il bene e il male. che cos'è - media.liberaconoscenza.net · francesco d’assisi è stato, a...

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IL BENE E IL MALECHE COS’È?

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Atti del Convegno “Il Bene e il Male. Che cos’è?”, Torino, ottobre 2007

Trascrizione integrale del parlato a cura di Laura Giusiano

Redazione a cura di Letizia Omodeo Salè

Testo NON rivisto dal relatore

In copertina: “San Giorgio e il Drago”ideazione ed elaborazione grafica di Giorgio Bonicatto e Fabio Delizia

Archiati Edizioni, Cumiana (To), 2009

ISBN 978 - 88 - 96193 - 08 - 2

Archiati Edizioni

Strada Oreglia, 43/12 10040 Cumiana (To) Tel: 011.905 8608 – 335 205299

[email protected] – www.archiati-edizioni.it

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Pietro Archiati

Atti del Convegno

IL BENE E IL MALECHE COS’È?

Torino, ottobre 2007

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Indice

Nota dell’Editore 9

Breve Introduzione 11

Il bene e il male. I vuoti da riempire 13Caino, Edipo, Giuda. Le sconfitte che fanno vincere 45La sofferenza e la morte. Il male che fa bene 85Francesco d’Assisi. Il bene in ogni uomo 117Inferno e Paradiso. Due stati di coscienza 161

A proposito di Pietro Archiati 189

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Nota dell’Editore

Caro lettore, con questi Atti del Convegno ti presentiamo

una stesura redazionale strettamente fedele al parlato. Il nostro intento era, per quanto possibile, di mantenere la spontaneità del linguaggio che racconta, si sofferma sugli esempi e sulle immagini di vita.

Maria Nieddu

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Breve Introduzione

Il bene del corpo è la salute, il suo male è la malattia. Così è anche per gli uomini: stanno bene in salute quando si favoriscono a vicenda come gli organi e le cellule di un organismo; stanno male, soffrono, quando si mettono gli uni contro gli altri, quando ognuno pensa solo a se stesso.

Un vecchio adagio dice: La virtù sta nel mezzo. È vero: ogni forma di male risulta da una qualche unilateralità, da un esagerare di qua o di là, dal troppo e dal troppo poco. Il nostro corpo, per esempio, lo possiamo mortificare oppure rammollire: il bene morale sta nel giusto equilibrio che fa del corpo uno strumento “sano”, cioè altrettanto ben accordato quanto uno strumento musicale.

Francesco d’Assisi è stato, a dire di tanti, un uomo davvero “buono”. Aveva risorse, forze di amore all’infinito. La domanda che ci poniamo è: da dove gli venivano queste forze, come si sono generate in lui?

È a questa domanda fondamentale che il convegno cerca di dare una risposta: come faccio concretamente, giorno per giorno, ad aumentare in me le forze reali dell’amore, della veracità? come si impara nella vita quotidiana l’arte del bene?

Pietro Archiati

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1. Il bene e il male I vuoti da riempire

Gentili ascoltatori, cari amici, vorrei cominciare ringraziando gli amici di Torino che ci hanno consentito di realizzare questo incontro.

Il tema questa volta è di grande importanza. Io devo dirvi, sinceramente, è una vita che faccio il mestiere di conferenziere, ma non mi è mai riuscito di cominciare una conferenza senza un minimo di batticuore. Anche perché le cose che vanno dette nell’umanità di oggi, che attraversa un periodo di profonda crisi spirituale, portano con sé anche una certa responsabilità morale. E questa volta è proprio il tema della morale. Mi appello anche alla bontà del vostro cuore, perché mi rendo conto che mi sono ripromesso di dire cose importanti, fondamentali nella vita. Ci ho già provato diverse volte, perlopiù in tedesco, e si fa l’esperienza di essere un po’ un balbettatore. Dunque mi sentirete un po’ balbettare in questo lavorìo di dar voce ad una coscienziosità morale che emerge in questa umanità tutta nuova. Una umanità illuministica, se volete, emancipata, una umanità che non si lascia più guidare da autorità umane perché ognuno, in quanto essere umano, si sente giustamente una autorità.

Viviamo in un grande periodo di passaggio: da una morale della legge, del dovere, della sottomissione, dell’osservanza, ad una morale che deve ancora nascere, che sorge come un’aurora, come un’alba che si manifesta nei suoi primi albori. Per dirlo in una parola, in una morale per la quale la legge comune, l’osservanza della legge diventa solo il presupposto per il bene morale. E moralmente buono, il bene morale del futuro, il bene morale per una persona degna di vivere l’umano, è unicamente ciò che l’essere umano fa a partire dalla sorgente della sua libertà e del suo amore.

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Pensavo, come piccola introduzione, di passare in rassegna con voi i tre grandi valori morali, i tre grandi beni morali che vediamo nella vita.

Nella vita umana c’è un primo bene morale, una cosa buona, moralmente buona – e sono convinto che mi darete tutti ragione che è una gran bella cosa. Ed è che il bambino, a partire dai nove mesi nel grembo della madre e poi nei primi anni, non avendo ancora la capacità di pensare autonomamente e di volere in proprio delle cose proprie, vive in simbiosi, in comunione coi genitori, soprattutto con la mamma.

Il primo bene morale, la prima gran bella cosa nell’umano è l’unione. L’unione, o la comunione, se volete. Ognuno può usare le parole che vuole, esse contengono infiniti risvolti di esperienza, di vissuto quotidiano. Un archetipo, un esempio fondamentale del bene morale, del fatto che la comunione, la coesione, l’unione sia una cosa moralmente buona, l’abbiamo nell’organismo. Nell’organismo fisico tutti gli organi del corpo sono in unione fra di loro, non vanno ognuno per conto proprio: la milza, per esempio, non ha una volontà che contraddice la volontà del cuore o del polmone, così come il bambino piccolo in seno alla propria famiglia non ha una volontà che si oppone alla volontà dei genitori. Osservando la vita cogliamo che dove c’è comunione in senso armonico, dove c’è sintonia, il bene consiste nel fatto che le varie parti si favoriscono a vicenda, proprio come nell’organismo.

A questo punto ci viene fatto di chiederci: ma se questa unione è una cosa così bella, perché poi viene rotta? Perché è nella legge della vita che finisca? In tempi passati forse bisognava aspettare che il figlio o la figlia avesse quattordici, quindici o sedici anni, oggi ancora prima, ma prima o poi subentra la rottura di questa unione. E sappiamo tutti che le antiche scritture – supponiamo che ci siano stati degli iniziati o degli esseri umani privilegiati

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che hanno osservato anche nello spirituale –, se prendiamo la Bibbia, essa ci descrive gli albori dell’umanità e ci dice che la vita, l’evoluzione dell’umanità è cominciata in Paradiso. E il Paradiso è un’immagine di unione, di comunione – com – col divino. All’inizio gli esseri umani erano in Paradiso, e la domanda è la stessa: perché non sono rimasti là se il Paradiso è una cosa così bella? Perché sono stati catapultati fuori?

Se volete un’immagine bellissima della prima cacciata dal Paradiso, questa è il taglio ombelicale e la nascita. Questo grembo materno è veramente, biologicamente, un paradiso: tutta una bellissima armonia di forze biologiche, fisiche, fisiologiche per il bambino, per il nascituro, il quale poi viene scaraventato fuori da questo paradiso, da questo grembo materno. E gli esseri umani sono stati scaraventati fuori, si parla proprio di Cacciata dal Paradiso. Perché mai? Perché questo primo bene, questa prima realtà moralmente buona dell’unione, della comunione iniziale, non basta all’essere umano.

C’è un secondo bene morale ancora più micidiale, che ha un peso morale ancora maggiore, perché con la seconda bontà mo-rale, col secondo valore morale, etico, le cose diventano molto più difficili che non nel primo valore morale: il primo valore morale è più facile perché questa unione paradisiaca viene data dalla natura; il secondo valore morale, il secondo bene morale, etico, è la libertà, l’autonomia individuale. Perché è un bene morale e non un male? C’è bisogno che ve lo dimostri astratta-mente, che ve lo dimostri filosoficamente...? Ognuno di noi – e siamo tutti adulti qui, non siamo bambini piccoli – lo sa, non ha bisogno che glielo si dimostri che essere autonomi, pensare con la propria testa e avere degli impulsi volitivi, avere delle voli-zioni proprie è una gran bella cosa! O qualcuno di voi vorrebbe dimostrarmi che è moralmente meglio, che dà più soddisfazio-

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ne, maggiore realizzazione dell’essere umano il fatto di essere dipendenti dai pensieri di un altro, essere dipendenti da ciò che questi vuole, e fare ciò che questi vuole? Non c’è bisogno che sprechi parole per convincervi del fatto che l’autonomia indivi-duale è una gran bella cosa! E siccome questa autonomia indi-viduale crea molti più problemi – lo sappiamo bene – che non questa unione paradisiaca in cui i bambini sono un’appendice dei genitori, proprio perché è più difficile crea più problemi, ha uno spessore morale, etico, ancora più forte. Potremmo anche dire che il valore etico, il valore morale, il bene morale di que-sto secondo stadio dell’evoluzione sta nel fatto che con questa autonomia individuale sorge la libertà.

Essere autonomi nel pensare, come cammino di conoscenza – bisogna farsi i propri pensieri sugli eventi del mondo –, essere autonomi in fatto di sapere ciò che si vuole nella vita, proprio perché non lo dà la natura ma va conquistato a brano a brano con la libertà, ha un valore morale ancora più grande.

Ho detto anche altre volte che l’umanità moderna, soprattutto di stampo occidentale, nell’insieme, sta passando i secoli della pubertà, e la pubertà sono i primi inizi di questa acquisizione dell’autonomia della libertà individuale. Autonomia significa coltivare giorno per giorno una capacità di giudizio sul senso dell’evoluzione.

Se prendiamo l’unione, in fatto di conoscenza e l’autonomia, in fatto di conoscenza, come si manifesta l’unione col divino, l’unione coi genitori? Si manifesta col fatto che tutto il fenomeno di conoscenza veniva offerto per rivelazione. Nella rivelazione l’essere umano è come un bambino che riceve i contenuti di verità, in quanto la divinità o chi la impersonifica – l’autorità religiosa –, gli somministra la verità, e lui ci crede. Quindi l’atteggiamento nei confronti della rivelazione è il credere: la fede. Però, è chiaro, che credere ad un altro è un atteggiamento

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da bambino, e la fase del bambino è bellissima, ma è destinata a venir superata nel corso del tempo.

L’autonomia, in chiave di pensiero, è che la rivelazione divina si ritira, e si ritira volentieri per far posto al cammino di conoscenza – chiamatelo come volete –, all’impegno del singolo, non più di credere ad una rivelazione divina o ad una autorità religiosa, ma di attivare la propria capacità pensante in modo da farsi giudizi propri sul senso dell’evoluzione, sul bene e il male morale. Quindi, in chiave di autonomia sorge il pensare dell’individuo, e il pensare si costruisce con l’amore verso la conoscenza.

La conoscenza gestita dall’autonomia individuale non si crea in un giorno, è una specie di eros conoscitivo che fa parte della libertà individuale, è una delle componenti più belle della liber-tà individuale. E le conquiste della mia mente hanno a che fare con la mia libertà. È nella mia libertà che io decido cosa la mia mente si conquista, non soltanto come sapere in quanto fattore di quantità, ma in quanto conoscenza profonda del senso degli eventi, del senso dell’evoluzione. Quindi è chiaro che anche in questa occasione io mi guardo molto bene dal venire col gesto di chi, come autorità, vi rivela qualcosa e voi vi lasciate irrora-re da questa rivelazione. No. Tutto quello che io espongo sono pensieri che sorgono dalla sorgente del mio pensiero, vengono offerti a voi, ma poi l’importante è ciò che ognuno di voi ne fa in quanto pensatore autonomo, individuale. Perciò il dibat-tito, lo scambio di idee che avviene dopo che io ho parlato, è non meno importante di quello che io ho da dire. Quello che io dico sono spunti, pulci nell’orecchio, ma l’importante è ciò che salta fuori dalle varie menti, dove si evidenzia che ognuno si presenta con i propri pensieri, e non come una persona che ha ricevuto passivamente oracoli di un’autorità che somministra la verità, ma col gesto di una gestione autonoma, individuale, dei

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contenuti del pensiero.

La cultura occidentale si è fondata sul pensiero greco e il primo gesto di questo pensiero è l’arte del dialogo. Quindi pensiero e contro-pensiero: dia-logos. Il logos la capacità logica del pensiero, e dia in greco significa proprio il pensiero che va avanti e indietro. Il pensiero dell’uno provoca il pensiero dell’altro, l’interlocutore ritorna sui suoi passi e dice: ma come, ma come...? E i dialoghi platonici non servono a dimostrare qualcosa, tant’è vero che molti dicono che ve ne sono alcuni in cui alla fine non si sa quale sia l’opinione di Platone! Ma è giusto, perché a Platone non interessa rivelare la sua opinione su qualcosa. Gli interessa questo esercizio di gestione autonoma individuale del pensiero, dove l’individuo fa sempre di più l’esperienza della sua libertà, della sua creatività, della sua fantasiosità, soprattutto in campo di pensiero, perché dal pensiero sorge tutto il resto.

Adesso abbiamo due valori morali, due beni morali: l’unione, la comunione, e l’autonomia del singolo. E basta, no..? Più di così...! Ma c’è una terza riflessione da fare e cioè che entrambi i valori morali – sia l’unione ai primordi del cammino dell’umanità che si ripete all’inizio di ogni vita, sia l’autonomia pubertaria del primo emergere dell’individualità –, comportano due vuoti, due buchi enormi, perché quell’unione iniziale è senza autonomia, e questa prima autonomia viene conquistata perdendo la comunione.

A questo punto c’è sempre qualcuno che dice: ma perché non si potrebbe conquistare subito l’autonomia senza perdere la comunione? No, no, non funziona. Se fosse possibile uscire dalla comunione iniziale, conquistarsi l’autonomia individuale mantenendo la comunione di partenza, le cose sarebbero troppo facili e il gusto sarebbe minimo. Non ci sarebbe gusto. Il gusto sorge, intendo dire che non ci si ferma lì. Ma proprio a

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fronte di questa emancipazione, di questa libertà negativa che si mette contro ogni autorità (contro i genitori, contro la scuola, contro tutti per affermare se stesso), proprio perché è di nuovo unilaterale – unilaterale l’unione perché è senza autonomia del singolo, e unilaterale la prima autonomia del singolo perché è senza l’unione –, sorge la dinamica, il dinamismo verso il terzo grande valore morale, il bene morale della vita, che è la sintesi, l’equilibrio di comunione e libertà.

Sono questi i balbettii di cui vi dicevo prima, ma sono cose troppo grosse, bisogna avere il coraggio di attribuir loro un nome. La chiamo la sintesi, però sintesi è una parola ora provvisoria, e ci capiremo meglio in seguito: sintesi tra comunione e libertà.

Detto in una parola, c’è un tipo di comunanza che non conosce la libertà individuale e c’è un tipo di affermazione della libertà individuale che lede, che mortifica la comunanza, la coesione. E poi c’è un tutt’altro tipo di coesione, di comunanza, e un tutt’altro tipo di libertà individuale, ed è di questo terzo bene morale che dovremo parlare in questi giorni.

C’è un tipo di convivenza, c’è un tipo di comunità, di comunione, architettata in modo tale che favorisce, vuole, propugna, la libertà del singolo e che non riesce a vivere senza la comunanza della libertà del singolo; e c’è un tipo più profondo di libertà, di autonomia individuale, c’è un tipo di individualizzazione, di emergenza di unicità dell’Io dell’uomo, che vive della donazione di sé alla comunità, agli altri.

Adesso, al posto della parola comunione, comunanza, comunità, uso la parola amore, cioè essere gli uni per gli altri. La libertà dell’individuo, cioè l’unicità dell’individuo, la creatività dell’individuo diventa massima nell’amore, e l’amore diventa massimo, moralmente perfetto, soltanto se ama la libertà dell’individuo. La perfezione dell’amore all’umano è l’amore a quell’umano. L’amore per l’umano diventa perfetto

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quando l’uomo ama ciò che è più perfetto nell’uomo. E cos’è che è più perfetto nell’uomo? La libertà individuale. Quindi, l’amore moralmente più perfetto è l’amore alla libertà del singolo. Se non ama la libertà del singolo, non la vuole, non la favorisce. È un amore ancora per strada. L’amore alla libertà è la perfezione dell’amore, e la perfezione della libertà è di donarsi liberamente agli altri, di dare tutti i propri talenti, le proprie energie a favorire la libertà altrui.

Essere liberi vuol dire amare la libertà dell’altro. Questa è la perfezione della libertà.

Se è vero che ci sono questi due grandi beni morali – il bene dell’amore, della comunione, dell’essere gli uni per gli altri; e il secondo bene morale, quello dell’autonomia, della libertà individuale del singolo, che è anche l’unicità–, ognuno di noi, non soltanto nel suo corpo fisico, ma nella sua anima, nel suo spirito, è un mondo ricchissimo, ma tutto unico, tutto speciale! Non esistono due esseri umani né sul piano fisico, ma ancor meno nella compagine dell’anima e nella luce dello spirito, che siano uguali. Gli esseri umani sono stati concepiti con una tale fantasia dell’amore divino, che ogni essere umano è una creazione e un mondo unico, ricchissimo.

Il bene morale – questa sera vi butto lì alcune cose che poi dovremo verificare nel corso di domani e dopodomani –, il bene morale dell’uomo, del singolo, non è ciò che lui è chiamato a fare. Perché se il bene morale fosse ciò che io sono chiamato a fare, il bene morale sarebbe estrinseco al mio essere. Il bene morale supremo, cioè ciò che fa moralmente bene agli altri del mio essere, è ciò che io sono! È quel tipo di bene, quel tipo di arricchimento, di fecondazione dell’umanità che il Creatore del mio essere, nella fantasia del suo amore, ha avuto in testa quando ha creato il mio Io: il bene morale supremo per gli altri è ciò che io sono. E il fare serve soltanto a diventare sempre di

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più ciò che io sono stato concepito. Se volete, il fare morale, l’agire morale, è l’intento di diventare sempre più genuini, sempre più puramente se stessi.

La domanda della morale non è: Qual è il bene che devo fare? La domanda della morale, dell’etica, è: Che cosa ha avuto in mente il Creatore del mio Io, in quanto arricchimento morale dell’umanità, unico, che io soltanto posso dare? Quindi, il valore, il bene morale supremo di ogni individuo umano è ciò che lui è, nel suo essere più vero, più profondo. Si tratta solo di scoprirlo, di capirlo sempre meglio. Nessun essere umano può, nel suo fare, diventare migliore di ciò che lui è in quanto intuizione morale della fantasia del Creatore del suo spirito o della sua anima.

Quindi la domanda della morale è: Chi sono io nell’organismo dell’umanità? Quell’arricchimento unico che soltanto il mio essere può immettere nell’umanità, questo è il bene morale che soltanto io posso immettere nell’umanità. Vedremo che la morale del dovere, della legge, dell’osservanza, ha la sua legittimità, ma soltanto negativa, in un certo senso.

Cambio registro e pongo adesso una domanda che è poi la do-manda fondamentale dell’etica moderna. La grande questione della morale che imperversa nell’umanità di oggi è: C’è o non c’è un bene oggettivo? Il bene e il male è oggettivo, è qualcosa di assoluto oppure dipende dalla cultura, dipende dalla religio-ne, dipende dalle convenzioni? Uccidere una persona è oggetti-vamente male? Vi assicuro che certe persone vi direbbero: “No, uccidere un tipino come Bush è una gran bella cosa, una cosa buona ..., guarda cosa ti combina nell’umanità..!”. Sono stato diversi anni in Sudafrica con il mio dogmatismo europeo, la-sciatemi aggiungere cattolico – non cristiano, cattolico. Pen-savo che la coscienza morale fosse una cosa oggettiva e che ci

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fossero dei valori morali, universali, oggettivi. Ho dovuto far marcia indietro, ho dovuto ricredermi. Mi sono reso conto che tantissime cose che io ritenevo universalmente valide in quanto umane, erano invece condizionate dalla nostra cultura – e non tanto cristiana, parecchio cattolica, ma negli ultimi tempi ne-anche quello!

Cos’è il bene, cos’è il male? Si può dare una risposta oggettiva? C’è un bene o un male oggettivo? Se non c’è, allora diventa difficile anche il discorso che facciamo in questi giorni, perché di nulla possiamo dire: questo è oggettivamente male o questo è oggettivamente bene! Ci tocca sempre dire: no, è tutto relativo, dipende dalle culture, dipende dalle religioni, dalle razze, dalla specie di legislazione su cui si accordano gli esseri umani. Questo vuol dire che c’è soltanto ciò che è lecito, ciò che è permesso, ciò che è proibito, ma non c’è un bene e un male oggettivo. I due campi sono ferocemente opposti. Imperversa una lotta culturale gigantesca, perché gli uni, soprattutto di vecchio stampo, dicono: “Ma, signori! se noi mandiamo a ramengo il fatto che la natura umana è oggettiva e che c’è oggettivamente qualcosa che favorisce questa natura – e questo è moralmente bene –, e c’è qualcosa che oggettivamente lede, distrugge questa natura – ed è oggettivamente male –, se non c’è più un bene e un male oggettivo, allora ognuno ha il diritto di fare quello che vuole!” Altrettanto feroci quelli del fronte avverso, dicono: “Ma sei dogmatico! Tu vuoi imporre la tua opinione giusto perché tu hai queste convinzioni: questo è bene, questo è male. Da un passato di autorità repressiva ecc… lo vuoi imporre agli altri..., ma chi sei tu? Hai soltanto opinioni personali sul bene e il male!” E ognuno ha soltanto le sue opinioni. Chi ha il diritto di presentarsi dicendo: “Questo è oggettivamente bene.”?

C’è una specie di compromesso che passa attraverso la legge,

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ma non funziona. Anche in Germania, magistrati e avvocati dicono: “Se noi aspettiamo di metterci d’accordo su ciò che è bene, su ciò che è male, su una morale, su un’etica ecc... aspetteremo fino alla fine del mondo”. E non ci basta metterci d’accordo in campo legislativo su ciò che permettiamo e su ciò che proibiamo! Allora si tratta di dire solo: questo è permesso e questo è proibito, e non ci interessa dire se è bene o se è male, è importante che ci accordiamo su ciò che è permesso e su ciò che è proibito.

Io non ho niente in contrario sul fatto che la legislazione sia necessaria – e ne parlerò in questi giorni –, perché senza legislazione, senza un accordo su azioni che permettiamo e azioni micidiali che invece vogliamo proibire, la comunanza, il vivere sociale non sarebbe possibile. Quindi, mi sta bene che ci sia questa esile voce della giurisprudenza, e intanto che aspettiamo di metterci d’accordo se c’è o non c’è un bene morale oggettivo, e un male morale oggettivo, mettiamoci almeno d’accordo su ciò che vogliamo permettere e su ciò che vogliamo proibire. Però io aggiungerei: questo tipo di accordo giuridico non basta! E nel dibattito fatevi sentire anche voi.

La mia lettura dell’animo umano è che l’animo umano non si contenta di dire: non esiste il bene e il male, esiste soltanto un accordo di legge arbitrario che dipende dai tempi, dipende dalle culture, dipende dai popoli, su ciò che si vuole proibire o su ciò che non si vuole proibire. C’è un altro tentativo, balbettante se volete, nei profondi dell’animo umano, una voce che dice: No, ci sono delle cose che sono oggettivamente buone per l’uomo indipendentemente da cultura o religione o razza, perché quando parliamo dell’umano parliamo di una realtà. Certi aspetti, certe dimensioni sono dipendenti dalla cultura, dall’epoca, dal popolo, però ci sono dimensioni dell’umano – altrimenti non avremmo nemmeno la parola l’umano, o l’essere

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umano – che sono universali. Sono universali sulla faccia della Terra, rappresentano l’umano in modo uguale in tutte le culture, e sono universali nel corso del tempo nel senso che non sono umani oggi, e poi la natura umana diventa un’altra nel secolo successivo. In altre parole, io parto dal presupposto – che potete mettere in questione nel dibattito –, che l’animo umano avverte nel profondo che c’è qualcosa di universalmente umano. Qualcosa che è molto profondo, forse non facile da sceverare in termini di conoscenza, ma l’animo lo avverte che c’è, ed è molto sacro, perché si tratta proprio “dell’umano” che tutti gli esseri umani hanno in comune. Ogni essere umano è un essere umano al di là della sua razza, al di là del suo popolo, al di là della sua lingua materna, al di là della sua cultura, al di là dell’epoca in cui vive.

C’è o non c’è un bene e un male morale etico oggettivo? Sì e no. Adesso viene il passo successivo in cui io cerco di spiegare in che modo io vorrei dar ragione a tutti e due i fronti. Hanno ragione coloro che dicono: “Ma come! ma c’è un bene e un male oggettivo, altrimenti non ci sarebbe una natura umana!” E hanno ragione coloro che dicono: “No, il bene e il male sono relativi, dipendono dal tipo di uomo, dipendono dal tipo di epoca, dal tipo di cultura!” E la proposta che vi faccio, come avvio di pensiero, come provocazione a pensare, la pongo di nuovo in termini di evoluzione, di cammino dell’umanità e direi: nella fase dell’infanzia dove – lo dicevo anche prima – il volere del singolo, l’autonomia del singolo ancora non si presenta, c’è una moralità comune, di comunione, di comunità. Ed è la moralità comune dove ancora non emerge l’individuo.

In seconda istanza c’è una moralità che presenta un tipo di bene e un tipo di male che è individuale, che non è il bene e il male che riguarda un altro, perché ciò che fa bene a uno, non

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deve far necessariamente bene a un altro; e ciò che è male per una persona non deve essere necessariamente male per un’altra persona. Quindi, vedete che ci sono tutti e due i livelli: c’è il livello della comunanza umana, e c’è il livello del bene e del male assolutamente individuale.

In tempi passati, fino a duecento anni fa, fino alla morale di Kant, quello che non c’era nell’umanità era l’emergenza del singolo di cui parlavo prima. Fino ad allora la morale, l’etica, si fondava sulla legge, e la persona moralmente buona era la persona che osservava la legge. Oggi, la persona, l’individuo che osserva tutte le leggi, tutte le norme fondate sul diritto se volete, tutti i comandamenti che ci sono, non ha ancora fatto nulla di moralmente buono. Ha creato i presupposti, ha creato soltanto le condizioni necessarie per il fattore morale. In altre parole, nei tempi passati la morale comune era il tutto della morale.

In tempi di emergenza della libertà dell’individuo, le leggi, le norme, i comandamenti, questa morale comune dell’osservanza, diventa la base, il fondamento, il presupposto del bene e del male morale. Le leggi di cui abbiamo bisogno, i comandamenti di cui abbiamo bisogno, servono a garantire, a rendere possibile ad ognuno di vivere nella libertà.

Sono moralmente buone unicamente quelle leggi che servono, che consentono all’individuo di essere creatore nella sua libertà. In altre parole, una legislazione moderna, una legislazione umana e non antiumana, ai nostri giorni dovrebbe essere una legislazione che ha la forza morale di limitarsi a proibizioni. La legge dovrebbe unicamente sancire ciò che è proibito. Nessuna legge a questo mondo ha il diritto di dire all’individuo ciò che questi deve fare, perché il da farsi è del tutto individuale, è del tutto fantasioso, tutto da creare! Invece, la legge è necessaria per dire ad ognuno di noi ciò che ci dobbiamo proibire, le

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azioni che dobbiamo non fare, perché altrimenti lederebbero, impedirebbero la libertà dell’individuo.

Prendiamo i dieci comandamenti della legge mosaica: questi comandamenti dicono ciò che si deve fare o proibiscono ciò che non si deve fare? Non rubare, non uccidere,... si possono prendere tutti e dieci e la loro essenza è: proibiscono qualcosa.

Una volta in Germania ho fatto un seminario e ho proposto: una legislazione moderna in tempi di libertà dell’individuo dovrebbe avere il coraggio unicamente di proibire azioni che vanno proibite perché altrimenti lederebbero la libertà, e non dovrebbe esserci nessuna legge che comanda ciò che l’essere umano deve fare. Era presente un giurista, e disse: “Ma come la mettiamo con le tasse da pagare? Lo Stato ti dice: devi pagare tanto di tasse..., non ti dice forse cosa devi fare?” Bene, abbiamo discusso. La seduta successiva lo stesso avvocato ci ha detto: “Ci ho pensato, formalmente sembrerebbe che lo Stato ti dice cosa devi fare: ‘devi pagare le tasse’, ma in effetti è una proibizione. Ti proibisce, se tu hai guadagnato cento, di tenere tutto e cento per te. Ti dice che non ti è consentito di tenere tutto e cento per te. Quindi in effetti è una proibizione mascherata, perché se tu tieni tutto e cento per te, ledi, comprometti la libertà, l’agire libero dei singoli individui umani.” Questa libertà ha bisogno di una base tale per cui ognuno che guadagna cento deve qualcosa alla comunità. Che poi siano il 10% o il 15% è questione di nuovo di intesa a livello di legislazione.

Quindi c’è un modo pulito a livello di pensiero di dimostrare che una legislazione degna di uno spirito umano moderno – che ha l’aspirazione a diventare sempre più individualizzato, sempre più libero, più creatore –, dovrebbe assolutamente, strettamente, limitarsi a proibire le azioni che a ragion veduta, secondo una deliberazione, veramente ledono la libertà. Questa deliberazione – quali azioni ledono la libertà – è una cosa molto

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complessa, è una cosa che va fatta sempre, continuamente. Non sto dicendo che sia facile individuare e circoscrivere le azioni che ledono la libertà e che vanno proibite. Quello che sto dicendo è che l’osservanza, cioè il proibirsi, il non fare le cose che lederebbero la libertà, non è il bene morale, non fa parte della morale. È la base della morale, è la conditio sine qua non del bene morale.

Come può il bene morale essere qualcosa di negativo, come può essere il bene morale qualcosa che io non faccio! Ciò che io mi proibisco di fare per amor di libertà è soltanto la base, la conditio sine qua non, ma il bene morale è ciò che l’individuo compie a partire dalla sorgiva della sua libertà e del suo amore per arricchire l’umanità.

La sfera della legge, la sfera dei comandamenti e delle norme, nella misura in cui serve come strumento necessario all’emergere della libertà dell’individuo, viene assunta proprio perché ne è lo strumento e la conditio sine qua non nella sfera della libertà. E nessun individuo che viva a piene mani, sempre più profondamente la creatività del singolo, si permetterebbe di infrangere, di compiere azioni che ledono il valore umano supremo che è la creatività, la fantasia dell’amore del singolo individuo. Quindi, la legge si limita a proibire le azioni che lederebbero la libertà, e l’osservanza di questa legge e il non fare queste azioni diventa per l’individuo che vive sempre più in libertà, assolutamente sacra.

Diciamo allora che un gravissimo male morale dei nostri tempi è l’arroganza della legge che si permette di dire all’individuo ciò che deve fare, quando invece avrebbe soltanto il compito di dirgli ciò che deve lasciare, ciò che deve non fare.

La seconda moralizzazione della nostra cultura è che noi pensiamo che il male dell’individuo consista nel ribellarsi alle leggi (che sono per la maggior parte disumane perché vogliono

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dire all’individuo ciò che deve fare). E quindi il grosso quesito della morale non è quello di andare indietro, di chiederci come possiamo convincere sempre più individui a stare alle regole, a osservare le leggi. No, la grande questione della morale, dell’etica del futuro, è se avremo il coraggio di rendere tutto ciò che è di norma, tutto ciò che è di legge, soltanto uno strumento di base; e considerare morale, un bene morale, unicamente ciò che l’individuo fa con le forze della libertà e dell’amore.

Ciò che l’uomo deve non è mai ciò che deve fare. Ciò che l’uomo deve è soltanto ciò che deve lasciare, e basta che non lo voglia. Quindi se l’individuo già da sé non vuole fare le cose che ledono la libertà degli altri, non rimane più nulla che deve. In ultima analisi, non c’è nulla che l’individuo deve fare, ci sono soltanto azioni che deve non fare. E ciò che noi chiamiamo “il dovere” è di fatto ciò che il suo intimo essere vuole con tutte le sue forze perché è lui, perché si vuol portare all’essere sempre di più, sempre più in pienezza. Ve lo dicevo che avrei cercato di balbettare... riassumo: c’è un bene oggettivo, valido per tutti? In tempi di infanzia, di individualizzazione unicamente incipiente, potenziale, il bene morale era l’osservanza della legge uguale per tutti, l’adempimento del dovere. E dove basta l’adempimento del dovere l’essere umano è ancora bambino, è ancora molto lontano dal diventare moralmente buono, immettendo nell’umanità la bontà unica del suo essere nell’organismo dell’umanità. In tempi di potenziale, incipiente individualizzazione, in tempi d’infanzia il bene morale era l’osservanza della legge uguale per tutti perché non c’era ancora la differenziazione, lo spicco infinitamente variopinto dei singoli individui.

Poi c’è un secondo passo, un secondo stadio della moralità – e siamo in questo lavorìo immenso che passa da un’etica di osservanza, di sottomissione che diventa sempre più

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mortificante dell’umano, a una morale che è tutta da costruire, che vale per tempi di reale individualizzazione. In tempi di reale individualizzazione, di capacità, di creazione a partire dalla fantasia morale dell’individuo, di ciò che è bene per l’individuo e per tutta l’umanità, il bene oggettivo, la legge valida per tutti si fa da fondamento, da sostrato, da presupposto, da conditio sine qua non. L’osservanza della legge è un bene morale soltanto se serve a favorire il vivere nella libertà e nell’amore. Un’osservanza della legge che non volesse – che non vuole! – l’esuberanza della libertà e dell’amore, diventa un male morale perché precludere la via è proprio, come dire, negare ciò che è il bene morale supremo, il valore morale supremo che è la libertà e l’amore dell’individuo. Il bene oggettivo, la legge valida per tutti si fa da sostrato, da presupposto, da condizione. Non è più il bene morale, ma è il presupposto per il bene morale. E il bene individuale è ciò che crea la fantasia morale dell’amore e della libertà che è unica in ognuno. Quindi il bene oggettivo, il bene morale etico di una legge uguale per tutti comprende solo un’etica negativa.

D’ora in poi il bene oggettivo valido per tutti sarà soltanto negativo: abbiamo soltanto il diritto di dire all’individuo le cose che non ha il diritto di fare. Ripeto: nessun essere umano ha il diritto di dire a un altro ciò che deve fare, perché ciò che un essere umano deve fare, ciò che è chiamato a fare, è del tutto individuale. Nessun essere umano può essere preso a norma di ciò che un altro ha da immettere come arricchimento nell’organismo dell’umanità. Perché quando un essere umano si fa norma morale di un altro, questo è un puro fenomeno di immoralismo in quanto viene cancellato, viene annullato il valore morale supremo.

La morale comune, l’etica comune, è soltanto un’etica negativa che si limita a dire ciò che dobbiamo tutti non fare – e basta non

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volerlo, tra l’altro lasciatemi dire tra parentesi: un individuo che ha abbastanza da fare nel creare in modo individuale e fantasioso, non ha neanche tempo di andare a fare le cose che sono proibite! Non ne ha né voglia, né tempo! E se abbiamo una società piena di prevaricazione, da un lato è perché la legge è diventata esosa, invade il campo dell’ingiunzione morale, e dall’altro perché abbiamo una massa di bambini che ancora non trovano la forza di creatività della libertà e dell’amore! Perché quando questo avviene, la legge diventa più umana, diventa più modesta. Si limita soltanto a sancire le azioni che vanno omesse e l’essere umano diventa sempre più creativo, sempre più generoso nei confronti dell’umanità, e non gli passa neanche per la testa di prevaricare, di fare delle azioni che compromettano la sua e la libertà altrui... È l’ultima cosa che penserebbe di fare! In ultima analisi, se volete in una prospettiva di bene morale vertiginoso, la legge diventa superflua perché un individuo che gode il bene morale della libertà e dell’amore neanche si sogna di compiere azioni che compromettano la sua e l’altrui libertà. A che serve la legge?... Non ce n’è più bisogno!

Intervento. Ritorniamo al Paradiso.Archiati. Non torniamo al Paradiso. Nel Paradiso non c’era

l’individualità. Io sto parlando di un paradiso che viene alla fine, che viene conquistato attraverso una radicalizzazione delle forze dell’individuo, dell’individualità. La comunione della fine è fatta di tutti e due: comunione e individualità. Tutte e due portate alla perfezione.

La morale dell’individualismo etico, come la chiama Rudolf Steiner, è più difficile, più complessa, perché è una morale in cui ognuno fa ciò che vuole, perché la volontà è diventata la volontà pura dell’amore. E una morale in cui il bene morale consiste in qualcosa che è unico in ognuno, comporta un sociale molto più

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complesso, molto più difficile. Allora si comprende la paura e subito questo moralismo che spaccia – vorrebbe spacciare – questa maggiore difficoltà come caos, come libertinismo già in partenza, e crede che la soluzione sia di andare indietro, di ritornare all’osservanza. Però viviamo in tempi – siamo sinceri con noi stessi, ognuno basta che sia sincero con se stesso –, viviamo in tempi di tale aspirazione a muoversi liberamente, ognuno individualmente, che nessuno di noi, se è sincero, è contento ed è d’accordo di tornare alla pura osservanza. E qui vi chiedo soltanto di non barare, di essere sinceri. Poteri di questo mondo – e non soltanto la Chiesa –, che per comodo loro vorrebbero tornare ai tempi in cui l’individuo è bravo, moralmente buono perché si sottomette e osserva, ci sono. Questi poteri ci sono! Però ognuno sia sincero con se stesso di fronte al quesito: se è veramente contento, lui, di tornare ai tempi della sottomissione, o se invece di fatto lo predica agli altri ma lui stesso, però, non lo vorrebbe fare. È questa la sincerità che vi chiedo di usare, ognuno con se stesso.

Ci vuole tutto un nuovo progetto di uomo, di vita, tutto un nuovo progetto di educazione, di formazione, di pedagogia, perché l’individuo umano va preparato, va formato fin dall’inizio a un tipo di morale del tutto nuovo che in fondo ribalta la morale antica. Il bene morale del passato che consisteva nell’osservare, nell’essere bravi, non è più un bene morale se resta soltanto quello. È un male morale. L’osservanza diventa soltanto il presupposto, e il bene morale è ciò che l’individuo crea con le forze dell’amore e della libertà.

Quindi, stiamo perdendo molto tempo se non ci rendiamo conto che tipo di educazione, che tipo di formazione dobbiamo assolutamente realizzare, cominciando dai primi anni dell’in-fanzia, della gioventù. Quando prendiamo un uomo di trent’an-ni, di quarant’anni, cinquant’anni, non è facile fargli cambiare

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la matrice mentale, la forma mentis, come si diceva una volta. Ci vuole un nuovo progetto di educazione, di pedagogia, di for-mazione, per una morale del tutto nuova. È come una svolta copernicana della morale dove l’osservanza non è più il bene morale, ma soltanto il fondamento del bene morale, la conditio sine qua non. E quindi l’osservanza che non sfocia nell’eserci-zio della libertà è una cosa assurda, perché non serve a nulla.

L’osservanza è moralmente buona soltanto se serve a far fiorire l’essere umano in libertà e amore. Se non serve a ciò che è libero, a ciò che è amante, non serve a nulla. Serve solo a mortificare l’uomo, e diventa immorale, moralmente malvagia, cattiva, perché mortifica l’uomo.

Ho sempre detto: Oggi – viviamo nel terzo millennio dopo questo Essere che ha portato l’impulso dell’Io, della libertà e dell’amore –, se una persona si presenta al Padreterno dopo la morte e gli dice: Sono stato bravo...? Ho osservato tutti i tuoi comandamenti!...

E il Padreterno: – E poi? Hai fatto solo quello? - E che altro dovevo fare? Mi hanno sempre detto che si è

bravi, si è buoni, se si osservano tutti i comandamenti, c’erano soltanto quelli dello Stato, quelli della Chiesa e adesso tu mi dici che non basta...?

- Ma non ti ho creato per sottometterti! Il tuo creatore ti ha creato a sua immagine e somiglianza, è uno spirito che crea! Lo spirito che ti ha creato non è uno spirito che osserva, che osserva soltanto la legge! Cosa fa questo povero Padreterno? Per fortuna che gli può dire: Ma sì dai, torna sulla Terra, però impara a far qualcosa che tu vuoi, che tu ami, non tornare una seconda volta a dirmi che hai soltanto osservato le leggi degli altri! - Le leggi umane sono sorte nella testa di altri uomini, no? Se tu hai osservato per tutta la vita, sei rimasto per tutta la vita un bambino! Torna sulla Terra e diventa adulto! Se tu

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hai osservato tutto quanto, chi mando in Paradiso, chi mando all’Inferno? Le autorità? Ma non te! Hai scaricato la respon-sabilità sempre sull’autorità, hai fatto quello che ti dicevano gli altri, allora devo mandare gli altri in Paradiso o all’Inferno! E te, dove ti mando? Torna sulla Terra, dai! Impara un pochino a prendere tu la responsabilità di ciò che fai!

Cosa vuol dire essere buono? In tempi passati era buono chi osservava tutte le regole. D’ora in poi è buono soltanto colui che arricchisce l’umanità in un modo tutto unico, che è tutto suo. E se non arricchisce l’umanità non è buono per l’umanità. L’uomo buono del passato diceva: Non ho fatto nulla di male! La moralità del futuro, l’etica del futuro non chiede se hai fatto qualcosa di male. Chiede: Cosa hai fatto di bene? Non mi basta che non tu abbia fatto nulla di male, perché se non hai fatto nulla di male e non hai fatto nient’altro, non hai fatto nulla!

Ripeto il pensiero perché forse vi è scappato via. Dire: Io non ho fatto nulla di male! Ma se tu hai dedicato tutte le tue forze a non far nulla di male, non hai fatto nulla di male, e non hai fatto nulla! Cosa hai fatto oltre a non far nulla di male? Quello interessa, quello è importante!

- Non ho fatto nulla di male! -- Va bene, e poi che altro hai fatto? -- No, non ho fatto nulla di male! -- Allora non hai fatto nulla! -.... Facciamo cinque minuti di pausa, per dare una calmata al

relatore, cinque minuti, e poi tocca a voi.

Dibattito

Qualcuno ha qualcosa da dire? Per chi non mi conosce devo forse aggiungere che è permesso che i pensieri espressi

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in assemblea siano più intelligenti di quelli del relatore. È permesso. Anzi, è tutto da godere. Allora, chi si è fatto una pensata?

Intervento. Perché questo “Rubicone” viene messo dopo Kant?Archiati. D o p o K a n t ? Viviamo in tempi in cui un’argomentazione puramente teorica non convince nessuno perché il pensiero è diventato poverello e in base alle scienze naturali convince soltanto un tipo di argomentazione fenomenologica dove c’è la percezione. Praticamente, io, i tre valori morali li ho fatti sulla falsa riga della vita che abbiamo tutti davanti.

Fenomenologicamente sta di fatto che Kant è uno degli ultimi grossi fenomeni morali, perché ha messo una morale che in Germania tutt’oggi è molto in auge. Se noi prendiamo Kant duecento anni fa, e Rudolf Steiner cento anni fa, il “Rubicone” era là in mezzo perché la morale di Rudolf Steiner è già tutta dopo il “Rubicone”, molto più moderna di quello che siamo noi. E nella sua “Filosofia della libertà” Steiner contrappone Kant che mette al centro della morale die Pflicht – rifuggo un pochino dal tradurlo, perché in italiano… Die Pflicht è il dovere! Però la parola dovere non ha il peso che ha la Pflicht in Kant... perciò ho parlato di Kant, la sottomissione in Kant ... E questo Steiner parla di libertà. Io faccio una riflessione puramente di fenomenologia: perché Kant ha potuto, come ultimo, instaurare una morale dove il bene morale consiste nel fare il proprio dovere in quanto sottomissione alla legge? Perché, difatti, studiando la storia vediamo che non soltanto nella Prussia dei suoi tempi, ma un pochino in tutta l’umanità... come dire, le rivendicazioni dell’individuo, quello che l’individuo vuole, la libertà che l’individuo rivendica a sé, duecento anni fa ai tempi di Kant era quasi inesistente. L’individuo era contento, si sentiva a posto,

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si sentiva buono quando aveva osservato tutti i comandamenti. Oggi abbiamo in tutto il mondo – soprattutto occidentale – una massa di individui che quand’anche avessero osservato tutte le leggi che esistono, sono del tutto insoddisfatti, vogliono di più.

E dicevo: io non rispondo alla sua domanda in termini di argomentazione teorica, ma di osservazione sperimentale e dico: se è vero che la stragrande maggioranza degli esseri umani, oggi, è del tutto insoddisfatta con l’osservanza di tutte le leggi che ci sono, vuol dire che nella natura umana si presenta qualcosa d’altro. E va preso sul serio, o altrimenti creiamo una massa di persone sempre più insoddisfatte, e questo sarà un caos non da poco.

Vent’anni fa, quindici anni fa, dove parlavo un pochino di più in assemblee di gente che coltiva la scienza dello spirito – io ho tutta una formazione filosofica, e teologica un po’ più dogmatica – argomentavo un pochino di più a suon di pensiero. Adesso sono diventato un pochino più modesto se si vuole, perché ciò che veramente convince è, in fondo, in chiave anche di scienze sperimentali che abbiamo alle spalle, l’osservazione dei fatti. Perciò ho posto la domanda: Chi oggi è felice e contento per il semplice fatto di osservare tutte le leggi che ci sono? Se ci fosse una persona matura, adulta, che dicesse: Io sono contentissimo, mi basta, non mi manca nulla quando ho osservato tutte le regole! Io gli direi, però lì devo mordermi un po’ le labbra: Allora sei un bravissimo bambino!

Intervento. Signor Archiati, felice di conoscerla. Lei è, per quanto sento, una splendida interpretazione dell’evoluzione del pensiero umano, bello il suo amore per l’amore. Il male, essendo un’interpretazione di un’azione, e quindi essendo uno stato, un modo di essere, non può essere una condizione indispensabile per arrivare a riconoscere l’altro stato, l’altra condizione del

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bene? E quindi quando si dice “il povero diavolo” in fondo altro non è che uno strumento al servizio del bene affinché esso si riconosca?

Archiati. Visto che si è presentato il filosofo? Niente di male, bellissima la sua riflessione! Lei, tutti noi, prende di nuovo le mie parole come uno spunto di pensiero. Il mio intento non è mai di dare una risposta. La sua domanda è un esercizio eterno del pensare umano. Allora io propongo, non come risposta alla sua domanda, ma per godere il cammino di pensiero che la sua domanda mette in atto, ciò che la cultura occidentale in modo particolare a partire da Aristotele – poi un Agostino, Tommaso D’Aquino... – ha detto sul male.

Lei è partito col male. Lei forse lo sa – lo sanno in molti qui –, uno dei pensieri fondamentali della cultura occidentale, soprattutto cristiana, sul male è che il male non è qualcosa, perché se fosse qualcosa, sarebbe bene. Il male sono i buchi dell’evoluzione, il male è una carenza.

Il male dell’egoismo non è l’amore di sé, perché l’amore di sé è ciò che c’è, e ciò che c’è è buono. L’amore di sé è buono, talmente buono che viene dato come modello per l’amore al prossimo: Ama il prossimo tuo come te stesso. Quindi se c’è un male nell’egoismo, è il suo buco, è la carenza dell’amore verso l’altro. Di fronte all’affermazione che il male è qualcosa, Agostino direbbe: Mai! È l’abisso del pensiero quando il pensiero comincia a pensare il male come se fosse qualcosa, allora lì il pensiero viene inquinato nel modo più assoluto. Però adesso, come dire, la Scienza della Logica1 di Hegel comincia col Sein2 e poi il Nichts, il nulla. E sul nulla c’è un sacco di cose

1 Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Scienza della logica (Wissenschaft der Logik), 1812.

2 L’essere

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da dire! Ma, come un sacco di cose da dire su nulla? E la sua domanda è: Allora cos’è un buco? La risposta più feconda per il pensiero l’ha data una bambina di sette anni: Il buco è un niente con qualcosa intorno. Perché senza qualcosa intorno non è un buco, quindi è il qualcosa intorno che fa il buco.

Cos’è il male? Il bene che avrei potuto fare e che non ho fatto. Per fortuna il Creatore è così pieno d’amore che mi dà una seconda possibilità, una terza, una quarta, una quinta... non all’infinito, altrimenti la libertà non ci sarebbe. Quindi il male non c’è, proprio non c’è, non c’è! Oppure mi dica lei cos’è il male? Provi ..., ci provi. Lei ha dimostrato di essere un bravo filosofo, non dica che non ci vuole provare. Cos’è il male?

Replica. È una bella domanda! È uno sgabello.... fatto dal falegname.

Archiati. Va beh, se proprio vuole è uno sgabello senza gradini. Non ne viene a capo se lei il male lo vuole presentare come qualcosa che esiste.

Replica. È l’espressione della dualità esistenziale, è il negativo del positivo.

Archiati. Ecco, ecco, lì siamo d’accordo. L’ombra, diciamo la tenebra, non è qualcosa, è mancanza di luce. Non è un essere a parte oltre alla luce, non è un altro essere oltre alla luce. È mancanza di luce. Il freddo non è un altro essere rispetto al calore, è mancanza di calore. Però, adesso qui andiamo nel filosofico e andiamo un po’ per aria. Direi basta così su questa domanda. È una delle domande più difficili che esistano. Ho soltanto dato uno spunto partendo da una riflessione veramente fondamentale di tutta la tradizione occidentale, che il male è la carenza del bene, la mancanza, il vuoto.

Intervento. Posso aggiungere una cosa, una riflessione mia

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personale sul male? Mi spiace che abbia appena detto che in fondo è da chiudere un momento questa riflessione sul male, però parto dai fatti. Lei ci ha invitato a farlo, no? di osservare. Il male – è forse l’ultima frase che ha usato – è assenza. Però il male è quando io decido, mi vien da dire, che quando io per paura, per orgoglio, per qualche motivo, decido di andare, forse contro quello che è un bene. Per cui non lo vedo tanto come uno stato, il male, quanto invece come una decisione. Però se lei riesce un attimo a prendere il mio pensiero, ciò che è bene, mi fa piacere e ringrazio che mi aiuti a chiarire.

Archiati. Giusto, giusto, perché prima era rimasta un po’ metafisica la domanda: cos’è il male, cos’è il bene? Adesso lei dice: Ma ci sono delle azioni che sono cattive! Suicidio, per esempio, Giuda, suicidio... Non è che noi vogliamo dare tutte le risposte già questa sera, però come un minimo di anticipo… Quando un essere umano compie un’azione oggettivamente distruttrice, malvagia, giustamente lei dice: Io non posso dire che è soltanto una mancanza di bene, è un’azione reale, è una distruzione reale! È questo che lei voleva dire, ed è giusto.

Però c’è un altro pensiero e fa parte di questa tradizione occi-dentale che si rifà a Platone3, in cui Platone a più riprese dimo-stra che l’essere umano non è capace di volere il male, è contro la sua natura. L’essere umano può volere qualcosa soltanto se, per lo meno, gli appare come un bene, perché se lui è convinto che è male, non lo fa! Quindi l’essere umano può fare qualcosa soltanto dal punto di vista che gli appare come un bene, perché non è capace di volere il male, è contro la sua natura. E lei dice, giustamente: Come la mettiamo con le azioni malvagie? Però questo lo prendete come spunto per domani e dopodomani: se è vero che l’essere umano non è capace a questo livello dell’evo-

3 cfr. Timeo, Platone, 427- 437 a. C.

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luzione di volere azioni malvagie, e però ci sono esseri umani che le compiono, devono essere posseduti da esseri extraumani. Devono essere posseduti nel termine tecnico della parola, da esseri extraumani. In altre parole, prendiamo un Hitler, suppo-niamo che questi abbia compiuto non soltanto carenza di bene, ma veramente azioni o cose che sono oggettivamente malvagie in sé..., azioni malvagie. L’interpretazione del male morale in tutta la cultura cristiana, tra l’altro, è che se un essere umano compie azioni intrinsecamente malvagie, non può averle volute lui, deve averle volute uno spirito extraumano che si serve di lui per compierle. L’archetipo di questo fenomeno è il Giuda che all’Ultima Cena riceve il nutrimento. E quando l’essere umano mangia, il processo di digestione, di ricostruzione, di ricarica-mento del corpo umano – simile anche al raddoppiamento che è la generazione –, crea delle forze corporali istintive tali per cui l’essere umano in quanto spirito si trova, diciamo, massi-mamente indebolito rispetto a queste forze del corporeo, del fisiologico. E il Vangelo di Giovanni dice: Dietro al cibo, dietro al boccone che il Cristo gli dette, entrò dentro di lui satana: και e„sÁlqen e„j αυτòν satan©j.4 Il che significa che il testo del Vangelo ci dice: D’ora in poi non agisce più Giuda, agisce un essere superumano. Quindi il testo presuppone che ci siano questi esseri attraverso Giuda. La volontà di Giuda in quanto uomo, non c’è più, perché finché la volontà di Giuda resta in lui e lui agisce in base alla sua volontà, non può volere il male. Questa affermazione è veramente incoraggiante.

Uno Steiner dice: Ci sono pochissimi esseri umani a livello di magia nera che sono già posseduti a un livello tale da po-ter volere direttamente il male, ma la stragrande maggioranza degli esseri umani è ancora a livelli di evoluzione dove non

4 cfr. Vangelo di Giovanni 13, 27

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sono capaci di volere il male. Quindi intrattenerci, diciamo, su un fenomeno come Hitler è soltanto un esempio estremo, ma bisogna prendere esempi estremi. Sarà il compito di domani e dopodomani. Quindi se affrontiamo la questione del bene e del male è chiaro che non è tutto facile. Non è tutto facile.

Intervento. Mosè rivisto in questa nuova luce diventa attualissimo.

Archiati. Cosa intende dire?Intervento. Non ricordo in quale passo Gesù dice: Io sono

venuto per completare l’opera di Mosè. Quindi ci aggiunge l’amore, e dunque non è più un’imposizione, non è più un subire ma è un creare. E la seconda domanda invece è questa: questa insoddisfazione generale crescente ci porta vicini a una rivoluzione?

Archiati. Ci porta a un caos sociale, era questo che voleva dire, no? Il mio pensiero era: o troviamo il coraggio – e questo lo devono fare gli individui e dipende dal fatto che ce ne sia un numero sufficiente – di instaurare un tipo di morale del tutto nuova che presuppone un tipo di educazione del tutto nuova, oppure gettiamo il sociale nell’abisso. Però, di nuovo un pensiero su cui potete esprimere il vostro... e io lo vedo, lo vedo nel quotidiano che diventa sempre più difficile… Però per creare una morale nuova bisogna partire dal pensiero, non si può più imporre per autorità: Devi fare una morale. Torneremmo indietro allora, quindi il compito è enorme, è immane perché ci si appella alla capacità pensante dell’individuo.

Intervento. Vorrei ritornare un attimo al discorso che è stato fatto fino a qualche minuto fa sul male come assenza del bene. E abbiamo anche detto: il buio, in fondo, è l’assenza di luce, cioè qualcosa che non c’è, dunque noi non possiamo metterli

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come contrapposti. E questo pensiero mi convince. Però, se vado a guardare, per esempio, il pensiero tradizionale cinese che dice: Dall’uno viene il due, e chiama questi due con i nomi yin e yang, che non vogliono dir nulla, ma dove questi due concetti non sono uno l’assenza dell’altro, sono due assolute entità, allora il pensiero cinese ci dice: C’è movimento, c’è vita, perché c’è l’alternarsi continuo di queste due forze. Questo pensiero sembrerebbe in contraddizione con quello che stiamo dicendo noi.

Archiati. No, hai omesso un passaggio nella tua riflessione. Cioè, il famoso cerchio con yin e yang… Il concetto non è che uno è bene e l’altro è male, sono due beni, sono due realtà buone. Maschile e femminile per esempio, no? Sono due realtà buone che si arricchiscono a vicenda. Se noi volessimo dire: però essendo due realtà, nessuna è perfetta e se yang è imperfetto, se c’è una certa carenza è perché gli manca yin; e se yin è imperfetto è perché gli manca yang, diciamo, che l’evoluzione di yin è di acquisire sempre di più in sé lo yang; e l’evoluzione di yang è di acquisire in sé sempre di più lo yin. Però non si parla di una realtà bene e male. Sono due realtà buone, una polarità, tutte e due positive come il maschile e il femminile. Non è che si possa dire il maschile sia bene e il femminile sia male o viceversa. Perché in base a questa riflessione resta la domanda: Allora, cos’è il male...? Non c’è, non c’è.

Intervento. Come non c’è? Archiati. Si, ma non c’è il male!Replica. Potrebbe essere una trappola però, no? Credere che

non ci sia..!Archiati. Continua... perché hai paura di fronte a questa

affermazione?Replica. Perché temo che quando il male riesce bene nel suo

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compito, riesce proprio a far dire che non esiste. Invece il male lo constatiamo giorno per giorno, il male esiste. E lei ha detto anche che l’uomo non è capace di commetterlo, va bene, ma che il male non esista è in contraddizione con quello che ha detto prima...

Archiati. No, io non ho detto che il male non esiste.Replica. Allora Satana chi è?Archiati. Stiamo parlando del male umano, degli uomini.

Allora prendiamo Auschwitz. Bisogna prendere questi esempi forti, naturalmente ha ragione lei quando dice: Ma non è soltanto qualcosa che non c’è..., c’è! è una cosa enorme che c’è stata, un male enorme! Giusto. Ma la cosa non è così semplice. In filosofia abbiamo fatto semestri e semestri su questa questione perché è la cosa più difficile da articolare a livello del pensiero, però se noi dicessimo che il bene consiste nell’evitare questo male che è Auschwitz, allora non c’è neanche il bene. Quindi il bene non si ha evitando il male. Ho soltanto evitato il male, ma non c’è ancora il bene. Soltanto quando ci metto il bene a quel posto, mi accorgo che c’era un vuoto, però il vuoto è qualcosa. E un buco è qualcosa, un buco è un buco! Però è qualcosa fatto di niente.

Replica. Non è che non c’è, che non esiste, è un buco, comunque è un buco.

Archiati. Si, però è fatto di niente.Replica. È fatto di niente, ma è fatto anche da vortici terribili,

terrificanti, insomma... fatto di niente!Archiati. Allora, o il pensiero ha la forza di diventare

paradossale, e questo non è una cosa facile, oppure usiamo metafore. ‘Vortice’ è una metafora. Cioè, questo male immenso di Auschwitz... basta evitarlo? No. Per evitarlo devi fare il bene. In altre parole, se vuoi che non ci sia il buco, devi riempire il buco, cioè ci devi mettere qualcosa, questo è il pensiero.

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E quando ci metti qualcosa, quando fai il bene, il male non c’è. Non c’è, non c’è. E allora salta fuori.... ah! era il bene che mancava! Però per fare il bene non basta evitare il male, questo volevo dire. Non basta evitare Auschwitz perché ci sia il bene nell’umanità. Perché non ci sia Auschwitz bisogna fare il bene, perché se noi non compiamo il bene, salta fuori Auschwitz.

Intervento. Nel “Padre Nostro” noi chiediamo: Liberaci dal male!

Archiati. In greco non sarebbe ‘dal male’, ma ‘dal maligno’. Dal maligno. Il maligno è fatto apposta per acchiapparmi, per possedermi, per usarmi, per servirsi di me come strumento, per fare quello che gli pare a lui. Come mi libero dal maligno? Non dandogli nessun posto dentro di me, nessun buco dove può entrare. Il maligno entra nei buchi.

Intervento. La camorra è tutta bucata...? La mafia, o l’ndrangheta?

Archiati. Come? Dice: allora, la camorra è tutta bucata...? Auguro a tutti una buona notte e tutti i problemi che non sono

stati risolti oggi, verranno risolti domani!

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2. Caino, Giuda, EdipoLe sconfitte che fanno vincere

Gentili ascoltatori, cari amici, un pensiero fondamentale di ieri sera era questo: la cosiddetta etica, la morale, l’arte di compiere il bene – cioè ciò che fa bene all’uomo umano, all’essere umano e all’umanità –, si trova a una svolta. A una grande svolta, paragonabile alla svolta che avviene nella vita del singolo quando nella pubertà passa da una conduzione dal di fuori – che era necessaria perché il bambino non è ancora capace di gestirsi dal di dentro, non ha ancora pensieri propri, non ha ancora capacità di volere qualcosa a partire dal di dentro –, alla capacità di gestirsi in modo autonomo. Viene questo periodo, difficile ma molto bello, perché fa fare un grande passo in avanti dove, nell’uomo che cresce, sorge la capacità di gestirsi dal di dentro.

La morale, l’etica umana, si trova in questo passaggio da una morale di comandamenti, di leggi – il comandamento e la legge è ‘la conduzione dal di fuori’. E questa conduzione dal di fuori non sta più bene, è come un abito che diventa sempre più stretto mentre il ragazzo o la ragazza nell’epoca della pubertà diventa sempre più grande. E, dicevo ieri sera, questa morale dove il tutto della morale era l’osservanza, la sottomissione, non è che sparisca, perché restano leggi da osservare. Però ciò che prima era il tutto della morale (l’osservanza dei comandamenti, delle leggi) si fa da sostrato, da fondamento. Diventa ora la condizione necessaria, e il bene morale vero e proprio diventa qualcosa del tutto nuovo.

D’ora in poi un’etica moderna, degna dell’uomo d’oggi che vuole gestirsi sempre di più a partire dal di dentro, richiede leggi uguali per tutti che si limitino a sancire ciò che viene proibito. La legge uguale per tutti ha il diritto di dire all’individuo

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unicamente ciò che questi non deve fare, e non ha nessun diritto di dirgli ciò che deve fare.

Dicevo che ciò che l’individuo deve fare non glielo può dire nessuno dal di fuori, glielo può dire soltanto la conduzione dal di dentro, perché il da farsi dell’individuo è del tutto indivi-duale. È un continuo arricchimento spirituale, di pensieri, di sfumature dell’animo, di sentimenti, come dire, di rapporto del cuore al cuore dell’altro, che è del tutto individuale; e questo individuale, creativo, questo elemento artistico sarà il bene mo-rale del futuro. Mentre l’osservanza della legge, cioè proibirsi, il non fare le azioni che sono proibite, serve unicamente a ren-dere possibile l’emergenza, la creazione artistica individuale di questo bene del tutto individuale, arricchisce l’umanità ed è moralmente buono soltanto nella misura in cui viene fatto a partire dalla sorgiva della libertà e dell’amore.

Questa libertà e questo amore è autorealizzazione dell’indi-viduo. Porta l’individuo a un massimo di individualizzazione, quindi non annulla l’individuo in un collettivo. Diciamo, se vo-lete, che questa era un po’ la matrice delle religioni prima della grande svolta dell’evoluzione.

Pensiamo al buddismo ai tempi del Budda – non ai buddisti di oggi, ma al buddismo ai tempi del Budda –, il cui concetto di Nirvana era di annullare, sciogliere l’Io dentro una realtà universale impersonale. Invece la prospettiva di evoluzione del futuro è che l’Io è destinato a tutt’altro che sciogliersi. È destinato a trovare la sua perfezione, il suo compimento di individualità unica, che ha qualcosa di unico, di specifico, di irripetibile da immettere nell’umanità, proprio in questo esercizio di dedicarsi alla comunanza dell’umanità che abbraccia tutti gli uomini, e non ne esclude neanche uno, indipendentemente da razze o religioni o popoli o lingue, così come fanno gli organi in un

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organismo vivente. In questo bene morale che è il costruire dell’organismo

unitario, spirituale, dell’umanità c’è non l’annullamento, non lo sciogliersi dell’individuo nel collettivo umano, ma proprio l’emergere sempre più spiccato del contributo che deve restare fino in fondo unico e irripetibile in ognuno. Quindi, di risvolto dicevo che in questa svolta copernicana della morale, la legge uguale per tutti deve rigorosamente limitarsi a proibire. Non deve comandare nessuna azione, non ha il diritto di comandare nessuna azione, deve soltanto proibire quelle azioni che a ragion veduta sarebbero lesive della libertà. E la persona intelligente, la persona che veramente ama se stessa e l’umanità, per natura sua non vuol fare tali azioni.

C’è dunque una prospettiva evolutiva così bella, dove la legge che proibisce diventa superflua, perché nell’esercizio di compiere il bene, di immettere nell’umanità questo arricchimento unico, individuale, di ognuno, l’individuo stesso si rende conto che, se a latere facesse delle azioni che ledono questa libertà, sarebbe il primo a farne le spese, perché allora non soltanto impedirebbe agli altri, ma impedirebbe a se stesso ciò che è il meglio, che è il compiere il bene, creare questo bene che arricchisce l’umanità.

Il bene morale in senso vero e proprio non è più un’osservan-za, ma è ciò che viene fatto individualmente, artisticamente, creativamente, con l’intuizione del cuore, in amore e in libertà. E a quel punto lì, l’amore di sé e l’amore del prossimo diventa una cosa sola, perché io non posso amare l’organismo unitario dell’umanità senza amare ciò che io sono, come cellula vivente, come membro vivente in questo organismo. E non posso amare l’umanità senza amare me stesso in quanto membro vivente di questa umanità.

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La massima morale del bene morale Ama il prossimo tuo come te stesso, se volete, ha un risvolto essoterico come si diceva ai tempi di Aristotele – exo significa fuori, un risvolto essoterico significa palese, uguale, comune a tutti –, e il risvolto essoterico è: Ama il prossimo tuo come ami te stesso. Ma c’è anche un risvolto esoterico – e in greco eso significa dentro, quindi un significato più profondo, più nascosto, che dapprima pochi, forse, antesignani dell’evoluzione, fanno proprio. Il significato esoterico spirituale, nascosto, più profondo di questa massima è: Ama il prossimo tuo, lui è te stesso, perché siete membra dello stesso organismo e tu non puoi amare un membro dell’organismo più di un altro o meno di un altro. O ami tutto l’organismo, o non ami tutto l’organismo. E questa prospettiva esoterica di questa massima del bene morale, è proprio il futuro della morale: rendersi conto non soltanto a livello della testa, ma a livello del cuore, che l’altro è me stesso, è “io stesso”! Soltanto al livello fisico della maya, dell’illusione fisica, siamo separati, ma ad ogni altro livello – dell’anima, dello spirito, dei sentimenti, dei pensieri, delle forze karmiche del destino che ci uniscono –, non siamo separati.

Quello che io faccio a te lo faccio a me, e quello che faccio a me lo faccio a te. Ogni essere che innalza se stesso innalza, per natura, tutta l’umanità. E ogni essere che moralmente abbassa se stesso, abbassa, di tanto, tutta l’umanità. Nessuno di noi è separato, è fuori, dall’organismo spirituale dell’umanità. Quindi, questo bene morale, in senso vero e proprio, che è ciò che viene fatto con amore e libertà, è individuale, unico, lo può creare soltanto l’individuo con l’intuizione del cuore, perché nessun altro può dire a te chi tu sei nell’organismo dell’umanità, perché l’altro è un altro.

Chi io sono nell’organismo dell’umanità lo posso intuire soltanto vivendo me stesso, vivendo come io opero sugli altri;

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nella misura in cui osservo con l’attenzione del cuore il mio operare negli altri e osservo cosa mi fanno gli altri, capisco sempre meglio chi io sono nell’umanità, nell’organismo dell’umanità. E questo che io sono, è il bene morale che io sono per gli uomini e per me stesso.

Nella religione tradizionale si è disquisito spesso sulla volontà di Dio: cosa vuole Dio da me. Dio, colui che mi ha creato, non vuole qualcosa da me. Ma come si permetterebbe di volere qualcosa da me... Se volesse qualcosa da me, farebbe di me uno strumento per raggiungere la sua volontà, ciò che Lui attraverso di me vuole. Fare di me, fare dell’essere umano uno strumento è l’essenza dell’immoralità. Quindi il Padreterno che mi ha creato non ha nessun diritto di volere qualcosa da me, ha soltanto il diritto di volere me. Me ha creato, e avendo creato me, questo ha voluto. Quindi il contenuto della morale non è una volontà di Dio su di me. Non esiste! È un moralismo che è fatto soltanto per soggiogare, per tener sotto gli esseri umani. La volontà di Dio su di te, sei tu. Questo Lui vuole.

Ripeto il pensiero: se Dio – dio, o usate un’altra parola, quello che volete, non è la terminologia che ci interessa –, se il senso della mia esistenza, se il bene fosse esterno a me, per cui la volontà di Dio è qualcosa che io devo fare, allora non vuole me. Vuole me in vista di qualcosa d’altro. Ma allora mi rende uno strumento per qualcosa d’altro, e ciò che Lui attraverso di me vuole è più importante di me... Un dio concepito in questo modo è una cosa assurda, oltre al fatto che non avrebbe nulla a che fare con l’amore verso l’essere umano.

Quindi la volontà di Dio su di te, è quella pienezza che tu sei! Quello Lui ha voluto creandoti, perché se avesse voluto qualcosa d’altro avrebbe creato qualcosa d’altro. Avrebbe creato qualcosa d’altro. Quindi, cos’è la volontà di Dio, così come è stata concepita attraverso i secoli? Il volere di altri uomini su di

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me. Perché Dio vuole ciò che crea, e se crea gli uomini, vuole gli uomini, non qualcosa d’altro attraverso gli uomini.

Dicendo questi pensieri voi restate così ammutoliti... però spero che vi rendiate conto che sono puliti a livello di pensiero, ed essendo così fondamentali ci rendiamo conto che in fatto di bene e di male, in fatto di morale, siamo agli inizi di una presa di coscienza proprio dei fondamenti della morale.

Se è vero quello che sto dicendo, che il bene morale è ciò che si sprigiona dall’individuo perché viene creato dall’essenza del suo essere, da questa genuinità..., così come la rosa, il bene della rosa, è di essere rosa nel giardino, se volete, per la morale di cui sto parlando, un paragone sarebbe di prendere il suolo, il terreno di un’aiuola: le forze del suolo, della terra sono uguali per tutti i fiori che crescono. Questo livello del suolo, della terra, dell’acqua, del calore o dei sali della terra, ecc. sarebbe come la morale dell’osservanza. Le leggi da osservare, quindi le azioni che uno si deve proibire, come fondamento, sono come il terreno di cui tutti abbiamo bisogno, per far sorgere il morale vero che è poi il modo unico di ogni fiore di spuntar fuori. Il terreno è uguale per tutti i fiori, però su questa aiuola ogni fiore ha una legge di metamorfosi, di formazione, dei colori, delle forme, tutta sua. Dallo stesso terreno sorge una ricchezza variopinta, infinita di fiori. Così l’umanità, sullo stesso terreno di una legge uguale per tutti (che proibisce a ognuno di fare ciò che impedirebbe di crescere), sulla base di questa legge uguale per tutti sorgono individui che sono come fiori, ognuno diverso dall’altro. Ma la bellezza, la ricchezza di un’aiuola, non è la noiosità del suolo che è uguale per tutti i fiori, è proprio nella ricchezza delle variazioni dei fiori all’infinito.

Il bene morale da godersi, non è la base comune della legge, ma è ciò che sorge su questo terreno comune, dove ognuno è una creazione unica, irripetibile. Sul terreno sorge una viola, chi

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dirà alla viola come deve crescere? È immanente nella viola, le forze di crescita della viola sono immanenti nella viola. Quindi, come può un essere umano dire a un altro essere umano chi è lui, come deve crescere... Lo sa soltanto lui!

Nella misura in cui la legge, i comandamenti finiscono di invadere tutta la nostra vita – al punto che ci portano via tutte le forze con tutto quello che c’è da fare, perché ci dicono non soltanto ciò che c’è da non fare, ma anche il da farsi –, quando la legge comincia a lasciarci respirare un pochino perché si limita alle azioni che dobbiamo lasciare, ognuno trova un pochino più forze, un pochino più tempo, e anche viene incoraggiato a guardarsi dentro e a trovar la gioia di diventare sempre più creatore. Finché veniamo subissati da leggi, regolamenti, ecc. ecc…, in Germania ogni tanto dico: La prova apodittica che ci devono essere ripetute vite terrene è il fatto che una vita sola non basta neanche per leggere tutti gli ordinamenti e le leggi che ci sono... immaginiamo poi per metterli in pratica.

Questa creazione unica, tutta artistica, tutta bella, perché proviene dalle forze dell’amore, della libertà dell’individuo, che viene creata per intuizione, non è tanto nelle azioni esterne che l’individuo compie..., perché voi mi direte: Ma come fanno adesso tutti gli uomini che esistono a compiere azioni sempre del tutto diverse? No, non è nel cosa l’individuo fa che si esprime il bene morale, ma è nel modo in cui lo fa. Mille mamme, o mille papà se volete, possono fare le stesse azioni per cuocere un pranzo per altre persone, ma l’individuale, il bene morale, non è nelle pentole che muovono, nel modo di muovere le mani ecc… Il bene morale è nei pensieri che pensano queste mille persone, nei sentimenti che immettono nell’umanità. E ditemi voi se è mai possibile che la serie di pensieri che anche soltanto due persone pensano mentre compiono azioni che sono uguali

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in mille altri, e i sentimenti che essi sentono, possono essere uguali. È del tutto escluso. Quindi il bene morale, la fecondazione dell’umanità che avviene in base alla sorgiva dell’amore, della libertà dell’individuo, non è tanto nelle azioni esterne, quanto in questo afflato, in questa aura di pensieri, di sentimenti, anche di atti volitivi che accompagnano invisibilmente le nostre azioni.

Pensiamoci un momento: nel mondo dei pensieri che è infinito, nel mondo dei sentimenti che è infinito, c’è posto per tutte le individualizzazioni che si possono immaginare. Lì è possibile diventare individuali, unici all’infinito, creativi, artisti. Già soltanto il linguaggio – qualche volta l’ho detto – è fatto di una ventina di lettere che sono sempre le stesse, ma prendiamo anche le centomila, centocinquantamila parole: le centocinquantamila parole sono uguali per tutti, però non troverete mai due persone che, anche soltanto con dieci parole, ne facciano la stessa successione. Il modo di combinare le parole diventa subito individuale.

In questi ultimi mesi stiamo stampando in tedesco 430 pagine di Steiner sulle cause della prima guerra mondiale... Conferenze attualissime in cui Steiner ha letto diverse cose e citato giornali di allora. La stenografa non sempre riusciva a inserire tutto il testo, tante volte metteva soltanto l’inizio e la fine di una citazione. Nell’opera omnia tedesca vi sono tante citazioni di Steiner seguite da: c’è una lacuna nel testo... Noi cosa abbiamo fatto? Vi sto dicendo il modo in cui l’individualizzazione morale si compie anche nei confronti del linguaggio: siccome la trascrizione dello stenogramma ha quasi sempre le prime e le ultime parole della citazione, noi siamo andati su Google, vi abbiamo inserito varie combinazioni di parole... e ci è stato possibile trovare citazioni vecchie di un secolo, tra l’altro alcune in scrittura gotica. Proprio per il fatto che avevamo una

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combinazione anche soltanto di quattro, cinque parole, e questa combinazione di quattro, cinque parole è avvenuta nell’umanità soltanto quella volta. Una cosa allucinante! Questo per dirvi come non soltanto il linguaggio, ma il pensabile è come un terreno: il terreno è uguale per tutti, però l’individuo combina i fiori in un modo del tutto diverso. Le forze sono le stesse, ma il modo di combinarle è del tutto diverso. Così il linguaggio, il pensabile è uguale per tutti, ma il modo di combinare le parole…, c’è posto all’infinito per la fantasia, per la creatività artistica di ognuno. Immaginiamo poi nel modo di amare che una mamma può avere per il proprio bambino. Certo che tante mamme fanno più o meno, esteriormente, le stesse azioni – il bambino va pulito più o meno allo stesso modo –, ma i pensieri di amore, diciamo l’afflato di amore che accompagna queste azioni, può ed è destinato a diventare sempre più individuale, sempre più unico, sempre più creativo in ogni persona.

Questo bene morale individualizzato proprio perché sorge, non è qualcosa di dovuto, non si limita all’osservanza fatta a denti stretti, ma viene donato dall’esuberanza del cuore, della mente. Proprio per questo è moralmente doppiamente buono. Il bene che si fa perché si deve, è un mezzo bene, anzi un quarto di bene, proprio perché lo si fa perché si deve. Ma il bene che si fa perché si vuole, perché lo si ama, è doppiamente bene. Soltanto quello è veramente buono, perché è voluto, è amato, è dato, regalato in libertà.

E quando il dovere diventa presupposto necessario per ciò che si fa nella libertà, allora anche le azioni che mi devo proibire, non me le proibisco più a denti stretti, ma non le voglio. Non le voglio fare! E quindi, c’è una prospettiva del bene e del male per il futuro, una morale del futuro dove il dovere non è più necessario. Non c’è più nulla che l’essere umano deve, c’è soltanto ciò che a partire dall’esuberanza del cuore vuole

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per sé e per gli altri. E le azioni che non si devono fare perché comprometterebbero ciò che è libero e ciò che è pieno d’amore, non vengono volute, quindi non c’è bisogno di proibirle.

Prendiamo un esempio – qui nel disegno uso anche un po’ di colori perché adesso ho bisogno non soltanto del corpo fisico. Prendo il caso di un’infermiera in un ospedale – a Torino per esempio –, o anche un infermiere, ma prendiamo un’infermiera perché forse l’elemento femminile impersonifica meglio quello che voglio dirvi. Questa infermiera la chiamo la persona A. Poi c’è la persona B. È una persona che vive lontano, però per ragioni di lavoro, o quello che volete, si trova in visita a Torino. Incappa in un incidente stradale per cui finisce nell’ospedale dove si trova la nostra infermiera. Riassumendo: una persona che altrimenti vive in tutt’altro luogo e per caso si trova a Torino, ha avuto un incidente stradale e ora si trova a ricevere le cure di questa infermiera che è qui a Torino. È un caso? Cosa vuol dire caso? Caso vuol dire: Non so perché è avvenuto.

Adesso facciamo un salto, perché il nostro materialismo vede soltanto i due pezzi di materia. Se noi andiamo in ospedale abbiamo il malato, il traumatizzato, e l’infermiera. L’infermiera gioca in casa sua, a Torino, però il malato si trova per caso a Torino, e per caso incontra questa persona.

Il salto mortale che va fatto per capire cosa è successo col materialismo, è di chiedersi: Ma queste due persone consistono soltanto nel loro pezzo di materia? Una umanità un pochino più vecchia diceva: Ma no, è da matti pensare che l’uomo sia soltanto questo. Ognuno di questi due ha tutto un mondo, un’aura se volete, invisibile, che è la sua anima. La scienza dello spirito parla di corpo eterico, di corpo astrale, chiamiamolo l’anima, fatta di pensieri. I pensieri non sono visibili. E quest’altro tizio, pure lui..., è un mondo di pensieri, di sentimenti. C’è in ogni

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essere umano un Io superiore e questo Io superiore che vive nell’anima, nello spirito. Vedete, qui nelle forze del karma, nelle forze dell’anima, non sono separati questi due individui. Il pensiero che sta alla base è che questi due esseri umani hanno un lungo passato in comune. (fig.)

E cos’è che spinge l’Io di colui che ha avuto l’incidente a To-rino ad andare a Torino per avere questo incidente, che è il pre-

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supposto per incontrare questa persona, questo può avvenire soltanto se tra queste due persone in base a ciò che è avvenuto fra di loro come scambio di forze a livello dell’anima, a livel-lo dello spirito, ci sono delle forze che richiedono un incontro per continuare questa osmosi di forze, questo scambio di forze. Quindi l’Io superiore di B ha voluto liberamente andare a To-rino, a Torino avere un incidente per incontrare assolutamente questa infermiera A, ed esporsi e vivere questo trapasso di for-ze, questo scambio di forze che è la continuazione di un cam-mino fatto insieme. Altrimenti non sarebbe andato a Torino ad avere questo incidente per incontrare proprio questa persona. Sarebbe andato magari in un’altra città. Invece di avere un in-cidente, avrebbe incontrato un’altra persona senza incappare in un incidente. Però questa infermiera (A) poteva incontrarla soltanto grazie ad un incidente che l’ha condotto all’ospedale. E l’Io superiore si dice: questo scambio di forze, del tutto indivi-dualizzato, è per me così importante nel mio karma che mi sta benissimo che avvenga in base a un incidente. L’incidente è una cosa secondaria, l’importante è che l’incontro avvenga.

La coscienza umana decaduta ha ucciso la consapevolezza dell’Io superiore. Questo è il mistero di Caino che uccide Abele. Caino è l’io inferiore chiamato a piombare nel mondo della materia per individualizzarsi, per conquistarsi l’autonomia, e questa autonomia la si può conquistare soltanto perdendo di vista per un certo tempo la comunanza di queste forze del karma. Quindi l’uccisione del fratello, di Abele, da parte di Caino è una delle prime necessità dell’evoluzione. Non è un peccato morale, che sarebbe meglio se non fosse successo. Perché se Caino – e Caino è ogni essere umano, Caino è ognuno di noi –, se l’uomo non avesse ucciso, non avesse cancellato la coscienza della realtà dell’Io superiore, non avrebbe mai avuto la possibilità di chiudersi nel mondo della materia che lo isola in tutto e per

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tutto dagli altri, non avrebbe conquistato la sua autonomia, la sua libertà. L’autonomia, la libertà dell’uomo Caino, si può conquistare soltanto uccidendo, cioè facendo sparire la realtà di questa osmosi di forze tra Io e Io, non avendo più nessuna idea della realtà vivente, operante, di questa osmosi di forze tra Io e Io.

La svolta della morale del bene e del male è che i tre gradini, i tre grandi passi di questa cacciata dal Paradiso della coscienza umana, di questo oscuramento della coscienza umana, sono: Caino, Edipo e Giuda.

Giuda è alla svolta dell’evoluzione, e con Giuda si compie la triplicità di questo inabissarsi dell’essere umano nel mondo della materia. È questo venir piantato del seme dentro al suolo della terra, però questo morire nel suolo della terra è il presupposto per rinascere a livello individualizzato. Il seme che muore nella terra, muore nella sua realtà individualizzata perché la Terra è uguale per tutti, le forze della Terra sono uguali per tutti.

Morendo dentro a ciò che è uguale per tutti, perdendo di vista ciò che ci accomuna, l’essere umano crea i presupposti per rinascere, per risorgere dalle forze comuni del mondo fisico e ricreare in chiave di libertà e di amore una individualità del tutto unica. Però il presupposto di questo rinascere come individui è di individualizzarsi perdendo di vista ciò che è comune, e inserendosi del tutto nell’elemento che ci separa gli uni dagli altri.

Ho spesso ricordato una delle massime fondamentali della Scolastica, dei pensatori scolastici che si rifanno ad Aristotele: materia, principium individuationis. La materia è il principio di individualizzazione. Soltanto inserendosi nell’elemento della materia ognuno di noi può viversi come separato, individualizzato. È il principio, l’inizio, un primo inizio di

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individualizzazione perché è soltanto esterna. Però sulla falsa riga di questa separazione, di questa individualizzazione esterna, ora ritorniamo, facciamo la sintesi di ciò che è comune. Anche in questa osmosi di forze, in questa comunione di forze c’è allo stesso tempo il compimento di ciò che è individuale: materia principium individuationis.

Una volta che Caino – l’essere umano che si identifica col mondo fisico, tant’è vero che il sacrificio di Caino non sale gradito a Jahvè, ma resta sulla Terra, quindi le forze di Caino sono le forze dell’uomo che opera nel mondo della Terra, nel mondo della materia –, nella misura in cui Caino uccide, perde di vista l’Abele che è dentro di sé – l’Io superiore, l’Io divino ancora unito col mondo spirituale che è dentro di sé –, a questo essere umano che nella sua coscienza uccide l’Io superiore resta soltanto, in sé e nell’altro, l’io fatto di materia. E nella misura in cui la coscienza umana vive soltanto la realtà materiale di sé e dell’altro, nasce il vivere gli uni contro gli altri, proprio perché nel mondo materiale siamo divisi gli uni dagli altri: ciò che è un mio vantaggio è un tuo svantaggio, ciò che sto mangiando io non lo puoi mangiare tu, i cinquanta euro che ho in tasca io non puoi averli contemporaneamente in tasca tu, ecc…

La legge del fisico non è soltanto la divisione, la separazione, ma, diciamo, se l’umanità non riconquista la realtà dello spirituale, l’esoterismo dice che la prospettiva dell’evoluzione del materialismo, l’ultima conseguenza, è la guerra di tutti contro tutti. È l’ultima conseguenza, l’ultimo abisso dell’essere gli uni contro gli altri, della cosiddetta concorrenza in campo economico della vita professionale, ecc… E questa guerra di tutti contro tutti la può evitare soltanto l’individuo che riconquista la realtà dell’invisibile, dello spirituale, dove non siamo gli uni contro gli altri, ma gli uni per gli altri come le membra di un

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5 Bonum ex integra causa, malum ex quocumque defectu. Citazione di Tommaso d’Aquino e «…bonum procedit ex una et perfecta (integra) causa, malum autem procedit ex multis particularibus (singularibus) defectibus» (Dyon. IV, XXII, 572).

organismo che sono tutte, in un modo perfetto, le une per le altre. E questo essere gli uni per gli altri, questo favorirsi a vicenda degli organi di un organismo, noi la chiamiamo salute. La morale del futuro, il bene morale del futuro, è la salute dell’umanità. Salute vuol dire: ogni membro favorisce e viene favorito da ogni altro membro.

Un altro adagio5 degli scolastici è una massima che riguarda l’organismo: per aver la salute devono esser sane tutte le sue componenti, per essere malati basta che ne sia malata una. Dire: Io ho il fegato rovinato, però non importa nulla, è un problema solo del fegato. Non è un problema mio. No, è un non senso. Basta che sia malato un solo organo, ed è malato tutto. Per avere la salute dell’organismo devono essere sane tutte le membra. E gli scolastici dicono: bonum ex integra causa, il bene deve avere tutto; malum, il male, la malattia ex quocumque defectu, proviene anche da una sola carenza. Quindi, un individuo in quanto membro sano nell’organismo dell’umanità vi immette salute, mentre se è malato fa ammalare tutto l’organismo dell’umanità.

Voi direte: Ma allora è impossibile arrivare al punto in cui tutti gli esseri umani, quasi costretti per forza, siano buoni. No. Se è vero che anche un solo membro è capace di far ammalare tutto l’organismo, allora la legge dell’evoluzione deve essere che l’uomo ha la possibilità di tirarsi fuori dall’organismo dell’umanità: ricade al livello dell’animale. L’Apocalisse dice: Ricade al livello della bestia. E allora, tirandosi fuori dalla comunanza dell’umanità non ha più la possibilità di far ammalare l’organismo dell’umanità. Però questo ultimo mistero

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del male lo volevo soltanto accennare, perché ci porterebbe troppo lontano.

Quindi, la domanda di questo incontro è: Che cosa avviene fra i due Io superiori? Che cosa avviene in questo mondo infinito dell’anima dell’infermiera e dell’anima di colui che si è rotto una gamba? C’è un’osmosi di forze, meravigliosa e se vogliamo misteriosa allo stesso tempo.

La scienza dello spirito è la riconquista della consapevolezza di ciò che è invisibile, e perciò è imprescindibile per i passi successivi dell’umanità, perché se non riconquistiamo prima nella mente e poi nel cuore la realtà dell’invisibile, la prospettiva è sempre di più – e lo vediamo, basta che apriamo un giornale –, la guerra di tutti contro tutti. Cosa leggiamo sui giornali? Passi decisivi, sempre più decisivi in direzione di una guerra di tutti contro tutti, questa è la quintessenza di tutto ciò che leggiamo sui giornali. Quindi l’alternativa è il riprendere coscienza di ciò che è invisibile.

Adesso, supponiamo che queste due persone – che siamo tutti noi – abbiano questo tipo di coscienza: tu sei venuto in questo ospedale non per caso ma perché cerchi me, perché hai bisogno nella tua anima, nel tuo spirito, di ciò che io e soltanto io posso immetterci; e io ho bisogno di ciò che tu mi porti incontro perché il nostro incontro, che è così individuale, ha un passato individualizzato, fatto di secoli, di millenni. Allora tutti e due si chiedono: Quali pensieri, quali sentimenti vuole portarti incontro il mio Io, perché sono quelli pieni di libertà, pieni di amore, unici, che posso creare soltanto io?

Nella misura in cui tutti e due – infermiera e paziente – si rendono conto di questo, la coscienza assurge a questo livello del bene morale. Il bene morale che essi sovraconsciamente vorrebbero donarsi a vicenda diventa conscio, e comincia a

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venire gestito dalla libertà consapevole. Nasce un’attenzione del cuore a ciò che io sono per te in modo unico, e a ciò che tu sei per me. E questa attenzione del cuore è il bene morale che è lasciato alla libertà della coscienza e alla libertà dell’amore dei due.

Questo è il futuro della morale: prendere coscienza di questo tipo di bene, di aiuto reciproco, che è del tutto individuale perché ciò che quest’uomo cerca da questa infermiera non glielo può dare nessun altro essere umano al mondo. Egli cerca i pensieri di questo essere umano, i sentimenti di questo essere umano, perché sono loro che nel corso secoli hanno lavorato nella sua anima. Questo tipo di bene morale è strabiliante, è stratosferico rispetto a quel misero bene morale che consta nell’osservare tutte le regole e i comandamenti che ci sono. Risulta evidente, convincente, basta che uno lo capisca.

Per quanto io faccia un po’ fatica – sono più abituato a dire queste cose in tedesco che non in italiano –, credo che il pensiero sia abbastanza chiaro. Però diciamoci che la prospettiva dell’evoluzione del bene e del male, dell’evoluzione della morale, è veramente molto bella, molto umana! Perché è una prospettiva di individualizzazione, di spicco dell’Io singolo di ognuno, all’infinito, di creazioni della libertà e dell’amore, all’infinito, diverse in ognuno.

La persona B esce dall’ospedale e porta nel suo cuore e nella sua mente i pensieri dell’altro, i sentimenti dell’altro. E forse cinquecento anni dopo, mille anni dopo, si ritrovano e allora saranno forse stati creati i presupposti per far buon uso del ri-cordo, dell’anamnesi delle vite passate, e si diranno: Ti ricordi quel giorno a Torino? Tu eri la mia infermiera... ti ricordi i pen-sieri che ci siamo scambiati, i sentimenti del tutto individuali, unici? Adesso i sentimenti che io ti ho portato incontro li ritrovi tu dentro di te, e i sentimenti che tu allora mi hai portato incon-

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tro, li ritrovo oggi dentro di me. E adesso facciamo di nuovo uno scambio del tutto nuovo, del tutto diverso.

La cosiddetta scienza dello spirito è un riprendere coscienza dell’Abele, dell’Io superiore che, cari amici, è una realtà assoluta molto più operante, molto più reale, molto più causante che non il pezzo di materia che ci trasciniamo dietro. Quindi la persona B non è per caso che si trova in quel giorno a Torino e che ha un incidente stradale. No, avviene perché il suo Io superiore l’ha voluto! Con tutte le forze della sua libertà e del suo amore, perché ha voluto questo incontro, ha voluto esporsi ai pensieri, ai sentimenti – pensieri e sentimenti che naturalmente si esprimono nei gesti dell’infermiera, ecc…, però i gesti hanno soltanto il significato dell’animo che li accompagna. Nessun gesto ha un significato oggettivo, nessuna azione ha un significato oggettivo, ogni azione è nella sua essenza ciò che l’essere umano pensa e sente e vive mentre la fa.

Caino uccide Abele – se volete, Caino e Abele è il piombare della coscienza umana dallo spirito verso la materia, lo spirito viene perso di vista e l’essere umano prende coscienza soltanto del mondo della materia. Perde di vista la realtà dello spirito.

Edipo, un passo successivo nell’evoluzione dell’umanità: Edi-po uccide il padre e si unisce con la madre. Naturalmente io adesso sto riassumendo questi miti: Caino e Abele è un mito dell’umanità anche se è nella Bibbia. Edipo che uccide il padre, sposa la madre e poi interpreta l’enigma della Sfinge è di nuovo un mito, un mito greco. E poi troviamo di nuovo Giuda alla svolta.

Questi tre miti li ho chiamati: tre passi dell’evoluzione di ogni essere umano.

Quindi, ognuno di noi ha un’esistenza cainica alle sue spalle, un’esistenza di Edipo alle sue spalle e un’esistenza di Giuda alle

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sue spalle. Perché se l’essere umano non fosse stato né Caino, né Edipo, né Giuda non sarebbe individualizzato, non varrebbe nulla. Caino, Edipo e Giuda è ogni essere umano al cento per cento.

La proposta, l’avvio di pensiero che propongo è: come nel mito di Caino e Abele c’è l’asse verticale tra spirito e materia, lo spirito viene perso di vista e la coscienza piomba nella materia, così nel mito di Edipo c’è il mistero del rapporto di tensione tra il passato e il futuro, perché il padre è la generazione passata e il figlio è la generazione futura.

Ora, la tensione dell’evoluzione consiste sempre nel trovare il giusto rapporto tra il passato e il futuro. Un estremo è che il passato non vuol far posto al futuro – è il padre che non vuol far posto al figlio. L’altro estremo è che il futuro crede di potersi stabilire soltanto uccidendo il passato, e si scalza la base su cui costruire il futuro. Quindi l’arte dell’evoluzione è proprio il giusto equilibrio tra il gesto conservatore che vuole soltanto restare al passato e non vuole nulla di nuovo; e il gesto rivoluzionario che vuole scalzare tutto il passato e si toglie i presupposti per andare avanti.

Il mistero di Edipo, che è ogni essere umano, è la tentazione di un estremo e dell’altro estremo, in questa asse, chiamiamola orizzontale, dell’evoluzione nel tempo. Il passato si fa da sostrato, da base, il passato si fa conditio sine qua non, il passato è il terreno necessario per il futuro, però il senso del passato non è di proibire o di non volere il futuro. E il futuro non può sorgere se non sulla base del passato – così come il fiore non può sorgere se non sulla base del terreno.

Cosa vuol dire nel mito greco che l’uomo, arrivato allo stadio di Edipo – che è ogni essere umano –, uccide il padre per unirsi in matrimonio con la madre? Vedete, qualcuno di voi forse lo sa, coloro che non lo sanno dovranno concedere che questa scienza

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dello spirito ha veramente qualcosa del tutto nuovo, bellissimo, da dire all’umanità. Questo mito di Edipo ha un significato esoterico, se volete, che riguardava l’iniziazione greca di allora, ma era anche un tratto comune di tutta l’iniziazione.

Prima della svolta dell’evoluzione avvenuta duemila anni fa l’iniziazione avveniva… uccidendo il mondo fisico. Il mondo fisico veniva chiamato il “Padre” perché l’elemento maschile è molto più a casa sua nel mondo fisico. E per il mondo eterico, il mondo del vivente, il mondo delle metamorfosi si usava la parola “Madre” perché l’elemento femminile è più ancorato con le forze della vita. Quindi, siccome il maschile è più a casa sua in ciò che è morto, minerale (nel mondo delle macchine, della tecnica, ecc.), per entrare nel mondo spirituale, nel mondo eterico – nel mondo delle “Madri” (vedi il Faust di Goethe) –, l’uomo prima di Cristo doveva lasciare, doveva uccidere il mondo fisico... Che peccato, che peccato!

E perché doveva uccidere il “Padre”? Lasciare il mondo fisico per entrare nell’eterico, questa è l’essenza dell’antica iniziazione: proprio si lasciava, si scavalcava, si usciva dal mondo fisico, per entrare nell’eterico. Il motivo è che l’essere umano non aveva ancora la forza di pensiero individualizzata di entrare nello spirituale restando congiunto col cervello fisico. Quindi questa vecchia iniziazione era una iniziazione di esseri umani ancora deboli.

Il mito di Edipo dice: Questo tipo di iniziazione è del tutto imperfetto perché può conquistarsi la realtà dell’eterico, del vi-vente, del soprasensibile, unicamente lasciando il mondo fisico. Il che voleva dire, indirettamente, che il passo in avanti consi-sterà nella capacità di congiungere questi due mondi: restare coi piedi saldi nella Terra e nel mondo fisico, e nella coscienza desta del mondo fisico per conquista di libertà, e contempora-neamente vivere nello spirituale. Quindi, il futuro dell’umanità

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è di vivere in due mondi contemporaneamente: nel mondo della percezione e nel mondo dei concetti. Contemporaneamente.

L’evoluzione della libertà e dell’amore è l’amore reciproco tra il fisico e l’invisibile, in una interazione continua tra percezione e creazione di concetti, e non lasciare un mondo per entrare nell’altro, e poi lasciare l’altro per ritornare nel primo. L’uomo del passato doveva scegliere: o il mondo fisico, e allora perdeva quello spirituale; o quello spirituale e allora perdeva quello fisico. La prospettiva del bene morale del futuro è di averli tutti e due che si fecondano a vicenda all’infinito.

Questa è l’affermazione fondamentale del mito sublime di Edipo: “Oh essere umano, evolviti al punto tale da non essere più costretto a uccidere, ad abbandonare, a lasciare, a disattendere il mondo fisico, il mondo paterno, per entrare nel mondo della Madre, per unirti col mondo delle Madri; e non sarai più costretto a lasciare il mondo della Madre quando vuoi tornare nel mondo fisico. Evolviti a un punto tale che si abbracciano a vicenda, si fecondano a vicenda, restando sempre di più uniti l’uno nell’altro. Lo spirituale lo troverai d’ora in poi unicamente dentro al mondo cosiddetto fisico, e ogni pensiero che non abbia un risvolto di percezione non è una realtà, è una pura astrazione; e ogni percezione che non venga trasformata in pensiero non è una realtà, è una pura illusione.”

Anche nel mito di Edipo, come conseguenza del fatto che in chiave di iniziazione l’essere umano è costretto ad alternare: o il mondo spirituale – il matrimonio con la madre e allora devo uccidere il padre; oppure sono con il padre – e allora non posso unirmi con la madre –, come conseguenza di questo dover alternare i due mondi, quando è nel mondo fisico l’essere umano è costretto a piombarci dentro e ad avere solo quello, e sorge di nuovo questo essere gli uni contro gli altri che l’umanità vive da tanti secoli.

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Giuda, il mistero di Giuda è Caino più Edipo, tutti e due insie-me. Per chi non lo conoscesse abbiamo tradotto in italiano il libretto di Steiner “Il Vangelo di Giovanni e i sinottici”. Sono conferenze di Steiner mai pubblicate neanche in tedesco, tut-to un secolo…, l’Archiati-Verlag le ha pubblicate per la prima volta.

In queste conferenze Steiner narra questa bellissima storia di Giuda.

Questa leggenda di Giuda, tra le più amate nel Medioevo, tra le più popolari, dice che Giuda prima di incontrare il Cristo ha ucciso suo fratello, alla soglia della pubertà. Era un fratellastro. Una leggenda bellissima. Tra l’altro per chi di voi conosce la leggenda aurea di Jacopo da Varagine6, vi trova questa leggenda di Giuda sotto Mattia. Dovete trovare San Mattia. Perché sta sotto San Mattia questa leggenda di Giuda? Perché Mattia è stato colui che ha preso il posto di Giuda nel concerto dei dodici. Siccome Giuda si è impiccato, s’è detto: dobbiamo scegliere un dodicesimo, perché il nostro numero deve essere dodici come i segni dello zodiaco. Quindi colui che è stato scelto come sostituto di Giuda, si chiama Mattia. E così nella leggenda aurea sotto San Mattia trovate questa leggenda di Giuda. È una cosa bellissima.

E in questa leggenda – che adesso non vi ripeto perché sarebbe troppo lunga, potremmo parlarne per ore e ore intere –, le stazioni fondamentali della vita di Giuda sono: che uccide il fratello – Giuda che ripete il destino di Caino; poi uccide il padre – Giuda che ripete il mistero di Edipo, e si unisce con la madre; e poi come terza stazione abbiamo questo uomo, questo Giuda perfetto, uomo caduto perfetto, quando il peccato originale è portato alla perfezione, cioè quando la caduta è compiuta così

6 Legenda Aurea, Jacopo da Varagine, XIII sec.

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che più in basso non si può andare. La caduta deve andare fino in fondo, perché soltanto dal

fondo si può ritornare su. Se un individuo si fermasse a metà non avrebbe la possibilità di tornare su, perché le forze per tornare su le dà il fondo. Soltanto quando si arriva fino in fondo il contraccolpo è così convincente che si ritorna su. Se invece non si va fino in fondo si resta per aria...

Adesso c’è sempre qualcuno che dice: Ma chissà se io sono veramente arrivato fino in fondo? Fammi andare ancora un pochino più giù! ... Semmai, qualcuno avrebbe potuto porsi questa domanda ai tempi di Giuda, duemila anni fa. Però sono passati duemila anni dopo la svolta, vi assicuro che ogni essere umano che vive oggi, per necessità evolutiva, è andato fino in fondo, e qualcuno ancora più in là perché non ha ancora trovato le forze per ritornare su. E in che cosa consiste il fondo?

Dopo aver ucciso il fratello – l’Io superiore –, dopo aver uc-ciso il Padre – cioè il vanificare il mondo fisico, il tentativo di entrare nello spirituale annientando, annullando il mondo fisico –, l’essere umano uccide se stesso. Giuda è il suicida. Quindi ri-pete il gradino evolutivo di Caino e uccide il fratello – leggetelo nella bellissima leggenda di Giuda; ripete il destino di Edipo perché è il suo passato, è il passato di ogni essere umano, quin-di uccide il padre e sposa la madre. Il nuovo in Giuda consiste nel fatto che lui si rende conto di ciò che ha fatto, e la madre che ha sposato, disperata, lo manda dal Cristo, e col Cristo … diventa suicida. Impara che uccidere l’altro e uccidere il mondo fisico, è suicidio. L’essere umano può restare in vita soltanto donando vita all’altro, perché l’altro è il suo stesso organismo.

L’essere umano può vivere lo spirituale in un modo libero, creatore, soltanto restando dentro al mondo fisico, non ucci-dendo il padre che è il mondo fisico. E per capire questo fino in fondo, Giuda, uccidendosi, fa l’esperienza che ogni essere

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umano che uccide il fratello e uccide il padre, che perde di vista il mondo spirituale e vanifica, svuota il mondo materiale, vani-fica e svuota se stesso, e si uccide. E mentre avviene il suicidio di Giuda, all’albero della croce muore il Cristo. Contemporane-amente sull’albero della vita del Paradiso, si impicca – alcuni dicono con la cintola dei calzoni – Giuda. L’albero della vita con Giuda che si impicca, l’albero della morte col Cristo che crea le forze di risurrezione dell’essere umano.

Il Vangelo dice: Ogni stilla di sangue è stata versata7. Quindi il Cristo è l’uomo che non trattiene per sé neanche una goccia di sangue, ma lo dona all’umanità. Impiccarsi, strangolarsi, significa che neanche una goccia viene versata, si raggruma tutto all’interno. È soltanto accennato adesso, ma ognuno di voi, soprattutto coloro che amano le fiabe, ecc. hanno qui immagini. Ma non si tratta di farci una metafisica trasformando queste immagini subito in concetti, si tratta di restare alla fenomenologia delle immagini che è feconda. È di risvolti infiniti questo parallelismo della contemporaneità della morte dell’archetipo umano sull’albero della croce, e della morte dell’archetipo umano in negativo, che è Giuda.

E questa morte comune crea i presupposti perché questi due alberi della vita e della conoscenza – Giuda muore sull’albero della conoscenza decaduta e il Cristo muore sull’albero dell’amore che risorge a vita –, quindi i due alberi del Paradiso, che nel Paradiso erano intrecciati l’uno nell’altro e che poi si sono separati – l’uomo si è conquistato la conoscenza perdendo la vita del mondo spirituale –, ora tornano a intrecciarsi. Si intrecciano di nuovo questi due alberi, e la simbologia di questi due alberi è qualcosa rispetto al futuro della morale del bene e

7 cfr Vangelo di Giovanni 19,32-34

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del male. È qualcosa di meraviglioso. Però è fatta per meditarci sopra, non per farci teorie. Qui lo posso soltanto accennare.

Giuda guarda all’altro albero, al Cristo che muore in croce, e sente le parole “Elì, Elì lammà sciavachtanì...” 8, sono parole del salmo, parole antiche, e chi di voi ha studiato l’ebraico – come ho fatto io perdendo un po’ dei capelli che ho perso – , riscontra una cosa straordinaria... forse qui qualcuno sa l’ebraico. Questo Elì, Elì lammà sciavachtanì, basta cambiare due lettere, non due sillabe: se uno dice sciavachtanì, sciavach significa innalzare; e asaf significa lasciare, abbandonare. Quindi “Elì, Elì lammà sciavachtanì” significa: Quanto mi hai innalzato! e “Elì, Elì lammà asaftanì” significa Perché mi hai abbandonato!

Con l’iniziazione antica, l’essere umano per entrare nel mon-do spirituale doveva abbandonare il mondo fisico... perché mi hai abbandonato. Perché mi hai abbandonato? Allora io sono inutile, non servo a nulla? Innalzi l’essere umano abbandonan-do il mondo fisico? Alla morte dell’Essere pieno di libertà e di amore il mondo fisico vive l’illusione di venire abbandonato, ma in realtà risorge nel mondo spirituale. Quindi l’io inferiore, l’egoismo, si sente abbandonato. Però è illusorio questo sentirsi abbandonato perché l’amore non abbandona l’egoismo, l’amore si crea soltanto vincendo giorno per giorno l’egoismo. E per vincere l’egoismo, bisogna che ci sia. Se uno abbandona l’egoi-smo, se uno si illude di essere fuori dall’egoismo, non ha più nulla da vincere. Quindi sulla croce, diciamo, c’è questo grosso mistero espresso in questa parola d’iniziazione ebraica che nel suo significato essoterico significa – e lo trovate in tutte le ver-

8 Elì, Elì lama asaftanì: perché mi hai abbandonato יתוא תשטנ התא יכ ירידא םיהולאElì, Elì lama sciavachtani: quanto mi hai innalzato יתוא תמרה התא המכ ירידא םיהולא Crf Vangelo di Matteo 27,46 e Vangelo di Marco 15,34

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sioni dei vangeli: - Mio Dio, mio Dio perché mi hai abbando-nato? Ma il significato esoterico è: Mio Dio, Dio dell’Io, quanto mi hai esaltato!

E come è avvenuta questa esaltazione? Non uccidendo il padre, ma grazie al fatto che l’Essere del Sole si è incarnato – per tre anni e un terzo d’anno – dentro al mondo fisico, per redimerlo, per portarlo a risurrezione. Quindi, è soltanto l’io dell’egoismo che vive nell’illusione di venire abbandonato, quando invece l’amore fa risorgere il mondo fisico a un livello superiore. Il futuro della morale, il futuro del bene e del male, è questo innalzare il Caino, di nuovo, nel mondo di Abele... Questo innalzare nel mondo della materia non avviene lasciando il mondo della materia, altrimenti non ci sarebbe più nulla da innalzare. Questo innalzare: Quanto mi hai esaltato, quanto mi hai alzato! Avviene proprio restando in interazione quotidiana col mondo della materia. L’esperienza della libertà può avvenire soltanto in quanto liberazione, un’azione del liberare. E la partenza, l’imprescindibile punto di partenza di questo liberare, è sempre il mondo della materia.

Per trascendere il nostro essere divisi gli uni dagli altri dobbiamo partire dall’essere divisi, e amare questo essere divisi come presupposto per poterci lavorare, per poterlo trascendere. Le sconfitte che ci fanno vincere, sono le sconfitte di Caino che ritorna col suo materialismo, sempre di nuovo, a uccidere l’Io superiore, suo fratello.

E come si fa a vincere questa sconfitta? Uccidere Abele signi-fica mandare a ramengo Abele, e la parola dell’evoluzione di Caino è: Sono forse io il custode di mio fratello? Si! questa è la vittoria su questa sconfitta: imparare ogni giorno a diventare il custode del fratello. L’io inferiore come custode dell’Io superio-re. È un’arte morale da esercitare ogni giorno. Quindi, questa

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sconfitta di Caino – che è ognuno di noi, che ha ucciso per ne-cessità evolutiva l’Io superiore –, ci dà la possibilità di vincere questa sconfitta, diventando giorno per giorno nella coscienza ordinaria custode: lo scrigno che custodisce questo tesoro pre-zioso che è l’Io superiore. La coscienza ordinaria che diventa scrigno, lo scrigno che custodisce questo tesoro eterno fatto di sostanza d’oro puro, nelle sue forze solari, che è l’Io superiore pieno di amore, pieno di libertà.

Sono forse io il custode di mio fratello? Sì, lo sei, nella misura in cui di giorno in giorno lo diventi il custode di tuo fratello, e lo sarai soltanto, lo diventerai soltanto se lo diventi con libertà e con amore. Nessuna legge di questo mondo ti può costringere a farlo, sarebbe un assurdo.

Edipo, la sconfitta di Edipo che si getta nell’abisso, che è l’uccidere il padre, il vanificare il mondo fisico per entrare – ma soltanto illusoriamente – nel mondo spirituale, la vittoria su questa sconfitta è lo sciogliere l’enigma della Sfinge: l’essenza della scienza dello spirito moderna è la conoscenza dell’essere umano. Steiner la chiama antroposofia, non soltanto perché è una scienza conquistata, una conoscenza conquistata dall’uomo – antropos –, ma perché è una conoscenza sull’uomo, sull’essere umano.

Le scienze naturali ci danno la conoscenza di tutto il mondo della natura fuorché una conoscenza dell’uomo. Le scienze na-turali non conoscono nulla dell’uomo, non conoscono neanche il corpo fisico, perché il corpo fisico lo si conosce soltanto co-noscendo le forze eteriche, animiche, spirituali che vi lavorano dentro. Quindi l’uomo non è mai stato un enigma sfingeo così immenso come oggi.

E la vittoria dell’uomo Edipo di oggi è lo sciogliere questo enigma dell’uomo, di conoscere l’uomo attraverso un’antropo-

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sofia che riscopra l’Abele dentro l’uomo, che riscopra il mondo delle forze vitali, il mondo delle forze dell’anima, il mondo del-le forze dello spirito come prospettiva di evoluzione, di indivi-dualizzazione di ogni Io, di creazioni artistiche all’infinito. La sconfitta di Edipo è il presupposto stesso per vincere questa sconfitta. E il mito di Edipo termina con questo mistero della Sfinge che poi si getta nell’abisso, e l’abisso in cui la Sfinge si getta è l’abisso della coscienza umana: la Sfinge è l’uomo, e la conoscenza dell’uomo si butta nel subconscio. L’uomo ha per-so coscienza di chi lui è spiritualmente, e per vincere questa sconfitta di Edipo ci vuole una scienza dello spirito che sia una scienza sull’uomo, una scienza dell’uomo e sull’uomo, che ci faccia sciogliere questo grande enigma dell’evoluzione. Que-sto detto greco solare sul Tempio di Apollo: Γνóqι σεαυτÕν – Ghnòti seautòn –, O uomo conosci te stesso, come vittoria sull’enigma dell’Edipo e della Sfinge.

E Giuda, la sconfitta del suicidio? In che cosa consiste la vittoria su questa sconfitta del suicidio, che sembrerebbe definitiva? La ricchezza, l’esuberanza infinita dell’amore divino che regala a Giuda una nuova vita, ... e una nuova vita, .... e una nuova nascita, .... e una nuova nascita. Dante ha scritto la “Vita nuova”9. È la vittoria sulla sconfitta di Giuda, l’amore divino che gli regala una vita nuova.

Chi siamo noi? Cari amici, ognuno di noi è in un senso reale della parola il Giuda redivivo. Chi altro siamo noi, se non Giuda redivivo? Ognuno di noi, tutti noi, siamo piombati fino in fondo, in questo abisso dell’individualizzazione, della separazione. E grazie a questa dovizia infinita dell’amore divino, dopo questo suicidio che tutti abbiamo dovuto commettere per diventare un

9 Vita Nova, 1292-1293, Dante Alighieri

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Io separato, autonomo, ci viene concessa di nuovo una vita, e di nuovo una vita, e di nuovo una vita, per ricostruire l’umano in modo individuale, artistico, con libertà e con amore.

Facciamo una pausa, e poi sentiamo cosa voi avrete da dire.

Dibattito

Intervento. La nota che mi è balzata all’orecchio tra questi due miti, il mito di Edipo e la leggenda che lei citava di Giuda, è questa differenza tra il comportamento delle due madri, cioè di questa Giocasta che si impicca, e invece la madre di Giuda che conduce Giuda al Cristo. Ho cercato di cogliere un po’ in che cosa consisteva la differenza tra questi due comportamenti, però mi farebbe piacere se lei mi aiutasse a mettere un pochino più in luce questa differenza di passaggio.

Archiati. Proviamoci! L’interpretazione dei miti è come l’interpretazione delle fiabe, è all’infinito.

Il senso di un’immagine è di essere inesauribile, perché se l’immagine fosse esauribile allora sarebbe meglio avere un concetto. Si ricorre all’immagine proprio per dire: Sta attento che questo mistero è inesauribile, lo puoi cogliere da questo lato, da quest’altro lato, da diversi lati.

Adesso lei ha focalizzato, su questa Giocasta, la madre di Edipo, e Ciborea – kyborea – la madre di Giuda. Se noi conoscessimo il greco e il latino ad altri livelli, vedremmo che nel nome c’è il mistero già espresso: Iocaste e Kyborea. Kyborea... c’è un periodo evolutivo dell’umanità che è uperboreico e questa madre è upo-boreica: Kyborea. Quindi nel nome c’è già…., però per non fare un discorso etimologico che rischia anche di essere un pochino aleatorio, restiamo a questa indicazione fondamentale: la madre di Edipo precorre il destino di Giuda e si uccide. Giuda è poi l’essere umano che si uccide.

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Nel primo caso è la madre dell’essere umano che si uccide. Invece Ciborea, la madre di Giuda, crea i presupposti perché il figlio ritrovi una nuova vita, mandandolo dal Cristo. Quindi la madre di Edipo uccide la propria vita, e la madre di Giuda dà, rinnova o, diciamo, fa nascere suo figlio Giuda a nuova vita, mandandolo dal Cristo... Che poi resta il grosso enigma, che andando dal Cristo Giuda si uccide..., fisicamente. Il fatto che il primo inizio di un cristianesimo, che non è ancora per niente cristiano, abbia espresso il pensiero che questo suicidio è l’ultima parola su Giuda (al punto che lo manda all’Inferno eterno), è proprio l’ultimo abisso della coscienza umana, del pensiero umano, che aspetta di essere redento in modo assoluto.

Perché si dispera la madre di Edipo? Perché le forze di re-denzione, le forze di ascesa possono essere compiute soltanto quando la caduta è compiuta. Questo gesto della madre di Edi-po che si uccide dice: No, la caduta deve andare ancora più a fondo!

E il fatto che la madre, l’intuizione del cuore della madre di Giuda, lo mandi dal Cristo è l’intuizione del cuore umano che dice: Adesso siamo in fondo, adesso viene la salvezza. La re-denzione può cominciare soltanto quando la caduta è andata fino in fondo.

E questa è la spiegazione delle due madri, soltanto uno spunto di pensiero..., se ne possono esprimere tanti altri. Aggiungiamo poi che nei miti, soprattutto nella mitologia greca, ogni mito viene raccontato in diversi contesti, gli Argonauti, ecc… Ulisse, e a seconda dei racconti si aggiungono tanti ricami... E se si ha una chiave di interpretazione dei miti, chiave che dà una scienza dello spirito fondata, si è in grado di sceverare aggiunte che sono state fatte al mito un po’ all’acqua di rosa, e aggiunte che invece colgono nel segno. La mitologia greca è una cosa molto complessa.

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Intervento. Mi riesce abbastanza facile comprendere l’incontro tra l’infermiera e il turista cinese. Nel vivere quotidiano invece, mi riesce più difficile comprendere l’incontro tra l’aguzzino e la vittima, e proprio nel mio essere terreno non riesco ad accogliere, a comprendere questi incontri.

Archiati. Una domanda molto importante che va affrontata dalla coscienza sempre di nuovo. Sempre di nuovo così come noi ogni giorno mangiamo, più volte al giorno, così questi grossi enigmi dell’esistenza vanno affrontati ogni giorno, e man mano che la coscienza li affronta li approfondisce sempre di più.

Una persona – lei l’ha chiamata aguzzino – supponiamo che questa persona non possa essere diventata un aguzzino soltanto in quel paio di decenni che ha avuto a disposizione in questa vita – io lo presuppongo senza mettervelo lì come un dogma. Presuppongo che questo essere diventato così cattivo, così istintivo, istintuale, abbia alle spalle un cammino lungo, di secoli, di millenni, dove c’è stata in chiave di libertà una ripetuta e forte omissione dell’umano. La domanda successiva è: in questa evoluzione del suo essere che lo ha portato a questa animalità, a questa omissione dell’umano..., è lui l’unico attore o è l’attore principale con il concorrere di tanti altri esseri umani?

Il pensiero successivo è che nessuno di noi si evolve nell’iso-lamento. Ognuno di noi è l’attore principale del suo cammino, ma questo attore principale non esclude il concorrere profondo, che incide profondamente, delle persone che gli sono più vi-cine. Soprattutto le persone che ci sono più vicine. Quindi, il karma di un individuo è proprio questo intreccio di cui parlavo a proposito di questo incontro, dove ognuno di noi è l’attore principale, però c’è un influsso – l’ho chiamato un concorrere – che può essere anche molto profondo da parte di altri.

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E la legge del karma è che ognuno di noi va in cerca – l’Io superiore cerca – e ha tutte le forze necessarie per incontrare – l’Io superiore in questa vita ci porta a incontrare le persone – quelle persone che hanno concorso maggiormente più di altre a ciò che siamo divenuti. E le persone che hanno concorso minimamente o per nulla a ciò che io sono divenuto, siccome non ho nulla in comune con loro, non ci sono forze che mi portano a incontrarle. La vittima viene esposta a questa istintualità: può venire esposta a questa istintualità per caso? Questa è la domanda. Se noi diciamo: Avviene per caso! Allora diciamo: non c’è saggezza, c’è aleatorietà, c’è arbitrio cieco nel karma, negli incontri umani.

Se invece diciamo: è nella legge, nella libertà e nell’amore dell’Io superiore, di cercare di voler incontrare, e proprio incontrare soprattutto e in primo piano le persone che maggiormente hanno contribuito, non come causa prima, ma come causa seconda, terza, quarta ecc… a ciò che io sono divenuto, allora diciamo che a questa istintualità – animalità, se vuole – dell’aguzzino, possono essere esposti soltanto gli uomini che hanno concorso a crearla, e cercano il pareggio karmico. Se questa istintualità non mi riguardasse, è escluso che io ne venga esposto. Quindi la domanda del karma è: Quali forze sovraconscie hanno portato me, a essere vittima di questo aguzzino? Perché ha acchiappato me e non un altro?

Aggiungiamo che quando il passato comune è un passato di scambio profondo di egoismo – e il passato dell’umanità è in termini di egoismo, perché per diventare ognuno chiuso in se stesso ognuno di noi ha dovuto creare un massimo di egoismo –, l’intento di amore e libertà dell’Io superiore è ora di incon-trare la persona al cui egoismo io ho contribuito tantissimo. Ma l’intento dell’Io superiore è sempre quello del perdono e del pa-reggio dell’egoismo in chiave di amore. E se essi si rincontrano

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omettendo di vincere l’egoismo del passato con amore, il più possibile, è perché omettono in questo momento di rischiarare col pensiero la coscienza, e di vincere l’egoismo con l’amore quanto sarebbe possibile alla libertà. Perché questa è la volon-tà, e deve essere la volontà dell’Io superiore. La volontà dell’Io superiore è sempre puro amore e pura libertà, altrimenti non sarebbe l’Io superiore.

Quindi nel sovraconscio di queste due persone c’è l’intento, il desiderio di rincontrarsi per sciogliere il più possibile questa somma comune di egoismo con l’amore, col perdono. Ma il presupposto è che io, che sono la vittima, trovi la forza morale di dire: Non ho mai il diritto di puntare il dito contro di te se non lo punto contemporaneamente contro me stesso, perché non c’è nessun male morale nell’umanità a cui io non abbia contribuito, proprio perché sono immerso dentro all’organismo dell’umanità.

Qualcuno dirà: Eh, è una cosa non facile. E io vi rispondo: Perché deve essere facile? Le cose belle non sono facili, se fossero facili non sarebbero belle.... E qualcun altro può dire: Ma sono baggianate quello che stai dicendo, non ci credo. Padronissimo. Cosa volete dimostrare a uno che mi dice che sono baggianate, cosa gli volete dimostrare..., non c’è nulla da dimostrare. Io parlo a quelle forze del cuore di ogni essere umano. E se uno le conosce queste forze del cuore, se ne è in contatto, se non ha perso ogni contatto, a quella forza del cuore che balbettando come sto facendo io, esprime queste cose, il cuore dice: Sì, sì, è vero! Lo dice il cuore però, non la mente saccente, quella dice: Sono baggianate, perché non le va di affrontare questo compito karmico, di vincere veramente l’egoismo. L’egoismo mio che mi torna incontro nell’altro. Perché, chi l’ha costretto a diventare così egoista? Chi ha costretto me... Ognuno può dirsi: Chi ha costretto me a diventare così egoista? L’egoismo degli altri..,

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il mio in primo piano, certo, ma non solo. Non basta il mio egoismo per diventare egoista, ci vuole anche quello degli altri. Mi sono dovuto difendere di fronte all’egoismo degli altri.

Allora, chi ha costretto questo aguzzino a diventare così egoista? In primo piano lui stesso, ma anch’io però! Come avrebbe potuto diventare così egoista in un mondo di puri spiriti amanti? Ama il prossimo tuo, lui è te. Al livello dell’Io superiore, gli esseri non sono divisi gli uni dagli altri, non sono separati.

Allora, non è che debba essere così, ma aggiungo un’immagine: Tu sei l’aguzzino, io sono la vittima. Queste forze dell’amore hanno la capacità di far sorgere un’immagine: Ma guarda, seicento anni fa io ti ho ammazzato..., non per caso ora mi vieni incontro come aguzzino. Come può diventare, in questa vita, mio aguzzino senza che io in qualche modo non sia stato a mia volta il suo aguzzino... il karma non bara.

Intervento. Cioè, non c’è la possibilità che due cose avvengano senza collegamenti fra di loro, solo per caso?

Archiati. Vedi che sei diventato cauto, e la poni come una domanda...

Intervento. Le chiedo di ritornare, per favore, un momento alla frase che ha detto, che mi ha colpito moltissimo: L’io inferiore diventa custode dell’Io superiore. È una visione che non mi aveva ancora sfiorato, e mi chiedo come questo passaggio così grandioso…., insomma, di aiutarmi un poco a vedere questa strada.

Archiati. ‘Custode’ è un simbolo, un’immagine. E una delle immagini più belle del custode è da un lato l’Angelo custode che accompagna il bambino piccolo, lo custodisce, lo protegge – l’ala che protegge, lo protegge dai pericoli, lo tiene via dai

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pericoli. E qual è l’altra immagine sul piano fisico, di colui che

custodisce, che nella nostra cultura non c’è più perché siamo diventati così avulsi dalla natura? È il pastore che custodisce le pecore. Cosa c’è in questo simbolo del custodire? Accompagnare il cammino di crescita, che le pecore possano pascolare senza venir sbranate dal lupo: il pastore le custodisce. Un’immagine usata anche dai Vangeli naturalmente, no?

Adesso lei chiede: In che modo l’io inferiore diventa il pastore che pasce le pecorelle? Il pastore pasce. Pasce significa che gli dà da mangiare, gli dà il modo di mangiare. La risposta è semplicissima: l’evoluzione dell’Io superiore avviene pascendosi del corpo fisico, cioè consumandolo come la cera di una candela, perché la luce della coscienza e il calore dell’amore si sprigionano soltanto consumando il corpo fisico, finché l’ha consumato del tutto. E la morte è quando si è consumato del tutto.

Il Cristo, l’Essere del Sole, lo spirito dell’umanità aveva una forza di luce, una forza di un calore di amore tale che in tre anni ha consumato tutto il corpo! Noi ci mettiamo un po’ di più e dobbiamo ripeterlo, ripeterlo, ripeterlo. Tutte le forze fisiche pascono, danno nutrimento al cammino del pensiero e al cammino dell’amore e vengono mangiate, vengono consumate. Sono forse io Caino – io uomo fisico, le forze della natura fisica – sono forse il custode, il pastore, che pasce il mio fratello? Ma certo! È proprio nella tua natura, fatti mangiare in modo che il tuo Io cresca in conoscenza e in amore. E quando la cera ha fatto sprigionare tutta la luce che c’è e tutto il calore che c’è, tutto il mondo fisico viene spiritualizzato... Un pascimento all’infinito, un pascolo che non termina mai. Però alla fine è finito: Cieli e terra passeranno..., ma le mie parole, i pensieri di luce e il calore dell’amore, quello rimane in eterno. Risorge dal consumarsi del

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fisico, da questo pascolo, da questo pascere, lo spirito. Il mondo dell’illusione dice: Perché mi hai abbandonato? No..! Quanto mi hai esaltato..! Può servire come piccolo avvio di pensiero?

Intervento. Volevo solo dire che tutto questo proprio lo capisco e lo amo, ma ho un piccolo problemino: non vorrei essere anestetizzata dal male, cioè non rendermi più conto… Se mi trovo di fronte a uno stupro, a un furto, cosa faccio? Devo lasciare la libertà a quella persona di fare quell’atto malvagio? Perché il mio istinto è quello di intervenire, cioè lo picchio, lo malmeno, non sono capace di rimanere… e penso che ci sia un karma fra loro, oppure io devo rispettare la libertà dell’uno e dell’altro. E quindi mi trovo in questa strana situazione e non vorrei affrontare niente, non vorrei vedere niente di male.

Archiati. Adesso lei ha dato un altro caso, lei porta l’esempio della terza persona. Io ho capito la domanda di prima nel senso che lei si poneva nella situazione della vittima. Lei invece dice: Io non sono né l’aguzzino né la vittima, ma guardo. È il mio compito di intervenire? Quello che un terzo ha da fare, non tocca a me dirglielo.

Replica. (Intervento acusticamente incomprensibile)Archiati. Se lei è il terzo in questione, deve sapere lei cosa

vuole fare, come glielo posso dire io? Io al massimo, so cosa faccio io, come terzo. Per quanto riguarda la vittima, io non sto dicendo alla vittima: Devi comportarti così... Sto soltanto dicendo: Se ti comporti così, vai avanti tu e l’altro; se ti comporti così, vai indietro tu e l’altro. Ma come la vittima si comporta, sono affari suoi, è la sua libertà. Però si comporterà anche a secondo del livello di coscienza che ha acquisito.

Adesso lei ci pone la domanda: Ma noi siamo il terzo che sta fuori, guarda quei due lì..., e l’aguzzino..., lo lasciamo fare? La prima domanda che io faccio: Se gli dai botte, diventa migliore la situazione? Io ho fatto una proposta che però lei adesso non

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ha messo nel conto: che la legge ci deve essere, un vivere sociale non è possibile senza accordi su azioni che proibiamo. Nella gestione del loro rapporto entrambe le persone sono libere. Una legge pulita non ha nessuna possibilità di intervenire dal di fuori, altrimenti è subito una dittatura, dovrebbe sindacare sulla vita privata delle persone..., andrebbe all’infinito! Ciò che avviene tra due adulti sono affari loro.

Intervento. Però se tu ti esponi a me, effettivamente coinvolgi anche il mio karma; se è un fatto che avviene come diceva lei, io sono testimone di un fatto violento…

Archiati. Sì, ma perciò io ho preso un caso molto più specifico, di qualcosa che avviene in una stanza dove ci sono soltanto due persone…

Replica. Acusticamente non comprensibile.Archiati. No, no resta a questo caso, il caso che lei portava è

troppo diffuso, si può dire tutto quello che si vuole perché non è circoscritto. Quindi, la legge o trova il modo di circoscrivere azioni e allora ha la possibilità di proibirle, ma se non sono circoscrivibili non può proibirle. È proprio questo il senso: che la legge è diventata soverchia perché sindaca sempre di più su ciò che è privato, in fondo.

Replica. Io pensavo di averlo proprio circoscritto, cioè io sono testimone di un atto ingiusto di qualsiasi tipo.

Archiati. No, no, no, devi dirmi di quale atto...Replica. Posso vedere un ragazzo che tira giù dalla moto un

altro e lo riempie di botte, non so per qual motivo. E io cerco di separarli.

Archiati. Si, ma guarda che non c’è nulla che “devi” fare. La legge non ti può obbligare, comandare, a fare qualcosa.

Replica. No, no, la legge non mi obbliga.Archiati. Benissimo. Quello che fai sono affari tuoi. Perciò ti

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ho detto: io non ti posso dire quello che tu senti il dovere o non il dovere di fare, è la tua intuizione morale.

Replica. Ecco, appunto per questo dicevo, non vorrei arrivare al punto di sentire anestetizzato il mio, non so come chiamarlo, senso del dovere, per cui dico: Beh, sono fatti loro.

Archiati. Se tu non vuoi arrivare al punto di anestetizzare la tua coscienza morale, fai in modo di non anestetizzarla. Chi te lo proibisce?

Replica. Eh, diventerò anche anarchica allora.Archiati. Sono tutti concetti stratosferici. Che significa

anarchica? Significa tutto e nulla. Cioè, ciò che tu compi nei confronti di una palese ingiustizia deve sorgere da te, nessuna legge te lo può dire, perché non è generalizzabile.

Supponiamo che tu abbia tre bambini che ti aspettano urgentemente, e adesso rischi di pigliare tu stessa botte che vai all’ospedale. Hai il dovere di andare dai bambini, e di lasciare i due in pace. E allora ..? Vedi che hai individualizzato la situazione. Quindi non si può generalizzare. Se tu sei il terzo, sei tu il terzo. Non chiedere a me cosa devi fare tu.

Supponiamo che tu, come terzo, hai paura di prenderti botte anche tu. Adesso arriva un altro, arriva un Pietro Archiati e ti dice: Non devi aver paura! A che ti serve? Adesso ti impaurisco anch’io così hai un’altra paura in più. La legge della morale del futuro è: vivere e lasciar vivere!

Nella prima edizione della “Filosofia della libertà” di Steiner era così: Leben und leben lassen. La seconda edizione, siccome tanti avevano frainteso questa dicitura, dice: Vivere nell’amore a ciò che si fa, e lasciar vivere nella comprensione di un vo-lere che mi è estraneo, perché è quello di un altro Io. In altre parole quello che il tuo Io, come terzo, nel suo Io superiore vuole in questa situazione è tutt’altra cosa di quello che il mio Io vuole, altrimenti sarebbero lo stesso Io. Quindi quello che

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il tuo Io vuole in questo momento, come terzo, lo devi sapere tu. Se i tuoi bambini piccoli possono aspettare mezz’ora, prova in mezz’ora, però sapendo che se rischi di andare all’ospedale aspettano due giorni anziché mezz’ora… ma tutto questo sop-pesare è del tutto individuale, non lo può fare uno per l’altro.

In altre parole, ci rendiamo conto che ogni tipo di morale che dice all’uomo ciò che deve fare è una morale per bambini. Il bambino non può sapere cosa il suo Io superiore vuole. Troppo piccolo, lo si aiuta e gli si danno delle regole. Una morale che dice all’uomo d’oggi ciò che deve fare è antiquata, è anacro-nistica. La legge comune si deve limitare a individuare quelle azioni che nessuno ha il diritto di fare perché ledono la libertà. Ma il da farsi è diverso in ognuno. C’è posto per tutti al mondo, se ognuno si inventa un modo di essere, un modo di operare del tutto diverso. Sì, c’è posto per tutti.

Gli esseri umani, se sono genuini, non sono conflittuali perché sono stati concepiti come gli organi di un organismo. Sarebbe come dire: ma se la milza si esprime in tutto e per tutto come milza, del tutto diversa dall’essere polmone, ecc. ecc…, manda a ramengo tutto il resto e succede il caos nell’organismo. ... Ma sei bacato!... L’ho fatta apposta così! Quindi più gli esseri umani si individualizzano, più ognuno costruisce un mondo tutto suo, e più c’è armonia.

La disarmonia nasce dal fatto che siamo tutti insoddisfatti perché nessuno realizza, veramente, il suo spicco del tutto individuale. Un tipo come Dante, cui interessano soltanto i mondi che lui stesso costruisce in tutta questa Divina Commedia ecc. ecc... ma che gl’importa quello che l’altro essere umano nella cameretta vicina sta facendo. Faccia quello che vuole! Basta che non vada nella stanza accanto con la pistola e allora la Divina Commedia non può andare avanti..., ma finché lo lascia in pace.... Sarebbe come dire, la viola dice: no, no, tu

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sei rosa, sei giglio, mi disturbi perché sei tutto diverso! Non è disturbata la viola dal fatto che il giglio sia del tutto diverso... Cioè, questo voler uniformare gli esseri umani è anacronistico. È anacronistico. La legge dell’umano è una esuberanza all’infinito, una variabilità all’infinito, e proprio queste forze dell’artistico della creatività vengono mortificate: devi, devi, devi sottometterti! Devi sbuffare per chi vuol far soldi? Lui, però! Devi essere bravo per andare poi in Paradiso dopo la morte? Sì, una bella pensata.... trasformare la vita sulla Terra in un inferno per andare poi in un paradiso che non c’è, non c’è mai stato. E finalmente tante persone si sono accorte che è una bella buggeratura. E sarebbe ora! Ma a chi serve questo Paradiso e questo Inferno? A chi vuol tenere sotto l’uomo.

Buon appetito a tutti!

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3. La sofferenza e la morteIl male che fa bene

Cari amici, questo pomeriggio parlando del bene e del male, cos’è il bene e cos’è il male, vogliamo affrontare un tema in cui è chiaro che uno dei quesiti più importanti riguarda la sofferenza, le malattia per esempio, quei tratti di vita dove le cose non vanno troppo lisce. E poi, parlando di sofferenza, c’è quel mistero ultimo dell’esistenza che noi chiamiamo la morte dove tutto termina o sembra terminare. E l’angolatura che ci siamo proposti in questi giorni è di vedere sia la sofferenza – interiore, psichica, e anche fisica del corpo – sia la morte – ma non soltanto la morte alla fine della vita, ma anche il morire quotidiano –, in chiave di bene e male.

Credo che, coscientemente o meno coscientemente, voi vi aspettiate da me che io vi dimostri apoditticamente che la sofferenza è uno dei beni più grandi della vita. Detta così la cosa suona un po’ paradossale, perché la reazione spontanea di fronte alla sofferenza dell’uomo comune di oggi, è che la sofferenza è un male e che sarebbe meglio se non ci fosse. E io cercherò di spiegarvi perché ritengo che questo è un grave errore di pensiero, un enorme errore di pensiero; che la sofferenza non soltanto non è un male, ma è uno dei fattori più propulsivi, più positivi, più fecondi nel cammino dell’uomo.

E cercherò di interpretare il fenomeno sofferenza prima di tutto in senso vasto e quindi includo nella sofferenza, decisamente e centralmente, fenomeni come la paura esistenziale, fenomeni come la depressione che si diffonde sempre di più, ma anche l’aggressività, perché l’aggressività è un modo di esprimere la propria insofferenza o la propria sofferenza.

In questo tentativo di interpretare in senso vasto il fenomeno sofferenza nel contesto di quello che dicevo ieri sera e questa

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mattina, propongo una categoria che se volete è una categoria di pensiero e una categoria psicologica allo tempo stesso: propongo di sostituire per una mezz’oretta – finché io parlo –, al posto della categoria sofferenza un’altra parola che io chiamo l’insofferenza oppure, diciamo, l’insoddisfazione.

L’insoddisfazione, una bella parola italiana che tra l’altro sarebbe molto difficile da tradurre in tedesco. Non si riesce a renderla in tedesco così piena di significato come in italiano. Allora, vi faccio la proposta di interpretare il fenomeno sofferenza secondo questa chiave di lettura: l’essere umano non è mai stato così insoddisfatto su tutta la linea come oggi. E il discorso sulla cosiddetta sofferenza diventa più concreto, più moderno, più comprensibile, più fecondo per la mente e il cuore dell’uomo di oggi se l’affrontiamo dal lato dell’insoddisfazione.

Il mio convincimento fondamentale, che pongo alla base delle mie riflessioni, è questo: abbiamo a che fare con una umanità piena di individui insoddisfatti, e sarebbe meglio lasciar da parte la categoria della sofferenza, perché cento anni fa, addirittura mille anni fa, gli esseri umani hanno sofferto per tutt’altre cose che non oggi. L’uomo d’oggi soffre, in prima linea, in modo centrale, a causa della sua insoddisfazione e deve chiedersi: Perché sono insoddisfatto, cos’è che mi rende insoddisfatto? E ci sono modi, prima di tutto nel pensiero – il pensiero deve sempre precorrere ciò che poi la vita riesce a conquistarsi –, di capire un pochino meglio, di chiarire le cose sull’insofferenza, sull’insoddisfazione endemica dell’uomo d’oggi.

Perché la maggior parte degli uomini d’oggi è insoddisfatta? Qui arriva subito la risposta telegrafica. Naturalmente si potrebbe rincarare la dose, rendere paradossale questa insoddisfazione dicendo che non c’è mai stata un’epoca in cui l’essere umano è in grado di soddisfare tante voglie, tanti bisogni, quanto

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oggi. Non c’è mai stata tanta soddisfazione, o meglio, tanto soddisfacimento, come oggi. Non ci sono mai stati tanti soldi come oggi, la tecnica che mette a disposizione tantissime cose che si possono comprare, ecc. ecc… quindi, il rincorrere, il soddisfare i propri bisogni, le proprie voglie, bisogni veri e non veri, mai l’essere umano ha avuto la possibilità di soddisfare tantissime voglie, tante quante oggi, e mai è stato così insoddisfatto come oggi.

Questa osservazione sociale, psicologica, rende ancora più paradossale il fatto che: Ma come.., proprio questo uomo moderno che si può permettere a tutt’altri livelli di soddisfare tantissime cose che i nostri antenati non potevano soddisfare, è l’essere umano più insoddisfatto che ci sia mai stato... è forse perché le voglie che genera crescono in proporzione aritmetica, e le voglie che soddisfa crescono soltanto in progressione geometrica?

Nel contesto di quello che dicevo ieri sera e questa mattina segue una interpretazione di questo fenomeno così tipico dell’uomo d’oggi. E naturalmente, tenete presente che io sto dicendo di riflesso che questa insoddisfazione di vita, di fondo, così endemica, è l’origine di ogni tipo di paura, perché la paura esistenziale è in fondo: Ma chissà se mi mancherà qualcosa di cui ho bisogno? Essendo insoddisfatto, ho paura perché dico: Ma allora la vita non mi può mai soddisfare?

La paura è una conseguenza dell’insoddisfazione. Dicevo che anche la depressione è una conseguenza dell’insoddisfazione. Allora la paura, la depressione e anche l’aggressività… Un esse-re umano diventa aggressivo quando è insoddisfatto. Un essere umano soddisfatto, cioè che vive contento di ciò che ha, non ha bisogno di diventare aggressivo. Quindi sia l’aggressività – pro-pongo chiavi di lettura –, sia la depressività, sia la paurosità, la paura, sono conseguenze di questo modo esistenziale di porsi,

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di vivere il quotidiano, che rende l’essere umano insoddisfat-to. Torniamo allora a chiederci: quali sono le origini profonde dell’insoddisfazione? Cos’è che soddisfa l’essere umano e cos’è che non può soddisfare l’essere umano?

Qui propongo due campi fondamentali: c’è una serie infinita di realtà che non può soddisfare l’essere umano, ed è tutto ciò che dà la natura. Tutto ciò che la natura mi dà non può soddisfarmi... Ma perché? La natura è piena di doni!

Prendete il fenomeno di un essere umano a vent’anni: la natura gli dà un corpo giovanile pieno di forze, salute, poi un linguaggio, capacità, uno studio, università, ecc…, ma è infinito ciò che la natura gli dà! Prendiamo il caso di un giovane che sia bello sano e non malato. Eppure, tutto ciò che la natura ci dà per natura, non può soddisfarci. Perché? Perché non è libero. E l’essere umano è per natura fatto in un modo tale che tutto ciò che la natura gli dà non gli basta. Vuole di più che non ciò che dà la natura. Vuole ciò che lui aggiunge liberamente, per creazione libera, a ciò che la natura dà.

Una fonte enorme di depressività, di depressione, è la scienza naturale, la neurobiologia. I nostri neurobiologi che vogliono dimostrarci che tu, caro essere umano, con tutti i tuoi pensieri, tutti i tuoi fenomeni di coscienza, tutti i tuoi sentimenti, i tuoi valori, i tuoi ideali sei un risultato del dato di natura, della mistura di geni che ti sei pigliato quando i tuoi due genitori hanno combinato i loro geni e li hanno assortiti. Questo pensiero: Io sono il risultato del dato biologico! crea un’insoddisfazione assoluta, getta l’essere umano nella depressione, perché è nella sua natura di fare del dato di natura il sostrato, il fondamento, il presupposto, la conditio sine qua non, lo strumento per le creazioni della sua libertà.

E la scienza naturale, la biologia, dice: No, tu non puoi cre-

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are nulla di libero, la libertà è un’illusione. Questo pensiero pseudo scientifico è un dogma terroristico che vuole soggiogare l’uomo, tenerlo a bada – e che non salti fuori nulla di libertà perché quello creerebbe problemi, … la natura è fatta di deter-minismi non di libertà.

Il determinismo è la legge fondamentale della natura, cioè l’opposto della libertà. E l’affermazione che ci vorrebbe frutto dei nostri geni è pseudo scientifica perché è un errore, non è una verità. È un’affermazione falsa, però questa sicumera del-la scienza naturale che per grazia di Stato siede sulle cattedre universitarie e si spaccia per scienza sapiente quando invece è piena di ignoranza, impaurisce gli uomini.

Gli uomini si lasciano abbindolare da questo tipo di dogma: la libertà è un’illusione e tu sei soltanto risultato dei meccanismi deterministici delle leggi di natura.... E il risultato assoluto è di una totale insoddisfazione, ma proprio su tutta la linea. Il tipo più melanconico o più flemmatico reagisce con la depressione, il tipo più collerico, più sanguinico reagisce con l’aggressività, ma l’uno e l’altro..., l’uno diventa depressivo, l’altro diventa ag-gressivo proprio per il fatto che si sente del tutto insoddisfatto, non può soddisfare il suo essere se è soltanto in balìa delle forze di natura.

Questa sofferenza tipica, moderna, dell’uomo d’oggi, che è fatta di insoddisfazione, è uno dei beni morali più grandi che ci siano. Perché se l’essere umano arrivasse al punto da essere soddisfatto, da essere contento per il fatto di essere soltanto il risultato delle forze di natura, sarebbe del tutto perduto. Ben venga l’insoddisfazione! Finché resta insoddisfatto, questo rosichìo, questo pungolo sarà proprio la leva per spingerlo a cercare e a costruire qualcosa che va oltre a ciò che la natura dà. E allora è salvo come essere umano. In questo senso la

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sofferenza può essere veramente un male che fa bene. Questo tipo di sofferenza, in modo particolare tutta moderna,

che è l’insoddisfazione endemica, si evince proprio da questa pseudo scienza naturale che non soltanto osserva e descrive i fenomeni, ma addirittura senza un minimo di forza di pensiero, interpreta i fenomeni. Dire che nell’essere umano c’è soltanto ciò che la natura crea non è un osservare i fenomeni, è un’inter-pretazione, è un’affermazione che va ben oltre i fenomeni che si osservano.

Detto in altre parole, abbiamo il cervello con le sue strutture. Il parallelismo psicofisico dice: parallelamente a certi movimenti, a certi fattori delle sinapsi e del cervello, ci sono nella coscienza altri fenomeni. L’osservazione scientifica può dire soltanto: I due fenomeni sono paralleli, mentre nel tuo cervello fisico avvengono queste cose, tu mi descrivi che nel sogno tu hai visto queste immagini, tu mi descrivi che tu hai avuto questi pensieri. Quindi, lo scienziato può soltanto evidenziare che c’è un concorrere parallelo tra fenomeni di coscienza e fenomeni nel biologico. Ma lo scienziato va oltre.

Siccome lo scienziato è un essere umano, non si ferma all’af-fermazione: nel cervello avviene questo, e contemporaneamen-te, parallelamente, nella coscienza avvengono questi pensieri. Siccome è un essere umano pensante, è portato a porre la do-manda della causa e dell’effetto. E senza nemmeno accorgersi, ti sbatte lì il dogma che ciò che avviene nel cervello, nel biolo-gico, è la causa, e ciò che avviene nella coscienza è l’effetto. Ma questo non è un dato di osservazione. È un dato di interpreta-zione pensante, e il pensiero può anche errare. Perché un buon ragazzo che là discuteva con Socrate nei dialoghi di Platone avrebbe detto subito: Un momento, e se fosse l’opposto, che ciò che avviene nella coscienza è la causa, e ciò che avviene nel cervello è l’effetto?

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A questo pensiero: che potrebbe essere l’opposto, che ciò che avviene nella coscienza è la causa e ciò che avviene nel cervello biologicamente è l’effetto, lo scienziato ordinario non ci arriva neanche, perché la scienza ha già posto alla base il dogma che ciò che è fisiologico, in quanto sensibilmente percepibile, è una realtà e quindi capace di causare (in quanto è una realtà mate-riale, visibile); e tutto ciò che è invisibile non è una realtà quindi non può causare nulla.

E questo è un dogma, o un assioma se volete. Ma bisogna rendersene conto e concedere quali sono gli assiomi da cui si parte, perché l’altro ha anch’egli il diritto di partire da un altro assioma fondamentale.

E in tutte le culture l’assioma fondamentale dell’umanità fino agli ultimi secoli, è che ciò che è spirituale, ciò che è invisibile è una realtà assoluta che crea, che causa, capace di fare qualcosa, e tutto ciò che è visibile è effetto. La povertà, il peccato originale, la caduta della coscienza umana sta proprio nell’aver ribaltato questa auto esperienza dello spirito e di aver posto come dogma, come primo assioma che non si pone neanche più in discussione, che tutto ciò che è materiale è realtà, quindi è causante, può causare qualcosa; e tutto ciò che è invisibile è un epifenomeno, un effetto di ciò che è materiale.

In gran parte questa affermazione è vera, ma è vera solo per l’uomo d’oggi. La caduta della coscienza umana sta nel fatto che i fenomeni di coscienza, ciò che avviene nel pensare puro, nell’umanità moderna è diventato così esile, così esangue, così fatuo, che in effetti per la maggior parte degli uomini, oggi, nella coscienza compaiono quasi solo effetti di ciò che avviene nel biologico. Però questa affermazione è vera soltanto per la maggior parte degli uomini d’oggi. Non era vera per un Aristotele, non era vera per un Tommaso D’Aquino! Per loro era vero l’opposto. La loro coscienza, il loro pensare, era una realtà

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così forte, così densa di realtà, che decideva lei cosa avveniva nel cervello.

Ciò che lo scienziato d’oggi in un certo senso giustamente evidenzia, ciò che constata nell’uomo d’oggi, lo generalizza e fa come se non ci fosse altro modo possibile di interazione tra la coscienza e il cervello. E afferma che sia sempre stato così: che il biologico determina e decide molto di più ciò che avviene nella coscienza, che non l’opposto. Però a questo neurobiologo, a questo scienziato, bisognerebbe chiedere: Come fai tu a sapere come stavano le cose in un Tommaso D’Aquino o in un Aristotele? Non hai nessun diritto – sperimentalmente, da un punto di vista di scienza oggettiva –, di generalizzare ciò che tu osservi, forse giustamente, nella maggior parte degli uomini d’oggi, e affermare che deve essere stato così anche ai tempi di Aristotele e di Tommaso D’Aquino.

L’insoddisfazione che vivo nel vedermi prigione, nel vedermi costretto nei determinismi della natura, questa insoddisfazione che genera paura, mi rende depresso e mi rende in balìa di un esubero di forze del fisico. Tra l’altro le forze del fisico vengono esasperate in base a ciò che mangiamo, in base all’aria non più pura che respiriamo, il fisiologico risulta sempre più pesante e dunque sempre più determinante i processi di pensiero.

Questa sofferenza tipica dell’uomo d’oggi ben venga perché è l’ultimo richiamo, è l’ultima possibilità che ho – se veramente mi sento insoddisfatto – di potermi dire: allora l’essere umano non è stato creato come l’animale, come la pianta, come la pietra, per essere un puro fenomeno di natura.

L’essere umano vive soddisfatto e contento, si realizza sol-tanto nella misura in cui ciò che è di natura egli lo usa come uno strumento musicale, ma ciò che gli dà soddisfazione è la musica che fa sprigionare dallo strumento. Allora il cervello è lo strumento necessario per il pensare, ma ciò che dà soddisfa-

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zione sono i pensieri che grazie a questo strumento vengono suonati in tutta libertà, composti, articolati, formulati in una sequela tutta libera, tutta artistica, tutta diversa da persona a persona. E il dato di natura diventa strumento, diventa la base per creazioni sempre più individuali, sempre più libere nelle quali l’essere umano esprime, vive, non il determinismo ma la libertà assoluta.

Questa è una prima chiave di lettura dell’insofferenza e quindi dell’insoddisfazione, dell’insoddisfacimento dell’uomo d’oggi. La sofferenza tipica, la più moderna che ci sia è questa insoddisfazione, per cui l’uomo non si contenta, non si soddisfa, non gli basta ciò che la natura dà. Per fortuna!

Se volete, aggiungerei un altro pensiero. Però questo lo aggiungo perché nella mia vita sono stato anche un pochino più a occidente dell’Europa, al di là della pozzanghera che si chiama oceano Atlantico. Nel continente americano, lì, mi è parso di vedere i primi tipi umani che si rassegnano talmente... talmente rassegnati, che sono capitolati talmente di fronte a questo dogma terroristico della natura, della scienza naturale, che cominciano a essere soddisfatti, a sentirsi come puro meccanismo di natura.

Esseri umani che hanno la parvenza, che vorrebbero dare a vedere di essere contenti con la pura istintualità. Io sono inor-ridito di fronte a questo fenomeno perché mi sono sentito del tutto inerme. Mi sono detto che a quel punto lì non c’è più nulla da fare. Finché c’è la leva dell’insoddisfazione è possibile fare qualcosa, perché l’essere umano che è insoddisfatto e cerca la soddisfazione, cerca ciò che lo soddisfa. Nel momento in cui si contenta di ciò che dà la natura, è perso.

In un giornale inglese di primo piano, due o tre settimane fa, c’era un articolo di fondo che poneva la domanda: Qual è il

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futuro di Bush adesso che finalmente finisce di essere presidente degli Stati Uniti? Che prospettiva c’è per un uomo di questo tipo qui che rappresenta molti, naturalmente, in America – i milioni che l’hanno eletto. Forse molti si sono pentiti di averlo eletto dopo che hanno visto quello che ha combinato con la guerra dell’Iraq. E il titolo diceva: “La noia con un sacco di soldi!”.

Quando l’essere umano comincia ad accontentarsi di ciò che la natura gli dà, quando non sente più questa insoddisfazione così salutare, così genuina, così buona, diventa indifferente. Così come la morte è la morte del corpo, l’indifferenza è la morte dell’anima.

Io conosco tantissime persone che hanno pensieri di suicidio – vanno ben oltre la metà, il 50% dell’umanità d’oggi – e queste persone dovrebbero ritenersi fortunate di non essere ancora arrivate al punto dell’indifferenza, dell’accontentarsi, del non aspirare a più di ciò che la natura mi dà; perché nel momento in cui la persona si accontenta di ciò che la natura le dà, è morto come essere umano. A quel punto il potere ne può fare un robot e lo può usare come strumento per le disumanità più micidiali che ci siano, perché è diventato indifferente di fronte al fattore umano. E il fattore umano è nella libertà che si costruisce sul dato di natura. Specifico dell’umano è la libertà. La natura è lo strumento musicale, la natura fa da base.

La natura, il dato di natura, l’essere umano ce l’ha in comune con l’animale, con la pianta, con la pietra; specifico dell’umano è ciò che l’animale, la pianta e la pietra non hanno, ciò che ha soltanto l’uomo. Ma il fattore di libertà non me lo può dare la natura, altrimenti non sarebbe libero. Viene lasciato all’uomo, e ho sempre detto: Il fattore di libertà deve essere omissibile, altrimenti non sarebbe libero. Ed essendo omissibile si capisce perché tanti lo omettano, perché ognuno ha tanta libertà, ognuno esperisce tanta libertà quanta ne costruisce, liberamente, giorno

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per giorno, né più né meno. La natura non ci offre neanche un centesimo di libertà: la

natura è natura, è l’opposto della libertà. Ciò che la natura fa non soddisfa l’essere umano, perché questi oltre al naturale, oltre a ciò che dà la natura, cerca ciò che costruisce egli stesso liberamente.

Detto questo primo livello dell’insoddisfazione, ne arriva un altro. La seconda grande realtà che crea insoddisfazione è ciò che è generale, ciò che è comune: la legge valida per tutti, la legge comune. Cosa manca alla legge che vincola tutti noi in modo uguale, per cui l’osservanza della legge non ci soddisfa? Perché non soddisfa l’osservanza della legge?

Soddisfaceva forse fino a duecento, trecento anni fa ai tempi di Immanuel Kant10. Ci siamo detti ieri sera e questa mattina che oggi un essere umano che osservasse tutti i comandamenti, tutte le leggi che esistessero a ragion veduta, non può sentirsi soddisfatto. E perché? Perché così come nel dato di natura manca ciò che è libero, così nell’osservanza della legge manca ciò che è individuale. E l’essere umano vuole, cerca ciò che è individuale, unico, e la libertà crea qualcosa che è del tutto individuale.

La seconda grande sorgente di insoddisfazione è l’osservanza della legge comune. L’attenersi, l’osservare ciò che le leggi comuni per tutti non possono mai, ma proprio mai, soddisfare un essere umano moderno che senta l’aspirazione a ciò che è individuale, a una creazione che è tutta sua. Quindi, in merito al dato di natura: manca la libertà; in merito al dato di cultura: manca ciò che è individuale. L’uomo moderno vive tutto ciò che è comune, le leggi comuni, di nuovo come un presupposto, una

10 Immanuel Kant, 1724-1804

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base – non è ciò che lo soddisfa –, ma è la base che ci mette tutti in condizione di creare qualcosa che è del tutto individuale, e soltanto la creazione di ciò che è del tutto individuale può soddisfare l’individuo.

La natura si fa da fondamento per ciò che è libero, e la legge si fa da fondamento per ciò che è individuale. E creare ciò che è individuale è cosa dell’individuo. Nessuna legge comune, uguale per tutti, può dire all’individuo ciò che lui è capace di creare, ciò che lui è in modo unico, irripetibile, nell’organismo dell’umanità.

Riassumo dicendo: questa sofferenza dell’insoddisfazione è un male che fa molto bene perché ci indica, è il pungolo che spinge l’essere umano a creare sempre più ciò che è libero, e a creare sempre più ciò che è del tutto individuale. Nella misura in cui l’essere umano crea qualcosa che è generato dalla sua libertà, e crea qualcosa che è del tutto individuale, vince la paura. Non ha più paura perché si dice: Ho tutto in me, tutto il necessario per creare qualcosa di libero. Non mi manca nulla e non mi mancherà per tutta la vita. E non mi manca nulla per creare qualcosa che è tutto mio, tutto individuale.

Quindi la paura esistenziale è un inganno. Quando noi pensiamo che l’uomo d’oggi ha paura, perché ha paura che gli mancheranno i soldi, ha paura che gli verrà una malattia..., non è vero! Non è vero! La paura si riferisce molto più profondamente, psicologicamente considerata, a questo tipo di insoddisfazione che vorrebbe fargli vedere: Guarda che tu hai paura di vivere nel vuoto, ma nel vuoto di ciò che potresti creare, come prodotto della tua libertà, e ciò che potresti creare come prodotto della tua individualità… ma non ti manca nulla per creare ciò che è libero, e per creare ciò che è individuale.

Nella misura in cui lo fai – e lo può ognuno, basta esercitarlo ogni giorno – vinci la paura. In altre parole, nessun essere

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umano ha motivo di aver paura, se fa – e ognuno lo può – giorno per giorno, di creare quanto può. E non è necessario che sia di più di quanto può. Ma ognuno può a modo suo creare ciò che è libero e quindi pieno di amore, e ciò che è del tutto individuale. E in quanto ognuno lo può, perché ognuno è un essere umano, ognuno è capace di vincere la paura, perché la paura nasce soltanto quando non sento in me ciò che è libero, ho paura di restare senza ciò che è libero, senza ciò che è individuale.

L’essere umano ha paura di venire ingolfato e subissato dai meccanismi di natura, e ha paura di essere inglobato e fago-citato dai collettivismi del potere della società. Ma di fronte a entrambe queste paure, ha tutti gli strumenti per vincere questa duplice paura creando qualcosa che è libero e che fa lui perché lo vuole lui, e qualcosa che è del tutto individuale.

Un paio di volte Rudolf Steiner ha posto la domanda: C’è un tipo di azione che è del tutto libera? dove non ci sia nulla al mondo che mi dia una spintarella per farla? E dice, per esempio, la meditazione.

Perché la stragrande maggioranza delle persone non medita? Perché non c’è nulla al mondo che li spinga a meditare. Questo significa che la decisione di fare cinque minuti di meditazione all’inizio della giornata e cinque alla fine, è del tutto libera! E chi può prendere questa decisione libera? Tutti. Basta volerlo.

Quindi la libertà, ciò che è libero, è accessibile a tutti, però non devo aspettarmi la spintarella perché allora non sarebbe li-bero. E di cose libere che vengono lasciate alla libertà di ognu-no ce n’è all’infinito.

Soltanto l’opera omnia di Rudolf Steiner – sono 350 volumi: è lasciato alla libertà di ognuno di studiarseli, non è proibito a nessuno. Non è proibito a nessuno. Ma nessuno riceve una spinta: devi, devi, devi, altrimenti non ti do da mangiare! No, è

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una cosa del tutto libera. Io vi porto questo esempio a ragion veduta, perché so che cosa

porta nella vita lo studiare queste conferenze di Steiner. Ma è del tutto libero. Quindi non mi dite: Non c’è niente che io possa fare liberamente, tutto il campo è preso! Te lo lasci prendere tutto il campo..., manda a ramengo questo, questo e quest’altro e vedrai quanto tempo salta fuori per fare ciò che vuoi. Una persona che vuole guadagnare fior di… un tempo si diceva fior di milioni al mese, adesso bisogna dire fior di migliaia di euro al mese, e per guadagnarsi tanti soldi deve sbuffare dalla mat-tina alla sera, certo che ha ragione dicendo: Eh, non mi resta tempo per fare qualcosa che io vorrei fare! Ma chi te lo fa fare a voler tanti soldi? Che ne fai di tutti questi soldi? Ah, ma ne ho bisogno... Ma allora... cioè, nella vita bisogna anche scegliere. Se non si sceglie mai non si esercisce la libertà. La libertà si esercisce, si vive proprio, anche scegliendo. Se uno non vuole mai scegliere e vuole avere tutto quanto, non sarà mai libero, perché chi vuole avere tutto finisce per non avere nulla. Tutto non si può avere, perché volendo avere tutto non si sceglie mai, e non si esercita mai la libertà.

La libertà si esercita scegliendo: questo non lo voglio per far posto a quest’altro che voglio liberamente. Ma se io non dico mai di qualcosa: questo non lo voglio! non faccio posto, perché il campo di ciò che ci viene indotto come necessario, è tutto preso.

Spesso ho portato l’esempio – perché me lo sono goduto così, che sono andato in un supermercato un paio di volte – non una volta sola – per godermi tutto ciò di cui non ho bisogno. E più grande era il supermercato e più me la sono goduta. Però, una volta stavo uscendo fuori tutto bello..., mi hanno fermato dicendomi che non potevo andarmene senza aver comprato qualcosa! Sapete cosa ho fatto? Ho comprato la busta vuota!

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Costava un paio di centesimi, e poi sono uscito tutto bello pimpante con la mia busta vuota in alto che mostravo a tutti quanti. Ma senza busta vuota non mi lasciavano uscire, senza aver speso almeno un minimo di soldi. Naturalmente non è che vi stia dicendo di andare al supermercato con l’intento di non comprar nulla. Non è questo che sto dicendo, però la libertà si esercita proprio scegliendo nella vita. Se non si sceglie mai, non si può fare l’esperienza della libertà.

La seconda sfera: com’è che noi creiamo una cultura del sociale a misura d’uomo che sia talmente amante dell’essere umano da volere l’essere umano, e non soltanto la soggezione, l’assogget-tamento dell’essere umano. Mi pare di avervi dato una chiave di lettura, una chiave d’interpretazione, dicendo: nella misura in cui sorge l’esercizio e l’amore per ciò che è individuale, tro-veremo socialmente, come comunità sociale, la forza e anche la saggezza di ridurre al minimo ciò che è legge, e di ridurre ciò che è sancito per legge al proibire le azioni che non vanno fatte perché sono lesive della libertà. E quando un individuo non compie queste azioni, faccia quello che vuole!

Finché un individuo non compie azioni lesive della libertà altrui, cosa ha diritto di fare? Tutto quello che vuole! Va tutto bene, perché non lede la libertà altrui, basta!

Un individuo che non lede la libertà altrui, osserva tutte le regole del sociale, e altre regole non hanno diritto di esistere. Perché poi sulla base di questo non ledere la libertà altrui, se lui gode di ciò che la libertà produce, di ciò che è individuale, arricchirà l’umanità della sua ricchezza unica, e questo è socia-le al massimo. L’amore reciproco sta proprio nell’arricchirci a vicenda, non nel soggiogarci a vicenda, nel riempirci di coman-damenti e di leggi che non ci fanno respirare.

L’uomo è insoddisfatto, non si sente soddisfatto da ciò che

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gli dà la natura perché cerca ciò che è libero. L’uomo si sente insoddisfatto di ciò che gli dà la legge comune uguale per tutti, perché cerca ciò che è individuale, unico, che fa solo al suo caso. E dicevo che questa insoddisfazione è la cosa più bella, perché ci dice: tu cerchi qualcosa di più che non ciò che la natura ci dà, cerchi qualcosa di più che non la legge da osservare che è uguale per tutti. Proprio questa insoddisfazione ti aiuta a costruire ogni giorno ciò che è libero e ciò che è individuale, e nella misura in cui lo fai – e lo può fare ogni essere umano – ti sentirai sempre più soddisfatto.

Non comodo, non indifferente. Non sarà il sentirti contento nel senso dell’indifferenza, che tutto ti è indifferente. Sarà invece il sentire la gioia dell’esuberanza dell’essere umano, che l’amore nella sua libertà dà più di quanto la legge chiede. L’amore dà più che non ciò che la natura, coi suoi determinismi, dà. Quindi l’amore dell’essere umano, l’esuberanza dell’umano, il soddisfacimento dell’umano consiste nel fatto che l’uomo vuol vivere e dare molto di più che non ciò che dà la natura: ciò che è libero; e molto di più che non ciò che chiede la legge, e cioè: ciò che è individuale.

Dobbiamo sentire rimorsi di coscienza di fronte a questo tipo di soddisfacimento? Vogliamo proibire all’essere umano di essere soddisfatto? No, perché questo tipo di soddisfazione diventa una sfera superiore dell’insaziabilità, è un tipo di soddisfacimento che dà tanta gioia che l’essere umano ne vuole sempre di più, sempre di più, sempre di più!

Allora non vive da insoddisfatto, vive da insaziabile. E questo è bello! Non è mai sazio di libertà e non è mai sazio di amore, ed è contento. Contento e mai sazio. E questo crea il vero dinamismo dell’esistenza. Invece l’insoddisfazione è soltanto il non contento che frena, che paralizza.

L’esuberanza della libertà, l’esuberanza dell’amore, l’esube-

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ranza di ciò che è individuale, questo creare all’infinito non è una soddisfazione che mi arresta, è una soddisfazione crescente che ne vuole sempre di più, e sempre di più, e sempre di più ma non è insoddisfatta, è insaziabile. Perché ciò che vive è bello e buono, e questo è il bene morale al livello più supremo. Questo tipo di gioia che diventa sempre più generosa, che ha sempre più da offrire perché conquista sempre di più, conquista sfere sempre nuove, apre orizzonti sempre nuovi. E nel godere vuol godere sempre di più, e nell’amare vuole amare sempre di più, e nell’essere libero vuol diventare sempre più libero, all’infinito.

Nella misura in cui l’essere umano sente la contentezza insa-ziabile di ciò che è libero e di ciò che è individuale, comincia a sentire un altro tipo di sofferenza. E quella la chiamo soffe-renza, non più insoddisfazione, ed è la sofferenza che soffre con l’altro e per l’altro. Questo tipo di insoddisfazione, tipica dell’uomo d’oggi, è un essere fissati su se stessi, e perciò va su-perata. Ma nella misura in cui l’essere umano comincia a gode-re a non essere più un problema a se stesso, soltanto incentrato sulla propria depressività, sulla propria paura, sulla propria ag-gressività, perché vive sempre più in libertà e ciò che è libero, ciò che è individuale…, si sente il cuore sempre più trafitto di fronte a una umanità così povera. E sente sofferenza per questa umanità di oggi, e questo soffrire con l’altro e soffrire per l’al-tro, è l’unica cosa che ci può redimere.

Finché ci sarà qualcuno che sente sofferenza per la povertà della mente e del cuore del suo fratello, l’umanità è ancora redimibile. E il più grande che ha sofferto non per sé, ma con noi e per noi, per la nostra povertà, duemila anni fa ha redento l’umanità con questo amore di sofferenza che soffre con l’altro e per l’altro.

Però ci rendiamo conto che questa capacità di soffrire con

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l’altro e per l’altro, presuppone che l’individuo umano non sia più in tutto e per tutto occupato con se stesso, che viva un minimo di libertà interiore, di individualità, di creatività e allora soffre perché nell’umanità c’è tanta insoddisfazione, soffre perché nell’umanità c’è tanta paura, c’è tanta depressione, c’è tanta aggressività.

Perché soffre? Perché non ha il diritto di intervenire direttamente. La sofferenza più profonda è quella della mamma che accompagna il proprio figlio negli abissi della libertà. E questo tipo di sofferenza redime al massimo, perché immette forze di amore, le più profonde che ci siano. E ciò di cui oggi l’umanità ha bisogno, in un modo urgentissimo, è di animi umani che abbiano la capacità di soffrire con questa umanità che è piena di insoddisfazione.

Come opera, come agisce questa sofferenza della madre che accompagna negli abissi della libertà del figlio ventenne, venticinquenne, trentenne? Questo amore che ha una forza tale da non intervenire, da non ledere la libertà dell’altro neanche quando questi si getta nell’abisso, crea nell’altro, rende la libertà sacra anche all’animo dell’altro... e l’altro si accorge che sta ledendo, sta distruggendo la propria libertà, perché per amor di libertà la madre non interviene.

Il cosiddetto Cristo da duemila anni soffre con l’umanità per l’umanità, e si guarda bene dall’intervenire, dal ledere la libertà degli esseri umani, a un punto tale che la maggior parte degli esseri umani neanche sa che esiste. E nel momento in cui noi capiamo questo, capiamo il peso assoluto della libertà.

La libertà è così sacra, è il valore il più supremo che esista, che Colui che massimamente soffre con noi e per noi non interviene, perché la nostra libertà è la cosa più sacra che ci sia e vedendola così sacra in Lui, diventa sacra anche a noi. E allora l’essere umano ritorna in questo circolo – non vizioso, ma grazioso

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– che la libertà, l’amore per la libertà, lo riporta in ciò che è individuale, lo riporta a cercare ciò che veramente lo libera. Quindi la sofferenza più vera è quella che non interviene: si proibisce, nel modo più assoluto, di ledere la libertà dell’essere umano.

Il Cristo sa che Giuda sta pensando di suicidarsi. Molti si chiedono: Perché non ha fatto nulla per distoglierlo da questo orribile pensiero? L’amore sa che l’essere umano impara dagli abissi della libertà. L’amore sa che non è l’ultima parola per Giuda. L’amore sa che a Giuda verrà data un’altra vita, e un’altra ancora. Nel Vangelo di Giovanni c’è questa frase che Cristo dice a Giuda: Ciò che devi fare, fallo presto. Una traduzione un po’ all’acqua di rose. L’ho ripetuto diverse volte: Ö poie‹j po…hson t£cion11. Ciò che l’interazione tra il tuo karma passato e la tua libertà di ora ti porta a compiere, fallo! Non tergiversare, non aver paura di fronte alla libertà, di fronte a ciò che è individuale. Dai fiducia alla libertà umana, dai fiducia a ciò che è individuale. Qualsiasi cosa sia, anche se tu fai l’esperienza dell’autodistruzione, hai la capacità di imparare e poi non lo vorrai più fare.

Un essere umano che non ha fatto ancora l’esperienza, in qualche modo – non deve essere per forza il suicidio fisico –, ma un essere umano che non abbia ancora fatto l’esperienza di autodistruggersi bisogna comandargli, per comandamento, di non autodistruggersi e quindi è più indietro nell’evoluzione, che non colui che sa per esperienza propria che l’autodistruzio-ne non la vuole più, perché ne ha fatto l’esperienza. E perciò ogni essere umano, prima o poi, in un modo o nell’altro, deve fare la sua esperienza dell’autodistruzione, in modo che poi, liberamente, a ragion veduta, per esperienza sua, non vorrà più

11 Cfr. Vangelo di Giovanni 13, 27

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distruggere se stesso. E non ci sarà bisogno di un comandamen-to che gli ingiunga di farlo, per sottomissione, per osservanza: allora il costruire se stesso avverrà in libertà.

Di fronte a tutti questi fenomeni di sofferenza – l’insoddisfa-zione su cui mi sono soffermato a lungo, la sofferenza con l’al-tro e per l’altro di cui ho parlato poc’anzi –, c’è un altro tipo di fenomeno che è la sofferenza fisica. Che poi, in questa temperie di materialismo, è ciò su cui ci si fissa sempre di più, ma la sofferenza fisica, in fondo, è nulla di fronte a depressioni forti, lunghe, tenebrose. Chi sa cos’è la depressione, soprattutto una depressione lunga, forte, tenebrosa, lo sa che una malattia fisica non è nulla a paragone.

Qual è il bene della malattia fisica? La malattia fisica ha due aspetti fondamentali.

Prendiamo per esempio il polmone… Il polmone è qualcosa che mi ha dato la natura, normalmente finché è sano è un’opera della natura. L’essere umano è talmente fissato, talmente innamorato di ciò che è libero, di ciò che costruisce egli stesso liberamente, che dice: Ma non mi basta che sia la natura a darmi un polmone sano, vorrei imparare io, a costruire io... perché costruire un polmone, mantenerlo sano è un’infinità di forze ben specifiche che la natura ha. E una della cause principali della malattia del polmone sta nel fatto che l’Io superiore si dice: No, io adesso sono diventato forte abbastanza che voglio distruggere il polmone che mi ha costruito la natura, per darmi la possibilità di ricostruirlo io a partire dalla mia libertà.

Il polmone malato, la cosiddetta malattia, è il godimento dell’Io superiore, questo rovellìo per imparare come si mantiene sano il polmone. Ma non per natura, per libertà. Un essere umano che in una vita è venuto alle prese, ha lottato con un polmone che la natura non rendeva sano abbastanza e quindi ha dovuto

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lottare, lui in prima persona, con le medicine, con i medici, ecc. ecc… per renderlo sano, acquisisce nella sua anima, nel suo spirito, forze polmonari specifiche tali che la prossima volta gli daranno un polmone sanissimo, forte, ma non soltanto come dono di natura: ci sarà un concorrere enorme delle forze dell’Io.

Il senso delle molte vite che ci sono concesse è che abbiamo la possibilità, in ogni vita, di distruggere almeno qualcosa nel nostro corpo, imparare a ricostruirlo a partire dall’Io, a parti-re dalla libertà, finché poi nella risurrezione della carne tutto ciò che è fisico, tutto ciò che è di natura e che è servito, come dire, da modello per costruire queste forze nell’Io, nello spirito, nell’anima, non è più necessario. E l’anima e l’Io dell’uomo, che risorgono dopo che tutto ciò che è fisico tramonta, avranno in sé tutte le forze che la natura conteneva in sé a partire dalla libertà dell’Io. Il senso dell’evoluzione è di trasformare tutte le forze della natura a brano a brano in atti di libertà del pensiero e dell’amore umani.

Il senso dell’evoluzione umana è di ricreare la creazione di-vina a partire dal pensiero e dall’amore dell’uomo. E questo ricreare, in italiano lo possiamo dire, in nessun’altra lingua… è la più bella ricreazione che ci sia. Il linguaggio italiano vuole che la parola ricreazione abbia questi due significati: del ricre-are il creato divino a partire dalla libertà dell’uomo, dall’amo-re dell’uomo, e questo ricreare è una ‘ricreazione’ dell’uomo perché lo ricostituisce, lo rende felice, lo rende soddisfatto. E allora capisce che ogni sofferenza e anche ogni malattia fisica è un bene, perché è una provocazione a diventare sempre più cre-atori nella libertà e nell’amore che sono del tutto individuali.

E cos’è la morte? La morte è il termine del morire ogni giorno. La parte più bella della morte non è quando il morire

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quotidiano termina, ma quando ce l’abbiamo a disposizione. Ciò che noi chiamiamo la morte è la somma di tutte le morti quotidiane. E il morire quotidiano – ne parlavo questa mattina – è il consumare il dato di natura, la cera, consumare il corpo. In questo consumare il corpo, in questo consumare il cervello con processi di pensiero, nel consumare tutto l’organismo con azioni piene di amore, il senso, il bene morale di questo consumare il corpo quotidiano, di questo morire quotidiano, il duplice bene morale di questo morire quotidiano, di questo logorio quotidiano, di questo invecchiare, di questo consumare l’organismo è che consumando l’organismo fisico si sprigiona luce di pensiero e calore dell’amore.

L’interazione tra spirito umano e corpo umano è così che lo spirito umano può creare luce, può far sprigionare calore dell’amore unicamente consumando il sostrato corporeo. E que-sto consumare è bello, duplicemente bello, perché fa sorgere la luce del pensiero che dà gioia alla mente, e il calore del cuore che dà gioia alla vita, riempie di bontà la vita degli esseri umani gli uni con gli altri. Se vissuta così, la morte quotidiana e anche la morte ultima, è il bene più grande che ci sia perché questo morire quotidiano è la conditio sine qua non per far sprigionare luce di conoscenza e calore di amore.

L’essere umano non può conoscere e non può amare se non consumando la cera del corpo fisico, e allora gode proprio an-che di questa consumazione. E allora capiamo le culture antiche dove i giovani invidiavano i vecchi, erano impazienti: ma per-ché devo aspettare tanto per far sprigionare tanta luce e tanto calore? Perché il tuo corpo è troppo vivo, non è ancora capace di morire a certi livelli. E c’era un’invidia degli anziani.

Oggi il mondo si è ribaltato, e gli anziani invidiano i giovani. Ho raccontato qualche volta: a New York dovevo andare al funeral home dove c’era il morto, dovevo fare un fervorino. Mi

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dissero un giorno: Reverendo, sì, dica pure qualcosa su questa persona, ma lei è così intelligente da non usare la parola ‘morte’! Quindi io avrei dovuto dire qualcosa sul morto, però la parola morte non doveva c’entrare! E una volta mi è successo – siccome il morto o la morta lo mettevano lì bello seduto, tutto bello –, che non sapevo bene chi fosse, ho visto quella persona, lì: Hey, Charlie, how are you doing?... Mi sono tirato indietro... era la persona morta. L’avevano messa lì, bella seduta, sembrava una persona sorridente. Io mi sono avvicinato per dargli la mano.., poi mi sono accorto che era il defunto. E io mi dicevo: ma come può una cultura che ostracizza, che rimuove la morte a questi livelli, come può vivere in un modo umano, in un modo intelligente, quando il fattore morte ci accompagna in assoluto ogni giorno.

La legge del cammino della vita è che si muore sempre di più nel nostro corpo, e poi ci accompagna sempre, perché ognuno deve morire. E la nostra cultura vive proprio di questa rimozione della morte. Il nostro materialismo ha paura di questo fenomeno, però rimuovendo la morte noi non vogliamo fare i conti con ciò che, in fondo, appartiene alle realtà più importanti della vita. Perché, vi ripeto, il morire quotidiano è una delle cose più belle che ci siano perché è la conditio sine qua non per far sprigionare sempre più luce di pensiero.

E il pensiero dà gioia, capire le cose dà gioia, ogni cosa che l’uomo capisce è un frammento di libertà, non è dipendente dagli altri. Ciò che non capisco mi rende dipendente dagli altri. E ogni frammento di amore, di calore, che anche consuma il corpo è un’altra sorgente di gioia, di soddisfacimento, di realizzazione dell’umano. Quindi, in un certo senso, sia il morire quotidiano sia la morte come somma, come risultato infinitesimale, come calcolo globale di queste morti quotidiane, è uno dei beni più grandi della vita.

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Il morire quotidiano è un bene morale supremo nella misura in cui è il presupposto per risorgere ogni giorno: da questa morte del corpo, alla luce dello spirito e al calore dell’amore. Quindi, il bene morale di ogni morte è la resurrezione dello spirito che conosce, e dell’anima che ama.

Facciamo una breve pausa e poi sentiamo cosa avete da dire.

Dibattito

Intervento. Mi riallaccio un po’ a quello che ho chiesto stamattina, perché io, nella mia mente, avevo come vittime i bambini. E riesco comunque anche a ricollegarmi a ciò che ha detto nel pomeriggio, quindi là dove è più facile accogliere alcune cose riferite agli adulti, a me riesce molto più difficile accoglierle riferite ai bambini. Quindi la malattia, la morte, la violenza, l’abuso, ecco, tutte queste cose riferite ai bambini non riesco a collocarle in quello che lei dice.

Archiati. Giustamente, giustamente è difficile, molto più difficile venirne a capo, se riferite a bambini anziché ad adulti. E il motivo semplice, palese, è che noi adulti abbiamo avuto un po’ di tempo per combinarne, per cui se uno di noi adulto diventa la vittima di un aguzzino, c’è sempre qualche motivo di pensare: Ma insomma, di sgarrate ne ho fatte! Però, coi bambini? E giustamente la domanda che lei pone è una delle più importanti, perché ci rendiamo conto che non possiamo venirne a capo così.

Allora io le devo dare una risposta che qui molti conoscono, ma molti di noi la conoscono a livello intellettuale. Diventa una risposta del cuore nella misura in cui continuiamo ad esercitare questo tipo di risposta, e diventa sempre più convincente – quindi non è un ripetere ciò che si fa sempre.

Così come ogni giorno torniamo a mangiare, così il pensie-

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ro per far scendere fino al cuore i pensieri deve continuare a rimuginarli, a rimacinarli, e allora il pensiero che io le porto incontro è: se lei, come la nostra cultura in generale, cultura cattolica, cultura cristiana – più o meno cristiana, perché fino a che punto sia cristiana è da lasciare aperto… –, comunque la cultura occidentale degli ultimi duemila anni, parte dal presup-posto fondamentale – e se lei anche parte da questo presupposto fondamentale che è quello comune della nostra cultura –, che l’essere umano vive una sola volta, una risposta convincente alla sua domanda non la trova. C’è però un’alternativa.

Si tratta di dar voce in chiave di pensiero a questa alternativa, perché ogni pensiero è un’offerta alla libertà dell’uomo – tenete presente che io qui esprimo soltanto pensieri e i pensieri per natura non sono lesivi della libertà. Ognuno di noi ha la possibilità di prendere posizione col suo pensiero di fronte al pensiero di un altro, può farlo suo perché lo convince, o rigettarlo perché non lo convince.

Ora questa cosiddetta scienza dello spirito, in fondo, offre una serie di pensieri che sono nuovi, e come risposta a questa domanda sorge in questa cosiddetta scienza dello spirito un’alternativa e dice: Sei sicuro, sei proprio sicuro che l’essere umano viva una volta sola? Da dove lo sai, chi te l’ha detto? C’è qualche autorità a cui tu hai creduto? Hai una cultura cattolica, una cultura cristiana di duemila anni che ha sempre pensato così? Ma non perché la maggioranza ha pensato così, è automaticamente una verità. La verità non va secondo maggioranza, la verità va secondo verità.

E c’è un’alternativa.Io non vi sto vendendo il dogma della cosiddetta reincarnazione,

vi dico ci sono due possibilità fondamentali: o che l’essere umano vive una sola volta, oppure che ogni essere umano vive ripetute volte.

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Agostino12, per dire un esempio – IV - V secolo dopo Cristo – nei suoi scritti oscilla tra la preesistenza e il pensiero che è poi invalso col crescere del materialismo. Ma per Agostino – e ancora ai suoi tempi – era chiaro che l’essere umano pre-esiste nella mente di Dio prima di nascere.

Uno dei dogmi del materialismo è che il corpo, il dato di natura è talmente determinante, è talmente causante che il cristianesimo stesso, il cattolicesimo, si è così materializzato, così inabissato nel materialismo che è giunto a pensare un pensiero orribile: che Dio stesso non può creare un’anima umana se non è iniziato il sostrato corporeo. Con questo viene detto: se non c’è almeno l’inizio attraverso il concepimento che avviene tra madre e padre, se non c’è l’inizio del sostrato corporeo, Dio non può creare un’anima. In altre parole, l’anima può essere creata da Dio soltanto quando inizia il sostrato corporeo. Questa anima non esiste prima del corpo, quindi non esiste senza il corpo.

Adesso questo corpo muore, e l’anima dovrebbe essere immortale..., allora l’anima è capace di esistere anche senza il corpo. Cos’è questo tipo di pensiero? È un tipo di pensiero bambino! Perché pensare in modo consequenziale, pensare in un modo dritto, dovrebbe portare a dire: Se è vero che non può esistere prima che ci sia il corpo, non può esistere neanche dopo che finisce il corpo.

Aristotele dice: L’anima è la forma del corpo. Allora quando finisce il corpo finisce anche l’anima. Questa è la conseguenza della scienza naturale, che è più lineare in chiave di pensiero che non la religione che si trascina questo relitto di tradizione per cui l’anima dal lato della morte dovrebbe essere indipendente dal corpo. Il materialismo ha fatto in modo che dalla porta della

12 Agostino, 354-430 d.C.

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nascita l’anima dipenda in tutto e per tutto dal corpo, e per una religione intrisa di materialismo Dio crea un’anima soltanto quando gli uomini decidono di accoppiarsi, quando padre e madre si mettono insieme e danno inizio al sostrato corporeo.

Un’altra domanda sarebbe: Giuda si è impiccato, si presenta al Padreterno… Io avevo posto la domanda a mia sorella suora: Sei sicura che Giuda sia all’Inferno eterno? - No, non so … - Perché non sei sicura? Se non c’è Giuda, non c’è nessuno. A che serve l’Inferno? Se l’Inferno non è stato creato per Giuda, è vuoto! Che se ne fa il Padreterno.., scaldare questa fucina che poi non serve a bruciare nessuno. Però lei non trovava il coraggio di dire che Giuda è all’Inferno. Allora io ho creato un Giuda, in questi due libricini13, che si domanda: “Come facevo a sapere prima di suicidarmi che tipo di esperienza faccio..., adesso mi rendo conto … E tu che sei il Dio dell’amore..., sei così tirchio che mi concedi una volta sola e se io sgarro non ho più nessuna possibilità di imparare dai miei sbagli...! ma dai, dammi almeno una seconda possibilità..!” E mette in imbarazzo il Padreterno, perché il Padreterno non trova nessun motivo per non dargli una seconda possibilità. Che motivo ci sarebbe?

Allora io chiedo a lei: l’uomo e la donna vivono una volta sola o più volte? L’evoluzione, è fondata sulla tirchieria divina o sull’amore divino?

Io sto dicendo soltanto: se questo bambino che viene maltrat-tato non ha mai compiuto nessun cammino nel passato, così che ha costruito delle forze karmiche, ha contribuito lui stesso da spirito che è già in cammino da lungo tempo a queste forze che adesso lo malmenano, ecc… è assurdo quello che gli avviene!

Se invece parto dal presupposto che questo cosiddetto bambino – il suo corpo è bambino ma lui come spirito, come

13 v. P. Archiati “Cristo ricambia il bacio” parte I e parte II. Archiati -Verlag

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anima, ha secoli e millenni di cammino alle spalle –, che queste due persone – soltanto in questa vita l’uno è bambino e l’altro è adulto –, hanno da sempre avuto a che fare l’uno con l’altro, e lui stesso ha contribuito a che l’altro abbia queste forze di egoismo, allora ho tutt’altre possibilità di spiegare il fenomeno che non se parto dal presupposto che tutti e due sono stati creati alla loro nascita.

Se tutti e due sono stati creati alla loro nascita, la violenza fatta a un bambino è un’ingiustizia al cospetto di Dio, in assoluto. E un mondo fondato sull’ingiustizia e sull’irrazionalità è un mondo in cui io non vorrei vivere, perché il mio Creatore mi ha creato con forze di razionalità, di logica, e mi ha detto: Tu vivi in un mondo fondato sulla logica dell’amore. E la logica dell’amore mi dice: O questi due esseri hanno avuto a che fare l’uno con l’altro da tanto tempo e questo mi spiega le forze di disamore, di egoismo che vanno tra loro due, oppure devo dire che il mondo è fondato sull’assurdo. E la logica dell’amore mi dice: No, no, l’amore divino concede a ogni spirito umano il tutto dell’evoluzione, dall’inizio alla fine.

E chiedo a lei, e a ciascuno di noi: perché no? Se poi lei mi ribatte che una verità così madornale, così fondamentale, tutta una cultura di duemila anni, cosiddetta cristiana, tutti questi teologi, possibile che nessuno ci sia arrivato?.... Ci voleva uno Steiner?

Tutta la sapienza, tutta la verità offerta all’uomo per rivelazione divina doveva, era destinata a sparire, perché solo così può fare spazio alla libertà umana che si riconquista ogni frammento di verità con la libertà individuale. Quindi dobbiamo partire dal presupposto che si può far posto alla libertà individuale che conquista liberamente la verità con l’amore alla verità, possiamo far posto a questa ricerca individuale amante della verità, soltanto facendo sparire tutta la verità rivelata per grazia

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divina! La tabula rasa del pensiero umano poverello di oggi, è l’amore divino alla libertà dell’uomo: questa mente ora la devi riempire tu, con la tua libertà. E quello che ti conquisti con la libertà ti darà un tutt’altro soddisfacimento che non ciò a cui devi credere perché non lo capisci.

Intervento. La mia è una domanda molto semplice. Io qui vedo tanti genitori, penso educatori, insegnanti. Io mi occupo di formazione e mi chiedo: Come si può conciliare il discorso della libertà e della formazione all’individualità, valorizzando il contesto educativo? Perché è vero che la persona sceglie, però è molto complicato. Io mi occupo anche di formazione di giovani, di adolescenti e vedo che siamo in un momento critico oggi rispetto all’educazione; quindi il mio intervento era semplice e spero di non rubare tempo agli altri.

Archiati. Nessuno ruba tempo agli altri!Intervento. Come valorizzare l’ambiente educativo? Perché

io penso che anche la libertà, credo, non lo so, ha bisogno di essere orientata in qualche modo, rispettata, ma anche stimolata perché mi accorgo che altrimenti diventa difficile far crescere. Credo anche al valore dell’insoddisfazione, come contesto in cui uno può maturare delle decisioni, però mi dico: l’ambiente che funzione ha nella formazione della libertà, e più che dell’individualità, nella formazione del soggetto?

Archiati. Allora torniamo ad alcuni pensieri fondamentali. Naturalmente dobbiamo tener presente che certi pensieri vanno oltre, non contraddicono, però vanno oltre il campo di visuale cosiddetto cattolico, quindi bisogna anche avere un minimo di apertura che sente cose nuove.

Il pensiero fondamentale è questo: io ho usato il paragone dell’aiuola, del giardino dove c’è la grazia divina, la natura, c’è un dato di base uguale per tutti – anche la legge se vogliamo –,

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poi ogni fiore, ogni tipo di pianticella ha delle forze specifiche, individuali, che non sono in assoluto gestibili dal di fuori, né hanno bisogno di orientamento.

La rosa non ha bisogno di un orientamento perché impari a usare bene la sua libertà di rosa, quindi il concetto di libertà di cui stiamo parlando è che il Cristo – o Dio, o il Creatore dell’uomo, per capirci anche con la suora –, lo spirito umano, ogni spirito umano, porta in sé potenzialmente delle dimensioni, dei modi di architettare i pensieri, dei modi di caricare di amore i sentimenti che sono stati concepiti in lui con una caratteristica, con un carattere di assoluta unicità. Quindi ogni essere umano è potenzialmente per grazia divina, per il dinamismo evolutivo individualizzato che il Creatore ha posto in ogni essere umano, un mondo tutto unico da creare. E questo mondo tutto unico, da creare, non ha bisogno di accorgimenti, di puntellamenti perché altrimenti diventa pericoloso... No..., questo mondo tutto da creare è pura fecondazione, puro arricchimento dell’umanità!

E il male morale sta nel non vedere, nell’ignorare questa bellezza unica dell’individuo, o addirittura nell’impedire che questa esuberanza di amore renda l’umanità sempre più ricca, sempre più bella. Questo concetto dell’Io umano – il nome del Cristo nel Vangelo di Giovanni è Io sono un Io, quindi l’essere umano è assolutamente individualizzato –, questo concetto specifico di ogni individuo umano che è potenzialmente un mondo tutto da creare, nella teologia tradizionale, nel cattolicesimo tradizionale, nel cristianesimo tradizionale, questo concetto dell’Io umano proprio non esiste, non c’è mai stato! Esprimere questa potenzialità è lasciato alla libertà dell’individuo, ogni essere umano potenzialmente è un mondo, tutto un mondo compresso, però unico. E questo concetto dell’Io umano nella teologia tradizionale proprio non esiste.

L’emergere reale di questa aspirazione, l’insoddisfacimento

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reale quando questo manca, si sta palesando nei nostri tempi. L’umanità era fino a due, tre, quattro secoli fa, ancora bambina e il cristianesimo della fede è il cristianesimo che giustamente accompagnava l’umanità nel tempo, diciamo, del bambino. Il bambino ha bisogno di essere accompagnato perché non è ancora capace di far sorgere questa creazione tutta positiva. Quindi per libertà non si intende affatto l’arbitrio di fare quello che a uno gli pare e piace! È il diventare nella realtà del pensare, del sentire e dell’agire quotidiano, tutto ciò che la fantasia morale di Colui che mi ha creato, ha pensato come potenzialità del mio essere. È il tradurre in attualizzazione quella fantasia morale che ha creato il mio Io lasciandone l’attualizzazione alla mia libertà. Quindi ogni Io umano è un progetto dell’amore divino assolutamente unico, è un modo potenziale di amare l’umanità, che nessun altro può realizzare.

In tutta la teologia cattolica – io l’ho fatta alla Gregoriana, a Roma, nell’ateneo più in auge della Chiesa cattolica – neanche l’ombra di questo tipo di morale. C’è soltanto la morale dei comandamenti: libertà sì, però attenzione, attenzione, attenzione! E l’attenzione diventa molto più importante che non la libertà. E ho aggiunto, naturalmente, certo che un tipo di comunità umana dove abbiamo il coraggio di incoraggiare queste creazioni del tutto individuali diventa un tipo di comunanza molto più complessa, molto più difficile. Crea molti più problemi. Ben vengano, però! Perché non avere il coraggio per questa libertà significa gettare tutti gli esseri umani in una crescente insoddisfazione, votarli sempre di più alle depressioni e all’aggressività. Quindi c’è soltanto una scelta: o il coraggio di questo tipo di creatività dell’amore e della libertà, oppure una crescente epidemia dell’insoddisfacimento e della depressione col suo risvolto di aggressività fino al terrorismo.

Ci vediamo alle 20,30. Grazie!

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4. Francesco d’AssisiIl bene in ogni uomo

Gentili convenuti, cari amici, una buona serata a tutti. Questa sera, l’avete visto nel titolo, con la scusa di una figura come un Francesco d’Assisi vogliamo intrattenerci un pochino sulla bontà intrinseca della natura umana. E il mio compito è quello – caso mai vi mancasse – di farvi innamorare della cosa più bella, più meravigliosa che esista: la natura umana.

Vi assicuro che non c’è niente di più bello e di moralmente più buono che essere uomini. Anzi, c’è qualcosa di moralmente ancora più buono che essere uomini, ed è di diventare sempre più uomini.

Diventare sempre più uomini significa diventare sempre più creatori, sempre più fantasiosi, sempre più artisti, tirar fuori tutti i registri della fantasia morale che è per natura inesauribile. L’amore vero non è mai a corto di invenzioni, è pieno di inventività, oppure non è amore. Però il discorso sulla bontà intrinseca della natura di ogni uomo non è facile, in tempi in cui ci troviamo di fronte a quello che qualcuno di voi ha chiamato il male, il risvolto malvagio, maligno della natura umana. Tant’è vero che qualcuno diceva: Il male non è soltanto carenza di bene, ma è qualcosa di reale!

Se faccio il bilancio dei pensieri espressi finora – anche soltanto da questa analisi fenomenologica dell’insoddisfazione, che è la forma moderna di insofferenza del fatto che non ci soddisfa né ciò che la natura ci dà, né ciò che la collettività ci offre come legge comune valida per tutti –, risulta dall’autoesperienza che è nella natura dell’uomo di cercare qualcosa che va oltre i determinismi di natura, e cioè ciò che è libero; e di cercare ciò che va oltre la legge, l’osservanza della legge, ed è ciò che l’essere umano fa in chiave del tutto individuale. Allora diciamo

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che creare artisticamente, con spirito di libertà, è la natura umana. Quindi la natura umana più profonda è la libertà. Non è di nuovo un paradosso? Certo che è un paradosso.

La natura umana, la natura dell’uomo più profonda, l’essen-za dell’umano, è la libertà. Ma natura significa non-libertà, significa determinismo, significa necessità..., però nell’uomo, la natura dell’uomo è la libertà. In altre parole l’essere umano diventa umano, realizza l’umano, si umanizza nella misura in cui diventa sempre più libero, e si disumanizza nella misura in cui omette la libertà.

Cercherò di esprimere anche il pensiero che il male morale non è qualcosa: è sempre carenza di bene – e resto fermo su questo punto – e l’omissione del bene viene vissuta come insoddisfacimento. Questo essere insoddisfatti certo che è una realtà, però essere insoddisfatti è una realtà di riflesso, è un modo di vivere il vuoto, e il male morale resta un vuoto di bene che sarebbe stato possibile.

Ci sono due gradini del male morale: il primo gradino del male è l’omissione del bene. Ed è necessario che sia possibile omettere il bene, altrimenti il bene non si farebbe per libertà, ma si sarebbe costretti a farlo. Quindi deve essere sempre possibile la libertà di omettere il bene. Nella misura in cui l’essere umano omette il bene crea dei vuoti, si rende sempre più debole, diventa sempre più debole nel compiere il bene.

Non omettere il bene, compiere il bene, quindi esercitare ciò che è libertà, esercitare l’amore rende l’essere umano sempre più forte, moralmente sempre più buono, perché questi esercita i due beni morali assoluti che sono la libertà e l’amore. Nella misura in cui omette il bene diventa sempre più debole rispetto al bene, e si espone al secondo male che è quello della ma-nipolazione, si espone al potere… Quindi, diciamo, un essere

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umano che non esercita, che omette di esercitare la sua libertà, che omette di esercitare l’amore, crea dei buchi, crea dei vuoti dentro di sé e in questi vuoti può entrare il potere di forze este-riori che possono essere altri esseri umani che lo manipolano, si servono di lui per i propri scopi. Possono essere anche spiriti sovraumani, però nessun essere umano che non abbia prima omesso fino a un certo livello può essere manipolabile. In altre parole, la manipolabilità di un uomo viene decisa dalla misura del suo aver omesso il bene.

Una persona, un essere umano che si sforza il più possibile di non omettere il bene, quindi di fare tutto il bene possibile, di esercitare a piene mani la libertà, di esercitare a piene mani l’amore, non è manipolabile perché occupa lui stesso tutto il campo delle sue forze, e quindi non consente ad altri di entrare nei vuoti che egli crea. Nella misura in cui l’essere umano crea in sé dei vuoti di esercizio di libertà perché non la esercita più di tanto, dei vuoti di esercizio di amore perché non ama più di tanto, si rende manipolabile, si rende gestibile dal di fuori. Allora, il primo livello del male morale è l’omissione del bene e si ha diritto di parlare di omissione soltanto quando il bene specifico sarebbe stato possibile all’individuo specifico. Quindi l’omissione non è mai in generale. Per ogni individuo, omissione è soltanto ciò che lui, concretamente, individualmente, avrebbe potuto fare. Soltanto quei pensieri sono stati da me omessi, che io, così come sono, avrei potuto pensare e che non ho pensato, per inerzia, per pigrizia, perché ho reso altre cose più importanti che non l’evoluzione del mio pensiero.

Il concetto di omissione deve essere concreto, realistico. Abbiamo il diritto di parlare di omissione soltanto quando ciò che è stato omesso avrebbe realmente, realisticamente potuto essere compiuto da questo individuo. Se un individuo, qualcosa non può farlo, non è un’omissione il non farlo. Non può farlo,

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punto e basta. Quando poi uno chiedesse: Ma come faccio a sapere io, concretamente, tutto ciò che potrei…, come faccio a sapere se posso parlare di un’omissione reale, di qualcosa che avrei potuto e invece non ho fatto? La coscienza ce lo dice.

C’è una percezione interiore che ti dice che avresti potuto fare un pochino di più. Basta essere onesti con se stessi, basta essere sinceri con se stessi. Poi, il calcolo delle omissioni non è che debba essere esoso, che conti tutti i centesimi..., non si può entrare a questi livelli di cavillosità, se volete, ma nell’insieme una persona sa se si sforza veramente, se fa tutto quello che può per crescere nel bene, o se invece fa un bel po’ di meno di quello che potrebbe.

Diciamo che, come orientamento generale, non c’è mai stato nessun essere umano che abbia fatto più di quello che potesse. Quindi questo pericolo di fare più di quello che potremmo, non c’è! E poi c’è un altro orientamento: non c’è mai stato un essere umano che abbia fatto tutto quello che avrebbe potuto, altrimenti sarebbe già perfetto, sarebbe già oltre l’evoluzione. Possiamo tranquillamente partire dal presupposto che tutti gli esseri umani omettono. C’è soltanto la differenza, del più e del meno.

Sapendo che fa parte della natura umana non soltanto poter omettere, ma difatti omettere finché non siamo perfetti, parto sempre dal presupposto che posso esercitarmi sempre di più. L’importante è non sedersi, l’importante è non diventar comodi, l’importante è di non impigrire, e questa sera dobbiamo entrare nel merito concreto di chi si chiede non soltanto qual è il bene morale, ma si pone la domanda molto concreta: Come ha fatto un Francesco d’Assisi a generare in sé queste forze dell’amore meravigliose, bellissime? Ma da dove sono venute? Perché non basta predicare l’amore, bisogna avere le forze. E ci sono tante persone che vorrebbero, sarebbero ben contente, di poter avere

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più forze di amore, ma dicono: Non ce le ho..., come si pigliano? come si acquistano? E la domanda diventa molto concreta.

La domanda è: come si generano, concretamente, forze di amore per cui facendo questo tipo di esercizio ognuno di noi si ritrova di giorno in giorno con sempre più forze reali di amore, e sempre più forze reali di pensiero, per cui cammina in avanti non soltanto nel calore dell’amore ma anche nella libertà del pensiero che diventa più sovrano nell’abbracciare, nel contemplare il significato dell’evoluzione sia universalmente umana, sia individuale del singolo.

Allora ripeto: Non è nella natura umana di essere cattiva, non è nella natura umana di omettere realmente ciò che sarebbe il bene possibile, però è nella natura umana di poter omettere, altrimenti non sarebbe libera. Quindi il bene morale supremo è di compiere il bene liberamente, non perché si è costretti per natura. E nella misura in cui, ripeto, l’essere umano omette di compiere il bene, diventa più debole e diventa passibile di manipolazione – questa manipolazione chiamatela anche possedimento –, diventa un posseduto perché, per esempio, omettendo di farsi dei pensieri suoi, si fa possedere dai pensieri di un altro.

Una persona omette di farsi dei pensieri suoi sugli eventi del mondo: se una persona non si fa dei pensieri suoi, delle convinzioni proprie, non si dà da fare per pensare autonomamente su ciò che avviene nel mondo, legge un giornale e anziché avere la capacità di farsi un’idea, di avere un giudizio proprio su quello che scrive l’articolista, si espone a ricevere nei buchi del suo pensiero i pensieri dell’articolista e si lascia manipolare e diventa un posseduto – in senso tecnico della parola, a livelli piccoli se volete, però diventa posseduto – dai pensieri dell’altro perché non ne ha di propri.

Non omettere in campo di pensiero mentre leggo un articolo

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di giornale significa invece non soltanto seguire i suoi pensieri, ma contemporaneamente, esercitare i miei pensieri sui pensieri dell’altro, per cui dico: Questo pensiero qui va bene, quest’altro qui no, sgarra. Qui fa un salto di pensiero, non è coerente, non segue un filo di pensiero, ecc. ecc.

Allora c’è un modo di leggere un articolo di giornale in cui io non ometto di generare un filo di pensiero, una serie di pen-sieri che sono una creazione mia; e c’è un modo di leggere un articolo di giornale dove io ometto di esercitare, di creare una serie di pensieri miei su ciò che lui dice: recepisco passivamen-te, mi lascio manipolare, mi lascio possedere in questo vuoto di pensiero mio, entra il pensiero suo e sono come un bambino che viene condotto dall’autorità dell’altro. E omettendo di eser-citare il pensiero mio è chiaro che mi espongo sempre di più al secondo livello del male che è quello della manipolazione, che è quello dell’esercizio del potere.

Il primo livello omette ciò che è libero, e il secondo impedisce, lede, distrugge ciò che è libero. E il primo gradino è il presupposto che fa posto al secondo.

Se è vero che la natura umana è buona, allora, anche la cosid-detta caduta di questa natura umana, il peccato originale, la caduta, non è un male morale, non è un peccato morale. Quindi parlare di peccato originale è in fondo un errore di pensiero, perché questa caduta nell’elemento della materia, questo oscu-rarsi della realtà dello spirito è proprio il presupposto – l’ho già detto diverse volte – per rendersi individuali, per rendersi autonomi.

Entrando nell’elemento della materia e avendo perso di vista tutta la realtà dello spirituale che in tempi passati veniva comunicata per rivelazione, l’individuo ha la possibilità di rendere la natura umana ancora più buona perché si riconquista

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tutto il contenuto di verità, però a partire da quell’amore individuale per la verità che è fatto tutto di libertà. E questa verità conquistata liberamente, con eros conoscitivo dell’individuo, vale mille volte di più che non una verità rivelata, recepita per fede, passivamente, da un essere umano che era ancora bambino e incapace di riconquistarsi la verità a partire dalla sua libertà individuale. Se era buona la natura umana che accoglieva con fede la verità rivelata, ancora più buona, moralmente ancora più buona, è una natura umana che cerca individualmente e liberamente questa verità, che si riconquista proprio sentendo amore per questa verità.

Questa ricerca individuale, libera, piena di amore della verità, ha un peso morale, un valore morale molto più grande che non tutta la verità comunicata per rivelazione e accolta passivamente in chiave di fede, se volete con animo bambino, che non ha bisogno di sforzarsi più di tanto di capire le cose, di masticare coi denti del proprio pensiero le cose, i contenuti della verità.

La bontà morale della natura umana è un’inesauribile poten-zialità di libertà e di amore. Ogni essere umano è per natura un’inesauribile potenzialità, una capacità, però aperta. Attua-lizzare questa potenzialità è lasciato alla libertà, ma ogni essere umano – non importa in quale razza sia nato, non importa a quale religione appartenga –, in quanto essere umano è per na-tura questa cosa buonissima, ottima, meravigliosa: una poten-zialità infinita di libertà e di amore del tutto individualizzata. Un valore morale più buono di questo, più bello di questo, più umano di questo, non si può pensare, non esiste, non c’è. E que-sta potenzialità, l’attualizzare questa potenzialità, deve essere lasciata in mano alla libertà e quindi deve essere per natura omissibile; perché se non fosse omissibile non sarebbe libera e non essendo libera non varrebbe la metà o neanche un quarto di quello che vale se viene conquistata a partire dalla libertà.

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A questo punto diciamo: la natura umana in ogni uomo è as-solutamente buona, moralmente buona perché chiamata, resa capace di cammini infiniti di libertà e di amore, di conoscen-za… non ci sono limiti a ciò che il pensare umano può cono-scere e questa evoluzione del pensiero, questa evoluzione della coscienza è un bene morale sommo, perché libera l’uomo. Ciò che l’uomo afferra col suo pensiero lo libera, perché può gestire le cose a partire dalle sue proprie forze senza essere dipendente dall’esperto.

Se è vero, ripeto, che la natura umana è infinitamente buona in ogni essere umano, allora, perché ci sono queste differen-ze così enormi tra un Francesco d’Assisi e un delinquente, un farabutto che ne combina di tutti i colori? Non è astratto il di-scorso che dice: La natura umana è ugualmente buona sia in un Francesco d’Assisi perché è un uomo, sia in un delinquente perché anch’egli è uomo? Quando invece la differenza abissale si presenta in un modo così forte? Come spieghiamo queste dif-ferenze? In che modo sono sorte queste forze morali del bene?

Francesco d’Assisi era intriso, proprio pieno, di forze di amo-re, ma ne aveva a iosa! Quando uno legge ciò che ha fatto, è una cosa che quasi quasi si fa fatica a crederci. Come ha potuto ve-dere in questi lebbrosi la purezza della natura umana.., ha visto quello che lui chiamava il Cristo, puramente espresso, dentro anche ai lebbrosi che gli presentavano un corpo così sformato. Certi lebbrosi che avevano i presupposti per portare incontro a Francesco d’Assisi questo riscontro delle forze d’amore che egli comunicava – proprio in base al suo amore che era capace di lenire e pulire queste ferite che addirittura baciava, sempre di nuovo –, guarivano fisicamente. Non tutti, ma quelli che gli portavano incontro le forze di amore, le forze di speranza ne-cessarie... guarivano. Di fronte a un fenomeno del genere, per

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il quale in fondo tutti noi, giustamente, sanamente, abbiamo una santa invidia, la domanda della morale, la domanda del bene e del male è: da dove vengono queste forze a un Francesco d’Assisi?

Nel testo “Verso un’etica della libertà” di Rudol Steiner – il testo di questo convegno, cui mi ero riproposto di riferirmi – ci sono tre conferenze sui fondamenti della morale. Nelle prime due conferenze ci sono le cose più belle, più sublimi che Steiner abbia mai detto su un Francesco d’Assisi.

Per esempio, una cosa interessantissima, una cosa bellissima è che Rudolf Steiner in base alla sua osservazione dei fenomeni spirituali conferma ciò che le biografie di Francesco ci dico-no: che alla nascita di Francesco, una Elisabetta di Turingia14 per esempio, o altre persone, hanno avuto visioni, hanno avuto sogni, hanno sentito campane, voci dal mondo spirituale che dicevano: In questi giorni sta nascendo ad Assisi un uomo del tutto eccezionale! E Steiner dice: È vero, sono cose reali. La mamma di Francesco, Pica, ha avuto questa visione che le dice: Adesso tuo marito Bernardone è in Francia, il tuo bambino si chiamerà Giovanni, fallo nascere nella stalla perché deve na-scere come è nato il suo grande maestro. Egli vuole imitare più che può il suo grande maestro che è il Cristo, vissuto milledue-cento anni prima. Soltanto dopo che il padre tornò dalla Fran-cia, dove aveva fatto buoni affari come commerciante di stoffe, questo figlio venne chiamato il francese. Francesco significa francese. La mamma gli aveva già dato il nome di Giovanni... ma siccome tra marito e moglie la deve vincere sempre il mari-to, allora gli fu cambiato il nome e venne chiamato Francesco. Poi tutte le trafile col padre e le visioni che Francesco ha avuto

14 Elisabetta d’Ungheria o di Turingia (1207-1231)

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da giovane, le conoscete. All’inizio era cavalleresco, ma poi le visioni, le parole che udiva, le comunicazioni a livello ispirativo gli dicevano: No, la tua vita non è quella di essere guerresco a livello delle armi esteriori, ma di essere guerresco con le forze del cuore, con le forze dell’amore.

E proprio in queste conferenze Steiner ci racconta una cosa interessantissima: i presupposti ultimi per far saltar fuori da questo Francesco d’Assisi questa cosa meravigliosa che è la sua vita, il presupposto è una vita precedente dove, sul mare della Colchide, lui, questo futuro Francesco d’Assisi, era in una scuola iniziatica in cui c’era una sintesi tra buddismo e cristianesimo. C’erano due gradini d’iniziazione. Il primo gradino era fondamentalmente condotto spiritualmente dal Budda e si incentrava maggiormente sulla conoscenza. Il secondo gradino di questa iniziazione a cui accedevano non tutti, ma pochi, vi aggiungeva l’elemento cristico, l’elemento successo cinquecento anni dopo il Budda.

Il Budda aveva portato la consapevolezza della necessità dell’amore e della compassione. L’essenza del fenomeno Budda è che il Budda ha portato nell’umanità la consapevolezza dello spessore morale, della compassione e dell’amore però, morto il Budda, restava nell’umanità la domanda: Si, capiamo ciò che il Budda ha detto, che non si può andare avanti nell’umanità senza generare in sé stessi sempre più forze di amore e di compassione. Però gli esseri umani si dicevano: il Budda ci ha portato la dottrina, la teoria, la consapevolezza, i pensieri riguardo all’amore e alla compassione, ma un conto è sapere che è importante aver l’amore, e un altro conto è trovare le forze dell’amore.

Se il Budda avesse portato nell’umanità non soltanto la con-sapevolezza, la dottrina – importantissima, perché il pensiero deve sempre anticipare, la coscienza deve sempre precedere la

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dimensione del cuore, perché senza il pensiero non si muove il cuore e non si muovono le braccia –, se il Budda avesse portato nell’umanità non soltanto la teoria, la saggezza, i pensieri che riguardano l’amore, ma se avesse immesso nell’umanità anche le forze reali dell’amore, se le avesse messe a disposizione, non ci sarebbe stato bisogno cinquecento anni dopo che l’Essere del Sole, l’Essere intriso di forze di amore, venisse sulla Ter-ra. Quindi, il nuovo, il complemento vicendevole che c’è tra il Budda e il Cristo – lo Spirito del Sole –, è che il Budda ha portato, ha reso consapevole il pensare umano della necessi-tà delle forze, che è necessario che ci siano le forze dell’amo-re e della compassione. E cinquecento anni dopo, l’Essere del Sole, lo Spirito del Sole ha effettivamente portato, ha immesso nell’umanità le forze reali, non soltanto la teoria dell’amore e della compassione.

L’iniziazione nella Colchide è avvenuta naturalmente dopo il fenomeno del Cristo, cinquecento, mille anni dopo, quindi nell’umanità c’era già stato il Budda e c’era già stato il Cristo. Ora questo Francesco d’Assisi, in questo tipo di iniziazione a due gradini, ha avuto la possibilità di confrontarsi con la con-sapevolezza, con i pensieri, con la presa di coscienza della ne-cessità assoluta del bene morale, dell’amore, della compassione, e che l’umanità non può andare avanti senza generare in sé a partire dalla libertà sempre più forze di amore. E contempora-neamente, i pensieri di Francesco d’Assisi si univano sempre di più agli eventi di Palestina avvenuti cinquecento, mille anni prima.

Ora, detto in parole un po’ balbettanti, se volete, il nocciolo della questione è questo: la contemplazione, la meditazione di ciò che questo Spirito ha detto duemila anni fa e più ancora di ciò che questo Spirito ha compiuto duemila anni fa, il modo in cui ha curato gli ammalati dicendo: Non io ti ho curato, la tua

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fede ti ha salvato – cioè, ciò che ti rende sano sono le forze di fi-ducia nell’umano, nella natura umana, che tu generi dentro di te –, il meditare su ciò che questo archetipo divino dell’umano ha detto e ha compiuto, soprattutto la sua passione e il suo modo di morire, queste cose non ce le può dire con questa chiarezza scientifico-spirituale la Chiesa cattolica, perché la Chiesa era chiamata ad accompagnare l’umanità in tempi di fede.

E l’affermazione della scienza dello spirito sull’evento Cristo, quindi sulle parole e gli atti di questo Spirito – che io adesso non voglio chiamare il Cristo perché questa parola è fuorviante, parliamo dello Spirito Cosmico che si è incarnato ed è vissuto un po’ più di tre anni sulla Terra abitando in un corpo fisico –, un essere umano che vi medita, e vi rimedita, e vi rimedita su questi fenomeni, su queste parole, le capisce sempre meglio e sente sempre di più una connaturalità. Non soltanto crea in sé la comprensione pensante della necessità dell’amore, ma il meditare su questi fatti, su questa passione, su questa morte, su questa resurrezione, genera forze reali di amore. Il generare forze reali di amore è il fattore morale del bene morale, in assoluto. Non c’è nulla, ma proprio nulla, pensateci, che possa essere moralmente più buono, più vivificante, più edificante dell’umano, che non le forze reali dell’amore.

Schopenhauer15 diceva: Predicare la morale è facile, fondarla è difficile! Predicare la necessità come teoria, come bella teoria, che è necessario l’amore, è facile. Molto più difficile è generare forze reali di amore. Forze reali di amore significa che la contemplazione del fenomeno puro dell’amore, quindi il concetto di ciò che è avvenuto duemila anni fa, è che duemila anni fa si è espresso il fenomeno puro dell’amore, tutte le

15 Arthur Schopenhauer, 1788 – 1860

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forze dell’amore. Tutto ciò che l’amore può compiere come rafforzamento della libertà, senza lederla, è stato compiuto, archetipicamente, duemila anni fa.

La meditazione continua che ama questi eventi, questi archetipi dell’umano, genera negli arti, nel cuore, in tutto il corpo, forze reali che muovono gli arti nella direzione di mettersi al servizio nell’umanità per dare a ogni essere umano sempre più possibilità, sempre più strumenti per camminare sulle vie della libertà e dell’amore.

Quindi la domanda più importante della morale è: Come si fa a generare nell’umano, come faccio a generare in me forze reali, operanti, di amore?

A questo punto supponiamo di riuscire a spiegare, in qualche modo, come è saltato fuori un fenomeno di eccezione assoluta come un Francesco d’Assisi. Ci resta, ancora di più, l’altra domanda: E perché un poveraccio qualsiasi, perché un delinquente qualsiasi, di tutte queste forze reali che un Francesco d’Assisi aveva, non ha quasi nulla? Riferito a noi: Perché lui così tanto, perché lui ha ricevuto tante forze di amore, e io così poche? Sono meno umano io? Non ho anch’io la natura umana, né più né meno che lui? L’amore divino fa delle preferenze?

Dire che le differenze che ci sono nel livello evolutivo dei cammini dell’amore sono dovute al fatto che un Francesco d’Assisi ha omesso molto di meno ciò che è possibile alla libertà e all’amore, e il delinquente ha omesso molto di più, non basta da solo a spiegare una differenza così abissale!

Dietro alle spalle di ogni restare indietro c’è un mistero di sacrificio, c’è un mistero di offerta dove l’Io superiore ancora prima di nascere, posto di fronte a certe possibilità evolutive che non si possono dare in modo uguale a tutti gli esseri umani, ha fatto una scelta. Se ci deve essere evoluzione nel tempo è chiaro che ci deve essere una differenziazione; ci devono essere alcuni

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che vanno più avanti, che precorrono i tempi per prepararli, per renderli possibili, e il grosso dell’umanità segue. Allora la domanda è: Perché io appartengo alla massa, e non sono uno di quelli che sono andati più avanti?

Non è un’ingiustizia, l’amore non compie ingiustizie. Supponiamo – lo metto in un’immagine – che ci siano duemi-

la, cinquemila spiriti umani che stanno per nascere. Alla soglia della nascita ci sono tanti spiriti umani che dicono: Noi siamo tutti lì e vogliamo nascere in quell’anno, l’anno 2007. Vogliamo tutti nascere nell’anno 2007. E adesso, ancora prima di nascere, tutti quanti, uno, due, tre, diecimila, centomila devono già sce-gliere, ancora prima di nascere, chi sarà il loro maestro.

Il maestro che un bambino si piglia – come maestro – non è a caso. È stato scelto ancora prima di nascere. Allora questi diecimila nascituri guardano sulla Terra dove si vogliono incarnare e dicono: Chi sarà il mio maestro tra coloro che sono incarnati sulla Terra? E guardando sulla Terra dicono: Sulla Terra ci sono maestri migliori e maestri più o meno in gamba, però in assoluto ci sarà, ci deve essere, sulla Terra, il pedagogo più geniale di tutti! Ed essi, con questo sguardo sovrano che è di una coscienza non ancora oscurata dall’inserirsi dentro alla materia, sanno quale maestro su tutta la Terra è il più geniale di tutti. Non importa se in Inghilterra, in America, in Germania o in Italia, ma c’è un maestro o una maestra che è la più geniale di tutti, dunque si dicono: Noi siamo centomila, non possiamo dare a tutti centomila la maestra migliore di tutti, nessuna maestra può far scuola a centomila scolari! Chi se la piglia la maestra migliore?

Supponiamo che poi di questi centomila, venti facciamo una scolaresca, diventino scolari della maestra migliore che ci sia. Come avviene questa decisione? Chi saranno questi venti?

Chi ama di più lascia il meglio all’altro, altrimenti non

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amerebbe di più! Quindi, coloro che rinunciano, coloro che non hanno questa maestra, non è perché siano meno evoluti o non siano capaci, ma dietro a questi 99.980 c’è il sacrificio di dare a questi 20 la maestra migliore. E non è soltanto perché questi venti ne hanno più bisogno, perché sono più malmessi. C’è anche il mistero – e questo complessifica le cose dell’evoluzione – che gli altri hanno forze di amore maggiori, e quindi sono in grado di dare il meglio a questi venti.

Adesso supponiamo che questi centomila dicano: Sulla Terra c’è bisogno di un Francesco d’Assisi. Però se sulla Terra sorgono centomila Francesco d’Assisi, allora non ce n’è nessuno, perché il fenomeno Francesco d’Assisi è interessante perché è uno solo. Non possono essere centomila, perché l’essenza di questo fenomeno è proprio l’eccezionalità assoluta. Allora si tratta di dirsi: per essere un Francesco d’Assisi bisogna dare la possibilità a uno, bisogna dargli la possibilità di andare molto avanti non soltanto pianificando una vita, ma diverse vite. Chi ha dato a questo uno la possibilità di andare così avanti? Tutti coloro che vi hanno rinunciato.

Potenzialmente ogni uomo è un Francesco d’Assisi. Potenzialmente, altrimenti il Creatore farebbe ingiustizia nei confronti dell’uomo. Però il fatto che questo e non altri sia diventato Francesco d’Assisi, non è dovuto soltanto alla sua libertà che ha omesso di meno, ma è dovuto anche all’amore che è stato immesso in tutto l’organismo umano. Per cui in tutto l’organismo umano, in tutte le nature umane, c’è anche l’amore che dà il meglio all’altro.

Noi eravamo dieci figli, non c’era quasi nulla, però a settembre, ottobre arrivava un poco d’uva. Quando la mia mamma dava il grappolo migliore – non lo teneva mai per sé – al figlio un pochino più malato dei dieci, è perché se lo meritava? No. È

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perché è nella natura dell’amore di dare il meglio all’altro, e dando il meglio all’altro cresce ancora di più nell’amore. Quindi, il paradosso dell’amore è che più si dà, e più si riceve! Però, l’amore come primo gesto dà, dà, dà. Quindi dietro a questo Francesco d’Assisi che ha ricevuto tanto, tantissime forze di amore, ci sono infiniti esseri umani che hanno dato, dato, dato... Dai vai tu, vai tu, vai tu! - Ma come? Potresti anche tu! - No, vai tu, vai tu! E allora cos’è l’amore di Francesco d’Assisi? È un amore di ritorno, è un amore che ripaga, è un amore che ringrazia! È come l’amore del Cristo che lava i piedi ai discepoli e dice: Il fatto che io possa essere il Redentore lo devo a voi che avete scelto per voi stessi di restare indietro, essere una umanità decaduta nel peccato, e questo mi consente di essere il Redentore!

Senza esseri umani bisognosi di redenzione non ci sarebbe il Redentore e quindi la lavanda dei piedi si compie nel gesto della gratitudine. La lavanda delle piaghe dei lebbrosi, Francesco la compie nella gratitudine. A chi deve lui, il fatto di essere andato così avanti nelle forze dell’amore? All’organismo dell’umanità a cui appartiene! Cioè, ritorniamo al pensiero che nessuno di noi può diventare qualcosa senza il concorrere di tutto l’organismo dell’umanità, perché nessuno di noi ne è fuori, ognuno vi appartiene.

Tutto ciò che io sono, tutto ciò che io sono diventato lo devo a tutti gli esseri umani e va restituito. E l’amore restituisce. L’amore conosce soltanto restituzione perché sa di aver rice-vuto tutto. Nell’amore non ci sono conquiste nell’isolamento, nell’amore ci sono soltanto scambi di doni e ciò che Francesco d’Assisi ha prima ricevuto, dopo lo ridona, lo ridà. E si piega, si china, su questi lebbrosi e dice: Ma avresti potuto diventare anche tu un Francesco d’Assisi! È potenzialmente nella natura di ogni uomo diventare un Francesco d’Assisi, e perché non lo

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sei diventato? Perché volevo dare ‘il grappolo d’uva’ più bello a te! Ah, allora te lo riporto, è tuo, viene da te!

Da dove le ha prese queste forze d’amore Francesco d’Assisi? Dall’umanità, dall’organismo spirituale dell’umanità. Quindi, restituisce con gratitudine queste forze a coloro da cui le ha ricevute. Ripongo la domanda: come si ricevono forze di amore? Dando amore!

Ognuno diventa più forte nell’amore, amando! E se poi noi chiediamo: Ma come si ama? Guardati intorno, vedi un pochino ciò di cui gli esseri umani hanno bisogno, rimboccati le maniche, ce n’è da fare, dappertutto! Sorge la voglia della dedizione, di fare, di rimboccarsi le maniche, dove c’è bisogno di qualcosa.

Una volta a Monaco, in un crocicchio di strada dove c’era un sacco di traffico, mi trovavo in compagnia di un mio allievo, molto più giovane di me. Così giravamo un pochino per Monaco. Arriva uno e ci dice: Mi volete aiutare, sto facendo un trasloco, ho un sacco di cose da portare giù dal quinto piano. Se mi aiutate un’oretta, vi dò cinque marchi. Io ho detto: Va bene, aiutiamo. E questo amico mi diceva: Ma sei matto! Ci facciamo una sudata... Ma se quello ha bisogno di aiuto, aiutiamolo no? Così siamo andati. Una sbuffata che non finiva più, altro che dieci marchi valeva! se uno si fosse fatto pagare… E siamo entrati nel discorso con questo qui. È stato un esercizio di umanità..., perché, se questo ha bisogno di aiuto, dagli una mano! A meno che proprio non possa ..., ma se non puoi, il karma non te lo pone lì davanti. E a che serve?

Quando noi poniamo la domanda a che serve, siamo fuori dall’amore. L’amore non serve a qualcosa, l’amore serve l’altro! E cresce, e cresce, e cresce le forze dell’amore! Io ero tutto con-tento, tutto sudato, molto più anziano del mio amico. E lui mi diceva: Ma tu sei matto! Al che gli ho risposto: Io sono sempre

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stato matto! Però sono contento di esserlo. E alla fine il tizio era felice perché lo avevamo aiutato. Se ne avessimo fatto una questione di soldi, ci saremmo persi una buona l’occasione per fare qualcosa per qualcuno.

A che serve far qualcosa per qualcuno? È la cosa più bella che ci sia, proprio perché non si deve farlo. Non c’è nessun comandamento che ti dice devi! Lì avrei potuto dire: No, non ho tempo, non ho voglia, chiedi a un altro! Voglio dire, era un piccolo esempio, ma nella vita ognuno di noi ce li ha questi esempi.

È intrinseco nell’amore di essere gratuito, senza calcoli, e questa capacità non di calcolare ma di aiutare, ce l’ha ognuno di noi. È nella natura umana, vi diamo troppo poco spazio, siamo pieni di cose da fare che non ci permettiamo nulla di estroso.

Se è vero – e in queste conferenze “ Verso un’etica della li-bertà”, Steiner nella seconda e terza conferenza lo spiega in un modo molto bello – che la natura umana è massimamente de-gna di fiducia, di fede, massimamente degna di amore, genera in noi massima speranza.

Le tre forze che sostenevano Francesco d’Assisi erano la sua fede assoluta nella natura umana; il suo amore profondissimo per la natura umana perché in questa natura vedeva il Cristo, ciò che lui chiamava il Cristo. E se aveva una grandissima spe-ranza nella natura umana, così che vedeva anche nel lebbroso un essere umano in tutto e per tutto illeso… soltanto la crosta..., il male non tocca la natura umana. Il male è come un mucchio di sporco che si pone su una lastra di vetro – lo sporco che si pone su una lastra di vetro per cui questa non è più trasparente ma diventa opaca –, non intacca per nulla la natura di questa lastra, basta togliere lo sporco e la lastra è illesa. Così è la na-tura umana.

La natura umana è, per natura, buona, e ciò che noi chiamiamo

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il male è come uno sporco che si pone sopra, la rende opaca, la rende buia, ma non cambia la natura umana. Basterebbe togliere questa crosta, e salterebbe fuori che la natura umana è illesa, cristallina, pura in ogni uomo. Allora il fenomeno Francesco d’Assisi si spiega per la sua fede assoluta nella natura umana di ogni uomo, per il suo amore assoluto nella natura umana, per la sua speranza assoluta nella natura umana. Però l’umanità si trova ora in questo rumoreggiare dell’emergere dell’individuo singolo che cerca la sua libertà, la sua creatività artistica, che vuol compiere le cose non per dovere ma per amore, per un volere sincero.

In questo nuovo modo di essere della coscienza umana non è più possibile amare la natura umana così come ha fatto Francesco d’Assisi. Non è più possibile questa fede ancora un po’ bambina nella natura umana, questo amore spontaneo dato dalla natura per la natura umana, questa speranza concessa, data dal Cristo. L’uomo d’oggi ha bisogno di conquistarsi in chiave di pensiero i motivi convincenti per cui Io, a ragion veduta, ho la possibilità di avere una fede incrollabile nella natura umana, un amore inesauribile nella natura umana e una speranza fondata. Non soltanto bambina, fondata.

Cos’è – chiedo a voi – che rende adulta questa fede nella natura umana? Che la rende non più bambina, ma adulta. Cos’è che rende adulto, cosciente, sobriamente cosciente, l’amore alla na-tura umana? E cos’è che rende adulta la speranza nella natura umana? È la conoscenza oggettiva, il convincimento oggetti-vo che ogni essere umano ha a disposizione tutta l’evoluzione, dall’inizio fino alla fine. E che a questo momento, nel 2007, noi siamo nel centro dell’evoluzione, a soltanto due piccoli passi – due millenni sono due piccoli passi dopo il centro. Se è vero, come è vero al mio pensiero, che è nella natura dell’uomo, di

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ogni uomo, di partecipare a tutta l’evoluzione, allora la diffe-renza tra un Francesco d’Assisi e il delinquente è per natura pareggiabile. La dovizia divina concede sia a un Francesco d’Assisi sia a un delinquente, d’ora in poi tutta la seconda metà dell’evoluzione.

Rispetto al centro dell’evoluzione, siamo a due piccoli passi dopo. Se il Francesco d’Assisi e il delinquente hanno tutta la seconda metà dell’evoluzione, allora c’è la possibilità reale che un Francesco d’Assisi di vita in vita ridoni al delinquente tutto ciò che da lui ha ricevuto. La mente, il pensare umano cerca la possibilità reale, realistica, della giustizia, dell’amore divino.

La giustizia assoluta dell’amore divino che rende tutti gli uomini, nella loro natura di uomini, tutti uguali, e che dà a ognuno uguali possibilità di conquiste, di divenire, può risultare soltanto dal fatto oggettivo che ogni spirito umano ha a disposizione tutta l’evoluzione.

Immaginiamo cosa significa, come diventa il convivere umano se noi avessimo veramente la forza reale del pensiero – sottolineo del pensiero, non soltanto del cuore –, di vedere e di sentire, di vivere realmente in ogni persona che incontro un potenziale Francesco d’Assisi. Lo puoi diventare realmente, tu, tu, tu, e tu e tutti noi, e questa possibilità deve essere realistica non soltanto teorica, perché se fosse soltanto teorica allora il Padreterno vorrebbe ingannarci, vorrebbe abbindolarci.

Vi ho chiesto soltanto, proviamo a immaginare come sarebbe il vivere insieme da uomini, se noi non soltanto teoricamente, ma nelle forze del cuore vivessimo nell’altro che ci viene incontro, e lui in me, realmente un potenziale Francesco d’Assisi... che ognuno di noi ha la capacità reale di diventare un Francesco d’Assisi.

E la mente ci dice, un pensare sano, un pensare verace ci dice: Si, è così. Se tu e io non omettessimo nulla, o il meno possibile,

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di ciò che possiamo divenire, tu e io siamo un Francesco d’Assisi in erba.

Solo così si può capire il modo in cui Francesco d’Assisi ha amato i lebbrosi, i poveri, i piccoli. Perché ha visto la potenzialità reale di ogni essere umano di diventare come il Cristo, non soltanto come Francesco d’Assisi ma come il Cristo, perché il Cristo non è soltanto l’archetipo del divino, ma è l’archetipo dell’umano. E se il Cristo non desse a ogni essere umano, nella sua natura, la possibilità reale di cristificarsi, barerebbe con noi, non sarebbe onesto.

Onesto è il Cristo con noi soltanto se dà a ogni essere umano – a qualsiasi livello si trovi, ora, a due passi dopo la metà dell’evoluzione –, la possibilità reale di cristificarsi, di intridersi di forze di amore all’infinito, in assoluto. Questo intendevo, col sottotitolo della conferenza di questa sera, che dice: Il bene in ogni uomo. La capacità reale di costruire tutto il bene che l’amore sa creare, e tutta la libertà che il pensare sa aprire al divenire umano.

Ci sono due esercizi quotidiani per rendere questo pensiero più concreto, due esercizi che fanno aumentare realmente le forze della libertà e dell’amore. Due regole di vita semplici, basta starci, basta non mollare, basta esercitarle ogni giorno.

Una regola d’oro è di compiere il più azioni possibili godendole con gioia, con amore.

Steiner la chiama amore all’azione, amore a ciò che sto facendo. Qualsiasi azione, fare qualcosa con amore, fare qualcosa con gioia non significa fare qualcosa d’importante, non significa certo fare un’azione di spicco, no! Significa: tutto quello che faccio – anche due passi che sto facendo, in ciò che faccio qui e ora…–, è una realizzazione del mio essere. Ciò che l’essere umano fa con gioia realizza il suo essere, e ciò che fa

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con gioia è buono per l’altro perché aumenta le forze dell’amore dell’altro.

In altre parole, una persona può godere di fare soltanto ciò che sa far bene; ma lo fa bene, lo fa sempre meglio nella misura in cui lo gode. Quindi sono due cose che si aumentano a vicenda. Godere, fare tutto ciò che faccio, anche le minime azioni, con gioia. E più ci metto gioia e più le so far meglio, e più le so far meglio e più i miei talenti, le mie capacità, diventano sempre più grandi. Perché il talento è la capacità di far bene qualcosa, e nella misura in cui ciò che io faccio è fatto bene, è fatto bene per gli altri!

Ciò che l’essere umano fa con gioia, lo fa sempre meglio. Facendolo bene, facendolo meglio, è un talento che feconda, che va a vantaggio degli altri.

Ciò che è fatto con gioia viene fatto bene, e essendo fatto bene appaga i bisogni dell’altro. Fare una cosa bene, significa andare incontro ai bisogni altrui, quindi la chiave, l’esercizio semplice, fondamentale, di crescere nell’amore è di fare sempre più cose, anche le minime, con gioia, come realizzazione del mio essere. E facendole con gioia, le faccio sempre meglio. E facendole sempre meglio, sono sempre meglio anche per l’altro, perché corrispondono sempre meglio ai suoi bisogni. Quindi, c’è un riorganizzare, un diventare sempre di più un organismo a livello dell’anima e dello spirito per gli spiriti umani.

La seconda regola: la prima riguarda se stessi, la seconda riguarda l’altro. Nella misura in cui ognuno di noi fa l’espe-rienza di potere immettere sempre più gioia nelle minime cose che compie, consegna sempre maggior fiducia all’altro. Questa esperienza di potere – che proprio è nelle sue mani, è raggiun-gibile subito – immettere sempre più gioia nelle minime cose che fa – perché la grandezza nell’uomo non è nella grandezza di ciò che fa ma nella grandezza dell’animo che le fa, nella ca-

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rica di amore che ci mette –, nella misura in cui ci esercitiamo a fare ciò che compiamo con gioia, con amore, diamo sempre di più fiducia all’altro, perché ci diciamo: Se tu sei uomo come me, porti dentro di te una sorgiva per cui anche tu senti gioia nella misura in cui metti amore nelle cose che fai, anche nelle più piccole, e troverai sempre più gioia perché anche tu fecon-derai, andrai incontro sempre meglio ai bisogni degli altri e li appagherai.

La legge dell’organismo è che tutti i talenti di tutte le membra corrispondono perfettamente a tutti i bisogni di tutte le mem-bra. C’è una corrispondenza perfetta tra le funzioni di tutti gli organi e i bisogni di tutti gli organi, questa è la salute dell’or-ganismo.

Questo amore che ognuno di noi esercita nella più piccola azione facendola con amore, con gioia, crea la fede, la fiducia nella natura umana che ogni uomo porta in sé. E in base a questo agire con amore, a questo aver fiducia e fede nell’altro, sorge una speranza purissima, infinita: che le sorti dell’umanità sono nelle mani dell’amore, della libertà e della fiducia che ci diamo a vicenda. E la fiducia è fondata, perché vediamo nell’altro la stessa sorgente di amore e di libertà che ognuno di noi vive dentro di sé. Ma ripeto: il presupposto di coscienza che un Francesco d’Assisi non poteva avere settecento anni fa – per il quale la fede nella natura umana, l’amore alla natura umana, la speranza nella natura umana era ancora bambina, era ancora a livello spontaneo del cuore –, oggi c’è e la fede nella natura umana, l’amore alla natura umana e la speranza nella natura umana, possono essere riconquistate soltanto in chiave di conoscenza, conoscenza oggettiva della natura umana. E il fattore di conoscenza fondamentale è il riconquistare la verità – perché una verità è una realtà vera – che ogni essere umano ha a disposizione il tutto dell’evoluzione.

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Supponiamo, per paradosso, che una persona mi venga incontro con la pistola puntata. Non dico che sia facile in quel momento pensare questi pensieri – e questo è il motivo per cui vanno pensati prima, perché se non sono mai stati pensati prima, in quel momento, di sicuro non si pensano –, ma supponiamo che una persona li abbia pensati, sempre di nuovo, e che poi magari riesca a farli. Allora, se questo pensiero che vi sto per dire, l’ha pensato sempre di nuovo, può arrivare alla capacità di vivere questo momento: Tu mi vieni incontro con la pistola puntata... Ma quante forze di amore ti ho rubato, ho preso io per me, d’avertene lasciate così poche? Quante forze di amore ho preso per me e quindi non le hai avute tu... per cui ne hai così poche adesso, ... allora io te le voglio ridare!

Voi mi direte: Si, però questi bei pensieri non fermeranno quella mano col dito puntato sul grilletto! No, no, andateci piano, non lo dite troppo alla svelta! Pensiamo a un Gandhi che vedeva le cose molto diversamente.

Gandhi era in assoluto contro ogni violenza…, e se quello mi viene incontro con la pistola, più violenza di così non si può! L’ho raccontato diverse volte questo fatto. Un giorno venne messo alla prova Gandhi e qualcuno pensava di metterlo nel sacco dicendogli: Signor Gandhi, lei sta seduto su una panca, ha una pistola accanto a sé, magari non è la sua ma ce l’ha lì accanto. Vede a cinquanta metri di distanza un bambino che dorme nell’erba. Un cobra si sta avvicinando al bambino, e lei lo sa da buon indiano che il cobra normalmente se lo mangia il bambino. Spara o non spara al cobra? - Se io fossi più perfetto nell’amore – disse Gandhi – non avrei bisogno di sparare. Potrei emettere tali forze di amore che il cobra si ferma. E se io sono costretto a sparare, non è perché lo sparare sia una cosa buona, è soltanto perché io sono così imperfetto nell’amore! E ci vogliono un pochino più forze d’amore per fermare un cobra,

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che non per fermare la mano di un uomo che capisce molto di più che non un cobra, dei misteri dell’amore.

E io sono convinto: se un essere umano – il Cristo per esempio – avesse questi pensieri con una forza così reale, se fosse proprio convinto che chi ha in mano quella pistola aspetta il pareggio karmico delle forze d’amore che non ha potuto avere perché gli sono state sottratte …, io sono convinto che se un essere umano pensasse questi pensieri – ma essendone convinto fino in fondo –, quella mano si fermerebbe. E la domanda del bene e del male, la domanda della morale è: Cosa possiamo fare per tirar fuori queste forze, così belle, che sono dormienti, che sono assopite, che sono potenziali, nella natura di ogni uomo?

Nessun uomo è cattivo, nessun uomo è violento, nessun uomo è depressivo. Tutta incrostatura, tutta zavorra esterna, esteriore alla natura umana, che è tutta passibile di essere rimossa. E la natura umana si presenta nella sua purezza, creata per diventare sempre più amante, più forte di forze dell’amore e sempre più luminosa nel pensiero che dona, che dà sempre più liberamente, sapendo che ogni dono che si dà è un restituire perché ognuno di noi può dare soltanto ciò che ha ricevuto.

Francesco d’Assisi è stato così grande nell’amore perché a modo suo, forse senza poter articolare a livello di pensiero come cominciamo a fare un pochino noi, ma nel suo cuore sapeva: Io posso dare soltanto l’amore che ho ricevuto. E da chi l’ho ricevuto se non dagli uomini! E quanto voglio ridare di ciò che ho ricevuto? Tutto, tutto, tutto! Perché tutto ho ricevuto! La legge dell’amore è che ognuno di noi deve tutto. Tutti devono tutto a tutti! E amare significa sempre ridare ciò che si è ricevuto, con gioia, con gratitudine.

Facciamo una pausa e poi avrete voi la parola.

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Dibattito

Intervento. Volevo fare qualcosa per quei 99.980, in virtù del fatto che non è il corpo, non è la materia che crea lo spirito, ma è lo spirito che dà vita alla materia. Steiner ci ha raccontato la sua costruzione del corpo. La sua connessione fra spirito e corpo è un qualcosa di fantastico, è una delle più belle cose che io abbia letto. Tutto questo però si realizza all’interno di quei due elementi relativi che sono spazio e tempo. Il tempo è quello che permette l’apprendimento..., quanto tempo abbiamo? Quante vite abbiamo? Poiché lei parlava di incarnazione, io ho il sospetto, ma non oso parlare di reincarnazione perché la mia cultura cristiana non me lo permette, ma vorrei, perché è un sogno, sarebbe bello se fosse vero, perché questo mi proietterebbe nell’eternità, mentre invece così rimango al buio. Non so dove sono, non so dove andrò. Quello che ho fatto sarà abbastanza o sarà quasi nulla di quello che potevo fare? Perché mi devo sentire in questo modo e non ho modo di riconoscermi, di trovarmi? Mi aiuti, grazie.

Archiati. Il pensatoio che ognuno di noi si porta sulle due spalle che ha, non ha bisogno di aiuti. L’essere umano è uno spirito pensante per natura. Ciò che apprezziamo, ciò di cui siamo grati, che ci viene dall’altro, non è un aiuto, ma sono le provocazioni a pensare. E così io ho sentito quello che lei ci ha detto: provocazioni a pensare. Mi ha provocato.

Quindi, io non ho l’arroganza di aiutare lei, ma voglio provocarla, provocare il suo pensiero, e provocare è parente di “e-vocare”. Evocare significa tirar fuori l’eco: e-voce, evoca, rievoca.

Una delle prospettive del bene morale – magari ci entro dentro maggiormente domani – è che il bene è sempre un equilibrio tra due mali che sono all’estremo. Cioè la fenomenologia del

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bene umano è che ci sono sempre due estremi. Quindi, una erranza fondamentale, un errore fondamentale del pensiero è stato quello di pensare che il bene e il male siano due opposti. Questo è un errore di pensiero.

Il bene e il male non sono due opposti perché se fossero due opposti, il male sarebbe una realtà, quindi sarebbe bene. Invece il bene è sempre una questione di equilibrio labile: il bene è sempre nel mezzo tra un male e un male. In altre parole quando si va all’estremo, diventa male.

Aristotele dice: Il bene è il giusto mezzo tra il troppo – il trop-po è troppo – e il troppo poco. Quando uno ha fame, gli dai un gingino, lui ti dice: È troppo poco. Il corpo dice: è troppo poco! Se gli dai una gran quantità, il corpo dice: No, è troppo! Tra l’altro, di tutti i linguaggi che ci sono, soltanto la lingua italiana è così artista che nel ‘troppo poco’ ci mette il ‘troppo’ di nuovo. Ma allora, è troppo o è poco? No, è troppo poco! Cercate voi di spiegare ai tedeschi cosa significhi ‘troppo poco’! Loro chiedo-no: Ma un momento, è troppo o è poco? No, non è né troppo, né poco: è troppo poco! E io dico loro: Troppo poco è l’opposto di troppo! A quel punto lì, sono confusi del tutto. E poi Ari-stotele fa tutte disquisizioni nella sua “Etica a Nicomaco”16, il testo fondamentale dell’etica della cultura occidentale, l’etica a Nicomaco – che era uno dei figli di Aristotele –, per dire cosa è troppo e cosa è troppo poco.

E come si fa a sapere quando è troppo e quando è troppo poco? Un tizio sta con un amico, parla, parla, parla, e quell’altro dice: Mi hai stufato! Che significa mi hai stufato? Troppo! Un’altra volta quello gli chiede, gli chiede, gli chiede e il tizio non dice nemmeno una sillaba: Ma dimmi qualcosa, raccontami un pochino!... Quello sta zitto. Troppo poco! Come faccio a sapere

16 Aristotele, “Etica a Nicomaco”, raccolta in dieci libri

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quando è troppo e quando è troppo poco? Ogni tanto mi aiutano gli altri, non siamo da soli! Il codardo ha troppo poco coraggio, perché è codardo. Il temerario, troppo. Il coraggioso, giusto equilibrio.

Adesso il nostro amico dice: Che c’entra questo con la mia domanda? Arrivo subito. Nel passato, rispetto alla domanda fondamentale, se l’essere umano vive una volta sola o più volte, sono invalse soltanto due possibilità: l’una è troppo, l’altra è troppo poco. Troppo poco è: una volta sola. Questo è l’occidente. Io stavo dicendo in questi giorni, in modi diversi, la mente umana sana – non che si tratta di crederci…, adesso credo alla reincarnazione... no, lascia perdere il credere perché se credi alla reincarnazione ti vale quanto il credere alla non reincarnazione. Fede è fede. Fede qua e fede là!–, il pensare umano sano dice: è troppo poco, troppi conti non tornano se si vive una volta sola, ci sono troppe ingiustizie! Non spiego il fatto che un bambino venga violentato, non spiego la morte a due anni, non spiego il fatto che a uno che è un delinquente per tutta la vita gli vada tutto bene, non si piglia mai una malattia e sa fare un sacco di soldi, e invece quell’altro che è stato bravo, ha osservato tutti i comandamenti del Padreterno, della Chiesa e dello Stato ecc… si piglia una malattia dopo l’altra. Ma allora dov’è la giustizia? Una vita sola è troppo poco, troppo poco, troppo poco. No, non va, non va!.... Allora l’oriente dice: La ruota delle nascite è all’infinito, non finisce mai! Troppo, troppo, non finisce mai..., non c’è gusto! Andiamo sempre in giro, la ruota delle nascite all’infinito.

Troppo poco: non c’è gusto, è troppo poco. Troppo: non c’è gusto, è troppo! Il gusto sta nel mezzo. Più di una, meno che all’infinito! Allora, chi ha posto la domanda dice: Dimmi quante sono! Insomma, adesso chiedi un pochino troppo! Che io ti venga a dire che sono esattamente 35 né più né meno!

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Leggiamo Platone, lo Stato di Platone, La Repubblica17, nell’ultimo capitolo c’è un mito di Er, e lì Platone dice: La legge della reincarnazione – perché per Platone era scontato che gli esseri umani ritornino – è che ci si incarna ogni mille anni. E Steiner dice che è giusto. Prima della svolta dove gli esseri umani erano un pochino più bravini – perché man mano che aumenta la libertà diventa sempre più difficile la cosa –, prima della svolta dell’evoluzione ci sono i millenni prima di Cristo, l’evoluzione era più regolare perché la libertà umana combinava molti meno pasticci.

Col crescere della libertà succedono sempre più variazioni: l’uno va più veloce, l’altro più lento. Con l’aumentare del materialismo, quelli che muoiono, nel mondo spirituale non sanno godersi nulla perché non capiscono quasi nulla: tornano sulla Terra, dice il maestro Rudolf Steiner, addirittura cento, duecento, trecento anni prima di quello che sarebbe giusto. Quindi, questo comporta naturalmente delle differenziazioni enormi. Però prima di Cristo, di regola, che motivi ha l’essere umano per incarnarsi? Dice: Eh, aspetto per tornare sulla Terra finché le condizioni evolutive sulla Terra sono del tutto diverse. Perché se io ritorno sulla Terra solo duecento anni dopo, le condizioni della scienza, della tecnica, sono più o meno uguali... cosa vado a fare io? Vado a ripetere quello che ho fatto prima? Se l’ultima volta ero maschio e adesso mi incarno come donna, anche se mi incarno nell’altro sesso ma nelle stesse condizioni culturali, questo non mi basta per fare passi in avanti.

Il Sole – non lo invento io, chiedetelo al Sole che è vero – ci mette 2160 anni per passare da un segno zodiacale al prossimo. E da che l’umanità ha un minimo di cognizione, ha sempre saputo che queste scadenze cosmologiche, cosmiche, astronomiche,

17 La Repubblica (Politeia) - Platone, 427 a.C. - 347 a.C.

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col passaggio da un segno zodiacale al successivo comportano che gli influssi del Sole sulla Terra – non soltanto fisici, ma spirituali, animici, dell’anima del Sole –, ogni 2160 anni creano sulla Terra condizioni evolutive del tutto nuove. Quindi prima di Cristo, quando le cose erano regolari, ogni essere umano aveva motivo di incarnarsi in un’epoca, supponiamo l’epoca greco-romana, o l’epoca egizio-caldaica, o l’epoca persiana, o l’epoca indiana, ogni 2160 anni. Si incarnava una volta come maschio, una volta come femmina, di regola. Poi ci sono le eccezioni che confermano la regola.

Se l’essere umano lo facciamo incarnare – e Steiner dice che era così – due volte in 2160 anni, e ogni volta siamo così generosi che lo facciamo vivere 80 anni, quanti anni passa nel mondo spirituale? Esattamente mille come dice Platone e come conferma Aristotele. Quindi, come orientamento generale diciamo che per lo meno prima di Cristo, il rapporto tra il tempo passato sulla Terra e il tempo passato tra la morte e una nuova nascita, era di 80 anni di vita sulla Terra, e di circa 1000 anni nel mondo spirituale.

L’età canonica perché il Sole passi di un grado e vada nella stella successiva erano 72 anni circa, noi diciamo 80 anni per arrotondare. Come regola generale, poi ci sono tantissime eccezioni, e dopo Cristo le eccezioni aumentano sempre di più per il caos, le differenziazioni, ecc. Però in linea di massima, anche oggi, l’essere umano passa un tempo molto più lungo nel mondo spirituale che non nel mondo fisico.

Adesso, come orientamento generale – però non mi dire: Dimmi esattamente quant’è! perché varia da persona a persona –, ci sono persone che magari passeranno sulla Terra cinque, sei, sette incarnazioni in più, altre cinque, sei, sette di meno.

Bisogna aggiungere che le prime incarnazioni sono avvenu-te non in questo periodo di cultura post-atlantica, cioè dopo il

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diluvio universale. Dobbiamo andare indietro e ci sono sette periodi di cultura o formazioni di razze.

Nell’epoca atlantica quindi, supponiamo che siano quattor-dici incarnazioni, in linea di massima, poi andiamo indietro. La prima incarnazione è avvenuta circa nella metà dell’epoca lemurica, quindi aggiungiamoci di nuovo sette incarnazioni, quattordici più sette fa ventuno. In media ogni essere umano, quando è cominciato il periodo di cultura indiano, aveva già alle spalle circa ventuno incarnazioni. Però teniamo presente che le prime incarnazioni sono una parvenza di incarnazione, come fare un capolino nel corpo fisico, ma l’essere umano vive-va ancora nello spirituale. Ogni volta che si svegliava nel corpo fisico c’era un obnubilamento di coscienza tale, che la si può a malapena chiamare incarnazione. Quindi, le prime incarnazio-ni sono un inizio di incarnazione, però se volete sono ventuno. Poi, nel periodo indiano ce ne sono due, e fanno ventitré; due nel periodo persiano e fanno venticinque; due nel periodo egi-zio-caldaico e fanno ventisette; due nel periodo greco-romano e fan ventinove; una oggi. Quindi, come orientamento generale e comprendendo le primissime incarnazioni che non si possono quasi chiamare tali, ogni essere umano ha alle spalle una tren-tina di incarnazioni.

Però, un conto è fare un discorso di realismo, di evoluzione, e un conto è fare un discorso del tutto campato per aria: quello che dice che si vive una volta sola, il che non mi spiega nulla; e quello che concepisce una ruota che si ripete all’infinito e non c’è evoluzione. Hai una chance unica: non c’è evoluzione!

La domanda sul Giuda che si è ucciso è: Come continua ad evolversi? Le incarnazioni di ogni essere umano da un punto di vista dell’Io superiore, dell’Angelo custode, sono contate: non sono né una sola né all’infinito, ma sono contate. E questo contare le incarnazioni è il realismo dell’amore. Il realismo

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dell’amore che dice: Se le incarnazioni sono all’infinito non c’è libertà, perché non c’è evoluzione. Se di incarnazioni ce n’è una sola, non c’è libertà perché non puoi far nulla da ciò che hai combinato in una vita. Quindi, il realismo dell’amore divino mette a disposizione dell’essere umano, per la sua evoluzione nell’amore e nella libertà, un numero contato di incarnazioni, che non è né troppo né troppo poco.

Come fa a sapere l’amore quando è troppo e quando è troppo poco? Come fa la mamma a sapere quando la misura della severità dell’amore è troppa o troppo poca? L’amore è infallibile, e l’amore divino ancora più infallibile! L’amore divino conosce la natura umana così perfettamente che l’amore divino sa, per intuizione dell’amore, quante incarnazioni sarebbero troppo poco per la libertà umana, e quante incarnazioni sarebbero troppo. Ed evita sia il troppo, sia il troppo poco.

Però Aristotele direbbe – adesso riassumo il tutto –, è un conto per il pensare umano andare allo sbaraglio e avere soltanto o il troppo o il troppo poco; e un conto già in partenza esercitare il pensiero nel realismo che sa distinguere, che cerca l’equilibrio tra il troppo e il troppo poco. E il pensiero deve capire che cos’è troppo e cos’è troppo poco.

Allora io vi chiedo: Cosa vi dice il vostro pensiero? Vi dice che un’incarnazione sola basta? La risposta la deve dare ognu-no, col suo pensiero! Io ho detto: Secondo me, un pensare sano dice che no, un’incarnazione sola non basta per l’evoluzione umana.

Ma perché tutto questo cristianesimo, tutti questi teologi non ci sono arrivati? Perché il pensare, in secoli passati, era ancora bambino. E non è un’offesa! È così. Altrimenti ci sarebbero arrivati, no? Perché dire che l’essere umano vive una volta sola? Ma se una persona si rende conto a livello di pensiero di ciò che dice, smette di dirlo!

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E perché è sorto questo convincimento che si vive una volta sola? È stato un espediente pedagogico dell’amore divino perché ogni vita – non soltanto ogni vita, ogni giorno – si viva nel modo migliore che ci sia. Se uno lo vivesse come se fosse il solo che ha a disposizione.

L’occidente cristiano ha guardato all’oriente. Io l’ho fatto, sono stato missionario nel Laos negli anni della guerra del Vietnam, ma le pallottole le ho evitate perché ero bello magrino. Diciassette missionari uccisi, una cosa terribile! Nel Vietnam c’era la zona smilitarizzata, nel centro, loro, i comunisti al nord e gli altri al sud. Invece nel Laos c’era la pista di Ho Chi Min. Per far due chilometri bisognava chiedere agli americani il permesso. Quindi loro ci hanno identificato con gli americani, sparavano…, comunque io la pelle me la sono salvata. Ma oltre alla guerra del Vietnam, c’era il buddismo. Questi buddisti erano i miei alunni fin dalla prima elementare, e fino alla fine del liceo. E io mi guardavo questa cultura buddista, partecipavo alle loro feste e mi dicevo: Ma questi qua, con la bella scusa che la reincarnazione è all’infinito, non se la pigliano troppo calda, dicono: - Oh, tanto ce ne abbiamo di tempo, quello che non fai oggi lo fai domani, quello che non fai in questa vita lo fai nella prossima! Non lo sai che ritorni?! Allora lì ho capito perché in occidente ci hanno detto che ce n’è una sola! Un espediente pedagogico.

Adesso che abbiamo imparato tutti a vivere ogni giorno, ogni vita come se ce ne fosse una sola – siamo diventati tutti bravi, no? – adesso ci possono dire che ce ne abbiamo un pochino di più a disposizione! Ma perché c’è questa esitazione a dircelo? Perché non è vero che abbiamo imparato a vivere come se ce ne fosse una sola. Quindi aspettano ancora un pochino a dircelo. Di antroposofi che cominciano a pigliarsela comoda ce ne sono, che dicono: Perché scaldarsi tanto, lasciamo anche un pochino

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per la vita successiva, e poi per quell’altra! Allora, io ho buttato lì provocazioni al pensiero, adesso fatemi sentire voi qualcosa.

Intervento. Io ho una domanda alquanto banale, ma ho bisogno di un chiarimento.

Archiati. Non ci sono domande banali, soltanto le risposte possono essere banali.

Replica. La dottrina cristiana ci dice e ci insegna che il nostro spirito è creato nel momento del concepimento...

Archiati. No, no, neanche lo spirito. L’animaReplica. L’anima certo, prima non esiste. Nella nostra teoria

della reincarnazione invece, si dà per scontato la creazione iniziale...

Archiati. No, non parli della “nostra”. Parli del suo pensiero.Replica. Mi sorge un banale problema di capienza. Oggi

siamo sei miliardi, fra cinquant’anni siamo dieci miliardi, al tempo degli egizi eravamo cinque milioni. Il mio spirito non trovava spazio per eventualmente scendere sulla Terra; cioè questo affollarsi di numerosi spiriti in cerca di esperienza non trovavano spazio per la incapienza dei corpi fisici che esistevano, secondo me..., può darmi una traccia di riflessione?

Archiati. Ma io non riesco a capire quello che lei sta dicendo. Ha il problema della fabbricazione dei corpi?

Replica. No, ho il problema degli eccessivi spiriti esistenti in proporzione alle esperienze corporali che si possono ottenere, cioè io in quale corpo scendo se sono tutti occupati? Al tempo caldeo, egizio, babilonese e così via i corpi erano molto rari, oggi sono abbondanti, non c’è problema, lo saranno di più in avvenire, ma a quei tempi ce n’erano pochi.

Archiati. No, se ne ‘fabbricavano’ pochi, ma fabbricare un corpo è molto semplice, perché il congiungersi di uomo e donna è una delle cose che avvengono più facilmente possibile.

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Replica. No, no il mio problema è l’abbondanza degli spiriti.Archiati. C’è una certa attrattività reciproca per cui non è la

cosa più difficile che ci sia, ma oltre il gioco, prendiamo questa riflessione sulla sua domanda come una verifica di quello che io dicevo prima, una specie di verifica però in chiave di pensiero. Io mi appello al vostro pensiero, non vi vendo dogmi, quindi sta ad ognuno dire: mi convince, o non mi convince. Però il pensiero lo deve dire.

Se uno è convinto che l’essere umano viva una volta sola, per cui chi è vissuto ai tempi dei babilonesi non vive oggi, e chi vive oggi non è vissuto ai tempi dei babilonesi, ha un problemino non da poco. Perché il Padreterno fa accoppiare più volte gli esseri umani oggi che la vita è molto più difficile, molto meno bella di allora forse; e perché invece ne creava molti meno un tempo? Che motivo aveva? Oppure non è Lui a gestire il numero di persone che si incarnano... Ma se non è Lui a gestire, allora non è lui il Padreterno, è l’uomo! L’evoluzione gli scappa di mano. O è lui il capo, e lui decide quanti esseri umani devono esserci sulla Terra; oppure non è il capo, ma allora che Padreterno è, se non è il capo? Cioè, il pensiero che quanti esseri umani nascono è una decisione degli uomini perché sono loro che decidono quando si accoppiano, e il Padreterno è costretto a metterci un’anima quando gli esseri umani hanno deciso di accoppiarsi, è già aberrante perché allora non è Dio a decidere chi e quando nasce, ma sono gli esseri umani. Ma questo soltanto tra parentesi, per dirvi come si è impoverito anche il pensare teologico.

Invece questa esplosione esponenziale della popolazione – che non esiste – viene spiegata subito col pensiero che ogni es-sere umano vive più di una vita sola. Se è vero – come secondo me è vero, in assoluto – che ognuno di noi è partito all’inizio e partecipa a tutta l’evoluzione, allora gli spiriti umani sono con-

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tati fin dall’inizio. Però l’insieme, la totalità degli spiriti umani, è composta di due componenti: degli spiriti che di volta in volta sono incarnati, e degli spiriti umani che in questo momento sono escarnati. Quando noi sommiamo tutte e due queste com-ponenti il numero di esseri umani è sempre lo stesso.

Oggi quanti miliardi sono gli incarnati? Sei miliardi di persone – il numero assoluto è sempre inferiore rispetto a quello degli escarnati perché il tempo che si passa nel mondo spirituale è sempre più lungo che non il tempo che si passa sulla Terra. Quindi, supponiamo che fin dall’inizio il Creatore divino degli spiriti umani ne abbia creato trenta miliardi, quaranta miliardi – però sono contati! Gli Io umani non sono barattabili, sono la cosa più sacra che esista, nella fantasia dell’amore divino sono contati! –, quindi la domanda non è perché ci sono più uomini oggi che non allora. La domanda è come mai – benché in assoluto il numero delle persone incarnate sia sempre più piccolo rispetto a quello delle escarnate – oggi ci sono sei miliardi di incarnati e quindi diciamo ventiquattro miliardi nel mondo spirituale; e invece mille o duemila o tremila anni fa c’erano un miliardo di incarnati e ventinove escarnati.

Replica. Come ci si immagina che potessimo fare ad acquisire la ciclicità quando abbiamo detto che quel calendario in basso sette volte, ventuno volte..., cioè c’era un affollarsi di spiriti addosso a questi pochi corpi, questo è il mio problema grande.

Archiati. No, no, no, ... supponiamo che il numero totale degli spiriti umani siano trenta miliardi. Mille anni fa erano cinque miliardi incarnati, venticinque escarnati. Oggi sono sei incarnati e ventiquattro escarnati. E lei chiede: Come aumenta, benché il numero in assoluto di quelli incarnati sia sempre inferiore, come aumenta, perché aumenta? Lo dicevo prima: basta che noi prendiamo due fattori fondamentali. Uno, dovuto al materialismo, che chi muore non capisce nulla del

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mondo spirituale, è pieno di bramosie del mondo fisico, e tende addirittura ad accorciare il ciclo nel mondo spirituale di uno, due, tre secoli. È chiaro che tornando prima sulla Terra, aumenta il numero di quelli che sono incarnati.

Un altro fattore fondamentale: la nostra bellissima, bravissima medicina, ha fatto sì che il numero di anni che si passa sulla Terra sia aumentato sempre di più. Un altro fattore enorme che aumenta le persone incarnate! Questa è una spiegazione, secondo me, che convince. Lei chieda a coloro che pensano che l’essere umano esiste una volta sola. Non lo spiegano questo cosiddetto aumento della popolazione! Proprio non c’è una spiegazione che convinca il pensiero. E questo tipo di spiegazioni, che secondo me sono convincenti, dimostrano la forza convincente di questa scienza dello spirito e fanno capire che è proprio il gradino successivo della coscienza umana. Perché gli altri, con la fede tradizionale, non mi spiegano i fenomeni!

Come si ottiene che sia maggiore il numero delle persone in-carnate? Quelli lì che urgono alla porta, che vogliono incarnarsi, vogliono tornare addirittura duecento anni prima, inducono nel maschietto e nella femminuccia ancora più bramosia sessuale, e non mi dica che la voglia di queste forze sia minore oggi di duemila anni fa..., per cui ne vengono giù di più. Arriva poi un momento in cui secondo la conduzione divina sulla Terra sono un po’ troppi.., no problem! Uno tzunami te ne manda cento-mila, duecentomila, di nuovo nel mondo spirituale..! Lo metti in moto tu uno tzunami? La scienza dice: È perchè le crepe tettoniche, le forze tettoniche hanno mosso queste piattaforme! È come spiegare che uno vede due assi di legno che si muovono da soli – non ne ho mai visti a meno che sia ubriaco, allora li vedo che si muovono da soli!

Ci sono Angeli, Arcangeli, Principati, Potestà, Virtù, Dominazioni che li muovono questi pezzi di terra, perché

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questi cento, duecentomila individui ancora prima di nascere hanno scelto di nascere là dove c’era la possibilità di una morte di sacrificio per l’umanità – siccome sono più evoluti loro orientali che non noi materialisti occidentali – e offrono la loro vita per invogliare noi a vincere il materialismo. E l’umanità dell’occidente non ci capisce nulla, dice peste e corna di Dio che permette certe cose. Ce n’è, ce n’è da fare di cammino, di pulizia nella mente!

In una città della Germania, nell’università popolare avevo proposto una conferenza sulle cause spirituali più profonde dello tzunami. Il direttore dell’università popolare mi disse: No, no, no, mi dispiace ma la devo fermare… e mi ha cancellato. Perché dice: Se lei dice agli esseri umani che questa catastrofe naturale è causata dalla moralità degli uomini, offende anche quei cinquanta, cento cittadini tedeschi che erano in vacanza là e che sono morti. E quindi non ho potuto tenere la conferenza!

Intervento. Mi chiedevo soltanto, ma queste reincarnazioni sono solo più riavvicinate?

Archiati. È nel dinamismo intrinseco di ogni evoluzione che il ritmo accelera. Un buon esempio è: una persona impara una lingua, man mano che la impara diventa sempre più veloce l’apprendimento, e poi il secondo linguaggio, il terzo, diventa sempre più veloce. Più lo spirito umano si evolve e più l’evoluzione diventa veloce. Quindi io ho affrontato come primo orientamento un fattore di quantità, però ci dovete mettere il fattore qualitativo dentro. Quello complessifica le cose perché è nella natura di ogni evoluzione che se viene fatta in un modo positivo accelera sempre di più. Quando uno fa una scuola di pensiero e le cose le capisce sempre meglio, non è che il pensiero faccia passi sempre uguali. Man mano che capisce, capisce sempre di più e sempre di più, e sempre meglio, sempre meglio, sempre più veloce. E qual è il punto ultimo dell’accelerazione

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dell’evoluzione? L’evoluzione va avanti, va avanti, va avanti. L’accelerazione ultima dell’evoluzione della coscienza è la

coscienza divina che abbraccia il tutto – lo dice Dante nella Divina Commedia tra l’altro. È contemporaneamente all’inizio e alla fine... più accelerato di così! Quindi la coscienza si accelera all’infinito quando abbraccia nel momento presente, nella presenza di spirito, l’inizio e la fine. Perché bisogna essere velocissimi per essere in un baleno d’intuito all’inizio e alla fine.

Che differenza c’è tra l’inizio e la fine? Nulla, è la stessa cosa! Quando uno vuol fare qualcosa, cos’è l’inizio? È la fine! Se no non sa cosa vuol fare! Questa è la velocità della coscienza. Quindi la coscienza divina è un’assoluta presenza di spirito.

Il bambino piccolo non ha presente, domani, ieri e oggi, perché è troppo veloce. Vive nel momento presente. La coscienza dell’adulto è più veloce. Perché è più veloce? Perché abbraccia contemporaneamente ieri – quello che ho pianificato ieri –, quello che riesco a fare oggi, e quello che progetto per domani. Questa velocità di sguardo d’insieme dell’adulto è proprio vertiginosa per il bambino, però per noi è reale! E così, come noi abbracciamo non tutti i fattori, però insomma riusciamo ad abbracciare diversi fattori di diversi giorni, così la coscienza divina abbraccia il tutto. Quindi la legge dell’evoluzione della coscienza è la vastità, e con la vastità la profondità perché conoscere l’inizio e la fine significa spiegare nel più profondo che ci sia.

La prima cosa che lo spirito umano pensa è il fine che si propone, e il linguaggio italiano, a differenza di tanti altri linguaggi, usa la stessa parola per dire il fine e la fine. Quando io penso il fine, sono alla fine. E quand’è che sono alla fine? Quando penso il fine. E quand’è che posso pensare il fine? Adesso, e sono alla fine perché penso il fine! È una cosa fine,

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no? Basta affinare lo spirito, basta affinare il pensiero. E allora è subito alla fine! Butto lì dei pensieri, poi ognuno ne fa ciò che vuole, l’importante è che siano puliti! È una vita che mi esercito.

Intervento. Io volevo chiedere scusa.Archiati. Perché?Replica. Dall’origine dell’uomo ad oggi sono vissuti già circa

duecento miliardi di persone, quindi non è vero che ce ne sono sei, abbiamo fatto i nostri cicli di reincarnazione regolari.

Archiati. Un momento, adesso non capisco più né di che cosa chiede scusa…

Replica. Sei miliardi stanno vivendo oggi…Archiati. No, no, sono trenta miliardi, circa, che stanno

vivendo oggi.Replica. Bene, dei quali sei miliardi sono seduti qui sulla

terra…Archiati. Non è che stanno vivendo oggi, anche gli altri

vivono, più di noi.Replica. Ma siccome noi siamo soggetti alla morte fisica, e

prima di noi molti ci hanno preceduto, dall’inizio della comparsa dell’uomo sulla terra si sono succeduti circa duecento miliardi di…

Archiati. No, sono sempre gli stessi trenta miliardi!Replica. No, parlavo di morti, di cadaveri, di fisici...Archiati. Io non sto parlando di mummie. Sto parlando di

spiriti umani, quelli sono uomini! La mummia è una carcassa fisica, no? Che c’entra con l’uomo? Un tentativo di salvare il cattolicesimo in calcio d’angolo eh! Però il portiere è micidiale, se l’è parata! E un secondo calcio d’angolo non se lo piglia, non è previsto!

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Intervento. Io volevo tornare un attimo indietro a qualcosa che non ho afferrato bene, e c’era una domanda che mi premeva farle. La manipolazione è possibile negli uomini e nei malati psichiatrici, dipende solo da esseri umani o anche da entità superiori? In quanto, nel lavoro che svolgo molti ammalati psichiatrici sentono, avvertono, delle voci. E la scienza ovviamente lo attribuisce a malattie mentali.

Archiati. Quello che io dicevo prima – che adesso spiego un pochino di più –, non intende entrare nel merito della complessità dei fenomeni con cui lei ha a che fare. È un orientamento di pensiero, però in tempi di caos come quelli in cui viviamo gli orientamenti sono la cosa più importante che ci sia, se li sappiamo usare.

Nessun essere umano può venir manipolato, gestito dal di fuori, che non crei lui stesso le condizioni perché sia passibile di manipolazione. In altre parole, un essere umano che si gestisce da solo e tiene in mano questa gestione del suo essere, non è manipolabile. Quindi ogni essere umano deve essere lui a creare la possibilità di venir manipolato.

Adesso la domanda successiva, lei dice: Ma ci sono esseri che hanno interesse a manipolare l’essere umano? Certo! Perché? Perché questi esseri – per esempio, noi li chiamiamo demoni – sono esseri di tipo angelico, angeli caduti – ma tutte metafore, però! – che per amore all’uomo hanno perso dei colpi nella loro evoluzione, stanno cercando di recuperare.

La controforza per l’uomo è necessaria, quindi per noi è un sacrificio di amore nei nostri confronti, ma loro hanno perso colpi che stanno cercando di recuperare. Il Mefisto per esempio. Allora ci sono degli spiriti che vorrebbero incarnarsi per opera-re nel mondo attraverso l’elemento della materia, e lo strumento d’incarnazione privilegiato non è una pietra perché con la pietra non possono né parlare, né far qualcosa; non è la pianta; non è

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l’animale perché se si incarnano in un corpo animale non pos-sono né pensare, né parlare. Quindi il corpo umano è oggetto di invidia e anche di bramosia di infiniti spiriti che, nel momento in cui l’essere umano lascia libero, vuoto, di sé anche soltanto un frammento, subito vi si mettono dentro! Stanno lì proprio ad aspettare, hanno una brama assoluta di servirsi di questo stru-mento per agire nel mondo. Però il presupposto lo deve creare l’uomo, perché se l’essere umano fa di tutto, in tutto e per tutto, per possedere tutti i suoi pensieri, tutte le sue parole, tutte le forze del suo corpo, non dà loro la possibilità.

Questi fenomeni parapsicologi, o di psichiatria che lei descrive, non possono sorgere in una vita sola. Il venir posseduti a livelli molto forti non è possibile in una vita sola. Bisogna parlare di omissioni, di passibilità, di perdite di colpi che si sono espresse su un arco di tempo molto maggiore che non i due, tre, quattro decenni di una vita. Anche da questo punto di vista i conti tornano e torniamo al fatto che se un essere umano venisse posseduto, che se il suo corpo venisse usato da un altro spirito senza che egli stesso con l’evoluzione della sua libertà ne abbia creato dei presupposti, sarebbe un’ingiustizia commessa contro lo spirito umano, e l’ingiustizia non esiste.

In che cosa consiste la terapia? Far tutto quello che si può, un’arte non da poco! Ma i nostri psichiatri non hanno neanche questi orientamenti fondamentali, prima di tutto per rendersi conto che, come io con la mia libertà ho creato questi vuoti che mi rendono passibile di possedimento, così, questi vuoti li posso tutti riempire. A brano a brano – non tutti in un momento, forse non tutti in una vita, ma nel corso della mia evoluzione –, e quindi col mio cammino di libertà ho la possibilità di ricacciare fuori questi demoni che mi posseggono, o questi spiriti.

La terapia, il realismo dell’amore della terapia, è proprio questa arte del quotidiano di accompagnare queste persone, prima di

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tutto in chiave di pensiero, e poi vedere giorno per giorno che cosa si può fare per riprendere in mano le forze del proprio corpo, della propria anima, del proprio spirito. Perché questo è sempre possibile all’essere umano. Se la libertà non ci fosse – un’altra riflessione per dire la bontà del pensiero del troppo poco e del troppo –, se la libertà non ci fosse, non avrebbe conseguenze. Ma se è vero che con l’esercizio della libertà l’essere umano ha la possibilità di diventare sempre più libero o di diventare sempre meno libero, se una persona sistematicamente perde sempre colpi, l’evoluzione delle incarnazioni non è lineare, ma sale.

All’inizio siamo tutti scesi nel mondo della materia, poi a metà, il pensiero – cioè le forze del Logos – mi dice: Se la prima parte è stata fatta per creare tutte le condizioni necessarie per la libertà, la seconda metà dell’evoluzione consiste nell’esercizio della libertà. E l’esercizio della libertà deve creare conseguen-ze reali. Quindi ci devono essere due possibilità fondamentali: di diventare sempre più liberi, sempre più amanti, omettendo sempre di meno; o di diventare sempre meno liberi, sempre meno amanti, omettendo sempre di più. E il pensiero mi dice: Quando una persona, dopo cinque, dieci, quindici, venti incar-nazioni ha sempre continuato ad omettere, omettere, omettere, il dire che gli è possibile tornare in alto tanto quanto lo era in origine, è da stupidi!

Quindi la scelta della libertà, per natura, o si conferma nel bene che non è più capace di diventare male; o si conferma nella definitività del male che non è più capace di diventare bene! A quel punto a che servono altre incarnazioni? Basta! Arriva un punto dove ognuno ha fatto tutto quello che era possibile fare nella direzione del bene, e questi non può più cadere, è assurto al livello dell’Angelo; mentre l’altro ha omesso tutto quello che si poteva omettere, e non può più assurgere al livello umano e

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cade al livello della bestia. Il livello della bestia non è la mancanza di libertà, il livello

della bestia non è l’omissione della libertà. Il livello della bestia è l’assenza della potenzialità di libertà. La libertà, a questo punto, non è più possibile come non è possibile all’animale, e perciò è decaduto al livello della bestia. La Bibbia si ferma a questo punto.

Su questa parola seria sulla libertà, questa definitività della libertà, la scienza dello spirito dice: l’amore divino è così infinito che tutto questo putiferio qui è soltanto ‘Terra quattro’, la quarta incarnazione della Terra. Ce n’era una prima, l’incarnazione lunare della Terra (la terza); un’altra prima, l’incarnazione solare della Terra; un’altra prima ancora, l’incarnazione saturnia della Terra. Tutto questo putiferio qui che vi ho raccontato è da incarnazione quattro, – ‘Terra quattro’ –, poi arriva ‘Terra cinque’, Giove, la nuova Terra. Lì sorge un’ultima possibilità, che i buoni siano buoni a un punto tale che tirano su coloro che sono rimasti indietro, tirano su... Tutta un’altra incarnazione della Terra. Poi non è ancora finito: dopo Giove – Terra cinque –, t’arriva ‘Terra sei’, Venere, fino a metà..., poi basta! E se no, torniamo alla ruota che non finisce più!

E tra Terra quattro e Terra cinque, auguro a tutti quanti una buona notte!

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5. Inferno e ParadisoDue stati di coscienza

Questa mattina vogliamo fare un po’ di altalena passando dall’Inferno al Paradiso, e poi forse qualcuno di voi si ricorderà che nel bel mezzo, tra l’Inferno e il Paradiso, c’è anche il Purgatorio. Penso naturalmente alla Divina Commedia di Dante Alighieri che tutti i presenti italiani conoscono a memoria, dall’inizio alla fine. Soprattutto l’Inferno naturalmente, perché quello è l’inizio e lì le cose sono molto interessanti. Poi il Purgatorio, anche quello l’avete imparato a memoria, perché lì, insomma, c’è la purificazione. E poi se si arriva alla fine del Paradiso, lì le cose diventano un po’ più serie, un po’ più sussiegose.

Ognuno di noi ha in mente rappresentazioni del Paradiso e dell’Inferno, per lo meno io ce le ho in mente. Adesso ormai abbiamo un tipo di cultura – se vogliamo ancora chiamarla cultura – dove non si sa neanche se gli individui hanno mai sentito parlare di Paradiso e Inferno. Niente di male però, perché in fondo questo Paradiso e questo Inferno è tutta un’invenzione della mente umana! Il mio compito, questa mattina, sarà di convincervi che l’unico Paradiso che può esistere è l’uomo stesso, se lui diventa un paradiso. E l’unico Inferno reale che può esistere, è l’uomo stesso, se gli va di diventare lui stesso un inferno. Questa sarà la quintessenza del mio discorso.

La prima cosa che come spunto di pensiero voglio offrirvi – provocazioni a pensare, non mi interessa vendervi nessun convincimento, nessun dogma. Non esistono dogmi, esistono cammini di pensiero –, è che questo Paradiso e questo Inferno tradizionalmente sono stati concepiti come luogo. Il Paradiso è un luogo in cui si va. Questo luogo è stato immaginato in

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alto. Giustamente, perché da sempre per l’essere umano, tutte le immagini di luce, di bellezza sono in alto… la tenebra è sotto; man mano che si entra nel fondo della terra diventa più tenebroso, più freddo; e se si cerca la luce… la luce è un’immagine di conoscenza, un’immagine di gioia, di irradiazione: si va verso l’alto.

L’Inferno, invece, è stato concepito come un luogo – laggiù – e lì ci vuol la scala. Normalmente, si penserebbe che sia più facile andare in Inferno che andare in Paradiso, perché se è più facile andare in Paradiso, che soddisfazione è? Per andare in Inferno basta lasciarsi andare! La quintessenza un po’ dei discorsi fatti ieri e l’altro ieri è che l’Inferno è fatto di omissioni. L’Inferno è la coscienza povera, il pensare povero perché ha omesso di diventare sempre più ricco, sempre più luminoso, sempre più vasto. Questa capacità di abbracciare, di comprendere i nessi e i connessi del divenire universale, è il compito del pensiero lasciato alla libertà dell’individuo.

Vivere in Paradiso – il paradiso del pensare, il paradiso della coscienza – è la gioia di capire i fenomeni del mondo sempre più profondamente, quindi c’è una prima dimensione del Paradiso ed è la conoscenza. Però l’Inferno corrispondente a questo Paradiso non è qualcosa di male, perché nel pensare anche gli errori non sono un male del pensare. In tedesco l’errore si dice Fehler. E la parola Fehler significa: ci manca qualcosa, quindi hai fallito il colpo. Hai mancato il colpo, allora raddrizza il colpo e colpisci nel segno. Anche in italiano: errare non significa fare qualcosa di sbagliato, significa andar fuori strada. Quando uno va fuori strada cosa c’è di male? Nulla, manca soltanto la strada giusta: torna indietro, rettifica la traiettoria e sei sulla strada giusta.

Quindi il vero Inferno del pensare non è fatto di cose cattive o di pensieri cattivi, è fatto di buchi nel pensiero, cioè di omissioni

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di cammini di pensiero, di coscientizzazione, proprio perché il cammino della conoscenza – pensate a questa scienza dello spirito di Steiner che stiamo stampando e cercando di proporre agli esseri umani –, che cos’è? è una proposta di conquista del Paradiso, della gioia, della pienezza dell’essere pensante umano. Però una proposta lasciata alla libertà dell’individuo.

La tua mente non te la si può rimpinzare, riempire dal di fuori! Ci siamo detti in questi giorni che la mente che si riempie dal di fuori va bene per la fase dell’infanzia, perché il bambino non è capace di pensare per forza propria, partendo dalla libertà. E allora è giustificato questo propinare, dare, offrire i contenuti di conoscenza al bambino.

L’umanità – ci siamo detti in questi giorni – è stata nell’in-sieme bambina fino a un paio di secoli fa, e ha cominciato a entrare nella pubertà, in questa capacità di pensare con la testa propria grazie agli ultimi secoli. Io direi, le scienze naturali sono il primo impulso di una umanità dove l’individuo comin-cia a voler pensare con la testa propria.

E allora cos’è che è terminato con la scienza naturale? È terminata la verità che viene somministrata dal di fuori.

La verità somministrata dal di fuori si chiama rivelazione. La teosofia, la sapienza divina che viene rivelata – e il bambino che riceve si lascia riempire da questo rubinetto divino –, si chiamava la fede. Nel periodo d’infanzia dell’umanità, siccome l’essere umano non era ancora capace di pensare, di mettere in atto un cammino di conoscenza a partire dalle forze del proprio pensiero, per amore alla verità e partendo dalla libertà individuale, la verità veniva offerta per rivelazione divina e l’uomo l’accoglieva con fede.

Ora viviamo in una umanità che grazie alle scienze naturali ha inaugurato un primo inizio del pensare gestito dall’individuo. In questo primo inizio il pensare si è riferito solo al mondo

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fisico, e va bene, perché non sarebbe stato possibile perdere la rivelazione divina ed essere di primo acchito un pensatore così autonomo, così libero, così attivo da scandagliare addirittura il mondo invisibile. Cominciamo dapprima col mondo sensibile, dove abbiamo l’aiuto della percezione dal di fuori che ci sostituisce un pochino la fede. La fede dava all’uomo i contenuti di verità belle fatti.

Cosa dà la percezione? La pulce nell’orecchio, perché di fronte alla percezione l’essere umano dice: cos’è? E allora questa pulce nell’orecchio è un po’ una provocazione a pensare.

Nel mondo spirituale, invisibile, non c’è la percezione diretta che ti impinge. Quindi le scienze naturali, questo materialismo, è una sfera di trapasso tra una ricerca della verità che era pura-mente bambina, puramente passiva e riceveva i contenuti di ve-rità dalla rivelazione divina – e fino a tre, quattro, cinquecento anni fa lo sguardo non era rivolto al mondo sensibile –; poi c’è una sfera intermedia del materialismo in cui l’umanità si fissa, si limita, in un certo senso disattende, ignora lo spirituale – ad-dirittura certi lo negano, che non esiste – e ora l’umanità si è fissata sull’indagine del mondo visibile perché c’è questo aiuto della percezione sensibile.

La sperimentazione, il metodo di dimostrazione scientifico su che cosa si fonda? Una sperimentazione è una serie di percezio-ni stabilite dall’uomo per escludere tutti i fattori di un fenomeno che sono secondari, che sono accidentali direbbe Aristotele.

Ridurre il fenomeno all’essenza, però si tratta di percepire il fenomeno. E ogni scienziato lo può ri-percepire, può rifa-re l’esperimento e il pensiero interpreta il dato di percezione. Questo è il metodo scientifico.

Naturalmente si presuppone che il lato di percezione sia ugua-le per tutti, altrimenti non ci sarebbe oggettività, e siccome il lato di percezione è uguale per tutti c’è, ci dovrebbe essere, di-

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mostrabilità. Questo presuppone però che il pensiero sia capace di cogliere nel segno il dato di percezione.

Riprendiamo un esempio fatto in questi giorni: la scienza naturale indaga il cervello a livelli sempre più capillari, sempre più complessi con gli strumenti di cui oggi disponiamo. Poi indaga ciò che avviene nella coscienza. E lo scienziato afferma: parallelamente ai fenomeni neurosensoriali, ai fenomeni neurobiologici, alle sinapsi del cervello, avvengono fenomeni di coscienza, associazioni di pensieri, o immagini di sogno. Come la mettiamo? Adesso tocca al pensiero.

Fino a un certo punto abbiamo soltanto constatato che ci sono due sfere parallele: l’una è quella di ciò che avviene nel cervello e che io, come scienziato, posso sperimentalmente seguire sempre più minutamente, sempre più dettagliatamente grazie agli strumenti. L’altra è quella dei pensieri che pensa colui al quale viene scandagliato il cervello. Ed è lui che mi deve dire quali immagini di sogno ha suscitato mentre io come scienziato ho constatato i cambiamenti cellulari, neuro-biologici, ecc. Adesso resta il pensiero umano – è fatto così... mi dispiace, anzi mi piace che sia fatto così! –, che si chiede: che cos’è la causa, e che cos’è l’effetto?

A quel punto lì lasciamo il campo di osservazione della percezione. E ci sono molti scienziati che, a fronte di un pensare diventato poverello in questi ultimi secoli perché ha perso di vista lo spirituale, si è fissato sulla falsa riga del visibile e ha disatteso ciò che avviene nell’interpretazione pensante dei fenomeni. Lo scienziato ha perso la capacità di rendere l’interpretazione sempre più profonda, e di rendersi conto degli assiomi posti alla base. Tanti scienziati non hanno neanche consapevolezza degli assiomi di fondo che fanno, perché li spacciano come dogmi, come se fossero delle realtà.

Un assioma da cui io parto – e l’assione diventa dogmatico

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nella misura in cui non mi rendo conto che è un presupposto – è che ogni pensiero deve partire da qualche evidenza iniziale, non si può dimostrare tutto all’infinito. Non è possibile fare passi indietro all’infinito per dimostrare il punto in cui sono arrivato. Un regressus ad infinitum non è possibile! Quindi già Aristotele diceva: devi partire da qualche parte. A quel punto lì è importantissimo per un procedere scientifico rendersi conto onestamente – onestà intellettuale importantissima! – dei propri presupposti fondamentali. Un presupposto fondamentale, che poi la scienza non può provare perché sarebbe un tornare indietro all’infinito, è che lo scienziato ordinario pensa spontaneamente che sia scontato che non c’è alternativa: che ciò che avviene nel biologico, ciò che avviene nelle cellule del cervello sia la causa che determina ciò che avviene nella coscienza. Molti scienziati non si rendono conto che questa interpretazione è una di due possibilità fondamentali. E in fondo, un pensiero un pochino meno misero ci arriverebbe a capire che è solo una delle due possibilità fondamentali.

In questa fase di materialismo dove il biologico, la realtà corporea si impone coi suoi determinismi di natura così evidenti di fronte a uno spirito pensante diventato invece così esile, così larvatile, così esanime ed esangue che pare che non ci sia neanche più, lo scienziato si sente in diritto di affermare: “ma è ben scontato che quello che avviene nel cervello è una realtà. La vedo!” Caro scienziato, amico mio, ma che possa essere all’opposto, non ti viene neanche in mente?

Supponiamo che siano due le possibilità fondamentali: abbiamo due campi A e B. Tu mi dici: A è la causa, è la verità, la realtà che è così reale che causa, e B è l’effetto! E se fosse l’opposto? Che B è la causa, e A è l’effetto? - Ma sei matto! Ma ripeti un po’ il pensiero! Quello che avviene nella tua coscienza dovrebbe causare il biologico? Ma ti portiamo al manicomio!

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Il fatto che il biologico, ciò che è fisico, ciò che è materiale sia più forte, più causante, più reale, più determinante, e che ciò che avviene nella coscienza è in gran parte risultato di ciò che avviene nel biologico, non è una teoria sbagliata. Per l’uomo d’oggi è una verità, non dico al 100% ma in grandissima parte. Il materialismo consiste proprio nel fatto che per l’uomo d’oggi – mille anni fa non era così, ma per l’uomo d’oggi normale è proprio così! – è molto di più il biologico a decidere ciò che avviene nel suo pensiero che non l’opposto.

Un esempio fondamentale di ciò che avviene nel biologico è la percezione. Cos’è il fenomeno di percezione? È il modo in cui il mondo esterno, attraverso le porte dei sensi, mette in moto dei processi nel cervello. E non mi dite che per l’uomo d’oggi comune le rappresentazioni che si fa non siano quasi in tutto e per tutto determinate dalle percezioni. E la percezione è un fattore neuro-sensoriale, i sensi percepiscono e portano al cervello, il cervello elabora, e lì salta fuori automaticamente come effetto l’immagine o la rappresentazione. ùQuando uno sta seduto davanti alla televisione, a Monaco con un litro di birra..., ditemi voi che ciò che avviene nel suo processo di pensiero è pura creazione assolutamente libera, individuale del suo spirito ...! Puramente passivo: le immagini entrano per le porte dei sensi, mettono in moto un atto di cuocimento – viene fatta una cottura nelle cellule del cervello – e saltano fuori le immagini, le rappresentazioni.

Questa passività, questa cattività dello spirito nei confronti della materia, questo è l’Inferno dello spirito umano! Perché è Inferno! La mia definizione di Inferno è omissione di libertà. Un Inferno più grosso, più pulito, secondo me non esiste. E qui sto parlando della prima sfera dell’omissione di ciò che è libero, che è quella del pensiero. Poi scenderò sulla seconda sfera quella del cuore, quella delle azioni.

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Quindi l’alternativa tra Inferno e Paradiso, riguardo al pensiero, riguardo alla coscienza è che hai due possibilità fondamentali: puoi vivere in Inferno, e l’Inferno è quando tu ti senti come spirito pensatore puro effetto del biologico – peggio proprio non si può vivere! –, oppure puoi vivere in Paradiso quando ti vivi come spirito pensante creatore. E perché a tanti uomini sta bene l’Inferno? Vi do due ragioni fondamentali, ma ne potete trovare altre.

Una è che l’Inferno, cioè il lasciar fare tutto al biologico e nello spirito avere soltanto effetti, è un pochino più comodo che non il Paradiso: è più facile sedersi in poltrona con la birra ac-canto e guardare la televisione, che non spegnere la televisione e leggere una conferenza di Rudolf Steiner. La persona normale guarda la televisione e la trova interessante perché non ha nien-te da fare... Sta bello comodo! Perché è difficile leggere una conferenza di Steiner.... Ma non è vero! Per me è molto più inte-ressante una conferenza di Steiner che non le baggianate della televisione. Chi dice che sia più interessante la televisione?

Quindi, il secondo motivo che vi do, per cui la maggior parte delle persone conosce solo questo Inferno della coscienza che è essere puro passivi, puro non creativi in cui non c’è l’esperienza della libertà, è che il vivere in Paradiso nel pensare, essere creatori, la maggior parte della gente non sa dove stia di strada. Non lo conosce, questo è un secondo motivo.

Certe volte io mi scaldo, anche in Germania, ma tanta gente non capisce neanche di cosa si sta parlando. Questa realtà dello spirito... già non capisce che questa è una realtà. Ma come può essere una realtà se è soltanto effetto, un essudato di ciò che avviene nel biologico? Che poi questo possa venir attivato talmente da portar giù gli effetti... perché la domanda è: questo corpo qui, questa struttura del cervello, chi l’ha costruita?

Il tuo spirito ancora prima di nascere si è proposto di costru-

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ire un corpo di tipo italiano che andasse bene per il linguag-gio italiano, ecc., il tuo spirito l’ha costruito, qui è la causa, il corpo è l’effetto!... Si comprende subito perché è più facile vivere nell’Inferno che non nel Paradiso del pensare. Perché è più facile!

Il secondo motivo che ho avanzato è che questo tipo di paradiso la maggior parte delle persone non capisce neanche di cosa si stia parlando. Entrare in paradiso: il purgatorio che va da questo inferno a questo paradiso è di rendere il pensare sempre più puro. Tutta la tradizione di Kant, ma soprattutto i tre grandi idealisti Fichte, Schelling ed Hegel, hanno sempre parlato del pensare puro. “Pensare puro”, interessante questa categoria teutonica di puro. Gli idealisti tedeschi riferiscono il puro al pensare, invece nella Chiesa cattolica – io posso parlare per esperienza – la purezza si riferiva soltanto ai pensieri cattivi, ai pensieri un po’ bruttini che vanno ancora un po’ più giù: dal cervello alla sfera sessuale. La cosiddetta purezza andava soltanto lì. E siccome ci si fissava talmente su questa sfera, ad un certo punto mi è venuto il sospetto che avesse una certa importanza! Ma del pensare puro che è così importante per un Hegel, per uno Steiner, nella cultura italiana…

E cos’è il pensare puro? Diventa puro diventando pura causa, diventando creatore. È tutto ciò che non si lascia inquinare da nessuna – neanche una – concausa da sotto. Perché un pensare che diventa effetto è un pensare impuro, non è creatore, non è libero, è determinato in qualche modo dai determinismi della natura. Se il tuo corpo è stato intriso delle forze di un certo tipo di suolo, di un certo tipo di sangue, determina, fa entrare dentro al tuo pensiero i suoi meccanismi, anche i suoi particolarismi che non sono uno spaziare universale, libero in assoluto, e lo rende impuro.

Il pensare è puro nella misura in cui è pura creazione artistica,

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non determinata da nulla, neanche in minimo modo. Allora uno chiede: come è possibile questo paradiso, ... ma non esiste questo paradiso di un pensare assolutamente libero, creatore, che spazia,….

La risposta è che non avviene in un giorno! Se avvenisse in un giorno, la vita consisterebbe in un giorno solo, basterebbe! Come mai hai a disposizione tanti anni, tanti giorni, decenni, ecc…? Perché è questione di esercizio.

Quindi il pensare diventa puro nella misura in cui viene purificato giorno per giorno, liberato dagli incatenamenti, dai determinismi di natura. Soprattutto da questo tipo di automatismo dove la percezione automaticamente fa sorgere delle rappresentazioni. E tutto ciò che è automatico non è libero. E se noi riflettiamo quanto è automatico nel nostro pensare, ci rendiamo conto che altro che il paradiso del pensare puro!

Allora la domanda successiva è: ma chi me lo fa fare, tutta questa sfacchinata di rendere il mio pensare sempre puro? È una bella sfacchinata... dov’è il paradiso? E allora quell’altro ti dice che tutti quelli che ci hanno provato dicono: altro che sfacchinata! Dà gioia, dà gioia, dà gioia! Questo è il paradiso! Intuiti sempre più vasti, sempre più belli! Come il pittore, un Michelangelo, un Raffaello, lui da artista sa che il paradiso dell’artista è il godimento di essere creatore. L’altro, il discepolo, che ancora non conosce questo tipo di paradiso dell’artista creatore che si gode il creare, vede solo la sfacchinata di tutti ‘sti colori, della tecnica che va imparata, ecc… e chiede a Michelangelo, chiede a Raffaello: ma chi me lo fa fare, tutta questa sfacchinata? E Raffaello e Michelangelo gli rispondono: finché tu vivi questa faccenda come una sfacchinata sei un povero diavolo!

E il diavolo dove vive? Nell’inferno! Il linguaggio è pieno di genialità!

Quand’è che un essere umano è un povero diavolo? Tra l’altro

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un povero diavolo, non ci sono mai stati diavoli ricchi... perché quelli sono Angeli. Quand’è che uno è un povero diavolo? Quando vive nell’inferno, ma l’inferno sono le sue omissioni, è la sua poltroneria, quindi l’unico tipo di inferno che c’è è la poltroneria! E per fortuna è un inferno, perché se la poltroneria ci rendesse felici... questo è un pensiero interessante... è un paradosso! Aiutatemi voi a rispondere a questa domanda.

Se la poltroneria ci rendesse felici, non tornerebbe più nessun conto. Cioè stiamo facendo una specie di alternativa alla natura umana, allora non parleremmo più dell’uomo, ma parleremmo di una chimera che non esiste. Finché stiamo parlando dell’uomo lo sappiamo che c’è soltanto un tipo di uomo, ed è nella sua natura che se poltrisce non può essere felice. È stato fatto così... mi dispiace! Anzi no, mi piace!

L’essere umano è l’opera di un artista sommo. Chiamarlo Padreterno è una cosa un po’ borghese, un po’ miserella, perché essere padre non è che ci voglia un grande sforzo. Essere madre già un po’ di più... Quindi, che noi lo si chiami il padre eterno non è che sia un grosso complimento, ma a parte questa metafora del padre con la barba, ecc… lo chiamiamo il Creatore! Questo concetto è molto più bello, cioè l’essenza dello spirito è di creare. E creare è l’opposto di poltrire. Se tu sei la creatura di un creatore, sei stato creato a immagine e somiglianza del tuo creatore, quindi sei un creatore in erba...

E perché non mi ha fatto creatore già belle fatto? Perché un creatore automatico, già belle fatto, non è creatore! L’essenza del creare non è ciò che si è creato. L’essenza del creare non è il creato, ma è il creare, l’attività pura di escogitare, creare mondi nuovi. Il già creato si fa da sostrato da conditio sine qua non per nuove creazioni.

Questo risvolto verbale di attività del creare, quindi non il creato ma il creare, l’attività pura che è pura gioia, che è pura

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realizzazione dello spirito creatore che è il creare in quanto at-tività, riferito al pensare è il pensare.

In italiano noi diciamo il pensiero, e traducendo la “Filosofia della libertà” di Steiner diventa un po’ difficile perché Steiner non parla quasi mai del pensiero, perché il pensiero è come il creato del creare. Il pensiero sono i pensieri già pensati, e ciò di cui la Filosofia della libertà parla non è il pensiero ma è l’attività pura, artistica, creatrice individuale del pensare come attività. E questo è intrinseco al linguaggio tedesco – se volete, mi perdonerete –, che è un po’ più micidiale. A questo punto das Denken in tedesco non è soltanto il pensare, ma in primo piano è il pensare in quanto attività, non è il pensiero ma il pensare! L’attività pura di essere creatori nel pensare. Questo è il paradiso della mente umana.

“Fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtude e conoscenza!”18 Il bruto è l’animale, l’ho detto all’inizio che sapete tutti la Divina Commedia a memoria.

Qual è l’essenza dell’animale? L’animale ha rappresentazioni, non ha la capacità pensante di esprimerle con la parola. Ma l’animale, direbbe la scienza dello spirito, ha rappresentazioni nel suo corpo astrale che poi è l’anima dell’animale. Il linguag-gio latino definisce l’animale in base all’anima. Quindi nell’ani-ma, nel corpo astrale dell’animale succede automaticamente, ci sono soltanto effetti di ciò che avviene nel biologico. Quindi è nella natura dell’animale di non poter essere minimamente creatore in ciò che avviene nella sua anima.

“Fatti non foste a viver come bruti” significa: essere uomini vuol dire non avere (come gli animali) nell’anima soltanto riflessi automatici, deterministici, di ciò che avviene nel corpo, ma invertire la marcia e determinare a partire dalla libertà

18 Inferno, Canto XXVI, 119 – 120

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dello spirito creatore ciò che avviene nel corpo. “Ma per seguir virtude (sarà la seconda dimensione del paradiso e dell’inferno) e conoscenza”. Conoscenza in quanto gestita creativamente, artisticamente, individualmente, liberamente dal singolo spirito umano che pensa. In fondo, questo grande impulso o proposta di paradiso del pensare della mente umana, che è questa scienza dello spirito di Steiner, io la capisco così.

Per me questa scienza dello spirito di Rudolf Steiner è meno importante per i suoi contenuti – anche se tanti cultori di questa scienza dello spirito vanno in brodo di giuggiole sui contenuti esoterici di Steiner –, a me personalmente interessano di meno che non fare di questa cosiddetta scienza dello spirito uno strumentario, una scuola, una pedagogia per diventare nel pensare sempre più artistici. Perché lì c’è molta più gioia.

Ma che m’importa credere a Rudolf Steiner, questi bei dogmi, che questo tizio è la reincarnazione di quell’altro tizio, e poi la reincarnazione di quell’altra tizia ecc… ma cosa ne ho io? ... La borghesia moderna è fatta di culto della persona... E perché si fa il culto della persona? Perché è più scomodo diventare una persona! Perché diventare una persona lo può ognuno. Quindi in un certo senso questa scienza dello spirito è il superamento della borghesia, e mette al centro l’uguaglianza di tutti gli esseri umani in quanto potenzialmente creatori nel loro spirito. E l’attualizzazione di questa potenzialità è lasciata ugualmente ad ognuno.

Mi viene una rabbia ogni volta che in Germania vedo un’altra biografia di Steiner, e un’altra biografia di Steiner... già è problematico abbastanza questo Steiner che adesso lo spacciano per razzista,... L’editrice del Goetheanum negli ultimi tempi ha prodotto tre biografie di Steiner... Io dico: ma fissarsi sulla sua persona, è proprio far l’opposto di ciò che questa scienza dello spirito vuol dire! Non si tratta di Steiner che lui è più bravo,

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che allora io gli credo, lo ammiro, ecc. Abbiamo millenni di fede alle spalle, io ho lasciato la Chiesa cattolica perché sono stufo di credere, e adesso vogliamo andare a credere a Rudolf Steiner? E se Rudolf Steiner esiste da qualche parte o escarnato o incarnato, poveretto, se la deve passar bruttina a vedere che i suoi cosiddetti seguaci invece di mettere in primo piano questo cammino del pensiero offerto a ognuno e grazie a cui far l’esperienza di diventare un paradiso di spirito creatore, fanno una biografia di Steiner dopo l’altra... in modo da far gli inchini al guru.

Oppure adesso, per rendere Rudolf Steiner appetibile – ma Steiner non è digeribile dalla cultura che abbiamo, non è dige-ribile, è alternativo in assoluto! – ci vuole il coraggio di vedere, sinceramente, il carattere di inferno, di prigionia, di povertà di tutta la nostra cultura materialistica e creare un’alternativa di paradiso, ma proposta a tutti gli esseri umani. Se noi cerchia-mo di rendere Rudolf Steiner appetibile alla cultura stabilita, facciamo sparire la parte più interessante di Rudolf Steiner. È come questo povero Cristo che le Chiese hanno fatto di tutto per renderlo appetibile agli esseri umani, l’hanno crocifisso una seconda volta, ... morto e seppellito. Altro che risorto! Cosa è rimasto dello spirito del Cristo?

Da quello che io capisco, il Vangelo di Giovanni lo chiama Logos. Traducetemi in italiano Logos! Il pensare come attività pura creatrice! Quello è il nome di questo povero Cristo. Ucciso duemila anni fa, e poi culturalmente seppellito nel corso di duemila anni. Che cosa ha a che fare una Chiesa che ha insonnolito, addormentato il pensare umano, dicendogli: tu sei bambino, le cose dello spirito non le puoi capire, devi soltanto credere … Cosa ha a che fare questo spirito di mortificazione dello spirito umano col Logos che è la chiamata di ogni essere umano a diventare sempre più creatore nello spirito? È

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l’opposto! E a Roma è nata la Santa Sede. Sulla sede ci si siede, perciò

non si è camminato. Non è santo il seduto sulla sedia, no, è santa la sede. Non importa nulla chi ci sia seduto sopra, non importa nulla se sia polacco o tedesco, importante è la sede in modo che uno si sieda, e perciò non si è camminato. Io vi butto lì alcune riflessioni mie. Qualche volta qualcuno mi chiede: ma come fa quello lì a dire certe cose così atroci, come ha fatto a mantenere illesa la sua pelle fino adesso? Un motivo è che sono così magro, le pallottole sono andate a destra e a sinistra. L’altro motivo è che proprio non ho nulla da perdere, sono disposto ad andare in quell’altro paradiso già oggi, se è nel mio karma.

Pensiamo a Socrate, io l’ho amato da sempre e anche la mia maieutica è un po’ socratica. Questi giovincelli piangevano, piangevano – basta leggere il Fedone, basta leggere l’Apologia di Socrate, in Platone, testi bellissimi – e lui diceva: ma siete matti? Da sempre stiamo facendo filosofia, amore alla sapienza, e io da sempre vi ho dimostrato che il filosofo è colui che maggiormente vive nel paradiso della creatività dello spirito, e adesso che finalmente posso bermi sta’ cicuta e andare, lasciare questa mezza prigionia del corpo e andare nel mondo spirituale, voi piangete, piangete, piangete... Ma siete matti? E quei poveri giovincelli.... A quei tempi non c’erano le fanciulle perciò l’evoluzione deve andare avanti. Adesso qui siamo maschietti e femminucce, al tempo dei greci il cervello femminile non era ancora in grado di..., tra l’altro le donne che sono qui sedute in sala erano i maschi di allora, e invece i maschi qui in sala sono le femminucce di allora che devono recuperare un pochino. Comunque adesso non vi voglio spiegare questo fatto, no, avrei bisogno di almeno tre quarti d’ora.

Il cervello è lo strumento necessario per il pensare della coscienza ordinaria, lo strumento però, l’artista che si serve di

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questo strumento è lo spirito. Però, così come le melodie del violino non possono risuonare senza lo strumento del violino, così le melodie del pensare desto dell’uomo d’oggi non possono risuonare se non con lo strumento del cervello. Quindi non è che stia dicendo che è possibile il pensare conscio di oggi senza il cervello. Lo strumento è necessario, però è un conto chiamare il cervello lo strumento, e un conto è chiamare il cervello la causa dei pensieri. Sarebbe come dire di uno che suona il violino: l’agente, colui che produce le note, è il violino, non è l’artista. Questo dice la scienza naturale.

Siccome il cervello è necessario per il pensare della coscienza desta, allora si fa l’illazione che il pensare è a causa dell’effetto. Sarebbe come dire: siccome la benzina è necessaria perché la macchina si metta in movimento, allora la benzina è la cau-sa del fatto che la macchina si muove. Senza benzina non c’è movimento della macchina, dunque la benzina fa muovere la macchina. A Socrate verrebbe un infarto cardiaco a sentire una baggianata del genere. Il serbatoio pieno di benzina non è la causa che fa muovere la macchina, è la conditio sine qua non, ma una conditio sine qua non non basta. La causa è l’uomo che va in macchina e decide di metterla in moto, e guida e va. Per-ché se io il serbatoio lo riempio al distributore e poi la macchina la lascio lì, perché voglio andare a bere un caffè ecc…, voglio vedere se la benzina mette in moto la macchina.

Il pensare è diventato così povero che si scambia una condizione necessaria come se fosse la causa, ma una condizione necessaria non è la causa. La causa è ciò che essendoci di necessità produce l’effetto, la conditio sine qua non non produce di necessità l’effetto. Il serbatoio pieno di benzina non produce di necessità l’effetto di mettere in moto la macchina, lo fa l’uomo. Quindi il pensare è diventato così povero...: siccome non si può pensare senza il cervello, allora il cervello è la causa del pensare.

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Siccome la macchina non si può muovere senza la benzina, allora la benzina è la causa che mette in moto la macchina. È la stessa cosa. E tutta una cultura di scienziati e benpensanti non si rende neanche conto delle baggianate assolute che si dicono.

Nel primo semestre io ho avuto una formazione micidiale di filosofia aristotelica tomistica – chi mi conosce lo sa. Aristotele lo leggevamo in greco. Ho fatto otto semestri di Gregoriana e le lezioni erano in latino. Per portarvi un esempio: avevamo un professore americano di psicologia sperimentale che allora cominciava appena come disciplina. Un americano, era un armadio. Di latino non sapeva neanche un quarto di noi europei che avevamo imparato il latino sin dall’inizio. Tutti i termini tecnici della psicologia sperimentale erano in inglese, ma siccome avevamo sempre la scelta tra far l’esame in latino orale o l’esame scritto, noi studenti dicevamo: quello non sa un’acca di latino. Facciamo tutti l’esame orale, parliamo in latino così veloce che non faremo brutta figura. E difatti era veramente così. Abbiamo avuto note altissime senza studiare granché perché parlavamo in latino velocemente, e lui continuava a dire ita, ita, ita, che in latino vuol dire sì, sì, sì... Ma era chiaro che capiva la metà, ma neanche la metà, e ci dava le note più belle.

Questo per dirvi che in base a questo studio di Aristotele, se uno passava il primo semestre senza questa distinzione che una conditio sine qua non, una condizione necessaria, non è una causa, non andava al secondo semestre. E per dirvi come si è impoverito il pensiero umano. E le conseguenze sociali sono orribili, perché immaginiamo cosa significa non capirci più nulla delle cose.

Mettere questo dogma – che tu sei un risultato del biologico –, se una persona è minimamente intelligente deve diventar depressiva, perché se non lo diventa con questa convinzione è stupida. Se non diventa depressiva in assoluto con questo

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convincimento, ma allora è stupida del tutto! Non capisce neanche quello che sta dicendo. Se sono convinto di essere in balìa, di essere il risultato ineluttabile di ciò che avviene della mistura dei geni come l’hanno prodotta i miei due genitori, e mi permetto di essere ottimista, di essere entusiasta dell’umano, sono stupido! Le persone che diventano depressive sono le più intelligenti perché sono consequenziali, e chi vive all’acqua di rose è una testa da bambino. La superficialità non rende felice l’uomo, è l’altro risvolto dell’Inferno.

Ci sono due stati, due dimensioni fondamentali, sia dell’Inferno – della cattività, della prigionia –, sia del Paradiso. Una dimensione è quella del pensiero, della testa, della conoscenza, della coscienza. L’inferno è la coscienza ottusa: il pensare che non è un pensare, che non è creatore, è un pensare indotto che crede a tutte le autorità possibili e immaginabili fuorché a se stesso. Il paradiso del pensare è il creare.

Nella seconda conferenza di “Arte dell’educare, arte del vivere” (cinque conferenze di Steiner sulla pedagogia) Steiner va in brodo di giuggiole sulla sua filosofia della libertà, beato lui. Devo aggiungere come premessa che la Filosofia della libertà di Steiner siccome nel titolo riporta la parola filosofia nel mondo antroposofico è vista come un testo filosofico, e molti dicono che è ostico – però sono quelli che non l’hanno mai letta. Proprio in questa seconda conferenza – ma è strabiliante! – Steiner parla di questa filosofia della libertà in contesto pedagogico e dice: tutti i pensieri di questo testo, tutta questa filosofia della libertà è pura arte. Tutti i pensieri, dall’inizio alla fine, non hanno nulla di filosofico, di pedante, di astratto, di noioso. Pura arte.

L’elemento artistico è l’elemento di questa filosofia della li-bertà, perché parla dell’arte pura del pensare. E il pensare è l’arte più pura, potenzialmente, che esista. Pensate alla musica,

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pensate alla scultura, pensate all’architettura ecc..., – c’è sempre l’elemento specifico – le note o i colori, ecc…– che mi por-ta incontro leggi sue. Quindi l’artista deve fare i conti con le leggi dell’elemento con cui ha a che fare, laddove nel pensare, l’elemento con cui artisticamente pensare non mi porta incon-tro nulla di leggi sue. Voglio dire: i concetti passibili di essere creati dal pensare umano ci sono già tutti, sono stati creati dal Logos. Il pensare non consiste nell’inventare nuovi concetti, così come non si inventano nuovi colori. Nessun pittore ha mai inventato nuovi colori, l’arte consiste nel combinare all’infinito i colori, in questo caso i pensieri. E i pensieri, i concetti del mondo sono combinabili in infiniti modi, in modo puramente artistico. Non c’è nessuna regola, e perciò dà la gioia più supre-ma perché l’essere umano può sentirsi, mai come nel pensare, un creatore puro.

È una gran bella cosa leggersi e meditarsi questa conferenza. Proprio in campo di pedagogia Steiner si mette a parlare della filosofia della libertà. Qual è il paradiso dell’allievo, dell’alunno, dello scolaro? L’unico paradiso che esiste per il bambino a scuola è il maestro artista, che tutto quello che fa, lo fa artisticamente. Allora diventa un’attività, un’esplicazione pura dello spirito e dell’anima umana. E il bambino guarda e dice: ma che bello essere adulti! Dai che voglio far presto, voglio far presto. Voglio anch’io diventare così... ma come fai a essere così bravo?

Quindi il paradiso della pedagogia è il maestro che crea. Qualsiasi materia abbia in mano, l’importante è di maneggiarla artisticamente. Il contenuto non importa nulla. Pensate un momento: abbiamo ragazzi e ragazze di tredici, quattordici, quindici anni. Hanno a casa il computer, hanno internet, hanno i videogiochi, ecc… in quanto a sapere quantitativo, unità di sapere, loro lo sanno che vanno in Google e hanno accesso ad un sacco di cose. E il maestro che vorrebbe comunicarmi

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del sapere..., ma che noioso! Ma ne sa neanche un decimo di ciò che trovo andando in internet. Quindi la comunicazione di sapere diventa sempre di più l’inferno della pedagogia: noiosa, una prigionia, fa venir la voglia di scappar via, di andare al computer che lì, almeno, è un po’ più attivo, col topolino si passa da una cosa all’altra.

Quindi l’unica salvezza per il pedagogo, l’unico paradiso suo per uscire da questo inferno... però bisogna passare per il purgatorio della purificazione. Cioè, questo comodismo di vivere di rendita e pensare di poter comunicare all’allievo la rendita di ciò che si è imparato, bisogna vincerla questa comodità! Questo è il purgatorio, e purificare le porte dell’anima per rendere l’anima e lo spirito sempre più attivi, più creatori. Allora il maestro o la maestra gode l’arte di creare qualcosa, e non importa nulla come salta fuori... Un pittore che volesse essere già sicuro in partenza che il quadro vien bello, non si fida..., allora non viene fuori nulla.

Un altro risvolto della pedagogia, andiamo un po’ più in là: non il decenne, l’ottenne, non il quattordicenne, ma andiamo allo studente universitario. All’università ci sono le lezioni; ‘lezioni’ significa leggere. La lezione universitaria consiste nel fatto che c’è il libro del professore, il quale ha già tutto mangiato e rimuginato, e la lezione consiste nel rimuginare! È come un piatto cucinato che non si è mangiato e viene riscaldato una seconda volta. E Steiner – ai suoi tempi, oggi siamo un secolo dopo – dice: ma se io vado all’università per sentire quello lì che mi fa la lezione... mi prende come uno che non sa leggere! Deve leggere lui perché io altrimenti non saprei leggere... mi piglia per scemo? Ma mi risparmio il tempo e i soldi di andare all’università, di tornare indietro, e me lo leggo nella stanzetta il libro, senza il disturbo e la noia di quel pappagallo lì che mi fa la lezione. Eppure noi abbiamo una cultura che da sempre parla

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di lezione universitaria per quegli stupidi studenti universitari che non sanno leggere. Che fenomeno è? Di una cultura morta! Pensa che leggere qualcosa di perfetto sia meglio: bello morto, perché perfetto è soltanto il minerale; soltanto una macchina può essere perfetta. Una pianta non è perfetta, è vivente. E vivente è meglio che perfetto. Allora, purché sia perfetto, bello morto, meglio bello morto perfetto anziché vivente! La nostra cultura vive di paura della creatività e la mortifica a tutti i livelli, e siamo belli morti. La pedagogia ne è un esempio lampante.

Ma per far saltare fuori un maestro o una maestra che vivano veramente, sempre, nell’elemento artistico creatore, che diano fiducia alla creatività, allo spirito dell’animo umano, del cuore e della mente, prima di tutto ci vuole un tutt’altro tipo di pedagogia per loro, e poi bisogna restare allenati ogni giorno. L’inferno della pedagogia è un maestro che fa annoiare gli alunni, perché la noia è una delle forme di inferno più grosse che ci siano. Però è lui l’inferno, non gli scolari. Gli scolari sarebbero passibili di entusiasmi all’infinito e li mortifichiamo troppo precocemente.

Questa mattina per orientare i miei pensieri ho pensato al registro di quattro corde.

Le due corde della conoscenza sono: primo inferno della conoscenza, omettere il pensare libero; primo paradiso della conoscenza: esercitare il pensare libero. Secondo inferno della conoscenza, la seconda corda: che nella misura in cui l’essere umano omette di diventare attivo nel suo pensare, diventa pos-seduto nel suo pensare, il suo pensare viene posseduto, il cam-po del suo pensare viene invaso dalla televisione, dai giornali, dall’opinione pubblica. L’omettere crea il vuoto e questo lo può fare soltanto l’individuo, ogni individuo. E dentro il vuoto si fanno largo i poteri di questo mondo che hanno tutto l’interesse

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ad occupare il campo del pensiero umano. Poi, cacciar via que-sti elementi di possedimento è anch’esso un tipo di paradiso. Un secondo tipo di Paradiso, che nella misura in cui uno vi riesce – prima di tutto rendersi conto di quanti pensieri miei sono posseduti da menti altrui –, sorge un paradiso in fondo ancora più luminoso, perché fa sorgere la capacità di penetrare anche nelle modalità più subdole di rendere prigioniero il pen-siero. Pensate alla pubblicità: è un obnubilamento sistematico del pensiero dell’uomo, però questa pubblicità ha la possibilità di obnubilare, di offuscare il mio pensiero soltanto nella misura in cui io mi sono reso passibile, mi sono reso talmente passivo nel mio pensare che divento passibile di manipolazione. Quindi la manipolabilità del pensare di un uomo è in stretta corrispon-denza con la misura della sua omissione di attività artistica nel suo pensiero. Questi sono i due livelli riguardo al pensare.

Riguardo al cuore, riguardo all’amore, riguardo all’azione, c’è un primo inferno che è l’omissione dell’amore, l’omissione dell’esuberanza dell’amore. In un certo senso tutta la nostra cultura che vorrebbe accontentarsi della giustizia, è una cultura tirchia, che non conosce più la sovrabbondanza dell’amore. E ci scanniamo a vicenda perché – un pensiero che ho detto diverse volte –, sarà sempre più difficile accordarsi su ciò di cui un essere umano ha il diritto. Che cosa è dovuto all’essere umano? Che cosa è di giustizia dare a ognuno? Il problemino è che ogni essere umano vuole tutto, perché aspira a tutto.

Dibattito

Intervento. Acusticamente incomprensibile.Archiati. Potenzialmente, una cosa dopo l’altra nel rapporto

di coppia, se si fa un conteggio di ciò che è giusto... ma come, io ti ho dato tutto ciò che è di dovere... Non ci si può mai

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mettere d’accordo, perché l’altro dirà sempre: no, mi hai dato troppo poco, io ho diritto ancora di più. A che cosa hai diritto? A che cosa ha diritto un essere umano rispetto all’altro? La milza a che cosa ha diritto nei confronti del fegato? A tutto il fegato! Perché la milza ha bisogno di tutte le forze che il fegato dà all’organismo, così come il fegato ha il diritto al tutto della milza. L’umanità è veramente, realmente un organismo, quindi ogni essere umano, per poter vivere, ha il diritto a tutto dell’altro, e l’altro a tutto del suo. Questa tirchieria che è l’opposto dell’amore, che vorrebbe soltanto dare un tanto, è una cultura di tirchieria. Perciò la cosiddetta giustizia è stata superata già duemila anni fa, quando questo signorino che i cristiani chiamano Gesù Cristo – ma senza conoscerlo più di tanto – è venuto per dire: la giustizia non basta! È ingiusta la sola giustizia per l’uomo. Vuole tutto e dare tutto, pigliare tutto è l’amore.

La fissazione sulla giustizia è l’inferno del sociale. Il coraggio dell’amore è il paradiso del sociale. Vedete che qui abbiamo una dimensione molto più spessa. Uno spessore enorme rispetto al pensare perché il pensare, in fondo, riguarda l’evoluzione del singolo. Ma qui, il livello del cuore, della morale, abbiamo a che fare col sociale. Diventa più complessa la cosa.

Il paradiso futuro dell’umanità non è la giustizia, perché la giustizia verrà vissuta sempre di più come tirchieria: tu mi vuoi dare soltanto ciò che tu pensi sia giusto? Invece, giusto è soltanto quando mi dai tutto. E giusto per te è soltanto quando io ti do tutto, perché siamo membra di un unico organismo, non a livello fisico naturalmente, ma nei mondi dell’anima, nei mondi dello spirito.

Voi direte: Ma caro amico, ma guarda l’umanità! Siamo mille miglia lontani dalla giustizia. Ci sono migliaia di persone che ogni giorno muoiono di fame, e quegli altri buttano via,

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buttano via.... E tu parli di amore, che la giustizia non basta, che bisogna andare al di là.... beh, come la mettiamo? A che serve scalmanarti sull’amore se ciò di cui abbiamo bisogno urgente è un minimo più di giustizia nel mondo!

E io vi dico: l’unico motivo per cui noi non raggiungiamo la giustizia è che manca l’amore. Perché soltanto l’amore ha la forza di far giustizia. E se manca l’amore, cari signori e signore, non ci sarà mai giustizia. E lo vediamo! È il coraggio dell’amore che ha la forza di rischiare tutto e di dare tutto, questo sì che è paradiso perché allora si è veramente liberi! E un paradiso più grande che non la libertà e l’amore, non c’è mai stato!

A questo punto c’è sempre qualcuno che dice: certo sì..., sì..., però, perché non comincia l’altro? Perché devo cominciare giusto io? A quel punto lì, finché tu dici: devo cominciare io... finché è un dovere ... lascia perdere! La cosa funziona soltanto quando te la godi. L’amore è amore soltanto quando uno se la gode! E quando uno comincia a godere l’amore, non chiede più: devo cominciare io? No, dice: voglio, voglio, voglio cominciare io! E allora salta fuori un’epidemia dell’amore. L’amore è contagioso... il problema è che c’è troppo poco contagio.

In queste conferenze che vi ho indicato di “Verso un’etica della libertà”, tra le cose bellissime su Francesco d’Assisi che Steiner dice, c’è che questo Francesco d’Assisi è stato un contagio.... ma proprio una cosa straordinaria! Non soltanto lui, i suoi confratelli sono stati contagiati, erano in tanti. Solo che, dice Steiner, la cosa dopo la sua morte è stata come una candela che si è spenta. È durata poco. Però dice: finché Francesco era in vita, il contagio dell’amore – vedi La Divina Commedia, leggete di nuovo ciò che Dante dice su questo Francesco d’Assisi, versi bellissimi –, è stato un terremoto. Il contagio era qualcosa di straordinario. Morto lui, l’epidemia è finita. L’epidemia dell’amore è finita. E Steiner dice: peccato che è

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durata poco, perché se fosse continuato, se fossero sorte altre individualità che mettono lì questo paradiso bellissimo, magari non al 100% come un Francesco d’Assisi, ma anche soltanto un 60 - 70%, il contagio sarebbe continuato. Ma non c’è stato. E lo spegni moccoli principale di questa fiamma di luce, di amore, è stata la Santa Sede! Perché Francesco d’Assisi ha creato dei bei problemi a Roma. Bontà sua, aveva una grandezza del cuore tale che è riuscito, in qualche modo, a rendersi digeribile a Roma.

Il primo paradiso dell’essere umano, ed è uno stato di coscienza, è l’arte del pensare. E il secondo grande paradiso dell’essere umano è l’arte dell’amare, e amare all’infinito. E se l’essere umano vive non in un paradiso solo, ma in due, va tutto bene.

Allora vi avevo fatto questa sequenza: l’evoluzione umana va verso il paradiso.

Siamo partiti dal paradiso. Con la cacciata dal paradiso, per fortuna, siamo scesi sulla Terra. L’evoluzione in positivo è andare in paradiso, però non si deve altrimenti non si sarebbe liberi, quindi c’è anche la possibilità, la prospettiva di andare verso l’inferno. Dicevamo, tre tappe fondamentali sono: il nostro amico Caino, che è ognuno di noi; poi una seconda tappa fondamentale, il nostro amico Edipo; terza tappa, Giuda.

L’evoluzione è strutturata in modo saggio. Qual è il primo paradiso che ci aspetta dopo la svolta, qual’è il paradiso dell’uomo Giuda? L’amore divino che gli ridà una vita sulla Terra, e un’altra..., e un’altra...! Giuda, ma il tuo paradiso è sulla terra, ritornaci! Tu adesso ti sei impiccato, e ora impari, poi ritorni di nuovo, ritorni di nuovo! Quindi, il paradiso dell’uomo Giuda è la reincarnazione sulla Terra, perché soltanto lì può continuare a evolversi. Più paradiso di così non c’è!

Poi abbiamo il paradiso di Edipo. L’inferno di Edipo era la Sfinge degli egizi, l’enigma della Sfinge che si getta nell’abisso.

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Il paradiso di Edipo è il pensare, è la conoscenza, la scienza dello spirito che scevera, che approfondisce, che comprende il mistero dell’uomo. Quindi diciamo: il risvolto del mistero di Edipo è il cammino del pensiero. Dopo una scienza naturale che capisce soltanto ciò che è di natura, ora ci vuole una scienza dello spirito pensante che comprende l’uomo. La scienza dello spirito è lo sciogliere l’enigma di Edipo, della Sfinge. E che cos’è la Sfinge? È l’uomo! Nella Sfinge è scritta l’evoluzione dell’uomo, e nella misura in cui il pensare, l’evoluzione intellettiva dell’uomo comprende sempre di più questo mistero sfingeo che è l’uomo, abbiamo il terzo grande paradiso… Il pensare e il volere. Volere e agire..., l’uomo, il Caino che diventa il custode del suo fratello.

Il paradiso di Caino è di diventare custode del proprio fratello. Sono forse io il custode di mio fratello? La domanda posta all’inizio dell’evoluzione. Diventare paradiso significa diventare artisti nel pensare e nel volere, nell’agire: custodire il proprio fratello. Esseri umani che favoriscono il cammino reciproco a vicenda.

Arrivederci alla prossima volta!

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Pietro Archiati è nato nel 1944 a Capria-no del Colle (Brescia). Ha studiato teologia e filosofia alla Gregoriana di Roma e più tardi all’Università statale di Monaco di Baviera. È stato insegnante nel Laos durante gli anni più duri della guerra del Vietnam (1968-70).

Dal 1974 al 1976 ha vissuto a New York nell’ambito dell’ordine missionario nel quale era entrato all’età di dieci anni.

Nel 1977, durante un periodo di eremitag-gio sul lago di Como, ha scoperto gli scritti di Rudolf Steiner la cui scienza dello spirito ― destinata a diventare la grande passione della sua vita ― indaga non solo il mondo sensibile ma anche quello invi-sibile, e permette così sia alla scienza sia alla religione di fare un bel passo in avanti.

Dal 1981 al 1985 ha insegnato in un seminario in Sudafrica durante gli ultimi anni della segregazione razziale.

Dal 1987 vive in Germania come libero professionista, indipen-dente da qualsiasi tipo di istituzione, e tiene conferenze, seminari e convegni in vari Paesi. I suoi libri sono dedicati allo spirito libero di ogni essere umano, alle sue inesauribili risorse intellettive e morali.

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