleggerire per quanto possibile l’atmosfera.

«C’è grande fermento al Ministero in questi giorni, da quando Kingsley è diventato Ministro della Magia ha ri-voluzionato tutti gli uffici. Sai, molti mangiamorte ave-vano preso posto in uffici strategici e adesso quei posti sono vacanti. Il ministro deve stare molto attento a chi assegnarli. Devono meritare la sua fiducia. Sarebbe un disastro se qualche seguace di Tu-sai-chi rimanesse al Ministero»

«Si signor Weasley, sarebbe un disastro» convenne Harry meccanicamente, mentre nella sua testa ripassava ciò che avrebbe detto a Kingsley.

«E poi con questi americani tra i piedi a farci compila-re montagne di moduli per ogni sciocchezza il lavoro si accumula e a fine giornata c’è sempre qualche imprevi-sto. Abbiamo bisogno di persone fidate che ci diano una mano. Lo dico sempre a Kingsley, ma lui sembra avere molta fiducia in questi americani…»

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Lo sguardo del signor Weasley cadde sull’orologio della cucina «Accidenti! è tardi! Bisogna che andiamo» il signor Weasley si alzò e salutò la moglie con un bacio sulla guancia.

Harry lo seguì fuori dalla casa, lungo il vialetto fino fuori alla staccionata.

«Ti guido io»Il signor Weasley lo prese per il braccio. Sparirono in

un sonoro Crac.Dopo pochi secondi si ritrovò in un vicolo buio della

Londra Babbana, dove l’unico oggetto interessante era una grande cabina telefonica di colore rosso che risaltava nella semioscurità.

«Signor Weasley, sa di cosa mi deve parlare Kingsley?» chiese Harry.

«Non lo so ragazzo... data l’urgenza credo che abbia a che fare con le persone che hanno aggredito Ron. Ma non deve essere solo questo, altrimenti avrebbe convo-cato anche Ron. Non lo so, proprio non lo so» concluse indicandogli la cabina telefonica rossa nel vicolo.

«Tu entrerai dall’entrata per i visitatori è già tutto pre-disposto. Io devo passare per quella dei dipendenti... que-stioni burocratiche» disse sottolineando amaramente le ultime parole».

Harry salutò il signor Weasley e si avvicinò alla cabina. L’ultima volta che aveva visitato il Ministero, era entrato tramite un passaggio in un bagno che non ricordava bene dove fosse.

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Avvicinatosi alla cabina, però, si accorse che era oc-cupata; un uomo alto e bruno, con spalle molto larghe e vestito con giacca e cravatta, stava avendo un’animata conversazione con qualcuno all’altro capo del filo. Harry rimase molto sorpreso di trovare un Babbano lì, ma giun-se in fretta alla conclusione che quella per i Babbani non era altro che una cabina telefonica.

Dopo poco l’uomo posò la cornetta e uscì di fretta dalla cabina, quasi senza accorgersi di Harry, che riuscì però a notare alcune brutte cicatrici che gli sfregiavano il viso.

Un po’ incerto dopo aver visto il volto del Babbano, Harry entrò e digitò il codice per avere accesso al Mini-stero della Magia (sei, due, quattro, quattro e due); Harry si aspettava che la solita voce meccanica gli chiedesse chi era, invece, udì una voce maschile un po’ acuta.

«Benvenuto al Ministro della Magia, signor Potter!».

Harry rimase sorpreso da quella novità. Fece appena in tempo a chiedersi a chi appartenesse la nuova voce di benvenuto, quando si ritrovò letteralmente catapultato al centro dell’Atrium.

Appena si rese conto del velocissimo spostamento, vide di fronte a lui una sagoma alta e robusta con folti capelli biondi che gli coprivano le spalle.

«Benvenuto, signor Potter. Mi chiamo Larry Brown, e sono qui per scortarla all’Ufficio del Ministro della Ma-gia» aveva uno strano accento che non aveva mai sentito, evidentemente doveva essere uno degli americani.

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«Buongiorno» rispose Harry timidamente.«Prego, mi segua».Seguì il corpulento mago che, a passo spedito, attra-

versò l’Atrium, molto più affollato di come Harry lo ricordava.

Tutto era tornato alla normalità; la statua dorata rap-presentante il mago, il centauro e il goblin si ergeva nuo-vamente al centro della stanza, mentre numerosissime aeroplanini di carta sfrecciavano ovunque. In fondo vi erano gli ascensori che portavano ai vari piani sotterranei del Ministero e che, come al solito, ospitavano una gran fila di persone. Harry si diresse verso di loro, ma il signor Brown lo riprese immediatamente.

«No, signor Potter, noi utilizzeremo un ascensore priva-to» Harry non rispose limitandosi a seguire la sua guida.

Larry Brown condusse Harry oltre un arco alla destra dell’Atrium che lui non aveva mai notato; dopo di esso si apriva un’altra stanza molto grande. Al centro si staglia-va un’enorme statua di ottone, raffigurante un uomo non molto alto e con il viso spigoloso che stringeva la mano ad un sorridente Kingsley

Harry notò che, sotto la statua, vi era incisa una scritta a caratteri dorati: L’alleanza MA-MI (Maghi Americani-Maghi Inglesi), sancita da John Waynegan, Presidente dei Maghi d’America, e da Kingsley Shacklebolt, Mini-stro della Magia Inglese.

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Senza spendere alcuna parola sull’imponente costru-zione, Larry Brown condusse Harry ad un ascensore al centro della parete opposta all’ingresso.

Al loro arrivo, le porte dell’ascensore si aprirono e i due salirono senza fiatare; quindi la macchina iniziò a muoversi piuttosto lentamente, almeno così sembrava ad Harry. Non riusciva a capire se salisse o scendesse.

«Ho sentito molto parlare di lei, signor Potter» disse ad un tratto Larry Brown, osservando con desiderio la cicatrice sulla fronte di Harry ma parlando sempre con un tono decoroso. «E sarei molto curioso di conoscere più approfonditamente la sua storia».

«Sono sicuro che la mia storia sia già stata raccontata moltissime volte in tutte le salse dalla Gazzetta del Pro-feta…dubito che la mia versione sia più interessante» ri-spose con tono sarcastico.

«Su questo ha ragione» disse il signor Brown rivolgen-dogli un sorriso compiaciuto.

All’improvviso la porta dell’ascensore si aprì senza che Harry si fosse accorto che la macchina si era fermata.

«Siamo arrivati, signor Potter» disse con voce calma e melliflua.

Usciti dall’ascensore si trovarono dentro una stanza quadrata molto larga. Nella parete di fronte erano col-locati due maestosi specchi contornati da una bellissima cornice dorata che ad Harry ricordarono lo specchio delle brame.

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Al centro, immobile tra i due specchi, c’era l’uomo in giacca e cravatta pieno di cicatrici che aveva visto nella cabina poco prima e che lo stava osservando attentamen-te. Stava fermo in piedi a gambe leggermente divaricate, con le braccia stese davanti a se, mani nelle mani, dalle quali spuntava una bacchetta. La bacchetta più piccola che Harry avesse mai visto. Incerto su cosa dovesse fare, rivolse uno sguardo al signor Brown.

«Prego, signor Potter, lo specchio a sinistra».A un passo dallo specchio, la guardia puntò la sua bac-

chetta verso la superficie lucida e riflettente, per rimetter-si subito dopo nella posizione di partenza. Pochi istanti dopo lo specchio scomparve per rivelare l’interno di una stanza rotonda, finemente arredata, con un alto soffitto e molti quadri alle pareti.

In fondo, un’enorme scrivania in legno pregiato tutta intarsiata era posta sopra un grande tappeto. Dietro di essa una poltrona e davanti due comode sedie in pelle rossa, probabilmente di drago. Al centro, fermi uno di fronte al-l’altro, si trovavano Kingsley e un uomo non troppo alto, dalla corporatura tozza, le spalle basse. Quando si voltò, vide che aveva un viso squadrato, la mascella volitiva, una pesante montatura sugli occhiali da vista. I capelli erano corti e ricci, di colore grigio.

La calda voce di Kingsley lo riportò al motivo per cui era lì.

«Ah eccoti, Harry. Finalmente, ti stavo aspettando» disse il ministro.

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«Buongiorno signor Ministro» ribatté Harry. «Niente formalismi con me, Harry. Per te sono solo

Kingsley» gli disse sorridendo «Vieni, ti presento il si-gnor Logan Derringer, Segretario del Presidente dei Ma-ghi d’America»

«Sono molto lieto di fare la sua conoscenza, signor Potter. La sua fama è arrivata fino a noi» disse con voce bassa Derringer. Ma ora vi lascio alle vostre discussioni. Ho parecchio lavoro da sbrigare… e anche voi» aggiunse congedandosi con un sorriso affabile.

Kingsley girò attorno alla sua scrivania.«Accomodati pure Harry»Harry avanzò verso la poltrona e si sedette. Dietro le spalle di Kingsley un quadro attirò la sua at-

tenzione. Lo ritenne subito molto strano e inadatto all’ar-redamento della stanza, era posto in penombra e Harry era sicuro di aver visto una chioma argentea sparire al-l’improvviso dal ritratto.

Sopra la scrivania Harry notò che vi erano piume stra-nissime, boccette d’inchiostro multicolori e una pila di buste, tutte con il sigillo dorato della lettera che aveva portato Hagrid a Diagon Alley.

Rivolse un sorriso ad un Kingsley piuttosto pallido e con numerose cicatrici intorno alla bocca e agli occhi, che evidentemente erano gli ultimi segni della guerra contro Voldemort.

«Ingegnoso, vero, lo Specchio Blocca-indesidera-ti?» disse Kingsley per cercare di rompere il ghiaccio.

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«Un’invenzione americana. E’ uno specchio normale che si trasforma in un passaggio segreto».

Harry annuì senza entusiasmo. «Avrai notato tutte le novità che ci sono state qui al

ministero dopo la tua ultima spiacevole visita»Harry si riprese dai suoi pensieri.«Oh certo... ho visto che ci sono molti americani qui»

disse cercando di sottolineare la sua contrarietà. Ora ca-piva le perplessità di Percy e del Signor Weasley circa le intromissioni degli americani al Ministero.

«Si, sono venuti a darci una mano per ricostruire tut-ta la macchina burocratica del ministero, loro sono de-gli specialisti, soprattutto dopo che Voldemort ne aveva preso possesso. Hai conosciuto ora il Segretario del loro Presidente: Logan Derringer. Ha lo studio accanto al mio. Lui è sempre in contatto con Waynegan, così riesco sem-pre a scambiare velocemente informazioni, è un uomo molto efficiente e anche un piacevole conversatore...»

«Mi è sembrata una persona simpatica» convenne Harry.

«Si hai ragione, ha un sorriso accattivante al quale non si può dire di no. La sua è una storia molto triste e allo stesso tempo esaltante. Devi sapere che la sua famiglia fuggì dall’Europa al tempo del primo impero di Lord Voldemort. Lui si era diplomato a pieni voti alla scuola di Durmstrang, ma dovette seguire la famiglia in Ameri-ca. Lì si è dato molto da fare fino a diventare l’uomo di fiducia del Presidente»

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Poi si fece serio. Prese un lungo respiro e si sistemò sulla poltrona.

«Hagrid mi ha raccontato quello che è successo. Ti devo le mie scuse ...»

«Come?» lo interruppe Harry.«... vedi, avrei dovuto metterti in guardia prima. Non

avevo informazioni che il pericolo potesse essere così imminente, lo avevo sottovalutato»

«Di cosa stai parlando?» chiese Harry impaziente. Pen-deva dalle sue labbra. Tutte le peggiori ipotesi che aveva-no formulato sul rapimento stavano diventando concrete. E finalmente avrebbe scoperto il perché di quella lettera e avrebbe messo fine a tutte le congetture sul motivo dette e ripetute con Ron.

«Il nostro governo e quello americano, sono molto preoccupati per alcuni fatti che stanno accadendo a livel-lo internazionale

«Dopo la morte di Voldemort e dei suoi mangiamor-te, quelli rimasti, che non sono finiti ad Azkaban, sono scomparsi. Ci sono forti possibilità che siano fuggiti in America. Il servizio di Auror americano ha ultimamente riconosciuto alcuni pericolosi elementi aggirarsi nei pres-si della scuola di Widgester. Temiamo che possano esser-si infiltrati nella scuola o che abbiano tentato di assoldare qualcuno. Purtroppo non sono riusciti ad acciuffarli.

«Derringer, che ha studiato a Durmstrang e ha ancora contatti nella scuola, dice che lì sta succedendo la stessa cosa. Pare che siano stati trafugati alcuni oggetti magi-

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ci proprio da quell’istituto. Inoltre, ha avuto notizie dal suo paese che la fortezza di Nurmengard dove si trovava la prigione di Gellert Grindelwald è stata violata. Han-no trovato tracce di Magia Oscura dentro le mura della prigione»

«Lo so. Ho visto Voldemort uccidere Grindelwald nel-la sua cella» si intromise Harry.

«No, questo è successo dopo che le difese erano state rinforzate. Anche ad Hogwards non è tutto tranquillo. Le nostre squadre di Auror che pattugliano i confini di Hogwards hanno notato delle falle nelle barriere degli in-cantesimi messi per proteggere la scuola. Questo è suc-cesso diverse volte. Sono piccolissime tracce. Anche ad un mago esperto sarebbero passate inosservate, ma non ai nostri Auror che sono i migliori in tutto il mondo».

Kingsley fece una pausa per lasciare che Harry assimi-lasse tutte le informazioni che gli aveva dato.

«E poi?» chiese Harry.«E poi niente. Non hanno fatto nessun altra mossa. Per

questo non era ancora intervenuto. Ho aumentato i con-trolli, i nostri Auror sono sempre in stretto contatto con i colleghi americani ma non abbiamo avuto nessun segnale concreto. Almeno fino...»

«Almeno fino a stamattina» concluse Harry.«Esatto. Fino a stamattina. Non pensavamo che fos-

sero talmente in forze da poter organizzare un attacco in pieno giorno a Diagon Alley».

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Ecco spiegato l’attacco a Ron, ma perché non hanno attaccato me direttamente? Pensò Harry preoccupato.

«Senti Harry, so di risvegliare in te brutti ricordi, ma quando ti trovavi nella foresta di Hogwards poco pri-ma di uccidere Voldemort lo hai sentito accennare a qualche progetto particolare che stesse a cuore a lui e ai suoi mangiamorte?» domandò Kingsley fissandolo speranzosamente.

«No, non ricordo di aver sentito niente che non riguar-dasse me e lui. In quel momento il suo unico pensiero era quello di uccidermi e di avere finalmente campo libero per conquistare Hogwards e il mondo…» Harry abbassò lo sguardo, perso dietro ai ricordi.

«Non fa niente, non preoccuparti. Dovevo farti que-sta domanda per essere sicuro che non ci fosse sfuggito niente».

Kingsley alzò la bacchetta dalla scrivania. Una brocca si mosse da un tavolino messo in un angolo e, sgoccio-lando, volò verso la scrivania. Iniziò a versare dell’acqua in due bicchieri apparsi dal nulla dinanzi a loro. Harry aveva la gola secca ma nessuna voglia di bere.

«Riguardo a stamattina» continuò Kingsley «Secondo Hagrid erano interessati alla Bacchetta di Sambuco»

Harry annuì.«Devo chiederti una cosa molto importante» aspettò

un attimo prima di riprendere. «Hai ancora con te la Bac-chetta di Sambuco? Era uno dei motivi per cui ti avevo

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convocato, anche secondo Waynegan era molto impor-tante sapere che fine avesse fatto..»

Kingsley lo fissò con attenzione. Harry non si era aspet-tato quella domanda. Pensava che quello fosse solo un suo problema. In quel preciso istante decise che non avrebbe detto a Kingsley la verità sulla bacchetta, non ora che gli aveva riferito che era anche interesse di Waynegan sapere che fine avesse fatto. Tantomeno gli avrebbe parlato della visione che aveva avuto quella mattina.

«La bacchetta è al sicuro. Si trova in un posto in cui non potrà più essere trovata. è una cosa che avevo con-cordato con Silente, nasconderla e non rivelare a nessuno il luogo…» mentì Harry.

Kingsley continuò a fissarlo in silenzio per alcuni istanti.

«Ma hai detto che era solo uno dei motivi dell’incontro, quale è l’atro motivo?» continuò Harry prima che King-sley potesse insistere sulla natura del nascondiglio.

Kingsley riprese accigliato, era evidente che la risposta di Harry non avesse soddisfatto le sue aspettative.

«Quello che sto per dirti è della massima segretezza. Non dovrai farne parola con nessuno, nemmeno con i tuoi amici più cari… ma vedo che sei capacissimo di mante-nere un segreto».

Harry trasalì sperando che Kingsley non se ne fosse accorto.

«Non vogliamo che corrano rischi inutili. Anche tu del resto non dovrai esporti troppo. So di darti un nuovo peso

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in un momento nel quale pensavi di poterti finalmente riposare e prendere in mano la tua vita senza dipendere dalle scelte altrui. Come ti ho detto abbiamo delle serie preoccupazioni riguardo la sicurezza di Hogwarts. Dob-biamo assicurare il maggior controllo possibile all’ester-no dei confini della scuola ma anche all’interno. E qui entri in gioco tu».

Harry non capiva dove volesse andare a parare.«Dopo quello che è successo stamattina sono ancora

più convinto della necessità della mia proposta… ma ar-riviamo al punto, vorrei che tu accettassi il mio invito... l’invito del Ministero della Magia, a lavorare per noi, a lavorare per noi entrando nella squadra degli Auror».

Harry era sopraffatto dall’emozione. Diventare Auror! Come suo padre, aveva sempre sognato di poter lavorare come Auror al Ministero della Magia, ma dopo l’anno trascorso a vagabondare per l’Inghilterra alla ricerca de-gli horcrux ci aveva rinunciato. Poi la lettera della Mc-Granitt gli aveva ridato la speranza. Ora sembrava una certezza.

«Non hai ancora terminato gli studi, ma potremo for-malizzare il tuo incarico finita la scuola, dopo il diploma. Intanto lavorerai con la squadra di Auror che si occupa della sicurezza di Hogwards e con te all’interno del-la scuola avremo più possibilità di controllo. Inoltre, se qualcuno vuole impadronirsi della Bacchetta, è meglio che tu sia informato su tutto».

Fece una pausa e si alzò avvicinandosi ad Harry.

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«Non voglio che mi risponda subito, Harry. Pensaci tutto il tempo che vuoi. Hagrid mi avviserà se vorrai in-contrarmi… anche nel caso tu volessi confidarmi il luogo in cui hai nascosto la bacchetta, per essere sicuri della sua inaccessibilità… troveremo una soluzione per veder-ci senza destare sospetti »

Harry si alzò e si riempi i polmoni d’aria. Gli sembrava fosse passata un’eternità dall’ultimo respiro.

«Grazie» disse. «Sono stordito dall’onore… è una grossa responsabilità lavorare per il Ministero, non so se sarò all’altezza…»

«Beh, Harry Potter» ribatté Kingsley cingendogli le spalle con un braccio «Se non lo sei tu all’altezza, chi allora?» disse scoppiando in una fragorosa risata.

Harry si sforzò di sorridere a sua volta. In quel momen-to lo sconvolgeva più la proposta di Kingsley che non il pericolo dei nuovi maghi oscuri.

«Va bene Harry, per oggi abbiamo finito... un ultima cosa ...»

«Si?» rispose Harry titubante, temendo che volesse nuovamente domandargli della bacchetta.

«... fai attenzione, mi raccomando».Si diressero verso la specchio-porta. Harry notò che da

questo lato lo specchio lasciava vedere l’esterno come attraverso un vetro.

Vide il signor Brown davanti alla parete opposta, lì ad aspettarlo.

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Kingsley, accanto a lui, fissò un punto imprecisato da-vanti a sé. Poi, rivolgendogli un sorriso, lo invitò ad at-traversare il varco. Harry si stupì per come aveva tolto l’incantesimo.

Era davvero in gamba! Lo aveva fatto senza emettere alcun suono. Fino ad allora aveva visto farlo solo a Silen-te e a Piton. Ebbe dei dubbi sul fatto di poter mai diven-tare un Auror. Non era ancora riuscito a fare gli incante-simi non verbali. Attraversando il varco sentì di nuovo quella corrente fredda attraversargli il corpo, ma cessò nell’istante in cui si ritrovò davanti a un sorridente signor Brown.

Kingsley si voltò verso di lui e lo salutò velocemente. «Bene. Allora Harry pensaci su e fammi sapere al più

presto».«Lo farò, non dubitarne» rispose Harry.«Il signor Brown ti accompagnerà all’uscita» disse un

attimo prima di rientrare nella sua stanza.«Prego signor Potter, mi segua» disse Brown voltando-

si verso l’ascensore.Arrivati nell’Atrium. Brown gli diede le indicazioni

per uscire dal ministero.«Spero di rivederla spesso qui da noi» lo salutò Brown

tendendogli la mano. Harry era sorpreso. Sembrava che tutti sapessero del suo incarico tranne lui.

Si avviò verso la fontana. Da uno dei camini vide uscire tra la folla una donna che gli veniva incontro sorridendo.

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Harry si sorprese per il suo abbigliamento. Una babbana al ministero?

La donna era vestita con un tailleur blu con gonna corta e camicetta bianca che metteva in risalto la sua carnagio-ne. I capelli lunghi erano domati in un’acconciatura che li raccoglieva sulla nuca. Era uno schianto! Si accorse che teneva tra le braccia un fascio di pergamene. Lei gli rivolse la parola.

«Harry, anche tu da queste parti?»Fu colto di sorpresa.«Oh... Hermione!» esclamò stupefatto. Si chiese che

faccia da sciocco avesse.La trasformazione di Hermione da ragazza un po’ schi-

va a donna in carriera era stata così, così ben riuscita... Pensò a Ron e a quanto era stupido il suo comportamen-to. Al suo posto non l’avrebbe lasciata sola nemmeno un momento.

Durante l’anno precedente, passato a perlustrare tutta l’Inghilterra, aveva avuto modo di conoscerla a fondo, di vedere dentro il suo cuore. Aveva capito la sua sofferen-za per l’abbandono di Ron. Avrebbe voluto abbracciarla forte, ma non voleva essere frainteso. Se le cose fossero andate diversamente forse loro due... non voleva pensar-ci. Ne lei ne Ron avevano avuto il coraggio di dichiararsi il loro amore, fino a quando lei non si era lasciata andare a quel bacio liberatorio nella stanza delle necessità.

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Hermione, lui non ne aveva mai dubitato, era bella dentro. Ora col suo aspetto dimostrava a tutto il mondo quanto fosse bella anche fuori.

«Sai Harry, ho letto sulla Gazzetta del Profeta dell’isti-tuzione del CIOcCoCreMa e ho dato la mia disponibilità al ministero per collaborare tramite il CREPA per sensi-bilizzare quelle famiglie che ancora si rifiutano di libera-re i loro elfi domestici». I suoi occhi scintillavano mentre lo diceva.

«A proposito. Sai chi è il portavoce degli elfi? Il nostro caro Kreacher»

«Kreacher?» la interruppe Harry.«Si, dopo aver guidato gli elfi domestici delle cucine di

Hogwarts contro Voldemort, loro lo hanno eletto a capo della delegazione trattante per i diritti degli elfi. La pre-side McGranitt li ha liberati per il loro valoroso compor-tamento durante la battaglia. Molti di loro, i più anziani, non volevano saperne, ma Kreacher li ha convinti» si fer-mò per riprendere fiato.

In più la McGranitt mi ha nominata Caposcuola e non ho ancora scritto uno straccio di bozza per il discorso ai prefetti. E se sbaglio o dimentico qualcosa? ».

Hermione era un fiume di parole. Sembrava facesse di tutto per distrarre Harry dal ricordo del loro ultimo in-contro. Harry avrebbe voluto scusarsi. Ma di cosa? La permalosità di Hermione lo metteva sempre di cattivo umore.

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Si rese conto di quanto gli mancasse. Era felicissimo di averla incontrata, ora più che mai la sua razionalità gli sarebbe stata di aiuto.

«Hermione ascolta un momento... dall’ultima volta che ci siamo visti sono successe delle cose, devo parlarti...».

«Per la barba di Merlino!» Hermione lo interruppe. «Harry, sono in ritardassimo e sai quanto odio arrivare tardi. Abbraccia tutti da parte mia, mi raccomando!» poi si avviò velocemente verso i cancelli.

Harry rimase di stucco, non lo aveva lasciato parlare! Aveva tantissime cose da dirle, ma la distanza che si era creata tra di loro non glielo aveva permesso.

«Quando ci rivedremo?» gli urlò dietro quando ormai era già distante.

«Presto, spero» rispose Hermione prima di sparire tra la folla.

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Capitolo �

il Riflesso di uno speCCHio

Secondo le istruzioni del signor Brown, Harry avrebbe dovuto rientrare alla Tana usando uno dei caminetti del Ministero, ma decise di fare un giro, prima. Aveva biso-gno di schiarirsi le idee.

Camminò per la Londra Babbana. Quella passeggiata in solitudine gli servì per riordinare le idee: vedere una città normale, senza nessun segno di magia, gli fece bene. Erano successe tante, troppe cose n un solo giorno.

Riapparve nel caminetto della Tana che era ormai sera. La metropolvere era un comodo mezzo di trasporto, ma tre volte in un giorno poteva diventare sgradevole.

I Weasley erano già seduti a tavola per la cena, anche se non c’era alcun piatto sul tavolo. Lo stavano aspettan-do: forse aveva tardato un po’ troppo. Il pomeriggio era volato.

Tutti lo fissavano con aria impaziente, ansiosi di cono-scere le novità. Anche Ron sembrava nervoso, ma Harry ipotizzò che fosse più a causa della fame che per altro.

Salutò tutti e si sedette a tavola.«Dai, Harry, cosa ti ha detto Kingsley? Non tenerci

sulle spine!» lo accolse Ginny.

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Harry non ebbe il tempo di rispondere, perché la si-gnora Weasley iniziò a portare in tavola la cena. Valutò bene cosa dire; aveva deciso di non dire niente ai signori Weasley dell’incarico propostogli dal Ministro.

«Ecco...» esordì «Pare che ci sia qualche Mago Oscuro ancora in attività»

«Cofa?» domandò Ron, la bocca già piena di purè.«Ci sono informazioni dagli Auror di tutto il mondo,

anche in America (e qui fece un breve cenno d’intesa a Percy e al signor Weasley), a proposito di sparizioni di oggetti magici, e gli Auror pensano che siano opera di Maghi Oscuri».

«Cavolo, Harry! Allora quello che mi ha attaccato… nella carrozza… era un Mangiamorte!» disse Ron ficcan-dosi in bocca mezza bistecca.

«Tutto lo lascia pensare» concluse lui senza emozione.

La signora Weasley portò le mani al viso. Il signor Wea-sley sembrava tranquillo, probabilmente molte di quelle informazioni le conosceva già.

«Comunque» continuò Harry «quello di stamattina sembra essere stato l’avvenimento più grave. Al Ministe-ro non sono a conoscenza altri fatti del genere».

«Io, invece, ho qualcos’altro da comunicarvi» aggiunse il signor Weasley all’improvviso, sorridendo beatamente. Si vedeva che non stava più nella pelle.

«Molly cara, ci sono delle novità! Sono stato pro-mosso!» Le sue guance erano rosse come il colore dei capelli.

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La signora Weasley emise un gridolino di gioia, iniziò a correre sul posto con un mestolo in mano e si fiondò ad abbracciarlo, urlando: «Arthur, come sono contenta!»

Ginny e Ron si scambiarono un sorriso (Ron mostrando qualcosa in bocca che assomigliava molto a pappa reale), mentre Percy incurvò solo un po’ la bocca all’insù.

«Il Ministro mi ha dato un incarico molto importan-te» continuò lui appena si fu liberato dall’abbraccio della moglie «Mi ha messo a capo del C.I.MA., la Confedera-zione Internazionale dei MAghi. Dovrò occuparmi delle relazioni del nostro Ministero con quelli dei Paesi stranie-ri. Continuerò ancora ad occuparmi del Comitato Scuse ai Babbani, ma avrò relazioni anche con l’Ambasciatore Americano al Ministero»

«So che l’U.F.F.A.A. è al tuo stesso piano» intervenne Percy, con un tono troppo piatto per l’occasione.

«Si, ora sto al quinto piano ed ho un ufficio grandissi-mo con finestre enormi!». Mentre lo diceva gli brillava-no gli occhi. A Harry venne in mente il vecchio stanzino dove il signor Weasley lavorava con il collega Perkins e nel quale non c’era nemmeno una finestra.

«L’uffa… Cos’è l’uffa, papà?» chiese Ginny, che, come gli altri, non ne aveva mai sentito parlare.

«L’U.F.F.A.A. è l’UFFicio dell’Ambasciatore Ameri-cano» si intromise Percy, con voce solenne «Sono seria-mente preoccupato da tutti questi cambiamenti. Hai visto, papà, cosa è successo al secondo piano? Hanno messo l’M.B.I. negli Uffici Amministrativi del Tribunale del Wizengamot, di fianco al Quartiere Generale degli Auror.

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Non faccio altro che vedere, dalla mattina alla sera, ma-ghi vestiti in frac neri con cappelli a cilindro come quello del loro Presidente. Ridicoli!»

Harry assunse un’aria preoccupata, e chiese: «Come mai li hanno messi sullo stesso piano degli Auror? King-sley non ha paura che possano spiarli?»

«Non so proprio cos’abbia per la testa il Ministro. So solo che il Segretario del Presidente lo ha convinto a met-terli lì per averli più vicini alle loro stanze. Se ci fosse necessità arriverebbero più in fretta dal Ministro». Percy era sconsolato, ma allo stesso tempo orgoglioso di sapere così tante cose più degli altri.

Harry si convinse ancora di più di aver fatto bene a non rivelare a Kingsley di avere ancora la Bacchetta di Sambuco con sé, e del tentativo di rubargliela. Non vo-leva intromissioni di nessun genere, figuriamoci degli Americani.

«Adesso basta rimuginare!» intervenne il signor Wea-sley con allegria, appena tutti ebbero finito di mangiare, anche se Ron sembrava desideroso di un’altra bistecca «E’ ora di festeggiare! Molly, tira fuori quel vino che ci ha regalato il signor Lovegood per i ragazzi. Io e Percy, invece, berremo volentieri del whisky incendiario». Era euforico, ma Harry non sottovalutava i dubbi di Percy per la continua presenza di estranei al Ministero.

«Ma, Arthur, il vino non farà male ai ragazzi?»«Mamma, ormai siamo maggiorenni, e anche Ginny lo

sarà tra poco». Anche Ron aveva voglia di festeggiare.

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Si sedettero a tavola e bevvero con grande allegria. Era tanto tempo che non si rideva più in quella casa.

Non appena l’ultima fetta di torta alla melassa fu spari-ta nello stomaco di Ron, Harry fece intendere a Ginny di aspettarli nella loro camera.

Salite le scale, la trovò, seduta sul letto, con ancora quell’aria pensierosa che aveva mantenuto per tutta la serata.

«Allora, mi dici cosa ti ha detto Kingsley?» chiese ri-volta ad Harry appena fu entrato, lasciandolo di stucco.

«Ma ce lo ha già detto, Ginny; non ti ricordi?» disse Ron appena dietro di Harry e a voce stranamente alta, forse per effetto del dopocena.

«Ti conosco, lo so che non ci hai detto tutto. E poi il Ministro ti ha mandato la lettera prima di sapere di sta-mattina. Non ti avrebbe mai chiamato solo per qualche oggetto scomparso».

Harry era stranito per quanto Ginny riuscisse a leg-gerli nella mente. Decise che non erano necessari giri di parole.

«Mi ha chiesto di diventare Auror» disse con la voce più piatta possibile.

Le facce dei due erano a dir poco sbalordite.«Cavolo! Harry sarai il più giovane Auror della storia

magica!» esclamò Ron. Harry gli dette una pacca sulla testa facendogli segno

di abbassare la voce.Ginny era in silenzio. Sul suo volto si leggeva un qual-

che cosa che non andava.

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«Harry, cosa hai intenzione di fare?» chiese con fer-mezza mentre lui le si sedeva accanto sul letto.

Lui raccontò per filo e per segno tutto ciò che Kingsley gli aveva detto. Alla fine del racconto i due fratelli erano più basiti di quanto lo erano stati all’inizio.

«Questa storia non finirà mai» disse Ginny sconsolata.«Ce la caveremo anche questa volta, vero Harry?».

Ron si rivolse ad Harry cercando il suo aiuto per darsi coraggio.

«Non sono forse io il migliore?». Harry cercò di sdram-matizzare la situazione, ma il suo sorriso non risultò cre-dibile; poi accennò loro dell’incontro con Hermione, ma fece l’errore di dire quanto era in forma e felice nel fare il suo lavoro. Ron rimase deluso nel sapere che lui non era al centro delle sue attenzioni; l’effetto fu che per tutto il resto della serata fu più taciturno e scontroso che mai.

Quella notte, Harry non chiuse quasi occhio. Troppe

cose erano accadute nell’ultima giornata: l’incontro con il Ministro Kingsley e con Hermione; nonché la proposta di diventare Auror, il lavoro di una vita.

Aveva deciso; avrebbe accettato la proposta.Inoltre, il compleanno di Ginny era imminente. Era si-

curamente meno pericoloso rischiare di incontrare qual-che Mangiamorte in giro per il mondo che arrivare al-l’undici agosto senza nemmeno uno straccio di regalo!

Sul suo orologio erano segnate le tre meno un quarto quando lo vide per l’ultima volta, prima di addormentarsi.

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«Harry?» Erano le nove quando la voce di Ron lo chiamò dal

letto a fianco.«Harry, sei sveglio?»«Ora si, sono sveglio» rispose lui con voce scontrosa,

sbadigliando e alzandosi a sedere sul letto.«Che hai? Ti senti male? Hai una faccia orrenda…»

disse Ron preoccupato.«Sono solo stanco, ho dormito poco». Sbatté gli occhi

e sbadigliò. «Secondo te cosa posso regalare a Ginny?» aggiunse

poi, mentre si strusciava gli occhi con le nocche. Ron scoppiò a ridere: «E io che pensavo che non

avessi dormito per chi sa quale motivo! Ecco il grande cruccio di Harry Potter, “cosa regalo a Ginny per il suo compleanno”?».

Iniziò una risata canzonatoria, ma smise subito veden-do l’espressione basita di Harry.

«Oddio, fai paura Harry, sei pallido come un cencio! Hai certe occhiaie che sembra che ti abbiano colpito due Cannocchiali Tirapugni, una voce spaventosa e i capelli che fanno concorrenza ad Hagrid. A confronto Merlino è Mister Universo!» Stavolta risero entrambi.

«Oggi pomeriggio mi devi coprire, vado a Diagon Al-ley a vedere cosa posso prendere» disse Harry alzandosi e vestendosi. Anche Ron fece lo stesso.

«Non pensi sia pericoloso tornare a Diagon Alley da solo?»

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«Non penso che ci riproveranno, e poi questa volta mi troverebbero pronto!» Rispose sicuro alzando la bacchet-ta con aria di sfida.

«Va bene, ti coprirò. Ma mi devi un favore» Uscirono di camera e scesero le scale fino al pianerot-

tolo davanti alla stanza di Ginny. «Vai a pettinarti e a darti una sciacquata, se non vuoi

che lo faccia la mamma». Harry si diresse verso il bagno ed aprì la porta. Si lavò

la faccia e le mani e cercò con un pettine di lisciarsi un po’ i capelli. Dopo qualche minuto aveva i capelli un po’ meno gonfi, ma sempre molto crespi. Scosse la testa, get-tando il pettine nel mobile accanto alla doccia.

Uscito, trovò Ron e Ginny che lo stavano aspettando. «Ginny, cosa vorresti per regalo di compleanno?» chie-

se Ron con finta noncuranza appena vide Harry, che lo trafisse con un’occhiataccia.

«Potresti prendermi un po’ di roba nel negozio di Geor-ge» rispose tranquillamente lei.

«E da Harry?».«Niente in particolare, so che qualsiasi cosa sarà, mi

piacerà» rispose lei, lanciando un sorriso a Harry; ma lui non ricambiò il gesto, deprimendosi ancora di più.

Entrati in cucina, si sedette accanto a Ron e iniziò, in silenzio, a mangiare uova e pane tostato. Ginny e il signor Weasley erano seduti davanti a loro e la signora Weasley stava lavando le stoviglie.

Driiin!

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Il suono di un campanello provenne da un vecchio to-stapane babbano che il signor Weasley aveva stregato per funzionare senza energia elettrica.

«Arthur, il pane!» Il signor Weasley si girò verso l’apparecchio in tempo

per prendere al volo le fette abbrustolite del pane tostato e per distribuirle sui piatti.

«Come va Harry? Dormito bene?» chiese, poi, sorridendo.

«Sì, grazie» mentì lui.«Si vede» commentò Ginny a bassa voce per non farsi

sentire da suo padre e con tono sarcastico. Harry le lanciò uno sguardo alla “è-tutta-colpa-tua”, ma lei, per fortuna, non lo comprese.

«Su, Harry, mangia qualcos’altro! Ti devi nutrire!» disse la signora Weasley, facendogli atterrare davanti un piatto con uova e pancetta fumanti.

«Perché folo lui fi defe nutrire?» chiese, offeso, Ron con la bocca piena, in un esplicito tentativo di avere qual-cos’altro da mangiare.

«Mangia pure questo, non ho più fame» lo rimbeccò Harry passandogli il piatto pieno.

Dopo la colazione, Harry uscì in giardino. Doveva tro-vare il modo di recarsi a Diagon Alley senza farsi scoprire dalla signora Weasley. Non lo avrebbe mai lasciato anda-re, soprattutto dopo l’attentato del giorno prima. Rivolse indietro lo sguardo fino a notare con la coda dell’occhio

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una piccola Molly Weasley che lo osservava con espres-sione preoccupata dalla finestra della cucina.

Ron lo raggiunse mentre provava, senza successo, a far entrare la camicia dentro i pantaloni con una mano, men-tre con l’altra trasportava due grossi libri di scuola.

«E io sarei un pigrone! La mamma insiste perché ini-zi a studiare sul serio! Non la smette più di dirmi che quest’anno non posso abbandonare la scuola e che devo prendere il M.AG.O.!» sbraitò con voce troppo felice per quello che stava dicendo.

«Che vuoi farci… E’ il compito delle madri quello di stare addosso ai figli» cercò di consolarlo Harry, ma non dovette risultare troppo convinto «Ma non mi dirai che hai veramente voglia di ubbidirle? E poi te l’ho detto che voglio andare a Diagon Alley»

«Qui sta il bello. Pensavo che per coprirti con la mam-ma potremmo portare qui lo spaventapasseri dell’orto e trasfigurarlo in modo che da lontano somigli a te, così la mamma avrà l’impressione che noi siamo qui a studiare mentre tu sei a comprare il regalo».

«Ma allora ogni tanto te ne vengono di idee buone!» si congratulò Harry «Anche se te che studi per due ore non è molto credibile!»

Dopo le operazioni di camuffamento e disinfestazione dagli gnomi che affollavano il manichino, i due ragazzi si ritennero soddisfatti del loro lavoro.

«E’ ora che vada»Harry parlò con un lieve tremito nella voce.

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«Ok, non preoccuparti. Sarò perfetto nella parte dello studente!»

Harry rispose al sorriso di Ron con un’espressione va-gamente rassicurante. Poi, avanzò velocemente fino allo steccato che delimitava la proprietà della famiglia di Ron, si guardò bene intorno per accertarsi che nessuno lo ve-desse sparire e lasciò la Tana con un piccolo “crac”.

Un secondo prima di Smaterializzarsi gli venne in men-te che, se la mattina precedente Kingsley avesse voluto sottoporlo a un processo per Uso Improprio della Mate-rializzazione, qualche anno ad Azkaban non glielo avreb-be tolto nessuno.

Dopo pochi secondi si trovò sulla soglia del Paiolo Ma-

gico. Era rischioso, ma aveva preferito Smaterializzarsi proprio lì per non destare il minimo sospetto ai Babbani che andavano avanti e indietro la via; dopotutto aveva fatto pratica un anno prima, quando era rimasto rinchiuso un mese in Grimmauld Place.

Tirò una catenella appesa accanto alla porta, e subito una cameriera venne ad aprire. Appena lo vide, iniziò a sorridergli entusiasta, senza dire una parola. Harry cercò di ricambiare al sorriso, facendo finta di non accorgersi che tutti i clienti lo fissavano e parlottavano tra loro.

«Che avete da guardare? è una persona normale, non un fenomeno da baraccone!» ruggì Tom, il barista, alla gente, che subito tornò a fare ciò che l’aveva impegnata fino a quell’istante.

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Appena Tom gli fu vicino, Harry lo ringraziò e si se-dette al bancone.

Appena si fu seduto, la cameriera ritornò correndo e gli porse una foto (che lo ritraeva mentre puntava la bac-chetta di lato) e una piuma già intinta in un inchiostro di colore rosa shock, che a Harry ricordava tanto quello usato da Allock per firmare le sue foto.

«M-mi fai un autografo?» gli chiese, balbettando timidamente.

Harry chiuse gli occhi per qualche secondo, in cui la ragazza arretrò di qualche passo aspettandosi una sfuria-ta. Riaperte le palpebre, la guardò stancamente e prese foto e piuma.

«Cosa vuoi che scriva?»«Scrivici “A Emily, la tua più grande ammiratrice. Un

giorno sconfiggerai anche tu un Mago Oscuro” e poi la firma» sussurrò timidamente la cameriera ricevendo uno sguardo di rimprovero da Tom, dopo il quale arrossì vio-lentemente. Harry firmò in fretta e le porse la foto.

«Grazie!» squittì Emily con gli occhi pieni di lacrime di gioia.

Doveva avere quindici o sedici anni; “forse è una Ma-ganò, visto che non l’ho mai vista a scuola”. pensò Harry, restituendole la piuma.

La ragazzina corse via di nuovo, probabilmente a met-tere la foto al sicuro nel suo armadietto.

«Cosa ti porta qui?» chiese Tom non appena lei fu sparita nel retrobottega, mentre gli porgeva un boccale di Burrobirra.

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«Devo comprare un regalo per Ginny» rispose Harry bevendo un sorso.

«Ginny... Ginny Weasley»?«Sì, lei. Stiamo insieme da quasi due anni. Sta per com-

piere diciassette anni e io non so cosa regalarle» disse Harry, bevendo ancora un pò.

«Oh, brava ragazza, simpatica e carina. Qualche volta mi ha aiutato a pulire… Trattala bene mi raccomando» commentò Tom sorridendo.

«Certo! Grazie per la Burrobirra, Tom!» si congedò Harry, allontanando il boccale vuoto e lasciando cinque zellini sul bancone.

Salutò con un cenno della mano e uscì nel minusco-lo cortiletto fuori dal bar. Contò tre mattoni in verticale e due in orizzontale sopra il cassonetto e aspettò che il muro si aprisse del tutto sulla via di Diagon Alley.

Senza indugi si diresse verso Tiri Vispi Weasley. Geor-ge, che stava pulendo l’insegna del negozio, lo vide subi-to e gli andò incontro.

«Ciao Harry! Come mai sei qui… da solo?» gli chie-se scorgendo a destra e sinistra se vedeva qualche suo familiare.

«Devo comprare un regalo per Ginny. Hai qualche idea?» disse Harry, mentre entravano nel negozio.

«Beh, le piace il Quidditch» rispose George con il tono di chi ha appena raggiunto una conclusione molto sudata.

«Questo lo sapevo anche io».

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«Sembra un maschiaccio, una dura, ma le piacciono cosette tipo profumi, gioielli o vestiti eleganti, sai».

«Lo so per esperienza che non è affatto un maschiaccio tua sorella» disse Harry senza pensare e scoppiando a ri-dere rendendosi conto di cosa aveva detto.

Anche George rise.«Dovresti regalarle qualcosa sul Quidditch, o roba da

femmine. Puoi regalarle una scopa nuova, o una divisa di qualche squadra famosa, un abito da sera» propose, siste-mando una scatola campione di Scherzi Per Tutti.

«No.. non voglio finire a comprarle un vestito… E le attrezzature da Quidditch non vanno bene… Ci vorrebbe qualcosa di più personale sai… Una collana? Magari con il suo nome, o con le sue iniziali!». Anche Harry stava pensando.

«Sarebbe più carino con i vostri nomi o con le vostre iniziali, o con una frase!»

«Una cosa tipo la collana di Ron?» chiese, anche se conosceva già la risposta.

«Quella d’oro massiccio? Orribile. Ma agli Gnomi è piaciuta». Risero entrambi.

«Uffa, non lo so cosa puoi regalarle! La dovresti cono-scere bene: sei il suo ragazzo da quasi due anni! » sbottò George esasperato appena i due tornarono alla serietà di prima.

«E tu sei suo fratello da diciassette!» ribatté Harry ap-poggiando la testa al muro.

Stettero in silenzio per un po’, pensando.«Un animale!» esclamò Harry all’improvviso.

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«Ha già Arnold» disse George indicando una cesta pie-na di Puffole Pigmee di mille colori.

«Ma non ha animali da trasporto, un gufo le sarebbe utile»

«Può prendere Errol o Leo, o i gufi della scuola»«Errol può portare poco, Leo non sopporta il peso di una

busta vuota, e i gufi della scuola... sono della scuola!»«Potrebbe piacerle, ma una civetta è meglio, una civet-

ta grigia, o bianca sarebbe bella!»«Una civetta bianca... come Edvige...».«Oh, scusami, non volevo, mi dispiace Harry» disse

George, mettendogli una mano sulla spalla.«Non ti preoccupare, non fa niente. E’ solo un ricordo

ormai, un brutto ricordo». Respirò profondamente e si appoggiò di nuovo con la schiena al muro.

«Io devo tornare al lavoro. Fai un giro e guarda un po’ di negozi. Troverai di sicuro qualcosa» disse George con un sorriso.

«Ok, ho ancora due ore buone, ci vediamo alla Tana!» disse Harry rispondendo al sorriso e avviandosi verso il centro di Diagon Alley.

«Ci si vede l’undici! Vengo anche io a cena. Non posso perdermi la mia sorellina che diventa maggiorenne!»lo salutò George.

Andò velocemente all’Emporio del Gufo e osservò tut-ti gli animali esposti.

Ce n’erano di tutti i tipi: barbagianni, gufi, civette, allocchi di mille colori e grandezze. Non sapeva quale scegliere.

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«Ehi, stai più attento!» Un mago molto anziano era quasi caduto a terra. Harry

aveva camminato con la testa per aria mentre guardava gli animali, col risultato che era finito addosso all’uomo senza accorgersene.

«Aberforth!» Harry era sorpreso di vedere il fratello di Silente a Dia-

gon Alley. Non l’aveva più visto dall’ultima battaglia, ma ora era vistosamente più sereno.

«Potter, non ti avevo riconosciuto! Bel modo che hai di salutare. Ora salti addosso alla gente?»

Harry si scusò subito; il fratello di Silente continuava a intimorirlo.

Aberforth lo squadrò e, col solito tono burbero, dis-se: «Non preoccuparti, ragazzo, le mie ossa sono ancora intatte»

«Come vanno le cose?» domandò Harry, curioso di sa-pere se anche a Hogsmeade si fosse sentita l’influenza americana.

«Non c’è male. Tu Potter come stai?»«Abbastanza bene… Purtroppo il ricordo della batta-

glia è ancora fresco» ammise Harry.«Senso di colpa, eh? Non è stata colpa tua, Potter. E’

inutile continuare a rimuginare.Chissà come faceva a capirti mio fratello» disse Aber-

forth scuotendo la testa.Harry non trattene un sorrisetto. A volte lui stesso non

riusciva a capirsi.

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«Nemmeno io so come faceva, ma so che lo ha fatto molto bene».

«Beh, Potter, in tutta sincerità io mio fratello pensavo di averlo inquadrato bene, ma, invece, non avevo capito niente» borbottò Aberforth, e poi proseguì in tono deciso «Comunque per i morti non possiamo fare più niente. E’ sui vivi che dobbiamo concentrarci. Spero che verrai a trovarmi quando sarai di nuovo a scuola; anche Ariana sarà felice di rivederti».

Aberforth si avvicinò al bancone dell’Emporio per pa-gare. Harry lo seguì con lo sguardo, senza in realtà ve-derlo. Pensava all’ultima volta che era andato alla Testa di Porco. Rivide il camino, il quadro di Ariana, i mobili e la tappezzeria di poco conto della stanza, la mensola del camino. Era coperta da foto polverose della sua famiglia, da due piantine tutte secche e da uno specchietto; lo spec-chietto di Sirius.

Gli sarebbe piaciuto averlo, ma non gli sarebbe servito a niente senza la copia.

E poi non aveva nessuno con cui usarlo, nessuno da vedere, chiamare, nessuno che gli mancasse.

Inspiegabilmente pensò a Ginny e allo specchietto. Li sovrappose mentalmente. E poi al volto di Ginny si so-vrappose il suo.

«Aspetta, Aberforth!» gridò, andando incontro all’uo-mo che usciva dal negozio «Lo specchietto di Sirius, quello per parlare a distanza, lo hai ancora?».

«Sì, perché?». Aberforth era sconcertato dalla domanda.

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«Devo fare il regalo alla mia ragazza… Ginny Wea-sley, non so se la conosci…»

« Certo che la conosco» sbottò lui «L’unica figlia di Arthur Weasley. Anche lei ha partecipato al caos nel mio pub qualche mese fa». Nella sua voce si sentiva una nota di amarezza, che venne subito soffocata da un nuovo tono, che Harry non gli aveva mai sentito pronunciare: «Ho ca-pito, buona scelta ragazzo! Sai Smaterializzarti vero?».

«Certo» rispose Harry sorridendo a sua volta, notan-do con piacere che come il fratello, anche lui lo capiva bene.

Si Materializzarono davanti al pub della Testa di Por-co, a Hogsmeade.

Harry scacciò i ricordi della notte di qualche mese pri-ma, che irrompevano nella sua mente mentre entravano e salivano nella stanza di Aberforth, al piano superiore del locale.

Harry fu sorpreso di vedere tutti i cambiamenti che era-no stati apportati durante l’estate; non sembrava la stes-sa stanza. La carta da parati beige e la moquette bianca, entrambe nuove, erano pulite e davano un aria luminosa alla stanzetta. I mobili erano stati riparati e profumava-no di cera d’api. Sul camino e sulle foto non si vedeva un granello di polvere. Il quadro di Ariana era molto più colorato e la ragazza sorrideva salutandolo con al mano. Harry rispose al saluto e si avvicinò.

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Poi lo vide; lo specchietto era accanto alle piantine, ora fresche e rigogliose, proprio dove l’aveva visto l’ultima volta. Lo prese in mano e vi si specchiò.

Sedendosi su una poltrona, chiese: «Secondo te è una buona idea? Io pensavo che ci sarà utile l’anno prossimo quando lei sarà a scuola, mentre io no, ma può servire anche in altri momenti, giusto?»

Aberforth sorrise e rispose: «Non ti preoccupare, le piacerà, stanne certo»

Harry sorrise e guardò l’orologio.Era tardi, la copertura di Ron non avrebbe ancor a ret-

to a lungo. Già per lui studiare due ore consecutive era troppo, se poi lo lasciava lì ancora di più, rischiavano davvero di essere scoperti.

«Adesso devo andare, altrimenti mando tutto il piano all’aria, e non voglio che Ginny scopra cosa le voglio regalare!»

«Le rovineresti la sorpresa» commentò Aberforth con tono ovvio, accompagnandolo alla porta della stanza. Ma quando stava per aprirla Ariana lo chiamò e gli fece se-gno con l’indice della mano destra di avvicinarsi. Aber-forth andò da lei, che gli sussurrò qualcosa all’orecchio e rise.

«Ariana dice che sarebbe più bello se lo abbellissi un po’, visto che è per una ragazza, magari con una cornice o dei fiori»

«Ok! Grazie di tutto, alla prossima!». Harry salutò, sorridendo e pensando a come abbellirlo.

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Quando fu fuori dal pub, Disilluse il regalo e si Smate-rializzò da dietro al cassonetto dove erano apparsi pochi minuti prima.

Pochi istanti dopo era comparso nello stesso punto da cui aveva lasciato la Tana.

Entrò di fretta nel giardino e vide Ron che lo guar-dava torvo seduto all’ombra di un albero di Mecamilla Cotonosa.

Appena lo vide, si alzò e lo raggiunse, con un espres-sione esageratamente furiosa.

Appena gli fu accanto lo prese per le spalle e sussurrò infuriato: «Cavolo, Harry, arrivi solo ora! Ginny e mam-ma non la smettevano più di fare domande!»

«Scusami! Ma… hanno scoperto dello spaventapasse-ri?!». Harry non se l’aspettava proprio.

«No… Cioè mamma non ha sospettato niente, ma Gin-ny l’ha notato dopo solo mezz’ora! Allora ho deciso di tolgerlo di mezzo e di inventarmi una storia, per accon-tentare sia lei sia la mamma…»

«Hai fatto bene. Cosa ti sei inventato per coprirmi?»«Ho detto che eri andato a trovare un tuo vecchio ami-

co giù in paese, si chiama Matthew Lichit, è un Babba-no e ha la nostra età. Pensa velocemente a cosa potreste aver fatto, come e dove l’hai conosciuto» spiegò Ron in fretta.

Harry lasciò il regalo Disilluso sotto l’albero e poi en-trò in casa, trovando la signora Weasley che controllava le stoviglie mentre si stavano lavando e ascoltava la ra-

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dio. «Bentornato Harry! Ron mi ha detto che sei andato a trovare un vecchio amico, un certo Matthew, giusto?» disse Molly senza guardarli.

«Ehm… Sì, sono andato da lui» mentì Harry sedendosi sulla sedia più vicina.

«Dove lo hai conosciuto?» chiese Molly girandosi e ispezionandoli attentamente.

«Alla scuola dove andavo quando vivevo a Privet Dri-ve. Era l’unica persona con cui ho fatto amicizia laggiù»

«Cosa avete fatto?»«Abbiamo parlato un po’. Gli ho detto che ero dagli

zii in vacanza nel villaggio e avevo pensato di andarlo a trovare»

A quanto pareva la signora Weasley aveva creduto a tutte queste bugie, perché non aggiunse altro e continuò a sorvegliare le stoviglie, per poi ordinar loro di imbadire la tavola per il pranzo.

Dopo aver mangiato a sazietà, Harry e Ron salirono in silenzio fino in camera, dato che Ron era vistosamente ansioso di sapere cos’era successo a Diagon Alley.

Erano apena entrati dalla porta, quando un fracasso as-sordante rimbombò di piani di sotto. Subito dopo, udiro-no due strilli e dei passi pesanti che salivano le scale.

«Mi sa che è meglio se ti nascondi Harry!» commentò Ron, la voce evidentemente preoccupata.

La maniglia si abbassò, ottenendo l’effetto di far in-dietreggiare Harry di qualche passo. La porta si spalancò con un botto sordo, mostrando una Ginny infuriatissima,

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che guardava Harry con uno sguardo da far fuggire un leone.

In effetti, Ginny era rimasta insolitamente cupa per tut-to il pranzo. Losguardo sempre fisso nel suo piatto, non aveva quasi aperto bocca, ma ciò non aveva insospettito più di tanto Harry; almeno, non al punto da aspettarsi una scenata come quella che gli si preannunciava.

Harry indietreggiò ancora e Ron trattenne il respiro, forse perché sapeva benissimo cosa sarebbe accaduto ve-dendo la sorella rossa in viso in quel modo.

Neanche il tempo di chiarire bene cosa fosse successo, che Harry si ritrovò schiacciato sulle lenzuola del letto, con le mani bloccate da quelle di Ginny per impedirgli di utilizzare la Bacchetta.

«DOVE CAVOLO SEI STATO? NON CI CREDO CHE SEI ANDATO DAL TUO AMICHETTO! DIMMI DOVE SEI STATO O GIURO CHE TI STROZZO!»

«N-Non posso d-d-dirtelo» La voce di Harry era abba-stanza rotta dal poco respiro che gli causava la morsa di Ginny.

«NON ME LO PUOI DIRE? PERCHè NON PUOI? è UNA COSA SEGRETA? BRUTTO SCHIFOSO...» non riuscì a finire la frase, perché le sue labbra furono occupate.

Harry si era liberato con un abile scatto, aveva rove-sciato la situazione e la stava baciando.

Ginny gli diede una botta sulla spalla e cercò di allon-tanarlo invano, mentre si sentì il rumore di Ron che usci-va dalla stanza sbattendo la porta e lasciandoli soli.

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Non passarono neanche dieci secondi, che qualcuno bussò alla porta, ma i due non risposero. La porta era ap-pena socchiusa, quando Harry si accorse che stava entran-do qualcuno. Staccò un attimo Ginny e chiese chi era.

«Sono Molly».Ginny si alzò bruscamente e si affacciò alla finestra, e

Harry fece finta di cercare qualcosa sotto il letto. La signora Weasley entrò con un cesto di panni appena

stirati e lo posò sul letto di Ron, sorrise ad Harry ed uscì, non prima che un imbarazzato Ron si fosse ripresentato davanti alla porta.

Senza dare il tempo all’amico di aprire bocca, Harry cercò di riscattarsi dal rischio che aveva appena corso, di-cendo: «Vi va di andare a volare un pò? Siamo tutti fuori allenamento, ci farà bene!» ma il suo finto entusiasmo non contagiò nessuno.

Vedendo Ron ancora imbarazzato e con lo sguardo ri-volto verso il pavimento, si diresse verso la finestra, dove Ginny era ancora intenta a fissare un qualche punto al-l’orizzonte. Appena le fu vicino sentì il suo respiro affan-noso e ancora agitato per l’accaduto, ma, subito dopo, lei scattò verso la porta e uscì, con lo sgaurdo arrossato che osservava, triste, il pavimento.

«Fammi vedere cosa hai preso!» disse Ron, in un espli-cito tentativo di rompre la tensione creatasi.

Senza dire una parola, Harry si affacciò alla finestra, puntò la bacchetta verso la Mecamilla e disse: «Accio regalo!»

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Il regalo Disilluso salì verso di lui e entrò dalla finestra.

Dopo aver fatto svanire l’incantesimo, lo mostrò a Ron, che sembrò del tutto sorpreso di vedere quell’oggetto.

«Guarda, questo specchio ci ha salvato la vita, ricordi?»

«Sì, ma perché lo vuoi regalare a Ginny?» chiese Ron.

«Perché almeno l’anno prossimo ci potremo vedere, e anche quest’anno da dormitorio a dormitorio, o durante le lezioni, quando siamo lontani insomma. Mi sembrava carina come cosa, no?»

«Sì, molto carina…» Ron sembrava improvvisamente deluso «Peccato che queste idee vengano solo a te, ne ve-nisse una a me... Almeno Hermione non si arrabbierebbe di continuo!»

Harry lo guardò, ma non disse niente, preferendo ini-ziare subito a lavorare sullo specchio.

Tirò fuori dalla tasca la sua bacchetta di agrifoglio (giu-sto?), la puntò verso lo spechio posato sul letto e mormo-rò: «Geminio»

All’istante una copia dell’oggetto si creò di fianco al-l’originale, ma Harry notò subito che c’era qualcosa che non andava.

La prese in mano e notò con timore che la cornice che circondava il vetro dello specchio era molto meno rifinita dell’originale.

Un enorme dubbio lo investì; passò lo specchio copia-to a Ron, che non disse niente ma si limitò ad ammirarsi

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nel riflesso. Poi prese in mano l’originale, osservò per un istante il suo viso preoccupato, quando Ron chiese: «Ma qui, ora, non dovrei vedere la tua faccia? »-

Ciò che Harry aveva temuto era diventata una tremen-da realtà: l’incantesimo Geminio serviva a creare copie di un oggetto, ma queste non possedevamno le stesse qualità magiche.

All’improvviso si ricordò di due momenti dell’anno precedente in cui aveva visto il frutto di quella formula; al Ministero della Magia, Hermione aveva usato quell’in-cantesimo per creare una copia vistodamente fasulla del medaglione di Serpeverde (come d’altra parte aveva già fatto Regulus Black anni prima), mentre pochi mesi pri-ma, alla Gringott, nella camera blindata della famiglia Lestrange, si creavano copie incandescenti di coppe e og-getti preziosi, tutti privi di valore.

Come aveva potuto pensare che fosse così facile copia-re un oggetto magico raro come lo specchio di Sirius.

Ma, poi, mentre anche Ron stava aggrottando la fronte per pensare ad una possibile soluzione, gli venne in men-te una via; l’unica strada possibile per aggirare il proble-ma. Se quello non avesse funzionato non avrebbe potuto fare altro che arrendersi all’evidenza dei fatti.

Prese la bacchetta di Sambuco e disse, con voce incer-ta: «Geminio».

Immediatamente, la copia apparve accanto a quella originale.

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«Ehi Harry, su questo specchio c’è la tua faccia!» stril-lò Ron, prendendo in mano la riproduzione perfetta appe-na creatasi di fianco all’originale.

«E su questo dovrebbe apparire la tua, Ron! » disse Harry, sospirando, soddisfatto, nel constatare che l’in-cantesimo della Bacchetta di Sambuco era riuscito alla perfezione «Perfetto». Il viso di Ron era apparso nello specchio dopo che ui aveva pronunciato il suo nome.

Poi, con la Bacchetta modellò una cornice molto sem-plice, che ricalcava perfettamente i bordi dello specchio originale. Non era bellissima, ma era tutto quello che riu-sciva a fare; la decorò con due rose di un vivido colore rosso su vertici opposti prima di ritenersi soddisfatto del suo lavoro.

Prese i due specchietti e li mise in una scatoletta di car-tone che era sotto il letto, foderandoli prima con una carta spessa e morbida per non farli rompere.

Dopo aver fatto mutare il colore della scatola in un rosa tenue e aver aggiunto alcune decorazioni, andò drit-to verso il suo baule che aveva acquistato il giorno prima a Diagon Alley, ne estrasse una pergamena nuova, l’in-chiostro e una piuma e vi scrisse sopra un messaggio.

«Cosa le scrivi?». Ron cercava di sbirciare da sopra il suo letto.

«Non sono affari tuoi!» rispose deciso Harry, men-tre riponeva il tutto nell’armadio e lo Disilludeva per sicurezza.

Quando si girò di nuovo, vide Ron che lo guardava torvo, evidentemente offeso.

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«Hai fatto tutto?» gli chiese l’amico con tono provocatorio.

«Sì, spero che le piaccia» rispose Harry, sospirando.«Le piacerà, ne sono certo. Tu sai come prenderla per il

verso giusto. Lo sapessi fare anche io con Hermione...». Il suo tono di voce era improvvisamente cambiato; evi-dentemente aveva fatto l’offeso per scherzo.

«Non dire così. Tu con Hermione fai quello che puoi, e io uguale con Ginny» cercò di rincuorarlo Harry, anche se sapeva benissimo che non sarebbe servito a molto.

«Ma tu e Ginny non litigate di continuo! Io e Hermione si…».

Passarono alcuni giorni, durante i quali Harry e Ginny

limitarono al minimo il bisogno di parlarsi, per motivi che a Harry erano ignoti. Riteneva che ciò foss causato dall’arrivo improvviso della signora Weasley in came-ra qualche giorno prima, ma non poteva esserne certo. L’unica cosa sicura era che Ginny cercava clamorosa-mente di evitare il suo sgaurdo.

La mattina del dieci agosto, la vigilia del compleanno di Ginny, Harry si svegliò con un profumino di uova e pancetta che proveniva dalla cucina. Ron non era nel suo letto, quindi si poté vestire senza il sottofondo di borbot-tii inutili riguardanti gli ultimi sogni dell’amico su Her-mione, e scese in cucina.

Trovò la signora Weasley come sempre indaffarata tra i fornelli.

«Ciao Harry caro, mi dispiace dirtelo, ma oggi ho man-dato Ron ad aiutare George al negozio. Sapevo che gli

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serviva una mano e ho mandato lui, tanto qui non combi-nerebbe nulla di utile».

«Non preoccuparti» aggiunse poi di fretta, mentre riempiva un piatto con quattro uova al tegamino e spo-stando la sedia come per invitarlo a mangiare «Ė solo per oggi».

Appena Harry ebbe messo in bocca il primo boccone, Ginny spuntò silenziosamente dalle scale per fare cola-zione. Sul volto della ragazza era ancora dipinta una stra-na espressione.

Quando ebbero finito e riposto i piatti nel lavandino, mentre una spazzola li lavava da soli, Ginny chiese cor-tesemente a Harry di aiutarla a far scendere Arnold dalla cima dell’armadio di camera sua dove si era nascosto per giocare.

Harry accettò, nella speranza che l’invito non nascon-desse qualche discorso imbarazzante, ma quando entrò nella stanza vide Arnold ancora profondamente addor-mentato sul letto di Ginny.

«Dovevo parlarti» disse lei mentre chiudeva la porta e si accingeva ad abbracciarlo.

«Sospettavo che ci fosse qualcosa sotto» replicò lui con un tono misto tra l’ovvio e il noiso «Ti si leggeva in faccia che avevi qualche cosa da dire. è dall’altro giorno che sei così; da quando tua madre ci ha…»

«Non da uql momento, ma dal tuo viaggio al Ministe-ro» lo interrupe lei «Mi hai distrutta. Mi sono già imma-ginata tante volte la tua morte. Tutto l’anno scorso io ero in pensiero per te… sempre. E ora vengo a sapere che hai deciso di fare il mestiere più pericoloso di tutti»

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Internamente felice che il discorso non andasse a pa-rare sull’arrivo di sua madre in camera, Harry si accorse dagli occhi della ragazza quanto dolore stava provando. Erano occhi così belli e profondi. Le loro teste si avvici-narono e si abbandonarono ad un lungo bacio.

Sembrava fosse passata un’eternità quando si allonta-narono e si abbracciarono. E lui le sussurrò all’orecchio, con voce il più solenne possibile: «Ho deciso di accetta-re. Nulla mi potrà far cambiare idea, ma sappi che, qua-lunque cosa succederà, io sarò sempre accanto a te».

Detto questo, uscì dalla stanza, senza neanche osare guardarla in faccia. Il pensiero di provocarle una simile sofferenza lo faceva stare male.

Ron tornò dopo pranzo con un’aria stanca.«Quei nanerottoli infami!» commentò, sedendosi su

una sedia in sala da pranzo «Noi non eravamo così alla loro età, portavamo rispetto per i più vecchi»

Ma Harry non ascoltava veramente ciò che Ron dice-va. Durante i momenti in cui prendeva fiato, lui annuiva o diceva cose del tipo “si”, “certo” o “hai ragione tu”, per farlo sentire compreso.

La sua testa era altrove. Pensava sempre di più al gufo che quella mattina, subito dopo essere uscito dalla came-ra di Ginny, aveva spedito a Kingsley.

Sulla lettera c’era solo scritto “Accetto”, nel caso ve-nisse intercettata.

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Capitolo �

CuoRi e letteRe

«Che ne dici di un po’ di Quidditch?» chiese Harry.Ron distolse lo sguardo dal libro di Trasfigurazione

e nei suoi occhi piano piano riapparve una scintilla di vitalità.

«Dici sul serio? Stiamo studiando da appena mezz’ora...» rispose poco convinto di quello che stava dicendo.

«Beh, mezz’ora in cui sei sempre alla stessa pagina!».«È roba difficile» mugugnò.«Nemmeno io oggi riesco a concentrarmi, l’unica Tra-

sfigurazione che ho in mente in questo momento ha a che fare con questo libro e un Boccino da Quidditch, che ne dici?». Voleva un pomeriggio lontano dallo studio e com-pletamente dedicato al Quidditch.

Ron rise chiudendo il suo libro; non era stato difficile convincerlo.

Presero le loro scope e si diressero verso il campetto rialzato e nascosto dagli alberi dove si erano allenati qua-si tutte le estati.

Stavano camminando e chiacchierando tranquilli quan-do Ginny li superò, correndo. Appena la videro, i due amici spiccarono una corsa per inseguirla.

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In pochi secondi la raggiunsero, e solo allora lei smise di correre.

«Vi va se mi alleno con voi?» chiese subito dopo.Harry annuì e Ron, facendo spallucce, rispose «Per

me va bene» per poi spiccare il volo fino all’entrata del campetto.

Fu allora che Harry si rivolse a Ginny un po’ preoccu-pato dopo la discussione del mattino: «Come stai?».

«Lascia stare, ok?» lo interruppe subito lei con tono minaccioso e crucciato allo stesso tempo «Mi basta sape-re che tu sei felice facendo l’Auror, ma giuro che la prima volta che ti accade qualcosa… Diciamo che ti converreb-be farti molto male, altrimenti ci penserei io a finirti!».

Lui sorrise e la baciò lievemente sulla fronte.Ron aspettò qualche secondo, poi, vedendo che non si

decidevano a decollare, li raggiunse e chiese: «Allora, prima mi alleno io a parare e poi voi. Va bene?»

«Certo». Harry annuì, felice che Ginny avesse capito la situazione.

«Anche perché sei quello che ha più bisogno di allenar-si» aggiunse Ginny, provocando le risate di Harry. Ron fece una smorfia, ma poi cercò di concentrarsi: evidente-mente voleva fare del suo meglio.

Harry fece velocemente apparire dal nulla delle palle da calcio e altre da golf, così, Ginny poteva allenarsi a tirare le finte Pluffe, mentre Ron, che nel frattempo aveva fatto intrecciare i rami di due alberi in un cerchio simu-lando una porta, avrebbe cercato di pararle.

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Al suo turno, Harry si spostò velocemente verso de-stra, ma all’ultimo istante sterzò a sinistra e lanciò con forza il pallone in quella direzione.

Ron, pronto sulla destra, si buttò velocemente dall’al-tro lato, ma riuscì solo a sfiorare la palla con le dita di una mano prima che quella cadesse a terra. Si precipitò a raccoglierla e la rilanciò all’amico.

«Tutto qui?» Ginny, pochi metri più in là di Harry, li prendeva in giro, divertita «Senza offesa, ma siete sca-denti, ragazzi».

Dopo qualche ora, fra lanci, parate (a volte tentate, a volte riuscite) e commenti maligni da parte di Ginny o d’incoraggiamento, Ron riuscì a fare una parata spetta-colare, facendo una capriola a mezz’aria e fermando la palla con la coda della scopa.

«Allora non hai niente da dire adesso?» chiese allora alla sorella.

Lei rispose con una linguaccia: «Se non ti avessi spro-nato non avresti combinato nulla di buono!».

«Piantala, avevo solo bisogno di riprendere un po’ la mano. Comunque è tardi, è meglio se mi ritiro in gloria per oggi!».

«Non è giusto!» si lamentò Harry, «Volevo allenarmi anch’io!».

Quando scesero a terra, era troppo tardi per allenarsi con le palline da golf e, quindi, si avviarono verso casa, non senza che Harry avesse sottolineato che non si era potuto allenare.

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«Dovremmo ricominciare ad allenarci così più spesso fino all’inizio della scuola» azzardò Ginny mentre scen-devano dal colle.

«Hai ragione» Harry era completamente d’accordo con lei «In fondo non giochiamo a Quidditch da più di un anno. Tu che ne pensi Ron?».

Ma Ron si limitò a sbuffare, mentre portava la scopa a spalle giù per il leggero pendio.

«Dai Ron! Tirati su, si può sempre rimediare» cercò di tirarlo su Ginny e anche Harry cercò di metterci del suo.

«Guarda che tutti i giocatori di Quidditch della scuola sono nella nostra situazione». Ma Ron non sembrò per niente rincuorato dalle loro parole.

«Rimediare? Ma non avete visto? Faccio schifo! Una parata buona in due ore!».

«Non dire così, so che puoi migliorare; se ci credi dav-vero puoi fare miracoli».

«Il problema è crederci» concluse Ron in tono cavernoso.

Né Harry né Ginny seppero cosa rispondere.Quando arrivarono alla Tana, Harry e Ginny andarono

a riporre le scope nel capanno, portandoci anche quella di Ron, che preferì entrare subito in casa.

Giunto nel ripostiglio, Harry avvolse le tre scope in un panno e le appoggiò sopra un vecchio mobile attaccato dalle termiti, mentre Ginny lo osservava da dietro.

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Quando varcarono la soglia della cucina Ron non c’era, mentre la signora Weasley era come sempre indaffarata ai fornelli.

«Credo che Ron sia salito in camera sua» disse lei ap-pena si accorse della loro presenza «Sembrava molto demoralizzato…».

Ginny cercò immediatamente di cambiare discorso, chie-dendo chi era stato invitato per cena la sera successiva.

«Naturalmente vengono Bill, Fleur, Percy e George, ma Charlie mi deve ancora dare la conferma» rispose la ma-dre «Ho pensato di invitare anche Hagrid, è sempre stato così gentile con noi! Ed Hermione, se vuoi. Se ti va di invitare qualcun altro… basta che me lo dici per tempo».

«Penso che chiederò anche a Luna di venire…» conclu-se Ginny, abbastanza soddisfatta, prima di salire le scale; Harry la seguì subito.

Contrariamente a ciò che pensava Ginny, però, salì fino alla camera di Ron ed entrò.

L’amico era disteso sul suo letto e lo salutò con un cenno.

«Sai, un po’ ti invidio» esordì tristemente.«Guarda che anche io sono fuori allenamento» ammise

Harry, stupito dalla domanda.«No, non per quello» lo corresse Ron «Ti invidio perché

hai una ragazza che ti adora, che passerebbe ogni singolo istante con te. Io invece ho una “quasi ragazza” che mette lo studio prima di me».

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Harry ebbe appena il tempo di chiedersi come aves-se fatto Ron a passare dallo sconforto per il Quidditch a quello per Hermione, ma rispose prontamente a quello che aveva appena detto l’amico.

«Hermione ti vuole bene. Non pensare sempre al peggio».

«Non pensare sempre al peggio?!»il tono di Ron si era fatto più alto. «Ma se...».

Subito dopo, però, si interruppe, dato che proprio in quell’istante giunse dalla cucina la voce della signora Weasley che annunciava che la cena era pronta; così, per la fortuna di Harry, l’ennesimo discorso sui problemi tra Ron ed Hermione fu troncato sul nascere.

La mattina dopo un rumore proveniente dabbasso sve-gliò Harry, che cercò subito tentoni gli occhiali, e se li infilò sbadigliando.

Gli ci volle un po’ per mettere a fuoco la scena che gli si presentava e, quando si rese conto di chi aveva davanti, arrossì e si tirò le lenzuola fino al collo, perché aveva in-dosso soltanto un paio di boxer.

«Scusami se ti ho svegliato» gli sussurrò Ginny, con un dolce sorriso stampato sul viso.

«Buongiorno» rispose anche lui sottovoce, mentre pren-deva una T-shirt dal cesto di panni che era accanto al suo letto e se la infilava «Che ci fai qui?».

«Volevo vedere se eravate già svegli» rispose la ragaz-za, sedendosi accanto a lui e dandogli un lieve bacio sulle

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labbra. Lui ricambiò, poi si allontanò come se avesse pre-so la scossa.

Portò un dito davanti alla bocca e poi indicò Ron, per fare segno a Ginny di stare attenta a non svegliare il fratello.

«A proposito, mi pare che oggi sia il compleanno di qualcuno...» disse, poi, sporgendosi per prendersi un al-tro bacio «Tanti auguri».

«Posso darti ora il tuo regalo?» aggiunse subito dopo, alzandosi e aprendo l’armadio, senza dare il tempo a Gin-ny di rispondere.

Dopo aver tirato fuori il pacchetto rosa, lo diede a Gin-ny con un sorriso; lei lo prese e se lo rigirò fra le mani.

«Attenta!» la apostrofò Harry, quando lei iniziò a scuo-terlo vicino all’orecchio per sentire cos’era.

Lei sorrise leggermente, poi sciolse il nastro che lega-va la scatola e ne sollevò il coperchio.

Quando alzò gli specchietti per togliere la carta in cui erano avvolti, cadde una busta bianca, che raccolse e aprì immediatamente, mentre Harry arrossiva leggermente.

Tantissimi auguri per i tuoi 17 anni! Sei la cosa più bella che mi sia capitata.

Harry

Ginny rilesse quel biglietto più e più volte con gli oc-chi lucidi, ma non pianse (“per fortuna” pensò Harry, ve-dendo gli occhi inumidirsi); poi lo ripiegò, lo infilò nella

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busta e lo rimise nella scatola, rivolgendogli un leggero sorriso intimidito.

Poi riprese in mano i due specchietti e se li rigirò fra le mani per qualche minuto, scrutandoli, sospettosa.

«Perché due?». «Perché sono specchi gemelli» concluse lui, come se

fosse ovvio.Ginny storse le sopracciglia; non aveva capito cosa in-

tendeva Harry per “gemelli”.«Servono a comunicare fra di noi se mai fossimo lon-

tani; basta pronunciare il nome di chi possiede l’altro specchio… Guarda» le spiegò lui, vedendo il suo cipiglio incerto.

Poi prese lo specchio semplice, vi guardò dentro e sus-surrò il nome di Ginny, mentre lei fissava l’altro, con lo sguardo di chi si aspetta che ne scaturisca fuori uno stor-mo di colombe.

«Vedo la tua faccia!» concluse dopo un istante, man-tenendo un tono di voce basso per non svegliare Ron «Ti vedo!».

«Ho pensato che saranno utili se saremo mai lontani» aggiunse timidamente Harry, osservandola mentre ripo-neva il regalo nella scatola.

Quando Harry finì di parlare lei si fermò con le mani appoggiate sulla scatola; lentamente la sollevò e la ap-poggiò sul materasso.

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Poi si voltò, gli buttò le braccia al collo e lo baciò con trasporto; purtroppo, però, Ron riprese a russare, ripor-tandoli alla realtà.

Harry si alzò in piedi, e si mise a sistemare gli abiti del cesto nell’armadio, mentre Ginny riprendeva la scatola e ne tirava fuori lo specchio con le rose.

«Questo regalo è bellissimo, l’unico problema...».Harry sbiancò, temendo di aver sbagliato qualcosa;

Ginny lo guardò, indovinandone i pensieri.«Ma cosa hai capito! è bellissimo il regalo solo che...

questi fiorellini» commentò «Non ti dispiace se…».«Fai pure» rispose, sollevato, Harry «Li ho aggiunti io

sotto consiglio di Ariana, ma se non ti piacciono…».«Ariana?» il tono di Ginny era immediatamente

cambiato.«La ragazza dipinta nel ritratto in casa di Aberforth Si-

lente; lo specchio originale ce l’aveva lui». Harry rispose tutto d’un fiato, con voce pronta e piatta, ma dal tono del-la ragazza aveva inteso che era in atto un preoccupante moto di agitazione.

A queste parole, Ginny sembrò calmarsi; prese la sua bacchetta e fece Evanescere le due rose che ornavano la semplice cornice; mentre lo faceva, però, non poté na-scondere un sorriso compiaciuto.

«Così va meglio» commentò infine la ragazza, in un ultimo tentativo di dimenticare le parole di pochi secondi prima e ammirando lo specchio.

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Harry finì di riporre un paio di calzini in un cassetto e tornò ad accomodarsi accanto a lei.

Si era appena seduto, quando Ron socchiuse gli occhi; Ginny se ne accorse e fece per alzarsi, ma il fratello spa-lancò le palpebre, svegliandosi di colpo, e chiese con fare sospettoso: «Che ci fai tu qui a quest’ora?».

Lei arrossì un poco, mentre Harry abbassò lo sguardo, con evidente espressione colpevole.

«Ero curiosa di vedere il regalo di compleanno di Harry» esordì poi Ginny, cercando di mantenere un tono calmo e rassicurante «Non sono magnifici questi specchi?».

Il fratello sgranò gli occhi e commentò con aria di su-perficialità: «Si si sono belli... ma tanto sapevo già cosa voleva regalarti».

Dopo le parole di Ron, Ginny sbuffò spazientita; si aspettava certamente una reazione diversa dal fratello.

«Comunque auguri!».«Grazie» rispose fredda, mentre apriva la porta e usci-

va dalla stanza.

Quando Harry e Ron entrarono in cucina per la cola-zione, sentirono subito tubare da sopra la credenza ed al-zarono gli occhi; due grossi allocchi li osservavano con cipiglio quasi severo, il primo tutto sporco di marmellata. Doveva essere stato lui a svegliare Harry con quello stra-no rumore.

Intanto Ron si era avvicinato al tavolo e osservava le due buste che vi erano appoggiate sopra con aria inorridita.

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Anche Harry andò a vedere a chi erano indirizzate e fu stupito nel vedere il sigillo di Hogwarts; una era rivolta a lui e l’altra a Ron.

«Cavolo» sussurrò Ron prendendo in mano la sua busta;

Subito dopo, la signora Weasley apparve dal riposti-glio della cucina e sorrise guardandoli, per poi inizia-re con noncuranza a preparare uova e bacon per la loro colazione.

Harry aprì la sua busta e iniziò a leggere la pergamena scritta con inchiostro verde blu cielo:

Caro Signor Potter,siamo lieti di informarLa che per il prossimo anno scolastico Lei è stato designato come Capitano della Squadra di Quidditch della Casa di Grifondoro nella Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts.Augurandole ogni bene

Aurora Sinistradirettrice della casa di Grifondoro

La busta conteneva il distintivo scarlatto per il ruolo di Capitano.

Harry non poté che essere sollevato nel leggere la mis-siva; la cosa che colpì la sua attenzione fu la firma: “Au-rora Sinistra, Direttrice della Casa di Grifondoro”.

Probabilmente il ruolo di Preside era incompatibile con quello di Direttrice e la Mc Granitt aveva dovuto passa-re il compito alla professoressa Sinistra, l’insegnante di Astronomia. “Sarà strano dopo tanti anni”, pensò.

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Alzando lo sguardo, notò che Ron non era altrettanto felice; di fianco a lui, leggeva e rileggeva la pergamena con occhi sgranati.

«Cosa c’è?» gli chiese, in tono titubante, mentre gli allocchi sulla credenza riprendevano rumorosamente il volo, dopo essersi accertati che gli interessati avessero letto i messaggi.

«S-sono stato nominato P-Prefetto…» sospirò lui, come se stesse per dire qualcosa di molto indecente.

«Ma che bella notizia!» li interruppe la signora Wea-sley, lasciando due uova che si rompevano da sole e si gettavano su una padella e avvicinandosi al figlio «Non sai come sono contenta per te! Di nuovo Prefetto! Non ci speravo più…».

«Perché?» domandò Ron, guardando la madre di sbieco.

«Vedi, Ron… l’anno scorso, dopo il matrimonio di Bill e Fleur» e fece un gesto come per dire “ci siamo capiti” «è arrivata la lettera che ti nominava Prefetto, ma siccome voi due ed Hermione eravate già scappati e tu non saresti dovuto andare a Hogwarts per colpa della Spruzzolosi ho dovuto inviare una lettera di rinuncia… Non puoi imma-ginare quanto mi sia dispiaciuto!».

Detto questo abbracciò Ron, ancora apparentemente sconvolto, e chiese a Harry se anche lui era stato nomi-nato Prefetto.

«No» iniziò lui «Sono stato nominato Capitano della Squadra di Quidditch».

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«Ottimo!» si congratulò lei, per poi abbracciarlo, dare un pizzicotto sulla guancia del figlio e tornare pimpante ai fornelli.

«Ma perché sembri così inorridito?» sussurrò Harry a Ron, mentre i due si sedevano a tavola.

«Leggi». L’aveva detto come se stesse per vomitare.Harry prese in mano la pergamena scritta con lo stesso

inchiostro della sua nella calligrafia bassa e larga di Lu-macorno e lesse:

Caro signor Weasley,siamo lieti di informarLa che anche quest’anno Lei è stato nominato Prefetto della Casa di Grifondoro.Conosce già le sue mansioni e i suoi doveri per tale ruolo, ma Le ri-cordiamo ugualmente che il giorno 1 settembre p.v. Lei dovrà recarsi nel vagone dei Prefetti sull’Espresso per Hogwarts, dove si terrà il discorso della Caposcuola della sua Casa, la signorina Hermione Granger.Sperando che stia bene

Horace E. F. LumacornoVicePreside

Harry capì subito perché Ron era così stranito; Her-mione era stata nominata Caposcuola e quindi lui si tro-vava un gradino sotto di lei.

«Ron dovresti essere felice per…» iniziò, ma fu inter-rotto dall’improvviso arrivo nella stanza di Ginny.

«Mamma, stasera vengono anche Luna e Hermione» annunciò lei, appena scesa dai piani superiori, per poi se-dersi e aspettare che la colazione fosse pronta.

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Harry notò che appena la ragazza aveva nominato Her-mione, Ron si era rabbuiato ancora di più.

La signora Weasley annuì e andò ad abbracciare e ba-ciare la figlia, facendole gli auguri; poi iniziò a preparare la colazione anche per lei.

Quando tutti e tre ebbero mangiato a sazietà, Harry si alzò e mise i suoi piatti nell’acquaio (dove nel frattempo le stoviglie della sera prima si stavano auto-lavando), poi uscì, seguito dagli altri due.

«Ginny!» gridò Ron mentre raggiungeva lei ed Harry vicino al recinto del giardino «Come ti è saltato in mente di invitare Hermione?».

«Scusa, non pensavo ci fosse niente di male ad invi-tare una mia amica!» rispose lei, con voce ironicamente affranta.

«Fai anche la spiritosa adesso! Lo sai che abbiamo liti-gato! Harry, diglielo anche tu…».

«Non dare la colpa a me se ti comporti da schifo». Gin-ny aveva fatto tacere Harry con un gesto della mano e si era avvicinata al fratello, perdendo la calma.

«Come ti permetti?» ruggì lui, infuriato.«Abbassate la voce» intervenne Harry con tono piatto

«Non vorrete che vostra madre vi senta?».«Stai zitto, Harry» gli intimò prontamente la ragazza

«So come comportarmi con mio fratello» poi continuò, rivolta a Ron «Senti tu, un rapporto si basa sulla since-rità e sulla lealtà e se tu e Hermione non parlate non vo-glio rimetterci io. Quindi o le parli tu e fate pace o stai

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zitto, ma non terrai il muso lungo tutta la sera del mio compleanno».

«Come ti permetti di dirmi una cosa simile! Lo so be-nissimo come comportarmi con le ragazze!».

«Certo» Ginny stava vistosamente trattenendo una ri-sata di scherno «Come no; lo vedo. Da quant’è che non parlate? Fammi pensare… Un paio di settimane, proprio un bel rapporto».

«Cosa ne puoi sapere tu di un rapporto sincero, visto che in un anno hai cambiato tre ragazzi ?» la attaccò il fratello.

Dopo questa uscita di Ron, anche Harry iniziò a scaldarsi.

«Cosa?!».Detto questo Ginny sfoderò la bacchetta; Ron fece lo

stesso.Si fissarono negli occhi per pochi istanti; evidentemen-

te nessuno dei due sapeva cosa fare. Anche Harry stringeva in mano la Bacchetta, ma non

l’aveva sfoderata, era pronto ad intervenire se la situazio-ne fosse degenerata.

Ad un certo punto Ron trasse dalla tasca un piccolo pacchetto, dicendo, con tono di disgusto: «Speravo di consegnartelo in un modo totalmente diverso» e lo lanciò a Ginny, con tutta la forza che sembrava avere in corpo; poi si voltò e si diresse in casa.

Lei agitò prontamente la bacchetta e fece lentamente levitare l’involucro verso di sé, mentre osservava il fra-

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tello camminare con passo svelto verso la porta della cu-cina. Quando le fu arrivato in mano lo scartò; conteneva una piccola spilla nera, che aveva la forma di un’elabora-ta “G” in stile gotico.

Appena Ron ebbe svoltato l’angolo, Ginny si rivolse ad Harry, che teneva ancora stretta in tasca la Bacchetta: « L’ho trattato malissimo, vero?».

Harry si sentiva tra due fuochi. Doveva scegliere tra il dare ragione alla sua ragazza o al suo migliore amico; non poteva trovarsi in una situazione peggiore di quella.

“Peggio di così non potrebbe andare” si trovò a pen-sare mentre rifletteva su cosa dire a Ginny “Anzi, forse sarebbe peggio se mi trovassi tra Hermione e Ron”.

Infine decise di cavarsela con poche parole neutre: «Ė una questione tra voi due… Prova a parlargli, lo sai che in questo periodo è più giù che mai».

Ginny sembrò sentirsi abbastanza risollevata dalle sue parole, perché disse, con tono sicuro di sé: «Bene», e poi si avviò velocemente all’inseguimento del fratello.

Harry preferì non entrare nella Tana; ritenne che in quella faccenda Ginny e Ron dovessero risolvere i loro dissapori senza la sua presenza.

Nel pomeriggio andarono tutti e tre al campetto dei Weasley per allenarsi a Quidditch; Ron sbagliò gran par-te delle parate, e anche questa volta Harry non riuscì ad allenarsi con le palle da golf.

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«Dovrò comprarmi una scopa nuova» concluse Harry, mentre tutti e tre tornavano alla Tana a metà pomeriggio «Ho già usato troppo la vecchia scopa di George e ora che sono Capitano di Grifondoro…».

«Sei Capitano?» lo interruppe bruscamente Ginny «Da quando lo sai? Perché non mi hai detto niente?».

Harry le spiegò velocemente della mattina, e Ron sbuffò quando pronunciò il nome “Prefetto”.

«Sono contentissima!» disse lei alla fine del discorso di Harry «Dai Ron! almeno sappiamo che saremo subito in squadra!»

Harry le scoccò uno sguardo di fuoco e lei scoppiò a ride-re; Ron non sembrava essersi risollevato per niente.

Erano quasi arrivati alla Tana quando videro davanti a loro la figura di una giovane ragazza non molto alta e dai capel-li di un colore biondo sporco che veniva loro incontro, con un’andatura molto simile a quella di un cavallo; i capelli sa-livano e scendevano continuamente, dandole un’aria ancora più bizzarra di quella che le dava il lungo vestito coloro ac-quamarina che indossava.

«Luna!» esclamò Ginny, correndole incontro.Harry e Ron si guardarono, sorpresi dall’abbigliamento

della ragazza, e accelerarono il passo verso l’amicaAppena raggiunsero le due ragazze, Luna si buttò pratica-

mente in braccio a Harry, poi a Ron, e poi disse con noncu-ranza: «Ciao, eroi!».

Ron e Harry si guardarono e sorrisero; si ricordavano fin troppo bene di averle salvato la vita pochi mesi prima, quan-

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do era rinchiusa nei sotterranei di Villa Malfoy con Olivan-der, il Fabbricante di Bacchette.

Dopo un’ora arrivò anche Hermione, che si Materializzò appena fuori il recinto della Tana e con passo svelto rag-giunse il gruppetto sotto l’albero di Mecamilla Cotonosa dove Luna stava loro raccontando la sua estate; era andata in giro per il mondo con il padre, in cerca di qualche animale immaginario.

Appena li ebbe raggiunti, Hermione abbracciò Luna ed Harry, poi fece gli auguri a Ginny e salutò Ron con un sem-plice “ciao” e un forzato sorriso falso e stiracchiato.

Da parte sua Ron ripose freddamente, con la voce treman-te, e si girò, lanciandole uno sguardo tra l’affranto e l’arrab-biato e andando il più lontano possibile da lei.

Harry la guardò seguire Ron con occhi lucidi, voltarsi e mormorare qualcosa alle amiche.

«Ho sentito che sei stata nominata Caposcuola!» iniziò su-bito dopo Ginny, cercando di ignorare il comportamento del fratello.

Hermione si limitò ad annuire, ma poi aggiunse, con la voce meno rotta: «Devo tenere il discorso per i Prefetti sul-l’Espresso per Hogwarts. Spero di riuscire a prepararlo in tempo, sapete, ci sono così tante cose da dire…».

«Immagino che due settimane possano essere suffi-cienti» commentò Luna, sorridendo, con il suo solito tono sognante.

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«Spero di si» fu la risposta pronta di Hermione, che poi aggiunse: «Vi va di salire? Devo mostrare il mio regalo alla festeggiata…».

Harry si accorse del tono orgoglioso con cui lo diceva e si sbrigò a salutare e ad allontanarsi; non voleva saperne di questioni femminili.

Decise di andare da Ron, che era seduto ad un tavolo di pietra nascosto dietro la casa, con lo sguardo fisso verso il basso. Vedendolo in quelle condizioni, Harry dovette am-mettere che gli faceva un po’ pena, ma si sedette e gli mise una mano sulla spalla, rimanendo in silenzio. Dopo pochi secondi l’amico alzò lo sguardo dalla fredda pietra del tavo-lo con un’espressione di profonda gratitudine, mormorando: «Grazie».

Intimidito dalla reazione di Ron alle sue premure, Harry scosse la testa e chiese, con il tono più gioviale possibile: « Ti va di giocare a scacchi?».

Ron sorrise e annuì; poi si alzò e si diresse verso casa, segui-to a ruota da Harry, mentre tentava di asciugarsi dalla guancia destra quella che doveva essere una piccola lacrima.

La sera arrivò in fretta e cominciarono ad arrivare gli invitati.

George arrivò per primo, e posò un grosso pacco verde su una poltrona nel salotto, per poi iniziare subito a giocare a scacchi con Harry e Ron.

Poco dopo sopraggiunsero Bill e Fleur; lei, sempre bellis-sima, si mise immediatamente ad aiutare la signora Weasley

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a preparare la carne (perché “al songue come la fasciamo noi franscesi, non la fa nessuno”), mentre Bill aiutava sua madre ed apparecchiare in giardino.

Charlie e Hagrid raggiunsero la Tana praticamente nel-lo stesso istante e si accomodarono in salotto a parlare di Draghi.

Appena prima che la cena fosse pronta, anche Percy e il signor Weasley tornarono dal Ministero, entrambi vistosa-mente spossati per la giornata.

Ginny accolse tutti con entusiasmo, ma subito dopo che suo padre fu arrivato e si fu sistemato, salì con Hermione e Luna per cambiarsi d’abito.

Solo quando fu tutto apparecchiato e il cibo fu pronto, la signora Weasley mandò Harry a chiamare le ragazze.

Salito fino al pianerottolo della camera di Ginny, bussò tre volte alla porta; sentì una risata e dei sussurri provenire dal-l’interno, mentre Luna apriva, ridendo.

Entrò con fare incerto, e vide Ginny ed Hermione che lo osservavano con aria soddisfatta, guardandolo di sottecchi da sopra il letto.

«Come hai fatto?» sussurrò Hermione, mentre anche Luna le raggiungeva.

«Fiuto» rispose Ginny.Harry scosse la testa e si limitò a dire: «Ė pronto, scende-

te», per poi tornare in giardino e sedersi tra Ron e George.Poco dopo Ginny arrivò e si accomodò a capo tavola con

Hermione e Luna ai lati. Indossava un vestito nuovo, di raso rosso con un ampia scollatura “a V” e un cordoncino nero ai

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fianchi; quello doveva essere il regalo di Hermione. Harry scartò l’ipotesi che potesse essere quello di Luna solo per il fatto che era un abito normale.

Rimase incantato ad osservarla per quelli che gli sembra-vano minuti interminabili; era davvero bella con quel vestito. Mentre la scrutava (cercando di non essere notato da nessu-no), vide che indossava la spilla che le aveva regalato Ron; anche l’amico, seduto alla sua destra, sembrava esserne lie-vemente compiaciuto.

Poi, ridestatosi dalle chiacchiere di Ron e George, si accor-se appena in tempo che la signora Weasley e Fleur stavano arrivando con due enormi vassoi carichi di crostini e antipasti di ogni tipo.

Il signor Weasley e Percy stavano parlando del lavoro al Ministero, così cercò di ascoltare ciò che dicevano, mentre gli altri parlavano dei risultati delle ultime partite di Quidditch.

«Sai, l’Auror di Durmstrang…» sentì dire al signor Wea-sley, ma non riuscì a capire altro.

Dopo aver rinunciato ad origliare, si voltò verso Hagrid, che stava mangiando, mentre Charlie gli parlava con fare ab-bastanza disinvolto.

Le portate si susseguirono veloci ed abbondanti tra chiac-chiere e risate, e dopo poco più di un’ora, mentre il sole stava iniziando a tramontare, la signora Weasley portò in tavola un enorme torta di glassa rossa a forma di Pluffa.

Quando ciascuno ebbe mangiato almeno due enormi fette di torta ed il vassoio fu completamente pulito, Molly annunciò che la festeggiata poteva scartare i regali.

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Ginny annuì, evidentemente in attesa di aprire i pacchi che aveva visto sfilare davanti ai suoi occhi.

Subito, ognuno dei commensali prese la sua bacchetta e la puntò verso il salotto, ma Ginny li interruppe, dicendo, con tono orgoglioso: «Fermi tutti! Ora posso farlo da sola».

Alzò velocemente la sua bacchetta e la agitò verso la fi-nestra del salotto, da dove poco dopo apparvero tutti gli in-carti colorati: il grande regalo di George, quello minuscolo di Hagrid, un sacchettino di Bill e Fleur e altri pacchetti che Harry non aveva visto arrivare, perché troppo intento ad es-sere sconfitto a scacchi da Ron.

«Il nostro ti piascerà moltissimo» commentò subito Fleur, mentre tutti i regali atterravano dolcemente davanti alla fe-steggiata in estasi.

Ginny cominciò ad aprire il pacchetto più piccolo, che era quello di Hagrid.

Lo scartò velocemente e scoprì che era un fischietto inta-gliato a mano.

«È un fischietto richiama gnomi» spiegò Hagrid, col tono di chi presenta una delle Meraviglie del Mondo.

«Grazie!» Ginny cercò di sembrare il più contenta possi-bile, ma le si leggeva in faccia che un fischietto attira gnomi non era il suo sogno «Ci servirà per la prossima disinfesta-zione, vero papà?».

Il signor Weasley annuì dall’altro capo della tavola, con-tento di aver davanti un manufatto semiBabbano, mentre lei apriva un pacchetto leggermente più grande, che era da par-te di Bill e Fleur.

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Lo aprì alla svelta, speranzosa nel buon gusto di Fleur, e ammirò il braccialetto dorato e gli orecchini di una lucente pietra nera stesi su un cuscinetto di gomma piuma; se li mise con l’aiuto di Hermione e ringraziò calorosamente fratello e cognata.

«Come sei jolie con quelli orecchinì, tesoro! Stanno d’in-canto con quel grazioso vestito!» commentò la seconda, sor-ridendo radiosa.

Ginny continuò ad aprire i regali e scoprì che la madre e il padre le avevano regalato un piccolo ma elegante orologio d’oro; era usanza della famiglia Weasley donare un orologio al diciassettesimo compleanno dei figli

Il regalo di Luna era uno stereo Babbano modificato ma-gicamente insieme con alcuni CD, mentre quello di Percy era un voluminoso libro sulla vita di Gwenog Jones.

Dopo aver ringraziato entrambi, prese il regalo di Charlie: si trattava un Set per la cura delle Puffole Pigmee.

«Arnold ne sarà felicissimo!» fu il suo commento.«Poi lo presti anche a me? Se funziona per Arnold funzio-

nerà anche per Snitch»chiese Harry scherzoso.L’ultimo regalo era di George; con grande sorpresa di

Ginny (amara per Ron), conteneva una raccolta completa di tutti i prodotti di Tiri Vispi Weasley.

«Manca il discorso» disse Ron appena lei ebbe finito di scartare l’ultimo pacco.

Ginny sorrise e si alzò in piedi; poi si schiarì la voce e dis-se: «Grazie a tutti, siete stati veramente gentili, sono felice

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di vedere che siete venuti tutti alla mia festa, anche se non importava...».

«Come non importava? Lo potevi dire prima, almeno rimanevo in negozio! Tyron combina sempre più guai in quest’ultimo periodo!» la interruppe George nel suo solito tono giocoso, facendo ridere tutti tranne la signora Weasley e Ginny, che continuò imperterrita: «Ringrazio anche Her-mione per il meraviglioso vestito che indosso…» Hermione parve molto lusingata dopo che molti dei presenti commen-tarono positivamente l’abito «…Ron per la bellissima spilla (e indicò il gingillo che aveva appuntato al vestito) ed Harry, che mi ha donato uno splendido specchio».

Concluso il discorso, la signora Weasley iniziò a sparec-chiare, mentre gli ospiti si spostarono in salotto per un brin-disi alcolico; Harry, invece, si offrì di aiutare Ginny a portare tutti i regali in camera sua.

«Finalmente soli... » mormorò lui, avvicinandosi e ba-ciandola con dolcezza.

Per tutto il giorno non avevano avuto occasione per stare insieme da soli, ma in fondo, pensò Harry, Ginny era diven-tata maggiorenne ed era giusto che condividesse quell’even-to unico nella vita con tutti i suoi cari, non solo con lui.

Si staccarono dopo quella che sembrava un’eternità e, mentre entrambi scendevano di nuovo al piano terra, Harry sentì il cuore battere più forte di quanto ricordasse nella sua vita, quando sentì Ginny sussurrare: «Questo è il regalo più bello».

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Capitolo �

in Viaggio peR HogwaRts

Una pioggia incessante picchiettava contro i finestrini del-l’auto del Ministero mentre Harry osservava distrattamen-te sfrecciare fuori la Londra Babbana. Era infine giunto il giorno del loro ritorno ad Hogwarts e cominciava a sentirsi emozionato quasi come la prima volta che aveva viaggiato verso la scuola.

Gli ultimi giorni alla Tana, nonostante avesse passato tanti bei momenti insieme a Ginny appartandosi con mille espedienti, erano stati un vero disastro a causa di Ron e della signora Weasley. Tutti e due, per motivi diversi, erano piut-tosto nervosi e irascibili. Ron era ancora intrattabile per via delle sue incomprensioni irrisolte con Hermione. Dal giorno seguente alla festa di Ginny gironzolava per la Tana come una Caccabomba ad orologeria, pronto ad innescarsi al mi-nimo contatto con essere vivente. Una volta Harry lo aveva sentito da dietro la porta avere una lunga e complessa lite persino col povero Leotordo.

A sua volta la signora Weasley trovava sempre un pre-testo per esortarli animatamente a lavorare o studiare con

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maggiore impegno. Sembrava proprio intenzionata a farli stare fuori casa il minor tempo possibile, pronta a sgridar-li ogni volta che varcavano la soglia dell’abitazione. Har-ry comprendeva il suo desiderio di tenerli tutti vicini il più possibile, poteva solo immaginare quanta fosse la paura di separasi dai suoi figli rimasti e non poterli tenere continua-mente sott’occhio, ma il risultato finale era che alla Tana si respirava un’aria piuttosto tesa.

Nell’auto tutti facevano silenzio, Ginny si era appisolata sulla spalla della madre, che aveva insistito con forza per accompagnarli fino al treno, Ron guardava con ostinazio-ne fuori dall’altro finestrino, apparentemente quasi senza respirare, e persino l’autista non aveva mai aperto bocca, salutandoli anche al suo arrivo solo con un gesto sbrigativo della mano.

Quella mattina Harry era stato svegliato dall’amico che parlava animatamente nel sonno. Inforcò gli occhiali e si av-vicinò silenziosamente al suo letto per tentare di capire cosa bofonchiasse.

«…amore scusa stavo russando, scusa…»* disse Ron chiaramente, nonostante muovesse appena le labbra. Har-ry si mise una mano sulla bocca nel tentativo di reprimere un attacco di ilarità che altrimenti avrebbe svegliato tutta la

* Vuoi sapeRe Cosa Ha sognato Ron? Vai nella Home di Hp� e leggi: “il sogno di Ron“!

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Tana. Corse nuovamente al suo letto e schiacciò la faccia contro il cuscino, le risate che tentavano prepotentemente di venir fuori non erano dettate tanto da quelle dolci parole, ma dall’espressione compiaciuta ed estasiata che aveva il giovane Weasley in quel momento.

Quando durante la colazione Harry lo aveva interrogato, con sorniona disinvoltura, sulla natura del sogno, Ron era rimasto immobile la forchetta a mezz’aria.

«Non so di cosa parli» aveva risposto infine portando il boccone alla bocca. Dopodiché si era trincerato in un silen-zio totale, non emettendo più neanche i soliti grugniti men-tre spazzolava le ultime salsicce. Harry tentò di pungolar-lo ancora un paio di volte con disinvoltura, ma alla fine si arrese per paura di spingere Ron in uno stato di mutismo vegetale definitivo, d’altronde non aveva certo bisogno di alcuna conferma per interpretare la natura, e tantomeno la protagonista, del sogno dell’amico.

Giunsero a King’s Cross in perfetto orario, le auto del Mi-nistero della Magia non temevano il traffico, si trovavano misteriosamente sempre a capo di qualunque fila si formas-se nelle strade londinesi, riuscendo a trovare ogni semaforo verde, anche se proprio in quel semaforo era appena scattato il rosso.

L’autista scaricò i loro numerosi bauli dal portabagagli incantato dell’auto, che altrimenti mai avrebbe potuto con-tenere tanta roba, salutò la famiglia con il medesimo gesto

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silenzioso e in un attimo scomparve alla loro vista nonostan-te il traffico babbano quasi bloccato davanti alla stazione.

La signora Weasley scortò i ragazzi verso i binari, chia-mandoli di continuo appena restavano indietro di qualche passo, aveva insistito praticamente tutte le sere con il marito affinché anche lui potesse accompagnarli quel mattino, ma come al solito sembrava che al Ministero non ci fosse possi-bilità di avere un momento libero. Anche Percy aveva mani-festato la sua impossibilità ad assentarsi dal lavoro, seppure nessuno glielo avesse chiesto.

Harry spinse per primo il carrello verso la barriera che separava i binari nove e dieci, e in un istante si trovò davan-ti all’Espresso per Hogwarts, che già sbuffava davanti ad un binario più affollato che mai. Solo in quell’istante Harry pensò alla vecchia locomotiva scarlatta come ad una cara amica, che per anni lo aveva portato lontano dai problemi della sua convivenza forzata con i Dursey, verso la sua le-gittima vita da mago. Quando Ron, Ginny e la signora Wea-sley lo raggiunsero cominciarono ad avviarsi con decisione verso la coda del treno, dove sembrava che la folla fosse un po’ meno. Harry tentava di non urtare nessuno con i suoi voluminosi bagagli per dare nell’occhio il meno possibile. Il signor Weasley lo aveva avvisato la sera prima a cena che i maghi vedendolo, in particolare i ragazzi più piccoli, sareb-bero letteralmente impazziti. Tutti avrebbero voluto salutare, toccare e fotografare l’eroe di Hogwarts «E vorranno farlo

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tutti insieme, anche a costo di saltarti sopra» lo ammonì bo-nariamente Arthur «Cerca di non farti notare… per quanto sarà possibile!».

In realtà Harry non stava facendo molta fatica a mimetiz-zarsi tanto era il caos, mai aveva visto tanti maghi alla sta-zione e così diversi tra loro. Era facile indovinare tra i pre-senti quali fossero i maghi americani. Intanto spiccavano tra la folla perché sembravano essere i più chiassosi e irrequieti, poi i loro abiti erano decisamente molto più sportivi e, no-nostante anche gli inglesi usassero tessuti piuttosto vivaci, i loro vestiti erano addirittura sfavillanti. Probabilmente era-no stoffe incantate pensò Harry, perchè alcune sembravano emettere a tratti proprio una piccola luce.

«Harry! Hey Harry!» Harry guardò davanti e vide Her-mione farsi strada tra la gente. Quando lo raggiunse lo salu-tò con un caldo ma frettoloso abbraccio. Lei indossava già l’uniforme di Hogwarts e portava in bella vista una grossa spilla rossa e gialla, su cui era incisa un’elaborata “C”.

«Finalmente il gran giorno, hai visto quanta gente!» gli disse mentre abbracciava e baciava ora anche Ginny e la signora Weasley.

Harry non rispose, si girò invece intorno alla ricerca di Ron che sembrava essere completamente sparito insieme al carrello con le sue cose. Mentre cercava di distinguere la rossa capigliatura dell’amico tra le centinaia di teste che aveva intorno, il respiro gli morì in gola. Tutta la folla che li

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circondava indaffarata fino ad un istante prima era ora qua-si pietrificata e si stringeva lentamente intorno a loro. Non smettevano di fissarli con sguardi perplessi e incuriositi, in-dicandoli e bisbigliando rumorosamente senza ritegno. Har-ry si voltò verso Hermione che lo fissava già con aria morti-ficata mordendosi un labro. Era stata lei a chiamarlo a gran voce in mezzo a tutta quella gente e ora tutti lo avevano rico-nosciuto. Ci fu un primo coraggioso flash e poi all’unisono partirono centinaia di altre macchine fotografiche. Nel giro di un istante Harry non riuscì più a distinguere nulla di ciò che lo circondava tanto lo stavano abbagliando gli scatti.

Non aveva idea di come uscire da quella situazione, ci sarebbe voluto Hagrid per disperdere quella folla fuori con-trollo, ma l’amico gigante era quanto mai lontano. Ginny, la signora Weasley ed Hermione potevano essere ovunque, lui ormai veniva liberamente strattonato a destra e sinistra, la profezia del signor Weasley si era avverata. Stava valutando se fosse reato o no tirare fuori la bacchetta e schiantarli tutti, quando improvvisamente il terreno sotto i loro piedi venne scosso terribilmente. Si udirono grida e molte delle persone che si erano arrampicate addirittura sui propri bauli per fo-tografare Harry cadde a terra.

«MANTENETE LA CALMA E FATE LARGO» tuonò una voce metallica sovrastando ogni altro suono. La folla si aprì bisbigliando prima spaventata, poi eccitata. Un uomo alto quasi due metri e dalla corporatura granitica veniva

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avanti verso Harry tenendo la bacchetta davanti alla boc-ca come se parlasse ad un microfono. Rapidamente con un gesto inaspettato la puntò verso terra, facendo scaturire un altro tremendo scossone, che quietò gli ultimi agitati.

«FATE PASSARE E MANTENETE LA CALMA» disse portando nuovamente la bacchetta alla bocca. Evidentemen-te quest’ultima amplificava, con una magia che Harry non aveva mai visto, la voce dell’uomo anche se a vederlo, gran-de e grosso come era, non sembrava averne bisogno.

Indossava una giacca a righe nere e bianche, ma Harry non poté fare a meno di notare che le righe bianche diven-tavano nere e viceversa, ma in maniera così frequente che il risultato faceva veramente venire il mal di testa. In testa teneva un vecchio cilindro un po’ consumato, decisamente troppo piccolo per lui, che stonava totalmente sia con il ve-stito sgargiante che con l’atteggiamento sportivo ed energi-co dell’uomo.

Quando raggiunse Harry lo prese per un braccio e lo tra-scinò accanto a sé.

«Guardate è Hudson Willis» gridò qualcuno tra la folla, «È vero è proprio lui» risposero altri. Tutte le persone che a prima vista sembravano americane scoppiarono in un fra-goroso e scalmanato applauso, mentre la maggior parte dei presenti chiedeva al vicino chi fosse quell’uomo.

Harry era visibilmente stordito, il sig. Hudson Willis con-tinuava a tenerlo saldamente per il braccio accanto a sé sen-

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za curarsi di lui, mentre salutava e sorrideva tranquillamente verso la folla.

«Il treno per Hogwarts sta per partire, vi prego di saluta-re i vostri figli e allontanarvi un po’ dai binari. Siamo tutti contenti che con noi ci sia Harry Potter, ma vi prego di non assalirlo in questo modo mai più, è solo un ragazzo...».

La stessa folla che fino ad un istante prima sembrava in-tenzionata a portarsi a casa un pezzetto di Harry ora annuiva saggiamente come se tale idea non gli avesse mai sfiorato la mente.

«…d’altronde non è per merito suo se i Golden Chocolate hanno vinto per 10 anni di fila il Campionato Nazionale!» esclamò sempre sorridendo.

«È merito tuo Hudson» urlò un anziano mago con un cappellino calcato in testa «Sei tu il campione» fece eco un bambino di non più di sei anni che si trovava in braccio ad una signora a pochi passi da Harry, e a quell’esclamazione tutti applaudirono nuovamente.

Il fischio di avvertimento dell’espresso riscosse tutti da quello stato di eccitazione, e una nuvola di vapore che fuo-riusciva da sotto il treno li convinse a riunirsi ai propri cari e ai propri bagagli.

Un uomo si avvicinò a grandi passi ad Hudson riferendo-gli con aria greve una cosa all’orecchio, questi finalmente lasciò Harry e senza rivolgergli alcun segno di intesa si di-resse a passo svelto verso la locomotiva.

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Harry lo guardò andare via senza riuscire a spiccicare una parola, cosa ci faceva alla stazione di King’s Cross quello che gli era sembrato di capire fosse un noto campione spor-tivo americano? Che fosse il genitore di uno dei ragazzi? Ma allora perché quell’uomo era venuto a chiamarlo con fare così misterioso? Mentre riusciva ancora a distinguer in lontananza parte del cilindro che si confondeva con il resto della folla Harry fu raggiunto da Ginny, la signora Weasley ed Hermione.

«Scusa Harry è stata colpa mia, come mi è venuto in men-te di chiamarti in quel modo davanti a tutti» si scusò Her-mione con gli occhi lucidi, mentre Harry cercava la mano di Ginny per stringergliela, contento che stesse bene.

«Non preoccuparti Hermione, non è stata colpa tua… chi poteva aspettarselo!» disse ripensando alle raccomandazio-ni del signor Weasley.

«Dov’è Ron?» chiese Molly che non smetteva di guardar-si intorno inquieta, ora imitata anche da Hermione.

«Ehm è sparito prima che succedesse il parapiglia, credo fosse salito sul treno appena ha visto…» stava per dire “ap-pena ha visto Hermione correre verso di noi” ma per fortuna riuscì a correggersi «…appena ha visto la gente che comin-ciava ad agitarsi!» concluse.

«Ora scusatemi ma devo correre dagli altri Prefetti. Sa-pete, è tradizione che il Caposcuola faccia loro un discorso, c’ho lavorato tutta la notte e...».

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«Capisco» fece Harry mentre tentava di rigirare il suo baule capovolto.

Probabilmente l’amica non era riuscita a prendere sonno quella notte, ed era rimasta sveglia a perfezionare anche la più piccola virgola del suo sicuramente pomposo discorso.

Hermione salutò la signora Weasley e si affrettò a salire sulla carrozza più vicina.

Harry finì di riunire tutti i bagagli proprio quando il tre-no emise l’ultimo fischio di avvertimento cominciando a muoversi.

«Presto, presto!» disse la Sig.ra Weasley abbracciando sia Harry che Ginny più volte.

«Salutatemi quel testone di Ron e ditegli di mandarmi un gufo appena arrivate. Voi due fate i bravi e scrivete spesso e mi raccomando…» disse mentre cercava nella sua grande e caotica borsa un fazzoletto per asciugarsi gli occhi «…fate i bravi» ripeté ancora una volta quando ormai erano già saliti.

Il treno iniziò lentamente a prendere velocità e Harry co-minciò a farsi strada per il corridoio a testa bassa senza in-crociare lo sguardo di nessuno.

«Speriamo che quell’idiota di mio fratello abbia alme-no preso uno scompartimento» affermò Ginny piuttosto seccata.

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«Me lo auguro» rispose Harry dando uno strattone al bau-le che si era incastrato nell’intercapedine tra un vagone e l’altro.

Camminarono lentamente lungo il corridoio trascinando le loro cose, scrutando velocemente l’interno degli scompar-timenti, che erano fino ad ora tutti occupati. Il treno era evi-dentemente più pieno del solito. Harry non poté fare a meno di notare che gli studenti di tutte le classi continuavano a fissarlo con rinnovato interesse. Lanciò un’occhiataccia a un ragazzo che conosceva solo di vista e che sembrava stesse per avvicinarsi. Questi si fermò dov’era perdendo tutto l’en-tusiasmo con cui si era mosso. Harry si domandò se valesse la pena di schiantarne uno a caso per dare una lezione a tutti. Si ripromise di pensarci con calma.

Finalmente da una delle ultime carrozze videro Ron fargli cenno da dentro uno scomparto, tranquillo e felice come se nulla fosse accaduto.

«Tutto bene?» domandò Ron vedendo le loro facce scure.

«Tutto bene? Ma sei scemo o cosa! Non hai visto tutto quel casino? Ti eri addormentato?».

«Quando è successo tutto ormai ero quaggiù e non c’è stato modo di raggiungervi… poi è arrivato Hudson Willis ed è andato tutto bene no? Come è da vicino Harry? è tosto come sembra?».

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«Ma non hai capito che Harry e anche io e la mamma ab-biamo rischiato di rimanere schiacciati tra la folla? E tu per le tue stupide liti con Hermione sei sparito senza dire nulla a nessuno? E se ci fosse servita una mano? E se…».

«Dai Ginny lascia stare, ormai è andata e Ron non poteva prevedere quello che sarebbe successo…» intervenne Harry mentre tirava fuori dalle ceste Snitch e Arnold, che comin-ciarono a rimbalzare allegramente per lo scompartimento.

Lasciarono cadere l’argomento sistemandosi comoda-mente. Ron si sedette vicino al finestrino a braccia incro-ciate chiuso nuovamente nel suo ostinato mutismo. Harry, che non sopportava di vederlo così si ricordò che l’amico pochi istanti prima aveva nominato Hudson Willis come se lo conoscesse.

«Ron tu conosci quell’Hudson Willis?».«Certo che lo conosco è una leggenda!» disse Ron voltan-

dosi ora più tranquillo.«Non mi stupisco che tu non lo conosca, non leggi mai

nulla di Quidditch! Comunque lui gioca nella divisione americana e quindi non tutti lo conoscono, ma in ogni caso lui è il migliore in tutto, nelle acrobazie, nel disarcionare gli avversari… le sue picchiate sono storia!».

«Ma cosa ci faceva qui secondo te?».«Non saprei sono due anni che si è ritirato. Ma si è ritirato

da vincitore, ha vinto il suo decimo titolo consecutivo e…»

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In quel momento, un bambino, sicuramente del primo anno, bussò debolmente all’entrata della cabina.

«Ho... io ho… io ho un messaggio per Harry Potter» esor-dì il piccolo quasi tremando.

«Lo hai trovato, cosa vuoi?» disse Ron.«Dai non spaventare i bambini già il primo giorno!» lo

rimproverò Harry proseguendo in tono cordiale «Dimmi, sono io Harry. Chi mi cerca?».

«Il professor Lumacorno ha detto che vi aspetta tutti a pranzo nella sua carrozza, vuole festeggiare gli “eroi di Ho-gwarts”!» disse tutto d’un fiato.

«Oh che bellezza, il Lumaclub è di nuovo in attività!» esclamò Harry ironicamente. Quella notizia non lo ralle-grava nemmeno un po’. Certo il professor Lumacorno era una brava persona, ma il suo modo di fare non gli era mai piaciuto.

«Ok grazie piccolo, dì al professore che se riusciremo fa-remo un salto nella sua carrozza», il bambino annuì e corse via.

Harry poggiò stancamente la testa sulla spalla di Ginny che inizio a leggere una rivista che aveva tirato fuori dal baule.

Ron tornò a voltarsi verso il finestrino a braccia incrocia-te, il viso teso e pensieroso.

Harry prese la decisione che quella storia doveva finire. Se possibile già prima di arrivare ad Hogwarts. Una volta

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a scuola, Ron e Hermione non avrebbero potuto continuare ad evitarsi: la situazione doveva risolversi il prima possibile. Lui avrebbe dovuto… non riuscì a terminare quel pensiero, si stava addormentando...

Harry si ritrovò a camminare lungo i binari, non sapeva come fosse finito lì ma l’unica cosa che gli sembrava sen-sata era seguire il percorso del treno. Lo spazio era molto stretto, il binario era stato ricavato sul versante di una mon-tagna, alla sua destra si innalzava il muro roccioso e alla sua sinistra si apriva lo strapiombo.

A quel punto si accorse che c’era qualcuno che cammina-va un po’ più avanti a lui. Un uomo avvolto in un mantello nero.

«HEY!» chiamò Harry.L’uomo non rispose.«Sa dirmi dove siamo?» chiese.L’uomo si voltò. Aveva il cappuccio calato sulla testa,

non era possibile vederlo in faccia. Si chinò raccogliendo un sasso da terra e iniziò a lanciarlo e riprenderlo con la mano.

«Mi scusi, non so dove siamo, potrebbe aiutarmi?».L’uomo alzò il braccio, caricò il tiro e scagliò la pietra

contro di lui.Harry fece appena in tempo ad accorgersi del lancio e a

muoversi sul lato per schivarlo. Era al limite del burrone.

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In questi casi i riflessi da giocatore di Quidditch facevano comodo.

«Ma è impazzito! Cosa... ».Non fece in tempo a parlare che l’uomo gli tirò un altra

pietra.Questa volta non fu altrettanto pronto: fu colpito dritto in

fronte. Perse l’equilibrio.Senza quasi rendersene conto si ritrovò a precipitare giù

nel dirupo.La testa gli pulsava dolorosamente. Poi, improvvisamente, tutto divenne bianco e soffice ed

Harry iniziò a volare in aria. Solo allora intravide qualcosa sotto di lui, sembrava un bosco.

Iniziò a planare dolcemente. Arrivato più vicino a terra si accorse che c’era un edificio decadente. Continuava a scendere, stava per impattare contro il tetto.

Portò istintivamente le braccia in avanti per proteggere il viso. Non successe niente. Attraversò il tetto come se fosse fatto di niente.

Si ritrovò in una stanza buia. C’era solo una fioca luce che proveniva da un angolo. Un uomo incappucciato, era seduto ad un grande tavolo, consultando attentamente un vecchio libro malconcio. Sul tavolo c’era anche una per-gamena su cui una penna stava scrivendo incessantemen-te: probabilmente stava prendendo appunti. La pagina era riempita con dei simboli che Harry non conosceva.

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Cercò di vedere in faccia l’uomo ma proprio in quel mo-mento sentì delle voci. Più in la c’erano altre persone. Un uomo stava parlando. «Per fortuna che è in nostro possesso, a quanto dice Cinereus il suo potere è più grande di quan-to immaginavamo ...» la voce si affievolì, la stanza iniziò a svanire. Era di nuovo tutto bianco.

Aprì gli occhi, ritrovandosi nello scomparto del treno, era stato solo un sogno.

Snitch tremava vistosamente sulle sue ginocchia, aveva la stessa colorazione arancio scuro che aveva assunto quel gior-no in camera sua e, come allora, sembrava proprio che rea-gisse con agitazione quando Harry faceva sogni inquieti.

Il sogno da cui si era appena svegliato era stato davvero strano. Poteva trattarsi di una premonizione? O più proba-bilmente, era stato solo il frutto della sua immaginazione?

Harry si guardò intorno, nello scomparto era rimasto solo.

Uscì nel corridoio sbadigliando, ma fuori c’erano solo al-cuni ragazzi che discutevano animatamente di una partita di Quidditch, di Ginny e Ron neanche l’ombra. Decise di rientrare prima che qualcuno lo notasse, ma proprio mentre stava richiudendo le porte dello scompartimento, le grida di un’Hermione furiosa squarciarono il silenzio dell’espresso. Harry si precipitò lungo il corridoio nella direzione da cui aveva sentito provenire la voce dell’amica, passò veloce-

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mente nell’altra carrozza e appena superata la porta diviso-ria vide Ron e Ginny nel corridoio, assiepati insieme ad altri ragazzi, davanti alla porta di uno scomparto.

Harry si avvicinò guardando a sua volta all’interno col fiato sospeso. Hermione discuteva animatamente faccia a faccia con un ragazzo biondo, evidentemente un america-no. Dietro di lui altri due ragazzi sghignazzavano malevoli all’indirizzo di Hermione. Seduto a terra, tra Hermione e l’americano biondo, un ragazzino spaurito guardava scon-certato prima uno poi l’altro.

Harry rimase senza fiato, il biondino che stava litigando con l’amica sembrava lo stesso che l’aveva seguito a Go-dric’s Hollow. Certo non poteva esserne sicuro, il cappello che portava ben calcato in testa quel giorno mascherava i lineamenti del viso, ma più lo guardava più era pronto a giu-rare che fosse proprio lui.

«Bene, bene, guardate un po’ chi abbiamo qui, Harry Pot-ter!» disse proprio il ragazzo biondo fissandolo con un sor-riso di scherno e un’aria di superiorità.

«Hermione! Che succede?» domandò Harry entrando a sua volta nello scomparto, facendosi largo tra Ron e Ginny che ancora non lo avevano visto.

«Oh, ora che è arrivato Harry Potter sicuramente potrà aiutarci a risolvere questa fastidiosa questione… ».

Harry guardò Hermione con aria interrogativa. La ragaz-za sospirò, cercando di riprendere il controllo.

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«Lui» disse indicando nervosamente l’americano «sostie-ne che questo ragazzino sia entrato nel loro scomparto e gli abbia rubato una Mementool… » concluse indicando il pic-coletto seduto sul pavimento, che li guardava con la bocca sbarrata e gli occhi imploranti.

«Una Memencosa?» domandò Harry.«Una Mementool, mio caro amico… una preziosa ricor-

della di ultima generazione! Può essere usata come gioiel-lo, portachiavi o incastonata nella cintura, come la mia. Va stretta fra le mani e se compare un fumo rosso bisogna pro-nunciare la formula Memento! Il fumo scompare e al suo posto si trova l’immagine dell’oggetto dimenticato. Natu-ralmente non potete conoscerla, è un’invenzione americana e voi siete così arretrati...».

«Tutto qui? E per una cosa del genere vi si sentiva urlare per tutto il treno?».

«Scusate, ma in America, noi, i criminali li puniamo, non li proteggiamo… per una questione di orgoglio, sapete? Ma forse voi inglesi non conoscete questa parola…».

«Veramente noi inglesi abbiamo problemi più seri che at-taccar briga con ragazzini più piccoli…» disse Harry indi-cando il piccolo mago tremante.

«Oh, ma nessuno di noi voleva attaccar briga con lui, vero ragazzi? Vogliamo solo che ci ridia quello che ci appartie-ne… non vi sembra forse una richiesta giusta?».

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Harry si voltò verso Hermione cercando di interpretarne l’espressione. In effetti quella era una situazione che dove-vano risolvere i prefetti e a maggior ragione era compito del Caposcuola far rispettare le regole, anche se in favore di un’insolente e borioso ragazzo americano.

«Sei entrato nel loro scomparto e hai rubato la Memen-tool a questo ragazzo?» disse Hermione rivolgendosi per la prima volta al ragazzo a terra.

«No! Non sono stato io! Non ho fatto niente! Davvero!» rispose quest’ultimo agitato.

Hermione gli accarezzò una spalla, tentando di tranquillizzarlo.

«Visto? Non è stato lui…».«E vi fidate? è solo un ragazzino e…».Una voce fredda e imponente interruppe il battibecco dei

ragazzi.«Che sta succedendo?».L’alta figura di Draco Malfoy era comparsa dal nulla, se-

guita dal solito stuolo di Serpeverde.La situazione si era fatta davvero affollata.Harry trattenne il fiato. Non rivedeva Draco dalla battaglia finale, l’ultima imma-

gine che lo riguardava era impressa a fuoco nella sua mente: tutti e tre i Malfoy che si stringevano in un abbraccio a fine scontro, quando Voldemort era ormai morto. Harry non poté far a meno di notare come ogni anno assomigliasse sempre

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di più a suo padre Lucius. I capelli biondi, lunghi ormai fino alla base del collo e tirati indietro, gli occhi sottili e freddi, il passo sicuro e l’aria di costante superiorità.

Sì, erano veramente identici. Chissà come aveva passato l’estate Malfoy, penso Harry.

A sorpresa scoprì di non averci mai pensato. La morte dei suoi amici, la sconfitta del signore Oscuro, la nuova vita, i rimpianti e le soddisfazioni avevano riempito tutte le sue giornate, non lasciandogli neanche un momento per pensare a Malfoy.

Quella famiglia era legata alla sua vita in maniera impres-sionante. Draco era stato uno dei primi ragazzi che aveva conosciuto il primo anno, ricordava ancora quel ragazzino che gli offriva la sua amicizia sulle scale di Hogwarts deri-dendo Ron.

E la punizione che avevano subito assieme, costretti ad andare nella Foresta Proibita? Come dimenticarsene! Era stata proprio quella la prima volta che aveva incontrato il nuovo Voldemort che si cibava del sangue di unicorno.

E le risate per quella volta che Moody lo aveva trasformato in un furetto? Sembrava impossibile quel giorno ipotizzare che Draco giunto al sesto anno avrebbe avuto l’incarico da Voldemort in persona di uccidere Silente. Harry che aveva assistito alla scena contro la sua volontà si chiedeva ancora se mai Draco ne avrebbe avuto il coraggio.

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Lo aveva rincontrato a Malfoy Manor, quando erano rin-chiusi nelle prigioni. In quell’occasione era ancora più palli-do e scarno del solito.

Alla fine, era stato grazie a Narcissa che Harry aveva po-tuto portare a termine il suo piano. Era stata lei infatti a men-tire a Voldemort, affermandone la morte. In cambio aveva solo voluto sapere se il suo Draco era ancora vivo e stava bene. Già, se c’era una cosa che Harry aveva sempre invi-diato a Draco era proprio questo, la famiglia. Non che i Mal-foy brillassero per bontà d’animo e altruismo, e lui non era certo interessato alle loro ricchezze, ma erano certamente molto legati. Il loro affetto era forte.

Se fosse toccata anche a lui una vita normale, chissà se avrebbe avuto un rapporto così profondo con i suoi genitori come lo avevano i Malfoy o se invece il rapporto con la sua famiglia sarebbe stato più superficiale come aveva visto per molti suoi compagni di casa.

«Piantala di fissarmi così Potter, rischi di sciuparmi… » disse Draco risvegliando Harry dai suoi pensieri.

I Serpeverde risero a crepapelle. «Sparisci Malfoy!» esclamò Ron paonazzo, le orecchie

prossime a fumare. «Stai a cuccia Weasley» disse rivolto a Ron, «sono ve-

nuto solo per capire cosa stava succedendo… la “soave” voce della nostra cara Caposcuola si sentiva fin nel nostro scomparto…».

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Hermione fissò con astio Draco mentre alle sue spalle il gruppo degli americani ridacchiò.

«Nulla che ti riguarda Malfoy, puoi tornartene…».«Sono invece certo che riguardi più noi che voi Grifoni…

Tu!» la interruppe Draco, rivolgendosi poi al ragazzino che sostava ancora sul pavimento.

«Sei tu la causa di tutto, giusto?».Il ragazzino annuì velocemente, tenendo la bocca spalan-

cata. Draco sorrise soddisfatto.«Come immaginavo… Allora? Che è successo?».L’americano ridacchiò, facendo qualche passo in avanti

per fronteggiare Malfoy. «Te lo dico io, questo ragazzino è un ladro». «E che cosa avrebbe rubato?».«Una Mementool…».Draco sghignazzò, seguito a ruota da Goyle, Zabini e

Nott. «Tutto qui? Tutta questa storia per una simile paccotti-

glia? Un oggetto inutile per chi abbia un minimo di cervello e un minimo di gusto… mi sorprende che tu ne possedessi uno, Hyde… che caduta di stile!».

Harry fissò Draco stupito, aveva chiamato l’americano Hyde, quindi lo conosceva già.

Hyde continuò a sorridere ma era evidentemente in dif-ficoltà, i due ragazzi che lo spalleggiavano schiumavano a loro volta di rabbia. Nessuno era bravo come Draco a far perdere le staffe.

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«Può essere Malfoy, può essere, ma resta il fatto che è stato commesso un furto…».

«Oh, che cosa spiacevole…».Le risate di Goyle ormai rimbombavano per tutto il corri-

doio in modo davvero sgradevole.Harry si sentiva stranamente fuori luogo. Di solito era lui al posto di Hyde, deriso da Draco, di solito

era Ron quello fumante di rabbia al suo fianco. Per qualche perversa ragione, Harry iniziò a sorridere davanti a quella scena.

Malfoy si frugò vistosamente nella tasca, estraendone in-fine un Galeone.

«Ecco, tieni... un galeone per Bryan Hyde e non fare com-plimenti! è un preciso dovere della Madrepatria aiutare le sue colonie quando queste si trovano in ristrettezze…».

Bryan fissò la mano di Draco ad occhi sgranati. Il viso dell’americano si trasformò per un attimo in una maschera di rabbia feroce, ed Harry notò l’impercettibile movimento della mano destra di Hyde che si dirigeva verso la tasca po-steriore in cerca della bacchetta. Ma fu solo un attimo, Hyde riuscì in qualche modo a dominarsi e a riportare sul suo viso il solito ghigno da iena.

Senza dire una parola, uscì dallo scomparto ridacchiando, facendosi strada a spallate seguito dai suoi compagni.

Draco fissò il ragazzino che continuava a restare imper-territo sul pavimento della carrozza.

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«Beh? Che cosa aspetti ad alzarti?». Veloce il piccoletto schizzò in piedi, cercando di togliere

la polvere dalla divisa nuova di zecca. «Il tuo nome?».«Daniel… Daniel Fox…».Il ragazzo balbettava e Harry notò come guardava ammi-

rato Draco, venerandolo come se fosse una qualche divinità pagana. Incominciò a frugare freneticamente nella sua tasca, estraendone infine il contenuto.

«Ecco! Questa è per lei Signor Malfoy!».Draco, sorpreso da tanta devozione, prese in mano la pic-

cola Mementool, grande come un boccino. «Sì, credo proprio che questo ragazzino sarà un ottimo

Serpeverde…».La piccola sfera dopo l’ordine di Malfoy fece apparire

l’immagine di un piccolo libro verde. «Il mio libro di Pozioni… devo averlo dimenticato a casa.

Sarà meglio che me lo faccia spedire… ».Malfoy giocherellò con la sfera, passandosela da una

mano all’altra mostrandola ai suoi compagni. «Un oggetto molto utile, non trovate? Allora Fox, vieni

con noi? Così potrai spiegarci come hai fatto a fregarli … non è da escludere che nelle prossime giornate gli Ameri-cani si accorgano di aver “accidentalmente” perso qualche altro oggetto curioso».

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«Sì! Certo signor Malfoy! Sarà un piacere per me signor Malfoy!».

«La casa di Serpeverde, Fox, è una casa caratterizzata da sempre per qualità come ambizione e astuzia e…».

Draco si bloccò, Pansy con la solita faccia da mastino gli aveva stretto titubante un braccio e tutti gli altri Serpeverde dietro di lui lo fissavano dubbiosi.

«Draco… ecco… vedi…».«Muoviti Pansy. Non ho tutto il giorno per ascoltarti».«Conosco Fox … è … è un Mezzosangue… ».L’ultima parola fu distorta dalla bocca di Pansy come se

stesse per avere un conato di vomito.Draco alzò appena un sopracciglio, impassibile.«Ah, ecco …» era stato colto in fallo. «Beh da quest’anno

le regole sono cambiate. La legge imposta da Salazar Ser-peverde, per cui solo i Purosangue possono entrare nella sua Casa, è stata abrogata. Nostro malgrado dovremo sorbirci diversi ragazzi non figli di maghi quest’anno, facciamo al-meno in modo che siano degni».

Pansy non replicò, indietreggiando verso le sue amiche. Draco si voltò, per andarsene, Harry sorrise mentre la

bocca di Ron a quelle parole si spalancò a dismisura. Harry non riuscì a resistere, doveva parlargli.

«Draco!».Malfoy si voltò sbuffando. «Non una parola Potter. Sono certo che hai frainteso tutta

la situazione…».

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«A me sembra invece molto chiara…».«Già! Non sei poi così viscido…» disse Hermione in tono

canzonatorio.Ginny ridacchiò, seguita a ruota dal fratello. «Un Malfoy gentile… chi lo avrebbe mai detto?!».Draco mantenne la sua solita arroganza, fissando impassi-

bile i quattro che a stento trattenevano le risate.«è stato un bel gesto Draco, davvero…».«Potter questo è il MIO treno che porta alla MIA scuo-

la… non permetterò certo al primo arrivato di maltrattare le MIE cose…».

Harry sorrise e per un breve istante gli sembrò che anche il ghigno di Draco fosse un sorriso.

«Non ho altro tempo da perdere per parlare con un Casto-ro, una Piattola in miniatura e Lenticchia quindi, se volete scusarmi…».

Le orecchie di Ron che avevano ripreso un colorito nor-male durante il litigio fra Draco e Hyde tornarono rosso accese.

Hermione fece appello a tutto il suo autocontrollo per non saltargli addosso.

«Lo sai che questa storia non finisce qui vero?» gli disse ritornando nel suo ruolo di Caposcuola.

Draco proseguì lungo il corridoio, seguito dagli altri Ser-peverde, senza neanche voltarsi. Malfoy non sarebbe mai cambiato, o almeno, non del tutto pensò Harry sorridendo.

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Erano rimasti soli nel corridoio, anche i curiosi si erano allontanati. Harry sentì il suo stomaco brontolare e si ricordò così dell’impegno che avevano per pranzo.

«Che ne dite se andiamo a mangiare qualcosa da Lumacorno?».

«In effetti ho proprio appetito» disse Ron raggiante, scac-ciando ogni preoccupazione dalla mente.

Harry vide Ron voltarsi esitante verso Hermione.«Vieni... vieni anche tu?» sputò fuori.«In effetti non avevo tanta voglia di andare, ma se venite

anche voi... vengo volentieri» rispose Hermione fissandosi le scarpe per non incontrare lo sguardo di Ron, che sembra-va ora finalmente un po’ più rilassato.

Non era proprio pace fatta pensò Harry, ma per iniziare poteva andare.

Quando arrivarono, la carrozza di Lumacorno era già pie-na di gente. Le pareti erano adorne di stoffe e tende, tutte in una tonalità rosso scuro. Sul soffitto era fissato un lampada-rio enorme, sproporzionato per l’altezza della carrozza, tan-to che quasi toccava il piano del grande tavolo che occupava il centro della stanza.

Seduto vicino al finestrino il professor Lumacorno era in-tento ad intrattenere una fitta conversazione con qualcuno che Harry non riusciva a vedere, la visuale ostruita da alcuni ragazzi che già due anni prima erano stati membri del Lu-maclub e da molti altri nuovi, probabilmente al loro primo anno.

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Prima che potessero avvicinarsi al professore Neville si parò davanti a loro seguito da Luna.

«Hey, ragazzi! Siete arrivati finalmente. Allora come ave-te passato l’estate? Io... ».

In quel momento si aprì in varco tra le persone e final-mente Harry riuscì a scorgere il professore. Lumacorno era sgraziatamente appollaiato su una sedia, o almeno così si poteva ipotizzare, perché la sedia era completamente na-scosta sotto la sua mole. Harry andò a salutare il vecchio professore quando si fermò per lo stupore. Seduto di fianco a Lumacorno, impettito e composto con l’enorme sorriso stampato sulla faccia c’era Hudson Willis.

Harry pensava che se ne fosse andato quando lo aveva visto allontanarsi verso la testa del treno. Cosa ci faceva Hu-dson Willis sull’Espresso per Hogwarts?

Mentre Harry se ne stava impalato, Lumacorno lo vide, e cominciò a chiamarlo a gran voce. Aveva riservato dei posti per loro. Fece accomodare Ginny, Hermione e Ron vicino a lui. Harry, Luna e Neville si sedettero di fronte.

Ron era estasiato. Non smetteva di fissare il campione di Quidditch letteralmente a bocca aperta, Harry si aspettava da un momento all’altro di vedere la saliva dell’amico cola-re sul pavimento della carrozza.

«Caro Hudson mi pare di capire che hai già conosciuto il nostro “Harry Nazionale”, questi cari ragazzi invece sono Ronald Weasley, sua sorella Ginny, la signorina Hermione

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Granger, Neville Paciock e Luna Lovegood» disse Luma-corno pomposo.

«Ragazzi sono lieto di presentarvi Hudson Willis, o me-glio ora dovrei dire professor Willis, mio amico di lunga data. Quest’anno sarà lui ad insegnarvi Difesa Contro le Arti Oscure. Sono certo che molti di voi lo conosceranno come campione di Quidditch, ma credo di non esagerare se dico che è il più grande esperto di Arti Oscure d’oltre oceano!».

Sicuramente l’incontrò di quella mattina alla stazione non aveva lasciato ad Harry quest’impressione.

Willis portò la mano al cilindro alzandolo impercettibilmente.

«Horace, tu mi lusinghi» disse con falsa modestia, «Co-munque, stando a quello che mi hai raccontato, questi ra-gazzi probabilmente la sanno più lunga di me... » continuò rivolgendosi a Harry: «...tu, ragazzo, hai sconfitto uno dei più potenti maghi di tutti i tempi, tanto più che era armato con la leggendaria Bacchetta di Sambuco».

Harry fu colto di sorpresa. I dettagli della battaglia di Ho-gwarts ormai erano di dominio pubblico e questo non era sicuramente un bene: il suo compito sarebbe stato ancora più difficile. La Bacchetta di Sambuco destava decisamente troppo interesse.

«Lei esagera,» rispose Harry, «Voldemort è stato più de-cisivo nel determinare la sua fine di quanto lo sia stato io. In certi casi, più che l’arma, la cosa più importante è il cuore di chi la usa».

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«Su ragazzo, non sottovalutarti. Vedo che Horace non ha esagerato descrivendo la tua modestia. Quello che hai detto è giusto, ma ricordati che un arma rimane potente qualun-que sia la persona che la possiede. L’importante è che a pos-sederla siano le persone giuste… ».

Si sentì uno sgradevole rumore provenire da sotto il tavo-lo: lo stomaco di Ron reclamava pesantemente. Lumacorno fece una grassa risata e, grato di avere un pretesto per ripren-dere le redini della conversazione, disse: «Hai ragione ra-gazzo, siamo qui per mangiare non per chiacchierare. Buon appetito a tutti!» disse rivolto a Ron che divenne, per quanto possibile, ancora più rosso.

Harry ringraziò il proverbiale appetito dell’amico per ave-va fatto deviare il discorso. L’interesse del professor Willis per la Bacchetta non gli piaceva, e le sue parole lo stavano mettendo a disagio.

Lumacorno, levò la bacchetta e la porta della carrozza si spalancò. Un mucchio di piatti pieni di pietanze iniziarono a levitare nella stanza per andare a posarsi ordinatamente sul tavolo. Per lui questi incontri erano essenziali per tessere la sua ragnatela di rapporti e il pranzo doveva essere l’occasio-ne per una lunga chiacchierata.

«Sai Hudson, Harry mi ha confidato che vuole diventare un Auror. Penso che con te come insegnante non avrà… ».

Improvvisamente si interruppe.I bicchieri sul tavolo iniziarono ad oscillare tintinnando

uno contro l’altro.

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Dall’esterno arrivò un forte rumore sordo, un fragore che Harry sentì vibrare all’interno del suo torace prima ancora di avvertirlo nelle orecchie. Non riuscì a ricondurre quella sensazione a niente che avesse già provato.

«Oddio ... c’è un burrone!» gridò Ron guardando fuori dalla finestra nella speranza di capire da dove provenisse quel rumore. Il quel tratto il binario era stato costruito sul ciglio di uno strapiombo e il treno correva ad un niente dal vuoto.

Harry andò ad un finestrino al lato opposto a quello in cui si trovava Ron guardando verso l’alto. Un’enorme sagoma scura si stava rapidamente avvicinando: un pezzo di monta-gna si era staccato e rotolava pesantemente verso di loro.

«TUTTI A TERRA!» gridò disperatamente. Un attimo dopo la massa di roccia colpì violentemente il

treno. La mente di Harry andò velocemente a Ginny, saltò sul tavolo e si avventò su di lei tirandola a terra e proteggen-dola con il corpo. I vetri dei finestrini esplosero lanciando schegge in tutte le direzioni.

Il colpo aveva sbilanciato la carrozza che si stava lenta-mente piegando sul lato; solo la velocità data dalla locomo-tiva impediva al treno di ribaltarsi completamente. Il pesan-te tavolo iniziò a scivolare verso di loro abbattendo le sedie, piatti e bicchieri rovinarono a terra. Harry si schiacciò su Ginny parandosi tra lei e il tavolo.

Hermione, Ron, Lumacorno e altri si trovavano al loro fianco appiattiti contro il muro.

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Harry chiuse gli occhi preparandosi all’inevitabile impat-to, ma il colpo del duro legno del tavolo non arrivò. Si trova-rono invece tutti avvolti da qualcosa di elastico e morbido.

Aprì gli occhi incredulo, in altre circostanze forse si sareb-be messo a ridere: il tavolo, le sedie e persino le vettovaglie erano spariti, al loro posto c’era un gigantesco materasso in gomma. Su di esso vide Neville, caduto gambe all’aria, letteralmente intrecciato ad altri quattro o cinque corpi. Un palloncino verde aveva preso il posto del lampadario.

Dietro di loro la massiccia sagoma del professor Willis li osservava tenendosi con una mano al telaio del finestrino or-mai scoppiato, mentre con l’altra teneva la bacchetta rivolta verso tutti i presenti.

Aveva agito con una velocità formidabile.Harry lo fissò con aria interrogativa e lui rispose con un

occhiolino e un mezzo sorriso compiaciuto. Dopodiché fece scomparire l’ingombrante materassino.

Le pareti della carrozza cigolarono, ormai il precario equi-librio in cui si trovava il treno era rotto: si stava inesorabil-mente piegando verso il burrone.

In una frazione di secondo si ritrovarono scaraventati in tutte le direzioni. La carrozza compì un intero giro su se stessa precipitando. Il leggendario Espresso per Hogwarts era ufficialmente senza controllo: stava cadendo nel dirupo.

La forza che spingeva in basso il treno li fece sollevare e schiacciare contro il soffitto.

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Non c’era tempo, Harry tasto i pantaloni in cerca della Bacchetta di Sambuco, in quella situazione non poteva per-mettersi di provare se la sua era sufficientemente potente.

Quando finalmente riuscì a infilare la mano in tasca, sentì, tra le grida generali, la voce del professor Willis: «Wingar-dium Leviosa!».

Era ancora saldamente ancorato alla finestra, apparente-mente calmo, con la bacchetta protesa in avanti.

«Wingardium Leviosa» tuonò ancora con rinnovato vi-gore. Il treno finalmente rallentò la sua corsa. Ora, il viso di Willis faceva trasparire tutto lo sforzo in cui era impe-gnato. Agitò nuovamente la bacchetta e il treno si bloccò completamente.

Il contraccolpo li fece staccare dal soffitto e schiantare sul pavimento.

Harry sentì un forte dolore alla gamba destra, aveva preso un brutto colpo. Cercò disperatamente Ginny con gli occhi, rilassandosi solo quando la vide, poco dietro a lui, apparen-temente illesa.

«Grazie al cielo!» disse Lumacorno mettendosi a sedere.Al quarto movimento del professor Hudson il treno iniziò

a risalire. La locomotiva fischiò riavviando i motori, i pisto-ni delle ruote iniziarono a muoversi sbuffando. Il treno prese lentamente velocità come se stesse percorrendo un binario invisibile.

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Ben presto anche tutti i vagoni seguirono la locomotiva nella sua traiettoria. Il treno salì in alto fino al punto da cui era caduto. Si posizionò in modo elegante sopra i veri binari e con un tonfo ritornò nella sua sede naturale fermandosi.

Erano tutti a terra senza parole. Anche il professor Willis si gettò sul pavimento visibilmente stravolto.

«Cielo Hudson, se non fosse stato per te ora …» disse Lumacorno.

«Se non fosse stato per me, ci avrebbe pensato qualcun altro. Per un attimo ho temuto di non farcela, ma poi ho tro-vato la forza!» rispose l’altro con respiro affannato, sottoli-neando il suo merito.

«Ma cosa è stato?» chiese Lumacorno.«Una... frana» disse Harry.«Guardate lassù» disse Hermione. Era in piedi vicino a

quello che rimaneva del finestrino indicando qualcosa in alto. Harry, a denti stretti per il dolore alla gamba, si avvici-nò a guardare: nella montagna scura, risaltava una superficie di pietra nuda che vedeva la luce del sole per la prima volta dopo milioni di anni.

«Proprio ora doveva staccarsi?» disse Lumacorno sorri-dendo. «Per fortuna l’abbiamo scampata, grazie a te natural-mente» continuò riferendosi al professor Willis.

Harry aveva sottovalutato il nuovo professore. I suoi modi plateali e sbruffoni gli avevano fatto credere che fosse un tipo tutto fumo e niente arrosto. Si era sbagliato.

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La forza di cui era stato capace era degna di un grande mago. E poi, la prontezza e la velocità con cui aveva reagito erano state sorprendenti.

Dal finestrino videro che molti studenti stavano scenden-do dal treno in quel piccolo spazio in piano che c’era tra la rotaia e il muro di roccia.

«Horace, è meglio che tu vada subito ad Hogwarts ad av-vertire la signora preside, ci penso io qui» disse Hudson di-rigendosi fuori dallo scompartimento.

«Si hai ragione» disse. «Vi precederò a scuola, tu intanto assicurati che stiano tutti bene».

Detto questo lanciò un occhiata ai presenti e sparì veloce-mente con uno schiocco.

Quando Harry e gli altri uscirono, trovarono gran parte degli studenti già scesi a terra tutti più o meno storditi dal-l’accaduto. Alcuni ragazzi erano lievemente feriti e un paio di ragazze del settimo anno stavano prestando loro le prime cure.

«Tutto bene?» chiese Ginny apprensiva, evidentemente si era accorta che Harry stava leggermente zoppicando.

«Oh, non è niente» minimizzo lui.Hermione stava scrutando la montagna con quella strana

espressione che faceva quando c’era qualcosa che non riu-sciva a capire.

«Sarà, ma a me sembra un po’ troppo netta quella super-ficie, quante sono le probabilità che si crepi una montagna solida come quella» disse guardando in alto.

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In effetti la roccia sembrava tranciata di netto. «Bisognerebbe chiederlo ai due maghi che sono volati via

da quel punto della montagna poco prima che si staccasse» disse Luna senza rivolgersi a nessuno in particolare, mentre si sistemava un’improbabile molletta per capelli fatta con carta di Cioccorane e colla.

«Sei sicura Luna? Maghi su una scopa proprio in quel punto della montagna?» disse prontamente Harry prima che Hermione replicasse alla strampalata affermazione dell’amica.

«Oh si, ho dato un’occhiata fuori e c’erano questi due ma-ghi che si allontanavano a tutta velocità sulle loro scope… forse avevano capito che stava per crollare la montagna e sono scappati» concluse Luna come se nulla fosse, rimetten-dosi in tasca la strana molletta che si era sfaldata completa-mente tornando ad essere solo una carta di Cioccorana tutta stropicciata.

«Ma Luna non ti passa per la testa che forse proprio loro hanno fatto crollare la montagna!» disse Ron esasperato, dando voce ai pensieri di tutti.

«E perché mai avrebbero dovuto farlo?» rispose Luna fis-sandolo con i suoi occhi sporgenti.

«Luna ma tu potresti riconoscerli? Li hai visti bene?» in-tervenne Harry prima che Ron potesse aprir bocca.

«No, non saprei erano molto lontani… forse ripensando-ci potevano essere anche due grossi uccelli» concluse Luna cominciando a scrutare il cielo nella speranza di rivederli.

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Ron si mise le nocche della mano in bocca per non esplo-dere, anche Ginny che sempre era paziente con l’amica si girò scuotendo la testa.

«Poter sapere cosa hai visto veramente!» disse Harry sconfortato.

«Eh, già» fece Hermione «In questo caso sarebbe stato molto utile avere uno di quei cosi americani che vanno tanto di moda ultimamente».

«Di cosa parli?» chiese Ginny.«Si chiamano Retroglass, sono degli occhiali che ti per-

mettono di vedere cose successe nel passato,» spiegò, «l’uni-co difetto è che sono l’ennesima invenzione portata dagli americani!»

Ron incrociò lo sguardo di Harry sorridendo.«Vuoi vedere che... » disse Harry..«Lo spero... » rispose l’amico prima di sparire in un lam-

po nel treno.Gli altri si guardarono sbigottiti cercando di capirci

qualcosa. Ron ricomparve dopo un paio di minuti che sembrarono

ore. Aveva qualcosa in mano.«Ce ne hai messo di tempo, si può sapere dove sei spari-

to» disse Hermione.«Ehm, c’è un po’ di confusione tra i bagagli».«Se funzionano … questo è il momento buono di dimo-

strarlo!» disse Harry.

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Ron gli porse i Retroglass che aveva mandato Hagrid per il suo compleanno.

«Si può sapere dove gli hai trovati?» chiese Hermione.«Sono il regalo di Hagrid per il compleanno di Harry!».Harry tolse i suoi e inforcò gli occhiali magici. Guardò in

alto. Sul suo volto si leggeva la delusione.«Allora?» chiese Ginny.«Niente, solo quella stupida montagna spaccata!».«Ma Harry, se devi vedere il passato, devi usarli al contra-

rio, non ti pare?» disse Luna come se fosse la cosa più logica del mondo.

Harry, scoraggiato, fece anche quell’ultima prova.Si levò gli occhiali e li voltò con le stanghette verso la

montagna. Le lenti erano ancora lontane che gli si stampo in viso un sorriso a trentadue denti: vedeva la roccia ancora intatta.

«Luna sei un genio!» disse Harry con gratitudine.Lei rispose con un sorrisetto lusingato.Si avvicinò i Retroglass agli occhi, ora la frana era già ca-

duta. Giocò un po’ con la distanza, ormai aveva capito come funzionavano! Più erano lontani e più si vedeva una cosa successa nel passato, più li avvicinava più gli avvenimenti erano recenti.

Aveva individuato il momento giusto, quello in cui ca-deva la frana. Vide un lampo, e poi la roccia che si crepava velocemente e si staccava.

Harry ritornò serio. «Cosa vedi?» chiese Ron impaziente.

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«Due uomini. Due uomini avvolti in un mantello nero. Sono stati loro! Non è stato un incidente!...

«Ora uno si sporge, ammira il suo lavoro».Harry puntò gli occhiali verso lo strapiombo, facendo at-

tenzione a mantenere sempre la stessa distanza dagli occhia-li, il treno stava cadendo. Tornò sul mago.

«Ha estratto la bacchetta, ma cosa sta facendo?».Riguardò in basso.«Ora il treno è fermo».«Probabilmente cercava di impedire al professor Hudson

si salvare il treno» disse Ginny. «Ora non ci sono più, se ne sono già andati, e infatti il

treno ha iniziato a risalire».Harry ripose i Retroglass in tasca.«Ricordatemi di offrire una Burrorirra ad Hagrid quando

lo vediamo».«Appena possibile dovrò riferire tutto alla McGranitt»

disse Hermione.Ed io a Kingsley pensò Harry.Il treno fischiò, era nuovamente pronto a ripartire, tutti i

vetri erano già stati sistemati e i bauli ordinati negli scom-parti. Risalirono in carrozza sistemandosi tutti insieme.

«Speriamo non ci siano altre sorprese» disse Ginny.«Lo spero proprio» rispose Harry guardando attraverso il

finestrino.L’avevano scampata. Ma questa volta avevano rischiato

grosso. A Diagon Alley si erano limitati ad aggredire Ron, ora, invece, non avevano esitato a mettere a rischio la vita

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di centinaia di ragazzi. Tutto per quella maledetta Bacchetta di Sambuco. Era sicuro che se quello non era stato un’in-cidente era accaduto a causa sua. Ancora una volta doveva sopportare il peso di essere la fonte dei guai altrui. Tornando a scuola aveva messo in pericolo tutti i suoi compagni. Si chiese se avesse fatto la scelta giusta. In ogni caso dove-va portare a termine l’ultimo compito affidatogli da Silente: doveva mettere al sicuro la Bacchetta. Qualche mese prima aveva preso la decisione di non tenerla per sé e l’aveva usata per riparare la sua. Averla sempre con sé e non poterla utiliz-zare non era facile.

Al compleanno di Ginny con troppa leggerezza non aveva esitato ad utilizzarla per duplicare lo specchio. In quel momento l’unica cosa che gli premeva era fare colpo sull’amata.

Doveva liberarsene al più presto, il suo potere era allo stesso tempo troppo grande e troppo pericoloso.

Ora qualsiasi posto in cui pensasse di riporla non gli sem-brava adatto. I Maghi Oscuri di cui gli aveva parlato King-sley erano evidentemente senza scrupoli.

Come se non bastasse c’era anche la seccatura dei maghi americani.

Guardò fuori. Si stava facendo sera, il sole era calato e la poca luce presente si diffondeva da dietro le montagne. Ormai si potevano riconoscere le familiari vette che circon-davano Hogwarts.

Una volta arrivati a scuola, sperò, sarebbero stati più al sicuro.

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Capitolo �0

il pRimo tentatiVo

Quando l’espresso si fermò alla stazione di Hogsmeade il sole era ormai calato. Mai arrivo fu più silenzioso: l’inciden-te avvenuto durante il viaggio teneva impegnati i pensieri di ognuno. Harry, con sua grande gioia, riuscì a scendere dal treno in tutta tranquillità senza che nessuno badasse troppo a lui. In lontananza vide i ragazzi americani che si stringe-vano intorno ad Hudson Willis che, spuntando i nomi da una pergamena, provvedeva personalmente a farli salire sul-le carrozze.

Dall’altro lato Hagrid invece stava radunato, come tradi-zione, i numerosi bambini del primo anno che, nel classico silenzio di chi si trova per la prima volta al cospetto del mez-zo gigante, lo ascoltavano ammaliati.

Non appena li vide da lontano, velocemente corse loro in contro.

«Harry! Ron! Ginny! Luna! Neville!» esclamò stritolan-doli ad uno ad uno tra le braccia possenti. «Sono felice che state bene! Quando ho saputo... Oh, avrei voluto esserci ad aiutarvi... ».

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«Non preoccuparti, dopo tutto stiamo tutti bene!» lo ras-sicurò Ginny.

«Certo ... certo. Ma sono felice di vedervi!», poi, cercan-do di avere un atteggiamento più formale, continuò, «Harry, la Mc Granitt vuole vederti nel suo studio prima dello smi-stamento. La prima carrozza è riservata a voi».

Harry si chiese come mai la preside volesse vederlo, non poteva sapere di quello che avevano scoperto e Lumacorno, a quest’ora, doveva averle già raccontato il resto.

Guardò Hagrid chiedendo spiegazioni.«Non ci so niente io! Mi ha solo detto di avvertirti. Ah...

dimenticavo», aggiunse con un filo di voce, «il Dragocorno Spiumato è il mio preferito».

Ron lo guardò con la stessa espressione che riservava a Luna dopo una delle sue uscite strampalate, ma Harry non parve stupito.

«Ok, grazie di tutto».Prima di salire sulla loro carrozza, Harry notò come molti

studenti, che pure erano arrivati prima di loro, se ne stavano impalati a pochi passi delle carrozze senza nessuna intenzio-ne di salire.

Harry impiegò alcuni istanti a capire cosa stesse accaden-do: moltissimi ragazzi fissavano con orrore per la prima vol-ta gli scheletrici cavalli alati che trainavano le carrozze. Fino a due anni prima solo lui e Luna erano in grado di vedere i Thestral, ora, al contrario, erano pochissimi gli studenti le cui vite non erano state sfiorate dalla morte e che quindi non capivano cosa bloccasse i compagni. Ginny si strinse forte

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a lui, anche lei e Ron stavano fissando con sgomento per la prima volta i lugubri Thestral. Salirono sulla carrozza e giunsero in silenzio al castello.

Alla debole luce della luna, il castello di Hogwarts sem-brava lo stesso di sempre. Dopo quello che aveva detto il signor Weasley, si sarebbe aspettato di vedere un nuovo dor-mitorio, invece non ce n’era traccia. Harry fu lieto di notare che tutto era stato ricostruito fedelmente, senza alcuna mo-difica. Le torri che aveva visto crollare erano nuovamente al loro posto e nulla, se non i dolorosi ricordi, poteva testimo-niare il contrario.

Il Thestral si fermò proprio davanti all’ingresso riparten-do velocemente appena furono scesi.

Davanti al portone una lanterna venne loro incontro don-dolando nervosamente.

«Cosa ci fate già qui? Le altre carrozze devono ancora partire» sentirono improvvisamente pronunciare dall’incon-fondibile voce di Gazza.

Solo avvicinandosi riuscirono a vederlo nitidamente. Con una mano teneva la lanterna e con l’altra l’inseparabile Mrs Purr, scrutandoli con il solito sguardo torvo.

«Ah, siete voi...» disse. «Entrate, presto! Non state qui a perdere tempo. Tu Potter, muoviti la preside ti aspetta».

«Agli ordini!» fece Harry divertito.Nonostante i suoi modi rozzi e scortesi, Gazza era un pez-

zo di Hogwarts ed Harry fu felice di rivedere persino lui.Avevano lasciato la scuola mezza distrutta, con pietre

e travi cadute in ogni dove, alcune delle quali tristemente

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macchiate dal sangue di tanti innocenti. Sembrava una ro-vina irreparabile, una ferita insanabile per l’antico edificio. Invece ora ogni pietra era tornata al suo posto. Ogni singola lastra di marmo nuovamente integra. Tutto risplendeva ma-gnificamente alla luce delle candele che, a centinaia, erano disposte ovunque.

Avevano fatto un lavoro impressionante. Se davvero gli americani erano stati determinanti nella ristrutturazione, forse valeva la pena di sopportare Bryan Hyde per qualche mese!

«Io vado, ci vediamo tra poco per lo smistamento» disse Harry agli amici ancora impegnati a guardarsi intorno a boc-ca aperta.

Percorse velocemente la scalinata di marmo che portava all’ufficio del preside. Corse lungo il corridoio arrivando al gargoyle di pietra.

«Parola d’ordine» disse quest’ultimo.«Dragocorno Spiumato» rispose prontamente.Il gargoyle si scostò di lato rivelando la scala a chiocciola

che Harry aveva percorso tante volte. Salì qualche gradino fermandosi quando udì la voce della Mc Granitt. Non era sola, stava parlando con qualcuno.

« ...te l’avevo detto: secoli di tradizioni non potevano es-sere ignorate. Hogwarts ha quattro fondatori, quattro fonda-tori per quattro case... ».

Il tono della preside sembrava soddisfatto. Harry rimase ad origliare nel tentativo di capire di cosa stessero parlando.

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«Minerva... mi rendo conto che per te è andato tutto per il meglio, ma per me la situazione rimane delicata».

Era la voce di Kingsley. Era con lui che la preside stava parlando. Probabilmente era per questo che la Mc Granitt lo aveva chiamato. Bene, pensò, così parlerò con entram-bi contemporaneamente.

«Lo so che dopo sei tu che devi vedertela con Waynegan ma sarebbe stato veramente inaccettabile avere una quinta casa!».

Quindi gli americani avrebbero voluto costituire una Casa tutta per loro! Ma per qualche motivo le cose non dovevano essere andate come se le aspettavano.

La voce della preside si alzò di tono: «Certo che i brut-ti vizi sono difficili da perdere, vero Potter? Sempre ad origliare...».

Harry trasalì. L’imbarazzo gli nacque nella pancia e pian piano salì fino al viso, doveva avere il tipico colorito di Ron.

Fece pochi passi fissando il pavimento senza avere il co-raggio di alzare lo sguardo. Si rese conto all’improvviso che non stava entrando nell’ufficio di Silente, ma in quello di Minerva McGranitt. Quante cose avrebbe trovato cambiate? Quante cose gli avrebbero riportato alla mente le sue chiac-chierate con il vecchio preside? Sospirò. Non poteva certo rimanere lì sulla porta all’infinito.

Si fece avanti a testa bassa, scompigliandosi i capelli sulla nuca e accennando un sorriso imbarazzato.

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«Beh ecco... non era mia intenzione, solo non volevo in-terrompere... » cercò malamente di giustificarsi.

«Non preoccuparti, non era niente che non potessi sentire Potter, altrimenti ti avrei fatto uscire immediatamente» lo rassicurò la Mc Granitt.

Alzò piano lo sguardo, con fatica e trepidazione. La Mc-Granitt gli sorrideva da dietro la scrivania che, con sua gran-de gioia, era sempre al solito posto, coperta di carte polve-rose, pergamene ingiallite e penne spiumate. Notò invece l’assenza, comprensibile, del trespolo di Fanny. Quanto si era spaventato la prima volta che la aveva vista morire? Ri-cordava lo sguardo furbo di Silente che, al momento della morte dell’animale, gli aveva sorriso soddisfatto.

Un debole ronzio attirò lo sguardo di Harry. Polveroso, spiegazzato e pieno di toppe il Cappello Parlante sonnec-chiava tranquillo sulla sua mensola, perso in chissà quali sogni.

Notò invece con un po’ di tristezza che sia il pensatoio sia la spada di Godric Grifondoro avevano abbandonato la loro solita collocazione. La spada adesso risplendeva debolmen-te dall’interno di una vecchia teca di mogano, adagiata su un elegante cuscino di velluto rosso. La teca occupava proprio il posto dove un tempo Harry si specchiava nel pensatoio con il Preside per conoscere il passato di Voldemort.

«Minerva ha ritenuto più saggio mettere via il pensatoio per tirarlo fuori solo al momento opportuno, e sinceramente non posso darle torto. è una donna molto ordinata e pre-

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cisa, non ha voluto rischiare che qualcuno, urtandolo, lo rompesse!».

Harry sussultò.Non si sarebbe mai abituato al suono di quella voce. Vol-

tandosi vide Silente sorridergli dal suo ritratto. Solo che quello non era il vero Silente, era solo la sua rappresenta-zione. Però era bello ascoltare nuovamente la sua voce, era bello ingannarsi ancora.

«Oh, tu mi lusinghi Albus...» disse la Mc Granitt, sorri-dendo al ritratto. «Siediti Harry» continuò facendo appari-re una poltroncina di fronte alla scrivania, accanto a quella dove era seduto Kingsley.

«Buonasera signor Ministro» disse Harry dopo essersi seduto.

«Per favore Harry, lo sai che per te sono solo Kingsley» rispose bonario.

«Ti stai chiedendo di cosa stavamo parlando?» Chiese la preside. «Vedi gli americani volevano partecipare alla Cop-pa delle Case e alla Coppa di Quiddich».

Certo! Se avessero avuto una loro Casa, avrebbero anche avuto una loro squadra di Quiddich, dopotutto non gli sareb-be dispiaciuto: era sicuramente un buon modo per affrontar-li apertamente, senza violare nessuna regola. Non ci sareb-be stato niente di meglio che battere quegli sbruffoni su un campo da gioco, anche se Ron non sarebbe stato contento. Un brivido percorse la schiena di Harry al solo pensiero di cosa sarebbe potuto accadere all’amico dopo il primo punto degli americani!

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«Il signor Weasley aveva detto che doveva esserci un nuovo dormitorio, ma non l’ho visto arrivando... » chiese Harry.

«Oh, sì. Hanno provato a costruirlo ma Hogwarts non era d’accordo!».

«Avevo capito che non era possibile fare nulla per impedirlo...».

«Hai ragione, noi non potevamo fare niente. Ma il castel-lo sì!».

«Cosa?».«Gli americani hanno costruito il loro dormitorio per - se

non ho perso il conto - sette volte, ma ogni volta che ter-minavano la costruzione, l’edificio crollava su sé stesso. Alla fine si sono arresi! Probabilmente c’è qualche vincolo magico che impedisce modifiche così invasive, è stata una sorpresa anche per me. Lì dove con la diplomazia non sono riuscita a far niente, ci hanno pensato gli antichi sortilegi che impregnano le mura del castello a risolvere il problema».

I misteri della scuola non finivano mai di stupirlo. «Ma allora dove dormiranno gli americani?».Kingsley si inserì nella discussione. «Su Harry, non vorrai

sapere tutto adesso... resisti qualche minuto, a cena verranno spiegate tutte le novità! Ti dico solo che hanno rivisto molte delle loro aspettative.

«Ma adesso veniamo al perché sei qui: ti abbiamo fatto chiamare per sentire la tua impressione sull’incidente al-l’espresso. Io e Minerva ci stavamo domandando...».

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«Temo che non sia un incidente purtroppo...» lo interrup-pe Harry, per qualche momento, la curiosità per il destino degli americani lo aveva distratto dai butti eventi del pome-riggio. Iniziò a raccontare quello che era accaduto, quello che avevano scoperto grazie ai Retroglass e dei due uomini avvolti nel mantello.

Il dettagli di Harry sorpresero gli altri due maghi.«Ma perché questo attacco?» disse Kingsley visibilmente

preoccupato massaggiandosi le tempie.«Penso che l’attacco sia dovuto alla mia presenza su quel

treno... » accenò Harry, «E se è così la mia sola presenza a Hogwarts potrebbe attirarli qui... ».

Si bloccò. La preside lo guardò come per incitarlo a proseguire.

« ...forse è meglio che io vada via... non me la sento di rimanere e far rischiare tutta la scuola».

Ci aveva già pensato, ma dirlo ad alta voce lo rendeva vero. Se i maghi oscuri agivano per impossessarsi della Bacchetta come poteva permettersi di mettere in pericolo l’intera Hogwarts?

«Ma non ha senso... l’unico motivo per cui potrebbero essere interessati a te è se tu avessi ancora la Bacchetta di Sambuco, ma come mi hai detto l’altra volta nel mio studio è già in un posto sicuro... ».

«Ehm... certo, certo è vero» mentì Harry.«E comunque non dirlo neanche per scherzo Potter!» in-

tervenne la preside con voce ferma. «Non ricordi cosa dice-va Silente... ».

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«Non c’è posto più sicuro di Hogwarts» recitò il vecchio Preside improvvisamente dal ritratto lisciandosi la barba.

«Ma Kinkgsley ha detto che ci sono falle nelle barriere degli incantesimi messi per proteggere la scuola!» esclamò Harry quasi disperato.

«Tracce Harry, tracce, deboli tentativi ma nulla di concre-to. Oltretutto tutte le difese sono state rinforzate» minimizzò il Ministro.

«Resta il fatto che sarebbero attirati qui!» insistette Harry.

«Pensaci bene, perché credi abbiano fatto un così malde-stro attacco al treno? Dopotutto Willis è riuscito a risolvere tutto praticamente con le sue sole forze».

Harry rimase in silenzio ad ascoltare.«Ti dirò come la vedo io. Forse credono che tu abbia an-

cora la Bacchetta. O, forse, con l’attacco al treno non vole-vano colpire te... Ma sono sicuro che fossero consci del fatto che una volta ad Hogwarts avrebbero potuto fare ben poco, qualsiasi fosse il loro piano. Così hanno tentato una mossa azzardata nell’ultimo momento possibile: durante il viaggio in treno».

Avevano ragione, Hogwarts era il posto più sicuro. Ma loro non consideravano il fatto che, in quel preciso momen-to, la Bacchetta di Sambuco era in quello stesso studio nella tasca dei suoi pantaloni.

«Rimane il fatto che io, insieme a tutti gli altri studenti, abbiamo rischiato grosso».

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«Su questo hai perfettamente ragione» intervenne la Mc Granitt. «E per questo dovrò scusarmi con tutte le famiglie ed assicurare che da oggi in poi controlleremo affinché non ci siano altri incidenti».

«Sto pensando che non sia il caso di divulgare quello che ci hai detto, penso sia meglio che si continui a credere che si sia trattato di un incidente. In questo momento il mondo magico ha bisogno di stabilità e tranquillità, molte famiglie cominciano ora a riprendersi dal dolore per le perdite dei propri cari... ».

«Sono d’accordo» disse Harry che pure odiava le bugie di questo genere. «Io e gli altri non faremo parola di quello che abbiamo visto».

«Bene, penso che abbiamo fatto un po’ di chiarezza, ades-so è meglio che scendiamo ormai saranno tutti arrivati. Devo dare inizio allo smistamento» concluse la Mc Granitt.

Si alzarono, Harry strinse la mano al Ministro promet-tendo di tenerlo informato e rivolse un saluto al ritratto di Silente che gli strizzava l’occhio dal dipinto. Fu in quel mo-mento che nella sua testa qualcosa gli fece notare un partico-lare sbagliato, nella stanza mancava qualcosa di importante, qualcosa che non c’era mai stato, ma che ora doveva esserci per forza.

«PITON!».La McGranitt alzò perplessa lo sguardo su Harry che con-

tinuava a guardarsi intorno agitato.«Potter... tutto bene?».

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«Non è possibile... Professoressa io... io non vedo il ritrat-to... il ritratto di Piton... ».

Era stupito dalle sue stesse parole. Quello che stava di-cendo era ridicolo!

Adesso la McGranitt gli avrebbe indicato un punto pre-ciso sulla parete dove Piton di certo lo stava fissando con il solito cipiglio severo.

La Preside si tolse gli occhiali, iniziando a pulirne le lenti con un fazzolettino.

«Mi dispiace Potter, ma il suo ritratto non è presente...».«Cosa vuol dire?».Si rimise lenta gli occhiali, fissandolo dispiaciuta.«Ordini del Ministero» disse lanciando un occhiata a

Kingsley.Era assurdo... perché mai il Ministero avrebbe interferito

in una cosa del genere?Il suo silenzio e lo sguardo interrogativo spronarono il

Ministro ad intervenire.«Molti credono ancora che Piton fosse una spia di

Voldemort».«Ma è ridicolo! Si tratta di un assurdo malinteso! Piton

era dalla parte dell’Ordine! Lo è sempre stato!».E lui se n’era accorto troppo tardi.«Certo Harry, ma al momento ci sono ancora indagini,

posizioni da chiarire...».«Ma tu sei Kingsley Shacklebolt, il Ministro della Magia,

com’è possibile che tu non possa fare niente?».

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«Harry, le cose non sono semplici come sembrano. Pro-prio tu dovresti capire come sia facile per tutti dubitare di Piton... ».

Harry sospirò, fissando uno spazio vuoto nella parete. Non se lo sarebbe mai perdonato. Aveva odiato Piton, lo aveva odiato nel profondo. Forse quanto Voldemort stesso.

E dopo lo scontro finale, ripensando agli anni passati, gli erano venuti in mente tutti i gesti, tutte le azioni che ave-va mal interpretato. Le rispostacce, le accuse. Per Harry era sempre lui il colpevole. Quante volte aveva cercato di con-vincere Silente della vera natura del professore di Pozioni? E quante volte Silente irremovibile si era dimostrato total-mente fiducioso nei suoi confronti?

Non aveva mai potuto affrontare un vero discorso con lui. O almeno, un discorso sincero.

Aveva scoperto la sua vera natura solo alla sua morte, os-servando i suoi ricordi; solo allora si era reso conto degli errori che aveva compiuto.

I ricordi gli affiorarono alla mente invadenti e inattesi so-vrapponendosi prepotentemente.

Piton che lo fissa concentrato al primo anno, poco prima dello smistamento.

Piton che lo deride in classe e toglie punti ai Grifondoro.Piton che durante le lezioni di Occlumanzia si tocca in-

consciamente l’avambraccio sinistro.Piton che litiga con Sirius e offende suo padre.Piton che prepara la pozione per Lupin.Piton che litiga con la Umbridge e che minaccia Raptor.

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Piton che confessa al limitare della Foresta Proibita di non voler adempiere il suo compito.

Piton che uccide Silente sulla Torre di Astronomia.Piton che gli muore fra le braccia.“Guar...da...mi”.«Potter?».Harry si destò dallo strano torpore in cui era caduto.La McGranitt lo stava fissando preoccupata.Harry si passò agitato una mano sulla fronte, sudava.«Preside... non è giusto, dopo tutto quello che ha fatto...

non è giusto che...».«Lo so Potter, lo so... » Minerva si sedette di nuovo, mas-

saggiandosi la fronte.Anche Harry tornò al suo posto, lasciandosi pesantemen-

te cadere sulla poltroncina.In fondo, a chi importava il ricordo di un ex-Mangiamorte

dalla dubbia fedeltà?A chi interessava veramente sapere se Piton era dalla par-

te di Voldemort o no?Chi poteva voler difendere veramente Piton?Piton non aveva nessuno che lo piangesse. Che lo difen-

desse. In fondo anche lui lo aveva sempre disprezzato da vivo.

Ma, adesso che era morto, non avrebbe permesso che sprofondasse nell’oblio o, peggio, nell’indifferenza, non avrebbe permesso che ne andasse perso il ricordo.

«Devo fare qualcosa... glielo devo, almeno questo glielo devo ...».

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«Tutti glielo dobbiamo Harry» disse la McGranitt sorri-dendo stanca da dietro i piccoli occhiali.

«Hai tutto il mio appoggio per quest’impresa, voglio che tu lo sappia. E ti prometto che io farò la mia parte, farò tutto quello che mi è possibile» lo rassicurò Kingsley.

«Preferirei l’impossibile» rispose Harry sorridendo.«Ora si è fatto veramente tardi... Harry comincia a scen-

dere, io devo far firmare alcune pergamene al Ministro pri-ma che vada via» gli disse la Mc Grannit.

«Harry, ancora una cosa» lo richiamò inaspettatamente il Ministro quando lui era già fuori dalla porta «Sei sempre certo che la bacchetta sia al sicuro?» gli disse Kingsley fis-sandolo intensamente.

Harry annuì debolmente con il capo, chiedendosi fino a che punto avesse convinto il ministro che la Bacchetta fos-se ben nascosta. Ma il vero problema comunque non era di cosa il Ministro fosse convinto ma dove mettere realmente la Bacchetta.

La Mc Granitt parve accorgersi della sua espressione preoccupata.

«Avrai tempo per pensarci, ora è tempo di far festa, c’è lo smistamento!».

fine �ª paRte

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abbiamo destato la tua curiosità?Vorresti sapere dove Harry nasconderà

la bacchetta di sambuco?ti stai chiedendo dove dormiranno i maghi

americani rimasti senza dormitorio?e come andrà lo smistamento?

se ti stai facendo tutte queste domande abbiamo raggiunto il nostro obbiettivo!!e le risposte? a dire il vero, siamo più curiosi di te di conoscerle!!

se hai fatto le tue congetture e se pensi di avere avuto un’ideona per il seguito, cosa diavolo stai aspettando?prendi carta e penna (va beh schermo e tastiera!) e inserisci nel forum, o invia direttamente una e-mail, con la tua versione del prossimo capitolo... non vediamo l’ora di leggerla!

… e intanto non dimenticare di lasciare un commento, perché solo chi lascia un commento riceverà il prossimo capitolo in anteprima!

a presto