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RASSEGNE HIMMLER E LE SS: CONTRIBUTI RECENTI ALLO STUDIO DEL TERZO REICH « Noi non ci aspettiamo di essere amati da molti ». Heinrich Himmler I. Il nome e l’immagine delle SS sono genericamente associati, nella pub- blicistica e nella coscienza comune dei popoli che ebbero a conoscere la do- minazione nazista, ai più efferati crimini compiuti durante la seconda guerra mondiale nell’Europa occupata dagli eserciti hitleriani. Negli ultimi anni le prime ricerche di carattere più propriamente storico, le quali, per quella stessa mostruosa evidenza dei fatti che non consente di archiviare in sede puramente storiografica eventi dei quali sono ancor vive le ripercussioni politiche e psicologiche in Germania come altrove, non potevano non con- fermare questa valutazione di massima — ha scritto recentemente lo sto- rico svizzero Walther Hofer che « sotto il segno runico delle SS sono av- venuti i più terribili crimini della storia mondiale » (i) — sono venute recando importanti contributi alla esatta definizione della posizione delle SS nella struttura dello Stato nazista, della loro effettiva partecipazione ai piani di dominazione e ai metodi di governo del Terzo Reich nei territori occupati, come pure all’interno della Germania stessa, basandosi oltre che sulla memorialistica già esistente di politici, militari e comandanti delle SS, sull’ampia documentazione emersa nei processi celebrati dal Tribunale in- ternazionale di Norimberga e da altre corti contro i criminali di guerra e su ogni altra fonte documentaria resasi nel frattempo accessibile agli studiosi. Non si potrebbe comunque comprendere l’importanza e la funzione delle SS come strumento della dominazione terroristica del Terzo Reich ed elemento insostituibile, se non altro per le loro implicazioni razzistiche, della Weltanschauung nazionalsocialista, se non si respingesse, preliminar- mente, l’ipotesi di considerare gli sviluppi ultimi delle SS come un errore, una degenerazione del sistema nazionalsocialista. Come ha sottolineato lo Hofer, nel lavoro già citato, « inumanità e mancanza di misura, brutalità e spietatezza » erano profondamente legate all’essenza stessa della Welttm-( i ) (i) v. W. H ofer, Der Nationalsozialismus. Dokumente 1933-1945. Frankfurt a M. Fischer-Biicherei. 1957, p. 80.

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R A S S E G N E

HIMMLER E LE SS: CONTRIBUTI RECENTI ALLO STUDIO DEL TERZO REICH

« N o i non ci aspettiam o di essere amati da m olti ».

H ein rich H im m ler

I.

Il nome e l’immagine delle SS sono genericamente associati, nella pub­blicistica e nella coscienza comune dei popoli che ebbero a conoscere la do­minazione nazista, ai più efferati crimini compiuti durante la seconda guerra mondiale nell’Europa occupata dagli eserciti hitleriani. Negli ultimi anni le prime ricerche di carattere più propriamente storico, le quali, per quella stessa mostruosa evidenza dei fatti che non consente di archiviare in sede puramente storiografica eventi dei quali sono ancor vive le ripercussioni politiche e psicologiche in Germania come altrove, non potevano non con­fermare questa valutazione di massima — ha scritto recentemente lo sto­rico svizzero Walther Hofer che « sotto il segno runico delle SS sono av­venuti i più terribili crimini della storia mondiale » (i) — sono venute recando importanti contributi alla esatta definizione della posizione delle SS nella struttura dello Stato nazista, della loro effettiva partecipazione ai piani di dominazione e ai metodi di governo del Terzo Reich nei territori occupati, come pure all’interno della Germania stessa, basandosi oltre che sulla memorialistica già esistente di politici, militari e comandanti delle SS, sull’ampia documentazione emersa nei processi celebrati dal Tribunale in­ternazionale di Norimberga e da altre corti contro i criminali di guerra e su ogni altra fonte documentaria resasi nel frattempo accessibile agli studiosi.

Non si potrebbe comunque comprendere l’importanza e la funzione delle SS come strumento della dominazione terroristica del Terzo Reich ed elemento insostituibile, se non altro per le loro implicazioni razzistiche, della Weltanschauung nazionalsocialista, se non si respingesse, preliminar­mente, l’ipotesi di considerare gli sviluppi ultimi delle SS come un errore, una degenerazione del sistema nazionalsocialista. Come ha sottolineato lo Hofer, nel lavoro già citato, « inumanità e mancanza di misura, brutalità e spietatezza » erano profondamente legate all’essenza stessa della Welttm- (i)

(i) v . W . H ofer, Der Nationalsozialismus. D okum ente 19 3 3 -19 4 5 . F ran k fu rt a M. Fisch er-B iich ere i. 19 5 7 , p . 80.

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48 Enzo Collotti

schauung nazionalsocialista e pertanto furono sin dagli inizi, e non soltanto per tardiva degenerazione, i segni caratteristici del sistema. Soltanto alla luce di questa premessa, che poggia sulla storia stessa della nascita e del sue- cessivo sviluppo delle SS nell’ambito del regime nazionalsocialista, è possi' bile intendere il ruolo ad esse attribuito nella ideologia e nella prassi di governo della NSDAP, come insostituibile strumento di élite e di avanguar- dia rivoluzionaria e ferrea e spietata custode, sino ai limiti del più assurdo terrorismo, della saldezza del regime.

Dopo l’accurato ma ristretto saggio analitico di Hans Buchheim, il quale si è preoccupato principalmente di definire l’esatta posizione delle SS nella struttura del Terzo Reich da un punto di vista prevalentemente for­male (2), la storia delle SS, nelle loro premesse teoriche, nella loro reale consistenza e articolazione e nel loro effettivo impiego, è ricostruita adesso, con dovizia di documentazione, vigore narrativo e precisa informazione, da uno studioso inglese, Gerald Reitlinger, già distintosi nello studio di un altro aspetto della Germania nazista, per certi versi analogo e spesso inter- secantesi con questo nuovo studio, ossia la cosiddetta « soluzione finale » del problema ebraico (3). Anche questa nuova opera del Reitlinger, inti­tolata nell’originale inglese The SS, Alibi of a Nation 1922-1945 (London, Heinemann, 1956), reca un contributo assai cospicuo e sotto un certo punto di vista definitivo, all’argomento affrontato con notevole serietà di impegno e solidità di preparazione, non smentite da qualche non essenziale errore di fatto. Naturalmente non poteva sfuggire ai lettori tedeschi che il Reitlinger non si limita a raccogliere dei dati e a metterli impassibilmente in fila, come piacerebbe a coloro che non potendo evitare che gli studiosi si occupino del Terzo Reich vorrebbero almeno impedire che prendessero posizione e pre­ferirebbero che si trincerassero dietro una presunta e anodina obbiettività che, ne siamo convinti, non giova alla ricerca storica e rende per giunta un pessimo servizio anche dal punto di vista politico a quanti si sforzano di dare al popolo tedesco la coscienza dei crimini compiuti contro se stesso e contro l’Europa e di impedire in tal modo che Ja politica dell’oblio co­mandata dall’alto finisca per imbrogliare definitivamente le carte, confon­dendo e mettendo sullo stesso piano morale vincitori e vinti, oppressori e oppressi, torturatori e torturati, e per portare per questa via ad una asso­lutoria generale, in modo ancora più definitivo di quanto non sia già avvenuto.

A questo punto è necessario aprire una parentesi, che conferma come opere quali questa del Reitlinger non rispondono inevitabilmente soltanto ad esigenze di ricerca storica ma anche a precisi interessi politici. E ’ chiara fin dal titolo dell’edizione originale, Alibi of a Nation, la conclusione alla quale perviene il Reitlinger al termine della sua ricostruzione, nella quale, in polemica implicita con quanti scaricano esclusivamente sulle SS ogni re­sponsabilità, tiene a sottolineare in un modo che a noi pare ineccepibile la 2 3

(2) v. H . Bu ch h eim , Die SS in der V erfassung des D ritten Reiches, nei Viertel- jahreshefte fiir Zeitgeschichte, aprile 19 55 , pp . 12 7 - 15 7 .

(3) v. G . Reitlinger, T h e Final Solution. T h e A tte m p t to E xterm inate the lew s o f Europe. 19 39 -19 4 5 . L on d o n , 19 53 .

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complicità e la partecipazione ai crimini delle SS di una così vasta cerchia di persone, di funzionari e di organismi senza il sostegno dei quali non sarebbe mai stato possibile mettere in moto la colossale operazione di an- nientamento degli ebrei e l’organizzazione dei campi di concentramento e delle camere a gas, al punto che si è parlato di un ritorno alla tesi della responsabilità collettiva del popolo tedesco per i crimini consumati dalla Germania hitleriana. Ma evidentemente la tesi del Reitlinger non era tale da poter piacere a molti tedeschi. Fatto si è che l’edizione tedesca del libro, la cui traduzione è comunque da valutare positivamente, reca un titolo to- talmente diverso, che mira evidentemente a capovolgere la tesi dell’Autore: Die SS. Tragòdie einer deutschen Epoche (München. Verlag Kurt Desch, 1957). E come se non bastasse, in calce all’edizione tedesca una avvertenza dell’editore rende noto che con il consenso dell’Autore sono stati modificati anche taluni giudizi.

A parte il fatto, anch’esso non privo di significato, che l’edizione te­desca è stata epurata anche delle poche riproduzioni fotografiche, tra le quali principalmente quelle relative aj massacro degli ebrei e all’arrivo dei depor­tati ad Auschwitz, da un confronto testuale delle due edizioni è facile ri­scontrare la cura dell’editore tedesco di attenuare o addirittura omettere le affermazioni dell’Autore relative all’indulgenza della odierna Germania uffi­ciale nei confronti del passato e alla complicità di più vasti circoli nelle atro­cità delle SS, nonché talune valutazioni di fondo sull’essenza del nazional­socialismo. E valgano a dimostrazione di ciò i seguenti esempi tratti dal capitolo conclusivo dell’opera:

edizione inglese p. 451

A proposito del verdetto di Mo­naco in favore del generale delle Waffen SS Simon (ottobre 1955) :

« Il dott. Hoegner, presidente del Consiglio bavarese, protestò viva­mente contro un verdetto certamen­te pericoloso, se non altro fu certo notevole che nel 1955 fosse ancora possibile accusare un generale delle SS, e in particolare uno che era già stato condannato a morte una volta dagli inglesi per l’uccisione di parti­giani italiani e che aveva guadagna­to l’aureola del martirio per aver passato dieci anni nella prigione di Werl.

In una Germania decisa a dimen­ticare la storia, questo episodio sca­tenò poche passioni ».

edizione tedesca p. 437

« Il Presidente del Consiglio ba­varese protestò vivamente contro questo verdetto, riguardante un ge­nerale delle SS, che gli inglesi ave­vano condannato a morte per l’uc­cisione di partigiani italiani e che aveva passato dieci anni nella pri­gione di Werl. Ma anche questo episodio eccitò gli animi soltanto momentaneamente ».

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Enzo Collotti5Ô

p. 452

« Non ci si rende conto quanto poco la Gestapo fu un’istituzione autonoma e in quale misura i suoi poteri dipesero dalla cooperazione di tutta la burocrazia tedesca ».

p. 452

« Il primo Tribunale di Norim­berga si piose il compito di giudica­re le SS nel loro complesso e di de­cidere se si trattasse di una organiz­zazione criminale, la semplice ap­partenenza alla quale potesse essere qualificata come delitto. Esso decise affermativamente e in virtù di que­sta sentenza l’appartenenza alle SS costituì una certa misura di compli­cità nelle atrocità che furono com­messe. Dal punto di vista psicologi­co fu il più pericoloso degli errori. Se si fosse dovuto comunque dare un giudizio, si sarebbe dovuto ap­plicarlo al popolo tedesco nel suo complesso, invece di fornirgli un ta­le comodo capro espiatorio ».

P* 453« In Germania non vi fu alcuna

rivoluzione. 11 potere capitalistico e monopolistico del capitalismo tede­sco rimase esattamente nelle stesse mani di prima. Il grosso degli ad­detti agli uffici pubblici rimase al suo posto e non gli fu neppure ri­volta la richiesta di aderire al par­tito ».

P- 439« I più non si accorgono che nep­

pure la Gestapo potè agire in piena indipendenza e che anch’essa fece affidamento sulla collaborazione di taluni circoli della burocrazia tede­sca ».

P- 439« ...Il verdetto fu affermativo, e

in virtù di esso anche stranieri e te­deschi arruolati o mandati per ob­blighi di leva nelle SS furono rite­nuti responsabili di azioni, che spes­so erano state commesse da autori­tà ufficiali o civili, con le quali l’in­teressato nulla aveva a che fare ».

Il seguito risulta omesso.

p. 440

Omesso.

Ma non sono queste le uniche considerazioni politiche, certamente poco incoraggianti, che suggerisce la traduzione tedesca del libro del Reitlinger. A non dir altro, la cosa più impressionante è l’enorme folla dei personaggi e dei protagonisti delle atrocità qui narrate che si trova ancora in circola­zione. Per la maggior parte di essi, alleati e tedeschi hanno sempre trovato una qualche formula per rimetterli in libertà doipo una condanna relativa­mente mite o addirittura per assolverli. In sostanza, a parte i pochi che

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furono condannati a Norimberga, o che si uccisero prima ancora del ver­detto, come Himmler, moltissimi dei responsabili del terrorismo nazista sono oggi a piede libero e alcuni hanno anche la possibilità di fare libera e pubblica esaltazione delle gesta gloriose degli sgherri già sottoposti al loro comando; il criminale Hans Clauberg, uno dei maggiori responsabili dei delittuosi esperimenti medici condotti sulle deportate (4), sarebbe certamen­te ancora su questa terra se non fossero intervenute di recente cause di morte naturale. Per completare questo quadro basti dire che, se non an­diamo errati, dei moltissimi comandanti nazisti incontrati in queste pagine, l’unico che ancora si trova in prigione è il Maggiore Reder, condannato al­l’ergastolo per l’eccidio di 2700 civili italiani e rinchiuso nella prigione di Gaeta.

Tutto ciò naturalmente non avrebbe alcuna importanza se la presenza e l’attività di questi uomini non contribuisse, grazie alla compiacenza tacita o esplicita delle autorità tedesche, alla sopravvivenza di miti e di idee che già una volta hanno portato alla rovina la Germania, lasciando traccia della loro nefasta influenza su tutto il continente europeo.

I L

Chiusa questa pur necessaria parentesi di carattere più propriamente politica, torniamo al libro del Reitlinger e alla ricostruzione che esso offre della storia delle SS, avvertendo una volta per tutte che le nostre citazioni si riferiscono all’edizione tedesca, che deve essere considerata quella defi­nitiva. Naturalmente a noi non interessa seguire passo per passo l’opera del Reitlinger ma soltanto servircene, con opportune integrazioni e con il sus­sidio di altre fonti, ai fini di una sintetica ricostruzione di ciò che le SS hanno rappresentato nella vita della Germania hitleriana, dalle oscure ori­gini di milizia della rivoluzione nazionalsocialista e di guardia pretoriana del Führer alla loro trasformazione in un esercito di oltre mezzo milione di uomini, con una sua autonoma potenza nell’ambito dello Stato nazista, ri- costruzione utile anche per far luce su alcuni altri aspetti della storia del Terzo Reich e per segnalare alcuni motivi di interpretazione storiografica del medesimo periodo.

Anzitutto, quale fu l’origine delle SS e donde derivò il loro stesso nome? L'esordio di questo corpo di polizia di partito fu senz'altro modesto, e tale certamente da non lasciare presagire l’importanza che avrebbe assunto nella storia della Germania moderna: le SS, abbreviazione di SchutZstaffel (reparti di protezione), nacquero nel 1922-1923 come una sezione della mi­lizia di partito di Hitler, le SA, o Sturmabteilungen (reparti d’assalto), e nei primi otto anni della loro esistenza non contarono più di duecento uomini. Le SA avevano il duplice compito di fornire la scorta armata ai raduni della NSDAP e di disturbare i raduni degli altri partiti, e in particolare quelli 4

(4) S i ved a in proposito l ’ ottim o saggio di G . Melodia, La « demografia nega- tiva » del dottor Clauberg, ne 11 P onte, feb b raio 19 5 7 , pp . 223-230 .

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dei comunisti, reclutando i loro effettivi nei Freikorps, le milizie di irre­golari sorte dopo la sconfitta del 1918 nella Germania weimariana per la lotta antibolscevica e come reazione della piccola borghesia e dei militari disoccupati alla sconfitta e alia tensione rivoluzionaria dell’epoca, che costi­tuirono una delle avanguardie del movimento nazista. Non a caso dai corpi franchi doveva provenire, tra gli altri, l’uomo destinato a forgiare i destini delle SS : Heinrich Himmler.

Hitler aveva fondato le SA già nel 1920 con la collaborazione di Ernst Rohm, prima ancora, per sua stessa confessione, di venire a conoscenza delle analoghe milizie fasciste. Dopo il fallimento del putsch di Monaco del 9 novembre 1923, tentato con l’appoggio delle SA, e dopo avere scontato una mite condanna nella fortezza di Landsberg, Hitler si convinse della necessità di allestire una guardia del corpo, « seppure modesta, incondizio­natamente fedele » alla sua persona. Come riconobbe lo stesso Hitler, sol­tanto sotto la guida di Himmler le SS divennero una « truppa straordinaria, dedita e fedele a un ideale fino alla morte ». Converrà quindi soffermarsi intanto brevemente sulla figura di questo sinistro personaggio.

Nato in Baviera nel 1900, Heinrich Himmler fu nominato Reichsfiihrer delle SS il 6 gennaio 1929. La sua qualificazione come capo delle SS fu data certamente dal contributo originale da lui dato allo sviluppo dell’ideo­logia razzista, alla quale diede l’apporto della concezione delle SS come una nuova aristocrazia della stirpe. Uomo mediocre e alquanto ignorante, furbo ma forse meno di quanto si potrebbe credere, Himmler diede prova di straordinaria diligenza e impassibilità nell’organizzare gli strumenti del terrore nel Terzo Reich, ma in definitiva il suo fanatismo razzista appare senza passione e senza odio, con una incredibile freddezza e crudeltà. Le sue idee erano estremamente semplici nella loro brutalità : « Leali, corretti, fedéli e camerateschi dobbiamo essere nei confronti degli appartenenti al nostro stesso sangue e verso nessun altro. Che cosa sarà dei russi, come dei cechi mi è del tutto indifferente... Noi tedeschi, che unici al mondo ab­biamo un comportamento decente nei confronti degli animali, assumeremo un atteggiamento corretto anche nei riguardi di questi animali umani, ma preoccuparsi di loro è un crimine contro il nostro stesso sangue » (5). Fred­do burocrate del regime Himmler curava la pianificazione della morte con la stessa meticolosità con la quale, da buon licenziato di una scuola agraria, sorvegliava che nei campi di concentramento non mancasse l’ornamento di un’aiuola di cavoli. Come commenta sarcasticamente il Reitlinger, se Himmler non avesse scelto di diventare il demone di Hitler in vita sua non sarebbe rimasto probabilmente altro che un povero coltivatore di cavoli.

Nella sua formazione politica e ideologica Himmler risentì fortemente anche l’influenza degli scritti di Walter Darré. Questi, che più tardi dove­va diventare ministro dell’Agricoltura del Reich, oltre che stretto collabo­ratore di Himmler in qualità di capo di un ufficio per le questioni razziali delle SS, competente a decidere sulla concessione della cittadinanza tedesca 5

(5) Così nel discorso tenuto da Himmler ai comandanti delle S S a Posen il 4 ot­tobre 1943. il cui testo è riprodotto nel tomo XXIX degli atti del processo di Norim­berga (1919 PS).

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agli stranieri di razza tedesca, pubblicò nel 1929 le sue teorie razziste in un libro significativamente intitolato Um Blut und Boden, nel quale, svi­luppando un cenno già contenuto nell’hitleriano Mein Kampf, sosteneva l’esistenza di un rapporto deterministico-naturalistico di influenza diretta del fattore geologico sull’elemento umano e affermava tra l’altro che certi terreni generano una naturale aristocrazia contadina, con evidente riferi­mento alla razza nordica. In un opuscolo sulle SS del 1936 (Die SchutZstaffel als antibolschewistische Kampf organisation) Himmler illustra la sua ideo­logia politica, un confuso miscuglio di antisemitismo e di anticomunismo non dissimile da quello teorizzato da altri esponenti dell’ideologia nazional­socialista, da Adolf Hitler ad Alfred Rosenberg (6). Fu partendo da queste premesse di natura ideale che, come dice il Reitlinger, « professione di Himmler diventò di annientare ebrei, liberali e preti ». Nella sua visione, le SS dovevano costituire un centro di irradiazione della razza pura, onde avrebbe voluto moltiplicarne il ceppo originario introducendo tra i loro adepti la poligamia per la diffusione della razza bionda dagli occhi azzurri cara ai custodi delle caratteristiche della razza pura. Per questa stessa ra­gione gli uomini delle SS dovevano essere reclutati attraverso una severa selezione anche fisica : in un primo momento Himmler ordinò che non fossero accettati uomini di altezza inferiore a un metro e settanta, poiché, così spiegò in un discorso del 1937, « so che uomini, la cui statura supera un certo numero di centimetri, dovranno pur avere da qualche parte il sangue che noi desideriamo » (7).

Per la medesima ragione in una circolare del 31 dicembre 1931, nella quale si ricordava che « le SS sono un’unità di tedeschi di stirpe nordica scelti secondo particolari criteri », Himmler disponeva che ogni apparte­nente alle SS che intendesse sposarsi doveva riceverne l’autorizzazione dal Reichsfiihrer delle SS, il quale l’avrebbe concessa o rifiutata « unicamente in base a considerazioni razziali o relative a ragioni di salute eredi­tarie » (8). Himmler inoltre si preponeva, come illustrò in un discorso del 1935, di fare delle SS non soltanto un corpo scelto, ma anche una riserva permanente di razza pura, stabilendo, nè più nè meno, un principio di casta, in base al quale, è vero, non tutti i figli di una famiglia « inscritta nel libro di stirpe delle SS » avrebbero avuto il diritto di entrare in questo corpo, ma almeno una parte di essi, « in modo che possa stabilmente entrare nelle SS l’élite e la corrente del migliore sangue tedesco di tutto il popolo » (9).

Obiettivo finale, che presupponeva fra l’altro un forte incremento de­mografico del popolo tedesco (« Se un giorno noi avessimo troppo pochi figli, quelli che verranno dopo saranno dei vili. Un popolo nel quale in media ogni famiglia abbia quattro figli, può osare fare una guerra, perchè se ne cadono due, ce ne sono altri due per continuarne il nome. Ma i capi 6 7 8 9

(6) Si veda ad esempio a questo proposito il nostro saggio su II « diario » di Rosenberg, ne II M ov. d i L ib . in Italia, aprile-giugno 1957, pp. 67-81.

(7) Citato nell’opera di R. SCHNABEL, M acht ohne M oral, di cui parleremo più innanzi, p. 28.

(8) Documento riprodotto in Schnabel, opera cit., pp. 29-30.(9) Documento citato in Schnabel, op. cit., pp. 30-31.

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di un popolo, nel quale ciascuna famiglia abbia uno o due figli, saranno vili in ogni decisione..., poiché dovranno dirsi: non siamo in grado di affrontare questa prova »), doveva essere quello di « creare un ordine, che diffonda questa idea del sangue nordico al punto che noi si sia posti in grado di attrarre a noi tutto il sangue nordico esistente nel mondo, to- gliendo il sangue ai nostri avversari, di infonderlo in noi stessi, affinchè mai più (...) sangue nordico, sangue germanico, combatta in grande quan­tità e in misura notevole contro di noi » (io).

Ma se in un primo momento egli pensò soltanto a una selezione per così dire positiva, in un secondo tempo presero sempre più consistenza in Himmler l’idea e la prassi della selezione negativa, mediante la sterilizza­zione e l’annientamento in massa delle razze inferiori, dei cosiddetti Un- termensche, per estinguerli mediante esaurimento da lavoro o fredda e si­stematica uccisione con altri mezzi. Con il passare del tempo tutto ciò non impedì comunque, come vedremo più innanzi, che le SS assumessero svi­luppi del tutto diversi e che, come scrive il Reitlinger, nell’intero sistema ideologico di Himmler si aprissero larghe brecce, allorché, durante la guerra, per rinfrescare il loro corpo di forze nuove e mantenerne l’efficienza com­battiva, egli fu costretto a immettere nelle SS financo i musulmani dell'Al­bania e della Bosnia, che non potevano considerarsi certamente esemplari puri di sangue germanico nè tanto meno ariano. Ma anche questa contrad­dizione ebbe il suo limite, poiché non valse comunque ad arrestare lo ster­minio degli ebrei, che fu condotto metodicamente a compimento; essa cioè dimostrò bensì, di fronte alle necessità immediate della condotta della guerra nazista, la fragilità delle teorizzazioni dei capi nazisti e la loro stessa scarsa coerenza ideologica, ma non intaccò minimamente il loro fanatismo antisemita, confermando in tal modo la potenza nella storia del Terzo Reich di questo movente mistico irrazionalistico, la cui spiegazione in sede storiografica rimarrà probabilmente una delle difficoltà più ardue per l’in­terpretazione di questo periodo della moderna storia tedesca, a meno di non volere ricorrere alle argomentazioni metapolitiche prospettate dalla maggior parte degli studiosi del fenomeno razzista, dal Poliakov al Vermeil, le quali tuttavia, probabilmente proprio per il ricorso a questo tipo di spie­gazione e nonostante tutta la loro suggestività, non riescono a convincere interamente. In altre parole, il problema storico del razzismo rimane a nostro avviso ancora aperto.

In particolare, per quanto riguarda la figura di Himmler, il Reitlinger, e quasi contemporaneamente a lui anche un altro studioso americano che di recente si è occupato incidentalmente del Reichsfiihrer delle SS, Ale­xander Dallin, confermano in sostanza il giudizio datone già nel 1947 dal Trevor-Roper, in un profilo che si può considerare ormai definitivo: im­placabile, insaziabile nella sua ambizione, nel suo anelito di distruzione e nella sua sete di potere, spietato e tuttavia non sadico ma semplicemente esangue, indifferente alle sofferenze altrui, tanto pedante investigatore di

(io) Discorso di Himmler del 7 settembre 1940 agli ufficiali del L eibstandarte SS « Adolf Hitler », riprodotto anch’esso nel citato volume degli atti del processo di Norimberga (1918 PS).

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tracce archeologiche della razza pura tedesca quanto meticoloso pianifica' tore della morte di milioni di esseri umani (n). Questo fu dunque Himmler, colui che in seguito all’attentato del 20 luglio 1944 doveva diventare l’uo- mo più potente del Terzo Reich dopo Hitler, l’uomo dinanzi al quale tremò l’intera Europa, e che per un momento almeno potè illudersi, nella sua totale incapacità di misurare l’orrore del mondo intero per i crimini commessi dietro sua istigazione, di salvare la Germania dall’irreparabile sconfitta presentandosi come fautore della pace e come alternativa al posto di Hitler.

Dopo questa parentesi di carattere per così dire personale, riprendiamo adesso il filo della storia delle SS. Il Reitlinger nella sua opera segue anzi- tutto lo sviluppo delle SS sino alla data del 30 giugno 1934, che segna, come è noto, una svolta storica nelle vicende del regime nazista. In questo periodo anche nella storia delle SS si opera una svolta decisiva: la nomina di Himmler a Reichsfiihrer delle SS coincide infatti con la tensione inci­piente tra Hitler e le SA, il cui peso nell’equilibrio interno del partito an­dava sempre più aumentando e premendo per affermare le tendenze estre­miste e rivoluzionarie su quelle possibilistiche di Hitler, più preoccupato di conquistare il potere e di conservarlo che di fare la rivoluzione. A dire il vero non è ben chiaro se Himmler fosse stato chiamato da Hitler alla testa delle SS specificamente per difenderlo dai miliziani estremisti delle SA; fatto sta comunque che nel periodo cruciale della crisi weimariana e del­l’avvento al potere della NSDAP le due forze paramilitari, SA e SS, si trovarono coinvolte nella stessa sorte, subendo insieme l’interdizione pro­clamata contro di esse dal governo Briining nell’aprile del 1932 e insieme sostenendo, nel gennaio del 1933, l’ascesa al potere di Hitler. A quell’epo­ca, quindi, non si profilava ancora un’evoluzione autonoma delle SS come polizia segreta di Stato.

Questa trasformazione delle SS fu opera di quello che doveva diven­tare il braccio destro e il prototipo dei collaboratori di Himmler, l’ex uf­ficiale del servizio informazioni della marina, Reinhard Heydrich, il futuro sanguinario « protettore » della Boemia e Moravia, giustiziato dai patrioti cechi nel maggio del 1942. L ’incontro tra Heydrich e Himmler nel 1931 segna l’inizio della svolta decisiva nella storia delle SS. In questo periodo, come ricorda anche il Reitlinger, il partito nazionalsocialista era ossessio­nato dalla paura delle spie, anche in seguito alla fronda delle SA berlinesi e in particolare alla secessione di Gregor Strasser, il quale non approvava l’alleanza di Hitler con la destra conservatrice e nazionalista di Hugenberg. Nella sua vocazione spionistica e poliziesca Heydrich convinse allora Himmler della necessità di allestire un servizio informazioni servendosi di elementi tratti dalle SS, che dovevano essere organizzati in un servizio di sicurezza, Sicherheitsdienst o SD.

Da questa prima cellula ebbe quindi inizio il processo di unificazione

(11) v . H . R. T revor-Roper, T h e last days o f H itler. New York, Macmillan, 1947, pp. 19-25, e inoltre A . Dallin, German Rule in Russia. 1941-1945. London, Macmillan, 1957, pp. 26-30.

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della polizia nelle mani di Heydrich e di Himmler. Subito dopo l’avvento al potere di Hitler, Heydrich si servì dello SD per epurare anzitutto la polizia politica bavarese degli elementi infidi al nuovo regime; e via via che Himmler unificava nella sua persona il comando supremo della polizia su tutto il Reich, assumendo di volta in volta il comando delle vecchie polizie locali nei diversi Lander, Heydrich otteneva la direzione della poli' zia politica, che il 26 giugno 1936, al termine di questo processo riorganiz- zativo, ricevette la denominazione di polizia di sicurezza, Sicherheitspolizei o SIPO. Contemporaneamente Heydrich era confermato capo della polizia di sicurezza e dello SD, il quale ultimo continuò a sussistere con il pretesto e la finzione che si trattava di una emanazione del partito e non dell’appa­rato di governo, probabilmente come strumento personale di Heydrich in funzione della sua concorrenza con Himmler e del suo tentativo di crearsi una sfera di autorità di competenza esclusiva e sottratta quindi all’influenza del suo capo.

Tuttavia questo processo di assoggettamento delle forze di polizia ad un unico centro non avvenne senza colpo ferire; Himmler e Heydrich non soltanto ebbero a rimuovere l’ostacolo rappresentato a Berlino da un altro potente gerarca nazista, Goring, capo della locale polizia segreta di Stato, Geheime StaatspoliZei (Gestapo), ma soprattutto dovettero superare la prova di sangue della « seconda rivoluzione » del 30 giugno 1934, che acquisì loro definitivamente la fiducia di Hitler mettendo nelle loro mani il con­trollo assoluto della sicurezza interna del Reich. Il 30 giugno' 1934 Hitler, sfruttando l’ambizione di Gòring e la devozione personale di Himmler, si sbarazzò definitivamente di Rohm e delle SA, forti ormai di tre milioni di uomini, che costituivano il più forte ostacolo e la più grave remora alla legalizzazione del dominio nazista. La pretesa infatti di Rohm di assicu­rarsi il ministero della Guerra e di estendere quindi il suo controllo non soltanto alle organizzazioni paramilitari ma anche sulle forze armate rego­lari rappresentava per Hitler la prospettiva certa di uno scontro non sol­tanto con il presidente Hindenburg ma soprattutto con i circoli militari, che il Führer aveva invece tutto l’interesse di preferire alla sua milizia di partito e di rallier al regime nazista proprio per l’attuazione dei suoi piani di politica estera e di riarmo.

Fu appunto l’accostamento e l’incipiente collaborazione tra Himmler e Gòring, i quali non sottovalutarono le occasioni che sarebbero state aperte per il consolidamento delle loro posizioni dall’eliminazione di Rohm e delle sue milizie, che diede ad Hitler la certezza di poter sferrare l’attacco deci­sivo contro le SA, fidando tra l’altro sull’appoggio della Reichswehr, desi­derosa di eliminare la concorrenza pericolosa degli irregolari di Rohm. Su questo sfondo politico, nel quale si inserirono le accuse di carattere privato mosse a Rohm per i suoi trascorsi omosessuali, ebbe luogo l’eccidio del 30 giugno, grazie all’impiego materiale delle SS : a Berlino padroni della situazione erano rimasti, assieme a Gòring, Himmler e Heydrich, i veri trionfatori di quella giornata, assieme alla Reichswehr, per la quale tutta­

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via si trattò di una classica vittoria di Pirro, come dovevano dimostrare gli sviluppi degli anni successivi (12).

Private materialmente con questa operazione le SA di ogni potere effettivo, Hitler si preoccupò quindi di assicurare l’indipendenza anche formale delle SS, con un decreto del 26 luglio 1934 che sottraeva Himmler al controllo del capo di Stato Maggiore delle SA. Contemporaneamente Himmler perseguiva gli sforzi per realizzare il prdposito di concentrare nelle SS, che nel 1937 formeranno già una massa di 210 mila uomini, tutte le forze di polizia del Reich. Apparentemente, lo sviluppo delle SS fu frenato dalla selezione razziale imposta da Himmler, ma in effetti al lento sviluppo delle loro forze non fu estranea l’opposizione dei capi militari, i quali temevano, e a ragione, la nascita di un secondo esercito sottratto al loro controllo; in realtà in un primo momento Hitler, di fronte all’atteg­giamento dei militari, dovette contenere il desiderio di Himmler di orga­nizzare nell’ambito delle SS dei veri e propri reparti militari su base divi­sionale, indotto nella sua cautela anche da episodi come l’uccisione del dittatore clerico-fascista austriaco Dollfuss, che il 25 luglio 1934 era stato ucciso dalle SS austriache, mettendo in grave imbarazzo la politica del Reich.

Ma nonostante questo infortunio, l’opera di Himmler per militariz­zare le SS proseguì con successo; nel novembre del 1934 egli chiamò nelle SS un generale dell’esercito, Paul Hausser, al quale fu affidato il compito di curare l’addestramento militare delle SS. Nel gennaio del 1937 Himmler esplose ad una riunione con i militari le linee dello sviluppo e dell’organiz­zazione delle SS. Premesso che « nei prossimi dieci anni » gli Untermensche del mondo intero avrebbero tentato di annientare la razza germanica, il Reichsfiihrer delle SS intendeva predisporre le misure per la difesa della Germania. A questo scopo era innanzitutto previsto l’aumento da 3.500 a 25.000 uomini dei cosiddetti reparti « teste da morto » (Totenkopjver- bande), ai quali era affidata la vigilanza dei campi di concentramento, dato il presumibile aumento degli ospiti dei campi stessi. Inoltre la polizia doveva essere rafforzata e agguerrita per mantenere l’ordine pubblico per ogni eventualità e soffocare qualsiasi tentativo di rivolta all’interno. « E’ mio obiettivo — disse allora Himmler — trasformare la polizia in una truppa di valore pari ad ogni formazione dell’esercito ».

Tuttavia nell’agosto del 1938 sussistevano ancora incertezze sul reale status delle formazioni militari delle SS (SS-Verfügunstruppen), avendo Hitler emanato un decreto in virtù del quale esse non erano considerate facenti parte nè della Wehrmacht nè della polizia, ma poste unicamente a disposizione del Führer, come unità ideologicamente inserite nel partito nazista. Hitler insomma si riservava di deciderne l’impiego a seconda delle

(12) Sul complesso dei rapporti tra la R eichsw ehr e il Terzo Reich si veda l’ ampio volume di J. W . W heeler-Bennett, La nem esi del potere, tr. it. Milano, Feltrinelli, 1957; per i rapporti con le SS passim e in particolare alle pp. 387-391. In generale sul significato del 30 giugno 1934 si veda il saggio di H . Ma u , Die « Z w eite R evo­lution ». Der 30. Juni 1934, nei V ierteljahreshefte fiir Z eitgeschichte, aprile 1953, pp. 119-137.

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circostanze, senza precostituire una struttura e una gerarchia di comando rigide. Ma nel complesso egli continuava la politica elastica mirante a pia- care le diffidenze dei militari nei confronti delle SS senza tuttavia preclu- dersi la possibilità di servirsi di questi reparti; nello stesso senso si spiega il fatto che Hitler non inserì neppure in seguito nel comando supremo ah cun membro delle SS e che soltanto tre (Paul Hausser, Sepp Dietrich e Felix Steiner) furono i generali delle SS che sul finire della seconda guerra mondiale ebbero il comando di intere armate; di questi soltanto Hausser, il quale proveniva dall’esercito regolare, dimostrò di essere all’altezza del suo compito.

La crisi del febbraio del 1938, in seguito alla quale ebbero luogo im­portanti avvicendamenti nelle alte cariche politiche e militari, anticipatori della svolta decisiva della politica nazista verso la guerra, — l’allontana­mento di von Fritsch dalla carica di comandante supremo dell’esercito e la sua sostituzione con il generale von Brauchitsch, l’allontanamento di Blom- berg dal Ministero della Guerra che fu assunto direttamente da Hitler, la destituzione di von Neurath dal Ministero degli Esteri, che fu affidato al sicuro von Ribbentrop — fu una tappa capitale della guerra fredda tra le SS e la Wehrmacht (13). Infatti, soltanto grazie alle macchinazioni spioni­stiche e poliziesche di Himmler, il quale il 17 giugno 1936 aveva aggiunto alla qualifica di Reichsfiihrer delle SS anche quello di « Capo della polizia tedesca al Ministero dell’Intemo » diventando praticamente padrone del Ministero stesso, fu possibile raccogliere e fabbricare il materiale d’accusa contro il gen. Fritsch, imputato falsamente di legami omosessuali, avendo Himmler scelto questa via per dare il colpo di grazia alle forze armate, nelle quali non era ancora riuscito a mettere piede con altri mezzi. Seppure Himmler non ricevette alcun utile personale immediato dalla crisi, ben più importante fu in compenso il risultato- a lunga scadenza della sua azione, ossia la vasta epurazione che ne seguì in seno al corpo dei generali, dal quale furono allontanati i più irriducibili avversari del regime o quanto meno i suoi sostenitori più freddi. Come scrive il Reitlinger, sintetizzando le conseguenze politiche di questi spostamenti, « con la deposizione di Blomberg e Fritsch e l’inizio del controllo di Hitler sulla Wehrmacht l’Eu­ropa entrò nell’era dell’aggressione aperta ». E con ciò è definita anche l’importanza della partecipazione di Himmler e delle SS nell’appoggiare e nel preparare i piani espansionistici del regime.

La prima sortita al di là dei confini del Reich di Himmler e Heydrich ebbe luogo in occasione dell’AmcWuss, allorché i due padroni della polizia tedesca trasferirono le loro funzioni a Vienna, dove si incontrarono con esponenti del nazismo austriaco, quali, per citare i più tristemente noti, Kaltenbrunner e Globocnik, in tutto e per tutto degni dei loro colleghi tedeschi. Tre settimane dopo l’arrivo di Himmler partivano da Vienna i primi convogli per la deportazione, che mieteva le sue vittime soprattutto tra la popolazione ebraica. Himmler non si lasciò sfuggire neppure l’occa-

(13) Sui precedenti e sui particolari esatti della crisi del 1938 rinviamo alla rico­struzione di H . Foertsch nel volume: Schuld und Verhaengnis, Stuttgart, 19 5:.

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sione del suo soggiorno viennese per trovare un luogo adatto alla creazione di un campo di concentramento, che sorse infatti di lì a poco a Mauthausen.

A Vienna le SS inaugurarono un nuovo tipo di attività. Heydrich aprì un « Ufficio per l’emigrazione ebraica », destinato poi ad estendersi anche nel Reich, che doveva concedere le autorizzazioni ad espatriare agli ebrei austriaci, dietro le estorsioni patrimoniali facilmente immaginabili. Sue- cessivamente Himmler, che Hitler, il quale gli attribuiva, non si sa davvero in base a quali prove, qualità diplomatiche, portò con se durante la sua visita in Italia, potè estendere la sua influenza anche presso il Ministero degli Esteri, mediante l’infiltrazione di elementi fidati della Gestapo nei servizi diplomatici. Non meno attiva fu Tapera di infiltrazione nei territori di confine ad opera di agenti nazisti nei Sudeti e nella Cecoslovacchia, su istigazione di Himmler e Heydrich, nel periodo tra VAnschluss e l’accordo di Monaco, con il compito preciso di provocare incidenti di frontiera e di diffondere il terrorismo nei territori rivendicati dalla Germania. La stessa missione le SS assolsero anche alla vigilia dell’invasione della Polonia, in­scenando la grottesca farsa dell’attacco contro la stazione-radio tedesca di Gleiwitz ad opera di uomini delle SS vestiti con uniformi polacche, che doveva servire fra i pretesti formali per l’aggressione della Polonia. E una volta specializzatesi in questo genere di imprese le SS non seppero resi­stere all’idea di ripetere uno scherzo analogo al momento dell’offensiva te­desca sul fronte occidentale, paracadutando uomini delle SS in divisa olan­dese oltre confine (14).

Ma soltanto la guerra doveva offrire l’occasione vera per l’impiego totale e massiccio delle SS, oltre che per il consolidamento definitivo della posizione di Heydrich, il quale alla fine del 1939 diventava il capo del nuovo Ufficio centrale per la sicurezza del Reich (Reichssicherheitshauptamt), sorto dalla fusione della Gestapo, della polizia criminale e del servizio di sicurezza. Alle SS ad esempio Hitler affidò il compito di provvedere alla liquidazione materiale di un numero indefinito di polacchi in attuazione del principio che la Polonia non doveva essere soltanto occupata, ma anche distrutta, cosicché, terminate le operazioni militari, le SS poterono instau­rare il loro incontrollato regime terroristico su questo disgraziato paese. Uno dei primi compiti di Himmler nell’infelice Polonia fu quello di soi- vrintendere all’opera del « Commissariato del Reich per il rafforzamento della nazione tedesca », creato ai primi di ottobre del 1939, allo scopo di riportare in Germania i tedeschi dimoranti in paesi stranieri, ossia i cosid­detti Volksdeutsche, in contrapposizione ai Reichsdeutsche, i tedeschi tali non soltanto per nazionalità ma anche per cittadinanza. Ebbe così inizio la gigantesca operazione di trasferimento in Germania dei Volksdeutsche e al tempo stesso di espulsione dalla Germania degli elementi non desi­derati che dovevano essere trasferiti nei nuovi territori occupati. Compito

(14) In questo genere di imprese rientra anche il famoso episodio del rapimento avvenuto a Venlo, al confine olandese, ad opera delle SS, di due agenti dell’In telli­gence Service incaricati di prendere contatto con gli ambienti dell’opposizione anti­hitleriana nel novembre del 1939, episodio del quale si occupano il Reitlinger, alle pp. 141 e sgg., e il Wheeler-Bennett, op. cit., pp. 538-542.

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evidentemente non facile, data anche l’enorme massa della popolazione in' teressata, se lo stesso Himmler in un discorso ai suoi collaboratori fu co­stretto ad ammettere che « in molti casi è molto più facile condurre in battaglia una compagnia di fanteria, che opprimere una popolazione di basso livello culturale che ostacola il progresso o trascinare uomini o cac­ciare dai loro possessi donne urlanti e isteriche ». Parole nelle quali è de­scritto anche con sufficiente approssimazione il genere di lavoro che tenne occupato Himmler in Polonia.

Per dare un’idea dell’entità di questi spostamenti di persone basta ricordare che sino all’inverno del 1941 erano stati spostati dalle loro resi­denze 1.200.000 polacchi e 300.000 ebrei, i quali fino alla fine del 1941, epoca nella quale cominciò il loro trasporto nei campi di sterminio, ven­nero rinchiusi nei ghetti; al loro posto erano subentrati nello stesso pe­riodo mezzo milione di Volksdeutsche. A questo punto, con evidente rife­rimento alle polemiche di questo dopoguerra tendenti a scaricare sui vin­citori ogni responsabilità anche a proposito dell’affiusso in Germania dei rifugiati dall’oriente, commenta giustamente il Reitlinger : « Così il pro­blema dei profughi tedeschi cominciò già nel 1939, e suoi promotori fu­rono Himmler, Darré e i loro esperti teorici ». A questo prqposito un aspetto interessante dell’amministrazione tedesca nei territori occupati, co­me sottolinea il Reitlinger, è costituito dal fatto che tra Himmler e Hey- drich da una parte e il governatorato civile retto da Hans Frank e le autorità militari dall’altro, al cui controllo erano generalmente sottratte le SS, scoppiarono non di rado conflitti di competenze e di funzioni, che si ripeterono più tardi anche nei territori occupati della Russia sovietica, come ha messo in rilievo di'recente anche il Dallin che ha affrontato specifica­mente lo studio dell’amministrazicne tedesca nei territori sovietici (15).

Nella Russia occupata, ad esempio, Himmler aveva una posizione as­solutamente indipendente, e non aveva sopra di sè altro capo all’infuori di Hitler. Se già in Polonia, in quanto responsabile delle questioni relative agli spostamenti razziali, egli aveva sottratto larghe sfere d’influenza alle autorità civili e militari, in Russia la sua autorità fu accresciuta dagli spe­cifici « compiti politici » affidatigli da Hitler, ossia dal compito di proce­dere all'epurazione politica del popolo russo, che doveva concretarsi anzi­tutto nello sterminio dei quadri politici e intellettuali del regime sovietico e nell’estirpazione delle sue tracce dai territori occupati. Contemporanea­mente a queste direttive di Hitler, il 30 marzo 1941 il generale Keitel emanava ai comandanti militari l’ordine di uccidere i commissari politici sovietici che dovessero cadere prigionieri delle truppe tedesche. Nella lotta per le attribuzioni delle rispettive competenze i militari finirono con l’oti- tenere la sottomissione al loro comando della polizia e del servizio di si­curezza nella zona di combattimento, ma nella zona di operazioni e nelle retrovie la loro autorità era completamente esautorata. Come commenta il

(15) Su questi conflitti di competenze tra civili e militari e SS, dei quali si la­menta anche H . Frank nelle sue memorie, Im Angesicht des Galgens. München, 1953, p. 402, si veda più a fondo l ’opera citata del Dallin, passim e in particolare alle pp. 98-101.

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Reitlinger, « doveva derivarne di conseguenza che i comandi di Heydrich potevano commettere qualsiasi delitto non appena fossero distanti un paio di chilometri dalla linea di combattimento ». Ciò che tuttavia non dimi­nuisce le responsabilità dei militari pei gli eccidi e le atrocità di cui spesso si resero comiplici, come dimostra se non altro l’ordine citato di Keitel, nè smentisce l’ovvia considerazione che il gran numero di uccisioni, ammon­tanti in pochi mesi a mezzo milione di ebrei e di zingari e a centinaia di commissari politici, non potè essere materialmente commesso dai 3000 uo­mini dei reparti speciali di Heydrich, ma soltanto grazie alla collaborazione della Kriegsbiirokratie, ossia delle autorità civili e militari gravitanti intor­no all’amministrazione dei territori occupati.

Particolarmente interessante nello sviluppo delle SS è la loro degene­razione da milizia e aristocrazia razziale e nazionale in un esercito etero­geneo proprio dal punto di vista della purezza razziale: questo processo di impoverimento razziale si sviluppa parallelamente al loro potenziamento quantitativo condizionato dalle necessità belliche. La prima comparsa sul campo delle formazioni militari delle SS avvenne durante il BlitZ'Kneg sul fronte occidentale: allora Himmler potè schierare sul campo soltanto due divisioni, interamente motorizzate, su un complesso di 85 divisioni. Ma già un anno dopo }e SS erano in grado di schierare contro la Russia sei divisioni, a detta di Hitler, « completamente prive di religione, che tuttavia muoiono con la massima serenità di spirito » (16), quella stessa serenità con la quale queste formazioni si comportarono in modo ugual­mente brutale in Polonia come in Francia, a Varsavia come a Oradour.

In un primo tempo tuttavia Himmler trovò la scappatoia per sfuggire alle ferree leggi della razza pura nel reclutamento delle SS, sfruttando la teoria di Darré secondo cui i nordici non dovevano essere necessaria­mente tedeschi. Si trattava, semmai, di raccogliere tutto il sangue nordico sparso nel mondo sotto le bandiere del Terzo Reich. L ’occasione prima fu offerta dalla conquista della Norvegia e della Danimarca, dove Himmler reclutò la prima delle nuove divisioni, la divisione Wiking, destinata a trasformare le SS in un esercito internazionale, iniziatore della « nuova Europa », come disse allora il Capo di Stato Maggiore delle formazioni mi­litari di Himmler, Gottlob Berger, tuttora vivo, vegeto e libero esaltatore delle gesta di questi paladini dell’europeismo nazista, al pari del suo col­lega Hausser che vanta nelle Waffen-SS il primo « esercito europeo », pre­decessore del NATO. Grazie a questa deviazione dai principi Himmler potè attingere al materiale umano necessario per mettere in piedi un vero e proprio esercito, che alla fine della guerra contava non meno di 35 di­visioni di W aÿeti'SS, reclutate oltre che nei Paesi scandinavi, in Belgio (Divisioni Flandern e Wallonie di Léon Degrelle), Francia (Charlemagne), Olanda (Nederland), che combatterono fino all’ultimo con particolare acca­nimento, non tanto per il loro valore combattivo quanto per il fatto stesso che i loro componenti non avrebbero avuto a guerra finita altra alternativa

(16) v. H. Picker, Hitlers Tischgesprdche im Führerhauptquartier 1941-1942. Bonn, 1951, p. 348.

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che quella di essere considerati e trattati come traditori nei loro rispettivi Paesi.

Altre divisioni, infine, Himmler allestì reclutando i Volksdeutsche, forzatamente immessi nelle SS; ma soltanto quando fu costretto ad inter- pretare ancora più estensivamente i criteri selettivi, rinunciando ad ogni mistica e velleità di purezza razziale e convincendo Hitler della necessità di ricorrere a estremi rimedi di fronte ai rovesci subiti sul fronte orientale e al fortunato impiego delle SS nella temporanea riconquista di Karchow (marzo 1943), il Reichsfiihrer delle SS potè alimentare le divisioni del suo esercito particolare, riscattando il numero relativamente scarso di volontari nordici e occidentali. Ma a questo punto non si trattava più di rinunciare alla razza tedesca, nè semplicemente a quella nordica, ma addirittura alla razza ariana. Himmler arrivò bensì a fantasticare di poter arruolare un giorno i milioni di tedeschi viventi in America (!), e questo ancora a metà del 1943, ma intanto non accontentandosi di costringere nelle SS i Volks- deutsche della Romania, della Jugoslavia e dell’Ungheria, ricorreva anche ai musulmani della Bosnia, affidati alle cure spirituali del gran Muftì di Gerusalemme, il quale fu nominato persino SS'Gruppenfiihrer. Ben presto a questo mosaico di razze si sarebbero aggiunte anche le divisioni delle SS ucraine e quelle cosacche, turkmene, georgiane, armene, caucasiche, tartariche, calmucche, fino ad arrivare ai russi del generale Vlassov (17). Esclusi, come si vede, rimanevano soltanto gli ebrei, gli unici di fronte ai quali le inibizioni razziali di Himmler e delle SS si dimostrassero vera­mente incorreggibili...

Tuttavia questo secondo volto delle SS come eterogenea milizia com­battente, come antesignana sul campo della lotta antibolscevica e della difesa della civiltà occidentale, per usare il linguaggio dei loro capi, non deve fare dimenticare, parallelamente, la sua funzione interna di polizia del re­gime, di strumento terroristico del dominio nazionalsocialista nel Reich, che raggiunge il culmine della sua efficienza proprio nel momento dell’ac- centramento nelle mani di Himmler di tutti i poteri di comando della po­lizia. Ciò che avvenne il 6 giugno 1942, alla scomparsa del suo intimo col­laboratore e pericoloso concorrente Heydrich, il protettore della Boemia e Moravia, che il 31 luglio 1941 aveva ricevuto inoltre da Gòring l’incarico di predisporre i preparativi per la « soluzione finale » del problema ebraico, mortalmente ferito nell’agguato tesogli da due patrioti cechi paracadutati da un aereo britannico. Pochi giorni dopo la morte di Heydrich, le SS si macchiavano di uno dei loro più feroci crimini per rappresaglia dell’ucci­sione del sanguinario gerarca nazista, distruggendo il villaggio di Lidice, fucilandone la popolazione maschile, deportandone le donne e i bambini : il regime di Himmler si inaugurava quindi con sistemi altrettanto efferati

(17) Il reclutamento però di reparti russi va visto alla luce di tutta la politica perseguita dai tedeschi nei territori occupati dell’Unione Sovietica, politica tendente a sfruttare l’appoggio dei russi stessi per spezzare la resistenza partigiana e a favorire i movimenti separatisti delle nazionalità diverse per tentare di disintegrare ' l ’unità dello Stato sovietico. Ma su tutto ciò, e sui contrasti di opinione tra i diversi capi nazisti, cfr. ampiamente l’opera del Dallin più volte citata.

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di quelli con i quali Heydrich aveva tentato invano di soffocare la rivolta dei cechi calpestati dall’oppressione.

Con l’accentramento dei poteri di polizia, Himmler, il quale già dal 1939 era praticamente arbitro di tutte }e questioni relative alla selezione razziale del popolo tedesco, e non di esso soltanto!, divenne di fatto onni­potente anche per tutto quanto riguardava l'amministrazione della giu­stizia. Poco dopo la nomina di Himmler a capo della polizia il Ministero della Giustizia, su iniziativa di Goebbels, fu affidato a un singolare tipo di giudice popolare, Otto Thierack, il quale si affrettò a concludere con il suo degno collega Himmler un accordo per la « consegna al Reichsfiihrer delle SS di elementi asociali, da annientarsi mediante il lavoro ». Non con­tento quindi di avere il potere effettivo di vita e di morte sul popolo te­desco Himmler trovò anche chi si preoccupò di legalizzare le sue effera­tezze: una volta venuto in possesso di quei disgraziati, Himmler non era vincolato da alcuna procedura legale e non aveva da esibire alcuna prova d’accusa per prendere le « misure necessarie ». Più tardi, in occasione del­l'operazione di polizia contro il gruppo antinazista di ispirazione filo-comu­nista denominato Rote Kapelle, che aveva larghe ramificazioni neU’intel/t- ghenzia berlinese ed anche in ambienti del Ministero dell’Aeronautica, Himmler si accorse di non essere in grado di controllare da solo una situa­zione così complessa, per cui decise di affidare ad uno dei suoi collabora­tori la direzione dell’Ufficio per la sicurezza del Reich; non a caso la sua scelta cadde su uno dei più brutali funzionari delle SS, Ernst Kaltenbrun- ner, che finì degnamente la sua carriera sulla forca dopo la condanna in­flittagli dal Tribunale internazionale di Norimberga (18).

Come se il cumulo delle sue competenze non fosse stato già più che suf­ficiente a farne l’uomo più temuto della Germania, dopo il colpo di Stato del 25 luglio 1943 in Italia, Hitler, paveptando anche in Germania un qualche rivolgimento interno, pur non potendo credere, come invece dot- veva avvenire il 20 luglio dell’anno successivo, che mai generali prussiani si sarebbero comportati come quelli italiani che il 25 luglio volsero le spalle a Mussolini, volle prevenire ogni pericolo affidando ad Himmler, il 24 ago­sto 1943, anche il Ministero dell’Interno. Ma neppure con questo l’ascesa di Himmler, che successivamente doveva ricevere anche l’investitura a co­mandante di un gruppo d’esercito, era destinata ad arrestarsi.

Alcune cifre bastano a dare un’idea della mostruosa potenza di Him­mler: nell’ottobre del 1941, quando non era ancora ministro dell’Interno, Himmler aveva alla sua mercè cinque milioni di uomini, in gran parte ebrei: in Polonia, nella Russia occupata, in Germania e negli altri territori occupati, oltre agli altri detenuti deportati nei vari campi di concentra­mento. Ancora nell’autunno del 1944, ossia pur dopo le grandi stragi degli

(18) Il Reitlinger segue attentamente, alle pp. 227-239, il caso della Rote Kapelle che diede luogo ad una singolare concorrenza tra VAbwehr, il Servizio del contro- spionaggio, al quale spettò il privilegio della scoperta del complotto, e il Servizio di sicurezza. Episodi come questo, che qui segnaliamo soltanto marginalmente, conflitti di competenze e casi di interferenze, nonché di gelosie, invidie e lotte personali, come ricorda il Reitlinger, non furono infrequenti: così, per esempio, tra Himmler e Bormann, o tra Góring da una parte e Goebbels, Bormann e Himmler dall’ altra.

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ebrei, i campi di concentramento ospitavano più di 600 mila relitti umani. Al culmine della sua carriera, Himmler, il quale nel 1933 aveva istituito il campo di Dachau come sua personale creazione, si trovò finalmente pa- drone assoluto di quel mostruoso univers concentrationnaire, nel quale potè sperimentare tutta la gamma dei suoi metodi polizieschi, promuovendo an- zitutto lo sfruttamento del lavoro dei deportati, —- il cui rendimento, pe- raltro, per ragioni anche troppo ovvie, doveva dimostrarsi ben scarso, no­nostante la buona volontà impiegata dai magnati dell’industria tedesca per spremere dai prigionieri quel po’ di energia che ancora serviva loro a jna- lapena per tenersi in piedi, — e l’arruolamento di lavoratori coatti trasci­nati a viva forza nei campi di deportazione a morire per il Reich.

Non meno felice parve ad Himmler, che ne fu addirittura entusiasta, l’idea di sfruttare i deportati come cavie per esperimenti medici, con il consenso e il plauso di severi scienziati accademici, i quali non trovarono nulla da ridire contro questi assassinii premeditati. Sulle deportate furono compiuti gli esperimenti per la sterilizzazione delle donne ebree, così come su deportati furono effettuati gli esperimenti per accertare le conseguenze letali del cianuro di potassio, che doveva sottrarre i gerarchi nazisti al verdetto dei vincitori. Largo campo di applicazione ebbe pure l’eutanasia, con la quale si voleva disinfestare la società dai malati di mente, ma l’as­sassinio in massa, il genocidio, fu praticato principalmente contro gli ebrei, in attuazione della « soluzione finale » del problema ebraico iniziata da Heydrich e conclusa da Himmler, che la considerò nel celebre discorso di Posen del 4 ottobre 1943 ai suoi collaboratori una « pagina di gloria della nostra storia quale mai fu e mai sarà scritta ».

Le camere a gas e i forni crematori che dovevano bruciare milioni di esseri umani nacquero da un banale incidente capitato a Himmler in per­sona: trovatosi ad assistere a Minsk, nell’estate del 1941, ad una fucila­zione in massa il Reichsfiihrer delle SS fu talmente scosso e impressionato dall’atroce spettacolo che ordinò di adottare sistemi di annientamento al­meno in apparenza meno brutali. Strana esigenza umanitaria, questa, in un carnefice del calibro di Himmler, il quale non si faceva scrupolo di man­dare a morte milioni di persone, ma solo di sterminarle nel modo meno ripugnante, non si sa se per esigenza puramente estetica o per un effettivo residuo di pietà umana, ipotesi tuttavia quest’ultima che renderebbe an­cora più enigmatica, contraddittoria, e in fin dei conti anche disumana, la figura già così sinistra di questo aguzzino.

A questo punto la nostra ampia disamina del libro del Reitlinger po­trebbe anche concludersi rapidamente, poiché gli avvenimenti successiva­mente narrati dall’autore sino al crollo militare del Terzo Reich nulla ag­giungono di sostanzialmente nuovo al ruolo delle SS nella vita del regime nazionalsocialista, trattandosi della mostruosa ripetizione di atrocità e di stermini nello stile consueto. Più interessante invece può essere soffer­marsi ancora sull’atteggiamento personale tenuto da Himmler nell’ultima fase del conflitto. Dopo l’attentato a Hitler del 20 luglio 1944 Himmler vide accrescere ulteriormente le sue prerogative con l’assunzione della ca­rica di comandante dell’esercito della riserva, in sostituzione del generale Fromm coinvolto nella congiura antihitleriana, e, pochi mesi dopo, fu in­

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vestito anche del controllo sulla fabbricazione delle armi segrete, le famose V 1 e V 2, il cui fallimento provocò grande delusione in Hitler e l’inizio del raffreddamento dei suoi rapporti con Himmler.

Il complotto dei militari offerse così ad Himmler l’occasione per ia rivincita completa delle SS sulla Wehrmacht; il lungo conflitto tra le due armi era ormai definitivamente risolto a vantaggio della milizia del partito, che per bocca del suo supremo esponente poteva pronunciare la requisito- ria e la condanna definitiva contro l’esercito e i generali, facendo crollare miseramente tutte le illusioni e le speranze di Hitler sul loro conto e sulla loro fedeltà, come avvenne con il discorso pronunciato da Himmler a Posen ai comandanti delle SS il 3 agosto 1944, nel quale i rovesci militari della Germania venivano scaricati in blocco sulle mene disfattiste dei ge­nerali (19).

In tal modo Himmler, che era certamente il secondo uomo del regi­me dopo Hitler, era diventato di fatto anche il ministro della Guerra del Reich, e allorché infine nella drammatica fase finale della guerra fu posto a capo del gruppo d’eserciti del Reno, e poi della Vistola, primo tra gli ufficiali delle SS a ottenere il comando di un’intera armata, fece persino la sua prova diretta sul campo di battaglia, senza tuttavia dimostrare parti­colari qualità strategiche.

In sostanza, Himmler rimase sempre e soltanto un insuperabile genio organizzatore di eccidi, un infallibile tecnico del terrorismo. Le sue glorie non doveva raccoglierle sul campo di battaglia ma nello sterminio degli ebrei e dei deportati politici e nella repressione dei movimenti di Resistenza dell’Europa invasa, ivi compresa la repressione della opposizione anti-hitle- riana della Germania stessa, sebbene il Reitlinger sostenga la tesi, merite­vole tuttavia di ulteriore approfondimento, che Himmler si preoccupò più delle deportazioni, delle rivolte di Varsavia e della Slovacchia o della li­quidazione del ghetto di Lodz che della persecuzione dei congiurati del 20 luglio, avendo tutto l’interesse a portare per le lunghe l’istruttoria dei processi a loro carico, a impedire che fosse fatta luce completa su molte cose e piuttosto a far sparire dalla circolazione l’ex capo del controspionag­gio Canaris e altri testimoni pericolosi del suo ambiguo atteggiamento nei confronti di un possibile accordo con le potenze occidentali.

Mentre si avvicinava la catastrofe finale del Terzo Reich, Himmler concepì i piani di alcune delle imprese più terribili delle SS : l’occupazione dell’Ungheria, alleata poco fidata e prossima alla capitolazione, da parte dei tedeschi e delle SS e la deportazione degli ebrei ungheresi, non appena l’Ungheria fosse diventata teatro di combattimento. In effetti all’appros- simarsi delle forze sovietiche ai confini magiari ebbe inizio la marcia di

(19) Il discorso del 3 agosto 1944, riprodotto anche nel numero di ottobre-dicem­bre 1953 dei V ierteljahreshejte fü r Zeitgeschichte, è, con tutte le sue contraddizioni e aberrazioni, uno dei documenti più interessanti della personalità di Himmler, del suo gioco politico e del suo obiettivo di scalzare la W eh rm a ch t e di sostituire ad essa il dominio delle SS. Per una più approfondita analisi di questo discorso, significativo anche come anticipazione della tesi neo-nazista secondo la quale la sconfitta della Germania sarebbe dovuta soltanto al tradimento dei generali, rinviamo al rostro ar­ticolo su H im m ler inedito nel N u o vo Corriere del 6 febbraio 1954.

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trasferimento di queste nuove vittime. In questa operazione si inserisce un episodio quasi incredibile, le profferte del capo delle SS di Budapest Eichmann, a un membro del comitato ebraico di Budapest, Joel Brand, per la vendita di un milione di ebrei dietro consegna di diecimila camions, che gli alleati avrebbero dovuto fornire ai tedeschi per salvare la vita degli ebrei ungheresi! (20). Storia questa di una infamia senza nome, poiché la prqposta tedesca, ovviamente inaccettabile da parte degli alleati, ai quali si richiedeva in sostanza di dare un contributo allo sforzo bellico dei loro nemici, mirava evidentemente a far ricadere su di essi la responsabilità per la sorte di quel milione di ebrei e a dare alle SS il pretesto di presentarsi in veste di benefattrici degli ebrei. E’ questo non fu che il più clamoroso dei tentativi delle SS di trarre un utile mercanteggiando sulla vita degli ebrei.

Pur avendo ancora al suo attivo la repressione della prima e della se- conda rivolta di Varsavia, e della insurrezione in Slovacchia, risolte tutte con la deportazione totale degli ebrei e le esecuzioni in massa degli insorti, pur avendo organizzato il terrorismo contro gli stessi soldati tedeschi ormai fiaccati dalla guerra, ordinando perfino l’esecuzione dei parenti dei soldati che senza essere feriti cadessero prigionieri del nemico, pur avendo ordinato non più tardi del 14 aprile 1945 che fossero condannati a morte i coman­danti che consegnassero al nemico città tedesche — ancora il 20 aprile, alla vigilia della caduta di Berlino, mentre si combatteva l’ultima disperata di­fesa della capitale del Reich, Himmler creò dei « tribunali militari volanti » affidati alle SS con il campito di fare impiccare giovani e feriti a titolo di ammonimento per i tedeschi e per i nemici — , nonostante tutto questo, Himmler fino al momento del suo suicidio non si diede ragione del fatto che i vincitori non vedessero in lui altro che l’artefice degli assassinii in massa.

E’ noto che Himmler intraprese in due diverse occasioni e in due ben diverse fasi del conflitto il tentativo di entrare in contatto con le po­tenze occidentali per ottenere una pace separata. Il primo di questi tenta­tivi ebbe luogo alla vigilia dell’aggressione nazista all’Unione Sovietica. Himmler fu tutt’altro che alieno dall’impresa di Russia, che, come dice il Reitlinger, era « un sogno della sua vita », ma al pari di altri gerarchi nazi­sti, per esempio Rosenberg, non si nascose i pericoli di una guerra su due fronti. Per questo motivo riteneva necessario, prima di gettarsi contro la Russia, assicurarsi la copertura del fianco occidentale e concludere quindi la pace con la Gran Bretagna, nella speranza addirittura che fosse riconosciuto il ruolo della Germania di alfiere della crociata antibolscevica, come pen­sava anche il sostituto del Führer, Rudolf Hess, il quale fuggì in volo in Gran Bretagna (nel maggio del 1941) portando profferte di pace non auto­rizzate, che naturalmente non furono prese in considerazione. Ora, proprio poco prima della fuga di Hess, un emissario di Himmler, non si sa bene tuttavia se per esplicito mandato di questi o di sua personale iniziativa.

(20) Questo episodio e la storia dei contatti del Brand con gli Alleati, dei quali il Reitlinger si occupa alle pp. 344-345, sono narrati ora per esteso nel libro di A. Weissberg , La storia di ]oel Brand, tr. it. Milano, Feltrinelli, 1958.

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l’aw . Langbehn, una delle tante vittime dell’attentato del 20 luglio, fece sondare per mezzo di un amico svizzero il prof. Cari Burkhardt, presidente della Croce Rossa internazionale, per sapere quali fossero le probabilità che gli inglesi aderissero a negoziare la pace con Himmler invece che con Hitler (21). Sorse così la leggenda di una presunta fronda di Himmler alla quale a un certo momento non furono insensibili neppure gli esponenti più reazionari dell’opposizione antinazista, come l’ex ministro prussiano Popitz, il quale si üluse addirittura di poter attrarre veramente Himmler, con il quale ebbe anche un primo colloquio il 24 agosto 1943, nell’orbita del coni' plotto, con il solo risultato di essere sconfessato anche dagli altri congiu­rati (22).

Più seri furono i sondaggi compiuti da Himmler sul finire del 1944, quando la sorte della Germania era ormai segnata e si trattava soltanto di salvare il salvabile. Ma si trattò anche allora di sondaggi disperati, che vale la pena di ricordare soltanto perchè segnano l’inizio del declino della for­tuna di Himmler e l’origine della sua sconfessione da parte di Hitler, ossia di colui del quale il Reichsfiihrer delle SS era stato il più potente e devoto sostenitore e collaboratore. Già alla fine di dicembre del 1944 un emissario di Himmler si recò in Svezia per prendere contatto con il governo svedese offrendo in cambio dei suoi buoni uffici la liberazione di poche migliaia di deportati. E in effetti a metà febbraio del 1945 il conte Bernadotte, vice­presidente della Croce Rossa svedese, si recò in Germania per conoscere le vere intenzioni di Himmler, mentre contemporaneamente, e separatamente da Himmler del quale neppur lui si fidava, anche Ribbentrop cercava di convincere gli alleati occidentali a fare la pace separata per consentire alle forze tedesche di concentrarsi nella resistenza ai sovietici, promettendo la cessazione delle persecuzioni politiche e razziali, che nel frattempo conti­nuavano spietatamente.

Ma poiché soltanto l’eliminazione di Hitler, che Himmler comunque rifiutò, avrebbe potuto far prendere in considerazione le sue profferte, l’ini­ziativa si risolse nel nulla, mentre, in piena contraddizione con questi ten­tativi, Himmler emanava gli ultimi sanguinosi ordini per la continuazione forsennata di una lotta ormai disperata da ogni punto di vista. Ancora il 23 aprile Himmler, sempre incrollabilmente convinto che gli Alleati lo avrebbero considerato il salvatore dell’Europa dal bolscevismo, ripetè a Ber­nadotte l’offerta di arrendersi agli occidentali. Il 30 aprile Hitler si suici­dava nel bunker della Cancelleria tra le rovine fumanti della capitale del Reich, non senza avere ordinato prima l’arresto non soltanto di Gòring ma anche di Himmler, avendo appreso all’ultimo momento per mezzo di uno degli ultimi dispacci radio captati nel bunker la notizia dei suoi contatti con Bernadotte (23), mandando così definitivamente a monte le speranze di

(21) Su tutto ciò cfr. Reitlinger, pp. 162-167.(22) Sui contatti tra Himmler e Popitz oltre al Reitlinger, pp. 290-295, si veda,

anche per le loro ripercussioni in seno all’opposizione antihitleriana, G. R itter, Cari Goerdeler und die deutsche W iderstandsbew egung. Stuttgart, 1954, pp. 355-356.

(23) Su tutta quest’ultima fase dei contatti di Himmler con gli alleati occiden­tali si vedano le pp. 399-415 del libro del Reitlinger.

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Himmler di raccogliere la successione del Führer. Contemporaneamente Bormann telegrafava all’ammiraglio Dònitz, che Hitler aveva designato a succedergli quale capo dello Stato nazista, l’ordine di colpire ogni tradi­tore « con la rapidità del fulmine e la durezza dell’acciaio » (24).

Il 6 maggio Donitz dimise da ogni carica Himmler, il quale vagheg­giava di creare un nuovo governo nazista nello Schleswig-Holstein per trattare separatamente con gli occidentali, nella speranza di fungere da ar­bitro nella guerra che a breve scadenza, al massimo entro tre mesi, preve­deva sarebbe scoppiata tra Oriente e Occidente. Fermato il 21 maggio dalle forze britanniche durante il tentativo di dirigersi verso il sud, e datosi il giorno dopo ingenuamente a riconoscere, Himmler fu immediatamente consegnato alla li Armata britannica e condotto agli arresti. Il 23 maggio, persuasosi finalmente che non gli sarebbe stata risparmiata la sorte alla quale fino aH’ultimo, con una ingenuità quasi incomprensibile in un cosi esperto poliziotto, si era illuso di potere sfuggire, Himmler si dava la morte spezzando con i denti la fialetta di cianuro di potassio che portava con sè per sottrarsi alla giustizia dei vincitori.

La storia delle SS, così minuziosamente ricostruita dal Reitlinger, — con la tendenza forse eccessivamente spinta a sottolineare la personalità di Himmler e a far apparire le SS come creazione esclusivamente sua e quale suo esercito privato, tendenza che trova i suoi limiti proprio nella misura in cui si riconoscano nelle SS un fenomeno intrinsecamente legato al regime nazista e la loro perfetta aderenza all’ideologia e alla prassi di governo del nazionalsocialismo, — e per molti aspetti in modo certamente conclusivo nelle grandi linee se non nei particolari più minuti, il cui ulte­riore approfondimento non apporterà probabilmente alcuna revisione nelle valutazioni di fondo, suggerisce almeno due considerazioni, che è necessario tenere presente se non si vuole contribuire alla deformazione, in certa mi­sura tuttora in atto, della realtà storica e al tempo stesso alla diffusione di valutazioni dettate da evidente ragione politica, quali la pretesa, ad esempio pateticamente avanzata a scopo di autodifesa nelle sue memorie da Hans Frank, che le buone idee di Hitler siano state tradite dai cattivi metodi di Himmler.

La prima considerazione da sottolineare non è che la conferma di quanto abbiamo già detto al principio di questo saggio sul legame intrin­seco, strutturale, obiettivo, delle SS con la Weltanschauung e tutta la co­struzione dello Stato nazista, basato sul Führerprinzip, sul regime del par­tito unico, sull’idea della supremazia razziale del popolo tedesco, della sua igiene razziale e della lotta antibolscevica e antireligiosa. Appunto entro questa cornice e sullo sfondo di questi presupposti si spiegano la formazione e lo sviluppo di un’organizzazione singolare come le SS, con le sue artico-

(24) Sull’epilogo altamente drammatico del Terzo Reich rinviamo al già citato libro del T revor-Roper, The last days of Hitler.

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lazioni nella Gestaipo e negli altri strumenti della lotta razziale e della re­pressione dell’opposizione, e in pratica con la sua diffusione e penetrazione in tutti i gangli vitali della vita nazionale. In altri termini il terrorismo delle SS non fu che la pratica conseguenza, la traduzione e il complemento effet­tivi, della filosofia politica del nazionalsocialismo; Himmler non ha fatto altro che interpretare nei fatti e nell'azione, fornendole lo strumento per la sua attuazione, l’ideologia hitleriana. Hitler predica e ordina lo sterminio degli ebrei e la sterilizzazione dei malati inguaribili, Himmler gli offre l’espediente pratico per l’attuazione di questi propositi; Hitler bandisce la crociata antiliberale e antibolscevica, ossia il terrorismo sistematico all’in- terno e la guerra d’aggressione all’esterno, Himmler predispone i mezzi efficienti per assolvere ad entrambe queste missioni. Non si può evidente­mente non inorridire dinanzi all’efferatezza, alla raffinatezza, sia pure al­l’eccesso di zelo, con i quali Himmler mette in opera i principi dell’ideolo­gia nazista, ma non ci deve meravigliare per il semplice fatto che "abbia osato costruire un’organizzazione diretta all’attuazione dello Stato di poli­zia, razzista e imperialista preconizzato dai profeti e dagli ideologhi del nazionalsocialismo. Se le parole hanno un senso e se Hitler e i suoi colla­boratori dicevano e scrivevano seriamente quello che pensavano, come la storia ha ampiamente dimostrato, tra la filosofia politica di Hitler e l’azione di Himmler c’è soltanto la distanza che separa le parole dai fatti, le inten­zioni dalla loro realizzazione, non c’è alcuna infedeltà, distorsione o travi­samento: c’è, al contrario, una coerenza che rasenta i limiti dell’assurdo, ma che conferma la ferrea logica e necessità del sistema. Certamente la ricerca storica contribuirà a chiarire più di quanto già non sia stato fatto il peso specifico di ciascuno dei personaggi che hanno popolato la scena politica del Terzo Reich nella determinazione delle sorti della Germania, così come farà ulteriore luce sull’equilibrio delle forze nell’interno del regime stesso, — per esempio l’opera del Reitlinger lascia ancora molte ombre sui rapporti inter­corsi tra le SS e il partito nazionalsocialista dopo lo sviluppo autonomo as­sunto dalle prime, — e approfondirà il sottofondo sociologico di certe isti­tuzioni e di certi sviluppi (25), ma si tratterà soltanto di integrazioni e di contributi di dettaglio che non capovolgeranno i risultati di fondo ormai acquisiti.

In secondo luogo preme sottolineare e smentire una volta per tutte l’ipotesi delle SS come dominio personale riservato di Himmler o sua pri­vata guardia del corpo1. Tale conclusione è determinata non soltanto dal fatto che ad esse furono affidati compiti essenziali all’esistenza e alla carat­terizzazione del Terzo Reich, al di là di qualsiasi posizione personale, ma anche dalla constatazione, in definitiva abbastanza ovvia, che le SS pote­rono diventare quello che divennero e fare quello che fecero soltanto per la loro vasta e salda ramificazione in tutti gli aspetti della vita tedesca e per il consenso che trovarono nei più diversi circoli e strati deH’amministra- zione e della popolazione. Senza l’appoggio dei burocrati che consentirono

(25) Per un primo tentativo in questo senso si cfr. il saggio di K. O. PAETEL, Die SS. Ein Beitrag zur Soziologte des NationalsoZialismus, nei Vierteljahreshejte fiir Zeitgeschichte, gennaio 1954, pp. 1-33.

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l’estensione della loro influenza in tutti i settori della vita pubblica; senza il consenso quanto meno tacito dei militari, che, nonostante ogni altro dis­senso, furono legati in eterno alle SS dal debito di riconoscenza per l’eli­minazione della concorrenza delle SA e che comunque nella polizia del partito videro anche la buona occasione per sgravarsi di compiti sgraditi; senza il contributo dei medici, degli scienziati e degli scrittori che si pre­starono a fornire la copertura accademica alle teorie razzistiche e agli espe­rimenti sulle cavie umane; senza questa larga partecipazione di consensi, di cui in questa sede non è evidentemente possibile analizzare le ragioni storiche, politiche e morali, compito che costituirà uno dei principali obiet­tivi della ricerca storiografica futura, non sarebbero stati assolutamente pos­sibili la creazione e il mantenimento di una così vasta organizzazione per lo sterminio e la repressione in massa di milioni di individui.

Potevano dunque i tedeschi non sapere nulla di tutto ciò? A questa angosciosa domanda ci limiteremo a rispondere qui riproducendo un breve brano dell’opera del Reitlinger (p. 262) che ci sembra essere sufficiente­mente esplicito:

« Una parte dell’opinione pubblica tedesca conosceva le condizioni in cui vivevano gli ospiti dei campi, per il tramite delle migliaia di uomini, che nel corso di quegli anni erano stati guardiani nei campi di concentra­mento, e della quantità ancora maggiore di civili, che lavoravano nelle fab­briche a fianco dei prigionieri dei campi di concentramento. Alla fine del 1944, allorché cominciò la grande evacuazione dei campi, molti potevano vedere il lento passaggio dei treni pieni di detenuti attraverso le stazioni stipate della Germania orientale e centrale, lunghe file di vagoni-merci aperti pieni di pietosi scheletri, che mendicavano un pezzo di pane o acqua.

Descrizioni di questo genere sono numerose. Ciò accadeva in un’epoca in cui la vita civile nel bacino industriale della Slesia era ancora normale, in cui i treni rapidi portavano ancora vetture letto per i ricchi e i privile­giati. Il contrasto era visibile a tutti. Come fu penosa la congiura dei 21 principali accusati nazisti, che per nulla turbati dall’idea di commettere spergiuro, si misero d’accordo per non ammettere di conoscere l’esistenza di più di due o tre campi di concentramento. E soprattutto per negare di sapere che cosa avvenisse dentro di essi! ».

III.

Infine, e per concludere, non possiamo fare a meno di segnalare altre due opere di carattere completamente diverso da quella del Reitlinger, che ci ha fornito l’occasione di stendere le presenti note, e tuttavia stret­tamente legate al tema di questa rassegna. Si tratta di due raccolte docu­mentarie di materiale e testimonianze illustrativi dell’attività delle SS, uscite quasi nello stesso tempo nelle due Germanie, la prima a cura di Reimund Schnabel, intitolata Macht ohne Moral. Etne Dokumentation über die SS (Frankfurt a.M., Ròderbergverlag, 1957, pp. 580) edita nella Ger­mania occidentale, e la seconda, intitolata SS im Einsatz. Etne Dokumen-

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tation iiber die Verbrechen der SS (Berlin, Kongress-Verlag, pp. 646), pub­blicata nella Germania orientale a cura del Comitato dei Combattenti anti­fascisti della Resistenza della Repubblica democratica tedesca.

La simultaneità delle pubblicazioni, l’analoga impostazione documenta­ria, il fatto stesso che attingano praticamente alle medesime fonti e che contengano quindi molto materiale anche fotografico comune, l’occasione comune della loro uscita, — poiché prendono entrambe le mosse da una reazione polemica alla decisione presa il 2 agosto 1956 dall’organismo pre­posto alla selezione degli ufficiali delle nuove forze armate della Repubblica federale tedesca di ammettere nella Bundeswehr gli ex appartenenti alle SS, ad esclusione soltanto degli ufficiali generali -— fanno pensare che si tratti in realtà di due iniziative promosse da un’unica fonte, sia pure con l’accentuazione di motivi diversi e con diversa intonazione polemica nel­l’uno e nell’altro dei casi. Tutto ciò naturalmente nulla toglie all’interessé di questi volumi e alla loro tempestività e opportunità ai fini della divul­gazione di una pagina poco gloriosa della storia della Germania moderna, la cui conoscenza tuttavia è più che mai necessaria se vogliamo renderci conto degli sconvolgimenti scatenati sull’Europa dall’avvento al potere del nazionalsocialismo, della misura delle tracce lasciate dalla dominazione na­zista nei territori occupati e della natura delle reazioni che essa ha suscitato e non cessa di suscitare nei popoli calpestati e offesi dalla barbarie hitleria­na; ciò che equivale anche a cogliere le ragioni di quella profonda espe­rienza morale e umana che è stata e rimane la Resistenza europea, ieri come lotta militante contro l’oppressore straniero e i suoi vassalli all’interno e oggi come impegno morale e politico di custodire, sviluppare e attuare il patrimonio ideale di libertà, di giustizia sociale e solidarietà internazionale consacrato nell’Europa intera dalla lotta dei combattenti per la libertà.

Nel complesso, la struttura dei due volumi in questione presenta non poche analogie: in linea generale entrambi attingono largamente agli atti del processo di Norimberga e di altri giudizi istruiti contro esponenti delle SS responsabili di atrocità, suffragando i testi con una tanto ricca quanto raccapricciante documentazione fotografica. Entrambi tengono a sottoli­neare, — e l’affermazione di questa innegabile realtà, che non esclude co­munque responsabilità più larghe di quelle che si vorrebbero attribuire uni­camente agli appartenenti alle SS, è uno degli obiettivi principali perseguiti dai curatori dei volumi —, che non si possono identificare senz’altro le SS e il popolo tedesco, respingendo quindi la tesi della responsabilità collettiva tout court, tendendo anzi a dimostrare e a richiamare alla memoria, come scrive lo Schnabel nell’avvertenza preposta al II capitolo della sua cpera, intitolato Terrore in Germania, « il fatto che le prime vittime delle SS fu­rono tedesche ». Uguale preoccupazione mostra il volume SS im EinsatZ, che nel suo secondo capitolo, dedicato alla documentazione dei delitti com­messi contro il popolo tedesco, ha però cura di sottolineare come il terro­rismo nazista sia stato diretto anzitutto contro il partito comunista tedesco, i sindacati e le altre organizzazioni democratiche: già da questo è possibile vedere, quindi, come questo secondo volume tenda ad andare al di là del­l’impostazione prevalentemente orientata sul piano umano e morale del­l’opera dello Schnabel, non per nulla intitolata Macht ohne Moral, per

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avanzare un giudizio politico più qualificato e più impegnato, di ispira- zione chiaramente comunista e classista.

Se in particolare lo Schnabel ha avuto cura di raccogliere interessanti elementi per la ricostruzione delle tappe principali dello sviluppo e della storia delle SS, a mo’ di premessa per le fasi successive, ossia per la docu­mentazione dell’azione concreta delle SS, entrambi i volumi dedicano am­pio spazio ai campi di concentramento e alle persecuzioni antisémite, rifa­cendo praticamente la storia dei Lager, illustrando il sistema di vita dei prigionieri e i metodi di sfruttamento adottati ai loro danni, sia di sfrutta­mento fisico mediante l’imposizione del lavoro coatto, sia di sfruttamento patrimoniale, mediante la depredazione dei loro beni. Particolarmente ricca in entrambi i volumi è la documentazione sugli esperimenti medici condotti sui deportati, uno dei capitoli più spaventosi di questa storia già di per se così incredibile e orripilante.

Rispetto al volume dello Schnabel, che vi si sofferma invece molto più brevemente, SS im Einsatz dedica inoltre un ampio capitolo, il VI, allo sfruttamento dei prigionieri ad opera dei Konzerne della grande industria tedesca, e non è certo questa la pagina più bella nella storia già così poco raccomandabile della I. G. Farben e degli altri potentati dell’industria, che non si peritarono di collaborare allo sterminio dei deportati, trovando per̂ sino il modo di trarne un utile, fornendo ai loro carnefici i mezzi tecnici di annientamento o anche soltanto servendosi della mano d’opera destinata al massacro per il lavoro forzato nelle loro imprese.

Infine, differiscono nei due volumi il tono e la sostanza del capitolo conclusivo, che in entrambi è dedicato al periodo post-bellico. Mentre lo Schnabel si limita a riprodure in esso il verdetto pronunciato dal Tribunale internazionale di Norimberga contro le SS da una parte e la Gestapo dal­l’altra, nonché la comunicazione ufficiale sull’ammissione degli ex apparte­nenti alle SS nelle forze armate della Repubblica federale tedesca, SS im EinsatZ, riprendendo i temi dell’introduzione (ma del tutto stonato appare un riferimento ai fatti d’Ungheria del 1956), polemizza aspramente contro la riabilitazione delle SS e il loro inserimento nelle forze atlantiche della Germania occidentale. A questo proposito il volume non si limita soltanto a pronunciare la giusta condanna contro i tentativi ufficiali di coprire col silenzio e di far dimenticare le gesta delle SS, denunciando fra l’altro esempi di quella vasta letteratura e stampa neonazista che alligna nella Repubblica federale e la presenza in posti direttivi dell’amministrazione pubblica di persone compromesse con la SS, ma tende evidentemente a forzare la po­lemica, presentando le forze del NATO in veste di continuatrici delle tra­dizioni delle SS. Così pure le ben 59 associazioni combattentistiche sorte fra gli ex appartenenti delle SS e attualmente esistenti nella Germania oc­cidentale sono presentate senz’altro come « formazioni delle SS », delle « risorte SS » (p. 590). Ma tutto ciò si comprende evidentemente soltanto nel quadro della polemica permanente e del clima di guerra fredda fra le due Germanie, anche se in definitiva non costituisce certamente il modo migliore per condurre una seria lotta contro i residui nazistici e i rigurgiti neo-nazistici.

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Detto questo, va ripetuto anche che i due volumi documentari che si sono qui segnalati, i quali, nonostante la loro dignitosa presentazione, e appunto per il loro carattere divulgativo e per l’occasione che li ha ispirati, non aspirano nè a compiutezza storica nella selezione nè a rigore scientifico nella sistemazione, rispondono pienamente all’intento divulgativo che si sono proposti di assolvere. Pur risultando per molti aspetti un doppione, e nella scelta dei brani di documentazione e in quella delle testimonianze fotografiche, essi offrono una così ricca raccolta di materiale da fornire un indubbio ausilio per una più larga ed approfondita conoscenza degli aspetti del Terzo Reich più direttamente legati alla storia delle SS, con altro in­tento e con tutt’altro impegno storiografico ricostruita dal Reitlinger. Ma intanto, nell’attesa che sia effettuata e resa facilmente accessibile ad un pubblico più vasto una rigorosa selezione dell’enorme materiale emerso nel dopoguerra nei processi a carico dei responsabili di crimini contro l’u­manità e da ogni altra fonte possibile (memorie, documenti diplomatici, ecc.), materiale accessibile oggi, e neppure interamente, soltanto agli stu­diosi, questi volumi, pur nei loro limiti, assolvono una funzione insostitui­bile di divulgazione e di documentazione non soltanto dal punto di vista storico ma anche, se non principalmente, sotto il profilo più specialmente politico.

Enzo Collotti