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12 II. IL CUORE DEL VANGELO: LA GIUSTIFICAZIONE PER FEDE 1:18-4:25 Nella prima sezione principale della lettera, Paolo va in fondo sul tema del vangelo. Troveremo qui spesso le parole giustificazione, giusto, fede, credere. Da qui comprendiamo i temi trattati. L’apostolo partirà da una panorama dell’universalità del peccato per arrivare alla dimostrazione della giustizia di Dio, che è per fede. Inoltre importante è il tema che la salvezza è per tutti, giudei e gentili. Se Israele si aspettava l’intervento di Dio negli ultimi giorni, Paolo mostra che già ora si può sperimentare Dio per fede, valevole per giudei e gentili allo stesso modo. A. Il Regno Universale del Peccato (1:18-3:20) In questa parte iniziale l’enfasi è sull’ira di Dio, sul peccato e sulla giustizia punitiva di Dio. Non è certo questo l’annuncio del vangelo, ma è una preparazione a quell’annuncio. La giustizia di Dio secondo Paolo non può essere compresa senza un chiaro concetto del peccato e dell’ira di Dio. Solo il paziente malato va dal dottore e Paolo vuol dimostrare che l’umanità è malata prima di indicare la medicina. Questo vale anche per il giudeo, che forse si credeva in una situazione di grazia per la sua nascita; Paolo dimostrerà che anche lui è nel peccato (3:9). L’accusa di Paolo a tutta l’umanità in 1:18-3:8 si muove a cerchi concentrici come segue: Paolo è chiaro; tutti hanno peccato, anche il giudeo, e tutti hanno bisogno della grazia di Dio. 1. Tutti hanno peccato (1:18-32) L'ira di Dio si rivela dal cielo L’ira di Dio è un concetto associato agli ultimi giorni. Certo, l’ira di Dio Israele l’ha subita in varie epoche della sua storia (cfr. Esodo 4:14; 15:7; 32:10-12; Numeri 11:1; Geremia 21:3-7), ma il giorno dell’ira è un momento escatologico quando Dio avrebbe fatto vendetta dei suoi nemici e dei malvagi della terra. Così i profeti parlavano dl giorno del Signore. L’ira di Dio dunque è la reazione punitiva di Dio alla malvagità demoniaca o umana. Non è dettata da istinto o carnale come l’ira umana, ma è una messa in atto di minacce fatte in precedenza davanti alla disubbidienza dell’uomo. E’ una santa ostilità al male, di cui l’opposto non è l’amore, ma l’indifferenza o l’apatia morale. La cosa interessante qui è che Paolo non vede l’ira di Dio come elemento escatologico, ma attuale. Come al vs. 17 la giustizia di Dio si rivela ora, così anche l’ira di Dio si rivela ora. Ossia la sua azione, il suo intervento punitivo è già in atto. Paolo anche indica l’origine di questa ira, che proviene dal cielo; è dunque di natura spirituale, è tuttavia visibile L’ira di Dio: tutti 1:18 1:19-32 Rivelazione alle genti 2:1-11 persona morale 2:17-29 il giudeo

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II. IL CUORE DEL VANGELO: LA GIUSTIFICAZIONE PER FEDE 1:18-4:25

Nella prima sezione principale della lettera, Paolo va in fondo sul tema del vangelo. Troveremo qui spesso le parole

giustificazione, giusto, fede, credere. Da qui comprendiamo i temi trattati. L’apostolo partirà da una panorama

dell’universalità del peccato per arrivare alla dimostrazione della giustizia di Dio, che è per fede. Inoltre importante è il

tema che la salvezza è per tutti, giudei e gentili. Se Israele si aspettava l’intervento di Dio negli ultimi giorni, Paolo

mostra che già ora si può sperimentare Dio per fede, valevole per giudei e gentili allo stesso modo.

A. Il Regno Universale del Peccato (1:18-3:20)

In questa parte iniziale l’enfasi è sull’ira di Dio, sul peccato e sulla giustizia punitiva di Dio. Non è certo questo

l’annuncio del vangelo, ma è una preparazione a quell’annuncio. La giustizia di Dio secondo Paolo non può essere

compresa senza un chiaro concetto del peccato e dell’ira di Dio. Solo il paziente malato va dal dottore e Paolo vuol

dimostrare che l’umanità è malata prima di indicare la medicina. Questo vale anche per il giudeo, che forse si credeva

in una situazione di grazia per la sua nascita; Paolo dimostrerà che anche lui è nel peccato (3:9). L’accusa di Paolo a

tutta l’umanità in 1:18-3:8 si muove a cerchi concentrici come segue:

Paolo è chiaro; tutti hanno peccato, anche il giudeo, e tutti hanno bisogno della grazia di Dio.

1. Tutti hanno peccato (1:18-32)

L'ira di Dio si rivela dal cielo

L’ira di Dio è un concetto associato agli ultimi giorni. Certo, l’ira di Dio Israele l’ha subita in varie epoche della sua

storia (cfr. Esodo 4:14; 15:7; 32:10-12; Numeri 11:1; Geremia 21:3-7), ma il giorno dell’ira è un momento escatologico

quando Dio avrebbe fatto vendetta dei suoi nemici e dei malvagi della terra. Così i profeti parlavano dl giorno del

Signore. L’ira di Dio dunque è la reazione punitiva di Dio alla malvagità demoniaca o umana. Non è dettata da istinto

o carnale come l’ira umana, ma è una messa in atto di minacce fatte in precedenza davanti alla disubbidienza dell’uomo.

E’ una santa ostilità al male, di cui l’opposto non è l’amore, ma l’indifferenza o l’apatia morale.

La cosa interessante qui è che Paolo non vede l’ira di Dio come elemento escatologico, ma attuale. Come al vs. 17 la

giustizia di Dio si rivela ora, così anche l’ira di Dio si rivela ora. Ossia la sua azione, il suo intervento punitivo è già in

atto. Paolo anche indica l’origine di questa ira, che proviene dal cielo; è dunque di natura spirituale, è tuttavia visibile

L’ira di Dio: tutti

1:18

1:18

1:19-32

Rivelazione

alle genti

2:1-11 persona

morale

2:17-29 il

giudeo

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all’uomo che discerne le cose spirituali. In contemporanea abbiamo dunque la manifestazione della giustizia di Dio e

dell’ira di Dio entrambi all’opera nel mondo. Come si manifesta l’ira verrà spiegato in seguito.

contro ogni empietà e ingiustizia degli uomini che soffocano la verità con l'ingiustizia;

L’ira di Dio è la reazione all’empietà e l’ingiustizia degli uomini. L’empietà indica soprattutto il peccato contro Dio,

l’idolatria e tutto ciò che essa comporta. L’ingiustizia è il peccato contro il prossimo, e quindi la violenza di ogni genere

contro i deboli, i bambini, le donne ecc. L’empietà e l’ingiustizia hanno soffocato la verità divina. Ovviamente

l’idolatria ha coperto ogni idea di Dio e della sua giustizia. Questo ha portato all’ingiustizia tra gli uomini, e la

giustificazione dell’ingiustizia con ideologie false e cruenti. Le parole di Paolo ci ricordano la situazione al tempo del

Diluvio, ma bastava guardare il mondo romano che con il paganesimo ha giustificato la schiavitù, l’immoralità, la lotta

dei gladiatori ecc. per comprendere l’attualità del discorso.

poiché quel che si può conoscere di Dio è manifesto in loro, avendolo Dio manifestato loro;

Secondo l’apostolo l’ateismo o il politeismo sono ingiustificabili in quanto Dio stesso ha manifestato negli uomini

alcuni concetti basilari della divinità. I concetti di giustizia, bontà, fedeltà, amore sono presenti in tutte le società e sono

appresi dall’uomo in maniera naturale, senza bisogno di scuola. Da dove vengono questi concetti se non da un Essere

intelligente che li ha messi nell’uomo, concetti che rispecchiamo questo Essere stesso? Notiamo che Paolo insiste che è

Dio che ha manifestato questa rivelazione di Sé all’uomo. Vi è dunque una rivelazione naturale per ogni uomo che è

nell’uomo e fuori dall’uomo.

infatti le sue qualità invisibili, la sua eterna potenza e divinità, si vedono chiaramente fin dalla creazione del mondo

essendo percepite per mezzo delle opere sue;

Paolo non si sofferma su questo, ma parla ora del creato, dell’universo invisibile, della perfezione delle stagioni, delle

stelle ecc. Il Creato non contiene in sé la chiave della sua esistenza. Tutto indica un Essere potente e divino (cfr. Salmo

19:1; Isaia 6:3; Atti 14:14). Queste cose si vedono sin dall’inizio del mondo. Notiamo che qui Paolo parla chiaramente

di creazione. Le opere stesse di Do indicano la sua esistenza, la sua grandezza e la sua eterna potenza. La logica qui è

quella dell’orologio. Se c’è un orologio, ci deve essere un orologiaio. Va anche notato che questa rivelazione è

continua, visibile e valevole anche oggi.

perciò essi sono inescusabili, perché, pur avendo conosciuto Dio, non l'hanno glorificato come Dio, né l'hanno

ringraziato;

La rivelazione naturale non è sufficiente. Non porta alla salvezza, ma aggrava la colpa. La prima caduta dell’uomo è di

tipo intellettuale. Hanno conosciuto Dio, ossia avevano le prove della sua esistenza, ma hanno scelto di non glorificarlo

come Dio. Ciò vuol dire che non l’hanno né adorato né ubbidito. Dio si aspettava la gloria, ma anche il ringraziamento.

Ma non è stato nemmeno ringraziato. Paolo dunque li considera inescusabili perché tutto questo è stato fatto con piena

coscienza intellettiva. Ciò vale per tutti gli uomini anche i giudei, come dimostra l’Antico Testamento.

ma si sono dati a vani ragionamenti e il loro cuore privo d'intelligenza si è ottenebrato.

Qui continua la degenerazione intellettuale. Si sono dati a vani ragionamenti. Hanno messo da parte Dio, il Creatore, ed

hanno ragionato e si sono dimostrati privi di intelligenza (il cuore qui va inteso come mente o cervello o parte pensante

dell’uomo). Per Paolo inizia tutto e sempre qui, nella mente. E’quella che è ottenebrata e quella deve cambiare. Tutto il

resto della degenerazione deriva da lì, dalla testa.

Benché si dichiarino sapienti, sono diventati stolti,

Ecco il risaltato; sono diventati stolti, stupidi. Ma loro non credono questo, si credono sapienti, si chiamano dottori e si

esaltano l’un l’altro. Ma agli occhi di Dio sono stolti. E qui inizia il discorso pazzia/stoltezza in Paolo, che considera la

sapienza degli uomini stolta agli occhi di Dio, e la pazzia di Dio maggiore della sapienza degli uomini (cfr. 1 Corinzi 1-

4). E comunque qui vediamo il pensiero di Paolo sulla religione non cristiana; in nessun modo prepara alla conversione

e nulla ha a che vedere con la verità rivelata di Cristo (contra il pensiero di molti oggi).

e hanno mutato la gloria del Dio incorruttibile in immagini simili a quelle dell'uomo corruttibile, di uccelli, di

quadrupedi e di rettili.

L’evidenza per Paolo sta nell’idolatria che vedeva tutto intorno a lui, e che ovviamente i romani vedevano tutti i giorni.

E’ chiaro che ci sono esempi anche nell’Antico Testamento (cfr. il vitello d’oro in Esodo 32; Salmo 106:20 ecc.). Si

adorava l’uomo (l’imperatore), l’animale, persino i più ripugnanti come serpenti e coccodrilli. Paolo non poteva che

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considerarli stolti, idioti. Abbandonando Dio, e adorando animali, non solo l’intelligenza è ottenebrata, ma di

conseguenza anche il sentimento. Apocalisse 13 ci fa vedere la stessa cosa; gli uomini adorano una bestia che è un

uomo; idolatria che diventa immoralità.

Per questo Dio li ha abbandonati

Per la prima volta troviamo questo tremendo aspetto dell’ira di Dio; l’abbandono (o il dare in mano di) dell’uomo al

peccato, o meglio alla conseguenza del peccato. Poiché l’uomo ha scelto un altro dio o altri dei, (per questo) Yahweh li

ha abbandonati ad assomigliare a quei dei. E’ il linguaggio dell’Antico Testamento dove Dio spesso abbandonava (o

dava nelle mani) Israele ai suoi nemici (cfr. Esodo 23:31; Deuteronomio 7:23; Atti 7:42). Non si tratta di abbandono

assoluto; Dio nel suo amore ha mandato Gesù all’umanità e dunque non si tratta di abbandono nel senso di

dimenticanza. E’ tuttavia l’abbandono al peccato come Dio dava Israele nelle mani dei nemici.

all'impurità, secondo i desideri dei loro cuori, in modo da disonorare fra di loro i loro corpi;

Prima abbiamo visto una degenerazione dell’intelligenza. Questo porta ad una degenerazione della volontà. La volontà

non è più guidata dall’intelligenza illuminata dalla rivelazione di Dio, ma dai desideri carnali. E quindi invece di

onorare l’uomo e la donna nel vincolo del matrimonio, l’umanità si dedica all’immoralità sessuale (cfr. Efesini 4:19).

Dio li ha abbandonati a questa impurità (o sporcizia morale). Quindi l’immoralità dilagante della società romana (e

quella di oggi) non è segno di libertà raggiunte, ma dell’ira di Dio. Come vedremo in seguito l’abbandono di Dio è alle

conseguenze nefaste di questo comportamento. In una potente immagine lo studioso Godet dice che Dio ha cessato di

reggere la barca che viene trascinata dalla corrente del fiume1; ovviamente il fiume del peccato.

essi, che hanno mutato la verità di Dio in menzogna e hanno adorato e servito la creatura invece del Creatore, che è

benedetto in eterno. Amen.

Qui Paolo riassume ciò che ha detto sopra con le due accuse all’umanità che hanno portato all’abbandono di Dio

dell’uomo all’impurità. Hanno mutato la verità di Dio in menzogna, ossia hanno negato la Parola di Dio (cfr. il Serpente

in Genesi 3:4), o meglio la rivelazione naturale di Dio, e non ci hanno creduto. La seconda accusa è che hanno

idolatrato idoli (creatura) invece del Creatore. Qui l’apostolo inserisce una dossologia, affermando che solo il Creatore è

benedetto in eterno (non gli idoli). Sembra voglia ribadire che tutto il male deriva dalla scelta idolatra; dalla scelta della

mente di adorare altri dei.

Perciò Dio li ha abbandonati a passioni infami: infatti le loro donne hanno cambiato l'uso naturale in quello che è

contro natura;

Anche i sentimenti diventano infami. Dio li ha abbandonati a questo. E la prima prova dei sentimenti perversi è il

lesbismo. Per Paolo la pratica omosessuale femminile è contro natura e segno dell’abbandono di Dio e dell’ira di Dio. I

termini uso naturale e contro natura per Paolo e per i giudei implicavano comandamenti divini per tutti i popoli (parte

dunque della rivelazione naturale). La volontà di Dio per rapporti eterosessuali sono chiaramente rivelati in Genesi

1:27; 2:24. La trasgressione di quest’uso naturale era dunque ribellione a Dio. Segno che nella chiesa primitiva e

nell’ebraismo non era un comportamento accettato. Infatti qui l’apostolo segue i rabbini che vedevano

nell’omosessualità il primo segno della degenerazione morale dei gentili.

similmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono infiammati nella loro libidine gli uni

per gli altri commettendo uomini con uomini atti infami,

La seconda prova della generazione sentimentale è l’omosessualità maschile. Anche in questo caso Paolo considera

l’atto contro natura, e l’atto omosessuale è infame o vergognoso, come già afferma l’Antico Testamento (cfr. Genesi

19:1-28; Levitico 18:22; 20:13; Deuteronomio 23:17-18). Ciò che colpisce è la generalità di cui parla Paolo; non è un

comportamento isolato ma comune. Sappiamo che a Roma e in Grecia era così. Lo sta diventando anche oggi.

Ribadiamo, per Paolo non è un segno di progresso ma dell’ira di Dio.

ricevendo in loro stessi la meritata ricompensa del proprio traviamento.

Questi atti potrebbero sembrare piacevoli e positivi. Il mondo li considera gioiosi e desiderabili, segni di civiltà ed

evoluzione sociale. Il problema sono le conseguenze, che Paolo considera meritate. Quali sono queste conseguenze?

Possiamo pensare a malattie sessuali, famiglie distrutte da divorzi e tradimenti, cuori rotti, figli abbandonati, e società in

1 Citato in Douglas J. Moo, The Epistle to the Romans (Gran Rapids: Eerdmans, 1996) p. 111

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declino con figli senza chiara visione di doveri ed identità. Cose evidenti a Roma al tempo di Paolo, e purtroppo anche

oggi al tempo nostro.

Siccome non si sono curati di conoscere Dio, Dio li ha abbandonati in balìa della loro mente perversa sì che facessero

ciò che è sconveniente;

Si riprende il filo per andare in altre direzioni. Di nuovo Paolo ritorna sul peccato primario; il non voler conoscere Dio.

Per la terza volta Dio li abbandona, questa volta alla loro mente perversa, che porta a fare il male contro altri uomini.

Qui usciamo dal campo sessuale e si parla della malvagità generale di uomo contro uomo. Tutto questo male nasce dalla

mente perversa; per questo Paolo insiste che la mente deve continuamente cambiare per opera dello Spirito Santo (cfr.

12.2)

ricolmi di ogni ingiustizia, malvagità, cupidigia, malizia; pieni d'invidia, di omicidio, di contesa, di frode, di malignità;

calunniatori, maldicenti, abominevoli a Dio, insolenti, superbi, vanagloriosi, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori,

insensati, sleali, senza affetti naturali, spietati.

Questa è uno dei famosi elenchi di peccato di Paolo. (Gli altri sono in 13:13; 1 Corinzi 5:10 e ss. 6:9 e ss. 2 Corinzi

12:20 e ss. Galati 5:19 e ss. Efesini 4:31: 5:3 e ss. Colossesi 3:5, 8; 1 Timoteo 1:9 e ss. 2 Timoteo 3:2-5). Contiene una

lista di 21 peccati. Sono tutti peccati frutti di una mente perversa, caratterizzata dunque dal marcio interno che porta a

tutte queste cattiverie. Sono caratteristiche della società di Roma, ma sono caratteristiche di ogni società e

sovrabbondano nella nostra. Ancora, sono segni dell’abbandono di Dio e dell’’ira di Dio. Sono peccati che noi come

credenti, dalla mente rinnovata, non dovremmo avere. Ma spesso appaiano anche in ambito religioso.

L’elenco in sé è difficile da catalogare, alcuni termini sono sinonimi ed altri hanno significati simili. Tuttavia vi è una

divisione in tre o quattro parti. I primi quattro termini parlano della malvagità in generale. Poi abbiamo le conseguenze

dell’invidia, poi le maldicenze e infine termini dipingendo cattiveria varia.

Essi, pur conoscendo che secondo i decreti di Dio quelli che fanno tali cose sono degni di morte,

Per Paolo dunque gli uomini sanno che queste cose sono sbagliate. Anche questo fa parte della rivelazione generale o

naturale. Infatti molte società hanno leggi contro questi peccati perché distruggano la società. Eppure sono peccati che

appaiono ovunque e gli uomini sanno in loro stessi che sono male (forse così va interpretato secondo i decreti di Dio).

non soltanto le fanno, ma anche approvano chi le commette.

In totale disinteresse delle cose di Dio e della loro coscienza e delle loro leggi, fanno queste cose e approvano che li fa.

Qui c’è la condanna non solo dell’atto peccaminoso, ma anche dell’approvazione dell’atto peccaminoso. Paolo non

ammette l’indifferenza morale. La conclusione è che sono dunque tutti colpevoli davanti a Dio.

OSSERVAZIONI

1. Questo brano è essenziale per comprendere la rivelazione naturale. Questa rivelazione è disponibile a tutti gli

uomini in ogni società. Si tratta di manifestazioni o situazioni che dovrebbero portare l’uomo a cercare Dio e a

riconoscere la sua esistenza. Troviamo che la creazione punta chiaramente ad un Creatore. Poi vi sono concetti

naturali nell’uomo come la ricerca del significato della vita che non sono insegnati o appresi ma sorgono

naturalmente nell’animo (cfr. Ecclesiaste 3:11). C’è poi una legge morale che gli uomini conoscono in ogni società.

C’è il bene e il male, il giusto o lo sbagliato e l’onesto e disonesto. Tuttavia la rivelazione naturale può indicare

l’esistenza di Dio, portare l’uomo a cercare Dio, ma non può portare alla salvezza. Per questo ci vuole la

rivelazione particolare che è il vangelo.

2. E’ chiaro da questo brano che l’omosessualità non è secondo il volere di Dio. Qui vediamo che è un segno

dell’abbandono di Dio e dell’ira di Dio. Ciò ovviamente non vuol dire che dobbiamo attaccare l’omosessuale, che è

un peccatore come lo eravamo tutti noi. Ma deve sapere che il suo stato o orientamento non è voluto da Dio, e che

deve cambiare per l’opera dello Spirito Santo (cfr. 1 Corinzi 6:9-11). Questo richiede amore e pazienza. La

comunità non deve mai giudicare o isolare persone in queste condizioni. Deve pregare per loro, aiutarli e farli

sentire amati. Sarà la Parola di Dio, l’opera dolce dello Spirito Santo e gli attenti consigli della chiesa a portare la

persona a volere cambiare e sentire il bisogno di cambiare.

3. Il problema per noi è che la società ormai accetta tranquillamente il comportamento omosessuale e chi è contro è

considerato bigotto, antiquato, razzista e peggio. In alcune società si rischia l’arresto per discriminazione sessuale.

Come dobbiamo comportarci? Paolo insegna che non solo chi fa queste cose è colpevole, ma anche chi li approva.

Non possiamo fare finta di niente, ma dobbiamo insegnare che l’omosessualità è contro il volere di Dio, è peccato.

16

Allo stesso tempo ricordiamoci che l’omosessuale è una persona con sentimenti, sogni e dolori e così va trattato.

Non è un peccatore peggio di altri. Il modello è Gesù; Egli sapeva denunciare il peccato e allo stesso tempo essere

amico dei peccatori. Dobbiamo cercare di fare altrettanto. Che Dio ci aiuti!

2. I Giudei devono rendere conto a Dio del loro peccato (2:1-3:8)

Se la critica ai gentili è stata redatta in terza persona plurale (cfr. l’uso continuo di essi, loro, li in 1:18-28) al capitolo 2

troviamo l’abbondante uso del tu (seconda persona singolare). Paolo accusa qualcuno, parlandogli direttamente, delle

sue mancanze. Questo è uno stile retorico particolare chiamato diatriba, usato da molti nell’antichità e nella Bibbia per

esempio anche in Giacomo. Questo stile letterario immagina di discutere a tu per tu con uno studente o un avversario.

Vi sono frequenti domande rivolte all’interlocutore immaginario, risposte a possibili obiezioni ed enfatici dinieghi di

potenziali conseguenze (così non sia!).

Questo stile, che troviamo qui e al capitolo 3, anche se retorico, ricorda molti dei dibattiti che Paolo ha dovuto sostenere

nella sua carriera missionaria. Qui ci sono obiezioni che Paolo ha spesso sentito riguardo al vangelo. Ci chiediamo

dunque chi sia questo interlocutore, questo tu al quale Paolo si rivolge con tanta schiettezza. Sicuramente si tratta della

persona di alta levatura morale come poteva essere lo stoico o il timorato di Dio della sinagoga. Di questi personaggi la

chiesa di Roma era piena. Ma è difficile che Paolo non abbia proprio in mente il giudeo, come sarà esplicito al vs. 17.

Qui abbiamo l’uomo che è convinto di essere a posto con Dio perché appartiene al popolo ebraico, a lui sono stati

rivelati gli oracoli di Dio. Il problema tuttavia non è l’appartenenza al popolo ebraico. Come i gentili hanno respinto la

rivelazione naturale (cfr. 1:19-21), così questi moralisti, timorati di Dio o giudei hanno respinto la rivelazione scritta. E,

esattamente come i gentili, saranno giudicati in base alle loro opere. Non c‘è differenza, come rimarca non solo Paolo,

ma anche Giovanni Battista (cfr. Matteo 3:7-10) e Gesù (cfr. Matteo 21:28-32).

Sono concetti importanti anche per noi. Neanche noi siamo salvati perché apparteniamo ad una chiesa o ad una

denominazione. Il problema è il ravvedimento, le buone opere e la ricerca della gloria!

i. I Giudei e il giudizio di Dio (2:1-16)

Qui dunque abbiamo la condanna dei moralisti e giudei. La società romana non era soltanto la società trasgressiva del

capitolo 1. Vi erano uomini e donne che condannavano la corruzione morale quanto Paolo. L’apostolo deve dimostrare

che tutti hanno peccato, compreso chi pensa di essere migliore di altri. L’ira di Dio cade sui moralisti tanto quanto sui

gentili peccatori. La legge è importante, ma non è sufficiente averla; bisogna ubbidirla. E questo è il problema

evidenziato qui.

- Critica della presunzione moralista (2:1-5)

Segue una meravigliosa analisi del cuore moralista e ipocrita, di cui era pieno il giudaismo, la filosofia romana e le

chiese cristiane. Non possiamo non vedere in questi passi allusioni a situazioni nelle chiese e in quella di Roma. Il

giudizio e la condanna del fratello era ed è all’ordine del giorno. A Roma i credenti provenienti dal giudaismo

giudicavano quelli provenienti dal paganesimo e vice versa. Il giudizio dell’altro perversa in ogni chiesa. Paolo,

nell’affrontare il problema universale del moralismo, ha un occhio particolare sulla situazione nella chiesa di Roma e

altrove. Ma l’attacco arriva alla persona. Il Pastore Stott commenta:

Paolo scopre in questi versetti una strana debolezza umana, ossia la tendenza a criticare tutti eccetto noi

stessi. Siamo spesso tanto severi con gli altri quanto siamo tolleranti verso noi stessi. Ci indigniamo con

sentimento di piena ragione per il comportamento vergognoso di altre persone, quando lo stesso

comportamento non è così grave se lo facciamo noi.2

Perciò, o uomo, chiunque tu sia che giudichi,

Qui ora l’apostolo si rivolge ad un interlocutore immaginario che è un persona che giudica; un moralista che osserva

l’andamento umano e critica, giudica, in altre parole dà una sentenza morale; questo è bene, quello è male ecc. Il perciò

all’inizio della frase collega il moralista ai versetti precedenti (1:32). In comune con quelli di quel versetto, il moralista

conosce i giudizi di Dio e non compie “codeste cose”. La differenza è che quelli del vs. 1:32 approvano chi pecca; il

moralista no. Il moralista ha dunque una parvenza di rettitudine. Per questo l’interlocutore di Paolo potrebbe essere il

2 Stott, 82

17

giudeo, ma anche il Timorato di Dio che frequenta la sinagoga oppure un filosofo romano della scuola tradizionale o

stoica. Chiaramente, piano piano Paolo vuole arrivare al giudeo (vs. 17)

sei inescusabile; perché nel giudicare gli altri condanni te stesso; infatti tu che giudichi, fai le stesse cose.

Il moralista non riceve alcun elogio da parte dell’apostolo. Anzi il moralista è inescusabile al pari del peccatore gentile

(cfr. 1:20). Perché nel giudicare gli altri condanna se stesso. Questo uomo, pieno di critica, fa le stesse cose! E’ davvero

un concetto non facile; sembrerebbe che i moralisti siano tutti ipocriti e coprono con parole severe le loro nefandezze.

Ma Paolo è stato un moralista, un fariseo. Sa benissimo cosa vuol dire essere perfetti nell’esteriore e carenti, peccatori

dentro. Affronterà questo tema più avanti nella lettera (cfr. 7:7 ss). Per aiutarci potremmo ricordarci degli accusatori

della donna adultera (cfr. Giovanni 8:9). Da bravi moralisti volevano condannare la donna colta in adulterio; ma poi alla

fine, alla presenza di Gesù, sono compunti nella coscienza, e si rendono conto che, seppur non adulteri, i loro cuori

pensavano all’adulterio (la concupiscenza di 7: 7), ed erano colpevoli quanto quella donna.

Ma forse alcune delle stesse cose le fa concretamente il moralista. Guardiamo alcuni peccati di 1:29; malvagità,

cupidigia, invidia, contese, delatori, disubbidienti ai genitori, senza fede nei patti… Queste cose le troviamo anche nei

moralisti, anche nel giudaismo anche nelle chiese… Non sono peccati eclatanti come l’assassinio o l’adulterio, ma

sempre peccati sono. Sono peccati che non si vedono, ma Dio li vede. E’ proprio vero, chi giudica fa le stesse cose.

Ora noi sappiamo che il giudizio di Dio su quelli che fanno tali cose è conforme a verità.

Paolo è d’accordo con il suo interlocutore che il giudizio di Dio sui peccatori è giusto e conforme a verità. Gli

accusatori della donna adultera avevano ragione; Mosè aveva detto che tali donne dovevano morire (cfr. Levitico 20:10

e Deuteronomio 22:22). Il moralista insiste sul fuoco e fiamme dell’ira di Dio, e Paolo è d’accordo. Ma qui giace un

enorme problema e pericolo.

Pensi tu, o uomo, che giudichi quelli che fanno tali cose e le fai tu stesso, di scampare al giudizio di Dio?

Il moralista che predica fuoco e fiamme e fa le stesse cose non può pensare di scampare al giudizio di Dio. Il problema

è che il moralista spesso non si rende conto di fare le stesse cose che condanna in altri. Quel giudizio che invoca su altri

cadrà anche su lui.

Oppure disprezzi le ricchezze della sua bontà, della sua pazienza e della sua costanza,

Il moralista non vede l’ora che Dio scende con i suoi fulmini. Come i due figli di Zebedeo si invoca la discesa del fuoco

dal cielo per bruciare via i peccatori e salvare i benpensanti (cfr. Luca 9:54). Ma Dio risponde con tre meravigliose

qualità; bontà, pazienza e costanza. Dio è buono anche verso i malvagi! Dio è l’opposto del moralista che vuole

vendetta subito. La parabola del Figliol prodigo ci insegna la differenza tra il moralista forcaiolo e Dio. Il Fratello

Maggiore vuole la continua umiliazione dell’altro fratello; Dio vuole la sua reintegrazione e la sua riabilitazione. Il

moralista non lo capisce. Dio è altresì paziente; il moralista ha fretta. Dio è costante, ma la parola greca indica

sofferenza nell’attesa. Il moralista non vuole soffrire, vuole una soluzione rapida al suo fastidio. Ciò che vuole per altri

non lo vuole per sé. Il Fratello Maggiore disprezzava la bontà, la pazienza e la sofferenza del padre. Il moralista fa lo

stesso.

non riconoscendo che la bontà di Dio ti spinge al ravvedimento?

Dio non vuole la condanna del peccatore; vuole il ravvedimento. La bontà di Dio spinge al ravvedimento. Ci ricordiamo

che fu il pensiero della bontà del padre verso i servi che spinse il fratello minore al ravvedimento. Cosa avrebbe pensato

se il Fratello Maggiore era capo di casa? Ma questa stessa bontà vuole spingere anche il moralista al ravvedimento.

Gesù non condannò né la donna adultera né i suoi accusatori. I vangeli dimostrano che mentre le prostitute e i

pubblicani accoglievano Gesù e si ravvedevano, i farisei, convinti nella loro giustizia, respingevano Gesù. Ma Dio

vuole il ravvedimento dell’uno e dell’altro. Solo che i pubblicani sanno del loro peccato, i farisei no.

Tu, invece, con la tua ostinazione e con l'impenitenza del tuo cuore, ti accumuli un tesoro d'ira per il giorno dell'ira e

della rivelazione del giusto giudizio di Dio.

La bontà e la pazienza di Dio hanno un altro effetto; accumulano tesori d’ira da versare sul cuore ostinato ed

impenitente del moralista. Lui non ha capito che Dio non è solo paziente con i peccatori colti in flagranza, ma anche con

chi crede di essere loro superiore. Non ha capito che l’ira di Dio si accumula anche su lui. Qui inoltre vediamo che ci

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sarà un giorno di ira e della rivelazione del giusto giudizio di Dio. Se l’ira di Dio si manifesta ora (cfr. 1:18), ci sarà un

giorno di giudizio e ira, e per i peccatori e per i moralisti ipocriti di tutti i tempi. Quel giudizio sarà giusto, a differenza

dell’ipocrita giudizio del moralista. Come per molti giudei che s’aspettavano elogi il giorno del giudizio, sarà per molti

moralisti un giorno di terrore e da censori si troveranno censorati da un Giudice più che giusto (cfr. Sofonia 1:14-16;

Amos 5:18-20).

OSSERVAZIONI

1. Uno dei grossi problemi nella chiesa oggi è quello del giudizio. Il giudizio spesso pone il censore su livelli

superiori del censurato. Ci ricordiamo la parabola del pubblicano e del fariseo. Li vediamo come il giudizio

sprezzante del fariseo nei confronti del pubblicano (cfr. Luca 18:9-14) coincide con la sua presunta superiorità

morale. Così avvengono troppi giudizi nella chiesa. Si giudica il mondo per la sua immoralità e la sua cattiveria- Ed

è giusto, poiché il mondo è immorale e cattivo. Ma ciò che ferisce e spesso indigna il mondo è la superiorità morale

vantata da cristiani; e spesso si divertano quando il predicatore di turno cade per scandali finanziari o sessuali. Il

giudizio non può venire da sensi di superiorità. Del resto noi conosciamo la verità e sbagliamo lo stesso; il mondo

non conosce la verità. Ora Paolo al capitolo 1 ha descritto il peccato del mondo in maniera spietata, affermando che

l’ira di Dio si rivela nell’ abbandono del mondo all’immoralità. Eppure egli dice: Io sono debitore verso i Greci

come verso i barbari, verso i sapienti come verso gli ignoranti (1:14). Il giudizio sul mondo è bilanciato dal debito

che abbiamo verso il mondo. Non siamo migliori, abbiamo trovato Colui che ci rende migliori, o meglio, siamo

stati trovati da Lui. Dobbiamo fare in modo che anche il mondo lo trovi.

2. Ancora più grave è il giudizio contro i fratelli. Questo porsi sui pedestali morali e sputare giudizi su tutti è davvero

sbagliato. Ciò non vuol dire che non dobbiamo dare giudizi o criticare se necessario. Come potremmo riprendere o

disciplinare senza giudizio? Come potremmo scegliere collaboratori senza valutare o giudicare le qualità e difetti di

ciascuno? Ma quale è il segreto? Ancora Paolo ci mostra la via. Ai Galati scrive queste parole:

Fratelli, qualora uno venga sorpreso in qualche colpa, voi che avete lo Spirito correggetelo con dolcezza. E vigila su te stesso, per non cadere anche tu in tentazione… Se infatti uno pensa di essere qualcosa mentre non è nulla, inganna se stesso. Ciascuno esamini invece la propria condotta e allora solo in se stesso e non negli altri troverà motivo di vanto… (Galati 6:1-3)

Da ciò si evincono almeno tre principi per dare giudizio:

o Ci vuole lo Spirito

o Ci vuole dolcezza

o Bisogna renderci conto che anche noi possiamo sbagliare.

Ecco, se noi esaminassimo noi stessi prima di emettere giudizi… forse scopriremo, come Paolo ha scritto, che

facciamo le stesse cose che critichiamo in altri. Ricordiamoci sempre quelle salutare parole di Gesù: Siate dunque

misericordiosi, come anche il Padre vostro è misericordioso. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate

e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato… perché con la misura con cui misurate, sarà altresì

misurato a voi». (Luca 6:36-38).

3. Il giudizio di Dio è conforme a verità. Ma spesso non lo comprendiamo, soprattutto quando sembra che al

peccatore va sempre bene. Sembra spesso che il giudizio di Dio sia così lento a venire. Questo passo ci insegna che

Dio renderà giustizia e ci sarà un giorno di giudizio, ma anche ci insegna che Dio preferirebbe perdonare che

condannare. Infatti Egli è buono, paziente e longanime per attirare il peccatore al ravvedimento. La sua bontà non

lascia scampo al peccatore; lui non potrà giustificarsi davanti ad un Dio che con bontà e pazienza lo ha sempre

amato. Anche noi dovremmo sempre trattare le persone con bontà, pazienza e longanimità se vogliamo

assomigliare al nostro Padre. Invece siamo troppo spesso pronti con il bastone del giudizio e della critica. Dio non è

così; vuole il ravvedimento e il miglioramento del peccatore. Impariamo da Lui.

4. Tuttavia c’è un momento in cui Dio dice basta. E allora la sua bontà si trasforma in tesori d’ira accumulata. Allora

viene il giudizio e la condanna. E’ un principio importante anche per noi; non possiamo aspettare in eterno per

prendere una posizione disciplinare. Certo dobbiamo aspettare il tempo di Dio che non sempre coincide con la

nostra fretta. La Bibbia ci dà diversi esempi di personaggi che hanno raggiunto il limite della pazienza divina;

Giuda, Saul, Sansone per citarne alcuni. Nessuno di questi potrà lamentarsi della cattiveria o dell’impazienza di

Dio. Hanno tutti sperimentato la sua bontà, la sua pazienza e la sua longanimità. Ed hanno oltrepassato il limite con

un cuore ostinato ed impenitente.

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5. Per la chiesa possiamo concludere che occorre sempre essere buoni, pazienti e longanimi con tutti; fratelli e non. La

perfezione richiesta ai discepoli di Gesù in Matteo 5:48 richiede l’atto di amore e perdono, atti che rispecchiano le

qualità di Dio evidenziati qui; bontà, pazienza e longanimità. Il mondo dovrebbe conoscere la chiesa di Cristo per

queste caratteristiche. Ma, alla fine, ci deve essere un limite. Arriva il momento della disciplina, il taglio, la

sanzione. A Corinto Paolo ha sopportato molte cose, ma su una o due ha detto basta (nel caso del cosiddetto

incestuoso). Ecco, stiamo attenti a non intervenire su tutto ed aspettare con pazienza che le cose si correggono. Ma

non aspettiamo all’infinito. Talvolta occorre la sanzione dopo che si sono accumulati “tesori d’ira”.

- Il giudizio imparziale (2:6-11)

Egli renderà a ciascuno secondo le sue opere:

Paolo per ora abbandona il suo stile di diatriba, riprendendo il discorso più naturale, espositivo, ma continua ora sul

giudizio di Dio. Abbiamo visto che Dio è buono, paziente e longanime, ma anche il Giudice che con giusto giudizio si

manifesterà nel giorno dell’ira. Il giusto giudizio di Dio è secondo le opere di ciascuno, come attesta l’Antico

Testamento (cfr. Salmo 62:12; Proverbi 24:12) e alcuni passi del Nuovo Testamento (cfr. Matteo 16:27; 2 Corinzi

11:15; 2 Timoteo 4:14).

Ci sembra strano che Paolo parli di opere, ma la realtà è quella. Questo versetto infatti sembra in contrasto con altri

come 3:20 dove leggiamo che le opere della legge non possono giustificare. Sembra un’inconsistenza dell’apostolo.

Sono due le più reali spiegazioni:

i. Anche che vive per fede verrà giudicato per le sue opere perché la fede deve produrre opere (e qui Paolo si

accorda con Giacomo cfr. Giacomo 2:14-26). Secondo questa opinione le opere fatte qui sulle quali verranno

giudicati sono le opere fatte in Cristo. Qui Paolo non specifica quali opere, ma chiarisce quale è il sentimento di

chi fa le opere con fede. E ne evidenzia la sentenza dl giudizio. Tuttavia è chiaro che la nostra fede verrà giudicata

dalle opere che ne derivano.

ii. Paolo evidenzia la teoria che vale sempre; Dio giudica in base alle opere; ma nessuno è in grado di produrre

opere da piacere a Dio e quindi in base a questo giudizio siamo tutti condannati. Paolo dunque sta preparando

l’insegnamento della salvezza per grazia, dimostrando che nessuno reggerebbe ad un giudizio per opere. Qui non

sta parlando di cristiani, ma di persone in generale. Qui si potrebbe dire che la giustificazione è per fede, ma il

giudizio per opere. Comunque la condanna sarà sicuramente in base alle opere fatte o non fatte; la gloria per le

opere fatte in Cristo con fede.

Personalmente preferisco la prima alternativa, senza tralasciare la seconda. Le opere sono molto importanti per il

credente e sono segno della salute spirituale (cfr. Efesini 2:10). Tuttavia la giustificazione è solo per fede. Ma la fede

deve produrre opere.

vita eterna a quelli che con perseveranza nel fare il bene cercano gloria, onore e immortalità;

La prima sentenza è la vita eterna. La vita eterna ovviamente per Paolo sta ad indicare la vita in Cielo con Dio. E’

dunque una vita di piena e profonda soddisfazione, dove l’uomo e la donna vivono con gioia alla presenza di Gesù. Qui

abbiamo le caratteristiche e i sentimenti di questi premiati:

- Ciò che fanno. Sono perseveranti nel fare il bene. Qui le parole chiavi sono perseveranti e fare il bene. Dunque

una vita continua nella ricerca di fare il bene; una vita continua di santità. Si noti qui Paolo probabilmente sta

parlando a religiosi giudei. Non menziona per nulla la vita religiosa; è il fare il bene. Ci ricorda i beati di

Matteo 25.

- Ciò che cercano. Cercano gloria onore e immortalità. Qui si potrebbe pensare ad una vita che cerca la gloria e

quindi si sacrifica per la gloria. Credo che possiamo parafrasare Paolo con il dire che la caratteristica di queste

persone è vivere in modo da piacere a Dio e quindi cercare la sua gloria, ossia la manifestazione della sua

presenza, l‘onore, che è l’approvazione di Dio, e l’immortalità, che è la gioia della sua presenza.

ma ira e indignazione a quelli che, per spirito di contesa, invece di ubbidire alla verità ubbidiscono all'ingiustizia.

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L’ira e l’indignazione di Dio sono riservate a quelli che ubbidiscono all’ingiustizia. Per Paolo la questione di ubbidienza

è segno della salute spirituale della persona (cfr. 1:5; 2:25-27; 6:15-23). Queste persone sono caratterizzate da uno

spirito di contesa. Forse la migliore traduzione di eritheia è egoismo, ma il risultato è sempre ribellione. Contrastano

Dio e la sua legge. Contrastano Cristo. Ubbidiscono a tutto ciò che è ingiusto; la carne, l’io, l’ateismo. Li ha già descritti

al capitolo 1. Notiamo inoltre che qui si contempla solo due esiti del giudizio; non esiste qui alcuna terza via.

Tribolazione e angoscia sopra ogni uomo che fa il male;

Paolo elabora la condanna e parla di tribolazione ed angoscia. Si tratta di profonda sofferenza del tipo descritto nella

storia del Ricco e Lazzaro (cfr. Luca 16:19-21). Paolo evidentemente crede in uno stato di dolore e sofferenza dopo la

morte per chi fa il male. Se prima la descrizione era per chi ubbidiva all’ingiustizia, qui l’accusa è fare il male (cfr.

1:18). Il male è tutto ciò che nuoce al prossimo, a se stesso e disonora Dio.

sul Giudeo prima e poi sul Greco;

Per la prima volta in questa sezione Paolo menzione in maniera specifica il Giudeo. Ora il giudizio di Dio cadrà prima

sul Giudeo proprio perché il Giudeo ha la legge e conosce la volontà di Dio. E’ importante che il Giudeo capisca che il

fatto di essere Giudeo non lo salva e non lo esclude dal giudizio. Sarà giudicato esattamente come il non giudeo in base

alle opere che ha fatto e senza alcuna privilegio per essere un ebreo. Poi sarà giudicato il greco, ossia il non ebreo.

Anche lui in base alle opere.

ma gloria, onore e pace a chiunque opera bene; al Giudeo prima e poi al Greco;

Per chi opera il bene Paolo annuncia gloria, onore e pace che sono le caratteristiche della vita eterna. Anche qui

l’apostolo sottolinea che il giudizio vale per tutti, per il Giudeo e per il Greco. Il punto è che il giudeo verrà giudicato

come il greco, non c’è differenza. Il Giudeo si aspettava di essere il primo ad essere salvato e l’ultimo ad essere

giudicato. Paolo lo disillude.

perché davanti a Dio non c'è favoritismo.

Perché Dio è imparziale. Egli non ha preferiti. Non ama il giudeo più del non giudeo e questa era una importante notizia

per la chiesa di Roma dove a quanto pare chi veniva dalla sinagoga si sentiva superiore. Ed è importante capire questo

semplice concetto che Dio ama tutti allo stesso modo. Non è parziale (pace i Calvinisti!) Questo fu la grande scoperta di

Pietro in casa di Cornelio (cfr. Atti 10:34, 35).

OSSERVAZIONI

1. Una parola sul rapporto fede e opere. E’ indubbio che siamo salvati per fede e senza fede non esiste alcuna salvezza

(Romani 3:20-23). Non dobbiamo avere dubbi su questo. Ma la fede deve produrre opere che chi non crede non fa.

Queste opere possono essere le più svariate, dalle opere di carità alle opere ministeriali, siamo tutti chiamati a fare

fruttare i nostri talenti ed a compiere le opere che Dio ha preparato per noi. La vita religiosa non produce

necessariamente opere. I giudei erano i più religiosi di tutti, ma Paolo è chiaro nell’affermare che ciò non li salverà.

Le opere devono in qualche maniera beneficiare altri e dare gloria a Dio (si consideri i beati di Matteo 25). La vita

religiosa non è opera di bene; può rendere orgogliosi, può farci sembrare bravi, ma le opere che cerca il Signore

toccano la vita degli altri e la migliorano. Questo è un buon test per la nostra fede; stiamo, per quanto ne sappiamo,

beneficiando altri? Se sì, allora dimostriamo fede.

2. Fare il bene spesso delude e scoraggia perché il benefattore non si vede gratificato. Paolo però parla di

perseveranza nel fare il bene- L’opera della fede (cfr. 1 Tessalonicesi 1:3) non è una una tantum fatta

sporadicamente. E’ l’opera di tutta la vita cristiana. E’ interessante che persino il ladrone convertito sulla croce

abbia dovuto mostrare opere nel resistere al dolore e la rottura delle gambe. Questo suo esempio avrà sicuramente

meravigliato molti, soprattutto in contrasto con l’altro criminale che non si è ravveduto. Il bene dunque deve essere

fatto sempre, uno stile di vita, essere naturali nel fare il bene.

3. Il passo ci fa anche vedere la realtà della condanna con le parole ira e indignazione. Paolo qui non spiega bene

come sarà la condanna, ma l’ira di Dio sarà manifesta e dolorosa. La storia del Ricco e Lazzaro ci fa vedere un

uomo impotente ma sempre egoista e malvagio. Parla anche di doloro fisico. Non dovremmo mai dimenticare che

la condanna di Dio è tremenda. Dobbiamo stare attenti noi a non caderci e avvertire gli altri affinché non ci cadano.

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4. Il fatto che Dio non abbia favoriti è un pensiero che ci consola. Dio non ama il fratello più di me, e ne ama me più

di lui. Tutti sono amati allo stesso modo di là dalle apparenti benedizioni che uno ha. Noi possiamo pensare che un

altro è amato perché più benedetto in qualche modo. Spesso siamo noi a fare questi calcoli, Lui no. Lo scoprì il

Fratello Maggiore del Figlio Prodigo. Non dobbiamo confondere l’amore con l’approvazione. Dio può approvare

uno più di un altro (per esempio cfr. Giobbe 2:3) ma non amarlo di più. Né ama noi della chiesa più di quelli che

non sono salvati. Del resto Gesù è venuto per i peccatori, non per i giusti. Stiamo tranquilli e sobri; Dio non ha

preferiti.

- Il giudizio imparziale (2:12-16)

Paolo ora focalizza sugli Ebrei che si cullavano della Legge di Mosè. Ha detto che tutti, giudei e greci, saranno giudicati

secondo le opere. Paolo crede importante sviluppare questo concetto. Era un problema scottante per Paolo, che era

accusato dagli Ebrei di predicare contro la Legge e il Tempio. Paolo vuole essere chiaro. La legge da sé non salva; chi

non la ubbidisce verrà giudicato al pari di chi pecca senza legge.

Infatti, tutti coloro che hanno peccato senza legge periranno pure senza legge;

Paolo ha appena detto che non c’è favoritismo in Dio. E lo dimostra ora menzionando per la prima volta la Legge di

Mosè, che sarà un tema fondamentale per il resto della lettera. Parte da un’affermazione che tutti accettavano. Quei

pagani senza legge, pieni di peccato saranno giudicati; qui Paolo usa la parola periranno che indica la loro morte

spirituale, che equivale alla condanna di Dio. I peccatori di Romani 1 saranno condannati. Non sarà la legge di Mosè a

condannarli; ma saranno condannati da qualche altro criterio che forse viene chiarito sotto. Sono comunque fuori dalla

sfera protettiva di Israele e giustamente, secondo i Giudei, condannati (cfr. Efesini 2:12)

e tutti coloro che hanno peccato avendo la legge saranno giudicati in base a quella legge;

Ma anche chi ha legge, cioè i giudei e i Timorati di Dio in particolare, se hanno peccato verranno giudicati; ma loro da

quella stessa legge. Si vantano di avere la legge; quella legge sarà il criterio di giudizio e di condanna. Hanno peccato

pur avendo la legge. E’ questo il punto che i giudei non accettavano. Anzi chi pecca avendo la legge è maggiormente

responsabile in quanto sa bene la volontà di Dio, ma non la fa. La conoscenza porta con sé responsabilità morale.

perché non quelli che ascoltano la legge sono giusti davanti a Dio, ma quelli che l'osservano saranno giustificati.

Qui appare per la prima volta la parola giustificati. Indica la decisione di Dio di rendere il peccatore giusto davanti a

Lui come stato legale e non come esistenza morale. Non è sufficiente avere la Legge od ascoltarla per essere giustificati,

come purtroppo credevano molti giudei (e in maniera simile molti cristiani di oggi!). E’ l’osservanza di quella legge che

rende giusti come testimonia tutto il NT (cfr. Matteo 7:24-27; 12:50; Giacomo 1:22-25). Se questo sia possibile o meno

non è per adesso preso in considerazione. Il punto è che il vanto di avere la legge non giustifica, anzi condanna di più.

Solo l’osservanza della Legge potrà salvare. E questo è il criterio di Dio per il giudizio.

Infatti quando degli stranieri, che non hanno legge, adempiono per natura le cose richieste dalla legge,

Che versetto problematico! I pagani che sono senza legge possono adempiere per natura le cose richieste dalla legge?

Paolo non sembra averne dubbi. Vi sono dunque dei pagani che non hanno mai sentito parlare della Legge o di Dio che

comunque da soli hanno adempiuto la Legge. Ovviamente si tratta della legge morale e non la Legge levitica o

sacrificale. Si sono in pratica comportati in maniera di piacere a Dio, in base anche alla loro rivelazione e conoscenza.

Anche i pagani ubbidiscono ai genitori, non uccidono o non rubano ecc.

essi, che non hanno legge, sono legge a se stessi; essi dimostrano che quanto la legge comanda è scritto nei loro cuori,

Quindi esiste un comportamento che piace a Dio anche senza la legge. Romani 1:20 ne ha già accennato. La legge

dunque è scritta nei cuori! Il comportamento onesto e buono degli uomini dimostra che nell’uomo c’è un senso di Dio e

di giustizia. Sentimenti come l’altruismo, la generosità, la solidarietà ecc. sono appartenenti all’umanità. Ed è

l’immagine di Dio nell’uomo. Quindi la legge di Dio è iscritta nei cuori. Il che ci dà un secondo criterio di giudizio.

Quel poco o quel molto che sanno di Dio li giudicherà.

perché la loro coscienza ne rende testimonianza e i loro pensieri si accusano o anche si scusano a vicenda.

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La coscienza nell’uomo è sintomo di questa immagine. Il fatto che esiste la coscienza che ci fa sentire colpevoli e ci

indica la cosa giusta da fare è prova di quella legge che Dio ha iscritto negli uomini. Questi pensieri accusano e scusano

e quindi fanno opera morale. Questa è l’attività della coscienza che dibatte tra sé se abbiamo fatto bene o male. Paolo è

forse il primo ad usare il concetto della coscienza come testimone di comportamento morale (e non solo come

accusatore morale di errore), che nel cristiano diventa molto più illuminata (cfr. 9:1). L’uomo si chiede quale sia il

comportamento corretto, il giusto modo di convivenza; ciò dimostra la legge nell’uomo e ripetiamo dà un criterio di

valutazione e di giudizio.

Tutto ciò si vedrà nel giorno in cui Dio giudicherà i segreti degli uomini per mezzo di Gesù Cristo, secondo il mio

vangelo.

Si torna al giudizio. Ascoltiamo a proposito il Pastore Stott:

Paolo ha rilevato che non possiamo sfuggire al giudizio di Dio (vs.1-4); sarà un giusto giudizio (5-11)

secondo le nostre opere, compreso la fondamentale direzione o ambizione della nostra vita, (ciò che

cerchiamo); e sarà imparziale tra giudei e gentili (12-15); e in entrambi i casi, più grande la conoscenza

morale, più grande la nostra responsabilità morale3.

Ed ora Paolo aggiunge altri tre elementi. Lì si vedrà che persone senza legge hanno adempiuto la Legge perché lì si

vedranno i segreti dei cuori, non l’apparenza o il vanto. Dio dunque non giudicherà tanto le azioni quanto le

motivazioni. Il giudizio renderà chiaro il perché di ogni comportamento. Dio conosce i nostri cuori (cfr. 1 Samuele

16:7; Salmo 139: ss. Geremia 17:10; Luca 16:15; Ebrei 4:12 ss.) Ma la seconda e più grande novità qui è che il giudizio

avverrà per mezzo di Cristo Gesù, come del resto Lui stesso dice nei vangeli (cfr. Giovanni 5:22, 27). Quelli che hanno

la legge saranno condannati dalla legge e quelli che non hanno la legge saranno condannati senza legge (dalla legge

della coscienza?). Ma chi sarà salvato, con o senza legge, sarà salvato per mezzo di Gesù. Questo è il vangelo di Paolo,

o meglio che Paolo annunzia. Quindi il terzo elemento è che il giudizio fa parte del vangelo. Ricordiamoci che Gesù ci

salva prima di tutto dall’ira di Dio, dal giudizio.

OSSERVAZIONI

1. Nelle chiese evangeliche abbiamo molti studi e sentiamo spesso la Parola di Dio. Sappiamo molto, e forse più di

chiunque altro conosciamo quale sia la volontà di Dio; sappiamo come ci dobbiamo comportare e pensare. Come i

Giudei, siamo sicuri di essere nel posto giusto e con la giusta legge. Ma purtroppo i Giudei sono criticati da Paolo

perché sanno le cose, ma non le praticano. Pensano che Dio li approvi per la loro legge e il loro tempio, ma si

illudevano. Stiamo attenti anche noi. Abbiamo la Bibbia, abbiamo la verità, ma siamo chiamati a metterla in pratica.

Come i Giudei pensiamo che siamo giusti perché adoriamo un solo Dio, non siamo idolatri; ma è il comportamento

spicciolo che dobbiamo guardare; l’uso della lingua, i pensieri, l’egoismo. Dobbiamo essere facitori della Parola

non solo uditori; pena grosse sorprese al giudizio!

2. Il fatto che sappiamo di più ci rende anche più responsabili davanti a Dio. La conoscenza deve umiliarci. Paolo

parla di persone senza la legge che comunque si comportavano con onestà e giustizia. Anche noi conosciamo

persone che si comportano bene pur non avendo il Signore. Ci fanno vergognare. Ecco perché non dobbiamo mai

vantarci od essere orgogliosi. Siamo più responsabili! Dobbiamo essere umili davanti a Dio e davanti al mondo.

Paolo si reputava debitore verso greco e giudeo. La conoscenza deve rendere umili e deve portarci a credere che

siamo servi inutili. Guai a colui che si vanta della sua conoscenza biblica! Dimostra di non sapere niente.

3. Allo stesso tempo la conoscenza ci deve spingere ad essere migliori. Sappiamo come Dio vuole che siamo,

abbiamo il suo Spirito. Il nostro comportamento deve essere un esempio, come lo era quello di Gesù e di Paolo. Per

questo gli scandali tra cristiani fanno ancora più male. Noi non dobbiamo essere come gli altri, ma molto meglio

degli altri, ma lo siamo? Forse l’umiltà ci impedisce di rispondere o anche di misurare il nostro stato di

comportamento. Tuttavia la conoscenza non ci deve inorgoglire, ma spronare ad essere perfetti.

4. Notiamo qui che Dio giudicherà gli uomini in base alla loro conoscenza, poco o tanta che sia. Ci chiediamo se un

pagano che non ha sentito parlare di Dio, ma si è comportato bene, potrà essere salvato. Non possiamo dare

risposta; sappiamo questo che Dio giudicherà i cuori e il giudizio sarà fatto da Gesù. Fuori di Lui non ci potrà

3 Stott, 87

23

essere salvezza. Se Lui sceglierà di applicare il suo sangue a questi casi lo dobbiamo lasciare a Lui. Sappiamo solo

che il Giudice di tutta la terra non farà alcun male, ma giustizia (cfr. Genesi 18:25).

5. Una sola parola sul giudizio che valuterà i segreti del cuore. Il giudizio del mondo è basato sulle circostanze e le

prove, ma il giudizio di Dio sarà basato sui segreti motivi del cuore. Stiamo attenti al nostro cuore, a quello che

pensa, e medita, perché verrà tutto fuori. Riempiamoci di Lui e della sua Parola affinché dal nostro cuore emana

solo buon profumo di gloria per Lui! Che vergogna vedere alcuni segreti rivelati a tutti! Stiamo attenti e teniamo

d’occhio i nostri pensieri e i nostri motivi per servire Dio (cfr. Proverbi 4:23).

ii. I limiti del patto tra Dio e Israele (2:17-29)

Paolo ora affronta il problema giudaico in maniera specifica. I Giudei erano legati da un patto con Dio. Questo patto

dunque non era garanzia di salvezza? Non era garanzia di essere un popolo privilegiato? L’apostolo sarebbe d’accordo

ma solo, egli dice se i Giudei fanno le cose ordinate dalla legge. Altrimenti saranno giudicati esattamente come i gentili

(2:4). Due sono i segni di questo patto che Paolo tratta; la legge di Mosè e la circoncisione. In entrambi i casi, l’apostolo

dimostra che è con le opere che si compie la legge e non con le chiacchere che derivano dall’identità nazionale. E

poiché le opere perfette sono impossibili, rimane la fede.

- La Legge (2:17-24)

Ritorna la forma retorica della diatriba e un altro micidiale attacco all’ipocrisia religiosa. Ma questa volta il bersaglio

preciso di Paolo, il suo interlocutore nella diatriba, è il giudeo. Il giudeo che si sentiva protetto dalla sua conoscenza

della Parola e dal suo essere ebreo. Sono dei veri diritti e Paolo in nessun modo li contraddice. La contradizione sta

nella persona, nel giudeo. Allo stesso modo nell’Antico Testamento i profeti accusavano Israele per la loro cieca fiducia

per il solo possesso della legge (cfr. ad esempio Michea 3:11). I vanti giudaici che troviamo qui riportati da Paolo sono

confermati dalla letteratura giudaica del tempo. Purtroppo l’ipocrisia giudaica porta il nome di Dio ad essere

bestemmiato fra le nazioni. L’ipocrisia religiosa fa grandi danni e crea secandolo. Non possiamo non vedere ancora una

volta come l’ipocrisia religiosa vige anche oggi nelle chiese. I Giudei avevano la legge, noi abbiamo la Bibbia, ma i

punti paralleli sono molti. Stiamo attenti!

Molto bella è la parafrasi di questo passo che fa il prof. Bruce che qui riporto:

Essere giudeo fa bene all’uomo al cospetto di Dio soltanto se osserva la legge. Il Giudeo che trasgredisce la

legge non è migliore del Gentile. E al contrario, il Gentile che osserva le richieste della legge è ben visto da

Dio tanto quanto il Giudeo osservante. Inoltre il Gentile che osserva la legge di Dio condannerà il Giudeo

che la infrange, non importa quanto quel Giudeo conosca le Sacre Scritture e non importa quanto

canonicamente sia circonciso. Vedete, non è un problema di discendenza naturale, o di un segno esteriore

come la circoncisione. La parola giudeo significa lode e il vero Giudeo è colui la cui vita è lodevole per Dio,

la cui circoncisione è la circoncisione interiore del cuore. Quello è il vero Giudeo, vi dico, un uomo davvero

lodevole, e la sua lode non è questione di applausi umani, ma di approvazione divina.4

Ora, se tu ti chiami Giudeo, ti riposi sulla legge, ti vanti in Dio,

Ecco chiaramente l’interlocutore di Paolo; colui che si chiama Giudeo (cfr. o uomo in 2:1). Giudeo, al tempo degli

apostoli, erano i religiosi legati dal patto di Mosè, comprende anche i Timorati di Dio. Paolo ne fa un ritratto completo

con sette caratteristiche. Ci sembra di vedere e sentire il fariseo della parabola (cfr. Luca 18:9-14). Prima di tutto è

orgoglioso di chiamarsi giudeo. Secondo, questo Giudeo si riposa, sta tranquillo in sé perché ha la Legge. La conosce,

la legge. Terzo, si vanta di Dio, che Dio è dalla sua parte, che Dio è suo. Vantarsi di Dio non è sbagliato in sé (cfr. 2

Corinzi 10:17), ma qui il vanto è segno solo di arroganza umana, come è evidente nella parabola. Il Fariseo era

tranquillo che Dio lo ascoltava, si vantava del suo rapporto con Lui. Lo ringraziava che non era come gli altri peccatori.

Sì, Dio aveva scelto proprio lui per essere così perfetto.

conosci la sua volontà, e sai distinguere ciò che è meglio, essendo istruito dalla legge,

Qui vediamo la quarta e quinta caratteristica. Il fariseo conosceva la volontà di Dio. Sapeva che Dio voleva la decima e

il digiuno. Anche il giudeo di Paolo conosceva la volontà di Dio. Sapeva distinguere ciò che era meglio. La propaganda

4 F.F. Bruce, Romans, Leicester: Inter-Varsity press, 1983 p. 92

24

giudaica nella diaspora era piena di lezioni morali per i gentili. Il fariseo sapeva chi era meglio; lui era meglio degli

altri! E tutto perché erano istruiti nella legge. Sin da bambino il giudeo non ha fatto altro che studiare la legge di Dio.

e ti persuadi di essere guida dei ciechi, luce di quelli che sono nelle tenebre, educatore degli insensati, maestro dei

fanciulli,

La sesta e la settima qualità. Il giudeo si convince di essere una luce, come il Fariseo nella parabola si convince di

essere superiore a tutti e quindi poteva guidare gli altri sulla via retta. Paolo usa due metafore forti; la guida ai ciechi e

la luce nelle tenebre. Certo non risparmia sarcasmo! Usa termini che mostrano il disprezzo del giudeo per il gentile. In

verità essere luce era il compito del Servo del Signore nel quale Israele si identificava (cfr. Isaia 42:6; 49:6). Ma la luce

irradiata dai giudei al tempo di Paolo era davvero poca! E gli insegnanti giudei si credevano davvero i migliori che

avevano la soluzione ai problemi della vita. Seguono altre due metafore parallele, che racchiudono la settima

peculiarità: si credevano educatori, insegnanti degli insensati e dei bambini. In pratica si consideravano maestri di vita.

Sapevano la strada da seguire per arrivare a Dio.

perché hai nella legge la formula della conoscenza e della verità;

E tutto perché hanno la legge dove trovano conoscenza e verità. Ora Paolo non ha alcun problema con la legge. Anzi ne

fa un elogio non indifferente affermando che incorpora conoscenza e verità. E’ davvero la Maestra di vita. Il problema è

chi si vanta di insegnare la legge, non la legge in sé. Il perché è evidente sotto:

come mai dunque, tu che insegni agli altri non insegni a te stesso?

L’accusa è dunque di ipocrisia. Insegna ad altri cose anche giuste, ma non insegna a se stesso. Ossia non mette in

pratica i suoi stessi insegnamenti. Dice ed insegna una cosa e ne fa un'altra. L’accusa non nasce certo con Paolo, ma la

troviamo già nell’AT e in Gesù (cfr. Salmo 50:16-21; Matteo 23:3). Seguono tre esempi di questa ipocrisia tratti da tre

dei comandamenti. Sono esempi che sbalordiscono, ma alla luce di scandali recenti, il religioso è sempre quello.

Tu che predichi: «Non rubare!» rubi? Tu che dici: «Non commettere adulterio!» commetti adulterio?

Ci sembra impossibile ma è così. Il giudeo insegnava ad altri il comandamento di non rubare, ma allo stesso tempo lui

rubava. Si rendeva conto del suo comportamento? Non lo sappiamo, ma rubava. Vi erano esempi allora e vi sono oggi.

Riguardo al secondo peccato, ne è piena la cronaca. Si predica purezza sessuale, ma poi si compie ogni sorta di

impurità. Quanti religiosi di oggi sono esempi di questa contradizione pieni di ipocrisia sessuale. Possiamo solo

immaginare al tempo di Paolo.

Tu che detesti gli idoli, ne spogli i templi?

Questa accusa non è molto chiara. Forse c’è un riferimento a Deuteronomio 7:26 che vieta l’introduzione di idoli nella

propria casa. I Giudei, certo erano contro gli idoli, ma non quando potevano essere fonte di guadagno o prestigio. Qui in

realtà sembra la ricchezza il vero idolo. Tu odi gli idoli, ma quanto ci puoi guadagnare li usi. Il tuo vero dio è il danaro.

Tu che ti vanti della legge, disonori Dio trasgredendo la legge?

Si il giudeo si vanta della legge e di Dio, ma poi lo disonora trasgredendo praticamente la legge. Ottiene dunque

l’effetto contrario. Come il fariseo che credeva di essere approvato da Dio invece non lo era per niente. Disonorando il

pubblicano disonorava Dio stesso.

Ora è chiaro che non tutti i giudei commettevano adulterio o rubavano. Paolo sembra qui avercela con gli insegnanti, e

sembra che comunque i giudei godessero di brutta fama a Roma in quel tempo tanto che erano stati espulsi da Claudio e

da Tiberio dalla città. Il patto era con il popolo, ed è il popolo nel suo insieme che mostra questa ipocrisia.

Infatti, com'è scritto: “Il nome di Dio è bestemmiato per causa vostra fra gli stranieri”.

Si vede quindi il netto risultato è che il nome di Dio, di Jaweh, è bestemmiato fra i gentili. Il versetto è preso da Isaia

52:5. Lì il Nome è schernito per la disfatta di Israele. Qui invece Dio viene giudicato dai pagani in coloro che lo

professano. Se vedono le buone opere, il nome di Dio è glorificato (cfr. Matteo 5:16). Se vedono l’ipocrisia allora il

nome di Dio viene disprezzato e ridicolizzato. Questo era vero ieri e lo è oggi.

25

Lo Stott così conclude il suo commento a questo passo:

Se noi giudichiamo gli altri, dovremmo essere in grado di giudicare noi stessi (1-3). Se insegniamo ad altri,

dovremmo anche essere capaci di insegnare a noi stessi (21-24). Se noi ci poniamo come insegnanti o giudici

di altri, non abbiamo scuse se non insegniamo e giudichiamo noi stessi. Non possiamo fare appello

all’ignoranza della rettitudine morale. Al contrario invitiamo la condanna di Dio della nostra ipocrisia.5

- La Circoncisione (2:25-29)

La circoncisione è utile se tu osservi la legge;

Il secondo vanto dei giudei preso in considerazione da Paolo è la circoncisione, pratica perpetrata su tutti i giudei

maschi e segno del patto tra loro e Dio (cfr. Genesi 17). Per il giudeo era segno del suo particolare rapporto con Dio, del

fatto che Dio lo avesse scelto. Era la garanzia contro il giudizio di Dio. Dopo il periodo dei Maccabei la circoncisione

era sempre più importante per i giudei, anche durante il periodo di Paolo. “La circoncisione salverà Israele dalla

Geenna” “I circoncisi non scendono nella Geenna” recitavano alcuni epigrammi del tempo.6 Per l’apostolo tuttavia la

circoncisione è un segno valido sì, ma solo se è accompagnato dall’osservanza della legge.

ma se tu sei trasgressore della legge, la tua circoncisione diventa incirconcisione.

La circoncisione in sé, come qualsiasi atto religioso, non vale niente se non è accompagnato da coerenza; in questo caso

se non è accompagnato dall’osservanza della legge. Il segno senza l’atto è inutile, un’incirconcisione. In particolare non

serve per essere approvati da Dio, ossia salvati dalla sua ira. Il tema non è nuovo; i profeti dell’AT hanno spesso ripreso

Israele per la sua cieca fiducia nei simboli (cfr. Geremia 7; Amos 5:18-27; Osea 6-9).

Se l'incirconciso osserva le prescrizioni della legge, la sua incirconcisione non sarà considerata come circoncisione?

Questa frase è davvero difficile da digerire per il religioso. Paolo praticamente dice che se l’incirconciso osserva la

legge è come se fosse circonciso, ossia in patto con Dio. Può essere salvato senza circoncisione. In altre parole la

circoncisione non è necessaria per piacere a Dio; lo è l’osservanza della legge. Con ciò Paolo mette al bando ogni atto o

simbolo religioso. Possono essere utili se qualcuno li vuole, ma ciò che veramente conta è l’osservanza della legge (o

come dirà altrove l’essere una nuova creatura cfr. Galati 6:15). Inoltre per la prima volta Paolo allude al cristiano. Chi,

se non il cristiano, per mezzo dello Spirito di Dio, può osservare la legge? Paolo sta introducendo il valore della Nuovo

Nascita.

Così colui che è per natura incirconciso, se adempie la legge, giudicherà te, che con la lettera e la circoncisione sei un

trasgressore della legge.

Non solo l’incirconciso osservante della legge equivale al giudeo, ma addirittura lo giudicherà. I giudei pensavano che

loro dovessero giudicare i gentili, ma qui la situazione è capovolta. E’ probabile che il giudeo sarà messo a confronto

con il gentile, e che Dio svergognerà il giudeo naturale che, pur essendo circonciso, ha trasgredito la legge. Dio gli

indicherà l’incirconciso e gli farà vedere le sue opere, molto superiori a quelli di chi aveva la legge ed era circonciso

(cfr. per situazioni simili Matteo 12:41-42; Luca 1131-32). Ancora qui notiamo l’allusione al cristiano.

Giudeo infatti non è colui che è tale all'esterno; e la circoncisione non è quella esterna, nella carne;

Certo qui Paolo non risparmia colpi ai giudei e teniamo presente che lo era anche lui nella carne. Il vero giudeo non è

quello che porta il segno nella carne! Con questo versetto cambia tutta la storia di Israele, che per secoli era

contraddistinto dal segno della circoncisione. Qui Paolo dà una nuova definizione alla parola giudeo non più segnato

nella carne e legato ad una legge. Sono concetti rivoluzionari, ma comunque presenti nell’AT. Dio parlava di una

circoncisone del cuore (cfr. Deuteronomio 10:16 dove indica il grato e umile responso alla grazia ed elezione di Dio;

Geremia 4:4 dove indica ravvedimento e anche 9:25). Ogni rivoluzione di Paolo è radicata nell’Antico Testamento.

Tuttavia non per questo dobbiamo concludere che Dio ha finito con i giudei tradizionali. Paolo ne parlerà a lungo più

avanti nella lettera.

5 Stott, 92 6 Citati in Stott 92

26

ma Giudeo è colui che lo è interiormente; e la circoncisione è quella del cuore, nello spirito, non nella lettera;

Qui tocchiamo il tema preferito di Paolo. Il vero credente, il vero giudeo, è colui che è circonciso dentro, nel cuore e

nello spirito. Ossia è segnato dal marchio di Dio dentro e perciò fa le opere di Dio al di là delle cose esteriori, dai segni

e riti. In una riga Paolo ha riassunta la differenza tra il religioso e il vero credente. In base ad altre Scritture (cfr. 7:6; 2

Corinzi 3:6-7) la lettera qui indica una aderenza letterale ed esterna alla legge; lo Spirito è l’opera dello Spirito Santo

nel credente che gli permette di seguire lo spirito della legge. E’ ora il tempo dello Spirito Santo, della sua potenza e

della sua diffusione.

di un tale Giudeo la lode proviene non dagli uomini, ma da Dio.

La parola giudeo vuol dire lode. (Si vedano Genesi 39:35 e 49:8 su come Giuda è associato a lode). Giocando su questa

parola l’apostolo afferma che un tale giudeo, circonciso nello spirito e non nella carne, riceverà lode, ma da Dio. Gli

uomini non lo loderanno, come i giudei non lodano per nulla Paolo. Ma ciò che importa è la lode che viene da Dio.

Quindi la circoncisione non è più necessaria e il vero Giudeo è colui che opera per mezzo della Spirito.

Riguardo alla rivoluzione teologico di Paolo il prof. Barrett nota:

La nuova convinzione cristiana di Paolo, che Gesù, che la legge ha espulso, crucifisso e maledetto, era il

Signore risorto in Cielo, lo portò ad una rivalutazione della religione, ed in particolare della legge, la base

della sua stessa religione nazionale, molto più radicale di quanto spesso si creda. Non aveva soltanto una

nuova fede, e una nuova teologia; alla luce di queste venne alla conclusione che la vecchia fede - l’Antico

Testamento e il giudaismo – volevano dire qualcosa di diverso di quello che pensava. Non era un sistema

chiuso, completo in se stesso, richiedendo soltanto una stretta e poco fantasiosa ubbidienza; per quelli che

avevano occhi da vedere esso puntava in avanti a Cristo e al Vangelo che era la potenza di Dio alla

salvezza – per tutti quelli che hanno fede. 7

Ribadiamo ancora che Paolo insiste che tutto quello che dice si basa sull’Antico Testamento. Era importante per lui

convincere i giudaizzanti romani che non inventava nulla, La sua non era una nuova dottrina, ma la vera riscoperta della

dottrina antica.

OSSERVAZIONI

1. La prima parte di questa critica alla religione è ovviamente diretta ai giudei che si vantavano ed insegnano la legge.

Tuttavia è in realtà una critica spietata contro la religione vista come sistema chiuso. Quanti di noi evangelici ci

vantiamo di avere la Bibbia e la verità; quanti siamo così bravi a condannare gli altri, spesso altri fratelli e non solo

il mondo. Eppure siamo capaci di esaminare noi stessi e correggerci? Siamo capaci di vedere la trave nel nostro

occhio? L’ipocrisia è il più grande peccato per il credente. Dobbiamo imparare ad essere sempre noi stessi (persone

che Gesù ha cambiato) ed essere umili nel giudizio di altri. Gesù stesso non sgridava le prostitute o i pubblicani, ma

tuonava contro gli ipocriti religiosi. Stiamo davvero attenti ed impariamo ad esaminarci prima di puntare il dito

contro l’altro, credente o infedele che sia.

2. L’ipocrisia dei giudei porta il nome di Dio ad essere bestemmiata fra le genti. Anche gli scandali dei cristiani porta

il nome di Dio ad essere deriso e sminuito. Non parliamo solo dei preti pedofili; ricordiamoci dei grandi superstar

evangelici caduti per scandali sessuali o finanziari. Nel nostro piccolo ricordiamoci che Dio è visto tramite noi che

lo proclamiamo. Il nostro comportamento potrebbe portare una persona a riflettere o ad allontanarsi da Dio. Siamo

sempre la lettera aperta a tutti gli uomini che Paolo ricordava ai Corinzi (cfr. 2 Corinzi 3:2, 3). Stiamo attenti al

lavoro, in casa e in famiglia. Il mondo, i nostri figli, i nostri colleghi giudicano Dio per quello che vedono in noi.

3. Il religioso pensa che il simbolo che egli ritiene fondamentale lo rende approvato da Dio, proprio come il giudeo

era convinto del valore salvifico della circoncisione. Oggi vediamo simboli religiosi che assumono livelli alti di

importanza, molto di più che la fede che opera in amore (cfr. Galati 5:6). Queste cose oggi, in ambito evangelico,

possono essere la croce, il battesimo, il velo e altre cose ancora. Alcune di queste cose possono essere utili e buone

per ricordare al credente il sacrificio di Cristo, il rispetto nella casa di Dio ecc., ma senza una vera vita nuova, senza

la fede che produce opere, senza l’amore che giuda la vita del credente, queste cose sono vuoti simboli che valgono

tanto quanto la circoncisione.

7 C. K. Barrett, A Commentary on the Epistle to the Romans, London: Adam And Charles Black, 1971 p. 59

27

4. Paolo qui esprime il giudizio più rivoluzionario sul vero giudeo. Il vero giudeo è il cristiano che è circonciso nel

cuore e fa le opere della legge per mezzo dello Spirito Santo. Il giudeo circonciso può essere un vero giudeo, ma lo

può essere anche il gentile incirconciso. Questa è la chiesa; l’insieme di nuove creature fatta di gentili, giudei,

schiavi, liberi, uomini e donne (cfr. Galati 3:28). E’ chiaro che qui Paolo può sembrare contro Israele e che porti

avanti il discorso che Dio si è scelto un altro popolo. Non dobbiamo cadere in questo errore. Paolo non lo crede

affatto, anche se crede che ogni giudeo che si salva deve passare attraverso la croce di Gesù. Fuori di Gesù non c’è

salvezza. Ma Dio ha fatto una promessa ad Abramo; una promessa per la sua discendenza fisica (cfr. Genesi 15).

Dio rimane sempre fedele alle sue promesse nonostante la disubbidienza dell’uomo. E ai Romani Paolo parlerà a

lungo su Israele e il suo futuro. Qui ribadiamo, la salvezza è sempre e solo in Cristo, non nell’essere o nel non

essere ebreo.

- La fedeltà di Dio e il giudizio sui giudei (3:1-8)

Il brano che studiamo è tra i più difficili in Romani. Ciò che parte con un discorso sul vantaggio di essere ebrei finisce

con un giro di pensiero difficilmente comprensibile che risponde alla logica di Paolo, al fastidio di certe accuse che

riceve, e all’orrore che il nome di Dio possa essere biasimato. Il problema nasce dallo stile retorico di Paolo. Qui

abbiamo una serie di domande con risposte ovvie per Paolo e forse per i Romani, ma difficile per noi. Inoltre c’è un

continuo cambio di persona di riferimento. Sii inizia con il loro, poi il noi e poi l’io. Loro sono giudei, ma noi? Forse è

più semplice comprendere se postuliamo che siano sempre i giudei al centro del discorso. Un’altra difficoltà è che Paolo

inizia a dare una risposta logica (prima di tutto…) ma poi la lascia lì o se ne dimentica.

Quale è dunque l’argomento? Partendo dai vantaggi dei giudei, torna ancora al concetto della giustizia di Dio nel

giudicare gli uomini ed anche i giudei nonostante i loro indubbi privilegi. Abbiamo qui un accenno ad una delle accuse

indirizzate a Paolo, ossia che lui predicherebbe il peccato affinché la grazia abbondi. Più pecchiamo, maggiore la grazia

di Dio e maggiore la sua gloria. Per ora taglia corto, ma affronterà il tema più avanti nella lettera.

Qual è dunque il vantaggio del Giudeo? Qual è l'utilità della circoncisione?

Avendo appena detto che la circoncisione non vale nulla se uno non osserva la legge, e che l’incirconciso era altrettanto

accettato da Dio se faceva le cose approvate da lui, nasce spontanea la domanda qui posta. Che è il vantaggio di essere

giudeo se sono condannati e approvati esattamente come tutti gli altri? Qual è l’utilità della circoncisione se anche

l’incirconciso gode degli stessi benefici se osserva la legge? Si può addirittura chiedere a Paolo di giustificare l’intero

Antico Testamento che mostra come Dio abbia scelto Israele da tutti gli altri popoli e abbia dato ai giudei indubbi

benefici. Sicuramente Paolo qui si ricordava anche della sua vecchia vita nel giudaismo e quanto lo abbia preparato per

il suo ministerio. C’erano certamente vantaggi ad essere giudei.

Grande in ogni senso.

La risposta di Paolo è sincera e sorprendente. Sorprendente per quello che ha detto prima sulla sostanziale eguaglianza

del giudeo e del gentile nei confronti del giudizio. Ma sincera perché per Paolo era un grande vantaggio essere ebreo.

Paolo non rinnegava per nulla la sua origine e i suoi inizi, anzi. Nel greco si ha l’idea che Paolo immagina enormi

vantaggi nell’essere ebreo. Questo doveva essere compreso dai Romani e anche da noi. In effetti, in ogni senso ci

farebbe aspettare un elenco lungo.

Prima di tutto, perché a loro furono affidate le rivelazioni di Dio.

Paolo ci dà l’impressione che sta per fare un elenco; purtroppo si ferma alla prima ragione per il quale c’è beneficio

nell’essere giudeo. (L’elenco comunque continua in 9:4-5). Furono affidate ai giudei le rivelazioni scritte di Dio. Già

l’AT asseriva il privilegio di Israele (cfr. Deuteronomio 4:8 e Salmo 147:19, 20). I credenti gentili romani del tempo e

anche noi abbiamo bisogno di ascoltare questa parola. I cristiani leggono il libro dato agli Ebrei, adorano il Dio dei

giudei e credono nel Salvatore dei giudei. Tutta questa ricchezza apparteneva ad Israele, ed era una eredità per Paolo. Il

filo di questo discorso sarà ripreso al capitolo 9, ma intanto l’apostolo rende chiaro che non sta in nessuna maniera abolendo

o sostituendo Israele o i giudei come razza scelta da Dio. Tuttavia notiamo quel loro dove comprendiamo che Paolo si

distingue dal giudeo non credente, che comunque è uno stato privilegiato di Dio. Viene tuttavia confermata la

distinzione tra la chiesa cristiana e il giudaismo.

Che vuol dire infatti se alcuni sono stati increduli? La loro incredulità annullerà la fedeltà di Dio?

28

Paolo ora lascia da parte i vantaggi dell’essere giudeo, e inizia a chiedere al suo interlocutore domande sulla fedeltà di

Dio. Si molti giudei sono stati infedeli, ma allora? La fedeltà di Dio si annullerà davanti alla loro incredulità? Le

promesse di Dio riposano sull’ubbidienza degli uomini o sulla sua fedeltà? La portata teologica di questo versetto è

incredibile. Se Dio ha promesso qualcosa, questa lo manterrà per sempre! Per rendere chiara l’idea prendiamo ad

esempio la promessa di non distruggere più la terra per le acque in Genesi (cfr. Genesi 8:19-22; 9:11-15). Il segno di

questa promessa è l’arcobaleno. Dio è fedele a questa promessa al di là del comportamento degli uomini e della

malvagità della terra.

No di certo! Anzi, sia Dio riconosciuto veritiero e ogni uomo bugiardo, com'è scritto:

«Affinché tu sia riconosciuto giusto nelle tue parole e trionfi quando sei giudicato».

Il solo pensiero che la fedeltà di Dio possa essere messa in dubbio fa inorridire Paolo. Dio non mente e non è infedele;

piuttosto lo è l’uomo. Se prima ha parlato che solo alcuni erano increduli, qui parla di tutti bugiardi; alcuni o ogni uomo

infedele, Dio è e rimane fedele. E qui vediamo la differenza tra Dio e l’uomo. Dio rimane fedele anche di fronte

all’infedeltà; l’uomo no. Reagisce all’infedeltà diventando infedele egli stesso. Paolo cita da Salmo 51:4 e rimarca

questo concetto; Dio è giusto proprio nelle sue parole e trionfa anche davanti alle accuse di ingiustizia. La sua Parola

non mente mai. (Alcuni traducono forse meglio trionfi quando giudichi. Sarebbe giusto il nostro Dio anche in ogni suo

giudizio! E poiché è giusto e veritiero trionfa in ogni sua decisione.)

Ma se la nostra ingiustizia fa risaltare la giustizia di Dio, che diremo?

Paolo affronta un’accusa che potrebbe venire dai giudei o da chiunque. La premessa è questa; l’infedeltà e la

disubbidienza degli uomini fa risaltare la giustizia di Dio La verità di Dio rende ogni uomo bugiardo. Il nostro peccato

dunque innalza Dio! Il peccato dunque è uno strumento per innalzare Dio nella sua giustizia e innalza la sua grazia

quando perdona ed usa misericordia.

Che Dio è ingiusto quando dà corso alla sua ira? (Parlo alla maniera degli uomini.)

Se la premessa è vera, forse lo è anche la conseguenza. Se il mio peccato porta maggior gloria a Dio, perché devo essere

punito? Se il peccato lo fa sembrare giusto e misericordioso perché se la prende con il peccatore? E se Dio lo punisce

non è giusto, perché Lui riceve gloria dal peccato. Dunque Dio è ingiusto quando dà corso alla sua ira. Paolo mette in

chiaro che questo è un ragionamento umano, degli uomini e non certo spirituale. Si rende conto di dire sciocchezze, ma

le dice perché alcuni pensavano davvero così!

No di certo! Perché, altrimenti, come potrà Dio giudicare il mondo?

Ancora un’accusa a Dio inorridisce Paolo. Dio non può essere ingiusto, perché come potrebbe giudicare il mondo se

fosse ingiusto (cfr. Genesi 18:25)? E come potrebbe giudicare il mondo se usasse il peccato del mondo per mettere in

risalto la sua gloria e la sua grazia? No Dio non è ingiusto e non trae gloria dal peccato. Per questo può moralmente

giudicare il mondo.

Ma se per la mia menzogna la verità di Dio sovrabbonda a sua gloria, perché sono ancora giudicato come peccatore?

Paolo rifà la domanda di sopra. E’ chiaro che è un accusa che viene rivolta a lui. Forse la voce era giunta ai Romani e

Paolo vuole chiarire che questa non è affatto la sua dottrina. Per Paolo, Dio può perdonare il più grande peccato, e dove

il peccato abbonda la sua grazia sovrabbonda. Ma è la grazia di Dio che va esaltata non il peccato dell’uomo. Paolo non

si vanta del suo peccato, anzi ne prova vergogna. Si vanta della grazia di Dio, che nonostante il peccato lo ha raggiunto.

Perché non «facciamo il male affinché ne venga il bene», come da taluni siamo calunniosamente accusati di dire?

Ecco Paolo specifica la falsa dottrina che le voci dicono che lui insegni. In poche parole più si pecca e più grande è la

grazia. Da dove nasce una tale accusa? Sicuramente in ambiente giudaico o giudaizzante. Paolo è accusato di non

predicare la legge e quindi si chiede a lui come garantisce il livello morale nelle chiese. Come possono i gentili

imparare come comportarsi se non vi è legge? Le chiese non rischiano di diventare tutte come Corinto? Forse proprio a

Corinto alcuni avevano questa idea (cfr. 1 Corinzi 5:2). Da qui alcuni sono arrivati a dire che Paolo predica solo la

grazia e quindi più le chiese sono come Corinto, più sono benedette di grazia. Commenta il prof. Bruce:

29

Il vangelo della giustificazione per fede, separato dalla “opere di giustizia”, ha sempre attirato questa

critica, ma la critica trova ampiamente risposta che lo stesso vangelo insiste inequivocamente che i “frutti

di giustizia” devono seguire la giustificazione.8

La condanna di costoro è giusta.

Paolo non prende nemmeno il tempo di rispondere a questa accusa; si separa nettamente da questa posizione. Più avanti

spiegherà il suo concetto di santificazione e l’opera dello Spirito (cfr. Romani 6:1 dove il capitolo inizi con parole simili

a qui). Ma qui si limita a respingere l’accusa ed affermare che la condanna di questi tali (probabilmente chi lo accusa) è

giusta. Il male non darà mai gloria a Dio. Dio non prende gloria dal peccato. Per Lui i fini non giustificano i mezzi.

OSSERVAZIONI

1. Paolo afferma che vi è grande vantaggio nell’essere giudeo perché il giudeo ha in mano la rivelazione scritta di

Dio, ossia l’Antico Testamento. Questo vantaggio non è sempre stato apparente al giudeo, che nella storia ha

sempre subito violenze inaudite proprio a causa della sua razza. Paolo elaborerà su queste cose più avanti. Ma qui

vorrei fare un paragone con chi è nato in una famiglia cristiana, evangelica. Spesso neanche questi sembrano felici

di dovere andare ai culti due o tre volte la settimana, e subire prediche sul comportamento e sul linguaggio e

sull’abbigliamento e altri impedimenti che gli altri ragazzi non hanno. Non possono fumare o avere esperienze

sessuali. Eppure hanno il vantaggio di conoscere gli oracoli di Dio, non solo l’Antico Testamento, ma tutta la

Bibbia. I ragazzi cristiani hanno la possibilità di evitare errori e peccati che spesso rovinano altri ragazzi. Sanno la

verità e conoscono a chi aggrapparsi nei momenti di prova e tribolazione. Hanno la grossa possibilità di conoscere

Cristo ad età precoce. Infatti la maggioranza delle chiesa è composta di chi ha conosciuto Cristo da bambino o da

giovane! Con Paolo potremmo dire che grande è il loro privilegio!

2. La conoscenza porta con sé responsabilità; ed è questa che spesso si vuole evitare. Il giudeo aveva la responsabilità

di rispettare la legge e comportarsi in maniera di piacere a Dio; il giovane ha la responsabilità di camminare con il

Signore in ubbidienza, e il credente ha la responsabilità di ubbidire alla Parola di Dio. Molti giudei non accettarono

questa responsabilità, come molti di oggi che conoscono la verità. Purtroppo chi sa, e conosce la volontà di Dio, e

non ubbidisce, vive male. Il giovane cresciuto in famiglia cristiana che non crede, conosce comunque la verità e sta

male perché la verità lo compunge. Lo sviato non potrà mai godersi la sua vita di peccato; sa che ne dovrà

rispondere e si sente in colpa. Il fatto è che Dio non dà conoscenza per spirito di sadismo e per fare del male. La

rivelazione concessa ad Israele erano date perché Israele fosse felice e prospera, e non distrutta e perseguitata.

Questo vale anche per noi. Dio non ci dà la Bibbia per mettere su noi dei gioghi, o rovinare le feste ai giovani. La

Parola dà libertà, e chi vive in Cristo è libero, più libero di ogni uomo o donna (cfr. Giovanni 8:31-35). Ma la

nostra disubbidienza fa sembrare la Bibbia pesante e obbrobriosa. La legge dell’amore è libertà e gioia. Se non è

così nella nostra vita, la colpa non è di Dio, ma di chi si accontenta di prendere la medicina a metà o per niente!

3. La fedeltà di Dio è difficilmente comprensibile agli uomini. Paolo parla di promesse fatte d Israele. Israele è stata

minacciata varie volte di essere annientata (Da Haman in Ester 3:8, 9 fino a Hitler e Ahmadinejad !), eppure i

giudei ci sono ancora. Non solo, ma sotto i nostri occhi Dio li sta riportando a casa nella vecchia terra di Sion

proprio come aveva promesso (cfr. Isaia 43:5-7 ecc.). Vengono da svariati parti del mondo, dall’India, dall’Etiopia

ecc. e ci si chiede come hanno fatto a sopravvivere fino ad oggi. E’ la fedeltà di Dio alla sua promessa. Ad Elia

Yahweh disse che si era riservato 7000 uomini che non avevano piegato le ginocchia a Baal (cfr 1 Re 19:18). Così

Dio ha riservato questo popolo come segno a tutti noi della sua grande fedeltà. Qui mostra fedeltà alle promesse ad

Abramo; ma a noi mostra fedeltà per le promesse fatte in Gesù (cfr. Romani 8:32). Israele si era allontanata da Dio,

eppure Dio è rimasto fedele; quanto più lo sarà per noi che amiamo Gesù. In ogni momento, anche il più buio,

ricordiamoci che Dio è fedele sempre!

4. In questo brano Paolo tratta il problema del male e se il male può essere usato per dare gloria a Dio. Può Dio

benedire il male affinché bene ne venga? Certamente sì; la croce è l’esempio più grande di questo dove Dio ha

tratto la salvezza degli uomini dalle più orrende dei crimini. Ma i protagonisti del Calvario ne sono dunque eroi?

Dio plaude a Giuda o Ponzio Pilato o ai soldati violenti? No. Dio non è glorificato in chi fa il male. V’è chi pensa

che fare il male è volontà di Dio. Gesù stesso avverte i discepoli che ci sarebbe stato chi avrebbe ucciso convinto di

fare la volontà di Dio (cfr. Giovanni 16:2). La storia della chiesa è piena di spie, di processi, di inquisizioni, di

omicidi tutti atti a glorificare Dio. Non glorificano Dio, anzi. Dio è un Dio di verità, di apertura e di chiarezza. Che

Dio possa trarre gloria dal male è un conto; che noi possiamo servire Dio peccando è un altro. Fare il male affinché

ne venga il bene non è compito nostro. A noi è chiesto di camminare nell’amore e nella verità (cfr. Efesini 4:15)

8 Bruce, 96

30

Paolo parla addirittura di condanna per chi sostiene l’accusa contro lui, e di conseguenza di chi pratica il male per

ottenerne il bene. Stiamo attenti.

5. Paolo era accusato che la sua dottrina della giustificazione per fede non garantiva un comportamento morale valido.

Tanto, basta credere e uno è salvato. E’ l’eterna accusa al protestantesimo da parte di chi si basa sulle opere, ed è il

continuo dubbio dell’evangelico che si chiede; ma basta solo credere? L’apostolo passerà diversi capitoli di questa

e altre epistole a discutere questo punto; ma qui all’inizio è buono notare che Paolo respinge tale accusa con

fastidio. La giustificazione per fede è una gloriosa dottrina che pone l’uomo nello stato di Barabba; libero di

scegliere di tornare alla vecchia vita o di seguire Gesù. Ma se scegliamo di seguire Gesù troviamo che non lo

facciamo più con le nostre forze e non vogliamo più fare le cose di prima. La giustificazione per fede è la porta che

ci introduce in tante altre benedizioni che ci indirizzano ad assomigliare sempre più a Gesù e sempre meno al

mondo e a ciò che eravamo prima (cfr. Romani 5:1-5). Fare il male non è più un’alternativa per il credente; fare il

bene diventa un piacere. Di questo Paolo ne parlerà in abbondanza in seguito.

3. La colpevolezza di tutti gli uomini 3:8-20)

Con questa parte Paolo porta a termine il lungo discorso sul peccato dell’uomo. Ha descritto la realtà del mondo

pagano, del mondo religioso e in particolare ha fatto notare la realtà giudaica che non ha nessun privilegio in termini di

salvezza. Ora lega tutti questi fili insieme e mette in evidenza il peccato del singolo, della persona che compone la

società. Il peccato è nella lingua, nei piedi, nella gola insomma nel corpo. E questo vale tanto per il giudeo che per il

gentile. Al di là del garbo religioso, questo siamo. Qui Paolo pesca da vari versetti dell’Antico Testamento.

Ricordiamoci sempre che lui deve dimostrare che la sua dottrina della salvezza per fede è radicata nell’AT.

Che dire dunque? Noi siamo forse superiori?

Paolo si chiede come chiudere l’intero discorso sul peccato umano. Ma qui arriviamo al primo problema. Chi siamo

noi? E a chi saremo superiori? Quali vantaggi avremo? Questo noi potrebbe essere noi che siamo calunniati, oppure noi

giudei oppure noi cristiani. E a chi saremmo superiori? Ai gentili? Ai giudei? E’ un problema accademico perché a

livello di salvezza non c’è superiorità di nessuno su nessuno. Tuttavia il contesto potrebbe suggerire che il noi si

riferisca ai Giudei (cfr.3:1, 2). Sono dunque superiori riguardo alla salvezza in quanto hanno degli altri vantaggi?

No affatto! Perché abbiamo già dimostrato che tutti, Giudei e Greci, sono sottoposti al peccato,

Niente affatto. Non c’è dunque nessuna superiorità o vantaggio in quanto tutti, gentili e giudei, che comprende il mondo

intero, sono sottoposti al peccato e quindi sotto il giudizio di Dio. Paolo lo ha mostrato mettendo in luce la situazione

del mondo gentile e l’ipocrisia del mondo religioso ebraico (cfr. 1:18-2:29). Tutti sono sotto l’ira di Dio. Il peccato li

domina e ne sono schiavi (cfr. Galati 3:22). Il peccato viene personificato e diventa un crudele padrone che domina,

schiavizza e sovrasta sulle sue vittime. C’è dunque bisogno di una grande potenza che rompa questo laccio e ci liberi da

un sì terribile padrone: il vangelo di Gesù Cristo.

com'è scritto: «Non c'è nessun giusto, neppure uno.

Inizia qui la citazione dei versetti (almeno 6, forse 7, citazioni dall’Antico Testamento). Sono atti a ricaricare la dose, a

mostrare ancora una volta la colpevolezza di tutti. (Si noti in questo brano la ripetizione di tutti e nessuno). La prima

prova viene dal Salmo 14:1-3, cfr. anche Salmo 53:1-3 (o ancora Ecclesiaste 7:20). E afferma che non esiste nessun

giusto, neanche uno. Nel Salmo è scritto che nessuno fa il bene; Paolo cambia questo in nessuno giusto. A Paolo

occorre enfatizzare il concetto di giustizia. Ora è ovvio che esistono giusti in giro, giusti agli occhi degli uomini. Gli

uomini hanno compiuto molti atti giusti. Il problema tuttavia è che non c’è nessuno giusto davanti a Dio, nessuno che

abbia fatto sempre il bene e mai il male, nessuno che non abbia mai peccato.

Non c'è nessuno che capisca, non c'è nessuno che cerchi Dio.

Si continua con lo stesso Salmo. Non solo non c’è nessun giusto, ma non c’è nemmeno la comprensione di Dio. Non c’è

ricerca di Dio. L’intelligenza umana porta lontano da Dio, alla ricerca di falsi dei e falsi ideali. Ci ricorda le parole di

Paolo dove descrive questa corruzione intellettuale di gentili (cfr. 1:21). Qui il Salmista accusa i giudei, e Paolo

l’umanità; non si cerca Dio, non ci si interessa della sua volontà, non Lo si ama. Tutto ciò che è implicito nel primo

comandamento, viene gettato dall’uomo nel dimenticatoio.

Tutti si sono sviati, tutti quanti si sono corrotti. Non c'è nessuno che pratichi la bontà, no, neppure uno».

31

Conclude la citazione di Salmo 14. Il Salmo parla di Israele, ma qui l’umanità tutta ha preso una strada sbagliata, una

strada che porta alla corruzione. Nessuno pratica la bontà; bontà che Dio ricerca e vuole. Il mondo è cattivo e senza

conforto per il povero. Qui colpisce l’universalità del peccato. La parola tutti è ripetuta e poi viene enfatizzato il

nessuno con il neppure uno. Anche dunque il più nobile, il più altruista il più generoso degli uomini manca in qualcosa,

non raggiunge la perfezione richiesta da Dio (cfr. 1 Re 8:47). Proprio tutti hanno peccato e hanno bisogno di Gesù.

«La loro gola è un sepolcro aperto; con le loro lingue hanno tramato frode».

Qui l’apostolo usa il Salmo 5:9. Colpisce in questi versi come il peccato corrompe e contamina ogni aspetto dell’uomo;

i suoi sentimenti, i suoi pensieri, la sua sessualità, il suo corpo. Qui infatti parla di bocca, gola e piedi. La

manifestazione della cattiveria umana è nella bocca e nelle parole che ne escono. Qui la gola è paragonata ad un

sepolcro da cui esce morte e puzza di corruzione. L’esperienza umana è un continuo di frode e complotti per fare danno

e colpire il prossimo.

«Sotto le loro labbra c'è un veleno di serpenti”. “La loro bocca è piena di maledizione e di amarezza».

Qui siamo al Salmo 140:3e Slamo 10:7. Ancora sono le parole che tradiscono la cattiveria umana. E qui vediamo che la

labbra contengono veleno di serpenti che rappresentano maledizione e amarezza. La gola e la bocca dovevano essere

usate per dare gloria a Dio, per cantare le sue lodi; invece fanno il male e maledicano il prossimo. E’ straordinario come

queste citazioni di Paolo trasmettono un mondo di violenza e cattiveria che rispecchia ciò che trova ovunque.

Ricordiamoci partendo da Israele si arriva al mondo. Se la radice è corrotta lo è ancora di più il resto.

«I loro piedi sono veloci a spargere il sangue. Rovina e calamità sono sul loro cammino e non conoscono la via della

pace».

Qui la citazione è Isaia 59:7-8. La gente corre verso il male; cerca dove poter approfittare delle cose per il proprio

interesse. C’è nel loro cammino rovina e calamità, tutto l’opposto della pace. Ancora la descrizione di Israele corrotta

diventa simbolico del peccato universale.

Questi versetti stanno alla base della dottrina della perversità totale dell’uomo. Questa dottrina vuole l’uomo così

corrotto e perverso che non può fare nulla per salvarsi ed ha bisogno di Dio e della sua salvezza. Alcuni, soprattutto nel

Calvinismo, affermano che l’uomo è così corrotto che non può nemmeno volere la salvezza. Paolo non dice questo; anzi

afferma che anche chi è senza legge può compiere le opere della legge (cfr. 2:14). Sì l’uomo è immerso e nato nel

peccato; ma non per questo non può fare o volere alcun bene (cfr. per esempio il commento di Luca in Atti 28:2).

«Non c'è timor di Dio davanti ai loro occhi».

Alla fine non c’è Timor di Dio in loro. La citazione è dal Salmo 36:1. Questo è il peccato base. Nel mondo pagano e nel

mondo religioso c’è tutt’altro che il Timor di Dio e la ricerca di Dio. E’ un quadro desolante dell’umanità e potrebbe

sembrare esagerato. Ma guardando il mondo di ieri e di oggi, con gli occhi di Dio, le cose stanno davvero così.

Or noi sappiamo che tutto quel che la legge dice, lo dice a quelli che sono sotto la legge, affinché sia chiusa ogni bocca

e tutto il mondo sia riconosciuto colpevole di fronte a Dio;

E se c’è qualche speranza nella legge, Paolo la smorza subito. Quelli che credono nella legge devono ammettere che

non obbediscono la legge. E’ la legge stessa che rivela tutta questa corruzione. Paolo ha voluto citare ampie parti

dell’AT per dimostrare che la legge (intesa non solo come legge di Mosè) condanna chi dice di seguirla. I pagani sono

condannati, ma anche i giudei. Non possono dire nulla. Devono riconoscersi colpevoli davanti a Dio.

perché mediante le opere della legge nessuno sarà giustificato davanti a lui; infatti la legge dà soltanto la conoscenza

del peccato.

Ci prepariamo alla grande rivelazione della giustificazione per fede. Ma prima Paolo dà un ultimo chiodo sulla cassa da

morte della legge. Nessuno sarà giustificato per la legge. Per la prima volta troviamo la famosa formula le opere della

legge. Sono opere buone, filantropiche che potrebbero sembrare meritorie. Ma non lo sono. Paolo lo ribadisce ed è

chiaro che per lui è un punto scottante. Forse i giudaizzanti di Roma e delle chiese del primo secolo non erano ancora

convinti. La legge non salva nessuno. La legge non è inutile; dà la conoscenza del peccato (argomento che riprenderà

poi cfr.5:20 e 7:7), ma non dà in nessuna maniera salvezza. Siamo tutti peccatori e meritevoli dell’ira di Dio. E, per

quante opere faccia, nessuno è meritevole del Cielo. La conclusione lasciamola al Pastore Stott:

32

… come dovremo rispondere all’esposizione devastante di Paolo del peccato e della colpevolezza

universale… ? Non dobbiamo evaderla e … parlare del bisogno di autostima, incolpando i nostri geni, la

nostra educazione, o la società. E’ parte essenziale della nostra dignità di essere umani che, per quanto

afflitti da circostanze avverse, non siamo vittime impotenti, ma siamo responsabili della nostra condotta.

La prima risposta all‘accusa di Paolo dovrebbe essere l’accertarsi che abbiamo riconosciuta vera questa

diagnosi divina della condizione umana, e abbiamo fuggito dal giusto giudizio di Dio per i nostri peccati

andando all’unico rifugio che ci sia, Gesù Cristo. Non abbiamo nessun merito né nessuna scusa. Siamo

davanti a Dio muti e condannati. Solo allora saremo pronti a sentire quel grande ora però che dà inizio

alla spiegazione dell’opera di Cristo per la nostra salvezza…9

OSSERVAZIONI

Il passo che abbiamo studiato parla del peccato di tutti. Paolo ovviamente presuppone che le cose menzionate non

riguardano più il credente, ma sono una descrizione della vita di peccato che il credente avrebbe dovuto aver

abbandonato. Tuttavia scopriamo che questo brano fornisce un esame ad ogni fedele su quanto davvero ha lasciato la

sua vecchia vita e quanto ancora deve progredire nelle vie dei Dio. Esaminiamo alcune di questi elementi probanti:

1. La prima cosa che vediamo è che tutti sono uguali davanti a Dio. Sembra una cosa ovvia, ma Pietro ci ha messo

anni ad impararlo (cfr. Atti 10:34). Per i giudei era difficile mandare giù che Dio ama i gentili quanto ama loro. Noi

ci riteniamo il popolo di Dio, il suo tesoro particolare; ma non per questo Dio ama noi più di altri; più dei nostri

antipatici compagni di lavoro, più di quei peccatori bestemmiatori, tutti tatuati e ingioiellati, più dei mangioni e

mafiosi ecc. Dio ama loro quanto ama noi, e talvolta è dura da capire. Ma non siamo superiori… e ricordiamoci

anche noi eravamo come gli altri prima della conversione. Dio ci ha amati quando eravamo nemici suoi (cfr.

Romani 5:10); perché non dovrebbe amare altri nemici?

2. Il problema è che se Dio li ama, li dobbiamo amare anche noi. Tutto il nostro essere dovrebbe rispecchiare questo

amore di Dio. Paolo lo faceva. Per esempio osserviamo la sua gioia davanti alla conversione di uno schiavo

fuggiasco, un buono a nulla che sarebbe stato giustiziato dalle autorità romane, ma che Paolo accoglie con gioia

(cfr. Filemone 11, 16). La parabola del Buon Sammaritano ci parla chiaro (cfr. Luca 10:37). L’amore di Gesù era

evidente a tutti, poveri lebbrosi e peccatori pubblici compresi. E noi? Siamo davvero certi che vediamo gli altri,

anche i più antipatici, con gli occhi di Dio?

3. Una seconda accusa all’umanità è che nessuno cerca Dio. Nessuno lo prega con il cuore, nessuno lo cerca per fare

la sua volontà. Chi lo conosce dovrebbe cercarlo, ma lo fa? O lo fa solo in tempi di bisogno o quando ha tempo? Ci

ricordiamo Pietro quando Gesù gli disse di pregare e cercare aiuto contro la tentazione, ma non lo fece, e ne pagò le

conseguenze (cfr. Matteo 26:41). Ci ricordiamo i consigli di Paolo di pregare sempre (cfr. Efesini 6:18). Lo

facciamo? La Chiesa lo fa? O il Signore deve lamentarsi che anche nelle chiese vi è chi non lo cerca?

4. Una terza accusa è che nessuno pratica la bontà. La bontà è parte del frutto dello Spirito e viene in evidenza solo

con Gesù, che era conosciuto come persona buona. (Nell’AT c’è, ma non appare in maniera esplicita in ambienti di

guerra, di schiavitù e oppressione). La bontà è dare parte di sé al prossimo a mo’ del Buon Sammaritano. Dovrebbe

essere seconda natura nel credente abitato dallo Spirito. L’interesse per il debole, il povero, ecc. dovrebbe

caratterizzare ogni chiesa e ogni credente (cfr. per esempio Luca 12:33). Purtroppo la troppa enfasi sulla fede e la

paura del sociale hanno impedito alle chiese evangeliche di sviluppare la bontà. Siamo più conosciuti per i nostri

litigi e le nostre divisioni che per la bontà. E’ ora di cambiare questa realtà e mostrare al mondo che vi sono

evangelici che praticano la bontà.

5. Grossa parte del passo riguarda la critica e l’uso della lingua. Viene usata per frode, imbroglio, in una parola, per

disonestà. Il vangelo ci parla di sincerità, onestà, apertura e franchezza. La frode è l’opposto; è il fare davanti una

faccia e dietro un’altra. Complotti, spionaggi, ipocrisie non hanno alcun posto nel cristianesimo; sono tipici del

mondo che non conosce Cristo. Eppure da Giuda in poi le chiese di ogni genere sono pieni di politicanti, di spie e

falsi fratelli. Un po’ di questo si trova in ognuno di noi. La lingua è difficile da convertire; anche la mente. Ma la

Bibbia ci ordina di cambiare tutte e due (cfr. Giacomo 3:9-12).

6. Strettamente legato al punto 5 è la bocca piena di maledizione e amarezza. La bocca del cristiano dovrebbe essere

piena di lode, ringraziamento e benedizione. Ma lo è? O siamo sempre a lamentarci come il mondo? Siamo sempre

a criticarci come fanno gli altri? Dalla bocca del credente si capisce cosa ha nel cuore. Che parole dovrebbe

produrre il frutto dello Spirito? Che parole producono le opere della carne? (Cfr. Galati 5:19-22). Quali sentimenti

9 Stott, 104

33

rispecchiano le nostre parole? Il Signore avrebbe anche a lamentarsi con la chiesa che la loro bocca è piena di

maledizione e amarezza?

7. Troviamo i piedi veloci a spargere sangue; una vita di litigio, aggressione e violenza. Nessun credente dovrebbe

vivere una vita così. I piedi dei credenti devono correre verso il buono, devono annunciare buone cose, non

scandali e ferite. Il credente dovrebbe vivere in pace e procacciare la pace con tutti. Non dovremmo mai mirare alla

lotta, al litigio o allo scontro; questo nella chiesa e fuori dalla chiesa. La pace deve caratterizzare la vita del

credente (cfr. Romani 12:18).

8. Paolo riassume questa trista descrizione con le parole che non c’è timore di Dio in loro. Il timore di Dio dovrebbe

guidare tutta la nostra vita insegnandoci a camminare in santità. Purtroppo molto di quello che facciamo, che

guardiamo, che leggiamo non è accompagnato dal timore di Dio, perché sappiamo che temere Dio è sottomettersi a

Lui e alla sua volontà. Noi, troppe svolte vogliamo fare solo la nostra volontà; e qui manca il timore di Dio.

B. Giustificazione per fede (3:21--4:25)

Romani 1:18-3:20 ci dipinge un triste ritratto della condizione umana; ma non è questa l’intenzione principale di Paolo

in questa lettera. In Romani 1:17 aveva espresso una parola di grande speranza, ed è quella parola che ora verrà

elaborata. I punti essenziali sono concentrati in 3:21-26, brano che Lutero chiamava il punto principale della lettera, e

dell’intera Bibbia. Il resto di questa sezione tratta il tema della giustificazione per fede. Vedremo che essa toglie ogni

vanto, prevede l’inclusione dei gentili nel piano di Dio e che adempie più che annulla la legge. Poi vedremo la fede in

azione in Abramo, l’importanza della promessa, la grazia e il suo rapporto con la legge e la circoncisione. E’ chiaro che

Paolo parla ad un interlocutore soprattutto ebraico. Sapeva bene da dove veniva criticata la dottrina della giustificazione

per fede.

i. La giustificazione e la giustizia di Dio (3:21-26)

Il passo che stiamo per studiare è zeppo di contenuto teologico, ed emerge subito il concetto di giusto e giustizia.

Almeno 7 volte appaiano le parole giustizia e simili. Dunque il tema è la giustizia di Dio. Viene evidenziato il suo

rapporto con l’Antico Testamento, la sua accessibilità per tutti i credenti, il mezzo per il quale si attua, e infine vediamo

che la giustizia di Dio in Cristo rivendica la stessa carattere morale di Dio. E’ importante che si mostri che Dio è giusto

nel perdonare il peccatore; non ci può essere alcuna scorciatoia. Va inoltre notato il linguaggio che ci ricorda il giorno

dell’espiazione nell’AT. E’ Paolo che parla ai giudei o ai giudaizzanti nella loro lingua.

Ora però,

E’ forse la preposizione temporale più importante della Bibbia. (Cfr. la bellezza e la forza di queste parole in 6:22; 7:6;

1 Corinzi 15:20; Efesini 2:13 e Colossesi 1:22). Il famoso studioso di Romani Martin Lloyd-Jones li considera le più

meravigliose parole della Bibbia! Prima l’uomo è perso nel suo peccato, l’ira di Dio incombe su di lui, tutto sembra

nero e tenebroso (1:18; 2:5; 3:5)… ora però tutto cambia, la luce penetra tra le tenebre della disperazione. Ora però c’è

speranza! Prima l’ira di Dio dominava la scena, ora però c’è la sua giustizia.

indipendentemente dalla legge, è stata manifestata la giustizia di Dio,

Si torna ora al concetto di giustizia di Dio. Ci si chiede come va interpretata la giustizia di Dio. Sembrerebbe che la

giustizia deve punire tutti quei peccati e i peccatori di cui Paolo ha parlato in 1:18-3:20. Sarebbe giustizia e nessuno

avrebbe da dire. Sarebbe l’attuazione della legge. Ma c’è quell’ora però. Qualcosa cambia. Inoltre qui la giustizia di

Dio è manifestata ora. Non prima. Ed è indipendente dalla legge. Ossia non è la giustizia della legge. C’è dunque un

netto distacco dalla legge. La giustizia di Dio si manifesta senza alcun contributo delle opere della legge. (Tuttavia

ricordiamoci che per Paolo la fede adempie le richieste della legge cfr. 3:31 e 8:4).

della quale danno testimonianza la legge e i profeti:

Paolo è lesto nel consolare i giudei; non deriva dalla legge, ma la giustizia di cui parla è testimoniata dalla legge stessa e

dai profeti. In altre parole è completamente biblica. E’ completamente ebraica! Non è tanto un brano o un altro cui

allude Paolo, ma l’intera testimonianza veterotestamentaria. Al capitolo 4 Paolo parlerà dì Abramo e Davide. In Galati

parla di Sara e Agar. Noi potremo citare il Salmo 31, Isaia 53 ecc., ma la legge e i profeti tutti testimoniano la giustizia

di Dio per fede.

34

vale a dire la giustizia di Dio mediante la fede in Gesù Cristo, per tutti coloro che credono

Qui vediamo subito che la giustizia di Dio non è punitiva o retributiva, ma è qualcosa che viene data a tutti quelli che

credono. Si ottiene mediante la fede in Gesù Cristo. E’ dunque una benedizione, qualcosa di glorioso. Ed è disponibile a

tutti, purché credano. .

- infatti non c'è distinzione: tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio -

Paolo per un attimo torna indietro e ribadisce ciò che aveva detto prima dell’ora però. Tutti hanno peccato, giudei e

gentili, non c’è distinzione. E tutti sono dunque privi della gloria di Dio. Non godono della sua presenza né della sua

benedizione né della sua approvazione (cfr. Giovanni 12:43). Non vivono nella sua luce. Sono senza Dio. La gloria di

Dio è spesso associata all’essere simili a Cristo (cfr. 8:29-30; Filippesi 3:21). Privi della gloria indica dunque un

allontanamento dall’immagine di Dio nel quale l’uomo è stato creato (cfr. per esempio Isaia 43:7 o anche 1 Corinzi

11:7). Non ha più la sua gloria, ma è immerso nel peccato.

ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia,

Per la prima volta l’apostolo usa il verbo giustificare ed ecco rivelato il significato di giustizia. Gli uomini non sono

puniti come richiederebbe la giustizia della legge, ma sono giustificati, ossia resi giusti, non più colpevoli. E lo sono

subito, non dovendo aspettare il giudizio finale, come voleva la teologia giudaica. E lo sono per la grazia di Dio; sono

graziati. La grazia qui indica il perdono immeritato. Ma rimane la domanda; un Dio giusto può perdonare gratuitamente

i peccati? Non viene meno la giustizia se si perdona il colpevole e nessuno viene punito per il male commesso? Dopo

tutta la legge è piena di richiami a punire il malvagio e fare giustizia all’innocente (cfr. Esodo 31:7; Deuteronomio 25:1;

Proverbi 17:15; Isaia 5:23). Come fa dunque Dio a giustificare i malvagi senza perdere il suo assolutismo morale?

mediante la redenzione che è in Cristo Gesù.

Intanto vediamo in Gesù c’è redenzione. Redimere significa comprare qualcosa che stava per esser distrutto. E’ un

termine usato per prigionieri di guerra o schiavi, che venivano redenti per mezzo di un prezzo. Quindi Paolo introduce il

concetto che in Gesù c’è il riscatto dell’uomo, che giaceva sotto l’ira di Dio, ma ora è comprato, riscattato. Il prezzo del

suo riscatto è stato pagato. Gesù stesso aveva detto che dava la sua vita come prezzo di riscatto per molti (cfr. Marco

10:45).

Dio lo ha prestabilito come sacrificio propiziatorio mediante la fede nel suo sangue,

Qui l'AT prende vita e vediamo un chiaro richiamo al giorno dell’espiazione (cfr. Levitico 16). Il propiziatorio era il

coperchio dell’arca, che si trovava nel Luogo Santissimo. Qui il Sommo Sacerdote portava il sangue dell’animale

sacrificato per ottenere il perdono dei peccati suoi e del popolo. L’animale veniva caricato dei peccati e punito per essi.

Ecco che dunque Gesù è stato prestabilito da Dio come sacrificio propiziatorio. E come il sangue è portato davanti

all’Eterno, così il sangue di Gesù è posto davanti all’Eterno. Il posto del propiziatorio del Levitico è preso da Gesù. Il

propiziatorio è il luogo dove Dio e l’uomo si conciliavano (cfr. Esodo 25:22). Ora però la riconciliazione è in Gesù.

Notiamo inoltre che l’iniziativa parte solo da Dio Padre. Tutta l’offerta di salvezza parte da Dio, non dall’uomo.

L’uomo era in stato pietoso come evidenziato nei passi precedenti. Solo Dio poteva dargli uno squarcio di luce, e lo ha

fatto prestabilendo Gesù come sacrificio propiziatorio.

E’ probabile che il riferimento al sangue abbia a che fare con il sacrificio propiziatorio più che con la fede. Paolo non

dice mai di avere fede nel sangue di Gesù, ma in Gesù. Il versetto dovrebbe essere … come sacrificio propiziatorio nel

suo sangue, mediante la fede.

per dimostrare la sua giustizia, avendo usato tolleranza verso i peccati commessi in passato, al tempo della sua divina

pazienza;

La giustizia di Dio sta dunque nel sacrificio di Cristo. Dio non ha punito i peccati come avrebbe potuto e come sarebbe

stato giusto secondo la legge. Ha usato tolleranza, divina pazienza. I peccati del passato sono i peccati commessi prima

della croce da chiunque (cfr. Atti 14: 16; 17:30). Dio dunque non ha applicato il rigore della legge ed ha atteso il

sacrificio del suo figlio.

e per dimostrare la sua giustizia nel tempo presente affinché egli sia giusto e giustifichi colui che ha fede in Gesù.

35

Ora però mostra la sua giustizia che non è punitiva ma salvifica. La sua giustizia lo dimostra giusto. Il peccato è stato

punito, l’agnello è stato sacrificato. Se qualcuno accusava Dio di essere troppo tollerante verso il peccato, ora ha la sua

risposta. Allo stesso tempo Egli, il Dio giusto, può giustificare chi ha fede in Gesù, atto che redime, perdona e rende

giusti.

E’ importante distinguere comunque tra il perdono dei peccati e la giustificazione. Il perdono non punisce il colpevole e

lo grazia dalla pena. Comunque il trasgressore rimane colpevole, ossia ha commesso il fatto. La giustificazione rende

giusti, come se non avessimo mai peccato (cfr. Ebrei 8:12). Questo sarà lo stato reale in Cielo (cfr. 1 Giovanni 3:3), ma

dal punto di vista di Dio questo è il nostro stato legale sulla terra.

Altrettanto importante è distinguere la giustificazione dalla santificazione. Siamo giustificati, ma non perfetti o santi.

Dio ci reputa giusti, ma in realtà non lo siamo. Per quanto riguarda noi, la nostra santificazione inizia con la

giustificazione. Noi dobbiamo avvicinarci il più possibile a quello stato in cui Dio ci vede.

OSSERVAZIONI

1. Il passo che abbiamo studiato mette in evidenza numerose caratteristiche di Dio, i cosiddetti attributi morali.

La giustizia di Dio. Dio è un dio giusto, leale e fedele. Non poteva cancellare il peccato con una bacchetta

magica. Non sarebbe stato giusto. Tutta la sua Parola richiede giustizia per il peccato. Non poteva rinnegare o

contraddire la sua stessa Parola. Questa giustizia ci spiega perché Satana, i demoni, i cattivi ministri o i cattivi

re sono lasciati al loro posto. La giustizia di Dio ha nominato diversi personaggi angelici e umani a dei

compiti. La giustizia di Dio non interviene perché questi hanno scelto l’errore. Il loro compito perdura (cfr. a

proposito il Salmo 82). Tuttavia la giustizia di Dio richiede che ci sarà un termine, un momento di giudizio. E

lì vedremo la sua perfetta giustizia all’opera su ogni carne e spirito (cfr. Salmo 75:2).

La grazia di Dio. Per quanto la salvezza sia costato la vita del suo Figlio, per noi la salvezza è gratuita e

completa. Noi siamo perdonati e Dio non richiede altro da noi per dichiararci giusti. Siamo dunque frutto della

sua grazia. Come abbiamo visto la grazia non è solo il perdono dei peccati, ma la completa dimenticanza da

parte di Dio dei nostri peccati (cfr. Ebrei 8:12).

L’amore di Dio. Non è che l’uomo abbia cercato Lui, ma Lui ha cercato l’uomo, ed ha prestabilito la sua

salvezza. Sin dall’Eden è Dio che scende a cercare l’uomo ed ha continuato e continua a farlo (cfr. Genesi 3:8,

9). L’amore si dimostra ne volere il bene di una persona, anche se questa persona ti dimentica, ti disprezza e ti

sputa in faccia (cfr. 5:8). esto è l’amore di Dio che si rivela alla perfezione nel suo figlio Gesù.

La pazienza di Dio. Gli uomini vogliono giustizia subito, soprattutto per gli altri. L’accusa che si fa a Dio è che

non interviene nelle guerre, nelle carestie ecc. Non interviene nemmeno nel peccato dell’uomo e lo lascia

libero in base alla sua giustizia. Dio è sicuramente paziente verso il peccatore e verso il suo popolo. La sua

tolleranza è evidente ovunque guardiamo (soprattutto se ci guardiamo nello specchio!) Tuttavia, come abbiamo

visto prima, anche questa pazienza ha un limite. Un giorno Dio dirà basta.

La sapienza di Dio. Già nell’Antico Testamento c’era la testimonianza della giustificazione per fede. Già Dio

aveva indicato come avrebbe giustificato il mondo e non solo i giudei. La sua sapienza sta nel sapere come

perdonare l’uomo e salvare il suo senso di giustizia. Anche l’avere avuto tolleranza, non intervenire subito,

Egli ha dimostrato enorme sapienza. Paolo elogerà con una memorabile dossologia la sapienza di Dio alla fine

del capitolo 11 (33-36).

2. Una nota ermeneutica. Il fatto che ora però c’è la manifestazione della giustizia di Dio in Cristo ci deve far vedere

l’Antico Testamento in altra luce. Non può più essere letto o studiato in sé e per sé, ma deve essere letto attraverso

Cristo. Paolo afferma che la legge e i profeti testimoniano della salvezza per fede in Cristo. Questo non era

possibile vederlo prima di Cristo, ma lo é ora. Ciò vuol dire che gli studiosi della legge (gli scribi e farisei)

dovevano cambiare modo di leggere la Bibbia ossia cambiare ermeneutica. Dobbiamo ricordarci anche noi questo

principio; l’Antico va letto con le lenti del Nuovo. Qui Paolo ci dà un esempio facendo riferimento al propiziatorio.

Il simbolismo dell’AT diventa ricco e istruttivo visto attraverso Cristo. Per tutti noi del Nuovo Testamento c’è un

continuo ora però.

ii. Per sola fede (3:27-4:25)

36

Il grande tema teologico della giustizia di Dio per fede è l’argomento in questa sezione. Non sentiamo più parlare

di redenzione o riconciliazione. Qui il tema è la sola fede che salva, che dà accesso alla sola grazia. E’ il grande

grido della Riforma protestante; la fede è comparata alla legge alle opere della legge, alla circoncisione e alla

visone (la fede non vede) e sempre la fede vince. E’ solo per fede che si ha la salvezza senza alcun aiuto o sforzo

umano. Anche i giudei sono salvati per fede, ed anche qui è chiara la polemica contro le voci della sinagoga.

Tuttavia Paolo mostrerà che la sua è una dottrina insita nell’AT e lo dimostrerà con gli esempi di Davide e Abramo.

Il Padre Abramo, così amato e riverito dai Giudei, sarà l’esempio che Paolo usa per dimostrare la sua dottrina della

salvezza per fede.

- Per sola fede; introduzione (3:27-31)

27 Dov'è dunque il vanto? Esso è escluso.

Il vanto davanti a Dio era tipico dei giudei. Abbiamo un esempio nella parabola di Gesù del “fariseo e pubblicano”, non

a caso nel vangelo di Luca, compagno di Paolo (cfr. Luca 18:9-14). Qui il vanto è che il fariseo non è come gli altri che

sono tutti peccatori, mentre lui no è. Si vanta dei suoi digiuni e delle sue opere rituali. Si vanta davanti a Dio. I giudei in

genere si vantavano del loro rapporto speciale con Dio cui Paolo accenna in 2:17. Paolo poteva anche ricordare la sua

propria esperienza da giudeo fariseo, e quante ragioni aveva per vantarsi (cfr. Filippesi 3:4-6). I vanti tuttavia non sono

prerogative dei giudei. Anche i gentili si vantavano, e tutti gli uomini si vantano. Ma la salvezza per fede annulla il

vanto. Quale vanto? Siamo tutti peccatori, compresi i giudei. Ogni vanto è dunque escluso. Il credente non si vanta, ma

loda Dio. Sarà questa l’attività eterna del credente.

Per quale legge? Delle opere? No, ma per la legge della fede;

I Giudei insistevano sulla legge; ma quale legge esclude il vanto? Ovviamente la legge delle opere conduce al vanto.

Uno fa più di un altro, uno invidia quello che fa l’altro. Per forza di cose nasce il vanto. Ma Paolo indica un’altra legge

(legge per così dire, forse è meglio tradotto con la parola principio o regola), quella della fede. Quindi nessun principio

di opere, religiose o filosofiche, può ottenere la salvezza. E’ solo per principio di fede. Qui non c’è vanto perché tutto è

dato da Dio in Gesù.

poiché riteniamo che l'uomo è giustificato mediante la fede senza le opere della legge.

Qui Paolo dichiara chiaramente il suo pensiero; l’uomo è giustificato solo per fede senza le opere della legge. Le opere

della legge non danno alcun aiuto alla salvezza. L’uomo è reso giusto da Dio solo per la fede che ha in Cristo e non per

alcuna legge. Qui il contrasto è netto; i vantaggi goduti dai giudei come popolo di Dio non contano nulla ai fini della

salvezza. Nessun tipo di opera umana ci può avvicinare alla salvezza.

Dio è forse soltanto il Dio dei Giudei? Non è egli anche il Dio degli altri popoli? Certo, è anche il Dio degli altri

popoli, poiché c'è un solo Dio,

Paolo affronta a viso aperto i suoi interlocutori giudei o giudaizzanti. Dio è solo Dio dei giudei? I Giudei credevano nel

monoteismo (cfr. Deuteronomio 6.4). Tuttavia per i giudei Dio era più loro che di altri. Avevano del resto degli enormi

privilegi (cfr. 9:3-5). Dio stesso aveva testimoniato uno speciale amore per Israele, che era considerato il suo popolo

particolare (cfr. per esempio Esodo 19:5 e ss.). Ma qui Paolo usa il monoteismo contro di loro e dichiara che Dio è

anche Dio di altri popoli. Dio è Dio di tutti i popoli. Se solo Lui è Dio, deve per forza essere dio degli altri popoli. In

Cristo non ci sono più barriere razziali o di altro genere. E quindi come possono gli altri popoli essere giustificati per le

opere della legge, non avendo la legge? La fede giustifica tutti i popoli, anche chi non ha la legge. Come scrive Dott. T.

Wright “Il messaggio… è semplice; tutti quelli che appartengono a Gesù appartengono alla stessa famiglia e dovrebbero

mangiare alla stessa mensa. Di questo parla la dottrina della giustificazione per fede di Paolo”.10

il quale giustificherà il circonciso per fede, e l'incirconciso ugualmente per mezzo della fede.

Di nuovo Dio giustificherà giudei e gentili allo stesso modo per fede. Qui notiamo che l’apostolo mette enfasi sulla

circoncisione e la non circoncisione. Questo è un punto critico per i giudaizzanti che vorrebbero circoncidere i gentili

nelle chiese. Ma Paolo è fermo; circoncisi o incirconcisi saranno salvati alla stessa maniera; per fede.

10 Citato in Stott, 120

37

Annulliamo dunque la legge mediante la fede? No di certo! Anzi, confermiamo la legge.

E qui sentiamo l’accusa del giudaizzante; Paolo annulla con la sua dottrina la legge di Dio. Se la legge non c’entra nulla

con la salvezza, che senso ha? Non vale più nulla. L’apostolo taglia corto; non è vero. Anzi conferma la legge in quanto

la sua dottrina proviene dall’Antico Testamento. Ne darà la prova nel prossimo capitolo. La legge testimonierà della

giustizia per fede.

Tuttavia va detto subito che questo versetto dimostra che Paolo non annulla per niente la legge. Per Paolo la legge ha

ancora un valore, anzi conferma la legge. In che senso conferma la legge? La fede può in qualche maniera confermare

la legge? La legge rimane il modello di comportamento per il credente. La legge rimane il giusto criterio di bene e male

per il credente. Solo che per le forze umane questo modello è impossibile. Per la vita di fede invece è possibile, come si

vedrà in seguito (cfr. 8:4).

- Per sola fede: l’esempio di Abramo (4:1-25)

E’ Abramo che viene preso da Paolo come esempio di uomo giustificato per fede. E’ stato lui la cui fede fu messa in

conto di giustizia prima della circoncisione, e quindi diventa il padre di tutti i credenti, giudei e gentili, proprio come

Dio è Dio di tutti i popoli e non solo degli ebrei (cfr. 3:29). E’ lui che diventa padre di una moltitudine ed è dalla sua

progenie e discendenza che viene il Salvatore. Perché proprio Abramo viene scelto da Paolo? I giudei lo consideravano

loro padre (cfr. Isaia 51:1 ss.) e non sarà piaciuto molto a loro che Paolo lo abbia promosso anche padre dei credenti

gentili. Ma dovevano anche i giudaizzanti capire che Dio è Dio di tutti i popoli e anche la Parola di Dio è per tutti e non

solo per un popolo, per quanto preziosa fosse.

Era inoltre importante per Paolo dimostrare che la dottrina della giustificazione per fede era presente sin dall’inizio

della storia biblica, e che da lì parte un filo che attraverso tutto l’Antico Testamento e riappare con forza nei vangeli e

soprattutto in Paolo (cfr. 1:2; 3:21, 31). Infatti in questo brano chiarisce il significato di giustizia in quanto l’empio

viene considerato (messo in conto di) giusto. Inoltre chiarisce cosa è la fede; la completa fiducia nel Dio della creazione

e della risurrezione.

La verità è che questo brano mostra tutta la radicalità di Paolo. Qui egli afferma che Dio giustifica l’empio, cosa

inaudita nell’AT (cfr. Esodo 23:7; Proverbi 17:15). Inoltre dà una sua interpretazione di eventi nell’AT che nessuno

prima aveva in mente. Egli rivoluzione la veduta ebraica che Abramo era giustificato per opere (cfr. Esodo 26:5) con la

sorprendente realtà che era giustificato per fede (Genesi 15:6). Il divario con i giudei è profondo.

Un’ultima ragione per questo brano era insegnare ai credenti gentili quanta è ricca l’eredità in cui sono entratati nel

mondo giudaico con personaggi ebraici quali Abramo e Davide (cfr. 11:16, 17). Se i giudaizzanti dovevano accettare

che Dio era anche Dio degli altri popoli, anche gli altri popoli dovevano accettare che il loro Dio era prima e adesso

anche il Dio di Israele.

i. Fede e opere (4:1-8)

Che diremo dunque che il nostro antenato Abraamo abbia ottenuto secondo la carne?

Paolo ha appena detto che lui conferma la legge. Per i giudei la legge comprendeva tutto il Pentateuco, e Paolo prende

un personaggio della Genesi, forse il più amato da Israele dopo Mosè, per esaminare come abbia ottenuto il favore di

Dio. Chiede ai suoi interlocutori giudaizzanti che cosa abbia ottenuto Abramo secondo la carne, ossia quale opere abbia

compiuto per ottenere approvazione da Dio. Uno potrebbe pensare al fatto che abbia lasciato il suo paese su invito da

Dio, che abbi istituito la circoncisione dei suoi figli, o che era disposto a sacrificare suo figlio. I giudei lo consideravano

l’esempio di virtù, l’amico di Dio per eccellenza (cfr. 2 Cronache 20:7; Isaia 41:8). Tuttavia ha anche fatto diversi

errori, soprattutto nel suo rapporto con Sara, Agar e altri. Abramo autore di una vita esemplare? Non molto secondo le

opere.

Poiché se Abraamo fosse stato giustificato per le opere, egli avrebbe di che vantarsi; ma non davanti a Dio;

Ora torna il discorso del vanto. Le opere portano al vanto, e Abramo avrebbe potuto vantarsi per i suoi atti di

ubbidienza. Avrebbe potuto paragonarsi a personaggi come Lot e sua moglie. I rabbini lo consideravano un grande

uomo di opere e ubbidienza. Per questo Dio lo aveva premiato e benedetto. Ma che valore potevano avere questi vanti

38

davanti a Dio? Per ogni vanto Dio potrebbe indicare un difetto, un errore o un peccato. No, davanti a Dio non ci si può

vantare. E di conseguenza per Paolo è vietato ogni vanto anche nei confronti di altri. Nella grazia l’unico vanto è Dio

(cfr. Galati 6:14).

infatti, che dice la Scrittura?

Ascoltiamo il commento del Pastore Stott a queste parole:

Considerate le implicazioni di questa domanda apparentemente innocente. Primo, la forma singolare (la

Scrittura), come per noi “la Bibbia”, indica che Paolo riconosceva l’esistenza di questa entità, non soltanto

una biblioteca di libri, ma un corpo unificato di scritti ispirati. Secondo, la sua quasi personificazione della

Scrittura che sa parlare indica che non vi è distinzione tra ciò che dice la Scrittura e ciò che dice Dio

tramite essa... Terzo, invece del tempo presente (che dice la Scrittura?), Paolo avrebbe potuto usare il tempo

passato (che disse la Scrittura? oppure che diceva la Scrittura?). Infatti scrittura vuol dire ciò che è scritto, e

nel chiedere cosa essa dice indica che attraverso il testo scritto si può udire la voce vivente di Dio. Quarto,

fare questa domanda vuol dire volgersi alla Scrittura come guida autorevole. Implica che, come lo era per

Gesù davanti ai suoi oppositori, così con Paolo e i suoi, in ogni controversie la Scrittura era considerata

l’ultima corte di appello.11

«Abraamo credette a Dio e ciò gli fu messo in conto come giustizia».

Notiamo dunque l’insistenza sulla Scrittura; cosa dice essa? Paolo vuole essere certo di basare ogni ragionamento sulla

Scrittore. In Genesi 15:6 è scritto che Abramo ottenne il favore di Dio che lo rende giusto perché ha semplicemente

creduto in Dio e nelle sue promesse. Questo versetto è importante; per la prima volta il verbo credere appare nella

Bibbia. E poi per la prima volta c’è il concetto di mettere in conto ossia considerare (usato 5 volte in questi versetti). Il

verbo implica un mettere addosso a qualcuno qualcosa che non gli appartiene (per esempio cfr. un altro uso che ne fa

Paolo in Filemone 18, 19). La giustizia è messa su Abramo; non gli appartiene. Tutte le sue opere sono di conseguenza

a quel credere. Dunque anche Abramo è giustificato per fede con buona pace dei contestatori giudaizzanti. La base del

suo rapporto con Dio è la fede e non le opere. Il versetto è citato anche in Galati 3:6, dove i Galati volevano

abbandonare la fede per un vangelo di opere. Era dunque un cavallo di battaglia di Paolo. Il rapporto fede/opere è

affrontato dal prof. Bruce:

… Le buone opere di Abramo, la sua ubbidienza al comandamento divina, erano il frutto della sua assoluta

fede in Dio; se non avesse prima creduto alle promesse di Dio non avrebbe mai, da quel momento in poi,

condotto la sua vita alla luce dei ciò che sapeva essere la volontà di Dio.12

Ora a chi opera, il salario non è messo in conto come grazia, ma come debito;

L’opera richiede salario e quindi chi ha operato è a credito; e il beneficiario gli è in debito. E’ importante comprendere

che noi non possiamo essere creditori presso Dio. Lui non può essere in debito con noi. Sono concetti duri da digerire

per le correnti farisaiche di ieri e di oggi.

mentre a chi non opera ma crede in colui che giustifica l'empio, la sua fede è messa in conto come giustizia.

Mentre è la fede che giustifica. Chi non opera ovviamente non è chi non fa niente e dorme. Qui Paolo non sta

canonizzando la pigrizia. Chi non opera è colui che non basa la sua giustizia sulle opere, ma su Dio. Qui Paolo non

potrebbe essere più chiaro; Dio giustifica l’empio! E’ una affermazione scioccante, secondo Bruce. E’, in effetti, una

frase rivoluzionaria e prorompente. Rileggiamo la parola scritta in Esodo 23:3 per comprendere il paradosso e

l’apparente pazzia e lo scandalo delle parole di Paolo. L’empio peccatore trova giustizia, ossia è dichiarato giusto per

fede. Altro che opere|! Vi è qui una sottile suggestione che anche Abramo fosse tra gli empi? Che orrore fra i giudei i

religiosi di ogni tempo!

Così pure Davide proclama la beatitudine dell'uomo al quale Dio mette in conto la giustizia senza opere, dicendo:

11 Stott, 125 12 Bruce, 110

39

Un secondo testimone dall’Antico Testamento è Davide. Da buon rabbino Paolo conferma la sua prima interpretazione

con una seconda prova tratto da un'altra parte della Bibbia: i Salmi di Davide. Interessante è notare che anche Matteo

nel suo vangelo cita Gesù discendente di Abramo e Davide (cfr. Matteo 1:1) Ora Davide ha fatto grandi cose, ma è

anche colui che ha commesso peccati enormi come l’omicidio e l’adulterio. Il Salmo 32 che Paolo citerà è stato scritto

forse proprio dopo l’affare Bath-Sheba. Comunque Davide si sentiva un gran peccatore e descrive la gioia del perdono

di Dio. Come ha ottenuto questo perdono? Semplicemente si è gettato ai piedi di Dio, ha confessato il suo peccato, ha

implorato il perdono e lo ha accettato. Questa è l’opera della salvezza.

«Beati quelli le cui iniquità sono perdonate e i cui peccati sono coperti. Beato l'uomo al quale il Signore non addebita

affatto il peccato».

Ora qui Dio non mette in conto di giustizia, ma si evidenzia il perdono dei peccati. Il che vuol dire che il perdono dei

peccati corrisponde alla giustificazione. La parola beato indica il favore di Dio. Il favore è su colui il cui peccato è

perdonato. La giustificazione per fede comprende ovviamente il perdono dei peccati. Ora ciò che lega questo versetto a

Genesi 15:6 è il termine non addebita (cfr. fu messo in conto). Dunque la giustizia viene messo in conto al peccatore, e

il peccato non gli viene addebitato.

ii. Fede e circoncisione (4:9-12)

Nel brano che studiamo ora, vediamo che Paolo nota una cosa; il momento della giustificazione di Abramo. Fu

giustificato prima di essere circonciso (Cfr. anche Galati 3:15-18). Il significato di questo fatto è straordinario; per fare

parte della famiglia di Abramo non serve la circoncisione, non serve essere ebreo; serve avere fede al di là di qualsiasi

opera o rito, compresa la circoncisione.

Questa beatitudine è soltanto per i circoncisi o anche per gl'incirconcisi?

La beatitudine del perdono dei peccati (cfr. Salmo 32:1, 2) chiede Paolo al suo interlocutore immaginario, è solo per i

giudei o anche per i gentili? Come abbiamo notato sopra, l’uso del termine circoncisione non è casuale. Paolo sa che c’è

una parte della chiesa che esige la circoncisione dei gentili per fare parte dei Cristiani. Paolo sta chiedendo in pratica se

il non circonciso può essere salvato. In altre parole, il gentile che si converte a Cristo deve essere circonciso (cfr. Atti

15:1, 2).

Infatti diciamo che la fede fu messa in conto ad Abraamo come giustizia.

La risposta inizia con il punto elaborato nell’ultima sezione. Riprendendo Genesi 15:6 Paolo ripete che la fede giustificò

Abramo. Abramo dunque non si sottomise alla circoncisione per essere giustificato, come volevano i rabbini e i

giudaizzanti della chiesa, che attaccavano Paolo.

In quale circostanza dunque gli fu messa in conto? Quando era circonciso, o quando era incirconciso? Non quando era

circonciso, ma quando era incirconciso;

Ora Paolo chiede al suo interlocutore quando fu giustificato. Era circonciso quando fu giustificato, al momento di

Genesi 15:6? Paolo ripete due volte il concetto di circonciso e incirconciso quasi per essere certo di essere compreso. In

Genesi 15:6, quando venne giustificato era incirconciso. Quindi la circoncisione non è essenziale alla giustificazione,

alla salvezza.

poi ricevette il segno della circoncisione, quale sigillo della giustizia ottenuta per la fede che aveva quando era

incirconciso,

Abramo fu circonciso in seguito, (secondo i rabbini 29 anni dopo, comunque almeno 14, cfr. Genesi 17) e secondo

Paolo, la circoncisione era il sigillo della giustizia ottenuta per fede. In altre parole la circoncisione era una conferma

della sua salvezza o giustificazione (un po’ come il battesimo nostro). Il punto è che fu circonciso dopo essere stato

giustificato e non prima. Va notato il nuovo significato che Paolo dà alla circoncisione di Abramo. E’ in completo

contrasto con i rabbini che vedevano la circoncisione solo come simbolo del patto tra Israele e Dio che comunque lo

stesso Dio ribadì in Genesi 17:11).

Prima di andare avanti ascoltiamo il commento dello Stott:

40

Quindi Abramo ricevette due distinti doni da Dio, la giustificazione e la circoncisione e in quell’ordine.

Prima ricevette la salvezza per fede mentre era ancora incirconciso. Secondo, ricevette la circoncisione

come segno visibile e sigillo della giustificazione che era già sua. E’ la stessa cosa con il battesimo.

Lasciamo da parte la questione discutibile se l’analogia tra la circoncisione e il battesimo legittimi il

battesimo dei bambini di genitori credenti, l’ordine degli eventi è chiaro per i convertiti adulti. Prima

siamo giustificati per fede, e poi siamo battezzati come segno o sigillo della nostra giustificazione. Ma

dobbiamo mantenere il giusto ordine, e dobbiamo anche chiaramente distinguere tra il segno (battesimo) e

la cosa rappresentata (la giustificazione). Come scrisse bene Hodge “ciò che risponde bene come segno, è un

sostituto miserabile della cosa che deve rappresentare.”13

Uno potrebbe chiedersi allora che la circoncisione serve per sigillare l’avvenuta salvezza?

affinché fosse padre di tutti gl'incirconcisi che credono, in modo che anche a loro fosse messa in conto la giustizia;

Ma Abramo era una persona speciale. Essendo giustificato prima di essere circonciso divenne padre di tutti i credenti

non circoncisi, giustificati anche loro per fede e senza circoncisione.

e fosse padre anche dei circoncisi, di quelli che non solo sono circoncisi ma seguono anche le orme della fede del

nostro padre Abraamo quand'era ancora incirconciso.

Ma è padre anche dei giudei circoncisi. Di questo i giudei non avevano dubbi. Ma Paolo qui fa una precisione che

ricalca quella di Gesù in Giovanni 8:35 ss. Abramo non è padre di tutti i giudei, ma solo di quelli che seguono Abramo

nella fede, ossia sono giustificati per fede. Come per Gesù, così per Paolo, Abramo è il padre solo di quelli che credono,

giudei o gentili. In pratica Paolo si riferisce ai giudei convertiti a Cristo. Ora per i giudei Abramo era il grande divisore

tra loro e gli altri. Per Paolo, Abramo unisce. Ciò che la circoncisione divide, la fede unisce (o dovrebbe!).

iii. Fede, la promessa e la legge (4:13-22)

Andando avanti sul discorso di Abramo, Paolo introduce un nuovo termine, la promessa. Qui abbandona lo stile di fare

domande ad un imaginario interlocutore, ma va avanti diritto con frasi categoriche. La promessa appare per la prima

volta in questa lettera e quale promessa è! Quella di essere eredi del mondo! L’idea di promessa è il filo che lega questo

passo. Il secondo concetto è che questa promessa è ottenuta dalla fede e non da altri mezzi. E infine questo passo

rimarca di nuovo la figura di Abramo come padre di tutti i credenti e descriverà la sua fede.

Infatti la promessa di essere erede del mondo non fu fatta ad Abraamo o alla sua discendenza in base alla legge, ma in

base alla giustizia che viene dalla fede.Perché, se diventano eredi quelli che si fondano sulla legge, la fede è resa vana

e la promessa è annullata;

Il diventare eredi del mondo non può basarsi sulla legge. In tale caso la fede non c’entrerebbe più nulla. La legge

richiede ubbidienza e se c’è merito, il premio è dovuto. Le promesse non valgono più, perché tutto è meritato o non

meritato. Con la legge, si è detto prima, tutto è dovuto (cfr. vs. 4). La legge dice –Fai! E noi dobbiamo fare. Se non

facciamo veniamo meno. La promessa dice-farò! E chiede solo che noi crediamo. Anche in Galati 3 lo stesso argomento

è fatto da Paolo sul rapporto fede/opere/legge, ma lì mette in evidenza il fatto che la legge venne 430 anni dopo la

promessa ad Abramo. E la legge non può annullare la promessa fatta molti anni prima.

poiché la legge produce ira; ma dove non c'è legge, non c'è neppure trasgressione.

La promessa sarebbe anche annullata perché la legge produce ira. Altro che benedizione! L’ira avviene perché c’è

disubbidienza alla legge. E nessuno può ubbidire alla legge! E dunque per la legge non ci sarebbe stato, né poteva

esserci, alcun erede. Solo ira! Dove non c’è legge non può esserci ira, perché non c’è trasgressione della legge. Si noti

Paolo usa il termine trasgressione e non. Il peccato c’è anche senza legge (cfr. 3:21), ma la trasgressione della legge no.

Questa può solo esserci se c’è la legge! Questo è lo stato di Abramo. Non c’era legge e non c’era circoncisione e non

c’era trasgressione; c’era sol fede.

13 Stott, 129

41

Perciò l'eredità è per fede, affinché sia per grazia;

L’eredità del mondo, questa gloriosa promessa escatologica, è data per fede, per grazia. E’ un regalo di Dio a quelli che

credono. Qui, come spesso accade in Paolo, le parole fede e la grazia sono associate insieme. I doni di Dio sono dati al

suo popolo per grazia; sta a noi prenderli per fede.

in modo che la promessa sia sicura per tutta la discendenza; non soltanto per quella che è sotto la legge, ma anche per

quella che discende dalla fede d'Abraamo.

Un regalo per tutta la discendenza (letteralmente seme) di Abramo. E’ sicuro perché è una promessa di Dio, non una

cosa da guadagnare per le opere della legge. La promessa è anche per quelli sotto la legge (ovviamente i circoncisi

credenti) e quelli non circoncisi ma che credono. Si noti qui come per Paolo sia importante l’unità dei credenti gentili e

giudei. Per lui siamo una sola discendenza.

Egli è padre di noi tutti (com'è scritto: «Io ti ho costituito padre di molte nazioni»)

Paolo ribadisce che Abramo è padre di tutti noi, volendo significare con il noi gentili e giudei, ovviamente credenti, che

abbiano fede. (Ancora notiamo il tema dell’unità.) Dio lo ha stabilito secondo Genesi 17:5. Osserviamo il tempo verbale

di questa promessa (Io ti ho costituito). Già per credere alla promessa ci vuole fede, ma la promessa è già compiuta agli

occhi di Dio. Questa è la fede che Paolo ora vuole descrivere. Fede non può essere un semplice assenso mentale. La

fede di Abramo non lo era; e non lo deve essere neanche la nostra. La fede deve credere che il futuro è già nostro.

davanti a colui nel quale credette, Dio, che fa rivivere i morti, e chiama all'esistenza le cose che non sono.

La fede di Abramo è in un grande Dio. Abramo crede in un Dio che fa rivivere i morti. Non sappiamo quando Abramo

avesse visto Dio fare un tale miracolo; ma ci crede. Comunque Paolo riprende un concetto noto nel giudaismo (cfr.

Deuteronomio 32:9; 1 Samuele 2:6). Poi crede in un Dio che chiama all’esistenza cose che non sono. E’ il Dio della

creazione, che crea dal nulla. La fede nella salvezza è la fede in un Dio molto molto grande. Un Dio che ha dimostrato

la sua grandezza nella risurrezione di Gesù (cfr. Efesini 1:17 ss.). Questa fede Abramo dimostrerà di averla (cfr. Ebrei

11:27).

Egli, sperando contro speranza, credette, per diventare padre di molte nazioni, secondo quello che gli era stato detto:

«Così sarà la tua discendenza».

Abramo aveva una promessa in cui credere; la promessa era di diventare padre di molte nazioni. La sua discendenza

doveva essere quanto le stelle del cielo o la sabbia del mare. Il problema era che non riusciva nemmeno a diventare

padre di un figlio. Umanamente non c’era speranza, come spiegherà sotto. Ma lui sperava lo stesso. La fede dunque è

caratterizzata dalla speranza, speranza che non dipende dalle circostanze, ma dalla promessa di un grande Dio. La

speranza cristiana ha la sua certezza in Dio!

Senza venir meno nella fede, egli vide che il suo corpo era svigorito (aveva quasi cent'anni) e che Sara non era più in

grado di essere madre;

Qui Paolo mostra le due realtà. Prima la realtà visiva che si toccava con mano. Il suo corpo era svigorito, incapace di

procreare. Non c’era da meravigliarsi poiché aveva quasi cento anni. Sara, già sterile da giovane, era in menopausa da

anni. Questa realtà diceva a tutti che non era possibile avere nemmeno un solo figlio, altro che generare una nazione di

figli. L’altra realtà è quella della fede. E Abramo non venne meno alla fede, continuava a credere, anche se tutto gli

diceva il contrario; perché Dio gli confermava la promessa.

davanti alla promessa di Dio non vacillò per incredulità, ma fu fortificato nella sua fede e diede gloria a Dio,

Abramo non vacillava, non lasciava posto ai dubbi, come sarebbe stato naturale. Sicuramente ciò non vuol dire che

Abramo non abbia mai avuto qualche dubbio. Ma non era un atteggiamento di dubbio costante o profondo del tipo

descritto da Giacomo 1:6-8. Qui vediamo due armi contro il dubbio. Prima di tutto fu fortificato, ovviamente da Dio.

Dio non ti lascia solo nella desolazione naturale. Ti incoraggia ad andare avanti in attesa della risposta. In diverse

occasioni Abramo fu fortificato dall’intervento di Dio. Questo crea in lui l’esperienza (cfr. 5:4). Sa che quello che Dio

ha fatto in passato lo può fare ancora.

42

La seconda arma è quella della lode. Abramo davanti al suo corpo vecchio, al corpo della moglie sterile, dava gloria a

Dio. La fede di cui parla Paolo dunque viene incoraggiato da Dio e richiede la lode del credente. In merito ascoltiamo il

commento di Calvino14

Ricordiamoci anche che la condizione di noi tutti è simile a quella di Abramo. Tutto intorno a noi è in

contrasto alle promesse di Dio. Egli promette immortalità; noi siamo circondati di mortalità e corruzione.

Lui ci dichiara coperti di giustizia, noi siamo coperti di peccato. Lui dichiara di essere generoso e gentile

verso noi; giudizi esterni minacciano la sua ira. Che dobbiamo fare? Dobbiamo con occhi chiusi prescindere

da noi stessi e tutto ciò che è collegato con noi, che nulla possa impedirci da credere che Dio è verace.

pienamente convinto che quanto egli ha promesso, è anche in grado di compierlo.

Paolo ha parlato di fede e speranza. Ma qui aggiunge la convinzione. Abramo era convinto, con la mente e con

l’intelligenza, che il grande Dio era in grado di compiere le sue promesse. E’ importante comprendere che la fede non è

un atto cieco, ma anche un atto di intelligenza che si basa non sulla visione naturale, ma sulla certezza della potenza di

un grande Dio d’amore. Non si basa sui sentimenti o su ciò che noi vediamo, ma nella convinzione che un Dio immenso

ci ama.

Perciò gli fu messo in conto come giustizia.

Perciò, per questa fede fatta di speranza e convinzione in un grande Dio gli fu messo in conto come giustizia. La fede

che dà la salvezza è una fede robusta e viva. Altro che semplice assenso come accusavano i giudaizzanti. E’ una fede

che spera contro speranza, che viene fortificata, che dà gloria a Dio e che è piena convinzione mentale. Questa fede fu

mostrata da Abramo quando si preparò per sacrificare Isacco.

iv. La Fede di Abramo, e la fede del Cristiano (4:23-25)

Or non per lui soltanto sta scritto che questo gli fu messo in conto come giustizia, ma anche per noi, ai quali sarà pure

messo in conto;

Paolo tira le somme di questa lezione. Questo discorso di fede di Abramo non è fine a se stesso ma diventa il paradigma

di ogni credente. Come Abramo ha creduto, anche noi crediamo. E quando noi crediamo ci viene messo in conto di

giustizia.

per noi che crediamo in colui che ha risuscitato dai morti Gesù, nostro Signore,

Anche noi crediamo che Dio ha risuscitato Gesù dai morti. Questa fede è anche in noi robusta e viva, una convinzione

certa, che crea in noi la lode. La nostra fede non si basa su illusioni! Ma sulla base del potente Dio che ha risuscitato

Gesù, che ha fatto rivivere i morti.

il quale è stato dato a causa delle nostre offese ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione.

La fede intelligente crede che Gesù è morto per i nostri peccati (cfr. Isaia 53:12. Ed è stato risuscitato da Dio, Paolo

conclude, per la nostra giustificazione. E’ difficile comprendere cosa c’entri la risurrezione con la giustificazione;

tuttavia la migliore interpretazione è che la risurrezione di Gesù rappresenti l’accettazione da parte di Dio del suo

sacrificio. Il perdono dei peccati è stato acquistato e donato a chi crede. La risurrezione garantisce questo.

Termina qui il discorso di Paolo sulla giustificazione per fede. Paolo ha dipinto il peccato di tutti, giudei e gentili. Tutti

sono sotto il giudizio di Dio. Ma Dio giustifica (rende giusto) il malvagio per l’opera sacrificale di Gesù. Il credente,

giudeo o gentile che sia, riceve questa giustificazione per fede, una fede forte e vivente. E ‘dunque unito nella

discendenza (il seme) di Abramo e insieme a lui attende l’eredità promessa. Tutto questo è chiaramente indicato

nell’Antico Testamento di cui Paolo dà una lettura rivoluzionaria.

14 Riportato in Moo, 284