herzl e e le origini del sionismo

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Le origini del sionismo Il Sionismo nacque nell’Europa di fine dell’Ottocento. Di fronte alle minacce dell’emergente antisemitismo europeo, il Sionismo propose di trasformare la comunità ebraica da comunità religiosa minoritaria in comunità nazionale dotata di un proprio stato. Le origini dello Stato di Israele sono nel Sionismo, la sua ideologia fondante. Il termine deriva da Sion, il nome del colle sul quale sorgeva il più antico nucleo di Gerusalemme, usato nella Bibbia anche come sinonimo di Gerusalemme, la capitale del Regno di David e del Tempio edificato da Salomone. Il Sionismo era il progetto di fondare uno Stato Ebraico. Era un progetto nuovo e inaudito: da quasi due millenni 1 gli Ebrei non avevano più una sede nazionale. Il Sionismo fu un fenomeno di origine europea , nacque presso la comunità ebraica europea del tardo Ottocento. Era concepito come completamento e normalizzazione dell’identità ebraica, intesa non solo e non tanto come religione ma come nazionalità, sul modello delle altre comunità nazionali europee, che per essere tali (per essere compiutamente nazioni) avevano bisogno di autogoverno in una propria sede statale e territoriale. Ovviamente, posto in questi termini, il caso degli Ebrei, era diverso dagli altri: si trattava di un “popolo senza terra”. Cosa motivava il progetto sionista? Il movente principale era il malessere delle comunità ebraiche in Europa. 1. Europa orientale (Impero Russo) La maggioranza degli ebrei europei viveva nei territori dell’Impero zarista, che comprendeva anche gran parte della Polonia e dei paesi baltici 2 . Secondo 1 Nel 70 d. C. il futuro imperatore Tito aveva espugnato Gerusalemme, dopo la grande rivolta giudaica iniziata nel 66. Il Tempio era stato distrutto ed al posto della città ebraica ne venne costruita una del tutto pagana (Aelia Capitolina). La successiva ultima ribellione degli Ebrei, capeggiata da Bar Kokheba (132- 135), fu duramente repressa dai Romani, portando alla definitiva dispersione degli Ebrei fuori dalla Palestina, verso quei paesi nei quali esistevano già da secoli le comunità ebraiche della diaspora. Con l’avvento del Cristianesimo prima e dell’Islam poi, Gerusalemme riprese lo statuto di Città Santa, ma la presenza ebraica in Palestina rimase minoritaria (non maggiore che negli altri paesi del Mediterraneo). 2 "La maggior parte di loro viveva di artigianato e piccola industria, soprattutto nel settore tessile, di commercio, spesso al minuto, di lavoro nelle fabbriche. A metà degli anni Ottanta dell'Ottocento una commissione governativa mise in evidenza che il 90 per cento degli ebrei di Russia era costituita da una massa del tutto indigente, che conduceva un'esistenza miserabile" (R. Finzi 1 Theodor Herzl (1860-1904) Con Lo Stato Ebraico (1896) diede forma definitiva al programma sionista

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materiale scolastico.contiene un excursus sull'antisemitismo e sostiene la tesi che il sionismo, nato da problemi interni alla società europea dell'Ottocento, era una giustificata rispoosta alla fondata paura della persecuzione, ma portava con sé l'elemento, pure derivato dalla politica europea di fine secolo della mentalità coloniale

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Page 1: Herzl e e Le Origini Del Sionismo

Le origini del sionismo

Il Sionismo nacque nell’Europa di fine dell’Ottocento. Di fronte alle minacce dell’emergente antisemitismo europeo, il Sionismo propose di trasformare la comunità ebraica da comunità religiosa minoritaria in comunità nazionale dotata di un proprio stato.

Le origini dello Stato di Israele sono nel Sionismo, la sua ideologia fondante. Il termine deriva da Sion, il nome del colle sul quale sorgeva il più antico nucleo di Gerusalemme, usato nella Bibbia anche come sinonimo di Gerusalemme, la capitale del Regno di David e del Tempio edificato da Salomone. Il Sionismo era il progetto di fondare uno Stato Ebraico. Era un progetto nuovo e inaudito: da quasi due millenni1 gli Ebrei non avevano più una sede nazionale.

Il S i o n i s m o fu un fenomeno di origine europea , nacque presso la comunità ebraica europea del tardo Ottocento.Era concepito come completamento e normalizzazione dell’identità ebraica, intesa non solo e non tanto come religione ma come nazionalità, sul modello delle altre comunità nazionali europee, che per essere tali (per essere compiutamente nazioni) avevano bisogno di autogoverno in una propria sede statale e territoriale. Ovviamente, posto in questi termini, il caso degli Ebrei, era diverso dagli altri: si trattava di un “popolo senza terra”.

Cosa motivava il progetto sionista? Il movente principale era il malessere delle comunità ebraiche in Europa. 1. Europa orientale (Impero Russo)

La maggioranza degli ebrei europei viveva nei territori dell’Impero zarista, che comprendeva anche gran parte della Polonia e dei paesi baltici2. Secondo il censimento del 1897, gli ebrei presenti nell'Impero Russo erano circa cinque milioni. Qui erano soggetti ad un regime di rigide restrizioni, che era stato alleviato da elementi di moderato riformismo durante il regno di Alessandro II (1855-81), ma era di nuovo peggiorato sotto Alessandro III (1881-94) e Nicola II (1894-1917). Oltre alle vessazioni da parte del governo, gli ebrei dell’Europa orientale subirono, nel periodo fra i due secoli (1881-1906), delle periodiche esplosioni di furore popolare che si manifestava in saccheggi e massacri (pogrom), talvolta spontanei e talvolta fomentati segretamente dall’istigazione di agenti della polizia zarista, che miravano a indirizzare verso un “capro espiatorio” il malcontento delle classi povere.

2. Europa occidentale In Europa occidentale (Impero Austro-Ungarico, Germania, Francia) la situazione era di gran lunga migliore. In questi paesi, a partire dalla fine del Settecento e soprattutto dalla Rivoluzione Francese e dalla legislazione napoleonica, si era svolto il processo dell’emancipazione, con la progressiva acquisizione della pienezza dei diritti civili. In tali circostanze, il modello di relazione percorribile pareva l’assimilazione: l’ebraismo poteva essere ridefinito come appartenenza religiosa o come tradizione culturale all’interno di uno stato laico. Anche in questi paesi, però, si manifestavano segnali preoccupanti di intolleranza. La fine delle discriminazioni per legge non comportava automaticamente la fine della diffidenza e dell’avversione nei confronti degli Ebrei. In alcuni casi finiva per accentuarle. Stava nascendo l’antisemitismo.

Le prime esperienze di migrazione di nuclei di coloni ebrei in Palestina (da loro detta Eretz Israel) si ebbero negli anni Ottanta; nel 1882 vennero fondate quattro colonie. Tutti i migranti provenivano dall’Europa orientale.

1 Nel 70 d. C. il futuro imperatore Tito aveva espugnato Gerusalemme, dopo la grande rivolta giudaica iniziata nel 66. Il Tempio era stato distrutto ed al posto della città ebraica ne venne costruita una del tutto pagana (Aelia Capitolina). La successiva ultima ribellione degli Ebrei, capeggiata da Bar Kokheba (132-135), fu duramente repressa dai Romani, portando alla definitiva dispersione degli Ebrei fuori dalla Palestina, verso quei paesi nei quali esistevano già da secoli le comunità ebraiche della diaspora. Con l’avvento del Cristianesimo prima e dell’Islam poi, Gerusalemme riprese lo statuto di Città Santa, ma la presenza ebraica in Palestina rimase minoritaria (non maggiore che negli altri paesi del Mediterraneo). 2 "La maggior parte di loro viveva di artigianato e piccola industria, soprattutto nel settore tessile, di commercio, spesso al minuto, di lavoro nelle fabbriche. A metà degli anni Ottanta dell'Ottocento una commissione governativa mise in evidenza che il 90 per cento degli ebrei di Russia era costituita da una massa del tutto indigente, che conduceva un'esistenza miserabile" (R. Finzi Antisemitismo, Giunti, Firenze 1997, pag. 54).

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Theodor Herzl (1860-1904)Con Lo Stato Ebraico (1896) diede forma definitiva al programma sionista

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La degradazione del Capitano Dreyfus in seguito alla condanna (1895)

Theodor Herzl

A partire circa dal 1860 circa il sionismo ebbe, soprattutto in ambiente russo, diverse elaborazioni teoriche e almeno un tentativo di messa in pratica con la società degli Amanti di Sion (Pietroburgo, 1881).Un progetto unitario si ebbe, però solo a partire dall’opera di Theodor Herzl, autore del libro-manifesto Lo Stato Ebraico (1896), e organizzatore della prima conferenza internazionale sionista (Basilea, 1897) che segna un salto di qualità nell’organizzazione del movimento. Herzl (1860-1904) era un giornalista ebreo ungherese, nato e cresciuto in ambiente occidentale e laico, e perciò inizialmente fautore dell’assimilazione degli Ebrei nei loro paesi di cittadinanza. L’evento che segnò una svolta nella sua vita fu l’incarico ricevuto dal giornale viennese col quale collaborava (Neue freie Presse) di riferire da Parigi sul processo Dreyfus (1895).

Il caso Dreyfus, com’è noto, è stato un clamoroso esempio di persecuzione giudiziaria dovuto al pregiudizio antisemitico. Il capitano Alfred Dreyfus, di origine ebraica, che serviva onorevolmente l’Esercito Francese con un ruolo di responsabilità presso lo Stato Maggiore, fu accusato falsamente di spionaggio (di aver passato informazioni segrete all’esercito tedesco). In assenza di prove valse il pregiudizio: un ebreo non può essere un fedele servitore della patria francese, le sue origini ne fanno un’apolide (= un “senza patria”) privo di scrupoli3. A partire dal presunto crimine dell’ebreo Dreyfus, tutta una frangia di opinione pubblica passò ad una chiassosa propaganda antiebraica, che venne diffusa con pubblicazioni e sostenuta con manifestazioni di massa. Lo spirito di tale movimento si può riassumere nel giudizio dello scrittore conservatore e antisemita Maurice Barrès: “Io non ho bisogno di sapere perché Dreyfus ha tradito. Mi è sufficiente sapere che è capace di tradire e che ha tradito. [...] Che Dreyfus sia capace di tradire, lo deduco dalla sua razza”.

Herzl ne fu scosso: non tanto perché gli episodi di antisemitismo scatenati dall’affaire Dreyfus fossero particolarmente nuovi (i pogrom che negli anni precedenti si erano verificati in Russia erano un fenomeno di entità sicuramente maggiore), ma perché questa volta ad essere contagiata dal virus antisemita era la Francia. La Francia era il paese che per primo, all’epoca della Rivoluzione, aveva abolito (1791) tutte le differenze di diritti fondate su base religiosa e proclamato la perfetta uguaglianza civile e politica degli Ebrei con i loro concittadini; era il paese guida della civiltà illuministica, fondata sulla critica del pregiudizio, era la patria delle più accentuate tendenze laicistiche, del valore indiscusso attribuito al diritto di cittadinanza, ed era, infine, uno dei paesi nei quali gli Ebrei avevano potuto percorrere con maggiore successo il processo dell’assimilazione. Scoprire che anche le folle francesi gridavano “morte agli Ebrei!” fu per Herzl un trauma.

L’antisemitismo non gli appariva più come un residuo di tempi passati di inciviltà, che il progresso dell’istruzione e della modernizzazione avrebbe gradualmente cancellato dalle coscienze europee. Gli parve, piuttosto, una sorta di reazione costante ed ineliminabile dei popoli cristiani dell’Europa di fronte alla minoranza ebraica: “Non vale che siamo dei buoni patrioti […] nei Paesi in cui viviamo da secoli, siamo considerati stranieri”. Gli parve perfino che lo stesso sforzo compiuto dagli Ebrei di assimilarsi alla società circostante finisse per accentuare la repulsione e la diffidenza dei non-ebrei: “l’antisemitismo esploderà con tanta più violenza quanto più esso si sarà fatto attendere”.Tornato a Vienna scrisse di getto Lo Stato Ebraico, e dedicò il resto della propria vita a promuovere un’associazione che ne mettesse in pratica il progetto: la fondazione di uno Stato degli Ebrei fuori dall’Europa.

Prima di considerare il seguito della storia del movimento sionista, le pagine seguenti saranno dedicate ad uno schematico profilo dell’antisemitismo.

3 Il primo processo si concluse con una condanna. L’opinione pubblica francese si divise tra “innocentisti” e “colpevolisti”. A favore di Dreyfus si mobilitarono numerosi intellettuali progressisti. Nel 1898 il tribunale militare ebbe a disposizione la confessione del vero colpevole dello spionaggio, ma non la rese pubblica per non ammettere l’errore e l’atteggiamento persecutorio tenuto. La condanna di Dreyfus venne confermata (1899), anche se il Presidente della Repubblica gli concesse la grazia. Per l’assoluzione, alla quale Dreyfus e i suoi sostenitori giustamente aspiravano, si dovrà attendere il 1906.

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L’antisemitismo

L’emancipazione degli Ebrei nell’Ottocento

Gli Ebrei sono la più antica minoranza religiosa presente nell’Occidente cristiano. Per secoli furono oggetto di una tolleranza precaria e sospettosa, basata sulla loro marginalità e su rigide limitazioni dei ruoli sociali loro accessibili. Della loro marginalità fu simbolo e strumento l’istituzione dei ghetti: ristrette aree urbane nelle quali era imposta loro la residenza.Tale situazione era tipica di società tradizionali, nelle quali le condizioni della convivenza erano poste nell’appartenenza a comunità religiose omogenee. La modernizzazione delle società occidentali comportò, però, una sempre più netta separazione dello Stato dalla Chiesa. Le società europee si andavano laicizzando, ossia stavano separando – attraverso dei passi successivi – la comunità politica e le condizioni di appartenenza ad essa da quella religiosa, e stavano riconducendo le appartenenze confessionali e le convinzioni religiose dalla dimensione pubblica a quella privata dell’esistenza.Gli appartenenti delle diverse fedi religiose (o anche di nessuna di esse) cominciarono a condividere uno stesso spazio pubblico di cittadinanza, contrassegnato dal godimento dall’esercizio di diritti. Ciò imponeva inevitabilmente la fine della segregazione e della marginalità, che fino ad allora erano state le condizioni di esistenza delle comunità ebraiche.

Il Settecento illuministico e riformatore aveva visto alcune aperture da parte degli Stati cristiani: le Patenti di tolleranza dell’Imperatore Giuseppe II d’Austria, 1782) rimuovevano antichi divieti a cui gli Ebrei erano stati soggetti, relativi alla mobilità ed alla residenza, alla proprietà immobiliare, all’accesso alle istituzioni educative, a diverse professioni ecc. La svolta più importante, però, fu segnata dalla Rivoluzione Francese, che abolì tutte le differenze di diritti fondate su base religiosa e proclamò la perfetta uguaglianza civile e politica degli Ebrei con i loro concittadini (27 sett. 1791). Diffusa con le conquiste napoleoniche e con l’applicazione dei codici legislativi ispirati al principio dell’eguaglianza dei diritti civili, l’emancipazione degli Ebrei e l’abolizione dei ghetti fu un processo in che si svolse, nell’Europa occidentale, con fasi alterne nel corso dell’Ottocento. Alcune restrizioni furono imposte nuovamente con la Restaurazione (1815), ma il movimento riprese con lo sviluppo dello stato liberale. Per ricordare solo alcune date conclusive: nel 1858 il processo di emancipazione degli ebrei inglesi venne perfezionato con la legge che ne decretava l’eleggibilità al parlamento; nel 1870, con la presa di Roma da parte del Regno d’Italia, fu abolito l’ultimo ghetto esistente.

Ciò non si realizzò senza resistenze da parte di gruppi tradizionalisti e conservatori, ma – come abbiamo visto considerando il caso di Herzl – ciò che appariva inaspettato era una crescita virulenta dell’odio, tale da farne molto di più di un residuo di vecchi pregiudizi.

L’antisemitismo

Ciò che è tipico dell’antisemitismo moderno, infatti, è che in esso il vecchio “demone” dell’intolleranza per il diverso venne elaborato con un vero e proprio apparato ideologico e propagandistico, conformemente all’epoca incipiente della comunicazione e della politicizzazione di massa. È tale amplificazione ed elaborazione che ha potuto condurre alla sequenza di fenomeni aberranti che culmineranno nella trasformazione dell’antisemitismo in ideologia di stato nella Germania nazista (1933-45) e nell’uccisione pianificata di oltre sei milioni di esseri umani.

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UN’IMMAGINE OTTOCENTESCA DEL GHETTO DI ROMA.

L’interdizione dall’esercizio di arti e mestieri, come pure dalla proprietà immobiliare, e la ristrettezza degli spazi abitativi, faceva sì che – all’epoca del ghetto – la gran parte della popolazione ebraica europea vivesse in condizioni di povertà, basando la propria sussistenza su forme marginali di piccolo commercio, in netto contrasto con l’immagine spesso diffusa degli Ebrei come “popolo borghese”.D’altro canto, i settori benestanti della comunità ebraica ebbero nell’emancipazione occasione di esercitare notevoli talenti nel campo dell’economia, delle professioni e della cultura.

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Ricordiamo anzitutto che il termine antisemitismo venne coniato dal pubblicista tedesco Wilhelm Marr nel 1879. La parola indicava gli Ebrei come semiti, alludendo, perciò, alla loro caratterizzazione etnica e razziale piuttosto che a quella religiosa. Esso infatti si rifaceva alle precedenti teorizzazioni della divisione dei maggiori gruppi linguistici eurasiatici ed alla contrapposizione, che altri autori avevano già effettuato, tra i semiti e gli ariani (o indoeuropei). La distinzione dei gruppi linguistici, di per se legittima e innocua, era stata ben presto complicata e confusa con distinzioni di razza e con la pretesa di rivelare tramite esse dei caratteri psicologici e culturali permanenti delle popolazioni antiche e moderne. Con l’invenzione di una parola, Marr dava, peraltro, un nome ad una tendenza già documentata nella letteratura precedente. Di suo, però, aggiunse anche qualcos’altro: la fondazione di una Lega Antisemita.

Una definizione dalla Jewish Encyclopedia

Per riassumere le principali caratteristiche con le quali si presentava all’epoca l’antisemitismo, come fenomeno politico e ideologico prettamente moderno, è utile riportare la definizione datane dagli autori (ebrei) della Jewish Enciclopedia4:

“Il termine antisemitismo ha origine nella teoria etnologica secondo la quale gli Ebrei, in quanto semiti, sono totalmente differenti dalle popolazioni ariane o indoeuropee e non potranno mai amalgamarsi con esse. Il termine implica che gli Ebrei non sono avversati a motivo della loro religione, ma delle loro caratteristiche razziali. Come tali vengono di solito menzionate: l’avidità, una particolare attitudine per gli affari ed il guadagno, l’avversione al lavoro pesante, lo spirito di clan e l’invadenza, la mancanza di sensibilità sociale e soprattutto di patriottismo”.

Queste ultime caratteristiche dello stereotipo venivano chiarite dai nostri autori riportando una citazione da un influente scrittore antisemita, Friedrich von Hellwald (1872), nel quale si possono leggere cose come le seguenti:

“Gli Ebrei non sono solo una comunità religiosamente differenziata, ma – e questo è il fattore più importante – sono sul piano etnico una razza totalmente diversa. L’Europeo sente istintivamente che l’Ebreo è uno straniero immigrato dall’Asia. Il cosiddetto pregiudizio è un sentimento naturale. […] L’Ebreo è un cosmopolita ed è dotato di una particolare astuzia che ne fa il padrone dell’onesto Ariano. Nell’Europa orientale l’Ebreo è un cancro che rode lentamente la carne delle altre nazioni. Lo sfruttamento dei popoli è il suo unico scopo. Egoismo e mancanza di coraggio personale le sue principali caratteristiche; abnegazione e patriottismo gli sono del tutto estranei”.

Il nazionalismo

Come si vede, le connotazioni che si possono desumere dai due passi citati caratterizzano anzitutto l’antisemitismo come una derivazione dell’ideologia nazionalistica. Lo stereotipo dell’Ebreo veniva costruito dagli antisemiti anzitutto come immagine di un soggetto estraneo alla comunità ed alla solidarietà nazionale (“mancanza di sensibilità sociale e soprattutto di patriottismo”). Il testo citato dagli autori dell’Enciclopedia nel secondo brano è di un autore tedesco, e in effetti le peculiari caratteristiche del nazionalismo tedesco ne facevano un terreno particolarmente fertile per la deriva razzista ed antisemita5, ma – come abbiamo visto nei pochi cenni delle pagine precedenti – lo stesso affaire Dreyfus aveva dato luogo, presso gli antisemiti francesi, a considerazioni piuttosto simili.

4 Stampata a New York tra il 1901 ed il 1906. È consultabile sul web (http://www.jewishencyclopedia.com/index.jsp).5 Sul perché del successo in Germania dell’antisemitismo si è detto molto. In particolare sull’argomento sono considerate classiche le indagini di George Mosse.Mosse giunse alla conclusione che l’ideologia del Volk (popolo) come fondamento della nazione avesse ricevuto nella cultura della Germania ottocentesca delle particolari connotazioni arcaizzanti, tese a ritrovare le motivazioni dell’unità politica piuttosto nel passato remoto e leggendario della preistoria e nelle virtù ancestrali della stirpe, nel suo rapporto mistico con la terra, che non nelle esperienze della storia recente, che per lungo tempo fu carica dei fallimenti del progetto nazionale. “La lunga ricerca dell’unità nazionale da parte della Germania ebbe per effetto di indirizzare le migliori intelligenze verso la problematica del destino nazionale; l’unità in questione avrebbe potuto uscire dal Congresso di Vienna dopo la caduta di Napoleone, ma al suo posto prese forma una poco compatta Confederazione germanica, nell’ambito della quale i singoli stati furono liberi di continuare nei loro atteggiamenti di indipendenza, col risultato che quei tedeschi i quali volevano l’unità mirarono sempre più all’istituzione di una coesione culturale tra le popolazioni, anziché a una fusione politica che sembrava remotissima. Tale coesione culturale era da essi intesa come scoperta delle radici nazio-nali e vista come opposizione allo straniero. Le rivoluzioni del 1848, se in un primo tempo sembrarono offrire alla Germania nuove speranze di unità, ebbero come unico risultato la frustrazione. La ricerca di radici nazionali, di una stabilità nazionale su cui fondare un’effettiva unione, venne intensificata tra il 1848 e il 1870, e si accompagnò a una crescente opposizione al progresso tecnico. Il mondo moderno aveva negato ai tedeschi l’unità di cui pure essi avevano goduto tanto tempo prima, e molti tra loro ritennero che il movimento unitario dovesse trarre la propria forza più da quei tempi lontani che da un incerto presente”.(Le origini culturali del Terzo Reich, trad it. F. Saba-Sardi, Il Saggiatore, pag. 11) Vedi in proposito anche la scheda su “La nazionalizzazione delle masse” (ricordiamo che il concetto là esposto è stato introdotto nella storiografia proprio da Mosse.

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GLI EBREI TEDESCHI E LA FALSA ACCUSA DI ANTIPATRIOTTISMO

Herzl scriveva che, di fronte all’odio antisemitico, non valevano le prove di patriottismo date dai cittadini ebrei degli stati europei. Dopo la I Guerra Mondiale, con l’emergere sempre più accentuato di un antisemitismo militante (di cui il Nazismo era la punta emergente), la comunità ebraica tedesca si sentì in pericolo, e si vide posta sotto il peso di accuse violente ed infondate. Il volantino riprodotto sopra, a cura di un’associazione ebraica di combattenti, ricordava che 12.000 ebrei tedeschi erano morti in guerra per difendere la patria comune.In effetti il numero di ebrei tedeschi morti nella grande guerra era in percentuale lo stesso dei loro compatrioti cristiani. La comunità ebraica tedesca, era formata da c/a 500.000 individui. La tendenza più diffusa era quella all’assimilazione.

Il testo del volantino è il seguente: “Alle madri tedesche.Eroi cristiani ed ebrei hanno combattuto assieme e riposano assieme in terre lontane. - 12.000 ebrei sono caduti in guerra! Il cieco odio di partito non si ferma neanche davanti alle tombe. Donne tedesche, non permettete che venga insultato il dolore delle madri ebree!”.

Si possono fare in proposito alcune semplici riflessioni. Il processo di formazione delle identità nazionali, che pure è stato una componente importante della modernizzazione e della formazione dei valori politici delle democrazie occidentali, si è mostrato, nella sua storia, carico di pericoli e possibili aberrazioni; la ricerca dell’accomunamento e della solidarietà popolare (la fraternité dei rivoluzionari francesi) correva spesso il rischio di accompagnarsi al bisogno ossessivo di contrapporre ciò che “noi” siamo a ciò che “non siamo”, a chi “non è come noi”, e infine al nemico. (N. B. La scheda a fianco è dedicata ad esemplificare una smentita del pregiu-dizio sopra descritto )

Il nemico “interno”

Le brevi citazioni riportate contengono però anche altre sfaccettature della demonizzazione dell’Ebreo tipica della dottrina antisemita. Si noti soprattutto la pesante affermazione “Nell’Europa orientale l’Ebreo è un cancro che rode lentamente la carne delle altre nazioni. Lo sfruttamento dei popoli è il suo unico scopo”. Oltre a fornire l’immagine del diverso, dell’altro da noi, utile per rinsaldare quelle “immagini collettive di sé” (“identità”) che a molti parevano una componente indispensabile della formazione del cittadino del moderno stato-nazione, l’antisemitismo era molto efficace nell’additare un capro espiatorio per malesseri sociali diffusi, nel fornire spiegazioni semplificate delle difficili novità della modernizzazione, e così nell’alimentare “teorie del complotto” e immagini del “nemico interno” come responsabile dei malesseri e delle

sciagure collettive, dello sfruttamento, della povertà ecc.

I pogrom tra fine Ottocento e inizio Novecento

In tale senso, nel periodo a cavallo fra i due secoli, il pregiudizio popolare antiebraico preesistente presso le masse fu ampiamente sfruttato dalle autorità politiche e da componenti della polizia della Russia zarista, nel corso della violenta ondata di pogrom6 che colpì la più ampia delle comunità ebraiche europee.“Il primo scoppio di furia "popolare" contro gli Ebrei [in Russia] si ha a Odessa nel 1871, ma è dal 1881 al 1889 che si registra una vera e propria ondata antisemita: in ben 26 località diverse si segnalano violenze contro gli ebrei. Qualche anno di tesa calma, e poi di nuovo, fra il 1902 e il 1906, uno sciame di brutali attacchi agli ebrei in ben 21 luoghi differenti.” 7 Ricordiamo che nel marzo del 1881, lo Zar Alessandro II era stato ucciso in un attentato ad opera di terroristi del gruppo populista “Libertà del popolo”. Il metodo terroristico del gruppo era basato sul progetto di sollevare la rivolta

6 Il termine russo pogrom significa “distruzione”. Si trattava di assalti in massa alle case ed ai villaggi degli Ebrei, con uccisioni e devastazioni. 7 R. Finzi, cit. le varie ondate di pogrom che si verificarono fra il 1880 ed il 1906 fecero molte centinaia di morti fra gli Ebrei, se ne calcolano circa 800 nel solo periodo tra il 1905 ed il 1906. Una terza ondata si verificò nel periodo di confusione e guerra civile che seguì la Rivoluzione russa del 1917. In quest’ultima fase i morti furono probabilmente 60.000. Gli assalti agli ebrei furono perpetrati soprattutto dalle truppe controrivoluzionarie: i “Bianchi”. (Notizie tratte da B. Morris Vittime, Rizzoli, Milano 2001, pag. 39).

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popolare mostrando, con assassinii esemplari, la vulnerabilità del potere. Lo sconvolgimento provocato da tale atto fu la causa scatenante dell'ondata dei pogrom; essi furono in parte spontanei (diceria - infondata - che i mandanti o gli esecutori fossero gli Ebrei), ma in parte fomentati da agenti del governo. In questo caso, la carta antisemita venne giocata consapevolmente allo scopo di orientare il malessere popolare verso un capro espiatorio.

Il falsi Protocolli e la codificazione dell’ideologia antisemita

Dalla Russia, e in particolare dalle attività propagandistiche della polizia segreta zarista (Okhrana), proviene anche il testo che più di tutti ha contribuito a codificare e propagandare gli stereotipi antisemiti. Si tratta dei Protocolli dei Savi Anziani di Sion, un clamoroso “falso documento” che porgerà la fondamentale trama di idee alla propaganda nazista. La lettura dei Protocolli sarà la base dell’indottrinamento dei corpi paramilitari nazisti. Il Mein Kampf (1924) di Hitler utilizza nell’essenziale idee tratte dai Protocolli. Il testo pretende di essere la trascrizione di una serie di conferenze segrete, tenute dal capo (o dai capi) di un’organizzazione ebraica, illustranti ad una ristretta cerchia di accoliti il piano per una dominazione mondiale da parte del popolo ebraico. Inutile dire che tale organizzazione non è mai esistita e che la stessa falsificazione del documento era fatta in modo piuttosto grossolano. Lo scopo era quello di diffondere l’odio antiebraico, attraverso l’immagine del “giudaismo mondiale” come di una potenza occulta che nell’ombra trama a danno dei popoli cristiani, per sottomettere il mondo alla schiavitù sotto il dominio del “popolo eletto”. I falsari volevano che il lettore interpretasse il malessere ed il disagio insiti nel processo di modernizzazione (i conflitti sociali, lo sgretolarsi delle forme tradizionali di moralità e di gerarchia sociale) come prodotti da un grandioso piano di distruzione dei valori e delle regole di vita della società cristiana architettato dalla diabolica intelligenza di una élite ebraica. Le conferenze svolgono le grandi linee di questo presunto piano, con un discorso prolisso e visionario nelle argomentazioni di principio; ma povero e generico nei riferimenti concreti a fatti, luoghi e persone.Il testo venne redatto probabilmente negli anni dell’affaire Dreyfus (poco dopo il 1896) da agenti segreti russi in distacco a Parigi. La prima edizione russa risale al 1905; la diffusione in tutta Europa è invece successiva alla I Guerra Mondiale. Nel corso dei primi anni ’20 venne tradotto in tutte le lingue europee8. Il clima europeo dell’immediato dopoguerra era adatto a fomentare gli incubi di cui il testo era portatore: le stragi e le distruzioni della guerra, la rivoluzione comunista in Russia, l’indebitamento degli stati, la crisi economica che erodeva la posizione sociale delle classi medie, l’acuirsi dei conflitti sociali ecc. I Protocolli davano una facile spiegazione a tutto questo e ad altro ancora tramite una “teoria del complotto”.Al potere occulto degli Ebrei veniva attribuito: il processo di sovversione delle tradizioni europee e delle autorità costituite (a partire dalla Rivoluzione Francese), la diffusione di idee miranti alla distruzione dei valori morali e religiosi (nel II protocollo venivano menzionati in proposito Darwin, Marx e Nietzsche), il controllo dell’alta finanza e la capacità di condizionare tramite essa gli Stati, il controllo della stampa e dell’opinione pubblica, la diffusione delle idee sovversive (socialismo, comunismo, anarchismo). Inoltre agli Ebrei venivano attribuiti tutti i torti del capitalismo e dello sfruttamento capitalistico, inteso come forma moderna di schiavitù, ma allo stesso tempo venivano anche indicati come i capi (palesi, ma più spesso occulti) del movimento operaio con le sue idee sovversive. È fin troppo evidente la contraddizione di accreditare alla fantomatica “internazionale ebraica” il capitalismo e allo stesso tempo l’anticapitalismo socialista e sovversivo. Ovviamente non si trattava di un “intelligente paradosso”: era semplicemente una stupidaggine.

Soprattutto nella Germania del dopoguerra c’erano molti elementi per il successo dell’antisemitismo: la grave crisi politica ed economica seguita alla guerra ed al trattato di Versailles, ma anche la “leggenda della pugnalata alle spalle” (secondo la quale la guerra era stata persa a causa di un “nemico interno”), la delegittimazione dei socialdemocratici (che avevano firmato il trattato di Versailles nel breve periodo in cui erano stati al governo e perciò erano visti come forza antipatriottica) e delle stesse istituzioni della Repubblica di Weimar (che si consideravano imposte alla Germania dai suoi nemici). Tutto questo poteva far apparire, agli occhi di gran parte conservatori, il paese come vittima di un potere estraneo alla vera volontà del popolo. Il maggiore successo propagandistico di Hitler fu quello di incanalare tale malessere entro una spiegazione distorta: alla base di tutto c’è quel corpo estraneo e avverso alla nazione che “da sempre” sono gli Ebrei. Le conseguenze pratiche di tutto questo sono troppo note per doverle riassumere qui; il partito nazista porterà l’antisemitismo a livello di ideologia ufficiale di uno stato: dalle “leggi di Norimberga” (1935), che configuravano lo stato basato sulle differenze di “razza”, alla “soluzione finale” (1942-45).

8 Già nel 1921, comunque, il giornalista inglese Philip Graves (corrispondente del Times) era riuscito a dimostrare la falsità dei Protocolli, ritrovando una fonte alla quale gli autori avevano attinto gran parte del testo: si trattava di un pamphlet contro Napoleone III, che non aveva nulla a che fare con gli Ebrei (Maurice Joly Dialogue aux enfers entre Machiavel et Montesquieu, 1865). Gli autori dei Protocolli ne avevano adattato le pagine ai propri scopi. La scoperta di Graves, pur essendo stata tempestivamente pubblicizzata, non riuscì a scuotere il successo del falso documento. I Protocolli incontravano un pubblico prevenuto, che era ormai inaccessibile ad argomentazioni razionali.

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Lettura e chiarimenti

Theodor Herzl: lo Stato Ebraico e l’Europa

Sappiamo già che le idee di Herzl furono il momento decisivo per la nascita del Sionismo.In particolare Herzl ebbe l’intuizione (che era mancata ai precedenti sostenitori del “ritorno” in Palestina) di porre quello dello Stato Ebraico come un problema da trattare a livello internazionale, avviando rapporti e trattative “ufficiali” con le potenze dell’epoca. Come scrive lo storico israeliano Avi Shlaim “si trattò del passo decisivo per la definizione del sionismo politico, in particolare attraverso la tesi che la questione ebraica era un problema politico carico di implicazioni internazionali e perciò da affrontare nella logica della politica internazionale. Ciò aggiungeva una dimensione nuova al progetto della patria ebraica, in netto contrasto con il proto-sionismo “pratico” dell’associazione degli Amanti di Sion (Hovevi Sion)”9.

Passiamo a leggere alcuni capoversi tratti da Lo Stato Ebraico.È importante conoscerli per capire bene quel legame del Sionismo con la storia europea . In fondo è questa la radice principale delle lunghe e così difficili vicende successive. Israele (che inizia ad esistere come stato nel 1948) si configurerà, in effetti, come un frammento di Europa (e della storia tragica e conflittuale dell’Europa, con culmine nella Shoah), trapiantato in un ambito extraeuropeo, proprio nel momento in cui i paesi ex coloniali iniziavano la lotta per il raggiungimento dell’indipendenza (dell’autodeterminazione nazionale) contro la precedente fase di dominio coloniale europeo. A. Vediamo anzitutto che Herzl reagisce all’antisemitismo europeo (e giunge – con una lucidità impressionante – a

prevedere la catastrofe degli Ebrei in Europa). La conseguenza che ne trae è la necessità di avere una patria altrove, fuori dagli stati europei che non accettano l’assimilazione.

B. D’altro canto, però, quando passa all’opzione dell’emigrazione in Palestina, afferma anche un’identità europea acquisita e permanente degli Ebrei sionisti, e interpreta la loro posizione tra i due mondi dell’Europa e dell’Asia tramite il modello della contrapposizione civiltà/barbarie e dell’espansione della cultura europea come ampliamento degli spazi della civiltà. L’impianto del discorso si impernia sul valore della “missione civilizzatrice” che era tipico della sua età: l’età degli imperi coloniali e del “white man’s burden”.

"Qualsiasi sfumatura prenda, io ritengo che la questione ebraica non sia né religiosa né sociale, bensì nazionale. Per risolverla, dobbiamo innanzitutto porla in termini politici, su scala mondiale. Essa potrà allora essere regolata nel quadro del consesso dei popoli civili. Noi siamo un popolo, siamo un solo popolo!Ovunque, abbiamo lealmente tentato di fonderci nelle comunità nazionali nelle quali ci trovavamo e di non conservare altro che la fede dei nostri padri. Questo non ci viene permesso. Non vale che siamo dei buoni patrioti, e in certi paesi dei patrioti esasperati ed eccessivi, non vale che contribuiamo con gli stessi sacrifici di vite e di averi dei nostri concittadini, e neppure che ci sforziamo di accrescere la grandezza dei nostri paesi nativi nella scienza e nelle arti, o che contribuiamo alla loro ricchezza tramite i commerci. Nei Paesi in cui viviamo da secoli, siamo considerati stranieri, anche da coloro i cui antenati si sono stabiliti in essi molto più tardi dei nostri. Poiché è la forza della maggioranza a decidere chi sono “gli stranieri” […]

Non saremo sterminati dall’oppressione e dalla persecuzione. Non vi è popolo nella storia che abbia dovuto sopportare così tante lotte e sofferenze. Questo odio per gli ebrei non ha provocato altro che la defezione dei più deboli fra noi […].Ebbene, l’antisemitismo esploderà con tanta più violenza quanto più esso si sarà fatto attendere. L’infiltrazione degli ebrei, attirati da una sicurezza apparente e l’ascesa sociale degli ebrei autonomi, si congiungono in un fenomeno di estrema violenza e provocano la catastrofe. Non vi è niente di più semplice di questo ragionamento. Nessuno è abbastanza forte o abbastanza ricco da poter trapiantare un popolo da un luogo a un altro. Solo un’idea vi può riuscire. L’idea dello Stato possiede questa forza. Nel corso della loro lunga e tragica storia, gli ebrei non hanno smesso di nutrire questo sogno regale: ‘l’anno prossimo a Gerusalemme”. È il nostro vecchio detto. Occorre adesso mostrare che il sogno può diventare una luminosa realtà.[…] I popoli presso i quali vivono gli ebrei sono tutti antisemiti, senza eccezione alcuna, che lo siano vergognandosene o in modo aperto. […] Così, che lo vogliamo o no, siamo e resteremo un gruppo storico riconoscibile per le sue caratteristiche omogenee. Siamo un popolo, ed è il nemico, nostro malgrado, che a ciò ci costringe, come è sempre stato nella storia. È nel nostro sconforto che ci riuniamo e che, d’improvviso, scopriamo la nostra forza. Sì, noi abbiamo la forza di creare uno Stato, un vero Stato modello. Disponiamo di tutti i mezzi materiali e umani necessari per tale compito […]

9 Avi Shlaim The iron wall: Israel and the Arab World, W. W. Norton & Company, 1999L’autore appartiene a quel gruppo di storici israeliani che, nel corso degli anni Ottanta e Novanta hanno lavorato a ridimensionare i “miti fondatori” del Sionismo.

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La Society of Jews tratterà con gli attuali Stati sovrani e sotto la protezione delle potenze europee, se la cosa li convincerà fino in fondo. Noi possiamo garantire enormi vantaggi all’attuale Stato sovrano, possiamo accollarci una parte del suo debito pubblico, costruire strade, di cui anche noi abbiamo bisogno, e molte altre cose. Ma gli Stati confinanti avranno da guadagnare anche solo dal semplice costituirsi dello Stato ebraico, perché sia su scala ridotta che su vasta scala, la cultura di un paese aumenta il valore del territorio circostante.E da preferire la Palestina o l’Argentina? La Society prenderà ciò che le verrà dato, tenendo conto della pubblica opinione del popolo ebraico. La Society verifi-cherà entrambe le cose. L’Argentina è uno dei paesi più ricchi di risorse naturali della terra, dotata di enormi distese, scarsa popolazione e clima temperato. La repubblica argentina sarebbe molto interessata a cederci una parte del suo territorio. L’attuale infiltrazione ebraica ha prodotto solo irritazione; bisognerebbe informare l’Argentina sulla sostanziale differenza della nuova immigrazione ebraica. La Palestina è la nostra patria storica, che ci resterà sempre nel cuore. Questo nome da solo sarebbe un segnale di adunata straordinariamente toccante per il nostro popolo. Se Sua Maestà il Sultano ci concedesse la Palestina, ci po-tremmo impegnare, per sdebitarci, a risistemare le finanze della Turchia. In favore dell’Europa costruiremmo là una parte del vallo per difenderci dall’Asia, costituendo così un avamposto della cultura contro la barbarie. Come Stato neutrale resteremmo in rapporto con tutta l’Europa, che dovrebbe garantire la nostra esistenza. Per i luoghi santi della cristianità si potrebbe trovare una forma di diritto internazionale, per garantirne l’extraterritonalità”.

Il Sionismo e gli Arabi

La proiezione internazionale nella quale veniva lanciato il progetto sionista, e gli aspetti già ricordati della mentalità del tempo in esso insiti non erano certo favorevoli ad una impostazione significativa del rapporto fra immigrazione ebraica e popolazioni indigene della Palestina. Probabilmente è esagerato attribuire troppo semplicemente ai Sionisti lo slogan “una terra senza popolo per un popolo senza terra”, ma è vero che quello di come stabilire un rapporto positivo con gli Arabi fu un problema vissuto in modi marginali e inadeguati. In proposito riportiamo ancora alcuni capoversi dal citato saggio di Avi Shlaim.

La maggioranza dei primi sionisti mostrava una sorprendente mancanza di curiosità riguardo a come stavano davvero le cose nella terra alla quale tributava la propria devozione. È anche vero che la loro principale preoccupazione non era la realtà della Palestina, ma la questione ebraica. La Palestina era da loro presa in considerazione solo in funzione di ciò. Non è vero, invece, che fossero inconsapevoli dell’esistenza di una popolazione araba in Palestina o della possibilità che quest’ultima fosse l’antagonista dell’impresa sionista. Si trattava, certo, di una consapevolezza vaga: sottovalutavano la serietà del problema e speravano che una soluzione si sarebbe trovata in corso d’opera. Lo stesso Herzl esemplifica la tendenza del sionismo ad indulgere in “pii desideri”. Sebbene non fosse molto informato sulle condizioni sociali ed economiche del paese, era sicuramente al corrente del fatto che la Palestina aveva una popolazione consistente. Egli considerava i nativi come primitivi ed arretrati, e il suo atteggiamento nei loro confronti era di tipo paternalistico. Nel suo programma essi avrebbero dovuto godere, in quanto individui, della pienezza dei diritti civili all’interno dello Stato ebraico, ma non li prendeva in considerazione come collettività che potesse avanzare dei diritti politici sulla terra nella quale formavano la stragrande maggioranza. Come molti dei primi sionisti, Herzl sperava che i benefici economici derivanti dalla presenza ebraica avrebbero riconciliato gli Arabi con l’impresa sionista; riteneva che gli Ebrei, portatori dei vantaggi della civiltà occidentale, sarebbero stati i benvenuti nell’Oriente arretrato. […]Herzl saltava a piè pari la possibilità che in Palestina, in risposta al progetto di trasformare il paese in una sede nazionale ebraica a maggioranza ebraica, potesse sorgere un movimento nazionale arabo. Per difendere Herzl dall’accusa di miopia, si potrebbe osservare che alla fine del XIX secolo la Palestina era una provincia dell’Impero Ottomano e che il movimento nazionale arabo era appena ai suoi inizi. Ma anche con questo è innegabile la sua propensione a pensare le cose in termini di “grande politica”. I suoi sforzi più costanti si diressero a persuadere il Sultano ottomano a concedere uno statuto a garanzia dell’insediamento e della dimora nazionale ebraica in Palestina. Ma prese contatti anche con molti altri capi politici mondiali e con influenti magnati per chiedere aiuto a promuovere il proprio progetto. Tra coloro che gli accordarono udienza ci furono il Papa Pio X, il Re d’Italia Vittorio Emanuele III, l’Imperatore tedesco Guglielmo II e il segretario britannico delle colonie Joseph Chamberlain.

Successi ed insuccessi del primo sionismo

Si può certamente dire che nei primi decenni dal suo inizio il movimento sionista non ottenne successi considerevoli. Gli Ebrei assimilati dei paesi occidentali furono pochissimo interessati a tale prospettiva. Alcuni gruppi di Ebrei orientali vollero, invece, tentare l’avventura della migrazione in Palestina. Le cifre della migrazione si ricavano dal seguente elenco (che contiene i dati fino al 1931 e l’indicazione dei paesi dai quali provenivano in maggior parte gli emigranti). Il termine “aliah” (letteralmente: “risalita”) è quello col quale i Sionisti indicano la migrazione in Palestina. 1882-1903 I Aliah: 25.000 (Russia) 1904-23 II e III Aliah: 70.000 (Russia, Polonia) 1924-31 IV Aliah: 81.000 (Polonia).

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Sono numeri che impallidiscono in confronto a quelli dell’emigrazione di ebrei russi verso gli Stati Uniti, che viene stimata, per il periodo tra il 1880 ed il 1924 in c/a 2 milioni.

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