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ROCCO SCOTELLARO * Rocco Scotellaro è morto il 15 dicembre 1953, quando aveva appena trent'anni. Oggi ne avrebbe cinquanta, sa- rebbe nel pienb della sua maturità, partecipe della nostra vita e dei nostri problemi. Nel guardare a lui e anni in cui ha vissuto ed ope- rato, provo due sentimenti opposti_ La sua figura e le sue vicende mi appaiono insieme particolarmente lontane e particolarmente vicine. - Da un lato mi vien naturale, e credo che lo stesso av- venga a molti di voi, di guardare a lui col distacco col quale si guardano gli uomini del passato, le epoche concluse. Dal- l'altro, vent'anni dopo, sento la sua straordinaria attualità, la stessa attualità che hanno per ciascuno di noi i pochi uomini la cui esistenza, per il messaggio loro proprio, si intreccia con quanto di più attuale e profondo è in noi. E quando dico non intendo - e sono certo di dire il vero - soltanto noi che eravamo più vecchi di lui, quan- d'era in vita, o i suoi coetanei, oggi nella maturità, ma i giovani, almeno i giovani meridionali che in lui 'si ricono- scono, conoscendo se stessi. Se, a distanza di vent'anni dalla sua morte, vogliamo, quindi, a questa rievocazione dare il significato e la dimen- sione - come si dice oggi - che soli le convengono, dob- biamo spiegare a noi stessi le ragioni di quel distacco e di quella attualità; il valore attuale degli anni ormai lontani e conclusi in cui egli è vissuto, il valore per i giovani d'oggi del suo messaggio poetico e civile . ... Pubblicato col titolo Rocco Scotelfaro vent ' anni dopo in «Nuova An- rologia», maggio 1974. .. I d; I fel,hf.:o

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Page 1: il · 2018. 10. 5. · gioniero di un altro convento di Cappuccini a Cava dei Tir reni, infine il peso di far da istitutore in un collegio a Tivoli per guadagnare qualcosa per finire

ROCCO SCOTELLARO *

Rocco Scotellaro è morto il 15 dicembre 1953, quando aveva appena trent'anni. Oggi ne avrebbe cinquanta, sa­rebbe nel pienb della sua maturità, partecipe della nostra vita e dei nostri problemi.

Nel guardare a lui e ~gli anni in cui ha vissuto ed ope­rato, provo due sentimenti opposti_ La sua figura e le sue vicende mi appaiono insieme particolarmente lontane e particolarmente vicine. -

Da un lato mi vien naturale, e credo che lo stesso av­venga a molti di voi, di guardare a lui col distacco col quale si guardano gli uomini del passato, le epoche concluse. Dal­l'altro, vent'anni dopo, sento la sua straordinaria attualità, la stessa attualità che hanno per ciascuno di noi i pochi uomini la cui esistenza, per il messaggio loro proprio, si intreccia con quanto di più attuale e profondo è in noi. E quando dico <<noi~ non intendo - e sono certo di dire il vero - soltanto noi che eravamo più vecchi di lui, quan­d'era in vita, o i suoi coetanei, oggi nella maturità, ma i giovani, almeno i giovani meridionali che in lui 'si ricono­scono, conoscendo se stessi.

Se, a distanza di vent'anni dalla sua morte, vogliamo, quindi, a questa rievocazione dare il significato e la dimen­sione - come si dice oggi - che soli le convengono, dob­biamo spiegare a noi stessi le ragioni di quel distacco e di quella attualità; il valore attuale degli anni ormai lontani e conclusi in cui egli è vissuto, il valore per i giovani d'oggi del suo messaggio poetico e civile .

... Pubblicato col titolo Rocco Scotelfaro vent'anni dopo in «Nuova An­rologia», maggio 1974.

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Font monospazio
Riprodotto da: Manlio Rossi-Doria, Gli uomini e la storia. A cura di Piero Bevilacqua. Roma-Bari, Laterza, 1990
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176 GLI UOMINI E LA STORIA

Vedo tra voi uomini e donne che l'hanno conosciuto ed amato, per i quali il ricordo della sua breve vita è tanto vivo da non avere bisogno di essere rievocato. Per gli altri > tut­tavia, che non l'hanno conosciuto, e particolarmente per i giovani e i giovanissimi, per i quali Rocco è solo leggenda o ricorclo commosso di letture delle sue poesie e dei suoi libri, il raccanto delle vicende della sua vita è necessario.

Per Rocco, infatti, vita ed opera fanno tutt'uno: non si può intendere l'opera se non se ne conosce la vita. Ma vor­rei dir di più, la rievocazione di lui e la ricerca delle ragioni profonde della sua attualità fanno anch'esse un tutt'uno. Passato e presente debbono, di necessità, essere uniti in questo discorso, nel quaJe, se parlerò di lui, giovane di ieri, non posso non parlare insieme dei giovani di oggi.

Dei trent'anni di Rocco, venti sono stati quelli di un ragazzo.

Un ragazzo che ha avuto lo stesso destino di tanti altri ragazzi di Basilicata e dell'intero Mezzogiorno, allora ed oggi. Con le differenze effimere eli un'epoca cambiata, il destino dei ragazzi meridionali è oggi quasi lo stesso di ieri, nonostante siano passati quarant'anni.

Era figlio di povera gente eli Tricarico. Il padre calzo­laio, emigrato da giovane, morto quando Rocco aveva di· ciott'anni. La madre, intelligente e sensibile, chiusa in casa alla macchina da cucire, ad accudire alla famiglia, a chiac­chierare con le altre donne del vicinato, a fantasticare den ­tro di sé. Ha dovuto affrontare, quindi, per studiare, prima le durezze di un povero pensionato di Potenza, poi l'umi· liazione di vestirsi da monaco e di rinchiudersi nella mise· ria del piccolo convento alto e solitario eli Sicignano degli Alburni, poi l'insofferenza dello studente adolescente pri­gioniero di un altro convento di Cappuccini a Cava dei Tir­reni, infine il peso di far da istitutore in un collegio a Tivoli per guadagnare qualcosa per finire gli studi. Tra l'una e l'altra di queste prigionie, i brevi ritorni a casa, al paese . Erano ritorni alla libertà della fanciullezza , mescolarsi ai giovani, ritrovare il mondo suo, stare coi contadini , accen· dersi ai primi amori , tormentarsi delle miserie della vita paesana, immergersi nel paesaggio amato e neIJa natura.

Ritorno aI bugigattolo del mio paese dove siamo gelosi l'uno dell'altro: sarà la notte insonne nell'attesa

J

ROCCO SCOTELLARO

delle cascine imbianchite dall'alba. Eppure è una gabbia sospesa nd libero cielo la mia casa.

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Rileggetevi le prime cinquanta pagine dell ' Uva putta­ne/la e di quella vita di ragazzo - fatta di prigionia e di libertà, della dura esperienza dei poveri eli paese, che guar­dano da lontano, con gli occhi del desiderio, il mondo reale senza viverci dentro - comprenderete la straordinaria ric· chezza interiore e la immediata poetica verità.

Gli anni difficili nei quali aveva preso la sua licenza ginnasiale e liceale erano stati cosl per lui anni solitari di studio intenso, oltre che di fantasia. Nelle scuole conven­tuali) che aveva frequentato, aveva acquistato una profon­da cultura classica e letreraria, fatta più sui grandi autori greci e latini oltre che italiani, che sui moderni: una cui tu· ra, si potrebbe dire, simile a quella dei meridionali del se­colo scorso, d'un De Sanctis ragazzo, per intendersi.

A buttarlo nel mondo reale ci pensò la guerra, che lo fece ritornare tra la Sua gente, al suo paese, quando tuttO crollava. In quegli anni terribili, il ragazzo si trovò d'un tratto uomo, e ctell'uomo fu costretto a prendere, con forza e coraggio, intera la responsabilità e la serietà.

L'amico Mazzarone ha ritrovato tra le carte gli appunti incompleti per un discorso che Rocco tenne, non so se nel 1946 o '47 , a un convegno giovanile del Fronte popolare . Nella rievocazione di lui politico e uomo, a me affidata, quest ' oggi, è opportuno rileggere alcuni di quegli appunti.

Benedetto Croce subi to dopo la guerra - è detto in un fo-­gUetto scritto con la sua calligrafia chiara e matura - scrisse che i giovani hanno un solo fondamentale problema: di maturare, di diventare adulti, di passare dalla fiori tura aI frutto.

Non so più dire quanto questa elementare verità mi sconvoI· se, a suo tempo, mentre i giovani tornavano laceri e senza spe­ranza dai campi di battaglia e di prigionia nei paesi e neHe città distrutte e i loro problemi erano il vestito, un pane e un tetto, mentre i giovanissùni restavano atterriti nella fame, nella deso­lazione e nella disgrazia, con le domande insoddisfatte sul perché di tante sciagure.

Sebbene siano crudeli come tutte le verità e sebbene ci ab· bi ano sconvolti quando le sentivamo, oggi si possono accettare senz'altro quelle parole: sempre i giovani hanno dovuto e devono maturarsi al clima del loro tempo.

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178 GLI UOMI!\1 E LA STORIA

E dopo avete detto questo e ricordato a modello del clima del Risorgimento la figura dì Luigi La Vista, caduto sulle barricate a Napoli il J 5 maggio 1848, chiaramente po­neva a sé e ai suoi compagni le stesse domande che i giovani pongono oggi a se stessi:

"Qual è il clima del nostro tempo? Non soltanto per fare una scelta di ideale e di vita, ma per diventare sodal­mente maturi? E più generalmente quale mestiere faremo? Quali porte si sono aperre? Quale è la struttura della so­cietà in questa Italia scombinata, divisa, in cui alle diffe­renze regionali di antica eredità si sono aggiunte le inimi­cizie e le lotte a coltello?».

Altrettanto chiara era la risposta egli allora dava a gueste domande, con riferimento al clima del suo tempo, diverso, ovviamente, da quello di oggi.

<<1 giovani sanno che questa è l'ora della creazione della democtàzia e spetta ad essi il maggior contriburo perché la lotta per la democrazia coincide con il loro ingresso nella vita del lavoro, che è coscienza della propria storia.» Pro­pone, quindi, che d. quel convegno eSCano esaltati «tutti i problemi che riflettono la necessità di un risveglio della ventù, che eliminino la sfiduda, la povertà di decisione e facciano dell'inquietudine giovanile un' ansia viva di rinno­vamento»,

Sembrano parole di occasione. Per lui erano, invece, la cosciente ria,ffermazione di quanto aveva coraggiosamente fatto nei due o tre anni precedenti a quel Convegno. Gio· vane di ventun~anni, s'era trovàto, infatti; neI 1944) ad affrontare, alla testa dei contadini di Tricarico, la vecchi. dasse dirigente sconfitta ed impaurita, e, eletto sindaco nella primavera del 1946, il più giovane sindaco d'Italia, a darsi carico, nel momento fiù duro e difficile, di tutti i problemi piccoli e grandi de suoraese, ehe erano allora gli stessi di guelli di tutti i paesi de Mezzogiorno d'Italia.

La storia dettagliata della vita comunale e sociale di T ri­carico, negli anni in cui Rocco fu sindaco e capo di una coalizione non frontista, non è stata ancora ricostruita e scritta, e medterebbe eli esserlo.

Da quel che ne sappiamo, dai pochi documenti consul­tati e dai racconti oltre che suoi di quanti gli furono vicini in quegli anni, due linee appaiono aver guidato con succes­so la SUa azione: la puntigliosa regolarità democratica di

ROCCO SCO'fELLARO 179

l1n;operosa amministrazione comunale; la diretta parteci­pazione dei contadini nella condotta sia delle guestioni am­ministrative, che delle questioni essenziali della loro esi­stenza, ossia delle questioni della terra.

Ho Ietto con commozione in questi giorni alcuni docu­menti del tempo ritrovati tra le molte e disordinare carte recuperate: tra gli altri la lettera di dimissioni da sindaco del 2 giugno 1948, portata d. lui a conoscenza della popo­I"zione, e la relazione con la guale, pochi giorni dopo ne illustrava i motivi al comitato provinciale del Fronre popo· lare di Malera. Non è il caso eli entrare nei dettagli di documenti che converrà pubblicare. Ma l'ultimo patagrafo della relazione, nel quale si illustrava l'opera svolta nei due anni della sua amministrazione, va qui letta. per compren­dere l'enorme lavoro, l'entusiasmo, la concretezza dell' o­pera sua,

Ed è pure utile egli scrive - che io accenni per sommi capi a quello che abbiamo fatto: Risanato il biLlncio; eseguito lavori di strade di campagna; condotti in economia i servizi deUa nettezza urbana e delle imposte di consumo; [",] riuscite pressioni per la costruzione di un ponte sul Bilioso) richiesto dai contadini da più di Cento anni: imposizione LuI del problema dell'edificio scola­stleO [, .. ]. Abbiamo riaHittato zone di pascolo, eliminando l'in­curia solita delle vecchie amministrazioni, procurando altre en* trate al Comune, Abhiamo) persino) imposto sacrifici ai picco1i Bttuari di terreno del Comune attraverso contratti con essi per la fissazione di un canone in grano adeguato al prezzo variabile di esso. Vi sono state le concessioni delle terre, che hanno tratto dalla fame più di cento poveri braccianti. Abbiamo l,,'] accertato il numero dei capi di b~stiame, denunciato superficialmente da parte dei responsabili, E stata istituita una refezione scolastica frequentata da 400 alunni. Sette corsi popolari serali, mantenuti da noi contro i due mantenuti dal Ministero, Abbiamo rigida­mente controllato i prezzi ricorrendo ad azioni extra-amministra­tive L .. l Ci siamo interessati di tutti i problemi del popolo lavo­ratore che non erano problemI amministrativi.

Abbiamo dato infine la possibilità del funzionamento di un ospedale a Tricarico. Sarebbe inutile dllungarsL Ho fiducia che mohu ancora potrà essere fatto.

Ma non è tutto qui. Nella stessa relazione c'è una frase che mostra la natura e la intensità suo impegno in que~ gli anni. "Non vi è stato mai un legame tra la base e il Comune, se non nel senso ehe io personalmente dovevo

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essere nello stesso tempo il Sindaco. l'organizzatore sinda­cale e politico. l'assistente sociale.»

In quegli stessi anni, d'altra parte, s'era impegnato a fondo nella organizzazione regionale della Federazione gio­vanile del Psi sino ad essere nominaro il 23 gennaio 1947 ispettore regionale per il lavoro giovanile in Basilicata. Una sua circolare ai compagni del 5 febbraio dello stesso anno mostra con quale spirito egli aveva preso su di sé il peso di questa diversa e più larga attività. «Pue non essendomi mai direttamente interessato del lavoro giovanile, convinto co­me ero che non esiste un socialismo del diciottenne diverso dal socialismo del cinquantenne, ho grande fiducia che at­traverso un 'azione energica e tempestiva [ ... ] si dovrà ar­rivare ad un reclutamento nel Partito di tutte le giovani forze della regione.»

E. dopo avere tracciato un preciso programma di lavo­ro, la circolare concludeva:

11 Partito vuol darsi un'organizzazione efficiente perché di­venga davvero lo strumemo più qualificato di difesa degli inte­ressi della classe lavoratrice . Particolarmente in Lucania, dove la nostra esistenza è indispensabile per la genuinità del movimento operaio, per il suo rafforzamento, per le lotte sociali che è chia­mato a sostenere, noi giovani abbiamo una funzione preminente da svolgere nel Partito. Il Partito che ieri era, ed oggi potrebbe ancora essere, per tal uni il mezzo per organizzare le proprie clien­tele elettorali e professionali, può e deve essere vivificato da noi giovani, decisi come siamo a romperla definitivamente con le vec­chie classi dirigenti locali , a non ricalcarne le piste dei loro calcoli, dei loro interessi.

È bene che la nostra azione [ ... ] non si riduca ad un nocivo atteggiamento di settarismo, ma sia rivolta unicamente a far com­prendere [ ... ] quanto sia più utile oggi unirsi e combattere assieme per un avvenire più dignitoso dei giovani e di tutta la classe la­voratrice.

A questa intensa attività politica e pratica - che Rocco legava ora per ora al suo lavoro segreto e più caro di scrit­tore e di poeta (sono di quegli anni le poesie più belle, i racconti e gli appunti che gli serviranno più tardi per la prima parte dell 'Uva puttane/la) - si aggiungeva l'inrermi­nabile minutafarica di dare retta a tutti anche per le pic­cole cose, in ogni momento della giornata e anche della notre. Ricordate il sogno che lo assilla una notte, in pri-

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gione, nel 1950, raccontato in una delle pagine dell 'Uva puttane/la?

La mia liberrà del sogno era quella reale che avevo vissuta: a ogni passo la gente mi fermava nella strada, da uno passavo ad un altro. - Una cosa, - Una preghiera, - Un fatto importante, -Il certifica to, - Il libretto di lavoro, - Il lavoro, - L'elenco dei poveri, - I medicinali , - La casa che sorge acqua dalla strada. - La lampada alla latrina, - La tassa bestiame, - 11 bilancio preventivo, - L'orario della corriera, - Mancano quattro ban­chi, - Un'altra lavagna, - Il custode al cimitero, - Tizio ha parlato male di te, ha detto «basta eccetera», dopo te lo dico, ha bruciato gli ossi dei morti, - Facciamo le guardie consorziali, -Dammi un posto qualunque, - Solo a me non mi avete dato il sussidio, tutti lo prendono, - Quando tutto si vuole, tutto si fa , - La domanda l'hai messa a dormire? ... E le mie infinite risposte e mia madre che dalla finestra diceva loro : - Favorite -, e rien­trando a me: - Neanche pace quando si mangia -. E gli amiCi che commentavano: - Meglio essere fesso e non sindaco -. E io non potevo dare torto a nessuno.

Sono stati per Rocco i quattro anni dal 1944 al 1948 tutta una vita, gli anni nei quali l'esperienza della fanciul­lezza e dell'adolescenza si è continuata ed arricchita con l'esperienza diretta dei contadini risvegliati e antichi, con la loro matura coscienza fatta insieme di tradizioni, di ras­segnazione e di rivolta, dei contadini impegnati neHa oc­cupazione delle terre, nella conquisra dei loro diritti, nella partecipazione politica, nella volontà e insieme nella inca­pacità di organizzarsi, di acquistare forza , uniti eppur di­visi dalle tante differenze, diffidenza, gelosie che ci sono sempre tra loro. Ma di questo, se il discorso non sarà trop­po lungo , parleremo dopo, perché è proprio il suo messag­gio contadino che fu e resta - in un mondo tanto cambiato - l'essenza polirica e pratica dell'opera di Rocco Scotel­laro, che ce lo fa ruttora maesrro, e capo della rinascita del Mezzogiorno.

Lo chiamavano in quegli anni il «sindaco discolo» e in un appunto per un convegno di sindaci di sinistra a Brin­disi, credo del 1950, c'è il programma e la rraccia di quesra sua guida ideale di capo con radino.

Abitudine alla collaborazione. Difesa delle libertà comunali: solo noi sindaci di sinistra ... L'apprendimento della vita: i nostri maestri sono i contadini.

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Essere del mondo contadino: consiglio ai maestri , ai profes­sionisti.

La ribellione e il perdono. La pace e il lavoro. Orgacùzzazione dd1e energie di questo mondo ...

Difesa delle libertà e della pace.

In quegli stessi anni è il suo incontro con Carlo Levi. Il Cristo si è fennato a Eboli, composto a Firenze in piena clan­destinità tra il dicembre 1943 e il luglio '44, otto anni dopo il confino di Levi a Grassano ed Aliano, è stato pubblicato a metà del 1945, quando ancora i suoi amici e compa­g?i combattevano e morivano nel Nord nella guerra parti-gIana. \

Oggi quel libro è salito, o forse è stato sommerso, nel novero dei classici, e sta forse su molti scaffali tra I pro­messi sposi e Le confessioni di un italiano. Tradotto in tutte le lingue ha, tuttavia, più di ogni altro, contribuito a far acquistare dovunque coscienza della solenne, millenaria, drammatica vita dei contadini di tutto il mondo. Non so quanti lo abbiano riletto negli ultimi dieci anni. Ho l'im­pressione, infatti, che, come avviene per molti libri, sia pas­sato di moda, sia rimasto vivo, cioè, soltanto per coloro che cercano da soli la verità e la poesia.

Non è tuttavia fuor di luogo ricordare qui, oggi, cosa quel libro abbia rappresentato allora per Carlo che lo scris­se e per tutti noi che aUora lo leggemmo.

Nella lettera del '63 all'editore Einaudi che apre il libro nella «Nuova Universale», Levi ha raccontato le circostan­ze e l'animo con il quale lo scrisse, sotto l'occupazione te­desca, «i.n una casa di Firenze, rifugio alla morte feroce che percorreva le strade deUa città tornata primitiva foresta di ombre e di belve».

Ogni momento, allora - egli dice - poteva essere l'ultimo, era in sé l'ultimo e il solo: non v'era post~per ornamenti, espe­rimenti, letteratura: ma soltanto per la verita reale, neUe cose e al eli là delle cose [ ... l La casa era un rifugio: il libro una difesa attiva, che rendeva impossibile la morte. Non l'ho mai più riletto, intero, poi: del tutto obietrivato, mi è rimasto nella mente come una immagine giovanile di pura energia, indistruttibile dalle cose su cui si volge, melanconico e amoroso, il giudizio e lo sguardo.

Ricordate la prima pagina del Cristo: «Chiuso in una stanza e in un mondo chiuso, mi è grato riandare con la

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memoria a quell'altrO mondo, serrato nel dolore e negli usi, negato aUa Storia e allo Stato, eternamente paziente; a quella mia terra senza conforto e dolcezza, dove j) conta­dino vive, nella miseria e nella lontananza, la sua immobile civiltà, su un suolo arido, nella presenza della morte».

Per dare un'idea di quel che il libro rappresentò per i lucani e i meridionali, Rocco Mazzarone potrebbe raccon­tarvi, come ha raccontato a me, l'accoglienza e le reazioni che, nell'inverno tra il '45 e il '46, esso ebbe laggiù . Rocco Scotellaro ne fu affascinato e travolto e, leggendolo quat­tro anni dopo, di notte, ai diciotto compagni di galera neUa sua camerata della prigione di Matera, lo definl il «più ap­passionato e crudele memoriale dei nostri paesi,>.

Ma la più lucida testimonianza della straordinaria fun­zione che il libro ebbe è forse queUa che ne diede Guido Dorso nella recensione pubblicata sul «Nuovo Risorgimen ­to» di Vittore Fiore il 30 aprile 1946.

Poiché la rivelazione poetica è la più perspicua forma deU'in­tell..4tenza umana, il popolo nero che si addensa sulla desolate co­ste cleIl' Appennino lucano-calabro deve esser grato a quest'uomo del Nord, che, invece di scendere nei misteri del Sud con l'animo pieno di stupidi preconcetti di supremazia razzistica, non ha avu­to che cuore cuore ed ancora cuore, per intendere una realtà chiu­sa ed opprimente, che condanna tutta Ja civiltà meridionale ad una inferiorità permanente e non ha in se stessa forse sufficienti per evolvere. Infatti, il tratto che rivela l'intelligenza politica del Levi, è l'aver compreso che la borghesia terriera del Mezzogiorno continentale è ormai incapace di qualsiasi sforzo costruttivo per­ché, anch'essa risecchita e cristallizzata al vertice della società, incombe sul contadiname come l'occupatore nemico sul popolo dominato. Carlo Levi ha raffigurato questo quadro in termini poe­tici, e, forse, più ancora, pittorici, secondo il suo genio partico­lare , ed è probabile che il libro venga in un momento particolar­mente felice deUa storia italiana, poiché oggi tutta la nazione sta ricercando in se stessa le cause della sua inferiorità politica, e si avvicina il momento in cui potrà imboccare non più la strada degli infecondi compromessi particolaristici , ma l'ampia strada della ri­costruzione integrale . In tali condizioni di cose, un'opera come quella del Levi può agevolare la comprensione della Questione meridionale assai più della teotizzazione politica.

Si comprende come e perché proprio in quegli anni, con le nuove esperienze e conoscenze, con la lettura di quello e di altri libri , con la diretta partecipazione, oltre che alla

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vita letteraria nazionale, alla lotta politica nazionale, l'o­rizzonte di Rocco ScateIlato e il suo impegno interiore ed esterno si sia straordinariamente allargato.

Il movimento contadino era, all'inizio del 1948, al pun· to più alto e organizzato, ma rivelava già i segni della crisi che lo arrestò di fatto due anni dopo. L'annuncio deUe e1e· zioni per il primo Parlamento italiano dopo la Costituente aveva scatenato dovunque una lotta durissima e frontale tra la democrazia cristiana e le Sinistre unite, senza rispar­mi di colpi.

La sensazione che si stesse in quei mesi giocando la bat­taglia decisiva, che avrebbe determinato in un senso o nel· l'altro il corso della nostra storia, era nella coscienza di tutti.

Rocco ne ebbe chiarissima la visione. In un appunto, non datato - che non so se riferire alla vigilia delle eleo zioni dci 1948 O a quella delle amministrative dell' anno dopo - definl con estrema lucitlità la posizione che avreb­be assunto nella battaglia: una posizione critica, realistica e combattiva, molto diversa dalla posizione ufficiale sia dei comunisti che dei socialisti allora; una posizione anticipa­trice del giudizio che di quelle lotte gli storici cominciano oggi a dare.

Votare per le sinistre non è cos1 impegnativo come essere loro candidato . Sicché dovrò approntare gli schemi dei comizi. secon­do un'impostazione. la più lontana dai temi D.C. e comunisti.

Vorrei ricordare un po' la storia deIJa politica meridionalista. Nessun partito, né io, l'abbiamo mai altre volte raccontata ai con­tadini. Nessuno mi pare che intenda oggi raccontarla. Tranne la conclusione che, malgrado gli anni della democrazia dal '43 ad oggi, non si è costituita una eletta e moderna classe dirigente nel Sud . Dominata dalla dottrina dell'unità operai-contadini e daUa dottrina dello Stato benefico e paterno, la polemica meridionali­sta, cessata ed abbandonata con la scomparsa del P. d 'A. è invece ancora una via da battere.

Il Mezzogiorno è interessato da due fatti salienti: la politica di investimenti e di ruorma e le lotte contadine. Questi due fatti, che nella realtà possono mutare il volto in certe zone e in certi paesi, non hanno contribuito ad agevolare il processo di organiz­zazione deUa società meridionale.

Lo Stato e l'opposizione si scontrano nel Mezzogiorno come su un campo straniero: esse badano alle affrettate risoluzioni elet­toraliste, senza pensare a un piano organico di rinascita .

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.. Esistono iniziative interessanti per studiare i piani regionali. E, si può dire, un meridionalismo del tempo, un po' vuoto, ma­gari, fatto di umana speranza. Ma i piani regionali li fanno con la tecnica dell ' indifferenza politica alcune brave persone incapaci di azione e di volontà politica. Le assisi dei comunisti, malgrado l'imperizia e la demagogia, sono, in un certo senso, più significa­tive dei piani tecnici. Inoltre il pianificatore si basa sui preventivi di spesa indirizzati al Governo e allo Stato, senza riuscire a pro­vocare l'indirizzo del partito dominante verso le forme più de­mocratiche e più periferiche di realizzazione.

Essere present.i nel Mezzogiorno, in queste elezioni, significa ae;itare il problema dell'autonomia e della assistenza sociale, e, pIÙ direttamente, il problema dello Stato italiano.

Questa visione critica e concreta, che collegava inequi· vocabilmente la maturazione politica di Rocco alle correnti più serie del meridionalismo democratico e chiaramente la differenziava dalle posizioni e dalle tesi del partito comu· nista (al quale non volle mai aderire, preferendogli la mi· lizia nel meno consistente partito socialista), non tolse nul­la al suo impegno nella lotta unitaria delle Sinistre nella quale si buttò a corpo morto.

Per lui, come per tutti coloro che avevano condotto per quattro anni la lotta del movimento dei lavoratori, duris· simo fu , quindi, il colpo della vittoria democristiana il 18 aprile 1948. La rabbia e la disperazione dei contadini al· l'indomani di quel giorno sono indelebilmente espresse nel· la poesia Pozzallghera lIera il diciotto aprile, che tutti cono· scono.

Carte abbaglianti e pozzanghere nere ... hanno piuato la luna sui nostri muri sealcinati! I padroni hanno dato da mangiare queJ giorno, si era tutti fratelli, come nelle .feste dei santi abbiamo avuto il fuoco e la banda. Ma è finita, è finita, è finita quest'altra torrida festa siamo qui soli a gridarci la vita siamo noi soli nella tempesta. E se ci affoga la morte nessuno sarà con noi, e col morbo e la cattiva sorte nessuno sarà con noi.

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I portoni ce li hanno sbarrati si sono spalancati i burroni, oggi ancora e duemila anni porteremo gli stessi panni. Noi siamo rimasti la turba la turba dei pezzenti, quelli che strappano ai padroni la maschera coi denti.

GLI UOMINI E LA STORIA

Gli anni che immediatamente seguirono, se fecero emergere più alta e sicura la figura di Rocco capo-contadi­no, libero e rispettato, incorrotto e incorruttibile, ne fece­ro anche temere agIi avversari l'influenza crescente, e li indusse ad accelerare la costruzione dena trappola abomi­nevole nella quale farlo cadere. Già nella relazione citata al comitato provinciale del Fronte popolare dell'estate del' 48 Rocco denuncia la trama ordita contro di lui .

Il signor [tralascio il nome] democristiano monarchico di· chiara al maresciallo dei Carabinieri di avere saputo da un suo collega una mia presunta richiesta di denaro per avere la conces­sione della vendita delle lanerie UNRRA, dichiarazione smentita da tutti i cittadini interrogati dallo stesso maresciaUo. L'inchiesta - egli scrive ancora - non approda ad alcun risultato, ma la pressione è sempre intensa da parte della D.C . e dello stesso ma­resciallo apertamente democristiano da me denunciato per il suo comportamento durante le elezioni.

La macchina infernale, messa cos1 in moto, infatti non si ferma e 1'8 febbraio 1950 Rocco, che per le ragioni dette si era già dimesso da sindaco, viene arrestato, schiaffato nel carcere di Matera, dove resterà quaranta giorni sino al 25 marzo, quando sarà liberato con l'aperto riconoscimen­to della Sua innocenza.

Dobbiamo a questa infamia le pagine stupende dell ' ul­tima parte dell'Uva puttanella; dobbiamo ad essa la riele­zione trionfale di Rocco a sindaco di Tricarico; ma dob­biamo anche ad eSsa la seconda svolta della sua vita: la decisione di lasciare Tricarico e d'impostare la Sua vita su altra base, per i tempi cambiati, per i tempi lunghi che si prospettavano.

Comincia cos1 là terza più ... breve parte della sua vita, che va dal '50 sino alla morte. E la più nota perché a lungo ne ha parlato Carlo Levi nella introduzione alle poesie e

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all' Uva puttanella, ed io stesso nella introduzione alla prima edizione di Contadini del Sud.

Sono stati questi indubbiamente gli anni più attivi del suo lavoro letterario: mette ordine alle poesie, aggiungendo alle più antiche , da lui stesso scelte, molte nuove; scrive il racconto-romanzo; dedica gli ultimi mesi ai Contadini del Sud, le cui cinque storie sono solo l'inizio di un'opera con­cepita per dimensioni assai maggiori.

In questa mia rievocazione dell'uomo e del capo-con­tadino, non parlerò di proposito di Rocco poeta e scrittore, del quale altri oggi parlerà. La decisione di lasciare Trica­rico dopo essere uscito dal carcere di Matera, malgrado la sua trionfale rielezione a sindaco, corrisponde, oltre che a una ben comprensibile esigenza interiore, a una precisa e irrevocabile valutazione politica. Credo di non sbagliare se attribuisco, anzi, a questa valutazione politica peso deter­minante, nella sua decisione . Se cos1 non fosse non ci sa_o rebbe stato alcun bisogno di imprimere a quella partenza il carattere di un distacco e d'un radicale cambiamento, che a qualcuno, che non lo conosceva se non dall'esterno, ap­parve quel che non era, ossia abbandono e rinuncia alla lotta, nella quale era stato sino ad allora impegnato. Sareb­be stato possibile, infatti, per lui, come lo fu per altri in quegli anni, combinare in qualche modo i due diversi im­pegni; allargare, cioè, fuori del paese la sua esperienza e la sua maturazione e continuare ad essere presente a Tricari­co, come militante politico e perfino come sindaco , tra i suoi cittadini.

A determinare la sua decisione, fu, quindi, la valuta­zione politica che egli fece, nel 1950, del movimento con­tadino in Basilicata e in tutto il Mezzogiorno e delle pro­spettive che ad esso si ponevano. Malgrado il fatto che, all'esterno, il movimento contadino apparisse, ed effetti­vamente fosse in quel momento, più organizzato e combat­tivo. non c'era più la spinta interna ed autonoma, che lo aveva animato negli anni precedenti e che a lui era apparsa il solo terreno valido per costruire quella che egli chiamava «la libertà contadina». Le manifestazioni avevano assunto un carattere diverso e venivano sempre più largamente strumentalizzate dai partiti della sinistra, impegnati in una diffici le battaglia di retroguardia.

Per comprendere quale fosse allora lo stato d 'animo dei

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contadini e dello stesso Rocco che, dopo essere stato con loro nei momenti più duri, se li era ritrovati compagni di prigionia nel carcere di Matera, basta rileggere le pagine dell'Uva puttane/la, nelle quali Rocco descrive l'arrivo in Carcere dei contadini di Matera e di Montescaglioso, arre­stati per l'occupazione di terre; la loro lunga e dura prigio­nia, abbandonati da tutti; le sue meditazioni nel corso delle lunghe notti insonni.

Rocco non poteva accettare la sconfitta, ma nello stesso tempo doveva guardarla in faccia, senza illusioni, ricono­scendola quale essa già era e quale si sarebbe inevitabil­mente dimostrata in seguito e trarne le conseguenze, Il grande moto del risveglio contadino, interrotto nel momen­to in cui aveva preso consistenza e si andava aUarganclo, se non si voleva vederIo interrotto, non avrebbe più potuto continuare nella forma delle ingenue lotte senza avvenire dei primi anni, né tanto meno cadere odia strumentalizza­zione elettorale dei partiti politici, Per esserne partecipi e portarlo avanti bisognava conquistare altri strumenti, com­prendere più a fondo le esigenze, l'animo, le aspirazioni dei contadini stessi, prepararsi per il momento in cui questi avrebbero potuto porsi mete più alte e durevoli. r pensieri - che ho dianzi ricordati - coi quali egli aveva affrontato la campagna elettorale, continuarono a maturare in lui e l'obbligarono a fare la scelta che fece di un temporaneo distacco dall'azione quotidiana e di un nuovo impegno di preparazione secondo un chiaro programma di attività,

NelI'estate del 1950 egli, pertanto, era già con me a Portici; visitò la Calabria nei mesi in cui la riforma agraria era appena avviata; nell' autunno dello stesso anno e nella primavera successiva lavorò intensamente attorno ai pro· blemi della Basilicata e redasse lo studio sulla si tuazione regionale della scuola, L'anno dopo era già impegnato nel lavoro sui contadini che, neI suo disegno, poetico e pratico insieme, avrebbe dovuto costituire un' articolata analisi deI· la complessa e drammatica realtà dei contadini meridionali e la base per la ripresa cosciente del loro movimento rin­novatore, Se, per il corso delle vicende sociali e politiche, l'intenso, diretto rapporto coi contadini degli anni prece­denti si era interrotto, egli ristabiliva così con loro un nuo· vo rapporto, non più limitato ai contadini della sua Trica­rico e della Basilicata , ma esteso a tutti i contadini del Mez-

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zogiorno e particolarmente a quelli delle zone interne, che dall 'antica Stavano passando ad una nuova e più dura di­sperazione, quella che metterà capo alla grande emigrazio­ne meridionale dell 'ultimo ventenniq,

Quanto fosse cosciente e responsabile questo nuovo corso della sua vita è testimoniato - oltre che dai suoi scritti poi pubblicati - dagli appunti ritrovati tra le sue carte e dalle lettere agli amici, E un materiale ancora di­sperso, che speriamo presto di poter pubblicare , Basti , per tutti, rileggere un appunto del 1951 ° '52 sulla rifor­ma agraria - forse prima traccia d'un discorso o d'un arti­colo,

La riforma agraria - egli scrive - è stata realizzata senza una chiara visione di poHtka agraria. Di conseguenza la situazio­ne dei contadini meridionali non ne sarà mutata : la rottura dei latifondo sarà tutt'altro che definitiva; i contadini, chiamati per la prima volta alla responsabilità di imprenditori, saranno costret ­ti a cedere in conseguenza sia dell'indebita mento, sia della me­diocre bontà dei terreni assegnati, sia della to tale disorganizza­zione sociale. D'altra parte - egli ancora osserva - i contadini, consapevoli della lo tta sostenuta per la riforma, non si organiz­zeranno mai , se, con una politica di distensione, non si darà loro modo di esercitare il loro diritto politico e rischjano di tornare individualisti, con la conseguenza che la riforma subirà la stessa sorte del1e antiche quotizzazioni dei demani. La riforma, ispirata alla contingente situazione sociale, ha i difetti della frettolosità e dell 'approssimazione e principalmente quello di creare piccole azienduole nel seno del latifondo, ossia di essere una pazzia eco­nomica . Questi difetti non possono che avere disastrose conse­guenze, anche se, qua e là, i contadini riscatteranno col loro I~­voro a brandelli illatifoudo. Cosl concepita e attuata a SCOSSOnI, la riforma - egli conclude - non risponde alle richieste dei con­tadini meridionali , non elimina la disoccupazione, investe anche situazioni per il momento intrattabili e, quel che è peggio, divide anziché unire i contadini, sia perché toglie terra ad alcuni per darla ad altri, sia perché non affronta i problemi di fondo, che son quelli deUa riforma dei contratti agrari in tutto il Mezzogiorno, della trasformazione delle zone in cui essa non si applica e deUa organizzazione ed educazione dei contadini, sia , infine , perché non dà nessun aiuto alle numerose categorie dei contadini medi, sui quali poggia buona parte dell' agricohura meridionale. Le con­seguenze politiche saranno, quindi, rappresentate dall 'instaura­zione di una politica di regime e dalla resurrezione dei vecchi par­titi di tipo clientelare.

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A vent'anni di distanza, l'analisi di Rocco che ho sin­tetizzato con le sue parole, è stata integralmente confer­mata dalJ'esperienza e sta a dimostrare quanto valida fosse la sua esigenza di una profonda revisione della stessa poli­tIca agraria della sinistra, che allora non ci fu.

Se questi suoi appunti mostrano quanto fosse vivo e intenso il suo impegno politico, esso è divenuto negli ultimi anni, più che in passato, indissolubile dal suo impegno let­terario . Si può anzi dire che egli ormai sente l'utilità pra­tIca del suo mestiere di scrittore , sa che esso è lo strumento politico più valido che egli possa usare per i contadini.

Abituato a guardare il mondo, per cosl dire, dal sotto in su, con gli occhi dei ragazzi, dei contadini, della povera gen­te, la sua capacità di intendere gli altri si è tanto affinata da poter essere vicino a tutti. Per quanto diversi fossero da lui u~mini. e ~o~ne, vecchi, giovani o bambini, egli riconosc~ gh altn e h nspetta, ognuno nella sua inconfondibile indi­vidual~tà. Questa sua capacità gli conferisce, pertanto, una maturltà che appare quasi inconciliabile con la sua età.

Dopo la pubblicazione dei Contadini det Sud e dell' Uva puttanella, si è molto polemizzato sul mito della «civiltà contadina», che egli avrebbe contribuito a creare e che avrebbe in sé chissà quale contenuto ·se non reazionario, per lo meno addormentatore della combattività dei conta­dini. A rileggere quelle polemiche, a distanza di venti anni se ne avverte tutta l'inconsistenza. '

Che il mondo contadino immobile, conosciuto e stu­pendamente descritto da Carlo Levi, sia stata una realtà nessuno può contestare; che esso avesse tutta la dignità e la forza di un'antica e complessa civiltà è ancor meno conte­st~bile tantoche, ancora oggi, quella civiltà - scossa dap­prIma e quasI scomparsa ormai - esercita su ciascuno che abbia intelligenza e sentimento, un fascino s traordin~rìo.

Rocco, tuttavia, che di questa civiltà era direttamente partecipe, ne ha senti to non tanto il dramma della immo­bilità,. quanto il dramma del mutamento. Con la guerra e i nvolgunenu che la segU1rono, i contadini, infatti si erano messi in movimento finalmente, e da quel moto ~ dal con­temporaneo nuovo sviluppo economico quella civiltà veni­va travolta e sconvolta.

. Cosciente di questo rivolgimento, Rocco, senza cessare dI amare profondamente ogni aspetto di quella civiltà, che

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era la sua, rompe, per cos) dire, il mito e guarda i contadini, per quel che sono, come individui, nella loro forza e nella loro inelividuale capacità eli rinnovamento e eli sviluppo. Scopre e fa toccar con mano quanto sia chiara la coscienza che anche i più rozzi tra loro hanno di sé, la linea di con­dotta che essi perseguono nel duro mondo nel quale sono nati e nel quale vivono, senza inutili ribellioni, ma con la volontà eli cambiarlo nella misura delle loro possibilità; sco­pre, cioè, il realismo, che qualcuno potrebbe chiamare il pessimismo dei contadini. Facendoli parlare, rivela come quei suoi contadini non solo abbiano una chiara coscienza di sé, ma sappiano esprimere fatti , rapporti, sentimenti, giudizi, con una limpidezza, direi, una precisione di lin­guaggio ignota a molte cosiddette persone colte; mostra co­me la personalità culturale dei contadini abbia come carat­teristica la coscienza e il rispetto della personalità degli altri. Nella consapevolezza che il mondo non è costituito solo da loro e da altri che so no amici o nemici, ma da altri che hanno interessi, problemi, affetti simili e insieme di­versi dai loro, i contadini hanno una coscienza dell'umani­tà assai più equilibrata di quella degli uomini cresciuti nella società urbana.

Di fronte allo sconvolgimento, nonostante l'ignoranza e l'inesperienza, i contadini hanno, pertanto, una poten­ziale capacità eli sviluppo individuale e collettivo più ele­vata e solida di quella di altri strati sociali. Sebbene siano cresciuti in un mondo apparentemente chiuso, sanno, d 'i­stinto e per tramandata esperienza, che il mondo è com­plesso e differenziato e continuamente lo misurano e lo confrontano. Essi appaiono, pertanto, a Rocco, assai più pronti al mutamento e alla crescita civile, di quanto sia sta­to supposto non solo da parte eli chi li ha sempre dominati, ma anche di chi avrebbe voluto guidarli.

Cosl Rocco Scotellaro ha visto e interpretato i conta­dini e la civiltà contadina; ha, cioè, contribuito - come dicevo - più di ogni altro a rompere il mito della loro im­mobilità, della loro incapacità eli progresso.

n suo dramma, tuttavia, è stato quello di constatare che il tempo necessario per la loro crescita civile, per la costruzione, neUe regioni dove si addensavano, di una real­tà economica e sociale diversa, non ci sarebJ:>e stato.

Rocco, dopo, le speranze dell'immediato dopoguerra,

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comprende; con evidenza immediata;; cbe i suoi contadini stanno per essere travolti da eventi assai più profondamen­te sconvolgitori di quelli che avevano subìto in passato; sen­te sempre più chiaro negli ultimi anni il rombo imminente della grande emigrazione meridionale e sa che questa volta sarà qualcosa di assai più drammatico e definitivo dell' e­migrazione di dnquaneanni prima.

C'era l'America, bella, tontana del padre mio che aveva vene anni Ora dov'è l'America nostra?

Passato lui stesso in città, sente che i suoi contadini presto lo seguiranno ed è accorato il suo canto, che gli emi· grati degli anni successivi ripeteranno a se stessi.

Ho perduto la schiavitù contadina Non mi farò più un bicchiere contento Ho perduto la mia libertà

Quando Rocco muore, la Sua malinconia è già coscienza della morte imminente del mo stesso mondo contadino.

A partire appunto dall'anno della sua morte si gonfia impetuoso il torrente dell; emigrazione meridiona]c j che in vent' anni porterà in altre terre quattro milioni di meridio­nali, duecentotrenta mila dei suoi Lucani, in massima parte provenienti da paesi simili a quello di Rocco e renderà ano cara più dura la sorte di coloro che sono rimas ti laggiù.

Forse è tn questa coincidenza di destini tra Rocco e i suoi contadini che sta !'imperitura attualità di questo ge­neroso ragazzo della lontana Basilicata.